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IL FLICKER NELLE PRATICHE AUDIOVISIVE IMMERSIVE

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Academic year: 2021

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(1)UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI UDINE DOTTORATO INTERNAZIONALE STUDI AUDIOVISIVI: CINEMA, MUSICA E COMUNICAZIONE CICLO XXV. TESI DI DOTTORATO DI RICERCA IL FLICKER NELLE PRATICHE AUDIOVISIVE IMMERSIVE. DOTTORANDA CLAUDIA MARIA D’ALONZO. RELATORE COSETTA G. SABA. ANNO ACCADEMICO 2012/2013.

(2) I soli testi contenuti nella tesi sono rilasciati in licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Italia ad eccezione delle citazioni per le quali si rimanda all’autore e relativi editori..  . 2.

(3) INDICE. Introduzione. 7. 1| Dalle neuroscienze all'immersività digitale Una ricognizione sull'uso del flicker nella storia plurale dell'audiovisione. 1.1| La visone ad occhi chiusi: l’applicazione della luce pulsante nelle neuroscienze. 21. 1.2| Sulle tracce del flicker: un percorso nella storia delle arti 1.2.1| Il passaggio dalle neuroscienze all'arte attraverso la Dream Machine di Brion Gysin. 29. 1.2.2| Flicker film: dalla modulazione di impulsi luminosi alla creazione di sequenze percettive. 33. 1.2.3| Il movimento di Arte Cinetica e Programmata in Italia: le ricerche stroboscopiche del Gruppo T e MID. 39. 1.2.4| Il flicker nell'audiovisivo espanso. 48. 1.2.4| Uno sguardo attraverso, appunti da un’analisi diacronica. Ricorrenze tematiche e linee di convergenza. 61. 2| Il corpo, i sensi, lo spazio L’opera come dispositivo percettivo e ambientale. 2.1| Dall’occhio al corpo. La percezione come sistema embodied e l’emanazione soggettiva dello spazio. 69. 2.1.1| La visione oltre l’occhio e la percezione incarnata. 72. 2.1.2| Sconfinamenti tra soggetto e ambiente: il meccanismo immersivo. 84.  . 3.

(4) 2. 2 | L'audiovisione. 91. 2.1| Contaminazione tra linguaggi del suono e della visione: un percorso storico e teorico. 92. 2.2.2| La musicalità del flicker nelle ricerche di Peter Kubelka, Tony Conrad e Paul Sharits. 100. 2.3 | L’opera come processo effimero. 107. 2.3.1| Definire l’esperienza. 108. 2.3.2| Per un paradigma condiviso tra performance e installazione. 116. 3 | Il flicker nell’audiovisivo espanso contemporaneo 3.1| Suonare la luce. 122. 3.1.1| Bruce McClure: Christmas Tree Stand (2005). 125. 3.1.2| otolab: Megatsunami (2010-2012). 130. 3.2| Micro-strutture temporali nello spazio. 137. 3.2.1| Granular Synthesis: NoiseGate-M6 (1998). 141. 3.2.2| Keiichiro Shibuya e Takashi Ikegami: filmmachine (2006). 147. 3.3| Il setting dell’esperienza. 153. 3.3.1| Ivana Franke: Seeing with the Eyes Closed (2011). 155. 3.3.2| Chris Salter, Tez, David Howes: Displace (2011-2012). 161. 4| La stroboscopia nelle ricerche di Kurt Hentschläger 4.1| Un percorso nella produzione dell’autore. 171. 4.1.1| Una ricognizione per temi nell’opera di Granular Synthesis. 173. 4.1.2| La produzione solista: sulle tracce del corpo disseminato. 180.  . 4.

(5) 4.2| Il sublime luminoso: gli ambienti stroboscopici FEED e ZEE. 189. 4.2.1| FEED (2005). 192. 4.2.2| ZEE (2008). 194. 4.2.3| Dallo schermo all’immersività. 199. 4.3 | La documentazione, dall’oggetto visivo al racconto del pubblico. 205. 4.3.1| L’intervista al pubblico come prassi documentale. 208. 4.3.2| Un esempio di racconto dell’esperienza: la video interviste per ZEE. 217. Conclusioni. 229. Apparati.  . Interviste. 237. Immagini. 271. Bibliografia. 285. Emerografia. 299. Résumé Général. 305. 5.

(6)

(7) INTRODUZIONE. Il termine flicker è utilizzato ad indicare il trattamento temporale del dato visivo in opere filmiche e time based o l’alternarsi rapido di luce e buio tipico delle lampade stroboscopiche e, insieme, una fenomenologia percettiva conseguente e caratteristica.1 La ricerca intende indagare quali particolari configurazioni nello statuto di opera e di esperienza estetica siano suggerite dalle pratiche audiovisive di flicker puro, nelle quali cioè il ritmo stroboscopico astratto costituisce la sola o predominante componente visiva. Il progetto di interroga sui possibili punti di contatto tra arte e scienza sul piano dell’esperienza percettiva, a partire dalla specifica dimensione sensoriale determinata dalla luce stroboscopica e suono spazializzato. Tali espressioni dell’audiovisivo sperimentale, vengono rintracciate nel frastagliato panorama della produzione estetica a carattere immersivo, termine ampiamente in uso nella scena artistica contemporanea e rispetto al quale la ricerca intende offrire una ricognizione, utile a fissare alcuni aspetti caratteristici. L’interesse per l’applicazione del flicker in ambito artistico nasce originariamente da una prassi curatoriale, in particolare dalla preparazione di un video screening realizzato nel 2009 per DOCVA Documentation Center for Visual Art di Milano, in collaborazione con INVIDEO. 2 Nell’ambito delle ricerche.                                                                                                                 * Si ringraziano il Prof. Marco Maria Gazzano e il Prof. Enrico Pitozzi che, in qualità di referee, hanno offerto la loro valutazione alla prima stesura della tesi, insieme a suggerimenti indispensabili al suo completamento nella forma attuale. Un grazie anche al Prof. Osvaldo Da Pos e al Dott. Cosimo Urgesi, che hanno supervisionato i passaggi del lavoro più strettamente legati agli aspetti scientifici del discorso sulla stroboscopia e sulla percezione, fornendo spunti di grande interesse. 1 Sia che si tratti di un flusso di immagini sia nel caso della pura luce, il ritmo assunto dallo sfarfallio ha in genere una frequenza tra gli 8 e i 40 Hz. Come vedremo, in particolare il range tra gli 8 e i 14 Hz circa può provocare particolari effetti percettivi. 2 Quando l’occhio trema, rassegna a cura di Claudia D’Alonzo e Mario Gorni, dal 17 al 29 settembre 2009 presso il DOCVA di Careof, Milano –una realtà non profit nata nel 1987 per la promozione della ricerca artistica contemporanea. Il progetto ha visto, inoltre, la partecipazione di.  . 7.

