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L'agente 007 del nuovo millennio. Il cinema fra serialità e ripetizione.

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione……….p. 3

CAPITOLO 1 : RIPETIZIONE , SERIALITA’ E DILATAZIONE: TRE

CONCETTI GENERALI……….p. 5

1.1. La ripetizione 1.2. La serialità 1.3. La dilatazione

CAPITOLO 2: RIPETIZIONE E CINEMA………..p. 19

2.1. La ripetizione e il cinema degli esordi: adattamenti e rifacimenti tecnici

2.2 Il remake e l’autoremake 2.3 La citazione

CAPITOLO 3: SERIALITA’ E CINEMA……….p. 36

3.1. Il serial cinematografico 3.2. Serie e saga

3.3. Prequel, sequel e spin-off

CAPITOLO 4: IL CASO “007”……….p. 51

4.1. Il fenomeno Bond

4.2. Tópoi, ricorrenze e variazioni 4.3. I volti di 007

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2 CAPITOLO 5: LA TETRALOGIA DI DANIEL CRAIG……….p. 74

5.1. Casino Royale (Martin Campbell, 2006) 5.2. Quantum of Solace (Marc Forster, 2008) 5.3. Skyfall (Sam Mendes, 2012)

5.4. Spectre (Sam Mendes, 2015)

Conclusioni. Il Bond del nuovo Millennio……….p. 91

Riferimenti bibliografici……….p. 95 Filmografia……….p. 97

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3 Introduzione

La tesi sul cinema che andrò ad esporre riguarda i concetti di ripetizione e serialità e nozioni quali remake, autoremake, saga, serie, e tanti altri. Concetti e termini che sono molto attuali (basti guardare ai recenti film in programma nelle sale cinematografiche quali Blade Runner 2049, Star Wars: Gli Ultimi Jedi, IT...) ma che in realtà ritroviamo, in buona parte, già a partire dalla nascita del cinema. Questo infatti, fin da subito ci ha abituati alla pratica della ripetizione, del rifacimento e del riuso di storie e personaggi già esistenti, spesso presi dalla letteratura e dal teatro, ma anche dal cinema stesso. E, come sappiamo, pratica ancora corrente è quella di dare un seguito a un film di successo, riprendere formule vincenti e riempire gli schermi di citazioni.

Attraverso un’accurata riflessione andrò quindi a considerare nella prima parte della tesi questi fenomeni di ripetizione e serialità, che hanno avuto la meglio su unicità e individualità. Attraverso la ripetizione lo spettatore sa cosa succederà, ma vuole che la storia gli venga raccontata ancora, vuole ritrovare elementi comuni nelle storie di cui fruisce, presenta il desiderio di vedere e rivedere le stesse immagini anche se in realtà devono contenere in sé anche qualcosa di nuovo. Il fascino del “già visto” va di moda e rende! La serializzazione inoltre tiene aperta la possibilità di realizzare prequel, sequel e spin-off orchestrando un mondo diegetico durevole, che resiste al di fuori dello spazio dello schermo, persistente e resiliente.

Ripetizione e serialità insomma rispondono al bisogno infantile di riudire sempre la stessa storia, lo spettatore è allora il fanciullo che vuole sentirsi coccolato dal

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4 ritorno dell’uguale, ma non identico; si tratta di un gioco di attese, anticipazioni e sorprese.

Nella seconda parte analizzerò poi più nello specifico il caso di James Bond, protagonista di una delle serie più famose della storia del cinema, una serie di spionaggio ispirata dai romanzi dello scrittore Ian Fleming, una delle più longeve fra quelle tuttora in atto e che vanta il record di essere l’unica ad aver avuto, nella sua storia, una continuità sostanziale di uscita (la pausa maggiore è stata di 6 anni) delle pellicole, che per adesso sono 24. È già stata infatti annunciata l’uscita del venticinquesimo capitolo della serie nel novembre del 2019.

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5 CAPITOLO 1

RIPETIZIONE, SERIALITA’ E DILATAZIONE: TRE CONCETTI GENERALI

La linea di tendenza che si affaccia nel cinema contemporaneo è ormai chiara: il declino dell’unicità e della singolarità a favore di ripetizione, serialità e dilatazione. Questi fenomeni, in realtà, provengono da lontano e non fanno riferimento solo al cinema: li ritroviamo nei comportamenti quotidiani, sempre eguali e in fila come il passar delle giornate; nelle routines produttive, raccolte attorno ai medesimi gesti e alle stesse scansioni; nei momenti di rito, in cui c’è il ritorno di una memoria e il rinnovarsi di un evento; nel paesaggio urbano, con la reiterazione dei profili e l’ordine lineare dei quartieri.

Ripetizione e serialità inoltre, si rivelano già nella struttura archetipica del fort-da; nell’insistenza del bambino sulla stessa fiaba e nelle sue varianti; nell’assunzione, nella famiglia, nella scuola, sul lavoro, di ritmi stabili e di successioni regolari; nel calendario astronomico e nella vita civile.1 Senza contare il particolare settore della comunicazione e dell’arte dove, per esempio, questi fenomeni si manifestano nella ridondanza e nella ricorsività: nella letteratura, nel ciclo epico e nella saga familiare; nel teatro, nel riadattamento e nella replica; nella pittura, nel richiamo iconografico.

Il racconto stesso fa leva su ripetizione, serialità e dilatazione: ogni storia tende ad assomigliare ad altre storie. Ogni storia è pronta a proseguire in avanti e all’indietro.

1 F. Casetti, L’immagine al plurale. Serialità e ripetizione nel cinema e nella televisione, Venezia,

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6 Alla base di questi fenomeni sta, però, non solo la cultura popolare del racconto, ma anche quella della produzione industriale (e del consumo) applicata agli oggetti culturali, contro il retaggio dell’estetica romantica che valorizza l’unico e l’irripetibile come spinta uguale e contraria.2

1.1. La ripetizione

Se si apre un dizionario corrente, si trova che per “ripetere” si intende ridire o rifare la stessa cosa, produrre una replica dello stesso tipo astratto. In tale senso “la stessa cosa” di un’altra è quella che esibisce le stesse proprietà.

La ripetizione è un concetto che non riguarda, come già accennato, in esclusiva il cinema, bensì è una categoria centrale nella teoria e nella pratica contemporanee che attraversa il teatro, la letteratura, le arti figurative, il design, la moda e la musica, riguardo alla quale per esempio sappiamo che molti compositori illustri hanno costruito suite su schemi fissi con inserimento di melodie popolari già note. La ripetizione ha inoltre dominato la letteratura antica ed è arrivata fino a quella rinascimentale: schemi, motivi, situazioni e personaggi si ritrovano nelle farse medievali e nelle sacre rappresentazioni, nella lirica provenzale e nella poesia petrarchesca, nella novellistica tra Tre e Cinquecento, nella poesia barocca e arcadica, nel romanzo del Seicento e del Settecento.

La ridondanza e il riciclo sono quindi già vincenti in letteratura con il ciclo epico e la saga familiare, in pittura con il richiamo iconografico e l’uso del dejà vu, in teatro con il riadattamento e la replica.

2 N. Dusi, L. Spaziante (a cura di), Remix-Remake. Pratiche di replicabilità, Roma, Maltemi

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7 Il critico d’arte si è per esempio subito reso conto che la stessa Madonna è stata rifatta cento volte nel rinascimento e mille nel periodo barocco, e che nessuno giudica la seconda o la terza o la millesima immagine inferiore alla prima per motivi di precedenza cronologica,3 senza dimenticare che tanti pittori hanno fatto remake di grandi artisti del passato, basti pensare ai baffi della gioconda di Marcel Duchamp o alla pop art.

Per quanto riguarda il teatro invece, questo offre numerosissimi punti di riflessione, anche perché la non unicità, l’instabilità sono connaturate all’atto teatrale stesso, alla singola messa in scena, difficilmente riproducibile in modo identico. Lo spettacolo è indissolubilmente legato alla variabilità del contesto pragmatico e dei riceventi soprattutto, dunque a quel complesso ed imprevedibile gioco che si esprime come scambio di battute comunicative, che fanno dell’occorrenza teatrale un evento sempre unico e contestualmente non perfettamente riproducibile. Riassumendo, lo spettacolo teatrale di ogni sera è un originale, un’opera autentica, frutto dell’interazione fra il testo, il regista, gli attori e il pubblico.

