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Nuovi orientamenti sull'organizzazione del processo del credito. Un'analisi del portafoglio crediti alla luce AQR nel periodo 2010-2015: il caso Carismi

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Introduzione

Il sistema finanziario internazionale è sottoposto a forti tensioni a partire dall’ultimo semestre del 2007. La crisi è arrivata a colpire i bilanci degli istituti bancari: crisi che ha seguito uno sviluppo complesso e in parte inatteso. Si stima che le perdite complessive legate al segmento subprime siano comprese tra i 400 e i 500 miliardi di dollari; dall’inizio della crisi le banche hanno registrato perdite per circa 350 miliardi di dollari ripartite pressoché equamente tra banche statunitensi ed europee1.

La crisi economica del 2007, originata negli Stati Uniti, ha avuto luogo dai primi mesi del 2008 in tutto il mondo. Gli Stati Uniti, l’economia più grande del mondo, sono entrati in una grave crisi creditizia e ipotecaria che si è sviluppata a seguito della forte bolla speculativa immobiliare (mutui subprime) e del valore del dollaro molto basso rispetto all’euro e alle altre valute.

Tutta questa debolezza ha portato al collasso tra il 2007 e il 2008: infatti, si registra il fallimento di banche ed istituti finanziari e si rileva una forte riduzione dei valori borsistici, della capacità di consumo e risparmio della popolazione mondiale.

In particolare, a partire dal settembre 2008, i problemi si sono particolarmente aggravati: infatti, risalgono a tale periodo il fallimento della banca di investimenti Lehman Brothers, le società di mutui Fannie Mae e Freddie Mac e la società di assicurazioni AIG.

Il governo nordamericano è intervenuto iniettando liquidità per centinaia di miliardi di dollari con l’obiettivo di salvare alcune di queste società, ma a causa delle banche, il fenomeno si è espanso velocemente in diversi paesi europei poiché, gli istituti bancari e le istituzioni finanziarie che hanno investito sui mutui subprime, sono le società che maggiormente risentono della crisi.

Esistono però dei limiti riguardanti ciò che possono fare le banche centrali per riportare i mercati al loro normale funzionamento. Innanzitutto, è necessario ricondurre su valori più contenuti il rischio di controparte, attraverso la trasparenza dei bilanci e, se necessario, la ricapitalizzazione. Inoltre, è fondamentale ristabilire l’operatività di alcuni mercati grazie alla semplificazione dei prodotti scambiati e ad una valutazione più

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Saccomanni F. “L’evoluzione del sistema finanziario italiano nel contesto europeo e internazionale”, Banca d’Italia, intervento del 27 giugno 2008

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2 appropriata. In questo modo sarà possibile ripristinare condizioni migliori di finanziamento per gli intermediari e si riuscirà a contenere gli effetti restrittivi sull’economia dovuti ad un aumento del costo del credito.

Prima dell’insorgere della crisi, la Banca d’Italia ha seguito linee prudenziali con la convinzione che il rischio di credito e di liquidità possano derivare dalla necessità per gli istituti bancari di preservare la reputazione sui mercati, onorando i loro impegni.

Inoltre, da alcuni anni sono state introdotte norme, riferite esclusivamente ad operatori con adeguati presidi organizzativi e di controllo, che consentono di operare con prodotti finanziari e derivati complessi.

Tuttavia, dall’insorgere della crisi, sono state avviate azioni di sensibilizzazione degli operatori, volte a sottolineare la necessità che gli organi di governo dispongano di una piena consapevolezza dei rischi delle operazioni di finanza strutturata; a rafforzare gli strumenti per la valutazione dell’impatto di scenari avversi sulle posizioni di liquidità; a ribadire la necessità di operare valutazioni in bilancio improntate al rigore con riferimento a tutti gli strumenti di finanza strutturata che hanno risentito dell’effetto della crisi.

In sintesi, possiamo affermare che il sistema bancario italiano ha fronteggiato relativamente bene l’impatto delle turbolenze sui mercati creditizi e finanziari, ma rimangono sfide, di natura più strutturale, che le banche italiane sono chiamate ad affrontare nel prossimo futuro poiché rivestono un ruolo cruciale sia per la capacità competitiva nel sistema economico sia per il benessere dei cittadini.

Con la presente tesi si vogliono esporre i cambiamenti e nuovi orientamenti legati al processo di erogazione del credito bancario.

In particolar modo, nel Capitolo 1 ci si concentra sullo stretto legame che lega la banca all’impresa: si spiegano le ragioni per cui gli istituti bancari siano essenziali per il corretto funzionamento dell’attività economica e il ruolo primario del credito nell’economia reale. Si tenta poi di comprendere come la crisi finanziaria si sia ripercossa sul sistema bancario globale e la pericolosità di una stretta creditizia.

Nel Capitolo 2, invece, ci si concentra sull’acceso al credito nel sistema italiano: in particolare sulle problematiche relative alla Piccola Media Impresa (PMI). Tale argomento viene dibattuto da tempo, tuttavia gli ostacoli all’ottenimento del credito che le PMI devono affrontare sono continuamente rinnovati, e negli ultimi anni addirittura

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3 aggravati. Inoltre, si ritiene che il supporto alle PMI sia di fondamentale importanza per la ripresa della crescita del PIL, soprattutto a livello finanziario ma anche burocratico.

Inoltre, saranno indagati gli impatti previsti dall’applicazione del nuovo quadro regolamentare di supervisione bancaria denominato Basilea 3. Nel concreto, si mettono in evidenza i due indicatori fondamentali, definiti dal Comitato di Basilea per una valutazione quantitativa del rischio di liquidità, basata su diversi orizzonti temporali: il Liquidity Coverage Ratio e il Net Stable Funding Ratio.

Il processo di erogazione del credito, viene analizzato nel Capitolo 3. Tale processo viene individuato come una sequenza logico – cronologica di una serie di attività elementari la cui realizzazione consente la concretizzazione di un adempimento complesso. L’esercizio del credito, infatti, si realizza per il tramite di un processo decisionale che tende a dare ordine organizzativo alle decisioni che precedono e seguono le operazioni di finanziamento.

Nel Capitolo 4 viene esposta un’analisi di portafoglio crediti tenendo conto dell’Asset Quality Review, ossia la valutazione della qualità degli attivi. Inoltre, viene analizzato il sistema crediti del sistema bancario Carismi; infatti, si cerca di analizzare l’andamento del credito non performing in un orizzonte temporale 2010-2015.

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CAPITOLO 1

“Il rapporto banca – impresa”

1.1 Le funzioni bancarie e il ruolo del credito nell’economia

Il nostro Paese, a differenza di altri stati europei, ha visto uno sviluppo abbastanza tardivo del sistema bancario e finanziario. Agli inizi, l’attività bancaria non possedeva una specifica legislazione, poiché si era convinti che le regole del mercato fossero una regolamentazione più che sufficiente2.

La grande crisi mondiale del 1929 portò una generalizzata necessità di riformare il sistema bancario e creditizio: questa aveva provocato fallimenti diffusi negli istituti di credito, a causa delle evidenti situazioni di illiquidità dovute allo sfasamento temporale tra raccolta e impieghi (la prima veniva effettuata principalmente a vista mentre la seconda a termine).

È proprio in questo contesto che si capisce l’importanza del tema di stabilità del sistema creditizio nella struttura delle banche: infatti, nel 1936 venne realizzata una completa riforma bancaria. Tale legislazione disegnò un sistema bancario basato sulla specializzazione temporale del credito, vale a dire sulla netta distinzione tra aziende di credito operanti a breve termine e gli istituti di credito speciale operanti a medio e lungo termine. Inoltre, in esso convivevano sia banche che istituti di credito speciale appartenenti a differenti categorie, alcune con personalità giuridica pubblica, altre con personalità giuridica privata.

La riforma del 1936 diede origine a una legge bancaria che per quasi sessant’anni ha regolato il nostro sistema creditizio3, fino all’emanazione del “Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”, il cui articolo 10 stabilisce che «la raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria4

». Tale disposizione, riprendendo un orientamento già consolidatosi con la legge bancaria del ’36, sottolinea la convinzione che il sistema bancario necessiti di una forma di supervisione particolare rispetto alle altre tipologie di imprese.