(8) preparatorie, il flicker è stato utilizzato come elemento di aggregazione elementare, attraverso il quale osservare diverse forme dell’audiovisivo sperimentale e porre in confronto materiali d’archivio, principalmente film sperimentali e video, con lavori legati al panorama delle pratiche performative e ambientali digitali. Le condizioni di allestimento e presentazione, previste per la rassegna hanno precluso la possibilità di accogliere una serie di esempi significativi sul piano del concept generale ma non riducibili nelle modalità espositive di quell’evento.3 Queste limitazioni di carattere operativo hanno avviato una riflessione che ha permesso una lettura più ampia degli aspetti spaziali delle opere di flicker: Caratteristica comune di questo particolare tipo di opere audiovisive, pur nelle rispettive specificità e differenze, è la tensione a ‘farsi ambiente,’ non in senso architettonico quanto come modo di esperienza dello spazio. Ciascuno secondo la propria poetica, i progetti stroboscopici offrono un passaggio, rispetto alla dimensione dello spazio, da dispositivo spazializzato, inteso come sistema di apparati finalizzati all’espansione dell’immagine, a dispositivo spaziale, basato sulla progettazione di un sistema di funzioni nelle quali coinvolgere il fruitore in senso fenomenico. Il farsi ambiente è, come vedremo, un tratto caratteristico di molto audiovisivo espanso. 4 All’interno di questo ampio panorama i lavori stroboscopici, in particolare quelli contemporanei, definiscono un particolare modo della condizione spaziale che si è scelto di definire ‘immersivo.’ Un termine questo ricorrente, perfino abusato, nel campo della sperimentazione elettronica ma tutt’altro che definito e per il quale la ricerca intende individuare alcuni punti di riferimento. Senza l’intento di creare polarizzazioni di carattere terminologico né temporale tra attivo e passivo, si può notare che anche la definizione del soggetto coinvolto nel momento estetico segna un avvicinarsi sempre maggiore al concetto di fruitore, presente ad esempio in molti scritti e dichiarazioni di poetica dell’arte.                                                                                                                                                                                                                                                                                         INVIDEO, altra importante organizzazione che dal 1990 si occupa di diffusione e promozione della produzione audiovisiva sperimentale in Italia e all’estero. Tra gli autori presenti in mostra: Claudio Ambrosini, ape5+miky ry, Scott Arford, Alessandrà Arnò, Gerard Cairaschi, Paolo Chiasera, Antonin De Bemels, Thorsten Fleisch, Paolo Gioli, Graw & Bockler, Granular Synthesis (Kurt Hentschläger/Ulf Langheinrich), Girts Korps, otolab, Steina e Woody Vasulka. 3 L’allestimento prevedeva una black box con proiezione a parete del un flusso in loop dei lavori, della durata di circa 90’. 4 Duguet A. M., 1998..  . 8.

(9) cinetica e programmata, e che si sostituisce quasi integralmente a quella di spettatore nelle pratiche immersive del contemporaneo. Questo passaggio sembra determinare nel campo delle ricerche estetiche audiovisive un tipo di coinvolgimento paragonabile alla dimensione del soggetto in altre forme dell’immersività medializzata e negli ambienti immateriali, quali principalmente quelle determinate della realtà virtuale: con essa il fruitore degli ambienti immersivi. passa. attraverso. ‘un’appropriazione. di. autorialità’. e. colloca. diversamente il suo, o per meglio dire, i suoi punti di vista nell’ambiente/opera, marcando una scissione rispetto alla coincidenza del suo sguardo con quello della camera e, quindi, dell’autore.5 Rispetto al complesso degli autori e delle pratiche stroboscopiche, si può notare come questa caratteristica, più evidente nelle opere installative e performative, sia un’attitudine trasversale, presente cioè in forma germinale anche nelle opere framed, che dichiarano un’eccedenza rispetto alla superficie bidimensionale e al perimetro del quadro, protese come alla riconfigurazione dello spazio fisico intorno al fruitore. Nel passaggio dalla prassi curatoriale alla ricerca, inoltre, il percorso necessario a configurare l’oggetto di studio ha portato a ricollocare le esperienze audiovisive stroboscopiche sul piano più ampio delle relazioni tra arte e scienza sul tema della percezione. Un legame intrinseco all’uso della luce pulsante, che, infatti, trova originariamente applicazione in ambito scientifico, come stimolo in esperimenti sul cervello e sull’epilessia. I flash di luce provocano un particolare tipo di risposta fisiologica nel soggetto: essi agiscono direttamente sui ritmi delle onde cerebrali, sincronizzandoli alle loro stesse frequenze e determinando la produzione di onde alpha e theta, corrispondenti in uno stato normale – cioè non condizionato da particolari stimoli esterni o programmati - a sogno, ipnosi, rilassamento profondo, meditazione e momento creativo.6.                                                                                                                 5 Diodato R., Lo spettatore virtuale, in A. Somaini, 2005, 269-281. Cfr. anche Estetica del Virtuale, Bruno Mondadori, 2005. 6 Gli studi sulle onde cerebrali hanno giocato un ruolo fondamentale nella comprensione del cervello e delle funzioni mentali. Si tratta di lievi segnali elettrici emessi dal cervello che rispecchiano gli stati e anche i più piccoli cambiamenti nell'attività cerebrale. Le onde vengono scoperte negli anni Venti dal ricercatore HanBerger che nel 1929 mette a punto anche l'EEG, sistema di misurazione delle onde cerebrali tutt'ora in uso e basato su una serie di elettrodi posti sullo scalpo. L'attività delle onde.  . 9.

(10) A partire, quindi, dalla sua applicazione sperimentale e diagnostica, è possibile rintracciare una proprietà potenziale del ritmo visivo del flicker che assume senso anche rispetto alla sua collocazione in un’opera audiovisiva, in particolare in termini di esperienza di fruizione: la sincronizzazione diretta del cervello al ritmo della luce o della fonte visiva, ha un risvolto diretto sulla condizione emotiva e cognitiva del fruitore e può, potenzialmente, porlo in una condizione simile, sul piano fisiologico, a stati particolari della relazione tra soggetto e mondo, nei quali cioè il concetto di realtà perde un po’ del suo carattere di verità oggettiva e viene generata a partire dall’interno del soggetto.7 Ad accentuare la natura individuale dell’esperienza provocata dalla stroboscopica, contribuisce un effetto percettivo che la pulsazione può, in condizioni particolari, determinare: l’emersione di visioni fantasmagoriche di forme, più o meno complesse, e colori. Questi effetti, in modo simile a quanto accade nel caso delle allucinazioni e delle illusioni ottiche, sono indicatori significativi del confronto tra i due poli della percezione, cioè il soggetto percepiente e mondo. La fenomenologia del flicker rivela il ruolo attivo del soggetto durante l’attività percettiva, il fatto che la percezione non possa essere considerata un’operazione in cui un recettore nel corpo raccoglie in modo passivo e automatico lo stimolo che giunge dall’esterno. Essa è piuttosto il prodotto di una costante feedback tra soggetto e mondo, tra interno ed esterno dell’individuo. Il flicker nell’opera d’arte permette di comprendere nell’operatività dell’esperienza soggettiva come la percezione sia una rete sistemica di relazioni mute tra sé e mondo, di interscambio molteplice ma sempre situato nel corpo del soggetto e agito attraverso il corpo, in.                                                                                                                                                                                                                                                                                         cerebrali è suddivisa in quattro tipologie di onde – beta, alfa, theta e delta – associate ciascuna a dei range di frequenza e a particolare stati emotivi e mentali. Le onde alfa ( 8-14 Hz) corrispondono allo stato di rilassamento, spesso presente in stati meditativi o negli stati di sonno profondo. Le theta (4-10 Hz) sono associate al rilassamento profondo, all'apprendimento e all'intuizione creativa. Le onde delta (0.5-4 Hz), la più lenta delle onde cerebrali, corrispondono al sono profondo e senza sogni. Le beta (12-30 Hz) sono legate all'attività in uno stato attivo e di veglia, il nostro stato 'normale' è uno 'stato delta'. É bene ricordare che i confini tra i valori delle frequenze attribuiti ad una o all'altra classe di onde e ai corrispettivi stati non sono solo approssimativi. Cfr. György B., 2006, pp. 112-117. 7 Gallese V., Seeing art…beyond vision. Liberated embodied simulation in aesthetic experience, in Franke I., 2011, p. 62..  . 10.

