• Non ci sono risultati.

Multinazionali Tascabili e Microesportatori: il ruolo dei Sistemi Informativi e della Digitalizzazione nello sviluppo delle PMI. Il Caso "ROBER GLASS S.R.L."

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Multinazionali Tascabili e Microesportatori: il ruolo dei Sistemi Informativi e della Digitalizzazione nello sviluppo delle PMI. Il Caso "ROBER GLASS S.R.L.""

Copied!
101
0
0

Testo completo

(1)

U

NIVERSITÁ

DI

P

ISA

D

IPARTIMENTO DI

E

CONOMIA E

M

ANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STRATEGIA MANAGEMENT E CONTROLLO

Tesi di Laurea

Multinazionali Tascabili e Microesportatori:

il ruolo dei Sistemi Informativi e della Digitalizzazione nello sviluppo

delle PMI.

Il Caso "ROBER GLASS SRL"

RELATORE: Prof. Stefano Sartini

CANDIDATO: Emanuele Lazzerini

(2)

Introduzione………..3

1) L’impresa industriale in Italia 1.1 I connotati dell’impresa industriale………...5

1.2 Il tessuto industriale italiano, origini e sviluppo………...….6

1.3 Un mosaico di piccole, medie e grandi imprese...…………..……...…8

1.4 I distretti industriali, peculiarità italiana………..10

1.5 Il settore del vetro………...……….15

2) Microesportatori e Multinazionali Tascabili 2.1 Classificazioni delle Imprese Industriali………..……...18

2.2 Il D.M. del 18/04/2005, i Microesportatori………..….………...21

2.3 Dal I al IV capitalismo, le Multinazionali Tascabili……….………..23

2.4 PMI ed Export, la situazione italiana……….………..27

2.5 L’Export nel prossimo futuro……….……..31

2.6 Limiti e criticità delle PMI………..36

3) Sistemi Informativi Aziendali e Digitalizzazione 3.1 Sistemi Informatici e Sistemi Informativi………...………39

3.2 Nascita ed evoluzione dei S.I.………..46

3.3 Internet e Cloud Computing………50

3.4 E-Commerce………55

3.5 Digitalizzazione ed Export………..60

3.6 Internazionalizzazione ed Export, limiti ed ostacoli………65

4) Il caso “ROBER GLASS SRL” 4.1 Storia e caratteri della società………..…68

4.2 Filosofia e valori aziendali………...72

4.3 Struttura organizzativa e personale………..73

(3)

4.5 Ambiente, mercato e analisi di competitività……...………...76

4.6 Situazione economico-reddituale………..……..79

4.7 Mercato estero ed Export………82

4.8 Sistemi Informativi, Digitalizzazione, E-commerce………...85

4.9 Verso una Digitalizzazione evoluta………..89

4.10 Considerazione finali…..………...93

4) Conclusioni………..95

5) Bibliografia…………………………………..…97

(4)

Introduzione

Questo elaborato nasce dalla volontà di approfondire le dinamiche retrostanti lo sviluppo delle piccole e medie aziende che nonostante le dimensioni ridotte riescono brillantemente a competere sui mercati internazionali, trasformando in un punto di forza quello che comunemente potrebbe essere considerato un limite invalicabile.

La larga presenza di microesportatori e multinazionali tascabili è senz’altro una caratteristica tipica e peculiare del tessuto economico italiano, difficilmente riscontrabile in altre realtà.

È dunque mia intenzione fornire in primis una panoramica sulla situazione italiana partendo dall’evoluzione del sistema industriale, per poi soffermarmi con particolare attenzione sulla risposta che le piccole e medie imprese hanno dato alla necessità di adattarsi alla crescente globalizzazione dei mercati, in special modo negli anni a cavallo tra la fine del’900 e l’inizio del nuovo secolo.

Dopo aver chiarito i contorni strutturali del mio approfondimento, inclusa una breve indagine sul settore del vetro riguardante il caso aziendale successivamente in analisi, mi soffermo sulle definizioni di Microesportatori e Multinazionali Tascabili. Qui si evidenzia come tali forme di impresa rappresentino il nocciolo duro del sistema economico italiano, terreno fertile per coltivare le nuove esigenze di innovazione e apertura all’adozione di sistemi integrati, con sguardo costantemente rivolto alla crescita ed alla penetrazione sui mercati esteri.

Mi addentro quindi nell’indagine sui Sistemi Informativi che esistono da sempre in ogni realtà aziendale, ma che hanno assunto un peso significativo con il crescente sviluppo e la diffusione capillare degli strumenti informatici. Una volta definito il processo di digitalizzazione e diffusione dei S.I., vado ad analizzare come questi possano oggi rappresentare un vero e proprio mezzo di competitività, divenendo una risorsa imprescindibile per rispondere alla necessità di internazionalizzarsi, specialmente per le Pmi.

(5)

Da qui procedo all’analisi del caso concreto della società “Rober Glass S.R.L”, azienda di piccole dimensioni, produttrice di vetro di alta qualità, risiedente a Calci in provincia di Pisa .

Nel caso in oggetto vado dunque ad esaminare e riscontrare molte delle caratteristiche comuni alla maggior parte delle piccole e medie imprese che operano sia sui mercati nazionali, che esteri.

Dopo un’analisi di tipo strategico su quelli che sono i tratti distintivi, i prodotti, il mercato e gli elementi di competitività di Rober Glass, identifico il grado di digitalizzazione raggiunto dall’impresa. Giungo quindi ad una valutazione sull’influenza che gli strumenti informatici hanno esercitato sulle attività aziendali negli ultimi decenni, ed ipotizzo possibili soluzioni per migliorare il contributo dei S.I. alla redditività aziendale.

Infine terminato il procedimento di ricerca, traggo le dovute conclusioni, evidenziando se e come tale modello di business sia attuabile nei mercati odierni.

(6)

1) L’impresa industriale in Italia

1.1 I connotati dell’impresa industriale

L’Italia si distingue tra i paesi europei per l’elevato numero di aziende che operano sui mercati esteri: 88 mila di queste risultano essere imprese industriali (un valore secondo solo a quello della Germania), che vanno a coprire oltre l’80 per cento dell’export complessivo italiano1.

Possiamo definire le imprese industriali come quelle aziende che, combinando in modo adeguato capitale umano, macchinari, materie, energia, competenze tecniche e metodi organizzativi, trasformano materie prime, energia e servizi, in prodotti commercialmente competitivi e collocabili sul mercato.

L’impresa industriale per tanto è caratterizzata da:

INPUT

PROCESSO PRODUTTIVO

OUTPUT

1 Dati tratti dal “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi”, www.istat.it, 2016. (Fattori Produttivi: uomini, macchine, materie, energia,

competenze tecniche e organizzative)

(Combinazione e trasformazione dei fattori produttivi)

(7)

Non avviene esclusivamente una trasformazione spazio-temporale, tipica delle imprese mercantili, ma anche una trasformazione fisico-tecnica che si concretizza nella produzione di beni materiali (prodotti) e/o servizi.

Si ritiene dunque che sia il ciclo tecnico , ad assumere un ruolo fondamentale all’interno di questo tipo di imprese. La durata e la struttura di tale ciclo sono fortemente differenziate da impresa a impresa in relazione al tipo di produzione, alla modalità di lavorazione adottata, nonché ai gradi e alle forme di meccanizzazione e di automazione dei processi produttivi.