Partendo dal teatro medievale inglese, per esempio, è possibile cogliere una prima, precoce manifestazione di interessanti tecniche di adattamento nei Miracle plays, i cicli drammatici che durante Tre e Quattrocento, in occasione di specifiche festività religiose proponevano la rappresentazione della Sacra Scrittura, dove venivano rappresentati, sui pegeants (carri allestiti dalle corporazioni), di anno in anno gli stessi identici episodi, dalla caduta di Lucifero

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8 al giudizio universale,4 o ancora più avanti, nella commedia dell’arte, che affidava agli attori le variazioni sui personaggi senza modificare il canovaccio.

L’estetica moderna è ben consapevole di tutto ciò, eppure continua a giudicare severamente questi prodotti etichettandoli come espressione di arti minori: prodotti belli, ma che comunque riproducono una matrice.

A partire dal Romanticismo muta infatti il criterio di valutazione dell’opera, ora apprezzata per la sua novità, originalità, dissomiglianza rispetto alle altre; il senso comune vuole che la ripetitività sia considerata al polo opposto dell’originale e dell’artisticità: l’opera d’arte è tale quando è irripetibile e se ci poniamo oggi il problema del ripetitivo è perché siamo figli di una civiltà che ci ha detto più volte che i prodotti “creativi” sono tanto più interessanti quanto più sono originali. Omar Calabrese reputa che un atteggiamento di questo tipo sia nello stesso tempo sorpassato e inadeguato ai fenomeni della produzione di oggetti estetici dei giorni nostri. Sorpassato perché l’atteggiamento di idealizzazione dell’unicità dell’opera d’arte è stato senza dubbio travolto dalle pratiche contemporanee, che già dagli anni Sessanta con l’invenzione dei multipli, davano il colpo di grazia al mito dell’originale. Inadeguato perché il preconcetto di valore impedisce di riconoscere in alcuni prodotti contemporanei la nascita di una nuova estetica, appunto una estetica della ripetizione.5

Sono ripetizioni per Calabrese i proseguimenti delle avventure di un personaggio, i ricorsi di storie analoghe e strutturalmente identiche come le sceneggiature-tipo,

4 M. Sestito, Instancabili imitatori: il teatro inglese del Seicento, in A. Antonini (a cura di), Il film

e i suoi multipli, Atti del IX Convegno Internazionale di Studi sul Cinema (Udine 20-23 marzo

2002), Udine, Forum, 2003, pp. 229-236.

5 O. Calabrese, L’estetica della ripetizione nella fiction televisiva, in V. Innocenti e G. Pescatore (a

cura di), Le nuove forme della serialità televisiva. Storia, linguaggio e temi, Bologna, ArchetipoLibri, 2008.

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9 i calchi come i B-western o i B-warrior, i fenomeni di citazione, le riapparizioni di frammenti standard come il vecchio villaggio texano, il saloon, l’astronave, e così via.

La ripetitività che ci interessa prendere in considerazione, riguarda qualcosa che a prima vista non appare uguale a qualcosa d’altro. La ripetizione in realtà è come un ritorno di qualcosa che è insieme simile e diverso da quanto l’ha preceduto; dunque non come una riproposizione dell’identico ma come una nuova occorrenza che mescola richiamo e originalità.6 Il piacere consiste non solo nel ritorno del noto ma anche nella percezione delle differenze risultanti dalla ripetizione.

Umberto Eco ricostruisce una generale tipologia dei meccanismi della ripetizione, (di cui la serialità è parte, ma che analizzerò separatamente), e individua alcuni casi in cui qualcosa ci si presenta solo in apparenza come originale e diverso, mentre avvertiamo che esso in qualche modo ripete ciò che già conoscevamo:7

 La Ripresa

Un primo tipo di ripetizione è la ripresa di un tema di successo ovvero la continuazione. La ripresa nasce da una decisione commerciale, ed è puramente occasionale che il secondo episodio sia migliore o peggiore del primo. Può essere fatta sia con candore che con ironia. L’esempio più famoso è il Vent’anni dopo di Dumas e nel campo cinematografico sono le varie riprese di archetipi come Guerre stellari o Superman.

6 F. Casetti, L’immagine al plurale, cit., p. 5. 7 Ibidem.

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10  Il Ricalco

Il ricalco consiste nel riformulare, di solito senza renderne edotto il consumatore, una storia di successo. Quasi tutti i western commerciali di prima maniera erano ciascuno il ricalco di opere precedenti, o forse tutti insieme una serie di ricalchi da un archetipo di successo.

Anche il ricalco può avere intenzioni ironiche (basti citare l’esempio dei western di Leone), ma anche di omaggio e riscoperta.

Una sorta di ricalco esplicito e denunciato come tale è il remake, che analizzerò più avanti.

 La Saga

La saga è una successione di eventi, apparentemente sempre nuovi, che interessano il decorso storico di un personaggio e meglio ancora di

una genealogia di personaggi (nella saga i personaggi invecchiano). La saga può essere a linea continua (il personaggio seguito dalla nascita alla morte, poi suo figlio, poi suo nipote e così via, potenzialmente all’infinito) o ad albero (il personaggio capostipite e le varie diramazioni narrative che riguardano non solo i discendenti, ma anche i collaterali e gli affini).

La saga in realtà è poi in effetti una serie mascherata: in essa, a differenza della serie, i personaggi cambiano (cambiano in quanto si sostituiscono gli uni agli altri e in quanto invecchiano): ma in realtà essa ripete, in forma storicizzata, celebrando in apparenza il consumo

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11 del tempo, la stessa storia, e rivela all’analisi una fondamentale astoricità e atemporalità.

 Dialogismo intertestuale

Per quanto riguarda il dialogismo intertestuale si prende in considerazione il fenomeno della citazione.

Quando la citazione è inafferrabile per l’utente e addirittura è prodotta inconsciamente dall’autore, siamo nella dinamica normale della creazione artistica: si riecheggiano i propri maestri. Quando la citazione deve essere inafferrabile dall’utente ma l’autore ne è cosciente, siamo di solito di fronte a un caso banale di plagio.

Più interessante è quando la citazione è esplicita e cosciente: siamo allora prossimi o alla parodia, o all’omaggio.

Abbiamo quindi testi che citano altri testi, e la conoscenza dei testi precedenti è presupposto necessario per l’apprezzamento del testo in esame, lo spettatore, per godere l’allusione, deve conoscere i “luoghi” originali.

A conclusione di queste osservazioni, possiamo riassumere dicendo che ciascuno dei tipi di ripetizione che abbiamo esaminato non è limitato solo al cinema e ai mass media, ma appartiene di diritto alla intera storia della creatività artistica: il plagio, la citazione, la parodia, la ripresa ironica, sono tipici di tutta la tradizione artistico-letteraria; il concetto di originalità assoluta, rispetto alle opere precedenti, è concetto contemporaneo, nato appunto con il romanticismo e in via di sparizione

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12 già con le avanguardie storiche che hanno messo in crisi questa idea. Senza contare il fatto che nel cinema, come negli altri strumenti di comunicazione ed espressione, la percezione e la comprensione si fondano anche, per non dire prevalentemente, sulla memoria del fruitore e sull’organizzazione del suo impatto con il materiale significante nel corso del tempo.

1.2. La Serialità

Si può definire serie ogni qualsiasi complesso di finzione che utilizzi strutture narrative ricorrenti per portare sulla scena personaggi identici in situazioni poco variabili.8

Il fenomeno della serializzazione della narrativa risale al XIX secolo ed è strettamente collegato a quella che Walter Benjamin chiamò “l’epoca della riproducibilità tecnica”, in quanto una particolare forma di organizzazione economica e tecnologica, di tipo capitalistico e industriale, trovò nella serie la sua espressione retorica e semiologica più diretta. È infatti luogo comune attribuire la nascita della serialità all’epoca del macchinismo: fra fine Ottocento e inizio Novecento infatti, l’affermarsi dei processi di industrializzazione, fanno sì che nella produzione in serie si collochi l’espressione più rappresentativa di queste dinamiche.9

È la narrativa a puntate a costituire un primo cruciale passo verso l’istituzionalizzazione delle forme narrative di tipo seriale: la serialità la ritroviamo infatti negli anni Quaranta e Cinquanta dell’Ottocento, quando vennero

8 P. Sorlin, Fanno le case tutte uguali. Riflessioni sulla serialità quotidiana, in F. Casetti (a cura

di), L’immagine al plurale, Venezia, Marsilio, 1984, pp., 51-62.