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Capriglione F. “Evoluzione della disciplina di settore”, Cedam, Padova, 2010 3

Costi R. “L’ordinamento bancario”, Il Mulino, 5° ed, 2012 4

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5 Questa caratteristica è giustificata da una serie di ragioni. Innanzitutto dalla natura stessa di attività bancaria e dalle modalità con cui viene svolta. In altri termini, «la nozione di attività bancaria pretende un collegamento funzionale tra la raccolta del risparmio fra il pubblico e l’erogazione del credito5

».

Altro elemento da considerare è l’insieme di interessi coinvolti: infatti, l’impresa bancaria può essere vista come l’unione di una vastità di interessi di più ampia portata rispetto a quella che solitamente è coinvolta in imprese che operano in altri settori6.

La funzione economica tipica dell’istituto bancario consiste nella necessità di coniugare le richieste dei soggetti economici che presentano surplus monetario con quelle dei soggetti che, invece, ne difettano, ponendosi come controparte di ciascuno di essi. Questa funzione, definita intermediazione creditizia, è esercitata dalle banche attraverso, da una parte, la raccolta di fondi dai risparmiatori e, dall’altra, mediante la concessione di prestiti a imprese e famiglie in vista del soddisfacimento dei loro bisogni di investimento e consumo7.

Per questo motivo, la presenza di istituti finanziari, con un ingente patrimonio informativo, permette alle imprese, che hanno difficoltà ad accedere ai mercati del credito, di ottenere ugualmente finanziamenti. Allo stesso modo, le imprese che, avendo un proprio surplus finanziario, vogliono finanziare un progetto di investimento di un’impresa in modo diretto (quindi senza l’intermediazione di una banca), si trovano obbligate a considerare una serie di fattori; ad esempio, probabile insuccesso del progetto, capacità di remunerazione dello stesso e dell’impresa di restituire il finanziamento. Inoltre, dovrebbero costantemente seguire l’azienda durante la realizzazione dell’investimento, controllando, soprattutto, lo svolgersi regolare dell’andamento dei pagamenti degli interessi e il rimborso del capitale prestato. In questo modo, la banca si sostituisce ad ogni risparmiatore, in veste di intermediario creditizio, permettendo una riduzione dei costi di raccolta di informazioni, di valutazione e verifica.

Altra funzione appartenente al sistema bancario è quella monetaria: l’art 10 del TUB recita «Le banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse e strumentali». Tale caratteristica, tipica per unicità di questo intermediario, trae origine

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Costi R. “L’ordinamento bancario”, Il Mulino, 5° ed, 2012 6

ibidem 7

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6 dal fatto che le banche possano sostituire, nel regolare gli scambi commerciali, la moneta legale con quella scritturale (gli assegni bancari e circolari, i giroconti, i trasferimenti elettronici di fondi). Quest’ultima risulta uno strumento di pagamento molto più efficace e sicuro rispetto alla moneta legale. Pertanto, si fa riferimento alla moneta bancaria. L’utilizzo di questo tipo di moneta, assume un ruolo essenziale nei sistemi economici più evoluti, perché meglio si adatta alle molteplici esigenze di pagamento. Affinché si ottengano vantaggi con i suddetti mezzi di pagamento è necessario che si verifichino alcune condizioni: in primo luogo, un razionale funzionamento a sistema da parte delle banche per regolare le posizioni di credito/debito senza ritardi nei tempi di esecuzione, poi, la consapevolezza del pubblico che la banca è sempre solvibile e quindi disponibile a pagare il beneficiario in qualsiasi momento.

Infine, abbiamo la funzione finanziaria riguardante i numerosi servizi offerti dalle banche ai propri clienti che non sono sempre collegati alle altre funzioni della banca.

Per questo, gli istituti bancari assumono un ruolo fondamentale nello sviluppo di un sistema economico: per mezzo delle loro funzioni, soprattutto attraverso l’allocazione del risparmio, essi rappresentano, nelle varie economie moderne, la principale fonte di finanza esterna anche in quei paesi che possiedono mercati dei capitali più sviluppati e complessi. A tal proposito, Marchegiani afferma che “le banche, supportando il risparmio e il suo indirizzamento verso forme di investimento, favoriscono lo sviluppo economico. Inoltre, investendo in titoli pubblici vanno indirettamente a finanziarie la spesa pubblica8”.

1.2 Il relationship lending e transaction lending

Nell’ultimo ventennio, i processi di aggregazioni bancarie che si sono riscontrati hanno registrato sia effetti positivi che negativi. Tra i primi ricordiamo lo sviluppo dell’insieme di servizi offerti alle imprese anche di piccola dimensione; invece, tra gli effetti negativi menzioniamo la necessità di razionalizzazioni per la riduzione dei costi e lo sviluppo nel mercato di prodotti standardizzati, favorendo il distacco con le imprese. Tali cambiamenti hanno fatto sì che la concorrenza tra le banche sui mercati finanziari e del credito aumentasse, determinando un’evoluzione nel rapporto con le imprese. La

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7 banca raccoglie informazioni private ottenute con rapporti con le unità produttive. Esiste una gamma di elementi che servono da incentivi per le banche nello sviluppo di relazioni continuative con le imprese e, proprio questo contesto caratterizzato da processi di aggregazione uniti alla maggiore concorrenza a livello internazionale degli intermediari, favorisce il dibattito tra il sistema di tipo relationship lending e quello di transaction banking.

Il relationship lending viene definito come un rapporto molto stretto e di lunga durata tra banca e impresa, caratterizzato da un forte interscambio informativo grazie al quale, entrambe le parti, possono ottenere vantaggi di tipo informativo basati su fiducia reciproca. L’istituto bancario dovrebbe essere in grado di conoscere approfonditamente l’impresa, le sue aree di attività e le sue potenzialità grazie alla riduzione delle asimmetrie informative. Per il mondo imprenditoriale, i vantaggi permettono di ottenere maggiore disponibilità di credito, una riduzione del costo del capitale e sostegno in momenti di difficoltà, tutto in un contesto caratterizzato da trasparenza informativa9.

Il transaction lending non comporta investimento in informazione privata poiché si fonda su una relazione tra banche e imprese più distaccata. Infatti, tale rapporto è limitato alla singola operazione con un cliente, ovvero si basa su una molteplicità di identiche operazioni con una moltitudine di clienti, la cui valutazione sotto il profilo rischio–rendimento è fondata solo su dati contabili e di dominio pubblico (hard information10). Perciò, nel contesto dell’attività di prestito, il transaction lending viene visto come rapporto basato su singole, pure e semplici operazioni di finanziamento non destinate ad avvicinare banca e cliente. A tal proposito, la qualità del cliente è valutata dal finanziatore in relazione ad ogni singola transazione, considerata separatamente dalle altre e rispetto alla quale sono misurate le attese di performance. Nel transaction lending si tende a massimizzare l’utile derivante dalla specifica transazione e si rinuncia all’erogazione di prodotti che evidenziano livelli di redditività ritenuti insufficienti, se valutati individualmente, ma che potrebbero generare sinergie, di natura anche economica, se inseriti in un portafoglio più ampio di servizi offerti a un cliente.

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Bolton P., Freixas X., Gambacorta L., Mastrulli P.E., “Relationship and transaction lending in a

crisis”, Working Papers n° 917, Banca d’Italia, 2013

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Le Hard Informations sono informazioni pubblicamente disponibili di tipo quantitativo: dati, statistiche, bilanci

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8 L’hard information può essere facilmente comparata e non richiede un approccio personale per la sua elaborazione; inoltre, i recenti sviluppi della tecnologia hanno facilitato la raccolta, la trasmissione e la conservazione di questo tipo di dati.

La soft information, invece, si focalizza sulle relazioni di lungo periodo che si instaurano tra il soggetto che viene affidato e la comunità in cui opera, tra l’affidato e il loan officer, tra l’affidato e i suoi clienti e fornitori. Sono informazioni di tipo qualitativo, che si basano sull’esperienza, che non possono essere facilmente osservate, verificate o trasmesse da soggetti diversi rispetto a quelli che sono coinvolti direttamente nella relazione. È pertanto necessario nella scelta di erogazione del finanziamento, il ruolo svolto dall’individuo responsabile della medesima raccolta delle informazioni.

