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Dal Momentum all'M-Oscillator: studio e applicazione del nuovo oscillatore.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

Banca, Finanza aziendale e Mercati Finanziari

Tesi di Laurea Magistrale:

“Dal Momentum all’M-Oscillator:

studio e applicazione del nuovo oscillatore”

Relatore:

Candidato:

Prof. Riccardo Cambini

Luca Timpani

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INDICE

Introduzione 1

Capitolo 1 – Nozioni di Analisi Tecnica

1.1 Confronto tra Analisi Tecnica e Analisi Fondamentale 3

1.2 I presupposti dell’Analisi Tecnica 5

1.3 Charles Dow e la sua Teoria 7

1.4 la Teoria delle Medie Mobili di Granville 15

1.5 Indicatori e Oscillatori 17

1.6 Analisi grafica 32

1.6.1 Supporti e Resistenze 34

1.6.2 Ritracciamenti, Stop Loss e Profit Target 37

1.6.3 Pattern grafici 39

1.7 La Candlestick Analysis 49

1.7.1 Storia e Nozioni Base della Candlestick Analysis 49

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Capitolo 2 – Dal Momentum all’M-Oscillator

2.1 Il Momentum 65

2.2 Mohamed Fawzy, l’ideatore dell’M-Oscillator 68

2.3 Costruzione dell’M-Oscillator 70

2.4 Utilizzo dell’M-Oscillator 75

Capitolo 3 – MATLAB: aspetti computazionali, grafici e risultati

3.1 Scaricare e organizzare i dati storici dei titoli 82

3.2 Plottaggio 87

3.3 Programmazione dell’M-Oscillator 92

3.4 Strategia analitica per l’utilizzo dell’M-Oscillator su MATLAB 102

3.5 Risultati e Implementazioni 105

Conclusioni 119

Appendice 123

Bibliografia e Sitografia 145

Indice: grafici, tabelle, figure e formule 147

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INTRODUZIONE

L’analisi tecnica è lo studio del movimento del mercato, o market action, tramite l’uso sistematico di grafici e di algoritmi, allo scopo di prevedere le tendenze future dei prezzi.

Questa scienza vede la luce alla fine del XIX secolo grazie all’opera del giornalista statunitense Charles Henry Dow, il maggior esponente dell’analisi grafica, nonché fondatore del Wall Street Journal e inventore dell’indice Dow Jones Industrial

Average.

Nel corso degli anni, ovviamente, l’analisi tecnica è stata più volte rivoluzionata, cambiata, migliorata, ha visto l’introduzione di nuovi strumenti sia grafici che analitici, quali indicatori, pattern, strategie varie.

Si sono viste anche l’introduzione di nuove metodologie di rappresentazione dei prezzi, come il barchart e la candlestick (forse al giorno d’oggi la più utilizzata perché in grado di racchiudere molte più informazioni).

Quest’ultima è nata nel Giappone feudale tra il XVII e il XIII secolo e rappresenta forse la più antica metodologia di analisi dei mercati finanziari. È nata grazie all’operato di Munehisa Homma, un commerciante che guadagnava comprando e vendendo il riso grazie proprio all’utilizzo di questa metodologia che gli permetteva di prevedere l’andamento dei prezzi. La Candlestick analisi fu però introdotta nella parte occidentale del globo solo nel 1976 grazie al lavoro di Steve

Nison, che tradusse il manuale scritto in giapponese da M. Homma chiamato “Le leggi di Sakata”.

Questa metodologia di analisi grafica permette di racchiudere in un'unica rappresentazione grafica, la candela, molte informazioni fondamentati della giornata/periodo di negoziazione preso in considerazione: il prezzo di apertura, il prezzo di chiusura, il massimo e il minimo toccato. In base poi alla presenza di

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determinate sequenze di candele e alla formazione di alcune particolari è possibile ipotizzare il movimento futuro del prezzo del titolo/indice in questione. Come già accennato l’analisi grafica non è l’unico ramo dell’analisi tecnica. Parallelamente a questa si sono moltiplicati ed evoluti anche gli indicatori e gli oscillatori, strumenti che garantiscono a sua volta capacità predittive circa l’andamento futuro dei prezzi, cosi come dei volumi.

È proprio da uno dei primi oscillatori, il Momentum, che parte il lavoro oggetto di analisi in questo elaborato che verterà sulla sperimentazione di un nuovo oscillatore proposto dal Dottor Mohamed Fawzy, l’M-Oscillator.

La prima parte di questo elaborato si focalizzerà sul descrivere dettagliatamente l’analisi tecnica dei mercati, partendo dai presupposti per arrivare ad un ampia, passando per il percorso evolutivo di tutti i vari strumenti.

La seconda parte, invece, si focalizzerà sul lavoro del Dottor Fawzy. Dopo un focus iniziale sul Momentum verrà esposto come e perché si è arrivati a questo nuovo strumento che è l’M-Oscillator, per poi concludere le varie possibilità di utilizzo dello stesso.

Successivamente nella terza e ultima parte andrò a programmare sul software MATLAB l’M-Oscillator così da poter testare, su una serie di portafogli, se è in grado di prevedere in maniera accurata o meno le oscillazioni di prezzo future dei vari titoli acquistando e vendendo in autonomia, ogni qualvolta riconosca i giusti segnali.

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CAPITOLO 1 – NOZIONI DI ANALISI TECNICA

1.1 Confronto tra analisi tecnica e analisi fondamentale

Le oscillazioni di prezzo che un titolo, quotato sul mercato borsistico, può subire possono essere ipotizzate o previste attraverso due tipologie diverse di analisi: una fondamentale e una tecnica.

L’analisi fondamentale è un’analisi che cerca di comprendere lo stato di salute delle società emittenti titoli quotati, analizzando quelli che sono i loro bilanci, cercando di determinare il suo valore economico, ovvero il valore intrinseco del titolo basato sui fondamentali1.

La funzione dell’analisi fondamentale è la selection, ovvero il fungere da aiuto per l’investitore nello scegliere il titolo da mettere nel portafoglio, anche se in questo specifico caso serve più per chi ha un’ottica di investimento di medio-lungo termine. L’investitore speculatore infatti non guarda al valore fondamentale perché la sua ottica è di breve-brevissimo termine, mirando solo a lucrare sulle differenze di acquisto e di vendita (utilizza l’analisi tecnica).

Il valore economico del titolo quindi è diverso dalla quotazione che rappresenta invece l’espressione dell’offerta e della domanda su quel titolo e può essere influenzata da correnti speculative. Nonostante ciò nel medio-lungo termine la quotazione tende al valore economico del titolo, motivo per cui l’analisi fondamentale ricerca il valore economico.

È facilmente intuibile che gli strumenti dell’analisi fondamentale sono tutti quelli dell’analisi di bilancio, ai quali però si aggiungono i cosiddetti indicatori fondamentali, strumenti che mettono insieme valori desunti dal bilancio e dal mercato2.

1 Il valore economico del titolo è uguale al valore economico della società sul numero di azioni. Rappresenta il valore complessivo della società ad oggi.

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L’analisi tecnica come già anticipato ha una natura previsionale, matematico-statistica. Cerca di analizzare il mercato per determinare le probabilità che si verifichi o meno un determinato avvenimento provando ad anticipare il movimento futuro del trend di mercato e sulla base di questo permettere all’investitore di determinare il momento migliore per entrare o uscire dal mercato. Si configura in questo caso una finalità di timing.

Gli oggetti di analisi sono desunti dal mercato: la quotazione di mercato e i volumi di mercato (come si stanno esprimendo l’offerta e la domanda). I soggetti investitori sono in genere i cosiddetti investitori speculatori, ma può essere utilizzata alcune volte dagli investitori cassettisti, coloro che hanno un’ottica di medio-lungo termine e che solitamente fanno affidamento sull’analisi fondamentale. SI divide infine in due grandi famiglie di strumenti: l’analisi grafica e gli indicatori tecnici.