(11) meccanismo retroattivo di andata e ritorno e modificazioni reciproche, nel quale l’io soggetto e il mondo si co-specificano.8 Un oggetto di studio così configurato chiede allo studioso di affinare i propri strumenti di analisi, di costituire uno sguardo che sappia guardare all’opera a partire dalla sua presenza e il suo agire nella sfera del sensibile, in quanto, le opere prese in esame rappresentano dispositivi percettivi, attivatori potenziali di esperienze che coinvolgono il fruitore in modo diretto, fisiologico, somatico. In questo modo il processo artistico non racconta né rappresenta, bensì mette in forma mutazioni possibili del rapporto tra soggetto e ambiente - come quelle particolari determinate dalle tecnologie - o fenomenizza meccanismi atavici di relazione con l’ambiente, attraverso i quali vengono costruiti i confini del sé. Analizzare il processo percettivo come livello primario di senso dell’opera, costruire un’estetica fondata sulla percezione, coerente cioè con la propria radice etimologica, implica aprire le prospettive e gli strumenti di analisi ad altre aree del sapere che tradizionalmente si occupano dei fenomeni sensoriali, prima fra tutte quella scientifica. Quello del sensibile è, infatti, un campo multi-dimensionale che richiede la propensione a muoversi tra diverse aree del sapere, in particolare a confrontarsi con quanto affermato in ambito scientifico sui meccanismi fisiologici che ne regolano operazioni e comportamenti. Sarebbe rischioso guardare alle pratiche estetiche in esame con approccio disciplinare unidirezionale, in quanto, si rischierebbe di non afferrare la complessità dell’opera, intesa sia come esperienza offerta al fruitore che come eterogeneità di fonti e riferimenti accolti dall’artista nella propria ricerca e nelle fasi di progettazione. Da un lato, infatti, il riferimento ai fondamenti fisiologici dei fenomeni percettivi consente di analizzare il momento dell’esperienza, il ‘compimento’ dell’opera nella fruizione, dall’altro permette di avvicinarsi alle fasi che lo precedono, al lavoro dell’artista e di individuare i caratteri specifici delle diverse poetiche sensoriali elaborate dagli autori. Non è un caso quindi che, accanto ad un proliferare di progetti artistici assimilabili a dispositivi sensoriali, alcuni ambiti di studio stiano accogliendo riferimenti tratti da aree della scienza, in particolare dalle neuroscienze, andando ad.                                                                                                                 8 Casadio L., Per una nuova psicanalisi dell’arte: il ruolo delle emozioni, in De Vincenti G., Carocci E., (a cura di), 2012..  . 11.

(12) approfondire i meccanismi fisiologici alla base delle reazioni percettive messe in atto nel momento dell’opera. Nel quadro generale delle questioni e delle forme di sperimentazione delle quali andremo ad occuparci, si segnalano in particolare le aperture disciplinari in tale senso presenti negli studi sul cinema e nella media art. Nei discorsi sull’arte a carattere mediale, tali sconfinamenti sono individuabili fin dai primi albori dell’estetica elettronica di questo tipo di pratiche e si diffondono come riflessione teorica, in particolare a partire dagli anni Novanta, per trovare piena affermazione nell’ultimo decennio. In quest’area, la questione percettiva è affrontata generalmente a partire dalle mutazioni indotte dalle tecnologie elettroniche nella sfera del sensibile: l’assunzione o la sperimentazione da parte degli artisti di particolari paradigmi percettivi, corrispondenti a specifiche tecnologie, è generalmente letta come capacità del progetto estetico di intercettare e rielaborare i cambiamenti in atto nella società contemporanea. 9 Se una tale impostazione interdisciplinare, che stabilisce l’incontro tra arte e scienza a partire dal comune elemento tecnico e tecnologico, consente di sviluppare strumenti di analisi teorica in ‘sintonia’ con molte delle ricerche artistiche e con le complesse strutture percettive delle opere, allo stesso tempo tradisce spesso un mal celato sensazionalismo e forme di tecno-entusiasmo verso new media sempre più nuovi, insieme ad una mancanza di prospettiva storica, che si traduce in disattenzione per le forme del sensibile medializzato precedenti l’era elettronica.. 10. Inoltre,.                                                                                                                 9 Di rilievo, in questo panorama, alcune pubblicazioni dell’Université du Québec, in particolare quelle di Luoise Poissant, che hanno il merito di aver sistematizzato molta della discussione emersa nel corso degli anni Novanta – principalmente a partire da autori come Roy Ascott, Derrik de Kerckhove, David Rockeby. Cfr. Poissant L., PUQ, 2005 e 2003. Il confronto costante tra arte, scienza e media è alla base anche di un autorevole progetto editoriale pubblicato dall’MIT Press, il “Leonardo Journal,” fondato nel 1968 dall’artista cinetico Frank Malina e divenuto uno dei punti di riferimento per questo ambito di ricerca multidisciplinare. Oltre al journal a carattere periodico, si segnalano anche: Harris C., MIT Press, 1993; MacLeod D., Moser M. A., MIT Press, 1995; van Campen C., MIT Press, 2007. Per un’analisi più ampia del fenomeno al di fuori della sola media art, cfr. Jones A. C., MIT Press, 2006. Tra le istituzioni universitarie incentrate sul rapporto arte e scienza si segnala inoltre il corso di laurea ArtScience della KABK, Royal Academy of Art Interfaculty di The Hague, Olanda. 10 Un esempio in tal senso è rappresentato dal già citato catalogo dell’MIT press, nel quale, pur inquadrando storicamente gli sconfinamenti tra arte e scienza sul tema percettivo e recuperando la radice di tali coincidenze a partire dai linguaggi della pittura, passando per le pratiche performative e l’happening, fino a giungere alla moltitudine di pratiche di media art contemporanea, restano esclusi altri importanti momenti pioneristici, quali ad esempio le sperimentazioni nel campo dell’Arte.  . 12.

(13) l’insistenza sui cambiamenti che l’avvicendarsi tecnologico produce trascura spesso la possibilità, parimenti interessante, di individuare elementi di costanza trasversali, come pure meccanismi atavici della percezione che persistono al reiterarsi delle innovazioni tecnologiche. Anche nel campo dei film studies, a partire dagli anni Novanta si possono individuare le prime incursioni verso i saperi della scienza, in particolare nella psicologia sperimentale e nelle neuroscienze. Queste aperture coincidono con la progressiva attenzione alla dimensione della ricezione, che vuole il fruitore coinvolto come individuo empirico, riportando in questa visione l’esperienza del film alla concretezza fenomenica del sensibile.11 Al contempo, notevole attenzione è rivolta ai meccanismi d’immedesimazione e coinvolgimento rispetto al processo diegetico, lasciando spesso esclusi fattori strutturanti l’esperienza nel suo complesso, il fatto cioè di essere un processo situato che coinvolge una molteplicità di elementi contestuali e ambientali, che contribuiscono ad attribuire alla fruizione carattere di vissuto embodied e multidimensionale. La ricerca si confronta e posiziona rispetto a questi due scenari di ibridazione con la scienza sul tema della percezione con l’intento di formare un proprio metodo integrato, secondo due diversi piani. In primo luogo rispetto alle neuroscienze, accogliendo nel proprio percorso d’indagine sulle specificità del flicker riferimenti alle radici fisiologiche dei meccanismi percettivi, anche in virtù della discendenza da quest’area delle hard sciences di molte delle ricerche condotte dagli artisti e delle primissime applicazioni della luce pulsante nel corso di esperimenti di laboratorio. L’assunzione di una tale prospettiva interdisciplinare lascia sempre in agguato il rischio di un’ambiguità epistemologica, di assimilare cioè le modalità dello studio sulla percezione nel momento dell’opera a quelle della scienza. Come sottolinea Raymond Bellour, può accadere che si assuma la norma.                                                                                                                                                                                                                                                                                         Cinetica e Programmata tra la seconda metà degli anni ’50 e ’60, come pure molta sperimentazione in ambito cinematografico. Jones A. C., MIT Press, 2006. 11Per una ricognizione in lingua italiana delle intersezioni tra studi cinematografici e neuroscienze cfr. De Vincenti, Carocci E., (a cura di), Ed. Fondazione Ente dello Spettacolo, 2012; per una panoramica del dibattito internazionale sulla dimensione fenomenica e somatica della spettatorialità, cfr. J. Barker M., University of California Press, 2009; Bellour R., P.O.L., 2009; G. Deleuze, Ubulibri, 2004; Elsaesser T., Hagener H., Einaudi, 2009; V. C. Sobchack, Princeton University Press, 1999..  . 13.