In mancanza di tali condizioni, il rapporto banca-impresa si configura per una minima intensità informativa. La banca, in mancanza di un patrimonio informativo sufficiente, ha poche possibilità di effettuare una capillare ed efficiente attività di monitoraggio delle controparti, per convogliare le proprie politiche di credito; inoltre, si trova costretta ad effettuare un’attività di screening sul territorio delle situazioni da finanziare, avvalendosi di deboli e informali canali informativi, che privilegiano le informazioni qualitative, ottenute grazie ad un sistema di relazioni personali con l’imprenditore.

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9 Tabella – Differenze tra relationship e transaction lending

La scelta tra il transaction lending e il relationship lending è condizionata da diversi elementi, ad esempio dal contesto economico e regolamentare in cui opera l’istituto bancario, dalla struttura del mercato, dalla tecnologia esistente. È necessario chiarire che le modalità con cui viene misurata l’intensità e la qualità di tali relazioni, può cambiare e riferirsi a fattori diversi. Una distinzione sta nel fatto che l’impresa possa essere monobancata, ossia che abbia una relazione esclusiva con una sola banca, oppure sia una banca locale operante nel territorio dell’impresa stessa.

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10 Grazie alla disponibilità di informazioni “riservate”, le banche riescono ad ottenere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. Il possesso di queste informazioni consente una valutazione più efficiente del merito creditizio dei propri affidati, riducendo così il rischio di comportamenti opportunistici.

Possiamo individuare diverse teorie che cercano di chiarire come la banca riesca a ottenere tale vantaggio informativo.

Una prima teoria sostiene la tesi del vantaggio assoluto: in questo modo, la banca investirebbe in tecnologie con lo scopo di selezionare in maniera più efficiente i potenziali affidati, così da rendere il credito bancario meno costoso rispetto al finanziamento diretto sul mercato.

Viceversa, la teoria del vantaggio relativo sostiene che la banca non acquisisca nessun vantaggio competitivo al momento della prima valutazione del merito creditizio, ma lo acquisisce successivamente. Grazie a questa relazione continuativa, la banca acquisisce informazioni riservate e sconosciute agli altri investitori e alle banche concorrenti. Quindi, le informazioni accumulate su ciascun affidato nel corso del tempo, vanno a definire il vantaggio relativo della banca.

La prima teoria coincide con i modelli uniperiodali, cercando di giustificare l’esistenza della banca e la superiorità dell’intermediazione sul credito diretto. I mercati finanziari, caratterizzati da asimmetria informativa, potrebbero fallire in mancanza di interventi che riducano il fenomeno della selezione avversa ed evitino comportamenti opportunistici. Infatti, la banca e i potenziali finanziatori, possiedono minori informazioni rispetto all’imprenditore (asimmetria ex ante), e pertanto, non sono in grado di effettuare una valutazione efficiente del rischio di credito e determinare un’ adeguata remunerazione.

Tutto ciò, può determinare comportamenti opportunistici dell’imprenditore: ad esempio, può richiedere finanziamenti maggiori rispetto al suo reale bisogno o condizioni contrattuali più convenienti. Le imprese, per mezzo della funzione di

signalling, cercano di dare una maggiore attendibilità alle informazioni rilasciate,

emettendo segnali finalizzati a convincere i finanziatori. Ad esempio, possono aumentare l’investimento personale dell’imprenditore o costituire una garanzia con i beni del patrimonio personale.

La banca, invece, attraverso lo screening, può riuscire ad individuare il grado di affidabilità dei diversi tipi di imprese. Le informazioni raccolte permettono di ridurre il rischio di comportamenti opportunistici, attraverso un’idonea azione di monitoring ex

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post, una volta concesso il finanziamento. La banca viene delegata dal singolo

finanziatore poiché il costo per effettuare monitoring. A questo punto si deve incentivare il monitor a comportarsi in modo corretto. Di conseguenza, si presenta il problema dell’agenzia che causa la nascita dei costi delega. Per risolvere ciò, la banca deve assumere il ruolo di investitore delegato e diversificare il portafoglio prestiti, monitorando esclusivamente il rischio specifico d’impresa e coprendosi da quello sistematico.

I modelli multiperiodali vogliono evidenziare l’ottimale comportamento delle banche e dei prenditori di fondi nel rapporto di affidamento, in un’ottica di lungo periodo; infatti, il loro obiettivo non è dimostrare la superiorità dell’intermediazione rispetto al credito diretto, che danno per scontata.

L’istituto bancario, partendo dal presupposto che la relazione si protrae nel tempo, ha la possibilità di raccogliere informazioni riservate, acquisendo un patrimonio informativo che va a costituire il suo vantaggio relativo rispetto alle banche concorrenti.

Tabella – Differenze tra vantaggio assoluto e vantaggio relativo

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1.2.1 Vantaggi e Svantaggi del relationship lending

Come è noto, l’adozione di un approccio relationship lending tra una banca e una impresa permette un complesso e ripetuto scambio di informazioni private, e quindi riservate, tra l’istituto bancario e l’impresa affidata.

Tale scambio informativo, facilita l’individuazione del profilo di rischio dell’impresa, portando effetti positivi sia sul costo del finanziamento (che verrà diminuito grazie ad una più approfondita conoscenza dell’impresa, permettendo alla banca di diminuire la rischiosità del prestito), sia sull’adattamento del finanziamento coerentemente con l’andamento prospettico dei flussi di cassa aziendali.

Inoltre, nei momenti di maggior bisogno, viene aumentata la disponibilità di credito alle imprese, riducendo i casi di credit rationing o gli effetti di politiche monetarie restrittive. Da questa relazione, nascono i presupposti per l’offerta di un servizio assicurativo implicito: la banca, pertanto, fornisce linee di credito di emergenza, nel caso in cui l’impresa si trovi in temporanee crisi di liquidità o la tutela da improvvisi rialzi generalizzati dei tassi d’interesse (smoothing intertemporale dei tassi).

Altro vantaggio del relationship lending è quello di garantire una maggiore flessibilità nel rapporto creditizio rispetto al transaction lending, permettendo all’impresa la possibilità di rinegoziazione dei termini del credito (come la scadenza e/o le condizioni del tasso) e di modifica della forma tecnica dell’affidamento. Tale caratteristica è importante per l’impresa nei casi in cui si trovi in temporanee difficoltà gestionali e di mercato. Infatti, in entrambe le situazioni, una banca non sufficientemente informata, potrebbe essere incentivata ad interrompere il rapporto.

Viene anche migliorata la reputazione dell’impresa, quando gli operatori percepiscono il prestigio dell’intermediario con cui l’azienda ha stretto il rapporto di lungo periodo.

Infine, vengono ridotti i costi di screening e di monitoring per la banca e viene limitato il rischio di controparte.

Seguendo questa logica, le decisioni di concessione o rinnovo del prestito da parte della banca, sono il risultato della stretto legame che unisce l’istituto bancario con l’impresa. È palese, pertanto, che i vantaggi maggiori sono riconducibili all’instaurarsi di un rapporto unitario ed esclusivo con un’unica banca (monoaffidamento): il

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13 concentrarsi dell’indebitamento dell’impresa verso un solo intermediario conferisce allo stesso l’esclusivo ruolo di “banca di riferimento”.

Oltre ai vantaggi fin qui elencati, si individuano anche aspetti negativi: infatti, talvolta, il credito si traduce in una maggiore disponibilità di fondi e/o in una serie di condizioni più vantaggiose per l’impresa cliente. Come già visto in precedenza, il consolidarsi del rapporto, permette alla banca di misurare al meglio la rischiosità dell’affidato grazie all’ingente produzione di informazioni (sia soft che hard) che emergono durante la relazione. Perciò, tanto più questa informazione prodotta è esclusiva della banca che l’ha creata, tanto minori potrebbero essere i benefici per l’impresa in termini di costo del credito. Quindi, fare affidamento su un’unica banca può anche essere costoso; la teoria economica, infatti, pone attenzione su due temi che possono annullare i benefici precedentemente evidenziati. Si tratta dell’hold up problem e del soft budget constraint.