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1.2 I presupposti dell’analisi tecnica L’analisi tecnica è basata su tre premesse:

1. Il mercato sconta tutto;

2. I prezzi si muovono dentro un trend; 3. La storia si ripete.

La prima delle tre premesse, “il mercato sconta tutto”, è basilare per la corretta comprensione dell’analisi tecnica. Infatti, l’analista si muove dalla convinzione che nei prezzi di borsa siano già incorporati tutti quei fattori di tipo fondamentale, politico, psicologico, ecc., che ne hanno determinato l’andamento. Gli analisti tecnici in pratica asseriscono che il movimento dei prezzi riflette i cambiamenti quantitativi della domanda e dell’offerta dei titoli: se la domanda supera l’offerta, le quotazioni dovrebbero salire e se, viceversa, l’offerta supera la domanda, i prezzi scenderanno. Quindi è possibile affermare che gli analisti tecnici non si interrogano su quali siano le ragioni che hanno portato un certo numero di soggetti a vendere ed un certo numero di soggetti a comprare, perché tutte queste informazioni sono comunque racchiuse nel prezzo. Non sono interessati alle “motivazioni a monte”, ma guardano “l’effetto a valle”.

Per quanto riguarda la seconda premessa, va fatto presenta che il concetto di trend è basilare nell’approccio tecnico. Partendo dall’ipotesi generale basata sugli studi di Dow, un trend borsistico è ciclico, per cui lo scopo essenziale nell’analisi di un grafico consiste nell’identificare un trend sin dai suoi primi movimenti, per investire nella sua direzione primaria. Questo perché un’ovvia conseguenza di tale promessa risiede nel fatto che è più facile che un trend abbia un andamento continuo piuttosto che una brusca inversione.

Terza e ultima premessa riguarda lo studio della psicologia umana, perché come appunto questa premessa ci suggerisce, di fronte a situazioni analoghe, gli investitori tendono a comportarsi in modo analogo. Visto che l’andamento del

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prezzo è determinato dal comportamento decisionale dell’individui, è chiaro come sia possibile effettuare delle stime e delle previsioni future andando a studiarci serie storiche di dati, che rappresentano i comportamenti passati degli individui3.

3 Murphy J. J., Analisi tecnica dei mercati finanziari: metodologie, applicazioni e strategie operative, seconda edizione, Enrico Hoepli, Milano, pp.1-2

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1.3 Charles Dow e la sua Teoria

Charles Henry Dow (1851-1902) insieme al suo socio Edward Jones fondarono nel

1882 la Dow Jones & Company. La maggior parte dei tecnici e degli studiosi dei mercati sono concordi nel ritenere che ciò che oggi viene definita analisi tecnica trae origine dalle teorie proposte per la prima volta da Dow proprio a cavallo tra i due secoli.

Dow ha dedicato buona parte della sua vita allo studio dell’andamento dei prezzi della borsa americana, anno dopo anno, dalla seconda metà dell’800, con lo scopo di trovare qualche anomalia tale da poter creare un indice borsistico dei prezzi. Voleva quindi rappresentare un indice del trend di fondo del mercato. Il 3 Luglio 1884 Dow pubblicò il primo indice di mercato composto dai prezzi di chiusura di undici titoli, nove dei quali relativi a compagnie di trasporti e due relativi al settore industriale. Dow riteneva che questi titoli fornissero un ottimo strumento di valutazione dell’economia della nazione. Ed è stato così tanto che il

Dow Jones Industrial Average è ancora oggi uno degli indici borsistici più

importanti.

Le deduzioni che ha tratto Dow, le ha tratte osservando i prezzi del mercato, cercando delle uniformità nei movimenti, e pubblicando ogni considerazione trovata sul Wall Street Journal (sarà Robert Rhea un suo allievo che raggrupperà tutti gli articoli e formerà il libro chiamato “La Teoria di Dow”), giornale tra i più noti e letti al mondo da lui stesso fondato.

Ciò che rende queste osservazioni illuminanti è il fatto che queste risultino tutt’oggi valide nonostante più di 100 anni di evoluzione. È sempre a Dow che si attribuisce l’importanza dell’analisi grafica su assi cartesiani, rispetto alla schematizzazione dei dati in tabella usata fino a quel momento, gli bastò infatti riportare i singoli prezzi su assi cartesiani e collegarli con una linea per avere un “grafico lineare” sui cui poter iniziare una buona analisi4.

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Ci sono tre ipotesi fondamentali da fare prima di introdurci nella “Teoria di Dow”: 1. Il trend non è manipolabile, ovvero nonostante il trend secondario e terziario potrebbero alternarsi in maniera più o meno forte a causa dell’azione dei soggetti speculatori o dei grandi investitori, nel lungo termine il trend primario tende a non subire variazioni;

2. Le medie scontano tutto, perché il mercato è c.d. price sensitive, ingloba tutta l’informazione disponibile capace di influenzare i prezzi, e anche le informazioni inaspettate impatto solo nel breve termine non avendo influenza sul trend primario come anticipato nel punto 1;

3. La Teoria di Dow non è perfetta, ovvero non ci possiamo aspettare che batta sistematicamente il mercato. Deve semplicemente fungere da ausilio per i traders come strumento di interpretazione e previsione dell’andamento del mercato e dei segnali da esso offerti.

La Teoria di Dow si fonda su alcuni principi:

1) Gli indici scontano tutto. Con questo principio afferma che ogni possibile fattore, riguardante la domanda e l’offerta, deve essere riflesso negli indici di borsa, a esclusione ovviamente, di tutto quanto non è prevedibile, come, per esempio, terremoti o calamità naturali. In pratica tutto ciò che non può essere anticipato dal mercato, viene scontato e quasi immediatamente assimilato nei prezzi.

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2) Il mercato ha tre trend ed è ciclico. Dow divise il trend in 3 categorie: il

primario, il secondario e il minore.5 Paragonò queste tre fasi alla marea,

alle onde e ai frangenti delle onde. Il trend primario si sviluppa nel lungo periodo e riflette la tendenza di fondo del mercato (può durare da mesi a diversi anni) e fino a che si estende oltre il punto maggiore precedentemente toccato si ritiene sempre in atto. Il trend secondario, o di medio periodo, corregge quello primario e può durare da qualche settimana a qualche mese. Il trend terziario è quello di breve periodo e di natura principalmente speculativa dura al massimo qualche settimana e per questa sua natura non è considerato troppo rilevante da Dow.

3) Il trend primario ha tre fasi. Dow sosteneva che il ciclo economico di borsa dipendesse dai soggetti operanti sul mercato, che divideva in due gruppi distinti. Le “mani forti” e le “mani deboli”. Le “mani forti” si muovono razionalmente, hanno un capitale elevato e posseggono molte più informazioni, e molto più precise, rispetto a tutto gli altri investitori. Calibrano acquisti e vendite in modo graduale, tranne in alcuni casi eccezionali dove possono decidere di dare una scossa forte al mercato. Al contrario le “mani deboli” operano impulsivamente, emotivamente ed emulando i comportamenti altrui, hanno capitali ridotti e poche informazioni, oltre che imprecise. Queste due figure di investitori secondo Dow erano la causa del movimento ciclico del mercato, movimento soprannominato infatti “Ciclo teorico di Dow”.

Dow suddivide il trend primario in 3 fasi: accumulazione, distribuzione e

panico.

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Nella fase di accumulo (si considera la fase di discesa del prezzo fino al punto A) le mani forti, sapendo grazie alle loro informazioni, che il prezzo di mercato del titolo è inferiore al suo valore economico6, cominciano ad

acquistare in quantità continuamente maggiori il titolo. I volumi tenderanno ad essere crescenti anche se non eccessivamente alti perché le mani forti lavorano gradualmente. Come vediamo dal grafico, queste operazioni di acquisto da parte delle mani forti portano il prezzo a diminuire in misura sempre minore, fino a quando si arriva nel punto A, il minimo, momento in cui la domanda pareggia l’offerta. La discesa del prezzo si conclude. Ma le mani forti continuano a comprare, la domanda cresce superando l’offerta e quindi il prezzo inizia ad aumentare. Più il valore cresce e più è difficile che le mani deboli vendano il titolo (per questo la fase di accumulazione è considerata tale soprattutto nella fase

6 La linea rossa tratteggiata nel grafico rappresenta il punto in cui il valore economico è pari al prezzo di mercato del titolo.