9 V. Innocenti e G. Pescatore, Le nuove forme della serialità televisiva. Storia, linguaggio e temi,

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13 alla ribalta in Inghilterra e Francia i romanzi a puntate (Dickens, Eugene Sue) ed è evidente che questo fenomeno coincise con un enorme aumento della diffusione della stampa quotidiana e periodica, grazie all’introduzione di sistemi di stampa a basso costo e dalla possibilità di assicurare una circolazione rapida.10

Non vi è quindi dubbio che a partire dalla stampa in avanti, le macchine abbiano causato e sviluppato all’estremo grado la produzione in serie.

Alla letteratura si affianca poi anche il fumetto, la cui nascita viene fatta risalire al 1895 (praticamente in contemporanea con il cinema), quando su un supplemento domenicale del quotidiano New York World esordisce il personaggio illustrato Yellow Kid, che basa la sua fortuna e il suo fascino proprio sul processo di serializzazione e che fa della frammentazione il suo carattere espressivo.11

La produzione in serie inoltre, muove certamente da ragioni economiche: il prodotto culturale deve la propria esistenza e sopravvivenza alla capacità di incontrare il gusto del pubblico e, una volta intercettato quest’ultimo, è sensato cercare di mantenervi un contatto; la serialità è quindi intesa anche come la capacità di sfruttare un personaggio o una storia che già abbiano riscosso successo.

Ci si accorge molto presto che la serializzazione, la parcellizzazione in piccoli frammenti uguali fra loro non nel contenuto, ma nel formato, mantengono vivi l’interesse e la curiosità di sapere cosa succederà dopo, accrescendo l’attaccamento, l’affezione alla storia e moltiplicando in maniera esponenziale il

10 T. Elsaesser, Serialità e circostante produttive. Alcune considerazioni sull’economico e il

testuale nel cinema e nella televisione, in F. Casetti (a cura di), L’immagine al plurale, Venezia,

Marsilio, 1984, pp., 145-162.

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14 consumo del supporto che la contiene, sia esso giornale, cinema, radio, televisione ecc.

La serie infatti tende a mantenere il racconto in piedi e non concluso il più a lungo possibile, facendo credere allo spettatore che vi siano un numero infinito di vicende che possono verificarsi.

Personaggi e situazioni che fanno presa sul pubblico sono, infine, in grado di migrare con naturalezza da un medium all’altro.

L’industria dell’audiovisivo ha inoltre, da sempre, attuato processi di serializzazione.

Da un lato la serialità sembra essere inscritta nelle caratteristiche stesse del mezzo, cinematografico prima e televisivo poi: il flusso di fotogrammi, la molteplicità insita nella riproducibilità dell’immagine e in quella delle copie che circolano, teoricamente infinita.12

Dall’altro lato, la serialità diventa ben presto, nella storia del cinema, un importante meccanismo narrativo, che dà vita a una stagione importante, quale quella del serial, e che mantiene comunque il suo influsso fino al cinema contemporaneo.

Con la serie vera e propria abbiamo un fenomeno ben diverso da quello della ripetizione: mentre nel caso della ripetizione abbiamo a che fare con il ritorno o il riutilizzo di elementi già dati o conosciuti, nel caso della serialità abbiamo invece una successione di oggetti: mentre una classe di oggetti ripetitivi forma una famiglia o un gruppo, una classe di oggetti seriali forma una collana o una enumerazione.

12 A. Gaudreault, Dal semplice al multiplo o il cinema come serie di serie, in A. Antonini (a cura

di), Il film e i suoi multipli, Atti del IX Convegno Internazionale di Studi sul Cinema (Udine 20-23 marzo 2002), Udine, Forum, 2003, p. 29.

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15 Anzitutto la serie riguarda da vicino ed esclusivamente la struttura narrativa: abbiamo una situazione fissa e un certo numero di personaggi principali altrettanto fissi, intorno ai quali ruotano dei personaggi secondari che mutano, proprio per dare l’impressione che la storia seguente sia diversa da quella precedente.13

Il seguito riprende le avventure precedenti e, abitualmente, gli si dà il titolo del suo predecessore seguito da un numero romano. Inoltre è possibile distinguere fra una serie a episodi concatenati, ove ogni volta si riprende il filo dell’intreccio, e una serie ove gli episodi sono staccati e indipendenti, in sostanza autonomi.

Nella serie l’utente crede di godere della novità della storia (che è fondamentalmente sempre la stessa), mentre di fatto gode per il ricorrere di uno schema narrativo costante ed è soddisfatto nel ritrovare un personaggio noto, con i propri tic, le proprie frasi fatte, le proprie tecniche di soluzione di problemi… Ecco allora che, anche la serie, in tal senso, risponde al bisogno infantile di riudire sempre la stessa storia, di trovarsi consolati dal ritorno dell’identico, opportunamente mascherato e fasciato di novità superficiali; la serie consola l’utente perché premia le sue capacità previsionali: lo spettatore è felice perché si scopre capace di indovinare ciò che accadrà e perché gusta il ritorno dell’atteso. La serialità sembra quindi resa possibile dalla presenza di una successione, da un processo di enumerazione, dal formarsi di una qualche lista: sullo sfondo di un gioco di richiami, le occorrenze si mettono letteralmente in fila.

Dunque c’è ancora della ripetizione, magari in veste debole, ma essa funziona come semplice prerequisito di una dislocazione lineare; c’è un ritorno del

13 U. Eco, Tipologia della ripetizione, in F. Casetti (a cura di), L’immagine al plurale, Venezia,

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16 medesimo, o almeno di qualcosa che ha la stessa aria di famiglia, ma c’è soprattutto il crearsi di un gruppo omogeneo, di una collezione di casi.14

La difficoltà delle serie sta nel riprendere il filo di un discorso che sembrava concluso; i seguiti hanno la pretesa di dire l’ultima parola in modo più o meno categorico su una vicenda che inopinatamente rivela nuovi sbocchi, come se la mancata conclusione della storia precedente fosse involontaria.

Parte dell’attrazione che esercitano questo genere di storie, infatti è costituita dalla scoperta della non intenzionalità di certi risvolti, che d’un tratto sono ripresi e chiariti.

Umberto Eco aveva poi trovato una variazione della serie nella struttura a flashback: si veda a esempio la situazione di alcune storie dove il personaggio non è seguito lungo il corso lineare della propria esistenza, ma continuamente ritrovato in momenti diversi della sua vita, ossessivamente rivisitata per scoprirvi nuove occasioni narrative. Sembra quasi che esse fossero prima sfuggite al narratore e che costui adesso si accinga a ripescarle. La loro rivelazione non altera peraltro la fisionomia del personaggio, già fissata una volta per tutte. La figura topologica di questo sottotipo di serie viene definita loop.

Le serie a loop vengono di solito escogitate per ragioni commerciali: si tratta di ovviare al naturale problema dell’invecchiamento del personaggio, e al fine di fargli sopportare nuove avventure lo si fa rivivere continuamente all’indietro. Questa soluzione può però produrre paradossi che sono poi oggetto di innumerevoli parodie: il personaggio ha poco futuro ma ha un passato enorme.15

14 F. Casetti, L’immagine al plurale, cit., p. 5. 15 U. Eco, Tipologia della ripetizione, cit., p. 15.

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17 Guglielmo Pescatore, all’interno di uno dei saggi ricavati dagli atti del convegno di Udine, afferma che il concetto stesso di genere gode di uno statuto seriale e riporta il pensiero di Rick Altman, secondo il quale un genere nasce attraverso la specificazione di un genere preesistente. Questa specificazione ha la forma di una aggettivazione del genere di partenza (ad esempio da commedia a commedia musicale), che completa il processo di generificazione costituendo un nuovo genere. Se si prova ad applicare al modello di Altman i criteri relativi alla questione della serialità, ci si trova con una sequenza del tipo ripetizione, serie, nuova ripetizione. Abbiamo infatti un genere di partenza che si struttura attraverso la ripetizione delle caratteristiche di genere, una successiva specificazione del genere, secondo le modalità dell’aggettivazione che dà luogo a qualcosa che potremmo definire come un ciclo, ossia una struttura seriale.