La causa di entrambi i problemi si deduce dalla natura stessa dell’informazione tra banca e impresa. Poiché si tratta, infatti, di un’informazione di tipo privata, le parti non possono trasmetterla in maniera credibile all’esterno; tali informazioni inoltre potrebbero penalizzare l’impresa se diffuse pubblicamente, venendosi a creare in tal modo le condizioni di un possibile conflitto d’interessi, soprattutto quando la banca è in rapporto anche con concorrenti diretti dell’impresa stessa.

Si parla così di soft budget problem, ossia la possibilità per l’impresa di “obbligare” la banca alla concessione di ulteriori finanziamenti anche quando non sarebbe ottimale farlo11.Possiamo citare, ad esempio, il caso di un’impresa in difficoltà che spinge la banca a concedere altri finanziamenti nella speranza di recuperare il vecchio credito. Così, l’eccesso di credito per progetti rischiosi comporta una diminuzione di efficienza del complessivo sistema finanziario, dovuta ad una cattiva allocazione delle risorse tra i vari soggetti da finanziare.

Al contrario, con l’hold up problem è la banca che potenzialmente “cattura” l’impresa12

.In questo rapporto stabile nel tempo, infatti, l’impresa conferisce una specie di monopolio informativo alla banca.Quest’ultima, rendendosi conto della stretta natura della relazione, può sfruttare la sua situazione di vantaggio imponendo, ex-post, tassi

11

Corigliano R. “Corporate banking, credito e finanza delle imprese. Strategie per la crescita e ruolo

delle banche regionali”, Roma, Bancaria Editrice, 2007

12 ibidem

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14 d’interesse più elevati o condizioni più onerose alle imprese, togliendo loro anche la possibilità di ricevere altrove finanziamenti competitivi.

Come prima soluzione all’hold up problem possiamo fare riferimento alle banche stesse, che possono decidere di astenersi dal ricevere eventuali profitti derivanti da una posizione di monopolio per acquisire, nei confronti delle imprese, una buona reputazione.

Una seconda soluzione potrebbe essere speculare alla precedente, ossia quella di costituire una reputazione di buon debitore nei confronti della banca di riferimento.

Per quanto riguarda la durata della relazione bancaria, esistono due tipologie di studi che giungono a conclusioni opposte: la prima arriva a dimostrare che i tassi d’interesse applicati ai clienti dovrebbero inizialmente essere bassi per sottrarre clientela alle banche concorrenti, e poi, in seguito, aumentare per compensare i minori ricavi della fase iniziale del rapporto. È chiaro che potrebbe esistere la possibilità nel tempo di perdere il cliente.

Al contrario, altri ritengono che le banche dovrebbero praticare tassi più alti all’inizio del rapporto, quando non si conosce ancora bene il debitore, e poi ridurli al momento in cui viene provata la correttezza e l’affidabilità del cliente. I debitori ricevono l’incentivo a comportarsi in maniera corretta, poiché la banca è in grado di promettere ai clienti meritevoli migliori condizioni e tassi più bassi.

Altra soluzione all’hold up problem potrebbe essere per un’impresa quella di stabilire più di una relazione bancaria. Infatti, la teoria contemporanea ritiene che la banca sia superiore rispetto ad altri intermediari poiché questa è in grado di proporre contratti di finanziamento più convenienti, coordinando le unità in surplus finanziario.

Un’ultima soluzione è diversificare le fonti di finanziamento, ossia rivolgersi ad intermediari finanziari diversi dalla banca.

1.3 Il Multiaffidamento

Nonostante i vantaggi derivanti dall’avere in essere una relazione esclusiva con una banca, nella realtà le imprese intrattengono rapporti creditizi con più di un intermediario. Il fenomeno appena descritto è chiamato multiaffidamento.

Il numero di relazioni tra banca e impresa è influenzato da diversi fattori. Questi ultimi, sono riconducibili alle caratteristiche stesse delle imprese affidate. Si parla di

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15 opacità informativa, dimensione dell’impresa, peculiarità della relazione banca-impresa e struttura del mercato.

L’instaurarsi di relazioni di clientela solide e durature è ostacolato dal multiaffidamento, infatti l’esistenza di molteplici relazioni riduce il valore delle informazioni raccolte dalle singole banche. Tutto questo, induce gli istituti bancari a diminuire la disponibilità di credito e ad aumentare il costo dello stesso nei confronti delle imprese; mentre per le imprese che vogliono instaurare relazioni durature, il multiaffidamento può essere uno strumento di difesa dall’hold up problem, per quelle orientate al transaction lending può essere uno strumento per massimizzare i vantaggi di tale approccio. Inoltre, le molteplici relazioni bancarie possono essere spiegate dalle caratteristiche strutturali ed informative dell’impresa. Infatti, la trasparenza informativa di un’impresa può di influenzare il numero delle relazioni bancarie.

Il monoaffidamento, è pertanto, il miglior strumento per superare le asimmetrie informative anche se la maggior parte delle imprese, soprattutto italiane, preferisce il multiaffidamento.

Inoltre, è necessario mettere in evidenza come la numerosità delle relazioni bancarie mostri una accentuata variazione fra i paesi.

Riportando uno studio condotto sulle imprese europee, si nota il diverso ricorso a relazioni contemporanee di credito a seconda della concentrazione dei sistemi bancari: infatti, da un minimo di relazioni contemporanee di 2-3 (precisamente: Norvegia 2,3 Svezia 2,5 Regno Unito 2,9), si giunge ad un massimo di 15,2 per l’Italia. Inoltre, nel nostro Paese, si trova l’impresa con il più alto numero di relazioni, pari a 70. Su livelli intermedi troviamo Portogallo, Francia, Belgio e Spagna (10-11) e la Germania (8)13.

Analizzando la situazione presente negli USA, notiamo che il 44,5% delle imprese ha una relazione esclusiva con una banca, mentre in Italia la percentuale di tale relazione scende all’11%.

I dati riportati confermano il concetto che il multiaffidamento è una pratica estesa nel nostro Paese. Le varie differenze possono essere ricondotte al differente sistema finanziario che caratterizza i due paesi: l’USA orientato al mercato, mentre l’Italia banco centrico. Nel nostro Paese, infatti, il limitato sviluppo dei mercati finanziari e la dimensione ridotta dell’impresa media, esclude per quest’ultima fonti di finanziamento

13

Ongena e Smith “What determines the number of bank relationships? Cross-country evidence”, in

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16 alternative rispetto a quelle bancaria, in modo tale da costringerla a “sottostare” alle regole del mondo creditizio.

È importante, poi, porre particolare attenzione al multiaffidamento per individuare le cause che lo caratterizzano.

Esistono varie linee di pensiero che cercano di dare una spiegazione al fatto che le imprese siano spinte ad instaurare rapporti con più banche. Un primo motivo, potrebbe essere ricondotto alla volontà dell’impresa di limitare la minaccia dell’hold up problem. Altri ricercatori hanno identificato diverse ragioni che prescindono dall’hold up problem: ad esempio, Detragiache, Garella e Guiso (1997) definiscono il multiaffidamento come uno strumento per gestire eventuali e provvisorie crisi di liquidità della banca. Infatti, tale crisi provvisoria potrebbe spingere la banca a negare il credito anche ai suoi fedeli debitori. Tale situazione, comporterebbe adverse selection nel caso in cui l’impresa, per finanziare il proprio progetto, si rivolga ad altri intermediari. Quindi, il monoaffidamento aumenta la probabilità che il progetto si trovi in una situazione di assenza di un sostegno finanziario.