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di discesa del prezzo). Da A a B i prezzi crescono in modo “crescente”, sempre più velocemente. Nel momento però in cui il prezzo del titolo supera il valore economico (dopo B), le mani forti danno inizio alla cosiddetta fase di distribuzione, da B a C, vendendo alle mani deboli i titoli accumulati fino a quel momento, sempre in modo graduale. Questa loro azione fa si che la crescita subisca un rallentamento che come osserviamo nel grafico porta il prezzo a crescere in maniera sempre minore. Le mani deboli comprano in questa fase perché si scatena la cosiddetta “euforia da

rialzo”. Vicino al punto di massimo (C), i segnali che si osservano sono2 : la

crescita del prezzo è più lenta, e si sta formando una curva; e i volumi sono ridotti, perché le mani forti hanno finito di vendere tutto ciò che era in loro possesso e sono uscite dal mercato. Si arriva così in C, dove la domanda pareggia nuovamente l’offerta, punto d’inversione del trend. Tra C e D c’è la prima fase di ribasso, quella più difficile per chi è in possesso di titoli. In questa fase i prezzi precipitano, calano a velocità crescente sviluppandosi il cosiddetto effetto panico nelle mani deboli. Questo crollo repentino dei prezzi è dovuto all’eccesso di offerta (le mani deboli cercano di vendere i titoli), che non trova corresponsione nella domanda, inesistente in questo momento, in quanto nessuno sul mercato vuole comprare (le altre mani deboli sono nella stessa situazione mentre le mani forti non hanno alcun interesse a farlo in quanto basta che aspettino il momento giusto per comprare gli stessi titoli ai prezzi più convenienti per loro). Questa fase del ribasso (da C a D) si caratterizza da volumi solo di offerta. Solo quando il prezzo sarà sceso al di sotto di D (del suo valore economico) le mani forti riinizieranno la fase di accumulazione.

4) Gli indici devono confermarsi a vicenda. Nel formulare questo principio Dow si riferiva all’indice industriale e ferroviario7 e sosteneva che nessun

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segnale rialzista o ribassista di una certa importanza poteva verificarsi se entrambi gli indici non fornivano la stessa indicazione dandosi reciproca conferma. I segnali non devono manifestarsi contemporaneamente, anche se una stretta vicinanza temporale è molto auspicata.

Grafico 2: Indice dei trasporti e indice industriale. Fonte: ArezzoTrade.com

5) Il volume deve confermare il trend. I volumi, secondo la teoria di Dow dovrebbero espandersi in direzione del trend primario. In un trend crescente, per esempio, l’espandersi dei volumi spinge i prezzi a salire e il contrarsi di questi ne rallenta la corsa spingendoli in basso. L’esatto contrario avverrà in un trend decrescente.

6) Un trend è in atto fino a che non esiste un segnale definitivo di inversione

di tendenza. Riconoscere quando un trend ha invertito la sua direzione è

molto difficile. Lo studio di livelli di supporto e di resistenza, di figure, di linee di tendenza e di medie mobili, è uno degli strumenti tecnici

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disponibili, che indica quando un trend in essere potrebbe essere in una fase di inversione.8

Lo scopo della “Teoria di Dow” è proprio quello di sfruttare questi fondamenti per individuare quello che è il trend primario, sfruttarlo fino a quando i volumi di scambio lo consentano, preparandosi poi per un’inversione di tendenza. Dow riconobbe nella media mobile lo strumento per individuare questi cicli. La media mobile è una media di “n” elementi, dove gli “n” elementi non sono costanti (ogni giorno si aggiunge un nuovo elemento, non si considerando il più lontano). La media mobile secondo Dow doveva essere calcolata con un’ampiezza temporale correlata alla durata del ciclo che si voleva trovare. Abbiamo infatti 3 diverse medie mobile: una di breve periodo che considerava da 5 a 10 giornate di negoziazione; una di medio periodo che considerava tra le 20 e le 25 giornate di negoziazione; una di lungo periodo che considera invece 200 giornate di negoziazione. Secondo Dow in un trend crescente queste tre medie si posizionavano dal basso verso l’alto in ordine decrescente di periodo, ovvero più in basso la media mobile a 200 giorni e più in alto quella a 5/10 giorni, con quella a 20/25 nel mezzo. In caso di trend decrescente la posizione delle medie si invertiva. Dow come anticipato considerava certo il trend nel momento in cui due medie si confermavano (teneva in considerazione la media a lungo e quella a medio periodo).

La Teoria di Dow non è stata risparmiata dalle critiche. Innanzitutto, veniva criticato il fatto che questa teoria fosse fin troppo semplice, il dava l’impressione che fosse una teoria senza fondamento. Ma soprattutto le due critiche più forti, e condivise dalla maggior parte degli studiosi, erano per prima il fatto che la

Teoria svolgesse soltanto una funzione di timing e non di selection, ciò implicava

l’impossibilità di individuare dal punto di vista qualitativo le attività da comprare

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e quelle da evitare. Per seconda invece venne mossa una critica alla tempestività dei segnali utilizzati da Dow, che ovviamente tenendo in considerazione medie mobili di medio-lungo termine (soprattutto la media a 200 giorni) non riusciva ad anticipare i segnali di acquisto, che riconosceva solitamente quando il trend era già nella sua seconda fase.

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1.4 La Teoria delle Medie Mobili di Granville

Joseph Ensign Granville (1923-2013), studioso, scrittore e analista dei mercati,

successivamente, cerco di sviluppare la Teoria di Dow mirando a perfezionare quelli che secondo la critica erano i punti di debolezza (riportati nel paragrafo precedente).9

La Teoria delle Medie Mobili di Granville, infatti, riprendeva i concetti fondati sulle medie mobili di Dow cercando però di anticipare quello che era il segnale di inversione/inizio di un trend.

Granville capì che l’incrociarsi delle tre medie mobili proposte da Dow dava tre tipologie di segnali, ognuno dei quali andava a rafforzare il precedente.

Considerando per esempio un trend crescente, come visto precedentemente le medie saranno disposte dall’alto verso il basso nel seguente ordine: a 5/10, a 20/25 e a 200 giorni. La prima a muoversi è la media mobile a 5/10 giorni, in quanto essendo quella di breve periodo reagisce molto velocemente ai cambiamenti sul mercato. Nel momento in cui questa incrocia verso il basso la

9 Tra le altre opere di Granville non può non essere menzionata la creazione dell’OBV, On Balance

Volume, uno degli indicatori, basati sui volumi, più utilizzato.

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media mobile a 20/25 giorni, Granville, individuava il primo segnale. È un segnale che ovviamente non da una sicurezza totale sull’inversione del trend, a volte può solo anticipare un ritracciamento, ma gli operatori più inclini al rischio lo tengono in considerazione. A questo segnale ne segue un secondo, dato dall’incrocio, sempre verso il basso della media mobile di breve periodo con la media mobile a 200 giorni. Questo secondo segnale è già un buon segnale di inversione, ha una buona percentuale di accuratezza, tanto che una volta verificatosi gli operatori possono già operare su questo, anche se i più avversi al rischio preferiscono aspettare il terzo ed ultimo segnale che è dato dall’incrocio verso il basso della media mobile a 20/25 giorni con quella di lungo periodo. In questo caso il trend ha invertito la propria direzione ed infatti la posizione delle medie, come suggerito dalla Teoria di Dow, è esattamente opposta.

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1.5 Indicatori e Oscillatori

Come già visto, nel corso degli anni l’analisi tecnica in generale ha subito un’evoluzione continua, variando dagli studi grafici, a quelli statistici e via dicendo.

Tra gli strumenti che più si sono evoluti, ma soprattutto, che hanno acquisto un’importanza sempre crescente negli anni troviamo sicuramente gli indicatori e gli oscillatori. Questi sono strumenti che sulla base di calcoli e modelli statistici, vengono impiegati al fine di interpretare l’andamento di un mercato quotato. Con il termine indicatore, si intende uno strumento che non ha un range predefinito di movimento e che tende invece a fluttuare a cavallo di linee di equilibrio (solitamente lo zero o il cento).