(14) scientifica come unica chiave di lettura dell’opera, che si assimili e snaturi l’eccezione rappresentata dall’esperienza estetica alla regolarità dei funzionamenti fisiologici. 12 Questo accade, ad esempio, nelle posizioni espresse da alcuni esponenti della neuroestetica, disciplina recente che si propone di spiegare cosa avviene nel cervello nel momento dell’opera e che cede, in alcuni casi, alla tentazione di ridurre la complessità tutta del momento estetico alla sola meccanica neurale. L’esistenza di tali studi, che pure verranno affrontati nel corso della ricerca, non dovrebbe inibire, come purtroppo spesso accade, il confronto costruttivo tra arte e scienza. Al contrario, il fatto che alcune neurodiscipline13 abbiano preso ad occuparsi della ‘cosa artistica,’ evidenzia in modo ancor più deciso, la necessità per l’umanista di elaborare metodologie e strumenti adatti, ibridi ma pur sempre aderenti alle specificità dell’arte, grazie ai quali i termini di questa integrazione non implichino il rischio di perdere di vista o cancellare il senso proprio dell’oggetto estetico. Come suggerito da Bellour, il metodo integrato di questa ricerca intende “ricevere suggestioni dai modelli d’interpretazione della scienza e allo stesso tempo essere in grado di disgiungersene.”14 Un discernimento tra i due poli necessario, non per rinnovare schematismi e contrapposizioni, quanto per individuare le specificità proprie dell’uno e dell’altro ambito sulla questione percettiva ma attraverso una diversa consapevolezza, uno sguardo più ampio e complesso, una maggiore comprensione delle pratiche e della multidimensionalità del momento sensorio, costruite a partire dal confronto e dallo studio integrato. Nei vari passaggi della ricerca, quindi, i rimandi alle neuroscienze sono inseriti per costruire un quadro delle possibili reazioni fisiologiche nonché a definire il grado di indeterminatezza e soggettività della percezione. A partire da questo piano comune, l’opera è poi considerata nelle proprie particolarità e nello specifico discorso che essa costruisce attraverso la grammatica dei sensi, nelle diverse gradazioni di esperienza e negli interrogativi con i quali interroga ciascun fruitore, ridefinendo i parametri di propriocezione e di costruzione identitaria del sé..                                                                                                                 12 Bellour R., Vedute d’insieme, in De Vincenti G., Carocci E., Ed. Fondazione Ente dello Spettacolo, 2012, p. 81. 13 Cfr. Legrenzi P., Umiltà C., 2009. 14 Idem., p. 59..  . 14.

(15) Il secondo livello d’integrazione che s’intende stabilire sul piano metodologico è tra media art e film studies, aree della ricerca umanistica che, pur condividendo l’apertura alle hard science e giungendo a paradigmi di analisi della condizione esperienziale su base percettiva spesso simili, stentano ancora a trovare linee di studio comuni o quantomeno a convergere rispetto ad alcune pratiche specifiche, quali ad esempio, quelle audiovisive a carattere stroboscopico. Un esempio è rappresentato dall’attenzione alla condizione del fruitore, analizzata alla luce del tema percettivo e quindi dell’opera audiovisiva primariamente come esperienza percettiva. Questo discorso offre occasione di introdurre una premessa di carattere generale utile ad inquadrare molti dei discorsi affrontati nel corso della ricerca: qui come altrove si fa riferimento alla media art, termine che, negli studi sull'arte, viene fatto generalmente corrispondere all'impiego nell'opera di tecnologie elettroniche, analogiche o digitali. Non essendo tra i focus del progetto sviscerare l’ambiguità di tale definizione, si è preferito aderire a tale uso convenzione e chiamare mediali solo le opere 'elettrificate'. Si sottolinea al contempo che, in linea con l’approccio storiografico offerto da Oliver Grau, l’origine delle pratiche artistiche a carattere mediale precede di molto l’avvento dei media elettronici e che uno dei primi linguaggi estetici tecnologizzati è rappresentato proprio dal linguaggio cinematografico e dai suoi dispositivi.15 La ricerca assume un’ampia prospettiva storica con l’intenzione di instaurare punti di contatto tra forme dell’arte medializzata differenti, non solo elettroniche, a partire dall’elemento aggregatore della luce stroboscopica e provando a ricongiungere momenti e storie diverse della sperimentazione artistica. Lo sguardo storico permette di non perdere memoria delle pratiche liminali e spurie, quelle che, proprio a causa della non classificabilità in tassonomie e quadri definiti, restano spesso ai margini delle storie ufficiali dell’audiovisivo. In linea con questo pensiero, la ricerca tentare di forzare alcune posizioni interne alle discipline dell’arte per far posto alle pratiche: rintracciare esperienze reputate di particolare interesse nel panorama dell’audiovisivo di ricerca, facendo emergere problematiche teoriche, che accomunano ambiti delle sperimentazioni artistiche spesso considerati distanti..                                                                                                                 15 Grau O., 2007..  . 15.

(16) Il progetto è articolato in quattro capitoli tra i quali il primo contiene una rassegna storica e trasversale atta a rintracciare l’impiego della stroboscopia dai laboratori neuroscientifici ad alcuni momenti della storia delle arti. Il capitolo successivo si concentra su caratteristiche proprie delle opere stroboscopiche e le confronta con alcuni argomenti cardine nel dibattito teorico sulla ridefinizione dello statuto di opera d’arte e alla condizione percettiva del fruitore, quali principalmente: il delinearsi di un’idea dell’operare sensibile che riporta al centro il corpo; l’immersività come relazione disseminata tra soggetto e spazio; la sincresi tra modi del suono e della visione e la matrice somatica del concetto di ritmo; la centralità del soggetto esperiente alla luce della coincidenza tra opera e processo esperienziale; la trasversalità del concetto di liveness tra forme installative e performance in tempo reale. Il terzo capitolo costruisce e analizza un corpus selettivo di opere attraverso le quali delineare, senza alcuna pretesa di esaustività, alcune. tendenze. in. atto. nell'eterogeneità. della. media. art. audiovisiva. contemporanea, accomunate dalla centralità del flicker come elemento visivo e immersivo preponderante. A partire da fonti primarie vengono individuare tre marco aree corrispondenti ad altrettante tendenze rappresentative della scena di media art contemporanea: la ricerca sul dispositivo ottico-luminoso, la fondazione di ambienti infrapecettivi immersivi, il design dell’esperienza come prassi artistica mutuata dalla scienza. Il capitolo quarto è un case study dedicato al lavoro dell'artista austriaco Kurt Hentschläger e, in particolare, a due lavori relativamente della sua produzione 'solista', FEED (2005) e ZEE (2008), considerati come due configurazioni successive dello stesso nucleo di ricerca, frutto di una costante riflessione sull'esperienza del flicker e sull'elaborazione di una personale poetica dello spazio. Si ritiene che tale traiettoria specifica all'interno delle ricerche di Hentschläger, possa ricongiungere molti degli elementi e delle problematiche evidenziate nel corso nella ricerca e fornire occasione di ridiscuterli come aspetti concreti e specifici della prassi artistica dell'autore. Una seconda ragione motiva questo focus, di natura più strettamente storiografica: malgrado Hentschläger rappresenti un nome di riferimento nel campo della media art e possa essere definito, in particolare per il suo lavoro come.  . 16.

(17) Granular Synthesis, tra gli iniziatori di molte tendenze attuali dell'audiovisivo espanso, ad eccezione di un numero esiguo di cataloghi e articoli, manca ancora una rassegna esaustiva ed uno studio approfondito e sistematico della sua produzione. Il problema della reperibilità delle fonti e dei documenti è pertanto una sottotraccia dell'intera analisi e rispetto alla quale la ricerca intende fornire un contributo utile. A partire da una ricognizione delle scarse fonti bibliografiche - cataloghi e documenti legati ad eventi espositivi, recensioni e alcune interviste, due edizioni in DVD delle opere dei Granular Synthesis, rare registrazioni o documentazioni fotografiche e sonore, si è proceduto principalmente attraverso la produzione di fonti primarie, in forma di intervista, realizzate grazie al proficuo confronto diretto con l'artista, reiterato in più momenti della ricerca..  . 17.

(18)  . 18.

(19) CAPITOLO 1. Dalle neuroscienze all'immersività digitale Una ricognizione dell'uso del flicker nella storia plurale dell'audiovisivo.  . 19.