1.2 Il tessuto industriale italiano, origini e sviluppo

Prima dell’impresa industriale così come la conosciamo oggi, vi erano 3 forme di organizzazione della produzione:

– artigianato urbano: tipologia di organizzazione della produzione che si instaura nei centri urbani europei intorno al XII secolo. Svolge funzione di “associazione di settore” in grado di mettere insieme orizzontalmente più artigiani (lanaioli, setaioli, ecc...) in modo da poter creare blocchi di artigiani che possano sfruttare un maggior potere contrattuale nell’acquisto di materie prime. Inoltre risulta essere una fucina per la cultura del mestiere artigiano in quanto tali corporazioni pullulano di giovani apprendisti che portano avanti il “saper fare” dei loro maestri. In Italia sopravvivono fino al 1750 quando il Granduca di Toscana Leopoldo le sostituisce con le Camere di Commercio;

– industria rurale a domicilio: tipologia di organizzazione della produzione innovativa che si instaura nell’Europa centrale nel XVII secolo. L’industria rurale a domicilio si caratterizza per la presenza del “mercante‐imprenditore” figura ibrida fra le due realtà che acquista le materie prime in città e le porta in campagna a far lavorare, dove vengono trasformate in prodotti finiti dai contadini (contadine e bambini) che integrano i redditi da agricoltura;

– manifattura centralizzata: tipologia di produzione che si instaura nel XVII secolo, quando dei piccoli imprenditori raccolgono degli artigiani in capannoni e li mettono alle loro dipendenze. Non possiamo parlare ancora di sistema fabbrica

(8)

in quanto la produzione è prevalentemente manuale e non ancora meccanizzata. Assumono rilievo in particolar modo per la loro valenza sociale e culturale. Si inseriscono infatti in un contesto economico sociale dominato dal mercantilismo, in cui si è floridi se le esportazioni sono maggiori delle importazioni, e per questo le grandi potenze preferiscono acquisire know-how e produrre, che non importare.2

Tali forme organizzative costituiscono le fondamenta su cui si baserà il successivo sviluppo industriale italiano, che fatto salvo per alcuni casi, vedrà concentrare la maggioranza della propria produzione industriale in piccole e medie realtà, talvolta riunite in distretti circoscritti, operosi e redditizi.

Con il raggiungimento dell’Unità(1861), e l’affermarsi delle innovazioni della seconda rivoluzione industriale (1896-1914)3

, l’Italia inizia un lento processo di trasformazione che porterà il nostro paese ad accodarsi a quelli del Nord-Europa (soprattutto Inghilterra e Germania), con l’affermazione di grandi realtà industriali (Ansaldo, Terni, Ilva, Fiat, Alfa Romeo, Pirelli, Montecatini, Lanerossi ecc..).

La spinta portata da tale processo consentirà negli anni ‘30 il sorpasso del settore secondario sul primario, nonostante la politica di ruralizzazione a lungo promossa e sbandierata dal regime fascista.

Tuttavia il tessuto industriale italiano, in particolare modo le grandi imprese, rimarrà eccessivamente legato a taluni aspetti che impediranno un corretto e pieno sviluppo4

:

2 David S. Landes The Unbound Prometheus: Technological Change and Industrial Development in Western Europe from 1750 to the Present. Traduz. italiana: Prometeo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell'Europa occidentale dal 1750 ai giorni nostri; Eianudi, Torino, 1978.

S. Pollard (traduz. G.Arganese a cura di E. Felice), Storia economica contemporanea; Il Mulino, 2012;

3 II R.I. → approccio scientifico alla base delle innovazioni produttive, crescente importanza delle fonti di finanziamento, ricorso al capitale di terzi, produzione per lotti, ecc...

(9)

➢ l’ingerenza dello stato e della politica, che porterà al gigantismo

industriale nei periodi vicini alle guerre, e successivamente causerà problemi di riconversione. Non da meno in tempi più recenti, l’ingerenza dei vertici statali nel governo delle grandi aziende utilizzate per scopi politici, minandone l'economicità della gestione;

➢ il catoblepismo venutosi a creare nei primi decenni del ‘900 che ha visto nascere una dipendenza malsana, tra sistema creditizio e imprese, ostacolando l’emergere di una nuova classe imprenditoriale capace di operare una rottura del tradizionale assetto industriale italianoe generando ripercussioni che sono andate ben oltre quel periodo storico;

➢ l’eccessivo legame ad un capitalismo di tipo personal-familiare, con

conseguenti problematiche di reperimento capitali, nonché di notevoli difficoltà in tema di successioni;

questioni sociali, lotte sindacali e divergenze nord-sud.

Per tali questioni e per tutta la durata del secolo scorso, l’Italia parallelamente e complementarmente alle poche grandi aziende, ha visto evolversi e crescere in numero e in importanza le piccole e medie imprese, molto spesso dedite alla produzione di beni collocabili nei c.d. settori “leggeri” e o “tradizionali” come ad esempio quello del tessile, del mobile, del vetro, della carta, ecc…

1951 1961 1971 1981 1997 2001 2011 0 5 10 15 20 25 30 35 40 Grafico

Quota percentuale occupati nelle grande imprese in Italia dal II dopoguerra.

(10)

1.3 Un mosaico di piccole, medie e grandi imprese

Le piccole e medie imprese riescono a farsi largo grazie ad alcuni vantaggi che le loro dimensioni ristrette comportano5

:

 le minori quantità produttive consentono un minor fabbisogno di risorse;

 la minor necessità di capitale non obbliga all’ingente ricorso al capitale di terzi. Qualora non basti il capitale di famiglia e l’autofinanziamento, si ricorre all’appoggio di Casse Rurali e Casse di Risparmio;

 l’innovazione legata a processi di learning by doing;

 il minor fabbisogno energetico risulta essere un aspetto determinante considerata la scarsità di fonti energetiche minerarie del territorio italiano. Lo scenario italiano del ‘900 vede dunque solamente un nucleo ristretto di grandi imprese concentrarsi in grandi stabilimenti, spesso situati al centro nord, con rari casi di cattedrali nel deserto collocatesi al sud per sfruttare gli incentivi statali via via stanziati dai diversi governi che si sono susseguiti.

Possiamo anche ritenere che i nuclei di piccole e medie imprese, collocate con maggior omogeneità in tutta la penisola, abbiano permesso vantaggi in termini sociali, consentendo una migliore distribuzione dei redditi.

Da sottolineare come queste piccole realtà pur concentrandosi nei settori tradizionali, con immutata importanza del c.d. “labour intensive” e dall’artigianalità della filiera, non sono esenti dalla continua ricerca di migliorie ed innovazioni tecnologiche che consentano una crescita in termini di produttività e competitività. L’arretratezza tecnologica si scontra infatti con la necessità di dinamismo commerciale, indispensabile per rendere i prodotti tradizionali appetibili sia sui mercati nazionali che esteri.

5 F.Amatori e A. Colli, Storia d’impresa. Complessità e comparazioni; Mondadori Bruno editore, 2011

(11)

1.4 I distretti industriali, peculiarità italiana

In Italia, negli anni a cavallo tra i due conflitti mondiali, prende il via un processo che vedrà la sua massima espansione nel secondo dopoguerra, mediante il quale le piccole realtà produttive crescono di numero e tendono a trasformarsi in “imprese di fase”, ossia a specializzarsi nella produzione di prodotti finiti e semilavorati di nicchia ad alta specializzazione6

.

Nel dopoguerra con le note problematiche di gigantismo e riconversione industriale si osserva una netta inversione di tendenza, ossia un graduale ridimensionamento della grande impresa in favore delle Pmi. Il numero di aziende con più di 500 dipendenti diminuisce in modo considerevole, in conseguenza di politiche volte alla riduzione di personale, col dichiarato fine di ricercare una massimizzazione dell’efficienza ed un recupero dell’economicità. In questo contesto prende spazio l’iniziativa di molti ex dipendenti che usano la loro liquidazione per avviare attività specializzate, riguardanti proprio le fasi del processo produttivo in cui erano impiegati precedentemente.

Si assiste quindi ad un vero e proprio boom delle piccole e medie imprese dovuto a:

• miglioramento progressivo delle condizioni economiche-sociali, con crescita dei consumi interni intorno al 6%;

• netta crescita dell’export grazie soprattutto alle nuove politiche comunitarie che consentono di giungere ad un’apertura dei mercati, con la conseguente libertà di circolazione di persone, servizi, beni e capitali: ➔ 1951 CECA (Comunità europea del carbone e dell'acciaio, trattato di

Parigi stipulato da Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi);

1957 MEC (Mercato europeo comune, trattato di Roma stipulato dagli

stessi paesi della CECA);

6 B. Quintieri, I distretti industriali dal locale al globale; Rubbettino, 2006; G. Becattini, Il distretto industriale; Rosenberg & Sellier, 2000;

(12)

➔ 1957 Trattato di Roma, Italia nella CEE (contestualmente al MEC). Con il successivo boom economico a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘607

, si assiste sì allo sviluppo dimensionale delle imprese che comporta un aumento dell’occupazione nelle grandi aziende, ma in modo complementare anche alla crescita numerica e alla creazione di distretti produttivi che consentono l’affermazione ed il successo delle Pmi.