Diversamente da questo invece, l’oscillatore, è uno strumento che assume valori inclusi all’interno di un range predefinito, il cui calcolo presuppone una normalizzazione che finisce a sua volta per determinare i livelli di massimo e di minimo raggiungibili. Questo vincola l’oscillatore a trattenersi all’interno di un range di valori prefissato, dove soglia massima e minima coincidono solitamente con zone di ipercomprato e ipervenduto, ovvero zone dove o l’attività è troppo spinta dai volumi di acquisto e quindi il suo prezzo è superiore a quello che dovrebbe avere e quindi si presuppone debba scendere nel futuro, o zone dove contrariamente alle prime l’attività sono poco scambiate, i prezzi sono inferiori a quello che realmente è il valore delle attività e quindi si presuppone il prezzo possa salire.10

I primi che andremo ad analizzare sono indicatori di volume. Questi indicatori sono importanti per avere una visione completa della dinamicità del mercato. Con questi è possibile osservare le quantità di titoli scambiati, permettendoci di capire meglio quello che il trend del prezzo sta effettivamente facendo.

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Il volume può essere inteso come valore o come trend. Il trend dei volumi va confrontato con il trend dei prezzi per trarre le giuste conclusioni, perché analizzare il trend dei volumi da solo non è molto significativo.

Come dimostrabile, quando si è vicini a punti di inversione del ciclo il trend dei volumi e il trend dei prezzi saranno divergenti, mentre quando il trend dei volumi conferma il trend dei prezzi, avremo un segnale di rafforzamento del trend, che quindi proseguirà nella sua crescita o decrescita che sia.

Una peculiarità, si notata nella prima fase di ribasso del ciclo di Dow, quando i prezzi vanno giù in “picchiata” per l’effetto panico che si sviluppa nelle mani deboli. In questo caso, come già detto, c’è un grande flusso di offerta ma non c’è domanda, quindi, in questo caso i volumi non sono di scambio perché non ci sono effettivamente scambi, ma saranno volumi di offerta.

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On Balance Volume

Il primo indicatore di volume che andremo a vedere è l’On Balance Volume, OBV. sviluppato da Joe Granville e introdotto nel suo libro del 1963, intitolato "Granville's New Key to Stock Market Profits". L’OBV è stato uno dei primi indicatori tecnici che misuravano il flusso di volume positivo e negativo. È una somma algebrica di volumi giornalieri, sommati o sottratti in base alla differenza tra il prezzo di chiusura della giornata corrente e quello della giornata precedente. Se il primo è superiore al secondo, il valore del volume della giornata odierna si somma all’OBV, se inferiore rispetto al prezzo della seduta precedente, si andrà a sottrarre il volume giornaliero all’OBV, se invece i due prezzi si equivalgono, assegneremo un valore pari a 0 al volume della giornata corrente, in pratica non si sottrae e non si somma niente.

Tabella 1: esempio di calcolo dell'OBV. Fonte: elaborazione personale.

L’OBV si disegna nel grafico di supporto, in corrispondenza temporale del grafico principale, ma ha alle ordinate invece del prezzo la misura dell’indicatore.

Come già anticipato i segnali che possono essere ricavati dalle divergenze/convergenze che si osservano dal confronto tra il trend dei prezzi e l’OBV: in caso di convergenza dei trend, ovvero entrambi nella stessa direzione, avremo un segnale di conferma del trend, di continuazione. In caso invece di divergenza avremo due tipologie di segnale: divergenza rialzista, con prezzi che

OBV t P. chiusura Volumi OBV 1 7 5 5 2 7,2 6 5+6= 11 3 7,4 5,8 5+6+5,8= 16,8 4 7,4 5 16,8+0= 16,8 5 7,3 4 16,8-4= 12,8 6 … … …

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calano e OBV crescente, oppure divergenza ribassista, con prezzi ascendenti e OBV discendente, entrambi ovviamente indicanti un’inversione del trend.

Grafico 4: Divergenza On Balance Volume. Fonte: https://commodity.com/technical-analysis/on-balance-volume/

Anche l’OBV non è stato risparmiato dalle critiche, soprattutto per il metodo di calcolo. Per prima cosa è stato fatto notare il fatto che nel confrontare il prezzo di chiusura di una seduta e quella precedente, bastano differenze minime, sia positive che negative, per sommare o sottrarre il volume. Il rischio è quindi quello di dare un valore all’OBV che vada a “falsare” il suo trend. Per evitare questo si è pensato di introdurre un filtro di significatività, ovvero una percentuale di “controllo” che permette di attribuire, ai fini del calcolo dell’OBV valori nulli per quelle differenze positive e negative minime che rientrano in tale soglia (es. filtro di significatività del 2%, nel caso di differenza tra le due sedute inferiore al 2% e superiore al -2% il volume da sommare o sottrarre al OBV è pari a 0). È stato poi fatto notare il fatto che il calcolo dell’OBV prenda come riferimento il prezzo di chiusura. Questo dato può non rispecchiare il vero andamento di un titolo, perché

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in una seduta borsistica i prezzi oscillano tra un prezzo minimo e uno massimo e sistemandosi poi su un determinato prezzo di chiusura, ma non considerando questi massimi e minimi non possiamo sapere dove il prezzo di chiusura si collocato, dato che suggerisce importanti indicazioni operative.

Volume Accumulation

Il Volume Acccumulation, VA, è un indicatore ideato dallo studioso Marc Chaikin e basato sulla somma algebrica di volumi11. A differenza di quanto visto prima per

l’OBV, nel VA il riferimento non sono due giornate borsistiche, l’analisi è basata sulla singola giornata. L’obiettivo è conoscere il range di prezzi della giornata, in modo da avere il massimo e il minimo e calcolare il mid-range. In questo modo potremmo sapere dove si colloca il prezzo di chiusura rispetto al mid-range e si andrà a sottrarre o sommare una quota parte di volume, corrispondente alla distanza dal mid-range del prezzo di chiusura. È ovvio che nel caso il prezzo di chiusura sia pari al massimo si sommerà il 100% del volume, se pari al minimo si sottrarrà il 100% del volume, se pari al mid-range ne si sottrarrà ne si sommerà, il volume sarà considerato pari a zero.

𝑉𝐴# = % &'𝐶)*

𝐻)−𝐿) 2 /0 𝑉12

# )34

Formula 1: Dove H è il massimo (High) e L il minimo (Low).

A livello operativo il VA è del tutto simile a quella dell’OBV nonostante consenta all’analista di includere maggiori informazioni alla sua analisi.

Grafico 5: Divergenza Volume Accumulation. Fonte: https://www.mql5.com/en/forum/15786/page6

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Momentum e Rate Of Change

Passiamo ora ad analizzare gli strumenti utilizzati per analizzare il trend dei prezzi. Tra i più utilizzati e anche conosciuti troviamo il Momentum, oscillatore dal quale come già accennato comincerà lo studio oggetto di questo elaborato.

Il Momentum si pone come obiettivo quello di misurare la forza, quindi la velocità, la direzione e di conseguenza i punti di inversione del trend.

Il calcolo del Momentum è molto elementare: si prende il prezzo di chiusura della giornata odierna e vi si sottrae il prezzo di chiusura di una giornata distante “n” sedute.

𝑀𝑜𝑚𝑒𝑛𝑡𝑢𝑚) = 𝑃#−𝑃#=)

Formula 2: dove P(t) è il prezzo di chiusura odierno e P(t-n) è il prezzo di chiusura di n giornate precedenti.

È chiaro quindi che il Momentum potrà assumere sia valori positivi (se il prezzo odierno è maggiore del prezzo di “n” sedute fa) che valori negativi (se il prezzo odierno è minore del prezzo di “n” sedute fa) e quindi oscillerà intorno ad un valore che sarà lo 0 (quando i due prezzi hanno lo stesso valore).

La linea dello zero è anche quella che permette all’indicatore che stiamo esaminando di generare segnali. In particolare, nel momento in cui il Momentum passa da negativo a positivo, verrà generato un segnale rialzista; nel caso contrario, in cui il Momentum passa da positivo a negativo, verrà generato un segnale ribassista. Un ulteriore metodo di interpretazione dei valori segnati da tale oscillatore è quello delle divergenze. In linea di massima, il Momentum tende a seguire i movimenti dei prezzi: ad un massimo dei prezzi corrisponderà un massimo dell’indicatore, e viceversa. Nel momento in cui, ad un nuovo massimo realizzato dai prezzi, non corrisponde un nuovo massimo segnato dall’indicatore, ecco che si crea una cosiddetta “divergenza” tra i due elementi. Di fronte a tale situazione ci si aspetterà quindi un ritracciamento dei prezzi verso il basso, a

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conferma della debolezza dimostrata dal Momentum. Il discorso vale ovviamente anche nel caso di nuovi minimi. Meccanismo molto simile a quello visto con l’On Balance Volume.12

Grafico 7: Divergenza Volume Accumulation. Fonte: https://www.mql5.com/en/forum/15786/page6

Il Rate of Change, o ROC, dei prezzi è semplicemente la rappresentazione del momentum in termini percentuali, che oscillerà intorno ad un valore che sarà il 100. Il movimento e l’interpretazione quindi saranno uguali a quelli visti per il momentum, con l’unica differenza che avremo valori superiori al cento e inferiori al cento (non più positivi e negativi).