(20)

(21) 1.1 | La visone ad occhi chiusi: l’applicazione della luce pulsante nelle neuroscienze. Nel 1947, presso il Toposcope Laboratory del Burden Neurological lnstitute di Bristol, il neurofisiologo Walter Grey Walter rivela un effetto collaterale imprevisto nel corso di alcuni test sull'epilessia, basati sull’uso di lampade stroboscopiche. Racconta lo studioso: In seguito osservammo un effetto singolare che, in verità, avrebbe potuto essere osservato prima; ma col vecchio metodo di creare il lampeggiamento per mezzo del disco rotante la sua genesi non sembrava così oscura. Questo effetto si manifestava con l'illusione di vedere disegni in movimento tutte le volte che si chiudevano gli occhi e si percepiva lo stimolo attraverso le palpebre serrate. L'illusione è più accentuata quando la frequenza di lampeggiamento è tra gli 8 e i 25 lampi al secondo, e si riscontra allora una notevole varietà di forme. […] Le sensazioni di pattern e di movimento dove non c'era né movimento né pattern erano sorprendenti e contraddittorie. Ci veniva il sospetto che, mentre stavamo provando uno strumento per lo studio dell'epilessia, ci fossimo imbattuti per caso in uno di quei paradossi che possono segnalare una verità nascosta.1. Come avremo modo di vedere, non si tratta della prima apparizione di questo strano e affascinante evento nello studio della percezione visiva, osservato in ambito sperimentale a partire da fine Ottocento. Pur non essendo obiettivo di questa ricerca addentrarsi negli aspetti cognitivi e scientifici del flicker, si ritiene pertinente inserire una ricognizione delle tappe più significative nella storia delle ricerche che hanno impiegato la luce stroboscopica come stimolo per lo studio del cervello. Un percorso iniziato più di un secolo fa e non ancora concluso: restano infatti molte le domande inevase e le.                                                                                                                 1 Grey Walter W., (1957), pp. 85-86..  . 21.

(22) ipotesi aperte, in particolare riguardo all'origine e alle cause delle allucinazioni indotte dalla luce stroboscopica.2 La letteratura dedicata riguarda per lo più ambiti di ricerca e diagnostici e si articola principalmente in: osservazioni relative alla fenomenologia delle visioni; classificazioni delle reazioni alla stimolazione prodotta dalla luce pulsante (stroboscopica); catalogazione e modellizzazione dei pattern visivi generati, a partire dallo stimolo della luce pulsante; messa a punto di ipotesi e teorie atte a spiegare le cause di tale fenomeno e la sua applicazione nella diagnosi e la cura di patologie, quali principalmente l'epilessia. D’interesse, anche le sperimentazioni sui dispositivi e gli strumenti utilizzati in laboratorio che, come vedremo, rivelano alcuni punti di contatto con la storia dei dispositivi del pre-cinema. Utili riferimenti per una ricognizione generale, sia storica che bibliografica, sono i paragrafi introduttivi del saggio a carattere divulgativo The Chapel of Extreme Experience di John Geiger, e l'articolo scientifico The Stroboscopic Patterns as Dissipative Structures di Steven A. Stwertka. A questi si aggiunge l’articolo Seeing with Eyes Closed: the neuroepistemology of perceptual reality di Ida Momennejad, contenuto nel catalogo Seeing with the Eyes Closed.3 Il percorso ha inizio nel 1823, quando il fisiologo di origine Ceca Jan Evangelista Purkinje mette a punto alcuni semplici metodi di stimolazione visiva, tra i quali il rapido movimento delle dita di una mano aperta di fronte al sole, e osserva che, a seconda della velocità e del ritmo del movimento, questa specie di gioco è in grado di generare effetti visivi simili ad allucinazioni. Dobbiamo quindi a Purkinje la prima descrizione degli effetti, prodotta grazie a grafiche e disegni, realizzati dallo studioso o dai soggetti coinvolti negli esperimenti, classificate successivamente in due macrogruppi in base al grado di elaborazione: primarie, forme geometriche (rettangoli, cerchi, esagoni), a scacchiera o a nido d'ape; secondarie, composizioni complesse di forme geometriche..                                                                                                                 2 Cfr. Geiger J., 2008, pp. 6-8. 3 Cfr. Geiger J., 2008; Stwertka S. A., 1992; Franke I., Momennejad I., (a cura di), 2011, pp. 15-22..  . 22.

(23) Alcune ipotesi sull’origine fisiologica delle forme visualizzate sono proposte nel 1886 da L. Wolffberg4 e, nel 1919, da Leonard Thompson5. Entrambi concludono che l’effetto è causato da irregolarità nella morfologia dell'occhio, in particolare nella retina. In base alle loro ipotesi molte delle immagini e percezioni visive sono contaminate da 'visualizzazioni intra-ottiche,' dovute ad esempio a riflessi causati dalla superficie non omogenea della cornea oppure ad ombre proiettate dai vasi sanguigni6. Il fenomeno è quasi del tutto dimenticato fino all'invenzione e diffusione della tecnica elettroencefalografica (EEG),7 ad opera di Hans Berger negli anni Venti del secolo scorso, quando lampade stroboscopiche iniziano ad essere impiegate come stimolo cui sottoporre i pazienti per monitorare, via EEG, l’efficienza di risposta del cervello in forma di onde elettromagnetiche.8 Nel 1934 Edgar Douglas Adrian, neurofisiologo vincitore qualche anno prima del premio Nobel per la medicina, e il collega Bryan Harold Cabot Matthews pubblicano sulla rivista scientifica Brain9 i risultati di alcuni esperimenti, condotti presso il Laboratorio di Fisiologia di Cambridge, che prevedono la stimolazione del soggetto seduto, con il capo coperto da velluto nero e gli occhi puntati su una sfera di vetro illuminata: la luce è filtrata da una ruota in movimento, simile al disco di Benham,10 ad un ritmo di otto intervalli di buio e luce. Grazie ad un oscilloscopio ad inchiostro, i due ricercatori rilevano il ritmi del cervello in risposta alla pulsazione e li suddividono in theta e alfa, giungendo a diverse conclusioni: dimostrano anzitutto l'effettiva esistenza delle onde 'alfa', tipologia di onde cerebrali con una frequenza di 8-14 cicli al secondo circa,11 e concludono tale particolare frequenza, nel caso dei soggetti osservati, è indotta diretta dallo stimolo.                                                                                                                 4 Wolffberg L., 1886, pp. 1-13. 5 Thompson L., 1919. 6 Stwertka S., 1993, p. 69. 7 Cfr. nota 6, Introduzione. 8 La combinazione EEG e luci stroboscopiche è tutt'ora utilizzata per diagnosi e lo studio dell'epilessia. Cfr. Regan D., 1989. Stwertka S., 1993. 9 Adrian, E. D., Matthews, B. H. , 1934. 10 Un gioco percettivo molto in voga in quel periodo in grado di generare colori dal movimento circolare di un disco rotante bianco e nero. Vedremo più avanti che gran parte della storia degli strumenti ottici in grado di produrre l'effetto flicker sono coincidenti con tappe rilevanti della storia dei dispositivi dell'era del pre-cinema. 11 Stwertka S., 1993..  . 23.

(24) luminoso pulsante; ipotizzano inoltre che le ‘onde indotte’ siano generate nell'area di proiezione visiva del cervello e assimilabili al ritmo spontaneo delle onde alfa riscontrabile, in condizioni normali, cioè non legate a stimoli precisi, negli stati di riposo o rilassamento profondo. Rilevano, inoltre, la particolare fenomenologia visiva conseguente lo stimolo, rappresentata dall’emersione di forme illusorie e colori. Il decennio successivo è segnato dalle sperimentazioni del neurofisiologo William Gray Walter, forse il nome più celebre in questo excursus, il quale approfondisce e sviluppa ulteriormente le possibilità offerte dalla combinazione di tecnica elettroencefalografica e stimolazione stroboscopica. Nel corso dei suoi esperimenti utilizza, tra le diverse apparecchiature, anche il Toposcopio, strumento messo a punto dal fisiologo per localizzare in tempo reale le aree del cervello coinvolte nella percezione della luce pulsante. Lo studioso illustra così l’efficienza dello stimolo stroboscopico rispetto alla rilevazione elettroencefalografica: Nel 1946 scoprimmo che i dati contenuti in un tracciato EEG potevano essere notevolmente aumentati sottoponendo il cervello a ritmiche stimolazioni e in particolar modo facendo lampeggiare una potente sorgente luminosa negli occhi chiusi o aperti del soggetto. I primi esperimenti di questo tipo furono fatti facendo passare la luce tra i raggi distanziati di una ruota in movimento, ma con scarsi risultati. Si trovò, come ci si aspettava, che ogni stimolo luminoso evocava nel cervello, una risposta elettrica caratteristica.12. Da principio si occupa di studio diagnostico su pazienti epilettici, in seguito inizia a progettare apparecchiature e strumenti per migliorare la qualità dello stimolo luminoso, dopo aver rilevato l'inadeguatezza dalle tecniche comunemente in uso in quel periodo, principalmente ruote e dischi ottici, che non permettono di sincronizzare puntualmente il pulsare delle luci con i ritmi cerebrali. Per ovviare a questo inconveniente, Grey Walter utilizza uno stroboscopio elettronico ad alta potenza e mette a punto un sistema di controllo retroattivo che consente di sincronizzare automaticamente l'accezione dei flash con il ritmo cerebrale. Questa apparecchiatura dà modo allo studioso di testare un'ampia.                                                                                                                 12 Grey Walter W. 1956, p. 78..  . 24.