Già prima dell’inizio del secolo scorso, l’economista Marshall afferma che un’area ad alta concentrazione di piccole imprese si può definire distretto quando sussistono le seguenti caratteristiche8

:

La produzione è flessibile e cerca di venire incontro alle diverse necessità

dei clienti e, se il cliente è un grossista, è in grado di realizzare l’intera gamma della serie produttiva richiesta dal grossista;

✗ ci sono molte imprese piccole e molto piccole in un dato territorio, tutte

con lo stesso tipo di produzione flessibile;

fra queste imprese piccole, molto piccole o medie, alcune vendono i loro

prodotti direttamente sul mercato, mentre altre eseguono processi particolari o producono componenti di un prodotto;

✗ la separazione delle imprese che vendono i loro prodotti e quelle che

operano come sub fornitrici di altre imprese non è rigida; una piccola impresa può, in un dato momento, essere sub fornitrice e, in un altro un venditore;

✗ le relazioni tra imprese che vendono sul mercato assumono la forma di un

intreccio fra competizione e cooperazione; ciò significa che le imprese non combattono tra loro, ma cercano di trovare spazi nel mercato per nuove produzioni senza creare effetti distruttivi all’interno del distretto industriale;

7 F. Amatori e A. Colli, Impresa e industria in Italia. Dall’Unità a oggi; Marsilio editore, 2003; 8 Alfred Marshall, Principles of Economics , 1890;

(13)

✗ il luogo è così definito perché si riferisce ad un’area geografica molto

limitata che è specificatamente caratterizzata da una data produzione dominante;

✗ c’è una forte interconnessione fra il distretto come realtà produttiva e

come ambiente di vita familiare, politica e sociale.

Sebbene il modello di sviluppo industriale basato sui distretti non sia un'esclusiva italiana, esso ha trovato proprio nel nostro paese le condizioni ideali per la sua affermazione in particolar modo negli anni settanta, ossia nel momento in cui la grande impresa dà i primi segnali di cedimento9. In quegli anni vengono meno le condizioni di crescita espansiva della domanda di mercato, non vi è più abbondanza di risorse nè stabilità monetaria, elementi sui quali si era basato lo sviluppo industriale degli anni sessanta. Assunta la consapevolezza di un’estrema difficoltà nel mantenere le proprie strategie di crescita, molte grandi aziende intraprendono una profonda riorganizzazione, sia avviando azioni di decentramento produttivo, sia sfruttando le potenzialità della specializzazione e della divisione del lavoro tra imprese di uno stesso settore. Contemporaneamente, si registra un processo di sviluppo strategico e organizzativo di una molteplicità di piccole imprese di origine artigiana, fortemente radicate con le produzioni tradizionali in aree geografiche ristrette, in grado di raggiungere gradualmente importanti quote di mercato in produzioni di nicchia.

Gli straordinari successi riscossi dai distretti industriali nel corso degli anni ’70 e in gran parte degli anni ’80 sui mercati internazionali, hanno alimentato la teoria del “piccolo è bello” che riconosceva nelle piccole e medie imprese italiane un fattore di forza dell’intero sistema economico.

Nel corso degli anni si dimostrano capaci di resistere alle fasi economiche negative anche di vasta portata, come quelle energetico-petrolifere, potendo

9 G. Becattini, M. Bellandi, L.De Propris, Handbook of Industrial Districtis, Elgar, 2014; F. Amatori e A. Colli, Storia d’impresa. Complessità e comparazioni; Mondadori Bruno editore, 2011;

(14)

usufruire di un’elevata flessibilità che permette loro di rispondere celermente alla domanda finale sempre più mutevole e differenziata.

D’altro canto, però, l’esplosione di imprenditorialità che si verifica nei settori tradizionali e caratterizzati dalla piccola dimensione, non ha avuto repliche nei settori a più elevata intensità tecnologica caratterizzati da economie di scala e organizzazioni aziendali più complesse.

La globalizzazione lancia nuove sfide: non basta più saper produrre ma è necessario anche saper innovare ed essere competitivi sul mercato. Rivestono così particolare importanza le fasi che sono a monte e a valle della catena del valore: la ricerca di mercato, lo sviluppo tecnologico, le politiche di marketing, la commercializzazione del prodotto e l’assistenza post-vendita10

.

Anche attraverso queste considerazioni si spiegano i dati osservabili dai diversi censimenti Istat dell’industria e dei servizi che evidenziano la sensibile contrazione dei distretti industriali a partire dalla fine degli anni ‘80.

Dagli oltre 200 dei primi anni ‘80, inizia un lento processo di ridimensionamento che porta ai 199 distretti del 1991, ai 156 del 2000, fino ai 141 dell’ultimo rilevamento ufficiale del 201111.

10 – il tessuto produttivo italiano e distrettuale è interessato da profondi cambiamenti in più ambiti, che ne stanno ridefinendo i confini produttivi e commerciali, in seguito alla diffusione delle tecnologie digitali. Diventa “intelligente” il sistema di produrre, attraverso l’introduzione di macchine interconnesse tra loro e con sistemi esterni; divengono virtuali i luoghi di scambio, con la diffusione del B2b (business to business) e del B2c (business to consumer). Risulta imprescindibile la cura dei rapporti e delle comunicazioni con tutti gli interlocutori interni ed esterni al centro produttivo. Si riducono così le distanze che non sono più fisiche, ma immateriali. Crescono però i rischi di interferenze o attacchi esterni che possono mettere a repentaglio i segreti industriali e commerciali, causare danni e/o incidenti alla produzione e alimentare l’industria del falso. – dal testo di L. Bottinelli e E. Pavione, Distretti industriali e cluster tecnologici. Strategie emergenti di valorizzazione della ricerca e dell'innovazione; Giuffrè, 2011;

11 www.istat.it:

“VI Censimento generale dell'industria, del commercio, dei servizi e dell'artigianato” 1991; “VII Censimento generale dell'industria e dei servizi” 1991;

“VIII Censimento generale dell'industria e dei servizi” 2001; “IX Censimento generale dell'industria e dei servizi” 2012;

(15)

Localizzazione e distribuzione Distretti Industriali aggiornata al 2011

(16)

1.5 Il settore del vetro

La creazione di oggetti in vetro ha origini antichissime, si hanno i primi prototipi di materiali trasparenti ottenuti con carbonato di calcio e o diossido di manganese già in epoca egizio-romana. Le prime attività artigianali prendono il via alla fine del medioevo (celebri quelle veneziane), ma l’avvio di una vera e propria produzione industriale avviene nel diciassettesimo secolo quando alcune fabbriche sono in grado di produrre fino ad un milione di bottiglie l’anno, sebbene queste siano ancora soffiate a mano. Agli inizi del ‘900 si fa spazio la produzione su scala industriale così come la conosciamo oggi, con realizzazione automatizzata di bottiglie, vetro piano e vetro tirato. Il vetro, spesso associato a combinazioni col ferro, diviene un prodotto sempre più di largo consumo, utilizzato, oltre che per l’oggettistica, anche per le costruzioni, le coperture e le decorazioni artistiche12

.

È poi la “Saint Gobain” alla metà del secolo scorso a sviluppare il vetro temperato e ad introdurre il vetro solare nel mercato dell’auto, che diventa ben presto lo standard industriale.

L’Istat13 disaggrega i dati occupazionali del settore del vetro in 5 comparti: 1. fabbricazione del vetro piano;

2. trasformazione del vetro piano; 3. vetro cavo;

4. fibre di vetro;

5. altro vetro (per usi tecnici, vetro a mano e a soffio).

Da un punto di vista geografico i diversi comparti hanno localizzazioni differenti. La fabbricazione e la lavorazione del vetro piano hanno una predominanza in Abruzzo, Romagna e Toscana. In Romagna, Lombardia e Toscana risiede invece

12 R. Chinello, Crisi, relazioni industriali e futuro. Come il settore Vetro Piano di Saint-Gobain ha costruito un futuro in risposta alla più feroce crisi economica del dopoguerra; Franco Angeli, 2011;

13 Classificazione delle attività economiche “Ateco”, 2007, www.istat.it/strumenti/definizioni/ateco

(17)

prevalentemente la produzione di vetro cavo, mentre è la Lombardia ad avere oltre il 60% di quella delle fibre di vetro.

Infine è il Veneto ad essere specializzato nelle attività legate all’altro vetro, sospinto dalla grande tradizione artigiana del muranese.

Dal punto di vista del mercato il comparto del vetro si caratterizza in tutto l’occidente come un oligopolio controllato da circa 10 grandi gruppi mondiali con struttura multinazionale14

. Sono quindi le grandi imprese a farla da padrone. Tale situazione è riscontrabile anche in Italia, dove la presenza delle piccole e medie imprese nel comparto vetrario si manifesta, ad eccezione delle produzioni esclusivamente artigianali, quasi esclusivamente sotto forma di indotto prevalentemente di tipo meccanico ed impiantistico, con presenza di taluni produttori specializzati a livello mondiale per le macchine di stampaggio15

. Nel nostro paese sono comunque presenti innumerevoli Pmi che operano in parte o in toto come sub-fornitori e contoterzisti delle grandi vetrerie, o talvolta committenti esteri.