𝑅𝑂𝐶) = 100 ∗

𝑃#

𝑃#=)

Formula 3: dove P(t) è il prezzo di chiusura odierno e P(t-n) quello di "n" sedute precedenti

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Relative Strength Index (RSI)

Il Relative Strength Index, o RSI, è un oscillatore ideato da J. Welles Wilder e

presentato nel libro del 1978 “New Concepts in Technical Trading Systems”.13

Wilder voleva superare i limiti intrinsechi del Momentum, che per caratteristiche di costruzione non riusciva ad essere sempre efficacie soprattutto al verificarsi di dati estremamente eccezionali.

L’RSI misura la forza relativa fra i movimenti di salita ed i movimenti di discesa di un titolo in un determinato periodo considerato.

La prima formulazione dell’oscillatore è la seguente:

𝑅𝑆𝐼 = 100 − 100 1 +𝑀𝐷𝑀𝐼

Formula 4: dove MI è la media aritmetica dei rialzi e MD dei ribassi.

La “prima” perché come osservabile, con questa formulazione sorge un problema nel momento in cui se non si hanno ribassi nel periodo considerato, perché essendo al denominatore, un valore pari a zero renderebbe impossibile il calcolo. Ecco perché una seconda formulazione viene in supporto:

𝑅𝑆𝐼 = 100 ∗ 𝑀𝐼 𝑀𝐼 + 𝑀𝐷

Così facendo non è più un problema avere la media dei ribassi pari a 0. Allo stesso tempo è possibile trovare quelli che sono i valori minimi e massimi che l’RSI può assumere, avremo infatti il minimo, pari a zero, quando la media dei rialzi sarà zero, ovvero quando nel periodo considerato avremo solo ribassi, mentre il massimo avrà valore pari a cento, e si avrà quando nel periodo considerato

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assisteremo esclusivamente a rialzi e quindi avremo la media dei ribassi pari a zero. Possiamo quindi affermare che l’RSI è un oscillatore che a differenza del Momentum oscilla in una banda compresa tra zero e cento.

All’interno di questa banda 0-100 che si forma, si possono tracciare altre due linee di riferimento, rispettivamente per il valore 70 e per il valore 30. Si creano così tre fasce distinte, la 30-70, detta fascia di normalità, ovvero la fascia dove normalmente oscilla l’RSI. La 70-100, detta fascia di ipercomprato e la fascia che va da 0-30, detta di ipervenduto. Quando l’RSI si trova in quest’ultima la media dei ribassi ha una forza relativa maggiore rispetto a quella dei rialzi, mentre la situazione inversa si presenta nella fascia di ipercomprato dove la media dei rialzi è molto più forte rispetto a quella dei ribassi.

Il time span pensato da Wilder è di 14 giorni, ma può essere modificato a seconda delle esigenze dell’investitore. Alcune volte si può utilizzare un dominio minore come 9, però bisogna sapere che più si riduce il time span più l’indicatore è sensibile, quindi la sua volatilità sarà maggiore, e di conseguenza anche le zone di ipercomprato e ipervenduto devono essere adeguate14 (in un caso come

questo portato ad esempio di una riduzione di dominio aumentando la volatilità si dovranno ridurre le fasce estreme, a 20 e 80 per RSI9, andando a cercare segnali in fasce ridotte).

Una delle caratteristiche principali dell’RSI è permette di ricavare segnali sia in fase di trend definito che in fase di trend non definito15. Nel caso di trend definito,

così come per il Momentum, la strategia è quella di confrontare il trend dell’RSI e il trend dei prezzi per cercare divergenze/convergenze tra i due. Nelle fasi di congestione, invece, i segnali vanno trovati nelle fasi critiche, ovvero quando l’RSI si trova nella fascia di ipercomprato o in quella di ipervenduto. Se l’RSI è nella fase di ipercomprato e comincia a decrescere perforando la linea del 70 entrando

14 Se consideriamo un periodo di 9 giorni, la volatilità dell’RSI aumenterà e quindi dovremo allargare le fasce di ipercomprato e ipervenduto per esempio a 20-80.

15 Trend non definito: il trend dei prezzi ha un movimento laterale, parallelo all’asse dell’ascisse, detta

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nella fascia di normalità, si ha un segnale di vendita. Quando l’RSI è nella fascia di ipervenduto e comincia a crescere perforando la linea del 30, entrando nella fascia di normalità, si ha un segnale di acquisto.

Nelle fasi di trend i segnali più interessanti sono quelli di divergenza dell’oscillatore rispetto all’andamento dei prezzi, in modo particolare se si verificano nelle fasce estreme di ipercomprato e ipervenduto. Se siamo in un trend rialzista, e l’RSI che si trova nella fase di ipercomprato, mostra un top failure

swing (ovvero il mancato raggiungimento di un massimo successivo crescente),

questo è un segnale di divergenza ribassista. Nel caso in cui siamo in un trend ribassista, e l’RSI che si trova nell’ipervenduto mostra un bottom failure swing (ovvero il mancato raggiungimento di un minimo successivo decrescente, o meglio il minimo successivo è crescente), si ha un segnale di acquisto, perché si ha una divergenza rialzista.

Grafico 8: RSI, con segnali di acquisto.

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Oscillatore Stocastico

L’Oscillatore Stocastico, sviluppato da George Lane nel 1970, è uno degli strumenti più utilizzati dagli analisti tecnici. Questo strumento permette di comprendere le oscillazioni del prezzo e di cogliere il momento migliore per entrare sul mercato.

È molto simile all’RSI per finalità operative ma in questo caso le informazioni tenute in considerazione sono molte di più. Lo Stocastico valuta quanto le chiusure delle barre siano prossime al massimo o al minimo registrati in un certo periodo, tendendo conto anche del range di oscillazione dei prezzi (se la barra di oscillazione è piccola è poco significante, ma se è molto ampia il fatto che sia vicino al minimo o al massimo è significante).16 Come l’RSI, anche lo Stocastico è

un oscillatore di banda, con massimo a cento e minimo a 0.

L’idea di base dalla quale si è sviluppata l’idea di questo indicatore era che in una seduta che chiudeva vicino al minimo si osservava un minor forza espansiva rispetto ad una seduta che chiudeva vicino al massimo. In un trend al rialzo, infatti, la chiusura di ogni giornata tende a collocarsi vicino ai massimi e viceversa in un trend ribassista.

È composto da due linee, la K-line, la linea più volatile e veloce, e la D-line, o

Trigger Line, la più lenta. La K-line ha come riferimento solitamente 5 sedute

giornaliere, mentre la D line ne prende in considerazione 3.

𝐾% = 100 ∗ ' 𝐶 − 𝐿5 𝐻5 − 𝐿50

Formula 5: dove C è l’ultima chiusura, L5 è il minimo degli ultimi 5 giorni e H5 il massimo degli ultimi 5 giorni.

16 Si parla di “Barre” facendo riferimento al Bar Chart, una tipologia di grafico che permette di rappresentare oltre al prezzo di chiusura, quello di apertura, il massimo e il minimo osservati nella seduta. Questo argomento sarà ripreso successivamente.

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Al denominatore abbiamo quindi l’excursus massimo nei 5 giorni, o negli “n” giorni che vogliamo prendere in considerazione, mentre al nominatore abbiamo la differenza tra la chiusura della giornata odierna e il minimo nei 5 giorni considerati. La K-line, dunque, percentualizza il rapporto tra l’ultima chiusura e l’excursus avuto tra il massimo e il minimo negli “n” giorni precedenti considerati. La D-line a sua volta:

𝐷% = 100 ∗ '𝐻3 𝐿30

Formula 6: dove H3 e L3 sono le Medie Mobili semplici a 3 periodi del nominatore e del denominatore di K.