(25) gamma di rapporti tra diversi stimoli di luce intermittente e qualsiasi ritmo cerebrale spontaneo: dopo aver rilevato con l'EEG la frequenza di base del cervello del soggetto, lo stroboscopio è regolato sulla stessa frequenza, detta frequenza 'specchio'. Oltre alla registrazione delle onde cerebrali tramite EEG, vengono riportati anche fattori e stati emotivi durante la stimolazione, invitando la persona in esame a descrivere eventuali sensazioni o stati insoliti.13 Durante una serie di test effettuati su di sé e sul team di ricerca per la calibratura della strumentazione, Grey Walter rileva casualmente gli effetti anomali determinati da stimoli con frequenza tra gli 8 e i 25 Hz, con una risposta in termini di visione di forme e colori in particolare tra gli 8 e i 14 Hz. Molte delle sue osservazioni sono sintetizzate nel 1949 in un articolo scientifico, primo studio sistematico dedicato,14 che contiene un'ampia descrizione delle esperienze percettive conseguenti lo stimolo stroboscopico: riporta di sensazioni visive, quali colori talmente vivi da apparire iper-reali, 15 figure geometriche e movimenti; sensazioni semplici non visive - cinetiche, tattili, uditive, gustative, olfattive, viscerali; emozioni - fatica, confusione, paura, disgusto, rabbia, piacere, disfunzioni nella percezione temporale; allucinazioni strutturate di vario tipo, come forme antropomorfe, visi o panorami, scene in movimento. Infine, l'articolo descrive una delle reazioni che avranno maggiori conseguenze su questo tipo di studi e cioè che il flicker può indurre stati clinici di psicopatia ed epilessia nel 3-4% di soggetti non patologici, ai quali cioè non sia stata diagnosticata precedentemente alcuna affezione simile.16 I sintomi riportati sono: disturbi transitori della coscienza, picchi emotivi, svenimenti, momenti di assenza e perdita di coscienza di breve durata, durante i quali i soggetti smettono di muoversi, parlare, reagire a qualsiasi stimolo esterno. Una volta rinvenuta, in.                                                                                                                 13 Ibid., 1956, p. 83, 89. 14 Walter V. J., Walter Gray W., The central effects of rhythmic sensory stimulation, Electroencehalogr. Clin. Neurophysiol, 1949, pp. 57-86. 15 Una descrizione della potenza dei colori sprigionati dal flicker, sul loro essere ‘irreali’ e differenti per qualità dai colori presenti in natura, è presente in un libro della poetessa Margiad Evans del 1950, dedicato al racconto della sua epilessia. Cfr. Evans M., 1996. 16 Studi successivi rilevano che la percentuale di incidenza tra soggetti non epilettici è di 1 su 4.000. Questo tipo di soggetti vengono definiti fotosensibili. La fotosensibilità è frequentemente manifestata durante l'infanzia o l'adolescenza – il 76% dei pazienti fotosensibili manifesta il primo attacco tra gli 8 e i 20 anni)..  . 25.

(26) genere dopo qualche minuto, la persona non ha generalmente memoria né cognizione di quanto accaduto.17 In base a tali reazioni relativamente frequenti, Grey Walter ipotizza che gli attacchi epilettici in soggetti non affetti da epilessia diagnosticata non rappresentino manifestazioni patologiche ma che possa trattarsi piuttosto di espressioni meno ricorrenti di reazioni potenziali del cervello ad alcune frequenze, esplicitate da soggetti predisposti o particolarmente sensibili a condizioni contestuali legate all’esperimento. Nel 1953 Grey pubblica il suo celebre saggio scientifico a carattere divulgativo The Living Brain,18 sunto delle conoscenze fino ad allora acquisite sulla natura elettrica del cervello. Contiene un capitolo dedicato agli esperimenti con la luce stroboscopica, introdotto da una ricognizione della storia degli studi principali, compiuti fino a quel momento, sulle onde cerebrali e sull’impiego della tecnica encefalografica.19 In questa sede, lo studioso esclude sia che le immagini possano provenire dalla retina, sia che vengano generate nell'area visiva, 'troppo specializzata e priva di originalità per poter creare da sola immaginazioni così suggestive.'20 La complessità degli effetti spinge lo studioso ad escludere che esse possano essere frutto di un’anomali retinico o oculare, ma che la loro origine debba necessariamente coinvolgere in modo esteso il cervello: Sappiamo che i disegni non sono prodotti dall'esterno e quindi non possono provenire dalla retina attraverso l'occhio. Sappiamo che non si formano spontaneamente sulla retina; sono suscettibili di cambiamenti secondo lo stato mentale e l'atteggiamento del soggetto e non si può mettere in evidenza alcun effetto anomalo negli elettrogrammi derivati dalla retina. Le immagini provocate dal lampeggiamento, insieme ai ritmi alfa, sono prodotte dal cervello. Il loro movimento è quello di un meccanismo del cervello fin’ora insospettato. Di quale meccanismo si tratta?21. La risposta è rappresentata, secondo Grey Walter, dal meccanismo di scanning effettuato costantemente e ininterrottamente dal cervello: un ritmo di luci.                                                                                                                 17 Geiger. J. 2003, p. 18 18 Grey Walter W., 1956. 19 Ibid., pp. 73-76. 20 Idem. 21 Ibid., p. 90..  . 26.

(27) stroboscopiche con un range tra 8 e 25 Hz al secondo interferirebbe con la frequenza del meccanismo di scansione cerebrale, dando vita alla fenomenologia del flicker. 22 John R. Smythies, prosegue le ricerche di Grey, inserendole nel quadro più ampio dello studio sulle allucinazioni indotte da sostanze enteogene. Per lo studioso le visioni non rappresentano un disordine nelle funzioni cerebrali, come molti credevano al tempo, quanto piuttosto l’accesso ad un piano del reale precluso dalla percezione ordinaria.23 Nel 1954, presso la University of British Columbia, conduce un primo studio su un gruppo di soggetti, utilizzando luci stroboscopiche ad un droga blandamente allucinogena, il TMA, 24 e rilevando un notevole incremento delle visioni sia in termini quantitativi che qualitativi. Gli studi di Smythies richiamano l’interesse di Aldous Huxley, che descrive i fenomeni visivi indotti dal flicker in Heaven and Hell (1956) e introduce le conoscenze sugli effetti della luce stroboscopica fuori dai contesti scientifici, influenzando come vedremo, alcuni autori vicini alla scena beat. A partire dal 1955, Smythies sottopone a test con luce stroboscopica circa 1000 soggetti. Tra il 1959 e il 1960 pubblica per il British Journal of Phychology tre articoli nei quali presenta osservazioni riguardo alla stimolazione monoculare e binoculare e osserva che, pur nella singolarità dell'esperienza, è possibile riscontrare alcune costanti e ricorrenze nelle visioni tra vari individui o tra più esperienze dello stesso soggetto. In base a questo, classifica le allucinazioni in sette categorie principali, inoltre esplora una serie di ipotesi sperimentali per spiegarne le cause alla base: tra le quali, ad esempio, l’idea che esse siano provocate dalla mancanza di forma iconica dello stimolo luminoso, della sua riduzione a pure luce. 25 Secondo questa interpretazione, la totale assenza di riferimenti che consentano al cervello di attuare abituali processi di pattern recognition,.                                                                                                                 22 Idem. 23 Geiger J. 2004. pp. 28-29. 24 TMA, Trimethoxyamfetamina, un allucinogeno sintetizzato per la prima volta nel 1947 dalla Imperial Chemicals Ltd. di Manchester. L'effetto abituale del TMA è molto blando e genera rare e poco potenti allucinazioni. In esperimenti successivi vengono invece somministrate sostanze più efficaci in tal senso e più note quali mescalina e LSD. Ibid., p. 32. 25 Smythies JR., 1960, pp. 247-255..  . 27.