Invece, secondo gli stessi autori, nel caso in cui l’adverse selection sia ridotta e in condizioni tali da consentire un finanziamento presso un altro istituto bancario, allora il monoaffidamento rimarrebbe la scelta preferibile per l’impresa. Infatti, gli intermediari, poiché in possesso di poche informazioni sul profilo dell’impresa, sarebbero indotti a pensare che il mancato rinnovo del credito sia da attribuire o alla natura di cattivo debitore dell’impresa, oppure alla bassa qualità del progetto da finanziare proposto dall’impresa stessa. Per tali ragioni, gli autori collegano il motivo del fenomeno del multiaffidamento alla potenziale fragilità delle banche. Nonostante queste valide argomentazioni, gli stessi autori ritengono che il monoaffidamento sia la soluzione ottimale nel caso in cui il selection adverse sia ridotto a tal punto da permettere un finanziamento ad un’impresa anche dalla banca non di riferimento.

Per altri autori, il multiaffidamento si presenta come un fenomeno positivamente correlato, non con la fragilità delle banche, ma con il grado di indebitamento delle imprese. In sostanza, queste ultime instaurano rapporti con più banche con l’obiettivo di aumentare la loro capacità di finanziamento (overlaverage).

In tale contesto, caratterizzato dalla molteplicità di relazioni, la continua rinegoziazione del prestito con le banche, consente alle imprese di raggiungere un livello di disponibilità di credito maggiore degli assets dell’impresa stessa.

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17 Al contrario, tale opportunità non risulta conseguibile in una relazione di monoaffidamento bancario. Quindi, il multiaffidamento rappresenta per l’impresa una scelta ottimale nel caso in cui decidesse di aumentare i propri finanziamenti.

In ultimo, si nota come le dimensioni delle banche e delle imprese possano essere delle determinanti del multiaffidamento.

Quest’ultimo potrebbe originarsi non solo come conseguenza delle scelte dell’impresa, ma anche di quelle della banca. Infatti, per le imprese di notevoli dimensioni, il multiaffidamento rappresenterebbe il desiderio della banca, per ridurre il rischio specifico di controparte, di creare un attivo diversificato. Infatti, poiché la banca è caratterizzata da vincoli (regolamentari e gestionali) nello svolgimento della funzione creditizia, il multiaffidamento può diventare la soluzione ottimale per finanziare più progetti e per ottenere una maggiore diversificazione. Questa considerazione risulterà ancor più appropriata quanto più le banche sono piccole rispetto al progetto che vogliono andare a finanziare.

È evidente che, per le imprese di piccole dimensioni, la scelta di rivolgersi alle banche per ottenere un finanziamento è una necessità, esistendo la non convenienza di forme di accesso diretto al mercato dei capitali. Comunque, risultando l'impresa avvantaggiata a intrattenere più di un rapporto contemporaneamente, la scelta tra mono/multiaffidamento risulta scontata: ad esempio, si ottiene una maggiore disponibilità di fondi, un accesso a profili differenziati di servizi, offerte e capacità, la possibilità di creare concorrenza tra fornitori di fondi e/o di servizi e una riduzione dei conflitti che possono nascere con il finanziatore nel caso in cui si instauri un rapporto esclusivo. Tuttavia, un numero elevato di rapporti è nocivo, poiché comporta la perdita di molti dei vantaggi connessi al relationship lending ed è in grado di innescare comportamenti opportunistici sia nella banca (soprattutto nell’attività di monitoring), sia nell'impresa. Quindi, possiamo facilmente notare che la miglior soluzione risulta essere una situazione caratterizzata da una banca principale di fiducia e da alcune banche, anche specializzate, di supporto. Questa è la modalità prediletta all'estero dalle imprese di dimensione media-grande, mentre per le più piccole prevale il rapporto esclusivo con una banca, generalmente quella locale.

Concludendo, il ricorso al multiaffidamento risulta opportuno soprattutto se si vanno a considerare due rischi. Nel primo caso, l’impresa potrebbe vedere rifiutare dalla banca i finanziamenti richiesti per ragioni interne. In tale circostanza, l’impresa deve considerare il rischio di dover reperire prestiti imprevisti presso altre banche, che, non

(18)

18 avendo sufficienti informazioni sull’impresa, scontano un certo rischio di selezione avversa: per queste ragioni, se la qualità media delle imprese sul mercato è bassa può essere conveniente intrattenere fin dall’inizio più di una relazione di credito.

Nel secondo caso, il gran numero di banche potenzialmente concorrenti potrebbe comportare vantaggi all’impresa in particolari situazioni.

1.4

Il razionamento del credito

”Il razionamento del credito – come afferma Brighi – discende dallo squilibrio tra domanda ed offerta. Se l’eccesso di domanda è temporaneo e dovuto a ritardi nell’aggiustamento nel prezzo del credito, si ha una situazione di razionamento di disequilibrio di breve periodo. Se, diversamente, introduciamo vincoli di natura istituzionale, tale aggiustamento viene impedito ed osserviamo forme di razionamento di disequilibrio di lungo periodo. Se, infine, l’eccesso di domanda permane a prescindere dalla presenza di vincoli di natura esogena, si parla di razionamento di equilibrio riconducibile essenzialmente ad imperfezioni del mercato del credito”14.

L’autore identifica due tipologie: il razionamento dinamico, se l’eccesso di domanda è temporaneo ed è dovuto a ritardi nell’aggiustamento nel prezzo del credito, il razionamento di equilibrio, nel caso in cui l’eccesso di domanda sia permanente; l’esistenza di quest’ultimo deriva dal fatto che per la banca non è conveniente erogare credito a tassi superiori a quello critico, in presenza di un eccesso di domanda. Per questo, diventa necessario considerare i vari fattori che influiscono sul profitto atteso della banca, e analizzare poi come questi fattori, a loro volta, possano essere influenzati da variazioni di r.

A riguardo, possono essere evidenziati due principali linee di approccio. Nel primo caso, i clienti differiscono in relazione ai loro costi di insolvenza, quindi un aumento di r determina un aumento della quota di clienti insolventi. Questa situazione è stata analizzata per la prima volta da Jaffee e Russell (1976), che hanno sviluppato un modello in cui classificano il comportamento di clienti in “onesti” e “disonesti”. Nel secondo caso, i progetti si differenziano per il loro grado di rischio e, quelli più rischiosi, sono quelli di maggior profitto per i clienti. Tale concetto è stato sviluppato da Keeton (1979) e in seguito, in modo più completo, da Stiglitz e Weiss (1981).

14

(19)

19 In un mercato di credito in situazione di equilibrio, il razionamento del credito si manifesta poiché deriva dall’esistenza di asimmetrie informative presenti in tale mercato. In particolare, si fa riferimento alla distanza informativa che esiste tra datori e prenditori di fondi riguardo alla disponibilità delle informazioni rilevanti per la valutazione del cliente, del suo comportamento, dei suoi progetti. Tutto questo determina una modifica dell’equilibrio tra domanda e offerta di un mercato concorrenziale causando il fallimento del mercato stesso.

L’inefficienza ha come conseguenza l’esclusione di alcune tipologie di individui dai servizi finanziari formali e concorrono al rallentamento della crescita economica.

Il razionamento del credito si verifica quando la domanda di credito eccede l’offerta, ovvero ogni volta che il prezzo del credito è inferiore a quello di equilibrio. Pertanto, il problema fondamentale per la teoria del razionamento del credito è comprendere perché una banca, di fronte a questa situazione, non decida semplicemente di aumentare il tasso di interesse sui prestiti con l’obiettivo di riportare in equilibrio il mercato, come suggerito dalla teoria neoclassica dei prezzi15.

Nel momento in cui si prende in esame il funzionamento dei mercati finanziari e la definizione degli strumenti finanziari che in essi vengono scambiati, si ricorre generalmente alla Teoria dell’Informazione. Un ruolo importante, in tale teoria, è rivestito dagli effetti di adverse selection16 e di moral hazard17 che operano in situazioni di informazione asimmetrica.