H3 è quindi la sommatoria delle distanze tra le chiusure degli ultimi 3 giorni e i minimi avuti nei rispettivi giorni (dei 5 considerati per la K line), ovvero ∑(𝐶) − 𝐿3), dove 𝐶) assume appunto i valori delle chiusure delle ultime tre

giornate. Lo stesso vale per L3 che sarà pari a 3 volte (𝐻5 − 𝐿5).

Queste due linee, con il loro movimento, permettono di ricavare i segnali operativi sia in fase di trend che in fase di congestione. Quando la K-line perfora dall’alto verso il basso la D-line nella fascia di ipercomprato (si mantengono le due fasce 30-70 di ipercomprato e ipervenduto), abbiamo un segnale di vendita. Situazione inversa si avrà quando nella fascia di ipervenduto la K-line che sta scendendo inverte il suo movimento e perfora dal basso verso l’alto la D-line, in questo caso avremo un segnale di acquisto.

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Grafico 9: Oscillatore stocastico. Fonte: www.rookietrader.it

Advance-Decline line

Oltre al trend dei prezzi e dei volumi, un aspetto forse più trascurato ma di medesima importanza è lo studio della Profondità del mercato. Questa sta ad indicare quanti titoli del mercato sono in trend con la tendenza di fondo del mercato stesso. Generalmente c’è un determinato numero di titoli che è in controtendenza e altri in tendenza. Quindi la profondità serve per trovare il numero di titoli che sono concordanti17. Il presupposto della profondità è

relazionato al fatto che tanti più sono i titoli concordi con la tendenza di fondo, tanto più quel trend di fondo del mercato può essere considerato forte. Alcune volte però il solo studio quantitativo della profondità può portare a risultati fallaci, quindi è opportuno affiancare a tale studio uno qualitativo. È importante quindi andare a vedere quelli che sono i titoli in controtendenza, cercando di capire “quali sono” e “perché sono” in controtendenza. Se questi titoli hanno

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scarso peso borsistico, allora l’analisi qualitativa conferma la quantitativa, ma se i titoli in controtendenza sono titoli molto importanti, allora potremmo essere ingannati da una sola analisi prettamente quantitativa. In questo caso, pur pochi, essendo blue chips, potremmo essere in una fase diversa da quella che pensiamo.

L’Advance-Decline è il più importante strumento d’indagine della profondità del

mercato, è una semplice differenza in valore assoluto tra i titoli in rialzo (Advance) e quelli in ribasso (Decline). La A-D line è poi calcolata sommando o sottraendo la differenza fra il numero dei titoli al rialzo e quelli al ribasso al valore dell’A-D line precedente, rispettivamente se tale differenz risulta essere positiva o negativa.

𝐴/𝐷 𝑙𝑖𝑛𝑒# = 𝐴/𝐷 𝑙𝑖𝑛𝑒(#=4) ± (𝐴#− 𝐷#)

Formula 7: dove A è il numero di titoli in rialzo e D in ribasso.

La linea quindi dovrebbe indicare la direzione del mercato e dovrebbe essere confrontata con un indice di mercato coerente. In caso di divergenza tra questi l’analista dovrebbe cogliere la possibilità di un segnale di inversione del trend, il tutto sempre tenendo conto dell’aspetto qualitativo, indispensabile per un’analisi coerente e corretta.

Una variante dell’A-D line è quella che considera come dato rilevante il numero complessivo dei titoli sul mercato. Questo serve a ovviare al problema che alcuni titoli spesso rimangono invariati e quindi nella differenza non vengono considerati. È così che nasce l’Advance-Decline ratio.

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1.6 Analisi Grafica

L’analisi grafica è qualcosa di più di una semplice rappresentazione grafico. È soprattutto la ricerca di forme particolari, chiamate configurazioni grafiche, o pattern grafici. Ne fanno parte, ad esempio, i Triangoli, i Rettangoli, le Bandiere e molto di altro. Sono figure che emergono dal movimento dei prezzi, e che possono segnalarne l’andamento futuro. Vengono tracciate dagli analisti congiungendo punti del grafico del prezzo di un titolo finanziario o dell’andamento di un indicatore.18

Prima di analizzare le varie configurazione è necessario spiegare uno degli aspetti basilari dell’analisi tecnica, che abbiamo già accennato indirettamente e che accompagnerà il resto dell’elaborato, la trendline.

Il trend in generale rappresenta semplicemente la direzione del mercato, ma necessita di una definizione più precisa con la quale poter lavorare. Prima di tutto i mercati, in generale, non seguono un andamento lineare: i loro movimenti sono caratterizzati da una serie di zig-zag su una serie di onde successive, ovviamente con massimi e minimi. La direzione di questi massimi e minimi costituisce il trend

del mercato, e di conseguenza determinerà la costruzione della trendline.19 Un

Up trend avrà massimi e minimi successivi crescenti mentre un Down trend avrà

massimi e minimi successivi decrescenti.

In caso di Up trend la trendline sarà data dalla congiunzione di due o più minimi crescenti. In caso di Down trend la trendline sarà data da due massimi successivi decrescenti.

Le trendlines ovviamente non sono uguali per tutti, dipendono sia dal modo di operare personale del trader sia dal focus temporale che viene scelto per analizzare il grafico dei prezzi.

18 Redazione SoldiOnline, L’analisi grafica in analisi tecnica, www.soldionline.it 19 J. J. Murphy, op. cit. pp. 37

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La funzione della trend line è quella di identificare le aree di acquisto e quelle di vendita. È importante ovviamente che la linea sia ben testata, ovvero è fondamentale il fattore temporale, quindi da quanto la tendenza crescente/decrescente è in corso, ed è fondamentale il numero di test positivi.20

Ma così come la conferma da parte del trend della trend line può dare segnali operativi, anche il suo perforamento può darne, infatti in questo caso si ha un segnale di inversione di trend. In caso di inversione poi sarà fondamentale utilizzare i cosiddetti filtri di significatività. Abbiamo un filtro di carattere temporale e uno di carattere percentuale. Il primo richiede che il perforamento rimanga per un determinato periodo tale, senza che il trend quindi rientri nella sua trendline. Il secondo, invece, richiede che il perforamento avvenga in maniera decisa, che quindi il trend inverta la sua direzione oltre una determinata percentuale di variazione, calcolata dal punto nel quale avviene il perforamento. Nel momento in cui questi due filtri sono superati, si ritiene significativo il segnale tale da considerarlo un’inversione di trend.

Altro concetto basilare è quello della returnline, strumento utilizzato insieme alla trendline con la quale forma un canale. Per la costruzione di una returnline

rialzista si procederà unendo due o più punti di massimo successivi crescenti,

mentre in una returnline ribassista si uniranno due o più punti di minimo successivi decrescenti.

20 Test positivi sulla trend line: ogni volta che il trend rimbalza sulla trend line proseguendo nella sua

direzione di fondo si parla di test positivo.

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1.6.1 Supporti, resistenze

I prezzi, come più volte ripetuto, si muovono con una serie di massimi e minimi e la direzione di questi massimi e minimi determina la direzione del mercato. È necessario dare quindi a questi massimi o minimi dei nomi appropriati e, allo stesso tempo, introdurre il concetto di supporto e resistenza.

I minimi o “punti di rimbalzo”, vengono chiamati supporti. Il termine si spiega da solo e indica che il supporto è il livello o l’area del grafico nel quale l’interesse dei compratori diviene sufficientemente forte da superare la pressione dei venditori. Come risultato, il ribasso si ferma e i prezzi ricominciano a salire.

La resistenza è l’opposto del supporto in quanto rappresenta un livello di prezzo del mercato in cui la pressione di vendita supera quella dei compratori, invertendo il rialzo. Solitamente un livello di resistenza coincide con un precedente massimo.21

21 J. J. Murphy, op. cit. pp. 41-42

Grafico 11: Esempio di canale formato da trendline e returnline in trend rialzista, e esempio di trendlines rialzista e

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In un Up trend la trendline funge da supporto, è infatti la linea sulla quale il prezzo del titolo tende a rimbalzare senza mai scendere al di sotto, mentre la returnline funge da resistenza, è infatti la linea che funge da tetto massimo raggiungibile dal prezzo che non dovrebbe essere traforata dal prezzo. Queste figure sono

dinamiche perché hanno una valenza limitata nel tempo, in quanto devono

essere ridisegnate continuamente. Nel Down trend varranno le stesse considerazioni ma invertite.