(28) spingerebbe il sistema visivo a generare un'ipotesi provvisoria e autogenerata, percepita dal soggetto come immagine o pattern geometrico.26 Tra gli studi più recenti e autorevoli, quelli di Dominic H Ffytche,27 il quale ritiene che le visioni non siano causate da una variazione delle attività di specifiche aree del cervello (spiegazione topologica), quanto piuttosto da un'alterazione nella connettività tra aree cerebrali differenti (spiegazione 'odologica').28 Altri contributi mirano ad individuare una prevedibilità delle allucinazioni, cercando relazioni causali tra specifiche frequenze della luce pulsante e tassonomie dei pattern e colori riportati dai soggetti.29 La ricorrenza di figure geometriche è denominata 'costante di forma' ed è coinvolta anche negli effetti delle droghe allucinogene, nelle immagini ipnagogiche30 o di premorte31. Se questo indirizzo di ricerca rappresenta una delle declinazioni più recenti del percorso di studio sul fenomeno in ambito neurologico, resta invece un aspetto della fenomenologia del flicker poco frequentato e spesso di scarso interesse per gli artisti che includono la luce pulsante nelle loro ricerche o tra le fonti visive dell’opera, interessati maggiormente all'ambiguità e all'incertezza, alla decostruzione e alla singolarità dell'esperienza progettata ed esperita dal singolo spettatore, grazie a questa particolare condizione della luce, all’amplificazione della condizione immersiva dello spazio o alle possibilità di interazione tra eventi ritmici visivi e sonori..                                                                                                                 26 Steven A. Stwertka, 1992, p. 72. 27 Dominic H Ffytche, 2008, pp. 1067-1083; Dominic Hffytche, 2009, pp. 28-35. 28 Meulen B. C., Tavy D., B.C. Jacobs. 2009. p. 317. 29 Becker, 2006, 2009; Wackermann, Allefeld, 2008, 2010. 30 Si tratta di visioni determinate dal passaggio dallo stato di sonno a quello di veglia. 31 Klüver H., 1966, Mescal and Mechanisms of Hallucinations, cit. in Meulen B. C., Tavy D., B.C. Jacobs, 2009, p. 317..  . 28.

(29) 1.2 | Sulle tracce del flicker: un percorso nella storia delle arti 1.2.1 | Il passaggio dalle neuroscienze all'arte attraverso la Dream Machine di Brion Gysin.   Il più noto trait d'union tra la sperimentazione sulla stroboscopia in campo scientifico e ambito artistico è rintracciabile negli anni Sessanta con la realizzazione della Dream Machine, dispositivo ottico-cinetico progettato dall'artista Brion Gysin. Lo strumento è costituito da un cilindro con perforazioni di diversa dimensione e forma, in rotazione su un giradischi alla velocità di 78 giri/secondo. All'interno, una lampadina a 100 watt di potenza costituisce la fonte di luce, che filtra attraverso le feritoie sulla superficie del cilindro ad un ritmo tra 8 e 12 pulsazioni al secondo, corrispondente pressappoco alla frequenza delle onde alfa e in grado di determinare l’emersione di forme semi-allucinatorie. L'idea per la progettazione dell’apparecchio viene da un'esperienza casuale avuta dall’autore nel corso di un viaggio in autobus verso Marsiglia: il passaggio della luce solare attraverso il susseguirsi ritmico degli alberi di un viale è accompagnato da colori e forme evanescenti. L’artista propone quindi a Ian Sommerville di progettare insieme una macchina cinetica per riprodurre il fenomeno esperito da Gysin e riportato in The Living Brain, saggio segnalatogli da William Burroughs. Viene così progettata la Dream Machine, uno strumento meccanico che segna una continuità con gli esperimenti nel campo delle neuroscienze, più di quanto non accada per successivi esempi di pratiche stroboscopiche in ambito estetico. Pur trattandosi di un progetto artistico, la Dream Machine è considerata dai due autori come medium e strumento per indagare nuove configurazioni della percezione visiva, da contestualizzare sia all’interno dei mondi dell’arte che ad una diffusione più ampia presso un pubblico non specialistico. Un oggetto attraverso il quale accedere a modi della visione extra-oculari, una visione dall'interno che sia anche fonte d’ispirazione per la prassi estetica. Come sottolineato nel paragrafo precedente, l'introduzione delle luci stroboscopiche nei set sperimentali segna un notevole passo avanti nelle neuroscienze, permettendo di ampliare la potenza e la gamma delle reazioni del soggetto. Prima delle luci elettriche il dispositivo più.  . 29.

(30) utilizzato è il disco di Benham. Si tratta di un disco in bianco e nero in cui la rotazione e il ritmo dato dall'intervallo tra i due monocromi, allo stesso modo della luce pulsante, provocano la visione di anelli e forme geometriche colorati. 32 L'induzione di un'anomalia percettiva attraverso la creazione di una struttura ritmica (determinata dall'intervallo tra bianco/nero o luce/buio), lega la Dream Machine anche alla storia dei giochi ottici, utilizzati come intrattenimento nel corso del Diciannovesimo secolo, e dei dispositivi pre-cinematografici. Esperienze, queste, significative per l’affermarsi del cinema perché gettano le basi per la conoscenza dei meccanismi ottici che determinano l'illusione dell'immagine in movimento e al tempo stesso anticipano le pratiche di fruizione che si andranno consolidando e codificando nel secolo successivo.33 Tra questi: il Taumatopio, gioco inventato nel 1824 dal fisico Mark Roget che sfrutta lo sfarfallio di un disco dipinto per integrare due distinte immagini poste sulle facce dello. strumento,. attraverso. il. fenomeno. della. persistenza. retinica;. il. Fenachistoscopio, ideato da Joseph Plateau nel 1831 e formato da due dischi, sovrapposti in modo da ritmare la ripetizione di immagini dipinte e creare l'illusione del movimento; il Kinesiskope, progettato nel 1841 dal neurofisiologo e anatomista Jan Evangelista Purkyn, che produce anch'esso l’illusione del movimento, attraverso la scomposizione in più immagini successive, disposte su un cerchio in rotazione;. lo Stroboscopio, del matematico austriaco Simon von. Stampfer, che nel 1833, realizza un disco con una sequenza di immagini fisse e luce lampeggiante a frequenza regolabile. Infine, la più nota di queste macchine, lo Zootropio, inventato nel 1834 da William George Horner, del quale la Dream Machine, richiama, oltreché la presenza dell'effetto stroboscopico, anche la struttura e il funzionamento: un cilindro in rotazione la cui superficie è intervallata da feritoie, entro le quali generare la scansione ritmica della sorgente visiva. Pur marcando una continuità con la storia delle tecniche dei dispositivi ottici e del pre-cinema, la Dream Machine, ha come caratteristica originale l’essere.                                                                                                                 32 Un articolo apparso nel 1894 sulla rivista Nature, a firma di Charles E. Benham, descrive le visioni provocate dal disco e stabilisce che i colori percepiti dai soggetti sono sensazioni 'artificiali', non presenti cioè nello stimolo di partenza. Cfr. Geiger J., 2003, p. 14. 33 Sulla storia dei dispositivi e delle tecniche pre-cinematografiche, cfr. Presenti Compagnoni D., 2007..  . 30.