Nello specifico, per quanto riguarda il mercato del credito, riscontriamo che il prenditore di fondi (agente) si trova in una situazione di vantaggio informativo rispetto al potenziale finanziatore (principale), poiché dispone di informazioni superiori sull’investimento che intende intraprendere. Per quanto detto, si sono individuati modelli di razionamento del credito, a prescindere dal problema delle asimmetrie

15

ibidem 16

L’adverse selection (o selezione avversa) è una situazione d’informazione asimmetrica precedente l’eventuale finalizzazione del contratto e ha luogo quando chi si accinge a prestare è soggetto a incentivi che lo possono portare a scegliere il debitore più rischioso, e cioè quello che con maggiore probabilità può produrre un risultato avverso per il prestatore (Filosa, Marotta, 2011)

17

Il moral hazard (o azzardo morale) si ha quando il prestatore di fondi è soggetto all’alea (azzardo) che l’affidato usi i finanziamenti ottenuti per intraprendere progetti la cui eccessiva rischiosità è tenuta nascosta al creditore (Filosa, Marotta, 2011)

(20)

20 informative: così il razionamento del credito può avvenire anche quando l’informazione è completa.

I modelli di razionamento con asimmetrie informative possono essere distinti in due categorie:

 Razionamento del I tipo, quando alcuni o tutti i clienti ricevono una quantità di credito inferiore a quella desiderata al tasso d’interesse prevalente;

 Razionamento del II tipo, quando le banche negano credito ad alcuni clienti, pur concedendolo ad altri del tutto indistinguibili da quelli razionati.

1.4.1 Razionamento del I tipo

Si fa riferimento alla teoria di Jaffee e Russel (1976): nel modello teorizzato dagli autori si ipotizza un mercato del credito perfettamente concorrenziale, ove gli intermediari, a causa degli elevati costi di screening, non sono in grado di accertare ex ante la probabilità di inadempimento dei debitori. Inoltre, i debitori vengono classificati in “onesti” e “disonesti” e gli viene offerto un unico contratto di prestito standardizzato. Gli autori definiscono onesti coloro che accettano un contratto di credito solamente se sono in grado di onorarne i termini, mentre per disonesti si intende coloro che falliscono e che risultano inadempienti ogni qualvolta i costi relativi a tale comportamento siano sufficientemente contenuti.

Jaffee e Russel ipotizzano che la domanda di credito dei debitori è una funzione decrescente del tasso di interesse ed è identica sia per gli onesti sia per i disonesti. Ma, poiché in caso di insolvenza i debitori disonesti sopportano un costo di bancarotta, la loro funzione di utilità differisce da quella dei debitori onesti. Mentre i clienti onesti accettano solo contratti di prestito che sanno di potere onorare, quelli disonesti restituiranno il prestito solo nel caso in cui il costo di bancarotta risulti superiore al valore di rimborso del prestito. Infatti, se il costo di bancarotta supera quello di rimborso, la funzione di utilità dei clienti disonesti è maggiore nel caso di solvenza rispetto a quello di insolvenza.

Di conseguenza, gli autori individuano tre possibili equilibri di mercato.

La prima possibilità si presenta quando la domanda e offerta di credito si equivalgono; in questo caso, il tasso di interesse è maggiore del costo opportunità sui depositi bancari ma la differenza è appena sufficiente a coprire il rischio di bancarotta.

(21)

21 In sostanza, è come se i debitori onesti pagassero un premio a copertura dei debitori disonesti. In questa tipologia di equilibrio non si riscontra razionamento del credito.

Nel secondo caso, invece, la domanda risulta maggiore dell’offerta per un dato tasso di interesse; in questo caso, agisce il meccanismo di adverse selection che attrae gli agenti disonesti e, allo stesso tempo, obbliga gli onesti ad accettare di essere razionati e di pagare ad un tasso di interesse inferiore a quello dell’equilibrio precedente. Gli autori, tuttavia, dimostrano che l’equilibrio con razionamento è preferito al precedente senza razionamento. Infatti, in questo caso, i debitori onesti raggiungono un livello di utilità superiore all’altro.

Nel terzo e ultimo caso, si presenta l’abbandono dell’ipotesi di contratto unico standardizzato; si considera l’offerta di soluzioni contrattuali diverse, ipotizzando l’ingresso di una banca in grado di offrire un nuovo contratto di prestito a condizioni più favorevoli. In questa nuova ipotesi, tutti i debitori onesti si spostano verso il nuovo contratto lasciando nel vecchio solo i disonesti. A queste condizioni, gli intermediari che offrivano il contratto precedente, subiscono una perdita e escono dal mercato. A questo punto, anche i debitori disonesti si riversano sul nuovo contratto cosicchè anche la nuova banca va in perdita ed è costretta ad uscire dal mercato. Di conseguenza, soluzioni contrattuali multiple generano un equilibrio instabile.

Concludendo, Jaffee e Russel sostengono che l’equilibrio che genera più benefici è quello in cui la domanda risulta maggiore dell’offerta per un dato tasso di interesse dove gli intermediari offrono al tasso di interesse prevalente una quantità di credito inferiore a quella desiderata dagli agenti economici.

1.4.2 Razionamento del II tipo

Keeton nel 1979 è il primo ad analizzare il problema del razionamento del II tipo, ovvero quella situazione in cui alcuni debitori del tutto indistinguibili da altri sono razionati dalla banca18. L’autore giunge a questo risultato ipotizzando: una rigida curva di offerta dei prestiti, vincoli sui tassi di interesse e particolari condizioni di moral hazard. In quest’ultima situazione, Keeton nota che i debitori sono propensi ad intraprendere progetti più rischiosi nel caso di un aumento del tasso di interesse. Infatti,

18

(22)

22 nel caso specifico, è probabile che la banca non conceda prestiti ad un tasso di interesse superiore ad una certa soglia, poiché avremmo profitti attesi inferiori derivanti dall’alto rischio associato ai progetti finanziati con quei prestiti. In virtù di queste considerazioni, la banca terminerebbe di erogare credito senza tener conto della qualità del potenziale debitore.

Questa impostazione è stata ripresa e analizzata anche da Stiglitz e Weiss19 nel 1981. L’obiettivo dello studio è di dimostrare come un mercato di prestiti in equilibrio, possa essere caratterizzato da razionamento del credito.

Riprendendo le medesime ipotesi di Keeton, l’autore ritiene che, il tasso d’interesse, eserciti un ruolo fondamentale nella definizione delle varie scelte: infatti, quando si registra un’imperfetta distribuzione delle informazioni, il livello del tasso applicato influisce non solo sul livello della domanda, ma anche sulla rischiosità dei progetti intrapresi. Proprio per tale motivo, la definizione del tasso ha una duplice funzione: da una parte, svolge un ruolo selettivo utile per classificare i potenziali prenditori (adverse selection effect), dall’altra assume un ruolo incentivo utile per identificare possibili comportamenti dei prenditori (adverse incentive effect).

La prima situazione si presenta per il fatto che i clienti che risultano maggiormente inclini a pagare tassi di interesse più elevati, sono quasi certamente più rischiosi. Infatti, questi clienti sono disposti a contrarre debiti a tassi elevati poiché sono a conoscenza del fatto che la probabilità di restituire il prestito è bassa. Di conseguenza, all’aumentare del tasso, cresce anche la rischiosità media della clientela e, si presume che, i profitti della banca si riducano (adverse election effect).

Stiglitz e Weiss arrivano a dimostrare che il comportamento dei clienti cambia quando il tasso d’interesse aumenta; infatti, se per un dato tasso d’interesse, un’impresa neutrale al rischio, è indifferente tra due progetti, un aumento di tassi induce il prenditore di fondi ad intraprendere il progetto con più elevata possibilità di insuccesso (incentive effect).

Proprio per tali motivi, il rendimento atteso dalla banca può crescere meno che il tasso d’interesse e, oltre un certo punto, può decrescere.

Il tasso d’interesse a cui il rendimento atteso dalla banca è massimizzato è definito come il tasso ottimale della banca (r*). In corrispondenza di questo tasso vi può essere un eccesso di domanda. Questa situazione può risultare di equilibrio: quindi, il datore di

19

Stiglitz J.E., Weiss A.“Credit rationing in market with imperfect information”. The American Economy Review, 1981

(23)

23 fondi potrebbe rifiutare di erogare prestiti a soggetti che offrono un tasso maggiore di quello ottimale. Infatti, a giudizio del datore di fondi, questi prestiti risulterebbero più rischiosi della media erogata al tasso ottimale: in conseguenza a ciò il rendimento atteso della banca diminuirebbe, in corrispondenza di tassi più elevati di r*, e risulterebbe razionamento di credito.