Come appena detto, i supporti e le resistenze viste finora sono detti dinamici, perché seguendo il trend devono essere tracciati più volte a seconda delle variazioni di velocità dei trend stessi.

Ma esiste anche un concetto di supporto e resistenza statico. Questa tipologia di supporto/resistenza parte dal presupposto che ci sono valori minimi (supporto) o massimi (resistenza) toccati da quel tipo di titolo/indice durante tutta la sua vita, e quindi storici. Questi valori hanno una connotazione di lungo periodo, e ciò fa si che siano molto più difficili da “rompere”, anche se non impossibili e nel momento in cui una di queste due figure viene perforata il segnale generato è molto forte.

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1.6.2 Ritracciamenti, Stop Loss e Profit Target

In tutti i grafici esempio visti finora è possibile notare come sia in Up trend che in Down trend dopo un particolare movimento del mercato, i prezzi ritornano in parte nel trend precedente, prima di ripartire nella direzione originale. Questi movimenti di correzione sono chiamati ritracciamenti.22 Questi movimenti

riprendono una certa percentuale del movimento antecedente e vengono utilizzate come target di riferimento per individuare inversioni di tendenza, infatti raggiunte determinate % di significatività il trend non sta più ritracciando, ma ha invertito la rotta.

Per primo Dow ha trovato delle percentuali standard (33%, 50%, 66%) per valutare il movimento del prezzo, e successivamente queste sono state riprese da Fibonacci (23.6%, 38.2%, 50%, 61.8%). In entrambi i casi il 50% è stato indicato come livello target più probabile. Gli altri livelli sono invece livelli minimi o massimi di ritracciamento con i quali quindi si va a misurare la significatività più o meno decisa del movimento.

22 J. J. Murphy, op. cit. pp. 66

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Altri due concetti fondamentali per l’elaborazione di una strategia sono lo Stop

Loss e il Profit Target. Con il primo termine intendiamo il livello di perdita

massima accettata, ovvero è una sorta di assicurazione contro perdite troppo elevate. Si parla infatti di stop e reverse, perché si esce dal mercato pagando la perdita e per poi reimpostare una nuova strategia che vada segua il trend. Il Profit

Target è invece l’obiettivo di prezzo che chi opera intende raggiungere e che una

volta raggiunto ci permette di chiudere l’operazione ed uscire dal mercato. Entrambi sono posti vicino ai livelli di prezzo che riteniamo significativi, ovvero ai supporti e alle resistenze, dopodiché la loro quantificazione dipenderà da diversi fattori, come la volatilità del prezzo, l’avversione alla perdita dell’operatore e dal rapporto perdita/profitto, che solitamente è consigliato come 3/1, ovvero il Profit Target dovrebbe essere posto a tre volte la distanza cui è posto lo Stop Loss, tecnica che permette con una sola operazione giusta di coprirne 3 sbagliate.

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1.6.3 Pattern Grafici

Prima di andare ad analizzare queste configurazioni, è giusto aprire una piccola parentesi sulle varie (le tre più importanti ed utilizzate) modalità di rappresentazione grafiche dei titoli.

Alcune di queste le abbiamo già viste nei grafici esempio, ma andiamo ad analizzare più a fondo:

Il primo metodo in assoluto di rappresentazione dei prezzi è stato il Line Chart, o Grafico Lineare. È sicuramente il più semplice e intuitivo, anche se consente di osservare un solo dato per intervallo temporale, il prezzo di chiusura. Le altre tre grandezze vengono invece perdute. È facile infatti capire che un grafico di tale tipo ignorerà i veri massimi e minimi toccati dallo strumento finanziario nel periodo considerato, quindi sarà impreciso nell'indicare la reale posizione di questi elementi che l'analisi tecnica considera invece di fondamentale importanza.

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Altra tipologia invece è il Bar Chart, o Grafico a Barre, che evidenzia tutti e quattro i prezzi per ogni unità di tempo: apertura, chiusura, massimo e minimo. L'apertura e la chiusura vengono indicate con due trattini orizzontali posti rispettivamente a sinistra e a destra della barra verticale, la quale a sua volta esprime l'escursione di prezzo.

Una terza tipologia è invece il Candlestick Chart, o Grafico a Candele, molto simile a quello a barre, fornisce infatti lo stesso numero di dati, cambiando solo la presentazione. Anche in questo caso vengono visualizzate le informazioni relative a massimo, minimo, apertura e chiusura dello strumento analizzato, nell'orizzonte temporale prescelto, con la differenza che la "candela" è costituita da un vero e proprio "corpo" (o “real body” secondo la terminologia anglosassone ufficiale) che delimita l'intervallo tra apertura e chiusura. Il corpo viene disegnato in nero o lasciato bianco a seconda che l'apertura nell'unità temporale considerata sia stata superiore (nero) o inferiore (bianco) alla chiusura. Il

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massimo e il minimo vengono poi visualizzati con segmenti, chiamati “shadow" (ombre), posizionati rispettivamente sopra e sotto il corpo della candela.23

Una volta selezionata la tipologia di analisi grafica è possibile sfruttare le

configurazioni grafiche per effettuare previsioni sull’andamento del trend e

compiere decisioni di investimento. Per quanto riguarda i patterns relativi all’analisi con Candlestick chart, questi saranno analizzati nel paragrafo successivo, adesso andremo a vedere quelli relativi all’analisi con Line Chart e con Bar Chart.

Queste configurazioni si dividono in due grandi gruppi: i patterns di inversione, ovvero le configurazioni che segnalano dei cambi di tendenza del trend, e i

patterns di consolidamento, ovvero le configurazioni che evidenziano la forza del

trend e quindi un suo consolidamento.

23 “Formazione sotto la lente. Analisi tecnica: lo studio dei grafici”, www.borsaitaliana.it

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Testa e Spalle

È una delle configurazioni di inversione più importanti. Possiamo avere sia un

Testa e Spalle ribassista che un Testa e Spalle rialzista.

Il primo si configura come un top failure swing, ovvero un mancato raggiungimento di un massimo successivo più alto. La figura parte da un massimo, chiamato spalla sinistra, al quale segue una correzione del prezzo verso il basso che porta alla formazione del primo minimo della figura. Da questo minimo la il trend riprende la sua ascesa fino a toccare un nuovo massimo più alto del precendente, la testa. Nuovamente il trend ritraccia toccando il secondo minimo della figura. È da qui che il trend riprende la sua direzione di fondo rialzista e forma il top failure swing. Si avrà inversione nel momento in cui il prezzo perfora la linea data dall’unione dei due punti di minimo, la c.d. Neck line. È possibile una volta perforata la linea, stabilire un target dato dalla distanza tra la testa e la Neck line.

Il Testa e Spalle rialzista si formerà invece con un bottom failure swing e sarà la perfetta riproduzione ma in posizione speculare della configurazione ribassista.

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Doppio e Triplo massimo/minimo

Il doppio massimo, si verifica quando il movimento del prezzo disegna un massimo successivo né superiore, né inferiore, ma uguale al precedente. La linea di supporto sarà data dal minimo compreso tra i due massimi di pari valore, ed è il suo perforamento a dare il segnale di inversione di trend. Così anche il doppio

minimo, che ovviamente è una figura di inversione rialzista con caratteristiche

opposte al doppio massimo.

Il triplo massimo invece può essere considerato come una variazione del Testa e Spalle in quanto queste conformazioni grafiche differiscono solo per il fatto che nel triplo massimo il secondo picco è allo stesso livello degli altri due. Questo modello è abbastanza raro e non richiede troppo tempo per la sua realizzazione. Il suo completamento avviene con la rottura, da parte dei prezzi, della linea congiungente i minimi di reazione. Stesso discorso vale per il triplo minimo, con condizioni ovviamente opposte.24

24 Laura Mattiazzo, Analisi grafica: Triplo massimo e Triplo minimo, www.performancetrading.it

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Gap, Spike e Isola

Il Gap è configurazione sia rialzista che ribassista, osservabile solo con un Bar Chart o con un Candlestick Chart. Si forma quando due barre (o due candele) sono separate tra di loro, ovvero quando c’è un gap tra loro, che può essere

discendente se il prezzo massimo della seduta successiva è inferiore al minimo

della seduta precedente, o ascendente se il prezzo minimo della seduta successiva è superiore al massimo della seduta precedente.