(31) il primo apparecchio proposto come dispositivo estetico da guardare ad occhi chiusi. I due autori realizzano il 15 febbraio 1960 un primo esemplare, brevettato nella sua versione definitiva il 18 luglio dell’anno seguente. L’invenzione, definita insieme strumento artistico e scientifico,34 è presentata per la prima volta in un numero speciale dedicato dalla rivista parigina “Olympia” del febbraio 1962, che contiene contributi dei due creatori e insieme le istruzioni per la produzione dell'apparecchio. Brion Gysin lo descrive come medium per esperienze sensoriali di tale radicalità da problematizzare il senso stesso della visione e di ciò che concerne l’ambito del visibile. Prima dell’invenzione della Dream Machine, Brion Gysin, poeta, romanziere e pittore, è noto principalmente in relazione a William Burroughs, con il quale intesse un lungo sodalizio personale e artistico. L’autore sviluppa le proprie ricerche intessendo collaborazioni con autori significativi di varie correnti e generi, da quella surrealista al beat, da Fluxus e alla Poesia Sonora e Concreta, lasciandosi influenzare da questi contesti culturali e artistici ma restandone sempre un po’ a margine e rielaborandoli in un suo eterogeneo percorso. Questa rappresenta forse una delle ragioni dello scarso interesse per la sua opera, che ha ricevuto attenzione nell’ambito delle arti visive solo in tempi relativamente recenti. 35 Un dato significativo è rappresentato dal fatto che il.                                                                                                                 34 L'invenzione viene registrata con il brevetto no. P.V. 868,281, il 18 Luglio 1961 e descritta come segue: "This invention, which has artisticx and medicai application, is remarkable in that perceptible results are obtained when one approaches one's eyes, either opened or closed, to the outer cylinder slotted with regularly spaced openings revolving at a determined speed. These sensations may be modified by a change in speed, or by a change in disposition of the slots, or by changing the colors and patterns on the interior of the cylinder..." Geiger J., 2003, p. 66. 35 Tra i contributi recenti dedicati all'opera di Gysin: Hoptman L., 2010; Geiger J., 2003; Kuri J. F., 2003; Fisher J., Hiller S., 2000; Cecil P., 1996. Per la diffusione della Dream Machine, Gysin tenta due strade, quella dell'industria dell'intrattenimento e quella del mercato dell'arte. I tentativi di commercializzazione e produzione in serie, dopo l'iniziale interesse di alcuni potenziali acquirenti, falliscono tutti in breve tempo. Il solo episodio di successo è rappresentato dall'Expo '67 di Montreal. Mentre l’autore è in vita, il mondo dell'arte, riserva una contenuta attenzione al progetto. Si segnalano comunque alcuni eventi espositivi personali o collettivi di rilievo nei quali la Dream Machine viene ospitata tra opere pittoriche – il salon Antagonisme e la mostra L'object al Louvre Musee des Arts decoratif, entrambe a Parigi nel 1962. Nello stesso anno la Galleria Trastevere di Roma ospita la personale Eight Units of a Permutative Picture: espone una serie di otto tele di grandi dimensioni realizzate dall’autore e, insieme la Dream Machine, creando un unico ambiente, che ospita anche un reading di poesia dello stesso Gysin e che costituisce quella che l'autore definisce “a chapel of extreme experience. Nel 1976 il Musée National d’Art Moderne-Centre Georges Pompidou di Parigi acquisisce uno dei prototipi della Dream Machine nella propria collezione permanente e tre anni.  . 31.

(32) recupero per il suo lavoro coincida con il diffondersi e il consolidarsi di modelli di analisi. multidisciplinari, legati allo studio del variegato panorama di opere. multimediali, trans-linguistiche del contemporaneo. Lauren Cornell nota che l'eredità più prolifica lasciata di Gysin sia l’attitudine di questo incessante sperimentatore all’ibridazione linguistica, declinata in una costante esplorazione, traduzione e passaggio tra differenti media, che anticipa la cross-medialità e il rapporto con il medium propri di molti artisti contemporanei, che articolano la ricerca di volta in volta in forme linguistiche molteplici, declinazioni diverse di un più ampio programma creativo.. 36. La Dream Machine e le esperienze ad esso, legate costituiscono un immaginario che ricorre spesso nell'opera di Gysin. Molti paesaggi, distorti fino all'astrazione, sono dipinti a partire da allucinazioni ed epifanie visive generate dalla lampada. Nei romanzi The Process (1969) e The Last Museum (1986),37 compaiono accurate descrizioni di scenari legati al flicker. La troviamo anche in The Cut-Ups (1966),38 noto film di cut-up realizzatio da Burroughs e Gysin e diretto da Antony Balch, nel quale i bagliori tipici della Dream Machine sono la base per la costruzione di un montaggio ossessivo e pulsante che riproduce, in pellicola, un processo visivo analogo a quello dell’apparecchio cinetico. 39 Le immagini emerse grazie alla Dream Machine si pongono, secondo Gysin, a metà tra due nature apparentemente antitetiche: marcano la loro completa estraneità al mondo fisico abitualmente percepito e insieme contengono una summa di tutti i simboli e le forme appartenenti alla storia del visibile e prodotte dall'uomo (immagini archetipiche e gestaltiche, simboli religiosi.40 L'accesso e la scoperta di questo vocabolario visivo primordiale, consente di ridurre l'origine dei fenomeni visivi alla sola luce, unica sorgente immateriale del visivo..                                                                                                                                                                                                                                                                                         dopo, nel 1979, il mercante d'arte Cari Laszlo ne realizza un'edizione limitata, celebrata, a settembre dello stesso anno, da una mostra presso la Galerie von Bartha di Basilea. 36 Cornell L., Contemporary Art/Contemporary Yearning. in Hoptman L., 2010, p. 145. 37 Gysin B., 1989. 38 The Cut-Ups, 1966, 16mm, 18’ 48’’, b/n, suono. Regia: Antony Balch. Autori: William Burroughs e Brion Gysin. Il film è presente nella raccolta in DVD dal titolo W. S. Burroughs. Cut-Ups Films, cura di Stefano Curti, Rarovideo. 39 Sargeant J. 1997, Naked Lens. Beat Cinema, cit. in Geiger J. 2003. p. 72. 40 Gysin Bryon, cit in Hoptman, 2010, p. 121..  . 32.

(33) 1.2.2 | Flicker film: dalla modulazione di impulsi luminosi alla creazione di sequenze percettive   Nel cinema su pellicola la pulsazione stroboscopica del dato visivo in forma di luce comporta l'intervento su alcuni parametri fondamentali della materia, agendo sul singolo fotogramma e stabilendo, nel ritmo, l'incontro tra polarità essenziali e antitetiche: luce/buio, bianco/nero, fotogramma impressionato/non impressionato, pieno/vuoto, positivo/negativo. Il flicker prevede quindi l’intervento su una relazione fondamentale del dispositivo cinematografico, quella tra lo spazio modulare del fotogramma e la sua scansione nel tempo. Come ricordato da Malcom Le Grice, l'apparato cinematografico, basato sullo scorrimento dei 24 fotogrammi al secondo si offre come piattaforma ideale per la creazione del movimento illusorio e al tempo stesso per intervenire su tale meccanismo e minare tale consuetudine, spingendo la soglia percettiva verso fenomeni ottici diversi ed esplorare la fenomenologia del flicker come ontologia del visibile altra dalla riproduzione del movimento naturale delle cose; un processo già presente in potenza nel meccanismo cinematografico.41 L’esplorazione dei sintagmi fondamentali di base del cinema - forma, materia, tempo, spazio - è tratto distintivo di pellicole sperimentali definite dagli autori di flicker film, realizzate principalmente da filmmaker attribuibili o affini alla corrente dello structural cinema o structural/material film. Le due definizioni, la prima di provenienza statunitense, inglese la seconda, definiscono la produzione di una costellazione di personalità attive inizialmente in USA negli anni Sessanta, con evoluzioni. in. Inghilterra,. principalmente. nel. decennio. successivo.. La definizione più diffusa è quella di structural film, coniata dal critico statunitense Paul Sitney Adams per identificare alcune produzioni relative alla seconda generazione dell'Avant-Garde nordamericana, vale a dire autori di poco successivi a Kennet Anger, Stan Brakhage e Maya Deren.42 Malgrado gli scritti di questo autore costituiscano un punto di partenza e di confronto imprescindibile in riferimento a tale corrente, il suo sguardo sul fenomeno non riesce ad abbracciarne.                                                                                                                 41 Le Grice M., Tony Conrad. The Flicker, in Gidal P., 1978, p. 135. 42 Sitney Adams P., 1974..  . 33.

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