Figura – Andamento del tasso d’interesse a cui la banca eroga fondi in relazione al ritorno atteso

Questa impostazione è adottata anche dal modello sviluppato nel 1981 da Stiglitz e Weiss20: nel mercato del credito il prezzo, cioè il tasso di interesse applicato al prestito, è differente dal tasso di rendimento atteso del creditore (banca). Questo accade perché il rendimento atteso della banca dipende anche dalla probabilità di rimborso dei debitori. Nello specifico, viene dimostrato che all’aumentare del tasso di interesse il rendimento atteso della banca è influenzato da effetto diretto e adverse selection.

Nel primo caso, all’aumentare del tasso di interesse, a parità di condizioni, il rendimento atteso della banca aumenta.

Nell’altro, invece, all’aumentare del tasso di interesse, a parità di altre condizioni, aumenta la rischiosità media della clientela e, presumibilmente, i profitti attesi dalla banca si riducono.

20

Stiglitz J.E., Weiss A.“Credit rationing in market with imperfect information”. The American Economy Review, 1981

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24

1.5 Asimmetrie informative

Le asimmetrie informative21 caratterizzano il rapporto tra banca e impresa: l’intermediario (principale) è la parte con meno informazioni, mentre il prenditore (agente) ha la capacità di valutare nel miglior modo possibile i suoi progetti di investimento; per questo motivo, l’agente ha un vantaggio informativo. Per ridurre questa asimmetria informativa, il finanziatore si fa carico di costi sia nella fase di valutazione del progetto da finanziare (costi di screening), che nella fase di controllo dell’azione del soggetto finanziato (costi di monitoring).

I costi di screening sono quei costi sostenuti dall’intermediario nell’acquisizione, nella selezione e nell’elaborazione delle informazioni riguardo al prenditore e/o al progetto d’investimento da finanziare; il prestatore sostiene questi costi al fine di ridurre al minimo il rischio di selezione avversa. Nello specifico, i potenziali finanziatori hanno difficoltà a distinguere tra un’impresa di “buona” qualità che vuole condividere il rischio di un “buon” progetto di investimento e un’impresa di “cattiva” qualità che scarica solo sui terzi il rischio del suo progetto di investimento.

I costi di monitoring sono legati al “monitoraggio” del comportamento dell’imprenditore, al fine di verificare che la sua azione e l’impiego dei fondi ottenuti siano coerenti con l’obiettivo dichiarato e che, in seguito all’erogazione di quanto pattuito, non sorgano fenomeni di moral hazard.

Si individuano due tipologie di asimmetrie informative: ex ante o ex post.

Secondo il primo modello, si teorizza che prenditori e banche siano asimmetricamente informati circa la probabilità di insolvenza del prestito: i primi, infatti, possiedono una maggiore informazione rispetto ai secondi sulla probabilità di successo del progetto da finanziare. Inoltre, i prenditori si differenziano per onestà, avversione al rischio e rischiosità del progetto che si vuole intraprendere. In tale contesto, un aumento del tasso d’interesse potrebbe influenzare negativamente l’insieme di richiedenti attraverso l’adverse incentive effect.

Nel secondo modello, invece, si ritiene che tutti i prenditori siano uguali e che abbiano le medesime informazioni possedute dalle banche sulla probabilità di successo dei progetti proposti. L’asimmetria informativa viene a definirsi ex post, per quanto riguarda il profitto reso dal progetto stesso. Risulta chiaro, infatti, che il prenditore

21

La teoria delle asimmetrie informative deve la sua nascita a Leland H.E., Pyle D. (1977) “Information

(25)

25 cercherà di dichiarare un tasso di profitto fortemente minore, rispetto a quello realmente conseguito per evitare di ripagare alla banca il prestito concesso più l’interesse contrattuale. La banca, pertanto, per conoscere il reale profitto conseguito dal progetto, dovrà sopportare dei costi di monitoraggio.

Di conseguenza, la letteratura sulle asimmetrie informative fa capire che, nel caso in cui i benefici (in termini di maggiore informazione prodotta) eccedano i costi, all’impresa converrà rivolgersi alla banca piuttosto che al mercato. Inoltre, come riferisce Diamond22, si ritiene che una banca tragga benefici dalle economie di scala che realizza nello svolgimento delle operazioni di screening ex ante e di monitoring ex post. A maggior conferma, Boot23 (2000) sostiene che la ragione d’essere delle banche potrebbe essere ricercata nel loro ruolo di riduzione delle asimmetrie informative e che il relationship lending è lo strumento più indicato per questo scopo.

Da quanto appena evidenziato, emerge chiaramente che un rapporto banca-impresa basato sul modello del relationship lending appare ottimale per ridurre le asimmetrie informative e i relativi rischi per la banca.

1.6 Il Credit Crunch: impatto sull’attività economica

In letteratura non esiste una definizione univoca di credit crunch. La diversità di definizioni deriva dalle differenti cause di contrazione del credito: gli economisti ritengono che tutto ciò derivi da una stretta creditizia ed anche dal fatto che il credito venga razionato mediante altri strumenti piuttosto che attraverso i prezzi.

Tale termine, generalmente, viene utilizzato per definire una serie di fenomeni che riguardano la stretta creditizia derivante dal perfezionamento delle politiche monetarie, una carenza dell’offerta di credito quindi una razionalizzazione del credito stesso da parte degli istituti bancari.

Pertanto, è possibile definire la stretta creditizia come: “una situazione nella quale l’offerta di credito è ristretta al di sotto dei livelli generalmente identificabili ad un dato

22

Diamond D.W., “Financial Intermediation and Delegated Monitoring”, in Review of Economic

Studies, 1984

23

(26)

26 tasso di interesse prevalente sul mercato e di profittabilità dei progetti di investimento24”.

In particolare, la stretta creditizia rappresenta una notevole riduzione dell’offerta di credito, a parità di condizioni. Pertanto, in questo contesto, il rapporto tra la disponibilità di credito e il tasso di interesse viene di conseguenza influenzato. Questa relazione può avvenire secondo due modalità.

Nel primo caso, riscontriamo una traslazione verso sinistra della curva di offerta di credito bancario, a parità di tasso di interesse reale (meccanismo del prezzo). In tale situazione si presenta quello che viene chiamato comunemente credit crunch.

Nel secondo caso, troviamo il razionamento del volume del credito (credit rationing), indipendentemente dal tasso di interesse.

Secondo Bernanke e Lown il credit crunch rappresenterebbe “una significativa traslazione verso sinistra della curva di offerta di credito bancario, a parità di tasso d’interesse reale e merito di credito dei potenziali debitori25”.

In altri termini, il credit crunch vuole indicare un calo dell’offerta di credito. In genere, si presenta al termine di una fase di espansione economica, quando le Banche Centrali alzano i tassi di interesse, con l’obiettivo di raffreddare l’espansione evitando il rischio d’inflazione, spingendo anche gli istituti di credito ad alzare i propri tassi di interesse e non permettendo l’accesso al credito per coloro che non possono sostenere tale spesa.

Gli istituti bancari, anche senza l’intervento delle Banche Centrali, possono avviare una stretta del credito quando ritengono che i loro clienti non siano solvibili.

Pertanto, le banche aumenteranno i tassi di interesse e/o chiederanno ulteriori garanzie sulle linee di credito già erogate e anche su quelle da erogare.

Il credit crunch risulterebbe essere uno degli effetti di una grave crisi finanziaria come quella manifestatasi in America tra il 2007 ed il 2008 e nella quale ancora ci troviamo.

La crisi ha generato effetti negativi sulla situazione finanziaria e sul patrimonio delle banche in tutti gli Stati economicamente sviluppati, costringendole a ridurre le concessioni di credito.

24

Council of Economic Advisors (1991), “Economic report of the president”, Washington, United States, Government Printing Office

25

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27 Esistono diversi fattori che portano a notare che la stretta del credito sia intervenuta per comportamenti che si sono verificati sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda: ad esempio, la fragilità del mercato immobiliare, le turbolenze nei mercati dei capitali, il crollo della spesa per i consumi delle famiglie e degli investimenti delle imprese ed il peggioramento del merito creditizio della clientela bancaria.