Il mercato del vetro risulta essere un mercato piuttosto stabile, con un tipico ciclo di crescita lenta e periodi di stasi congiunturale ogni 5-8 anni, ma con un trend medio di crescita lieve e costante nel tempo.

La sempre maggior ingerenza dell’automazione anche in questo settore ha portato ad una decrescita occupazionale nonostante l’aumento delle quantità prodotte.

14 R. Chinello, Crisi, relazioni industriali e futuro. Come il settore Vetro Piano di Saint-Gobain ha costruito un futuro in risposta alla più feroce crisi economica del dopoguerra; Franco Angeli, 2011;

15 Rapporto di ricerca “Il comparto del vetro tra tradizione e innovazione. Struttura produttiva, dinamiche di sviluppo e competenze professionali.” curato da A. Bardi, Istituto per il lavoro, e F. Bortolotti, Ires Toscana, 1998 - aggiornato 2008;

(18)

Tabella.

L’industria del vetro in Italia

1986 1997 2000 2012

Capacità produttiva Tonnellate 4.112.000 4.887.300 5.320.002 5.783.112 Capacità produttiva

utilizzata

% 83 90 93 93

Produzione Tonnellate 3.412.000 4.435.240 4.950.602 5.380.293

Occupazione Unità 24.260 21.400 20.860 20.200

Fonte: report di studio del 2013 di Ernst&Young per conto di Assovetro, Associazione nazionale degli Industriali del vetro, aderente a Confindustria.

(19)

2) Microesportatori e Multinazionali Tascabili

2.1 Classificazioni delle Imprese Industriali

Per meglio identificare il nostro percorso di analisi, e supportare la successiva disamina del caso aziendale, è opportuno definire talune classificazioni riguardanti le imprese industriali.

Innanzi tutto è basilare distinguere il settore merceologico in cui operano, e per quanto concerne tale classificazione può essere utile adottare quella dell’Unione Europea16

, che ha individuato sei diversi comparti di azione:

1. agricoltura, silvicoltura e pesca;

2. estrazione di minerali da cave e miniere; 3. attività manifatturiere;

4. fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata; 5. fornitura di acqua, reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e

risanamento;

6. costruzioni.

Ognuno di questi rami è composto a sua volta da classi che individuano quelle che comunemente sono definite industrie: alimentari, tessili, meccaniche, chimiche, siderurgiche, del legno, calzaturiere ecc.

Il settore merceologico è uno degli elementi che possono influenzare le modalità in cui si intende organizzare la produzione. Da cui, in base alle modalità produttive possiamo distinguere17

:

• Imprese a Produzione Verticalizzata : accentrando tutte le operazioni e le fasi necessarie per produrre il bene/servizio all’interno di un’unica impresa. • Imprese a Produzione Deverticalizzata o in Outsurcing: decentrando alcune operazioni o alcune fasi presso diverse unità produttive con cui vengono impegnate più imprese.

16 europa.eu/european-union/topics/enterprise_it;

17 Giannini M., Turini V., L'azienda industriale: La fabbrica, l'apparato, l'organizzazione, Franco Angeli, Milano, 2013;

(20)

Tendenzialmente, ma non per forza trova riscontro nel caso concreto, se la produzione è verticalizzata l’impresa tende ad assumere grandi dimensioni, avendo bisogno di ingenti risorse, mentre se è deverticalizzata il volume di investimenti necessari per attuare la produzione può essere più contenuto. In funzione del fattore produttivo prevalentemente impiegato possiamo inoltre suddividere le imprese in18

:

• Imprese Labour Intensive: è impiegato principalmente il fattore umano e vi è una bassa intensità di capitale. Queste aziende operano in settori tradizionali (abbigliamento, mobili, ecc) ed hanno una basso dispiego di capitale; • Imprese Capital Intensive: sono ad alta intensità di capitale e bassa intensità di lavoro. Operano in settori tecnologicamente avanzati che richiedono elevati investimenti in ricerca e sviluppo e in beni strumentali. E’ richiesto personale altamente qualificato, inoltre soffrono della mancanza di flessibilità poiché gli investimenti in impianti e macchinari, ricerca e sviluppo, rappresentano fattori a lungo ciclo di utilizzo.

Rilevante ai nostri fini è anche la classificazione delle imprese in riferimento al numero e al tipo di prodotti ottenuti nel processo di trasformazione. Possiamo avere19

:

• Imprese Monoprodotto: producono un solo tipo di prodotto;

• Imprese a produzione differenziata o Multiprodotto: operano attraverso processi di trasformazione intra o extra aziendali, da cui ottengono diversi tipi di prodotto, ciascuno con un processo produttivo proprio;

• Imprese a produzione congiunta: si ottengono più prodotti da un unico processo di lavorazione.

18 Come sottolineato nel – “Impresa e industria in Italia. Dall’Unità a oggi” F. Amatori e A. Colli, Marsilio editore, 2003 – tale suddivisione è particolarmente importante per identificare il passaggio tra la prima rivoluzione industriale e la seconda. Infatti nella prima si hanno imprese fortemente legate al lavoro umano, mentre con gli scenari aperti dalla II R.I. assumono centralità il capitale, i finanziamenti di terzi e gli investimenti in fattori produttivi tecnologicamente avanzati;

19 Giannini M., Turini V., L'azienda industriale: La fabbrica, l'apparato, l'organizzazione, Franco Angeli, Milano, 2013;

(21)

Infine, le ultime 2 classificazioni estremamente importanti per il nostro processo di analisi, riguardano il mercato a cui l’azienda si rivolge, e la dimensione dell’impresa stessa.

In relazione all’allocazione dei prodotti sul mercato possiamo distinguere20

: • Imprese Locali, che si propongono in ambienti circoscritti;

• Imprese Nazionali, che coprono tutto il territorio nazionale;

• Imprese Multinazionali, che operano non solo in Italia, ma sono attive anche sui mercati internazionali.

Ultima, ma non per importanza è la classificazione dimensionale, che tradizionalmente va a suddividere le imprese in piccole, medie e grandi.

Il concetto di dimensione aziendale21

è piuttosto vago soprattutto per due ragioni:

• la prima è data dal criterio in base al quale viene stabilita la dimensione

aziendale;

la seconda è data dal contesto legislativo.

Innanzitutto va detto che la dimensione di un'azienda può essere stabilita con riferimento a vari parametri di riferimento come il numero dei dipendenti, il fatturato, il capitale sociale, gli investimenti fissi, ecc...

Se consideriamo un'azienda in base a due diversi parametri di riferimento essa potrebbe essere variamente classificata. Esempio: un'azienda potrebbe essere una piccola impresa per numero di dipendenti e una media impresa per volume di fatturato.

Anche le legislazioni non sempre adottano gli stessi criteri di classificazione. Le leggi nazionali e quelle europee possono non considerare appartenenti alla stessa categoria le aziende dotate di un certo parametro dimensionale, oppure ci possono essere differenze tra norme civili e fiscali.

20 Rapporto di studio “Multinazionali, Imprese Locali e Sviluppo Economico”, a cura di R. Crescenzi e S. Iammarino della London School of Economics, 2016;

(22)

Tuttavia nell’ultimo decennio si è fatto un netto passo avanti in questo senso, arrivando ad un buon grado di uniformità delle legislazioni.

2.2 Il Decreto Ministeriale del 18/04/2005, i Microesportatori

Qualsiasi normativa o programma comunitario, nonché i bandi nazionali, regionali o locali che fanno menzione dei termini "Pmi", "microimpresa", "piccola impresa" o "media impresa", rimandano alla definizione adottata dalla Commissione europea con la “Raccomandazione 361 dell’8 maggio 2003”, successivamente recepita dal legislatore nazionale col Decreto Ministeriale del 18 aprile 200522

.

Premesso che deve considerarsi "impresa" ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un'attività economica, nella categoria delle piccole e medi imprese, è da considerarsi:

– "media” un'impresa che occupa meno di 250 persone e realizza un fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro o (in alternativa al parametro del fatturato), il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro;

– "piccola " un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato o (in alternativa al parametro del fatturato), un totale di bilancio annui non superiori a 10 milioni di euro;

– "microimpresa" un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato o (in alternativa al parametro del fatturato), un totale di bilancio annui non superiori a 2 milioni di euro.