Secondo Altman il genere è un progetto, una formula che determina gli schemi di produzione dell’industria dell’audiovisivo, e una struttura formale su cui poi si basano i singoli prodotti, funziona come un’etichetta che influenza le scelte e le strategie dei distributori e delle sale. La serialità sembra quindi componente necessaria alla costituzione di un genere.

1.3. La dilatazione

La dilatazione indica una sorta di ipertrofia degli elementi ricorrenti o serializzati, la loro necessità di occupare il massimo dello spazio raggiungibile: gli elementi vengono tenuti il più a lungo possibile, procrastinandone continuamente la fine, esorcizzandone l’esaurimento.

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18 Non si tratta solo del numero delle occorrenze necessarie per costruire una fila, né dalla frequenza con cui esse ritornano; la particolarità è piuttosto un’altra, e cioè l’ipertrofia cui ogni elemento è costretto. 16

Abbiamo insomma un’occupazione ad oltranza del tempo e dello spazio, che rappresenta sia un effetto di ridondanza sia un processo di valorizzazione.

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19 CAPITOLO 2

RIPETIZIONE E CINEMA

2.1. La ripetizione e il cinema degli esordi: adattamenti e rifacimenti tecnici

Fin dalla nascita delle lanterne magiche i soggetti di questi spettacoli si erano immediatamente imitati a vicenda. Non appena apparvero le prime vedute dei fratelli Lumière tutti si diedero da fare per plagiarle, dimostrando fin dal principio che il rifacimento è affare connaturato al cinema. Una volta individuato un prototipo di successo, è remunerativo ripeterlo in fretta e tutte le volte che lo si ritiene necessario. Lo stesso treno dei Lumière che tanto aveva spaventato il pubblico, fu subito riproposto negli Stati Uniti nella versione di Dickson, che andò a riprendere un treno in una curva dei binari rendendolo ancora più impressionante.17 Si metteva in chiaro un secondo principio del cinema: accompagnare il rifacimento con miglioramenti tecnici e aggiunta di effetti.

Il cinema muto, oltre che un grande ripetitore di successi, si dimostrò anche un abile saccheggiatore dei classici della letteratura e del teatro. Oltre alla Passione e alla Vita di Cristo, di cui vi furono nuove versioni praticamente ogni anno, tra il 1899 e il 1904, furono rappresentati sugli schermi: Faust, L’assassinio del duca di Guisa, Guglielmo Tell, Cenerentola, Giovanna d’Arco, Sansone e Dalila, Don Chisciotte, Il barbiere di Siviglia e moltissimi altri.

Se questi film presi in considerazione sono quasi esclusivamente di produzione francese, a partire dal 1908 anche gli Stati Uniti cominciano a darsi da fare con Salomè, Macbeth, Romeo e Giulietta, e poi anche l’Italia con Amleto, I tre

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moschettieri…18

Europeo o americano, comunque, questo genere di film si nutre essenzialmente di sorgenti come la Bibbia e la romanità, due filoni che danno vita a spettacoli che condividono le stesse sontuose architetture, le immense folle e le ricorrenti battaglie spettacolari. Allo stesso modo i vari adattamenti dalle sceneggiature di Shakespeare, con più di 400 pellicole nel solo periodo muto, fra cui ritroviamo per esempio Hamlet prince de Danemark, pellicola di 10 minuti del 1907 di Méliès.

Anche dopo il primo decennio del Novecento continuano, a prevalere le realtà romanzesche e gli eroi popolari dalle vaghe radici storiche: ma tutto è arricchito dallo sfavillio della leggenda e del mito. Va anche sottolineata la proliferazione di banditi e mostri, accomunati dalla fuga o dall’identità segreta.

In mancanza di classici infatti, soprattutto gli americani, hanno abbondato di rifacimenti di Frankenstein, Dracula, Dr Jeckyll e Mr Hyde e naturalmente dei best seller d’avventura legati alla storia e alla mitologia del paese: Billy the Kid, Jesse James, The spoilers, Zorro.19 Si tratta più che altro però in questi casi del rifacimento di uno stesso soggetto con variazioni. Il fenomeno è comune a narrativa e cinema e consiste nel riutilizzo di un modello già codificato in cui si inseriscono delle varianti.

Naturalmente in questa prima fase del cinema bisogna prendere in considerazione anche i rifacimenti tecnici: si rigirano con il sonoro le versioni mute, l’avvento del sonoro è l’occasione propizia per rivisitare molti prodotti spettacolari del periodo muto.

18 P. Piemontese, Remake, p. 24. 19 Ivi, p. 46.

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21 Si può per esempio riportare il film Prix de beauté (Augusto Genina, Francia, 1930), di cui, essendo uno dei primi film completamente parlati e tra i primi tentativi di doppiaggio, sono state realizzate due edizioni, una muta e una sonora, e quattro versioni: francese, italiana, inglese e tedesca. Girato nel 1929 e presentato nel 1930, appartiene a quella categoria ristretta di film concepiti e realizzati nella doppia forma del film muto e sonoro di cui fanno parte anche i più celebri Lonesome di Paul Fejòs (1928) e Blackmail di Alfred Hitchcock (1929). 20 Accade così che di questi film esistono due edizioni legittime: solitamente quella sonora per le grandi sale e i circuiti più importanti e quella muta per i cinema più piccoli e periferici.

Le diverse edizioni inoltre presentano numerose varianti riguardanti le inquadrature, il montaggio, l’eliminazione di alcune scene ecc.

Dopo la definitiva adozione del sonoro, poi, il grande problema dei produttori americani era quello di non perdere il mercato europeo. Sappiamo che The jazz singer (1927) venne presentato in Italia in una versione manipolata: erano state inserite didascalie italiane e quindi erano stati tagliati i corrispondenti metri di scena in modo da non perdere il sincronismo con i dischi. Pratica deprecata dalla critica e presto aborrita anche dal pubblico.21 La soluzione migliore era sembrata quella delle doppie versioni: ad esempio da Hollywood vennero allestite le edizioni italiane di The Big Trail (1930) di Raul Walsh, divenuto Il grande sentiero; e di Men of the North (1930) di Hal Roach, tradotto come Luigi la volpe. Non era un sistema molto economico, in quanto un film veniva completamente

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D. Pozzi, Prix de beauté: un titolo, due edizioni, quattro versioni, in A. Antonini(a cura di), Il

film e i suoi multipli, Atti del IX Convegno Internazionale di Studi sul Cinema (Udine 20-23

marzo 2002), Udine, Forum, 2003, pp. 67-68.

21 R. Redi, La fabbrica dei multipli: Joinville, in A. Antonini (a cura di), Il film e i suoi multipli,

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22 rigirato e solo le scene e i costumi potevano essere riutilizzati, ma era una soluzione che case come la Metro Goldwin Mayer e la Paramount ritennero praticabile. Soprattutto quest’ultima decise di rigirare in Europa le versioni destinate al vecchio continente. Già dal 1932 comunque tutti i paesi europei adottarono il doppiaggio.

2.2. Il remake e l’autoremake

Partendo dalla definizione di base che ci viene fornita da qualunque dizionario italiano, il remake è una “nuova versione o rifacimento di un vecchio film di successo”; in senso restrittivo, per remake vero e proprio dovrebbe quindi intendersi il rifacimento di un film, che non abbia origini extra-cinematografiche, a partire dalla sua sceneggiatura.

A lungo infatti, sono rimasti esclusi per una parte degli studiosi, i remake cinematografici legati a opere di origine letteraria e teatrale, per i quali si preferisce parlare di “riadattamenti” o di “nuove versioni”,dal momento che è il libro di partenza ad essere considerato la fonte del nuovo film.