I Gaps sono di tre tipologie. Il breakway gap, o gap di rottura, si forma al termine di un importante pattern e segnala un significativo movimento di mercato. Di solito sono caratterizzati da volumi elevati. Il runaway gap, o gap di

continuazione, si verifica dopo che il movimento è in atto da un certo periodo.

Spesso funge da supporto per successive correzioni. L’ultimo gap è l’exhaustion

gap, o gap di esaurimento. Questa tipologia di gap si verifica alla fine di un

movimento di mercato, prima di un’inversione di tendenza.25

È possibile che a volte il Gap sia seguito da una barra che chiuda in controtendenza al trend del mercato. Se prendiamo per esempio un trend

25 Tommaso P., “Figure dell’analisi grafica”, www.meteofinanza.com

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discendente, successivamente al Gap, le mani forti possono decidere di invertire il mercato. Assisteremo ad una netta inversione del trend e avremo una barra successiva crescente (in questo caso) che formerà una punta nel grafico a barre, ovvero uno Spike (“Ago” in inglese). È considerata una figura di inversione molto forte, per questo suo repentino cambio di direzione.

Evoluzione dello Spike è la configurazione a Isola. È una figura molto rara da trovare, questo fa si che nel momento in cui si crea, il segnale che da è un segnale molto forte. Questa configurazione è caratterizzata da un doppio gaps seguenti di segno opposto. Quindi nel caso di un primo gap discendente, questo sarà seguito da un gap ascendente, e viceversa nel caso di primo gap ascendente (come nel Grafico 20).

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Flag e Pendio

Nel caso della Flag assistiamo ad un ritracciamento di breve periodo contenuto all’interno di un canale, formato da due trendlines, che assomiglia ad una “bandiera”. Se ad esempio prendiamo una Flag formatasi durante un Up trend, nel momento in cui il trend esce da questo canalino perforando la resistenza, con il conforto dei volumi che dovranno dimostrarsi crescenti nel punto della perforazione, avremo un segnale di consolidamento del trend rialzista.

La configurazione del Pendio indica la fase di esaurimento del trend. Si forma infatti un canale di prezzi che crescono (se consideriamo un Up trend), ma in modo minore rispetto al trend, con pendenza minore, e nel momento in cui il supporto viene perforato, si ha l’inversione del trend. Questa è la configurazione che rappresenta la fase di distribuzione del ciclo di Dow.

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Triangoli

I Triangoli sono figure che possono essere sia di inversione che di consolidamento del trend, anche se nella maggior parte dei casi sono della seconda tipologia. Si dividono in simmetrici e asimmetrici.

Il triangolo simmetrico si forma dall’incrocio di due trendlines, una ascendente e una discendente (resistenza e supporto del triangolo) con le quali si possano unire due punti di massimo successivi decrescenti e due punti di minimo successivo crescenti. Avremo quindi due linee di inclinazione opposta che si incroceranno nel “vertice del triangolo”. Da questa figura il trend uscirà perforando la resistenza o il supporto, e di conseguenza sarà un segnale o di consolidamento o di inversione del trend. Dal punto di breakout del triangolo si potrà calcolare il

target di prezzo che sarà dato dall’ampiezza della base del triangolo.

I triangoli asimmetrici si caratterizzano invece per una maggior presenza di compratori su venditori in quello ascendente o per una maggior presenza di venditori su compratori in quello discendente. Si formano quindi triangoli rettangoli.

Il triangolo rettangolo infatti, invece di avere le due linee di inclinazione opposte, ha una delle due linee parallela all’asse dell’ascisse. Nel caso di triangolo rettangolo discentente avremo il supporto parallelo all’asse delle ascisse, mentre nel triangolo rettangolo ascendente avremo la resistenza che sarà parallela.

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Ovviamente per quanto riguarda il perforamento, si arriverà alle stesse conclusioni che valgono nel caso di triangoli simmetrici.

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1.7 La Candlestick Analisi

1.7.1 Storia e Nozioni Base della Candlestick Analysis

La Candlestick Analisi è una metodologia di analisi dell’andamento dei mercati nata nel Giappone intorno alla metà del 1700. Nacque come strumento di previsione dell’andamento futuro delle quotazioni di mercato del riso di Dojima e fu creata da Munehisa Homma, l’uomo che venne chiamato il “Dio dei

mercati”. Homma iniziò a trattare gli affari di famiglia nel 1750 dalla cittadina di Sakata, che aveva anch’essa un mercato di scambio del riso. Era talmente bravo

a trattare il riso che venne messo a capo dell’intero patrimonio familiare anche se era il figlio più giovane.

Il suo segreto era che teneva scrupolosamente annotate le condizioni meteo di tutte le annate. Inoltre, si concentrò sulla psicologia dei mercanti che trattavano il riso studiando i prezzi del riso degli anni passati, arrivando sino ai primi anni di scambio. In questo modo era in grado di leggere l’andamento dei prezzi arrivando a prevedere (grazie alle serie storiche che aveva precedentemente studiato) come si sarebbe mosso il prezzo in base alla psicologia degli investitori.

Morì nel 1803 lasciando nei suoi testi i principi della sua tecnica di trading da cui deriva l’attuale tecnica delle Candlestick giapponesi.

Con tale tecnica si indica un tipo di visualizzazione dei dati in un grafico molto simile a quella del grafico a barre, ma caratterizzata da un maggior numero di informazioni in un formato sintetico. Per costruire un grafico a candele sono necessari i valori di apertura, massimo, minimo e chiusura di un titolo o di un bene negoziato su un mercato.

Tale tecnica è arrivata nel mondo occidentale solo nel 1989 grazie all’opera di

Steve Nison: “Japanese Candlestick Charting Techniques”.26

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Dal momento della sua apparizione sul mercato occidentale questa metodologia si è diffusa molto rapidamente, perché ha il pregio di non comportare l’abbandono della vecchia metodologia. Infatti, semplicemente si somma all’analisi tecnica, configurandosi come un ulteriore strumento in appoggio a questa. Inoltre, le regole che hanno prodotto Dow e Homma sono le medesime, particolare che rafforza anche i concetti alla base di queste regole di mercato. Come già detto nel paragrafo precedente possiamo avere due tipi di candele, entrambe evidenziano il massimo, il minimo, la chiusura e l’apertura, ma una è di colore bianco, o verde, perché caratterizzata da chiusura più alta rispetto all’apertura, mentre l’altra è nera, o rossa, in quanto evidenzia una chiusura inferiore al valore di apertura. Queste due sezioni della candela, delimitate da chiusura e apertura, sono il c.d. il real body. La linea nera si chiama ombra, o

shadow, e abbiamo la superiore, upper, e la inferiore, lower. Questa è la

configurazione generale.

È possibile però avere anche candele senza ombre, oovero solo con real body, quando per esempio la chiusura e l’apertura coincidono con i massimi e i minimi

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toccati. Queste si chiamano Marobotzu, e ovviamente possono essere sia bianche/verdi che nere/rosse.

Possiamo senno avere una candela con o solo la upper shadow, o solo la lower shadow, ovvero delle candele bozu.

Una upper shadow nera/rossa rispetto ad una upper shadow bianca/verde, entrambe con un real body molto piccolo, ci da segnali negativi più forti, perché dimostra come nonostante il picco di massimo realizzato il prezzo è calato fino a toccare il minimo. Lo stesso vale per un lower shadow bianca/verde rispetto ad un lower shadow nera/rossa, con real body piccolo, perché comunque nonostante il minimo molto basso raggiunto abbiamo chiuso nel massimo, il che ci da un segnale molto positivo.

In generale quanto più grande è il real body e meno forte sarà il movimento dei prezzi sial al rialzo che al ribasso.

Se abbiamo una candela con un piccolo real body e tanto shadow, abbiamo una

spinning top, che dimostra un ampio movimento dentro la seduta ma comunque

prezzi di apertura e chiusura molto vicini.

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