– “grande” un’impresa che oltrepassi i parametri precedentemente elencati.

Rientrano nella definizione delle Pmi, esclusivamente le imprese “Autonome”, ossia qualsiasi impresa non identificabile come “associata” oppure “collegata”.

22 La definizione comunitaria di piccola e media impresa contenuta nel D.M. del 18/04/2005 è utile per individuare i soggetti beneficiari di contributi pubblici, aiuti di stato e contributi in de minimis nell’ambito di strumenti e bandi di finanza agevolata. La definizione distingue le imprese in associate, collegate e autonome. L’azienda che richiede l’agevolazione pubblica deve individuare a quale di queste categorie appartiene.

(23)

Tabella riassuntiva:

CATEGORIA OCCUPATI FATTURATO* TOT.ATTIVO*

Grande Impresa

Più di 250 oppure 50 milioni di € e 43 milioni di € Media Impresa Meno di 250 e 50 milioni di € oppure 43 milioni di € Piccola

Impresa

Meno di 50 e 10 milioni di € oppure 10 milioni di € Microimpresa Meno di 10 e 2 milioni di € oppure 2 milioni di €

(*) i parametri "fatturato" e "totale bilancio" sono alternativi.

Da cui:

a) per fatturato, corrispondente alla voce A.1 del conto economico redatto secondo le vigenti norme del codice civile;

b) per totale attivo si intende il totale dell'attivo patrimoniale;

c) per occupati si intendono i dipendenti dell’impresa a tempo determinato o indeterminato, iscritti nel libro matricola dell’impresa e legati all’impresa da forme contrattuali che prevedono il vincolo di dipendenza, fatta eccezione di quelli posti in cassa integrazione straordinaria.

Fatto salvo quanto previsto per le nuove imprese:

il fatturato annuo ed il totale di bilancio sono quelli dell’ultimo esercizio contabile chiuso ed approvato precedentemente la data di sottoscrizione della domanda di agevolazione;

il numero degli occupati corrisponde al numero di unita-lavorative-anno (ULA), cioè al numero medio mensile di dipendenti occupati a tempo pieno durante un anno, mentre quelli a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di ULA. Il periodo da prendere in considerazione e’ quello cui si riferiscono i dati di cui alla precedente lettera a).

(24)

Le imprese per le quali alla data di sottoscrizione della domanda di agevolazione non e’ stato approvato il primo bilancio ovvero, nel caso di imprese esonerate dalla tenuta della contabilità ordinaria e/o dalla redazione del bilancio, non e’ stata presentata la prima dichiarazione dei redditi, sono considerati esclusivamente il numero degli occupati ed il totale dell’attivo patrimoniale risultanti alla stessa data.

2.3 Dal primo al quarto capitalismo, le Multinazionali Tascabili

Definiti quelli che sono i Microesportatori proseguiamo la nostra analisi andando a definire e ad evidenziare una tipologia di Impresa tipica del sistema industriale italiano, e sopratutto tipica del c.d. “quarto capitalismo”, le Multinazionali tascabili23.

Gli storici economici d’Italia amano distinguere i diversi sistemi di sviluppo dell’ imprenditoria industriale che si sono susseguiti dall’Unità d’Italia ad oggi sotto il nome di primo, secondo, terzo e quarto capitalismo24

.

1) Primo capitalismo → per primo capitalismo si fa riferimento alle prime grandi industrie del post unità d’Italia, ossia di fine 1800. E’ il capitalismo dei padri fondatori, delle grandi famiglie, degli Agnelli, dei Falck, dei Pirelli, talvolta definiti come l’ala nobile del capitalismo italiano;

23 – Il termine "quarto capitalismo" fu coniato da Giuseppe Turani (giornalista, scrittore, economista) a metà anni '90 ("I sogni del grande Nord"; 1996, Il Mulino); egli individuò i protagonisti del nuovo capitalismo nelle imprese di dimensione intermedia chiamandole "multinazionali tascabili". Nello stesso periodo i centri studi di Mediobanca e Unioncamere cominciarono a indagare l’universo delle medie imprese manifatturiere; la prima indagine, limitata al Nord Est, fu pubblicata nel 2000; negli anni successivi venne estesa a tutta l’Italia Il termine “Quarto capitalismo” è stato poi ripreso nel 2006 dall'Ufficio Studi Mediobanca per individuare il campo delle rilevazioni utili al "Laboratorio per la competitività delle imprese" istituito insieme con il Comitato Europa di Confindustria dedicato all’insieme delle imprese di dimensione media e medio-grande. – www.mbres.it;

24 F. Amatori e A. Colli, Impresa e industria in Italia. Dall’Unità a oggi; Marsilio editore, 2003;

(25)

2) Secondo capitalismo → il secondo capitalismo si colloca temporalmente subito dopo il primo, a partire dagli anni ‘30, con il massiccio intervento dello stato nell’economia. Sarà infatti un forte capitalismo di stato a caratterizzare gli anni a seguire, con le celebri “Holding” di stato tra le altre I.R.I., E.N.I., E.F.I.M. per poi arrivare all’E.N.E.L. negli anni 60. La constatata diseconomicità, unita alla forte politica di privatizzazioni attuata in particolar modo negli anni ‘90 ha rappresentato un forte freno, se non la fine, di tale modello di sviluppo;

3) Terzo capitalismo: il terzo capitalismo si sviluppa a partire dagli anni 60-70 con la riduzione della produttività della grande impresa, in favore delle piccole realtà riunitesi localmente in Distretti Industriali. Sono proprio i distretti, come già evidenziato poc'anzi, a rappresentare il modello di sviluppo tipico del terzo capitalismo, che ha riscosso molto successo fino ai primi anni del nuovo millennio;

4) Quarto capitalismo: il quarto capitalismo si sviluppa a partire dagli anni ‘90, ed indica un sistema di imprese di dimensione intermedia, convenzionalmente compresa tra 50 e 499 addetti, che hanno conseguito un notevole successo in termini di crescita delle esportazioni e di capacità competitiva sui mercati internazionali. Il successo del quarto capitalismo è riconducibile alla capacità di combinare la flessibilità produttiva delle piccole imprese alla proiezione su scala internazionale delle grandi multinazionali, per tale ragione sono definite anche Multinazionali Tascabili25. Pur rimanendo all’interno della tradizionale specializzazione produttiva del made in Italy (manifattura, meccanica, moda, tessile), queste imprese hanno saputo conquistare delle posizioni di vantaggio competitivo in settori di nicchia grazie alla loro capacità di rispondere alle

25 Rapporto di studio “Il quarto capitalismo: nuovo motore dello sviluppo italiano”, a cura del l’Area studi Mediobanca per Aspen (organizzazione internazionale non profit, fondata nel 1950. Tra i suoi fini quello di incoraggiare le leadership illuminate, le idee e i valori senza tempo.), 2011; www.mbres.it ;

(26)

esigenze della domanda con un’offerta profilata sulle preferenze dei singoli consumatori, nonché alla reputazione di elevata qualità di cui godono i loro prodotti sui mercati internazionali, il tutto grazie alla capacità di adattarsi ai cambiamenti, avendo lo sguardo costantemente rivolto all’azienda “del domani”, alle nuove tecnologie e all’innovazione. Distribuzione Distretti, PMI, e Grandi Imprese

Fonte: L.F. Signorini , “Lo sviluppo locale. Un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali”, Donzelli, 2011;

(27)

Distribuzione territoriale delle Multinazionali Tascabili

(28)

2.4 PMI ed Export, la situazione italiana

Secondo i dati ISTAT26 del 2016, "la crisi non ha modificato le caratteristiche strutturali del sistema produttivo italiano". I tratti salienti del sistema non sono mutati nel corso delle due fasi recessive che hanno colpito la nostra economia dal 2008 fino ad oggi.

L'Italia infatti continua ad essere caratterizzata da una larga presenza di microimprese (con meno di dieci addetti), raggiungendo circa le 4,2 milioni di unità.