Un remake è sostanzialmente il rifacimento di un film di cui a distanza di tempo intende riprendere le caratteristiche emotive e spettacolari e, possibilmente, il successo, puntando soprattutto su nuove tecniche, su interpreti di richiamo, su dialoghi aggiornati, con variazioni che possono riguardare essenzialmente gli attori, le ambientazioni, le situazioni minori, gli elementi insomma che non influenzano direttamente lo sviluppo drammaturgico della vicenda; oppure il

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23 rifacimento che si propone sostanzialmente di utilizzare la struttura narrativa dell’opera precedente, anche poco famosa.22

Il primo film diventa punto di partenza del secondo, sul quale si tessono e si incrementano connotazioni e si operano variazioni.

Il remake dunque può essere più o meno fedele all’originale: si può appunto cambiare l’ambientazione, qualche personaggio, attualizzare la trama. Tutto ciò a seconda delle esigenze che possono essere diverse da quelle del film originale. In ogni caso il remake apporta, rispetto al film di partenza, qualcosa di nuovo, visibile e percepibile per lo spettatore, un nuovo sguardo sul soggetto e non di rado un nuovo sistema ritmico. Solitamente maggiore è la distanza fra due pellicole, maggiori sono le differenze.

Spesso poi si sente parlare di imitazione di un “prototipo”, quando invece sappiamo appunto che le versioni successive di un film tendono piuttosto a differenziarsi dal modello; definizioni restrittive sono quindi quelle di “copia” dell’originale, di “calco”, le quali risentono dell’idea di unicità di un testo artistico posto come fonte: in effetti, invece, più spesso il nuovo film si aggiunge all’originale e vi convive. Gli stessi modi di produzione dell’era della riproducibilità tecnica, impongono un consumo che risulta un continuo processo di sostituzione.

I remakes sono innumerevoli: vi sono quelli rifatti scena per scena, The prisoners of Zenda di Thorpe (1952), riprende filologicamente quello di Cromwell del 1937, altri casi in cui l’ambientazione e il genere vengono totalmente trasformati:

22 P. Piemontese, Remake, cit., p.19.

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24 Giungla d’asfalto di Huston, del 1950, viene riproposto qualche anno dopo come western in Gli uomini della terra selvaggia di Daves del 1958.

Esistono versioni musical di una storia già filmata, oppure film che la rinarrano da un’altra prospettiva. 23

Per comprendere i meccanismi di replicabilità, molto utile è la tipologia proposta da M.W. Bruno, che distingue tra:

 Remake americani di altre cinematografie (perlopiù europee)

 Remake autoriali di film autoriali (come nel caso limite di del remake integrale dello Psyco di Van Sant)

 Remake autoriali di film di genere  Remake di genere di film di genere

Per quanto riguarda la prima tipologia viene portato l’esempio di Su e giù per Beverly Hills (P. Mazursky, 1986) che recupera nientemeno che il film di Jean Renoir, Boudu salvato dalle acque (1932). Bruno definisce la pratica uno Swich, quando tenendo la struttura attenziale si modificano epoca e luogo geografico, ma non di rado anche l’impianto ideologico.

È così per La jetèe di Marker (1963) che diventa L’esercito delle 12 scimmie di Gilliam (1995), o per Fino all’ultimo respiro di Godard (1959), che si trasforma in All’ultimo respiro di McBride (1983). Si tratta insomma di remake espliciti ma nascosti, poiché la sceneggiatura di un film precedente si cita solo nei titoli di testa.

23 N. Dusi, L. Spaziante (a cura di), Remix-Remake. Pratiche di replicabilità, Roma, Maltemi

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25 Sono invece remake espliciti solo i film con il titolo uguale a quello del film preso come testo di partenza.24

Dal punto di vista della struttura, il remake privilegia il “film narrativo”, dotato di una storia solidamente costruita e facilmente riconoscibile. Opera volentieri riscritture di film di genere o reinterpretazioni di uno stesso mito, come accade nei film di “cappa e spada” o nell’epica western.

Il genere cinematografico maggiormente sottoposto a remake è quello fantascientifico, e frequenti sono anche i remake dei filoni horror e fantastico; le motivazioni vanno ricercate principalmente nella continua evoluzione delle

tecnologie degli effetti speciali utilizzati per rendere più spettacolari le scene. Vi sono comunque frequenti rifacimenti anche nel genere della commedia, dove

l’intenzione è quella di riprodurre la stessa storia contestualizzata in un ambiente socioculturale più vicino, temporalmente e geograficamente, al pubblico che vedrà il film. Ne sono un esempio i remake americani di commedie europee dove si sposta la vicenda in una ambientazione umana e sociale più tipicamente americana, come ad esempio il film I soliti ignoti (M. Monicelli, 1958) che diventa Crackers (L. Malle, 1984), dove gli scalcagnati rapinatori, fallita la rapina, anziché consolarsi con pasta e ceci finiscono a mangiare salmone, o ancora il film francese Tre uomini e una culla (C. Serreau, 1984) che diventa Tre scapoli e un bebè (L. Nimoy, 1987), dove la storia di droga in cui i francesi erano implicati viene trasformata completamente e i tre americani catturano i trafficanti e li consegnano alla polizia.25

24 Cit. p. 24.

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26 Se infatti fino agli anni Settanta, gli americani hanno cercato essenzialmente nel loro passato filmico le opere da remeccare, ora la smettono di rifare western, melodrammi, musical e film storico-spettacolari, e l’imperativo diventa economico: da quel momento si rifanno solo i film di successo.

Non appena un film ha successo Hollywood ne acquista i diritti, lo rigira sequenza per sequenza. La logica sottesa alla realizzazione dei remake è: se il pubblico ha amato un film, lo può amare di nuovo, se lo ha già visto lo può rivedere.

Alti costi e alto rischio fanno convergere i produttori sul già visto anziché rischiare sul nuovo. Siccome gli spettatori del cinema moderno si aspettano situazioni moderne dal cinema e vogliono ritrovare l’eco della loro quotidianità, ecco che nei remake di storie del passato si attualizzano le vicende.

Molto diffusa nel cinema è poi la pratica dell’autoremake: ovvero il rifacimento da parte di un autore di un suo stesso film.

Diverse sono le ragioni che nel corso della storia del cinema hanno spinto un regista a realizzare il remake di un suo film precedente.

Una prima ragione la si trova nell’evoluzione tecnologica che, specialmente in concomitanza d’innovazioni particolarmente significative come il passaggio dal muto al sonoro o dal bianco e nero al colore, ha spesso reso poco fruibili i film realizzati con la tecnologia precedente.

Un secondo motivo può essere la possibilità di girare il film con più mezzi, potendo accedere a produzioni più importanti, solo dopo il successo ottenuto da un primo film di produzione indipendente o comunque a basso costo.

Un altra motivazione la si ritrova nel fatto che in alcuni casi, con il trascorrere del tempo e l’evoluzione della società, alcuni temi sono diventati accettabili quando

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27 in precedenza erano considerati passibili di censura, rendendo così possibile lo

sviluppo del soggetto del film in modo compiuto. La somiglianza fra il film originario e l’autoremake può essere di diversi livelli, a

partire da film rifatti identici scena per scena, come ad esempio i due Funny games (M. Haneke), con le stesse inquadrature e battute, fino a film che presentano notevoli differenze, come Una pallottola per Roy (R. Walsh, 1941) e Gli amanti della città sepolta (1949), in cui cambia addirittura il genere dei film: gangster il primo, western il secondo.26

L’operazione dell’autoremake può essere molto difficile: impone di staccarsi dalla propria creazione, di guardarla come se fosse un estranea, di eliminare, modificare e soprattutto di concepire qualcosa di nuovo.

Tra i primissimi protagonisti di questa operazione ritroviamo Griffith che, nel 1928, in un momento di crisi della sua carriera, tentò invano di risollevarsi facendo un remake di un film drammatico dei suoi anni d’oro La battaglia dei sessi (1914).

Quando l’autoremake ha riguardato film muti è appunto comprensibile il desiderio di veder parlare le proprie creazioni. È quanto succede per la Gerusalemme liberata di Enrico Guazzoni del 1911 che viene rifatto, sonorizzato, nel 1935. Per Un grande amore di Leo McCarey (1939), che diventa Un amore splendido (1957), si è trattato invece di una prova dell’autore per saggiare le proprie qualità di sceneggiatore e regista: aggiunge un terzo di dialoghi al nuovo film, che comunque racconta la stessa storia del precedente.