Bernanke e Lown, nella determinazione della stretta del credito, attribuirono un ruolo importante ai fattori individuabili dal lato della domanda.

In particolare, il peggioramento del bilancio aziendale e, unitamente, il deterioramento della qualità creditizia dei prenditori di fondi, furono causa della debole domanda di prestiti, portando alla conclusione che, nella determinazione della stretta creditizia, la domanda fosse fondamentale.

Nel contempo, gli autori compresero che una carenza nel capitale delle banche aveva ridotto le possibilità di erogare prestiti. Sulla base di questa considerazione, ritennero che il credit crunch potesse essere meglio definito con il termine capital crunch. Inoltre valutarono empiricamente l’impatto del rallentamento economico sul settore reale. I risultati principali a cui giunsero furono tre: innanzitutto, le stime degli effetti della ridotta capacità di prestito bancario sul mercato del credito, furono di bassa rilevanza, anche se significative. In secondo luogo, evidenziarono una relazione debole tra il rapporto dei mezzi propri (patrimonio netto sul totale delle attività) e la crescita dell’occupazione. Per ultimo, risultò che tutti i fattori determinanti del mercato del credito avevano subito un rallentamento. Gli autori capirono, da questi tre risultati, che la causa fondamentale del rallentamento del credito fosse la sua diminuita domanda.

Altra definizione di stretta creditizia fa riferimento alla spiegazione fornita da Owens e Schreft (1993), secondo cui la situazione di credit crunch rappresenterebbe “un periodo di forte aumento del razionamento del credito non basato sul prezzo26”.

Questi ultimi due autori, a differenza di quanto affermato da Bernanke e Lown, affermano che la definizione di credit crunch trovi radice nei tradizionali principi microeconomici: ad esempio, si ha un disequilibrio quando in un mercato dei beni, al prezzo di mercato corrente la domanda non eguaglia l’offerta. Nello specifico, quando la domanda supera l’offerta, si ha uno shortage. In questo modo, l’offerta disponibile

26

Owens, R. E., Schreft S. L., “Identifyng Credit Crunches”, Working Papers Series 93 - 2, Dipartimento Ricerca della Federal Reserve Bank of Richmond, Marzo 1993

(28)

28 verrà razionata per soddisfare la domanda eccedente, non mediante il prezzo, ma attraverso altri strumenti.

Al contrario di quanto sostenuto da Bernanke e Lown, gli autori evidenziano come la parola “forte” sia importante nella loro definizione: questa comporta un incremento discontinuo nell’utilizzo del razionamento del credito, senza tener conto della stretta creditizia caratteristica delle recessioni, che potrebbe essere non legata ad ogni cambiamento del profilo del rischio del prenditore di fondi. Inoltre Owens and Schreft non tengono conto nella loro definizione del volume corrente dell’attività di prestito. Pertanto, una stretta creditizia potrebbe presentarsi sia durante periodi di espansione del credito sia in periodi di contrazione dello stesso. Ugualmente, i quattro autori sono d’accordo nell’attribuire un ruolo fondamentale al declino della domanda di credito nel momento in cui si presenta la contrazione del credito stesso. Nello specifico, Owen e Schreft affermano che la contrazione della domanda derivi dal deterioramento dei valori immobiliari, mentre Bernanke e Lown dalla debolezza dei bilanci aziendali.

1.7 La crisi finanziaria: le determinanti

In tutte le economie di mercato, la vita dell’impresa registra fasi alterne positive e negative, in modo che le situazioni di crisi aziendale sono componenti permanenti del sistema moderno. La crisi può manifestarsi in una serie di elementi interni ed esterni all’impresa.

A partire dal 2007 tutto il Mondo è stato investito da una forte crisi finanziaria, che ha raggiunto l’apice con il fallimento di Lehman Brothers.

Nei tempi seguenti, l’economia reale ha subito gli effetti di tale crisi entrando in una grave recessione globale.

L’origine è stata attribuita alla crisi dei mutui subprime scoppiata negli Stati Uniti, in realtà le cause sono varie: squilibri macroeconomici, politiche monetarie espansive, innovazione finanziaria e sottovalutazione dei rischi27.

In un contesto di basso livello dei tassi di interesse e abbondanza di liquidità, le richieste di finanziamento hanno determinato un aumento dell’indebitamento, in particolare negli Stati Uniti, e la concessione di mutui residenziali è stata erogata senza

27

Il rafforzamento patrimoniale delle banche: prime indicazioni sull’impatto delle nuove proposte di Basilea di Giuseppe Lusignani e Lea Zicchino, in Banca Impresa Società n. 2/2010

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29 tener conto di criteri giusti. La sottovalutazione dei rischi è peggiorata con il ricorso a strumenti ibridi di capitale e con la cartolarizzazione che consentiva il trasferimento a terzi dei rischi assunti; inoltre, le banche hanno investito anche in prodotti risultanti da operazioni di cartolarizzazione e ricartolarizzazione, dando così vita a interconnessioni sistemiche tra gli intermediari finanziari che hanno poi facilitato il contagio.

L’aggravio della crisi si è manifestato, soprattutto, quando i mutuatari sono risultati insolventi e l’apparato bancario è risultato instabile. In seguito, tutto il sistema finanziario ha registrato un crollo delle quotazioni dei titoli di cartolarizzazione, travolgendo repentinamente tutti i mercati economici a livello globale.

Numerosi sistemi bancari sono stati incapaci di assorbire le perdite manifestatesi con la crisi finanziaria a causa anche dell’elevata leva finanziaria (leverage), mettendo in evidenza alcuni elementi di debolezza della regolamentazione vigente.

In primo luogo, un’applicazione disomogenea della normativa prudenziale a livello internazionale. Ogni Paese ha avuto la possibilità di utilizzare forme diverse di arbitraggio regolamentare; ad esempio, quelle relative ad una idonea composizione del patrimonio di vigilanza, destinate alla ricerca di un trade-off migliore tra onerosità degli strumenti e grado di rafforzamento patrimoniale. Questo ha portato a ricorrere, con maggiore frequenza, a strumenti ibridi.

In secondo luogo, l’incapacità delle risorse patrimoniali di coprire le perdite dederminate dalla crisi, nonostante un patrimonio regolamentare oltre i limiti minimi. Tale effetto deriva dalla presenza di strumenti innovativi e ibridi di patrimonializzazione, rendendo il patrimonio qualitativamente minore e non in grado di coprire eventuali perdite registrate dalle banche.

Altro elemento di debolezza riguarda la sottovalutazione dei rischi derivante dal venire meno della rigorosa stima del merito creditizio degli affidati. La regolamentazione prudenziale non è risultata in grado di rilevare i rischi in bilancio e fuori bilancio, ed anche nelle esposizioni connesse a strumenti derivati. Nello specifico non si sono valutati e quantificati adeguatamente i sottostanti di tali derivati, rendendo possibili gli arbitraggi regolamentari tra posizioni di trading book rispetto alle stesse del banking book.

Inoltre, troviamo la non considerazione dei rischi sistemici tra banche, mercati e altre istituzioni finanziarie nei frame work regolamentari, dovuti al fatto che si sono manifestati dopo la crisi.

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30 Altro elemento da considerare è il rischio di liquidità poco considerato dalla regolamentazione: infatti, Basilea 2 non contemplava norme per il loro contenimento ma riteneva che gli intermediari fossero in grado di gestire la loro liquidità per mezzo dei mercati interbancari. Grazie alla crisi, la fiducia interbancaria si è notevolmente ridotta, causando tensioni e carenza di riserve di liquidità.

I rischi, inoltre, non venivano ritenuti correlati, ma elementi a sé stanti, senza considerare il fatto che alcuni strumenti comportano una valutazione di più tipologie di rischio individuate nella regolamentazione.

Infine, le regole di vigilanza che aumentano le fluttuazioni negative del ciclo economico, tendono a ridurre in modo significativo la crescita del credito all’economia.

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