Composizione imprese italiane

Fonte: rapporto “Cerved27 PMI 2016”

26 “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi”, www.istat.it, 2016;

27 – Cerved è un operatore primario in Italia nell’analisi del rischio del credito e una delle principali agenzie di rating in Europa. Attraverso Cerved Credit Management, è anche primario operatore di mercato indipendente nel nell’offerta di servizi relativi alla valutazione e gestione di posizioni creditizie – www.company.cerved.com;

(29)

Le piccole o piccolissime aziende rappresentano, sottolinea l'Istat, circa il 95% del totale delle unità produttive e impiegano circa 7,8 milioni di addetti (il 47% contro il 29% nella media europea). Di contro si evidenzia una quota particolarmente modesta di imprese di maggiori dimensioni (oltre 250 addetti; lo 0,1% delle imprese e il 19% degli addetti).

Secondo il rapporto questa frammentazione, è solo in parte mitigata dalla presenza di gruppi d'impresa, e determina una dimensione media molto contenuta (3,9 addetti per impresa a fronte di una media europea di 6,8 addetti), una struttura proprietaria molto semplificata (63,3% di imprese individuali) e una quota di lavoratori indipendenti pari a oltre il doppio di quella media europea. Resta comunque innegabile che sotto il profilo strutturale il sistema delle imprese italiane è uscito fortemente ridimensionato dalla crisi: nel periodo 2011 - 2014 si sono persi circa 194 mila imprese (-4,6%) e quasi 800 mila addetti (-5%).

Occupazione nelle imprese

(30)

% Valore Aggiunto dalle imprese operanti in Italia

Fonte: Centro Studi Unioncamere28

, 2016

Assunto dunque che le piccole e medie imprese costituiscono il nocciolo duro del sistema produttivo italiano, andiamo a vedere come queste operino sui mercati non solo nazionali, ma anche e soprattutto oltreconfine.

La capacità di competere sui mercati internazionali è quindi un fattore determinante per le performance di imprese e settori produttivi. Come è stato documentato in più occasioni, l’Italia si distingue tra i paesi europei per l’elevato numero di aziende che operano sui mercati esteri29

: 88 mila nella sola industria (un valore secondo solamente a quello della Germania), che spiegano più dell’80 per cento dell’export complessivo italiano.

28 “Indagine medie imprese industriali 2016”, Centro studi unioncamere, www.unioncamere.gov.it;

(31)

Tuttavia, il grado di concentrazione delle esportazioni delle imprese italiane è fra i più bassi in Europa: le prime cinque imprese industriali in termini di export spiegano circa il 6 per cento dell’ammontare totale delle vendite all’estero, un valore pari alla metà di quello spagnolo e francese, e meno di un terzo di quello tedesco. Le prime venti imprese esportatrici italiane spiegano una quota di export nazionale inferiore a quella dei primi cinque esportatori degli altri tre paesi considerati (14,8 per cento, a fronte del 15,0 e 15,8 per cento per Francia e Spagna e più del 25 per cento per la Germania)

Quota di esportazioni spiegata dai primi 5, 10, 20 esportatori nei principali paese europei (Valori percentuali)

Fonte: “Eurostat Trade by enterprise characteristics”30

, 2015

Del resto, la maggioranza delle imprese esportatrici italiane è di dimensione ridotta: il 65 per cento impiega meno di dieci addetti, il 95 per cento meno di 50. Tra il 2011 e il 2014 è aumentato sia il numero degli esportatori (da quasi 189 mila a oltre 191 mila) sia il valore delle esportazioni (da 356 a 370 miliardi di euro, con una crescita del 4 per cento circa)31

.

30 ec.europa.eu/eurostat;

(32)

2.5 L’Export nel prossimo futuro

Ai fine della nostra analisi è importante evidenziare come le recenti crisi abbiano generato un ampliamento della forbice tra la domanda estera, in aumento, e la domanda interna, in forte contrazione32

.

Rapporto Fatturato Industria – Mercato Interno/Esterno (medie mobili trimestrali)

Fonte: elaborazione Centro Studi Mediobanca su dati Istat 2016

Dal grafico si evince come, nel quinquennio preso in analisi, ci sia una forte contrazione del mercato interno, compensato da una tendenziale crescita di quello estero, che ha di fatto consentito la sopravvivenza di molte aziende.

32 Report “Il modello capitalistico delle medie imprese italiane: struttura e prospettive”, area studi Mediobanca, www.mbres.it, 2016;

(33)

Considerato questo scenario, la capacità di proporsi oltreconfine e riuscire ad intercettare la domanda internazionale ha assunto un’importanza rilevante sia per sostenere il ciclo economico che per la competitività di molte nostre imprese. A conferma di ciò diamo uno sguardo anche ai dati esposti nel Report sulle esportazioni di SACE33, che osserva il contributo dell’Export in relazione all’andamento del Pil italiano.

Driver che influenzano l’oscillazione del Pil

Fonte: “Annual Report 2016”, rielaborazione SACE su dati OCSE34

33 – SACE (Servizi Assicurativi del Commercio Estero), società 100% del Gruppo Cassa depositi e prestiti, che offre un’ampia gamma di prodotti assicurativi e finanziari: credito all’esportazione, assicurazione del credito, protezione degli investimenti, garanzie finanziarie, cauzioni e factoring. Tutto ciò sostenere le imprese nel loro percorso di export e internazionalizzazione, aiutandole a cogliere le opportunità nelle aree geografiche ad alto potenziale – www.sace.it ;

34 – L'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) è un'organizzazione internazionale di studi economici per i Paesi membri, aventi in comune un sistema di Governo di tipo democratico e un'economia di mercato. Svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva per la risoluzione dei problemi comuni, l'identificazione di pratiche commerciali e il coordinamento delle politiche locali e internazionali dei Paesi membri. Conta 34 Paesi membri e ha sede a Parigi – www.ilsole24ore.com;

(34)

Nel corso degli ultimi sei anni l’export è rimasto l’unica componente del Pil a sostenere la crescita del nostro Paese. Rispetto al 2015 si riducono i contributi negativi delle altre voci, ma si osserva la ripartenza dell’import che pesa sul risultato finale35

.

Dopo un avvio d’anno molto positivo, le vendite dei nostri prodotti all'estero sono previste in aumento per il 2017 del 3,8% e per il triennio seguente gli incrementi oscillano tra il 3,6% e il 4,4%. Passo simile per le nostre esportazioni di servizi che, secondo le previsioni, cresceranno nel 2017 al 3,3% e proseguiranno su un trend in miglioramento nel triennio 2018-2020 a un tasso medio del 4,6% 36

.

Diversi elementi contribuiranno a questa performance positiva: la crescita attesa del Pil globale nel 2017 (circa 2,6%) e nel periodo 2018-2020 (vicina al 3%), e quella del commercio internazionale, che nell’anno in corso dovrebbe aumentare di oltre il 3% e nel triennio successivo del 3,5%.

E’ previsto inoltre che l’incidenza dell’export di beni e servizi sul Pil aumenterà nei prossimi anni. Già nel 2016 era più alta di 4,6 punti percentuali rispetto al 2010 e nel 2020, secondo gli studi di SACE in collaborazione con Oxford Economics37

, presumibilmente raggiungerà il 32,4% del Pil (+6,6 punti percentuali rispetto a 10 anni prima). Incertezza e volatilità, che continueranno a caratterizzare l’economia globale, restano ad ogni modo elementi di prudenza.

35 Dati e previsioni tratti da:

→ “Annual Report 2016”, SACE, www.sace.it,

→ “L’Export italiano cambia marcia”, Report SACE, www.sace.it , 2016;

36 Come evidenziato poc'anzi per gli anni scorsi, anche nel prossimo futuro si prevede che le vendite sul mercato interno non riusciranno a seguire il trend positivo di quelle estere, che con ragionevole certezza spingeranno in positivo il fatturato delle imprese che esportano; 37 Oxford Economics, fondata nel 1981 come società affiliata all’università di Oxford, è oggi

una delle più importanti società di consulenza, che effettua analisi e fornisce modelli, report e previsioni economiche su scala globale;

(35)

Incidenza sul Pil delle esportazioni di beni e servizi

Fonte: rielaborazione SACE-Oxford Economics su dati Istat, 201638

Rispetto ad altre economie europee l’Italia ha una struttura di esportazioni più variegata e diversificata: il 44% dell’Export è rivolto verso economie extra-UE, contro il 42% della Germania, il 41% della Francia ed il 33% della Spagna. Questo può generare ripercussioni positive in termini di crescita dei mercati, ma anche negative in termini di rischiosità degli investimenti. Infatti39

:

a) da un lato i beni italiani sono già ben distribuiti su tutti i mercati e inseriti

nella catene globali del valore;

b) dall’altro l’elevata esposizione verso destinazioni extra-europee ci rende

senz’altro più esposti ad eventuali misure protezionistiche, trattandosi molto spesso di aree non soggette ad accordi bi o multilaterali di libero scambio.