26 G. Ragni, Fatti e rifatti- L’autoremake al cinema, 15/07/2008,

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28 La struttura dei due film è praticamente identica, scena dopo scena, la differenza invece si fa notare sul piano formale: nel secondo film c’è un equilibrio particolare tra gli elementi drammatici e comici, che invece erano solo accennati nel primo.27

Le vie dell’autoremake cominciano a sfaccettarsi e accanto ai motivi puramente tecnici si affacciano motivazioni di altra portata. Tra i due film non c’è solo il tempo intercorso fra le due opere ma anche un pezzo di vita dell’autore, che può riguardare la maturazione di un progetto artistico o un improvviso rovescio di fortuna o ancora una sfortunata crisi creativa.

L’autoremake insomma può, connotarsi anche come incontenibile voglia di rifarsi, è l’occasione per rivedere, riscrivere, modificare la propria opera, è il desiderio di ribadirne l’attualità: il regista è allora portato ad utilizzare gli stilemi del cinema contemporaneo, ad aggiornare il più possibile linguaggio e stile del film, sfruttando le possibilità espressive e spettacolari offerte dal progredire della tecnica. Per esempio Leo McCarey rigirò nel 1957 Love affair del 1939 con il nuovo titolo An affair to remember nel passaggio dal bianco e nero al technicolor. L’autoremake inoltre, rendendo possibile il confronto tra due film accomunati da soggetto e regista, permette di far emergere le mutate condizioni esterne che hanno vincolato la realizzazione del film, quali la situazione sociale e politica. Camerini per esempio si avvalse di questa possibilità nel rifacimento di Il cappello a tre punte, dove colse l’occasione per riproporre le scene amputate, e

27 P. Piemontese, Remake, cit., p.19.

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29 purtroppo distrutte dalla censura fascista del 1934 e per abbandonarsi anche, nella scena finale, ad una riflessione sulla corruzione ed il malgoverno italiani.28

Spesso gli autori, infine, rimettono le mani sui loro vecchi film a fine carriera, quasi che il tuffo del passato remoto sia dettato da una sorta di nostalgia per i bei tempi andati. È il caso per esempio di DeMille, che rigira nel 1956 I dieci comandamenti del 1923; a differenza della prima versione che era muta e divisa in due parti, una biblica e una moderna ambientata negli anni Venti, la nuova rifà solo la parte biblica e racconta l’intera esistenza di Mosè; e la rifà con il gusto del peplum, guadagnando in spettacolarità. O ancora è il caso di Frank Capra, che lo sfizio di chiudere la carriera con il remake di Signora per un giorno (1933) se l’è dovuto pagare sborsando 125mila dollari per acquistarne i diritti. Angeli con la pistola (1961) ne è la copia fedele, un omaggio di Capra a se stesso.

Entrambi inoltre come anche Hawks, Wegener, Camerini e tanti altri hanno fatto più volte uso dell’autoremake, si sono quindi cimentati più volte nel rifacimento di una propria opera. Camerini per esempio merita una menzione speciale perché nel dopoguerra è stato campione di remake: oltre a T’amerò per sempre (1933) rifatto con lo stesso titolo nel 1943, ha rifatto La bella mugnaia (1955) da Il cappello a tre punte (1934) e Io non vedo, tu non parli, lui non sente (1971) da Crimen (1960). Wegener addirittura ha per esempio rifatto ben tre volte Il golem, e in un intervallo di soli sei anni, anche se il record di velocità per l’instant autoremake va a Daniel Mann, che ha girato Addio signora Leslie (1954) a un anno di distanza.29

28 O. silvestrini, L’autoremake e il cinema di genere. Il caso Mario Camerini, in A. Antonini (a

cura di), il film e i suoi multipli, Udine, 2002, pp., 179-189.

29 P. Piemontese, Remake. Il cinema e la via dell’eterno ritorno, Roma, Castelvecchi, 2000,

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2.3. La citazione

Citare viene dal latino ciere (mettere in movimento, muovere) e si riferisce tanto all’oggetto prelevato che al suo innesto; dunque, indicare ma anche utilizzare come fonte di autorità.

È un’operazione intellettuale che sposta il contesto di un oggetto vecchio e definito, facendogli assumere un significato nuovo pur conservandogli la riconoscibilità. La citazione ripete un episodio, più o meno esplicitamente, fa il verso a un modo di narrare, può essere di molti tipi e il suo utilizzo comunicativo è estremamente differenziato nell’universo degli audiovisivi.

Quando è inafferrabile e prodotta inconsciamente dall’autore, si è nella normale creazione artistica in cui ritornano gli echi degli insegnamenti dei maestri. Quando l’autore agisce coscientemente, rendendo la citazione inafferrabile, si dà vita al plagio. Quando la citazione è esplicita e cosciente, si verificano la parodia o l’omaggio. La citazione offre dunque varie possibilità di utilizzo. Può essere costruttiva, e allora mette in moto un dinamismo e fa avanzare la produzione dei modelli e li innova; oppure può essere pura ripetizione, citazionismo, e si limita a riproporre i modelli di partenza e a stereotipizzarne i riferimenti comunicativi; infine, come fa il cinema postmoderno, può attualizzare il reperto del passato, verificando uno spostamento e dando vita a una deriva della storia. In questo modo immagini del passato e del presente interagiscono e si intrecciano in maniera indissolubile.

Insomma la citazione è un sofisticato scambio di testi, un gioco ironico e nostalgico.

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31 Attraverso la citazione si sfida lo spettatore a individuare il vecchio, a distinguerlo dal nuovo, e si finisce per avvalorare la sensazione che ogni scena sia citazione e cioè ripresa, rifacimento, riscrittura, riproposizione, ripetizione.

Il rimando di una parte di testo a un testo preesistente può essere generico, e dunque allusivo, ambiguo, o ancora la citazione risponde a precise finalità di tipo ironico, omaggistico.30 In ogni caso, lo spettatore è sfidato a individuare la citazione e a interpretarla. Ma il rinvio può essere anche virgolettato ed è allora immediatamente riconoscibile in quanto la memoria dello spettatore è chiamata in causa direttamente e in modo quasi automatico. La citazione virgolettata è il ricorso a un’autorità, quando nel film si cita un brano di un altro film, si mostra uno schermo o un televisore su cui scorrono le immagini citate. Altre volte l’intento può essere invece più malizioso e dunque il ricorso alla citazione virgolettata può anche servire parodie del cinema classico.

Infine, la citazione può riguardare un modo di fare cinema e dunque essere un omaggio oltre che a un film all’opera intera di un autore o addirittura a un genere o a un momento particolare della storia del cinema.

Con le citazioni viene riutilizzato il repertorio del cinema di tutte le epoche. Il film, da parte sua, ritorna sia su se stesso, esibendo un gran numero di schermi e televisori, che sulla storia-memoria del cinema, con appunto il ricorso alle citazioni.

Inizialmente la moda fu lanciata dai registi della Nouvelle Vague francese; i riferimenti spaziavano dalla citazione letterale di un frammento al remake di una scena celebre, dalla semplice menzione del nome di un regista o del titolo di un

30 P. Piemontese, Remake. Il cinema e la via dell’eterno ritorno, Roma, Castelvecchi, 2000,

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32 film alla parodia di un’intera opera riecheggiata. Poi la moda si era estesa ai giovani cineasti europei e americani.