38 “L’Export italiano cambia marcia”, Report SACE, www.sace.it , 2016;

39 “R-evoluzione Made in Italy: Strumenti per il rilancio dell’export e dell’internazionalizzazione delle PMI italiane nell'era della digitalizzazione”, a cura di A. R. Albinati, Amazon Publishing, 2016;

(36)

Export italiano, e tassi di crescita dei mercati intra ed extra-europei

Fonte: rielaborazioni SACE su dati Istat, 201640

Secondo tale report, dopo i paesi europei ad alto reddito, le 15 destinazioni individuate per la crescita delle esportazioni del Made in Italy sono: Usa, Cina, Russia, Emirati Arabi Uniti, Repubblica Ceca, Arabia Saudita, Messico, India, Brasile, Sudafrica, Indonesia, Vietnam, Qatar, Perù, Kenya.

Si tratta di mercati che nel 2016 hanno generato 85,2 miliardi per l’export italiano (significa il 20% delle esportazioni totali), e nel 2020 varranno oltre 100 miliardi. L’incremento è dovuto al fatto che questi paesi aumenteranno entro il 2020 le importazioni dal mondo del 5,7%, e la quota di mercato italiano vanta significativi margini di crescita. Premesso che il mercato europeo resta la più importante destinazione dei prodotti italiani (vale oltre il 50%), fra i 15 mercati internazionali sopra elencati la performance migliore è attesa dal Nord America, con una crescita del 5%.

(37)

In definitiva, se le previsioni saranno rispettate ed i tassi di crescita aderenti alla realtà, le strategie delle imprese e del sistema Italia in generale, non potranno non puntare su una forte politica incentrata sull’Export, che faccia da volano per tutta l’economia.

2.6 Limiti e criticità delle PMI

Le nostre piccole e medie imprese per investire devono affrontare uno scenario unico nella sua complessità, fatto di numerosi fattori di criticità strutturali, politici, economici e sociali41

.

Le piccole o piccolissime dimensioni della stragrande maggioranza delle imprese italiane, pur consentendo taluni vantaggi come la flessibilità o il minor fabbisogno di risorse, conservano infatti i limiti derivanti dalla loro natura e dall’ambiente circostante.

Molto spesso le Pmi sono strettamente legate alla figura imprenditoriale del fondatore, la cui creatività e le cui doti manageriali, determinano la bontà della strategia aziendale e di conseguenza il buon andamento o meno dei risultati economico-finanziari.

Questo molte volte determina un’eccessiva attenzione alle dinamiche interne all’azienda, con particolare enfasi sul prodotto e sul processo produttivo, ma scarsa attenzione ai rapporti e all’interazione coi mercati, coi clienti, coi fornitori e a tutto ciò che esula dal tradizionale modus operandi dell’impresa industriale. Da un punto di vista organizzativo le Pmi tradizionali prevedono dunque un accentramento del potere nella figura del proprietario che diviene il punto di riferimento assoluto. È sempre lui l’unico ad esercitare in via diretta e personale

41 Pubblicazione “Necessità di un nuovo approccio al mercato delle piccole imprese”, a cura di G. Ferrero, E. Savelli e F. Fortezza, collana di pubblicazioni “Business Strategy”, 2012;

(38)

meccanismi di coordinamento e controllo, accantonando molto spesso processi di controllo formali, ritenuti inefficaci42.

L’organizzazione del lavoro è prevalentemente di tipo funzionale, anche se spesso manca una rigorosa distinzione tra i ruoli. I confini operativi dei singoli risultano per lo più sfumati, e questo da un lato promuove il confronto e la collaborazione, ma dall’altro non consente lo sviluppo di professionalità specializzate e la promozione di sistemi di responsabilizzazione. Di frequente la mancata formalizzazione delle procedure, fa sì che anche i processi di comunicazione siano quasi esclusivamente informali, minando così la possibilità di creare una valido sistema informativo a sostegno delle attività di pianificazione e controllo gestionale.

Sotto l’ottica strutturale le dimensioni ridotte possono rappresentare un ostacolo alla crescente necessità di allargare il raggio di azione in termini di destinazione geografica dei prodotti43

. Come visto precedentemente, ad oggi risulta fondamentale se non necessario per la sopravvivenza di un’azienda, proporsi sui mercati non solo nazionali, ma anche internazionali. Una strategia di internazionalizzazione presupporrà dunque la crescita dimensionale della struttura stessa (che comunque comporterà la necessità di ingenti investimenti e di conseguenza il bisogno di reperire finanziamenti e capitali di terzi) e/o la creazione di un network evoluto di relazioni, rapporti e strumentazioni informatiche che consentano di superare le limitazioni logistiche ed i vincoli dimensionali.

Il continuo mutare dell’ambiente esterno, degli stakeholders, dei bisogni dei consumatori, nonché della globalizzazione dei mercati impone quindi alle Pmi di adattarsi quanto più rapidamente possibile al contesto in cui operano,

42 M. Puricelli, Organizzare le piccole imprese; Egea, 2007;

43 “Il modello capitalistico delle medie imprese italiane: struttura e prospettive”, area studi Mediobanca, www.mbres.it, 2016;

(39)

promuovendo una cultura aziendale sempre più rivolta all’innovazione, alla ricerca di professionalità specializzate e alla managerialità44.

Microesportatori e Multinazionali Tascabili rappresentano proprio quella porzione di piccole e medie imprese che hanno rapidamente compreso la necessità di ricercare ed adottare strumenti e processi in grado di trasformare in punti di forza, quelli che tradizionalmente erano considerati limiti invalicabili45.

44 Pubblicazione “Necessità di un nuovo approccio al mercato delle piccole imprese”, a cura di G. Ferrero, E. Savelli e F. Fortezza, collana di pubblicazioni “Business Strategy”, 2012; 45 Rapporto di studio “Il quarto capitalismo: nuovo motore dello sviluppo italiano”, Area studi

(40)

3) Sistemi Informativi Aziendali e Digitalizzazione

3.1 Sistemi Informatici e Sistemi Informativi

Prima di parlare del ruolo dell’informatica nelle aziende è necessario fare una premessa. Non si può parlare indistintamente di Sistemi Informatici e Sistemi Informativi, almeno dal punto di vista teorico, perché i due sistemi sono basati su concetti diversi, informatica ed informazione.

I sistemi informatici sono sistemi che consentono il trattamento automatizzato dei dati ed il loro avvento ha consentito appunto l’automatizzazione dei sistemi informativi aziendali, che sono l’insieme di tutte le procedure e di tutti gli strumenti impiegati nella creazione delle informazioni necessarie ai vari attori aziendali. Per tale motivo la distinzione fatta precedentemente, nella pratica non sussiste, ma dal punto di vista logico continua a valere46.

Il termine Informatica ha attualmente due valenze:

I. indica la tecnologia che consente il trattamento automatico dei dati;

II. indica la disciplina che studia la suddetta tecnologia e le sue applicazioni nei diversi ambiti lavorativi.

L’uso dell’informatica nelle aziende ha prodotto sostanziali modifiche sia per quanto riguarda una rimodulazione dei processi interni, sia per la creazione di una fitta rete di relazioni da intraprendere con tutti gli agenti dell’ambiente esterno in cui esse operano47

.

46 Nel libro “Sistemi informativi aziendali. Struttura e processi” di M. Pighin e A. Marzona (Pearson Addison-Wesley editore, 2012), viene evidenziato chiaramente, anche grazie all’ausilio un caso pratico, come l’informatizzazione dei sistemi informativi abbia portato un radicale mutamento dei processi aziendali agevolando in modo significativo l’attività delle imprese, con particolare enfasi su quelle di medie dimensioni;

47 L. Fina, Il patrimonio intangibile. Un fattore di competitività per l'azienda; Celid editore, 2008; “l’ingresso dell’informatica in azienda, ha condotta ad un profondo ripensamento dell’organizzazione aziendale e alla necessità di creare un tessuto culturale favorevole all’adozione e allo sviluppo di sistemi informativi efficienti. Il capitale umano rappresenta lo strumento principe per il pieno sfruttamento dei sistemi informativi, e viceversa.”;

(41)

Per quanto riguarda le condizioni interne di funzionamento possiamo rilevare i seguenti aspetti48:

• Modifica dei Flussi di Informazioni:

l’automatizzazione di certe procedure ha reso il flusso informativo molto più veloce ed efficace, rendendo obsolete quelle configurazioni organizzative che erano state predisposte per assicurare il flusso delle informazioni verso il vertice aziendale.

• Modifica delle Attività Tecniche:

sono stati sviluppati strumenti come il CAD (Computer Aided Design), il CAM (Computer Aided Manufacturing) e il CAE (Computer Aided Engineering) che hanno consentito:

1) maggiore velocità nello sviluppo dei prodotti grazie alla costituzione delle cosiddette “Basi Dati Tecnici”, che sono basi di dati in cui confluiscono tutte le schede e i progetti dei prodotti già realizzati che possono essere sfruttati nella progettazione di nuovi prodotti con caratteristiche analoghe, con notevole riduzione dei tempi di ingegnerizzazione;

2) maggiore qualità dei prodotti, poiché risulta più facile avere informazioni sul prodotto durante la lavorazione, potendo così apportare rapidamente modifiche o migliorie;

3) riduzione dei costi industriali. Con queste tecniche, infatti, si possono seguire tutte le fasi, dalla progettazione alla realizzazione del prodotto finito, in maniera “virtuale” riducendo il numero di prototipazioni e i costi associati alla produzione.

48 K. Laudon e J. Laudon, Management dei sistemi informativi; Pearson Addison-Wesley editore, 2008;

(42)

Per quanto riguarda l’ambiente esterno alle aziende, l’uso dell’informatica ha avuto due risvolti fondamentali49:

A) La maggiore facilità di comunicazione:

ha modificato i rapporti tra le imprese e i loro partner esterni, favorendo il consolidamento di rapporti già esistenti e creandone nuovi con partner fino a quel momento inaccessibili. Ad esempio, Internet ha dischiuso molte nuove opportunità alle imprese dando loro la possibilità di entrare in contatto con nuovi fornitori anche geograficamente molto distanti.

B) La creazione di una nuova risorsa da scambiare sul mercato: l’Informazione. Le imprese hanno bisogno di una grande quantità di informazioni per rendere il loro approccio al mercato più efficace possibile, in modo da individuare con precisione il target di riferimento nonché i bisogni e desideri da soddisfare. Le informazioni50

divengono quindi un bene a cui si associa una precisa domanda di mercato, ed una corrispondente offerta. Sempre più spesso le informazioni necessarie alle imprese non vengono create al loro interno, bensì si ricorre all’ausilio esterno di imprese specializzate. Sono infatti sorte attività di impresa specializzate proprio nella raccolta dei dati e nella creazione di informazioni, gestione di banche dati e offerta di servizi telematici.

49 – la rivoluzione digitale ha generato opportunità di collaborazione all’interno e all’esterno della filiera produttiva. Le tecnologie permettono di scambiare dati e informazioni tra un grandissimo numero di imprese. Grazie a ciò sarà possibile sia individuare nuovi partner, sia integrarsi maggiormente con i partner con i quali già si collabora. La possibilità di allungare le filiere e di legarsi a partner prima considerati irraggiungibili, apre enormi opportunità di business, in particolar modo per le piccole e medie imprese. – dal libro “Trasformazione digitale e sviluppo delle PMI. Approcci strategici e strumenti operativi” di V. Temperini e F. Pascucci, G. Giappichelli editore, 2015;

50 – la gestione dell'informazione è un elemento cruciale per lo sviluppo di un'azienda, e addirittura, in condizioni economiche avverse, per la sua stessa capacità di sopravvivere; un elemento complesso, nel quale convergono e interagiscono la strategia competitiva, le opportunità offerte dalle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e le problematiche organizzative legate alla definizione e trasformazione dei processi aziendali – dal libro “Sistemi per la gestione dell'informazione” di F. Pigni, A. Ravarini, D. Sciuto, Apogeo editore, 2009;

(43)

Il sistema informativo si configura invece come un insieme di elementi che elaborano, scambiano ed archiviano dati con lo scopo di produrre e distribuire informazioni alle persone che ne necessitano, e che lavorano nei vari livelli della struttura aziendale.

Il sistema informativo risulta composto dai seguenti elementi51

:

➢ un patrimonio di dati (rappresentazione oggettiva e non interpretata della realtà, es. n° o importo di una fattura);

➢ un insieme di procedure per l’acquisizione ed il trattamento di dati e la produzione di informazioni (visione della realtà derivante dall’elaborazione e dall’interpretazione dei dati);

➢ un insieme di persone che sovrintendono a tali procedure;

➢ un insieme di mezzi e strumenti (anche informatici), necessari al trasferimento e all’archiviazione dei dati e delle informazioni;

➢ un insieme di principi generali, di valori e di idee di fondo che caratterizzano il sistema e ne determinano il comportamento (cultura aziendale).

Se definiamo quindi il sistema informativo come una combinazione di risorse, umane e materiali, e di procedure organizzate per la raccolta, l’archiviazione, l’elaborazione e la trasmissione delle informazioni necessarie allo svolgimento delle attività dell’azienda, possiamo altresì descrivere il sistema informatico come l’insieme degli strumenti informatici impiegati per il trattamento automatico delle informazioni di un’organizzazione, al fine di agevolare le funzioni e le attività del suo sistema informativo52

.

Nella pratica dunque il sistema informatico è al servizio di quello informativo, e oggi rappresenta uno strumento assolutamente indispensabile per garantirne l’utilizzo e l’efficacia.

51 P.F. Camussone, Il sistema informativo aziendale, Etas Libri, 1998;

52 K. Laudon e J. Laudon, Management dei sistemi informativi; Pearson Addison-Wesley editore, 2008;

(44)

Ma cosa si intende per efficacia dei S.I.? In tutta la letteratura economico aziendale pur con diverse accezioni, l’efficacia corrisponde al rapporto, o meglio, alla distanza tra le informazioni prodotte (intese come risultato del processo informativo) e le esigenze informative dichiarate (intese come obiettivo informativo da perseguire).

Ci sono 5 caratteristiche imprescindibili che un S.I. efficace dovrebbe avere53

: 1. selettività; 2. tempestività; 3. flessibilità; 4. affidabilità; 5. accettabilità;

1. La selettività esprime la capacità del sistema informativo di fornire soltanto le informazioni rilevanti e realmente utilizzabili ai fini decisionali. Essa può essere espressa dal “rapporto tra i dati qualitativamente rilevanti per ogni centro decisionale e la massa totale dei dati forniti” (Marchi). La selettività dipende anche dal grado di dettaglio con cui le informazioni vengono presentate, poiché essa diminuisce quando il dettaglio supera una certa soglia massima, oltre la quale le informazioni tornano ad essere irrilevanti e sovrabbondanti. Dal punto di vista operativo, la selettività del sistema informativo può essere supportata da alcune tecniche specifiche, quali:

✗ la presentazione dei dati a livelli di sintesi/analisi diversi in relazione agli

utenti;

✗ l’applicazione del principio di eccezione; ✗ la produzione di informazioni su richiesta;

l’impiego di tecniche grafiche per indirizzare l’attenzione sulle grandezze

più interessanti.

Riferimenti

Documenti correlati

Destructive leadership is indirectly and negatively associated with recovery experiences through the mediation of (a) cognitive demands, (b) off-TAJD, and (c) autonomy in male

Durante il governo della Madama Reale cominciarono a essere realizzati gli album figurati con la rappresentazione delle feste; ne fu autore Giovanni Tommaso Borgonio (Perinaldo

Poster Presentation The single extant species of Latonia lives in Israel, but in the fossil record the genus is known mainly from Europe, spanning from the Oligocene to the

Belladelli, Elisa Bordin, Roberto Cagliero, Bruno Cartosio, Erminio Corti, Sonia Di Loreto, Valeria Gennero, Fiorenzo Iuliano, Donatella Izzo, Carlo Martinez,

Da quanto detto, nell’operato di Lando è fin troppo facile leggere la vo- lontà di estendere il proprio controllo su questo ulteriore centro murato della fascia centrale dei Lepini,

This study aims to investigate the psychological distress perceived by a cohort of patients with Major Depressive Disorder (MDD) or Bipolar Disorder (BD) after a seven-week

La valorizzazione della complessiva immagine decadente del borgo è perseguibile mediante la risoluzione dei problemi di accessibilità e fruizione del percorso di visita,

Si è adottato un disegno di ricerca misto bifasico quan- >QUAL coerente con il Mixed Methods Sequential Explanatory Design per poter approfondire attraverso una