Infine alcuni autori hanno realizzato film che ripetono lo stile di generi o maestri. Per esempio, Nel corso del tempo (1975) di Wim Wenders riprende i ritmi e la struttura dei road movies americani, ne ripropone i temi classici dell’amicizia virile e dell’assenza della donna, rivisita il cinema classico americano e gli fa omaggio.31

Altre volte questo tipo di citazione può essere meno centrale e, dunque quasi impalpabile, come è il caso di Toro scatenato (1982) di M. Scorsese, in cui il riferimento a Lana Turner de Il postino suona sempre due volte (T. Garnett, 1946) è evidente ma molto delicato. Infatti, l’attrice principale oltre ad assomigliare fisicamente alla protagonista dell’altro film, le copia anche l’abbigliamento, sempre immacolato, che diventa così una citazione diretta.32

Ma il più coinvolto di tutti è certo De Palma che costella i suoi film di citazioni del cinema del passato, in particolare tratte da Hitchcock, di cui resuscita alcune delle caratteristiche stilistiche più riconoscibili. Ne ripete per esempio la scena della doccia di Psyco (1960) in Vestito per uccidere (1980). Per non parlare di Woody Allen, di cui si potrebbe parlare di cinema pop art: già i suoi primi film sono colmi di battute e citazioni dei grandi film popolari, proprio come la pop art aveva fatto. Così Allen dopo aver resuscitato Bogart, l’idolo della sua generazione, ed esplorato l’universo chapliniano, approda a Fellini, del cui Otto e

mezzo (1963), Stardust memories (1980), è praticamente la versione in prosa. 33

31 P. Piemontese, Remake, cit., p. 19. 32 Ivi.

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33 La citazione allusione non si riferisce a un testo intero, ma solo a una sua porzione e spesso neppure ben precisa, oppure assume un modello attraverso una contaminazione che non ne permette l’identificazione: il passato, quindi, viene evocato solo per essere contraffatto, è un modello da imitare e contaminare alla luce di un atteggiamento di disincanto. Si tratta di una comunicazione che al nuovo preferisce la riproposizione del già noto, con un forte carico nostalgico mitizzante, colmo di rimandi generalizzati che giocano ironicamente con gli stereotipi del cinema classico e propongono allo spettatore la partecipazione al culto delle immagini o di situazioni note e santificate.

Pensiamo alla sequenza in cui Marilyn Monroe appare avvolta in uno scollato abito bianco e un getto d’aria, che fuoriesce dallo sfiatatoio della metropolitana, le solleva la gonna; il film è Quando la moglie è in vacanza (B. Wilder, 1955) e quell’immagine sarà da quel momento più volte citata e ripresa per esempio nel 1976 nel film Certi piccolissimi peccati di Y. Robert e in seguito anche nel suo remake del 1984 di G. Wilder La signora in rosso; o ancora in un’altra occasione la scena è diventata un pretesto comico, ai limiti del grottesco. Ci riferiamo a Caruso Pascoski (F. Nuti, 1988), in cui una psicopatica si reca dal suo analista vestita e truccata come Marilyn nella celebre scena, ogni volta portandosi dietro un ventilatore sempre più grande.

Molto spesso, invece, la scena è riusata senza altro intento che non sia la sua semplice riproposizione, come avviene in Pulp fiction (Q. Tarantino, 1994), dove alcuni sosia di divi fanno coreografia nel locale dove la Thurman e Travolta ballano il twist. Anche la scena della carrozzina della Corazzata Potemkin (S.M. Ejzenstejn, 1925) difficilmente smetterà di rotolare per le scale. Woody Allen l’ha

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34 citata in Il dittatore dello stato libero di Bananas (1971); o ancora de Il secondo tragico Fantozzi (L. Salce, 1976) in una variazione grottesca, dove Fantozzi guida una rivolta e per punizione, per l’intera vita lavorativa, è costretto a travestirsi da neonato e a cadere con la carrozzina da una scalinata.34

La distanza dal modello citato può essere ironica rivisitazione di film che hanno fatto la storia del cinema. L’arrivèe d’un train en gare de La Ciociat (Lumière, 1895), con il treno che passa e spaventa gli spettatori, è stato usato parodisticamente da Godard in Les carabiniers (1963), quando un contadino che entra in stazione di fronte all’arrivo della locomotiva si protegge il viso in preda all’impressione che gli piombi addosso. Un ulteriore rovesciamento viene operato in Superfantozzi (N. Parenti, 1986). Di fronte al pubblico che all’arrivo del treno fugge terrorizzato, Fantozzi inneggia alla credulità generale e naturalmente viene travolto dalla locomotiva che “buca” lo schermo per piombargli addosso.35

I film presi di mira sono poi, di solito, quelli dell’ultima e penultima stagione, così la gente li ricorda bene e può apprezzarne il gioco nuova tendenza: la citazione ironica del topos. Esempio lampante lo possiamo ritrovare in ET (Spielberg, 1982): la creatura viene condotta in città e quando incontra qualcuno travestito da gnomo de L’impero colpisce ancora (I. Kershner, 1979) corre ad abbracciarlo. Qui lo spettatore, oltre a conoscere entrambi i film, deve sapere anche che le creature sono state create entrambe da Rimbaldi, che i registi dei due film sono collegati, deve insomma possedere non solo una conoscenza dei testi ma anche una conoscenza del mondo ovvero le circostanze esterne ai testi36.

34 P. Piemontese, Remake, cit., p. 19. 35 Ivi.

36 F. Casetti, L’immagine al plurale. Serialità e ripetizione nel cinema e nella televisione, Venezia,

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35 Certe situazioni inoltre poi si sono radicate e ritornano ossessivamente sugli schermi. Basti pensare alla situazione ricorrente della donna sola in casa, esposta a un pericolo invisibile e imminente: ebbene nei film si ripetono esattamente gli stessi gesti, inquadrature ed espressioni facciali. Dopo Psyco poi è stata la volta degli uomini con coltelli che sorprendono donne sotto la doccia.

I polizieschi non possono fare a meno degli inseguimenti in auto per le strade di San Francisco, delle auto aperte con il fil di ferro e messe in moto intrecciando i fili. Gli agenti segreti continuano a finire sempre nella tana del cattivo, gli rapiscono la donna, disinnescano la bomba sempre all’ultimo secondo.

Il vero eroe se spara a qualcuno lo colpisce sempre, lui invece, evita con facilità i colpi o viene salvato da medagliette, distintivi o ricordi vari. Nel western le situazioni ritornano costantemente con le stesse gestualità, meccanismi, topoi geografici; gli stereotipi riguardano i buoni e i cattivi: l’eroe ha sempre i capelli corti e la barba fatta mentre i cattivi hanno immancabilmente i baffi.37

Parlando di donne invece, nei film gangster sono sempre dozzinali, irragionevoli e cupide. Nel noir la donna tradisce sempre l’onestà maschile. Le bionde sono buone, le brune cattive e le rosse sensuali. Se è la moglie di un eroe, si provvede subito a farla massacrare per lasciare campo libero alle imprese di lui.

I film storici infine si trasmettono errori dall’uno all’altro: in principio furono le storie sulla Roma imperiale, dove non mancava mai un baccanale, feste imperiali con patrizi e schiave riversi sui triclini, con ghirlande e vino versato da coppe metalliche in coppe di vetro.

37 C. Gaberscek, L’uso del materiale di repertorio e il principio di ripetizione nel cinema western,

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36 CAPITOLO 3

SERIALITA’ E CINEMA

3.1. Il serial cinematografico

La serialità fa la sua comparsa all’interno del cinema fin dai primi decenni del Novecento. Fra il 1916 e il 1921, i film a puntate rappresentano un tentativo di creare delle storie più lunghe delle produzioni di una e due bobine cui il pubblico si era abituato, per valorizzare al massimo le potenzialità economiche insite nel rapido turn-over di pellicole fornite a catene di sale cinematografiche.

Il serial aveva una funzione istituzionale: “fidelizzare” lo spettatore a una particolare forma di spettacolo, creando la consuetudine a frequentare le sale, con una sorta di desiderio irrefrenabile di ripetere l’esperienza.38

Realizzato con budget ridottissimi e con tempi di produzione altrettanto ridotti, si afferma pressoché contemporaneamente in Francia e negli Stati Uniti, in un momento carico di trasformazioni significative: siamo nell’epoca della produzione industriale di massa, del taylorismo e del fordismo, il mercato è invaso da prodotti standardizzati di ogni tipo.

Il cinema cavalca questa onda di massificazione standardizzata: tutto è standardizzato nel serial e finalizzato alla massima resa economica.

Ogni singolo episodio è subordinato a regole ben precise e concepito come una successione di elementi standard, la durata è tassativamente di due rulli, il numero degli episodi diviene immediatamente standardizzato e non può assolutamente andare oltre tre opzioni (10, 12 o 15).

38 A. Galbiati, Il serial cinematografico degli anni Dieci: le serial queen, 16/07/2008,

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37 Nel cinema seriale tutto è prevedibile ed è orientato alla ricerca dell’appagamento massimo dello spettatore creando per lo più uno spazio convenzionalizzato nel quale questi si rifugia e per il quale sviluppa una “dipendenza”.

«In effetti, il modo di produzione dei serial è quanto di più vicino sia mai esistito in campo cinematografico a una rigida organizzazione fordista del lavoro».39

La produzione di serial conosce in Francia un momento di grande entusiasmo con i film prodotti, già nel primo decennio del Novecento, dalla Pathè e dalla Gaumont, mentre negli Stati Uniti il serial consolida la sua popolarità attraverso alcuni prodotti che hanno per protagoniste le donne. Donne che si trasformano in dive, incoraggiando lo sviluppo del divismo e provvedendo quindi a legare il prodotto cinematografico seriale al volto dell’attore.40

Il serial americano prevedeva usualmente una quindicina di puntate con scansione settimanale. In Europa invece avevano solitamente un numero minore di puntate e queste erano di durata variabile.41

Si trattava di film caratterizzati da una struttura episodica, in cui una story-line veniva portata avanti per numerose puntate.

La struttura dei singoli frammenti prevedeva l’interruzione del racconto proprio nel momento apicale della tensione, con un finale sospeso.

39 Monica Dall’Asta, Il serial in Gian Piero Brunetta, Storia del cinema mondiale vol. II, Einaudi,

Torino, 2000.

40 V. Innocenti e G. Pescatore, Le nuove forme della serialità televisiva. Storia, linguaggio e temi,

Bologna, ArchetipoLibri, 2008.

41 R. Canjels, Adapting film serials: multiple cultural models for the cliffhanger in the 1910s and

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38 Sebbene il primo serial della storia del cinema sia effettivamente What happened to Mary? (C. Brabin, 1912), film muto girato negli Stati Uniti prodotto dalla Edison Company articolato in dodici episodi, The adventures of Kathlyn (F.J. Grandon, 1913), prodotto a Chicago dalla Seling in tredici puntate, è considerato più importante perché per primo adottò il sistema del cliffhanger.

Il cliffhanger (dall’inglese cliff, scoglio e hanger, qualcosa che permette di stare appeso, proprio perché in genere l’episodio si concludeva con il protagonista appeso a una roccia, o a penzoloni da un palazzo, in attesa di una risoluzione che sarebbe arrivata solo con l’episodio successivo) è un espediente in cui la narrazione si conclude con una interruzione brusca in corrispondenza di un colpo di scena o di un altro momento culminante caratterizzato da una forte suspense, con l’intento di indurre nello spettatore una forte curiosità verso quello che potrà accadere.

In The adventures of Kathlyn ogni puntata si chiudeva con un finale aperto, che lasciava in sospeso la storia, spingendo lo spettatore a tornare in sala la settimana seguente per scoprire come Kathlyn, la protagonista, riuscisse ogni volta a cavarsela.42

In Francia, Louis Feuillade adatta al cinema il genere del feuilleton (il romanzo a episodi che usciva su quotidiani o riviste nei primi decenni dell’Ottocento), girando già nel 1910 una serie di cortometraggi che hanno come protagonista il piccolo Bèbè, interpretato dall’attore bambino Renè Dary di soli cinque anni. Ma è con il personaggio di Fantômas che Feuillade, nel 1913, entra nella storia del cinema come uno degli inventori del serial.

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39 Seguono poi Les vampires (1915) e Judez (1916-17), che rappresentano i prodotti migliori della serialità francese di genere avventuroso e poliziesco.43

In seguito, gli Stati uniti assumeranno la leadership del settore e lo schema base preferenziale del serial del cinema delle origini sarà poi consolidato nella pratica hollywoodiana.

La produzione seriale va avanti fino al 1923, poi ricompare negli anni Trenta con il sonoro. Destinata ai circuiti minori, è una produzione di “serie B”, che rappresenta gli eroi dei fumetti (Flash Gordon, Mandrake, Tarzan, Superman), gli eroi del west, i miti della letteratura classica di massa, i cicli cavallereschi ecc. Il serial cinematografico riemergerà poi anche negli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta, quando, con l’avvento del mezzo televisivo, per sconfiggere quello che sembrò inizialmente un minaccioso rivale, il cinema si impegnò o a superarlo sul piano delle dimensioni, del colore, del costo delle produzioni e degli effetti spettacolari, o comunque con l’offerta di prodotti paragonabili a quelli televisivi.44

In quegli anni i serial furono così numerosi (Batman, Captain America…) che cominciarono a inflazionarsi e perdere popolarità. L’aumento dei costi di produzione, la crescente realizzazione di lungometraggi sempre più sofisticati e la sempre maggiore diffusione della televisione, nel periodo 1949-52, ne sancirono il definitivo declino.

43 P. Piemontese, Remake. il cinema e la via dell’Eterno Ritorno, Roma, Castelvecchi, 2000. 44 T. Elsaesser, Serialità e circostanze produttive. Alcune considerazioni sull’economico e il

testuale nel cinema e nella televisione, in F. Casetti (a cura di), L’immagine al plurale, Venezia,

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3.2. Serie e saga

La serie si distingue innanzitutto dal serial per un diverso principio di organizzazione testuale: dove il serial sospende sistematicamente il racconto, la serie lo chiude, così che ogni nuovo episodio non sia la continuazione o la ripresa di quello precedente, ma l’inizio di una nuova storia. Una serie cinematografica è un insieme di più film legati da una sequenzialità o successione.

L’obiettivo principale che viene perseguito consiste essenzialmente nel generare nuovi valori e significati stando bene attenti soprattutto a vanificare ogni possibile finale; il testo, insomma, si arricchisce di possibilità narrative con buona pace dell’epilogo, che era il culmine della narrazione, almeno come il mondo occidentale la intendeva a partire dalla tragedia greca;45 pur essendoci un “finale” in ogni film, in realtà la storia può essere ripresa e continuata ancora e ancora un film dopo l’altro, senza mai arrivare ad un vero e proprio epilogo.

Il personaggio ritorna, evoca l’eternità e si mitizza: tutte le serie sono basate su personaggi-eroi, a prescindere dall’origine, speculano sul mito e sugli archetipi e li aggiornano adattandoli ai tempi.

Le serie si basano sui remake e sui seguiti, generalmente si comincia a parlare di serie a partire dal terzo seguito, oppure quando comincia a “tirare aria di famiglia” per la presenza di figli, fidanzate e mogli. Normalmente quando i seguiti vanno bene si è tentati di farne delle serie. In queste ultime però, al contrario di quanto avviene nel sequel, non vi è continuità con le storie precedenti e l’unica connessione tra i film è data dal riapparire dell’eroe e dei co-protagonisti fissi:

45 P. Piemontese, Remake, cit., p. 39.

(41)

41 tutti i casi di serialità hanno in comune la ripresa di personaggi e formule dei film precedenti, spesso già dal titolo.46

La serie si costruisce con i dettagli, i gesti, i costumi, i momenti cruciali che richiamano sempre il modello originario e ricorrono uguali allo scopo di attirare l’attenzione dello spettatore, perché si sta introducendo un momento di svolta o, indifferentemente, si sta rinnovando un rito. Il rinnovamento riguarda solo la forma, mentre si trasmette la ripetizione intatta della sostanza.

L’originale per trasformarsi in serie deve presentare un mondo ricco di risvolti e possibili svolgimenti, possedere una forte pregnanza e valenza narrativa, contenere la prospettiva di nuovi avvenimenti e le condizioni della permanenza dei personaggi. Una struttura a episodi corredata da un buon numero di personaggi rappresenta la condizione ideale per la serializzazione.

Nella serialità il tempo rappresentato presenta una grande elasticità.

Lo sfruttamento delle anacronie sfalda la compattezza del tempo discorsivo permettendo l’inserimento e lo sviluppo di filoni narrativi dotati di una propria temporalità alternativa. La serie inoltre si nutre di flashback, in quanto lo sviluppo lineare porterebbe il personaggio alla vecchiaia e alla morte e renderebbe difficile l’introduzione di nuovi personaggi che appartengono alla vicenda: i personaggi hanno invece tanto passato e poco futuro. Molti di loro provengono dal cinema stesso come Maciste, altri costituiscono adattamenti di un originale letterario come Sherlock Holmes o James Bond, o provenienti dai fumetti come Superman o Batman.

46 P. Piemontese, Remake, cit., p. 39.

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