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Family Business e scelte finanziarie: un'analisi empirica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

Tesi di Laurea Magistrale

Family Business e Scelte Finanziarie

Un’analisi empirica

Relatore:

Chia.mo Prof. Roberto Barontini

Correlatore:

Dott. Jonathan Taglialatela

Candidato:

Luca Bacciarelli

Anno Accademico 2019 – 2020

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D

olce paese, onde portai conforme L’abito fiero e lo sdegnoso canto

E il petto ov’ odio e amor mai non s’addorme, Pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto. Ben riconosco in te le usate forme

Con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto, E in quelle seguo de’ miei sogni l’orme Erranti dietro il giovenile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu invano; E sempre corsi, e mai non giunsi il fine; E dimani cadrò. Ma di lontano

Pace dicono al cuor le tue colline Con le nebbie sfumanti e il verde piano Ridente ne le pioggie mattutine.

Traversando la Maremma Toscana, Giosuè Carducci, 1885 – Pubblicazione in Rime Nuove, 1887 –.

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In questo elaborato si esplora il legame tra la proprietà familiare e il quoziente di indebitamento. In aggiunta, si osserva come questa relazione cambia in presenza di un manager appartenente alla famiglia proprietaria e come la proprietà familiare incide nella relazione tra indebitamento finanziario e rischiosità di impresa. Si analizza la proporzione di debito finanziario applicando un modello pooled OLS su un database comprensivo di 1072 PMI italiane nel periodo 2012-2019. I risultati suggeriscono che le family business sono in media più indebitate delle imprese non familiari. D’altro canto, il coinvolgimento manageriale non sembra un elemento significativo nella spiegazione del livello di indebitamento e le imprese con proprietà familiare e rischio elevato risultano essere più avverse al ricorso al capitale di debito. Le analisi di robustezza, che confermano i risultati ottenuti dall’analisi principale, includono modelli di regressione frazionale e definizioni alternative di impresa familiare e degli indicatori di indebitamento.

In this thesis we investigate the hypothesis that family ownership and management reduce agency problems related to financial leverage. In addition, we examine the influence of family ownership on firm’s financial risk. We use an unbalanced data panel comprehensive of 1072 Italian SMEs over the 2012-2019 and perform basic pooled regression and random fractional regression for panel data. Our results shows that family businesses are more indebted than no-family business. However family management does not seem significant in influencing leverage ratios. Furthermore, family firms with higher risk seem more averse to issue debt.

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La realizzazione di questo elaborato e il raggiungimento di questo traguardo è il frutto del continuo supporto delle persone che mi sono state a fianco.

Ringrazio il Professor Roberto Barontini per avermi seguito durante tutta la stesura di questo lavoro di tesi, per la disponibilità e la pazienza dimostrata nel chiarire ogni mio singolo dubbio, il supporto e la costante presenza, nonostante la situazione emergenziale che stiamo vivendo e i suoi altri impegni.

Questo scritto non sarebbe mai stato possibile senza la guida del Professor Jonathan Taglialatela, sin dalla fase iniziale mi ha aiutato ad orientarmi nell’indirizzare le migliaia di possibilità offerte dalla letteratura, ancor di più, in seguito, nel capire i tecnicismi econometrici che mi hanno portato alla realizzazione dell’analisi empirica, nonché la valutazione di modelli alternativi e recenti.

Ad entrambi sono grato per il tempo, la disponibilità, la pazienza e la guida concessami, non di meno per la velocità con cui hanno saputo colmare ogni mia richiesta, spero io di esserne stato all’altezza.

Dedico un affettuoso “grazie” al mio amico Alessandro, alla determinata Beatrice, alla solare Caterina ed alla saggia Matilde, compagni di Università, di giornate al mare, di pranzi a “Rossellini” e tanto altro. Non sarebbe corretto non menzionare Lorenzo A., Lorenzo C. ed Elena, per i preziosi consigli e aiuti durante tutto l’arco dei miei studi.

Ai miei amici di Lajatico, quelli “dalla scuola materna” Filippo e Michele, al mio compagno di magistrale Lorenzo, al gruppo “Gang(not)Bang” per tutte le esperienze passate insieme.

Let me switch my language to English for these few words, just for saying thanks to Clemens and Helen, the best flat mates I couldn’t ever meet during one of the most inspiring experience of my life at NHH - Norwegian School of Economics.

In fine questo lavoro è completamente dedicato ai miei genitori, a babbo Enzo e mamma Morena, sempre presenti in ogni fase della mia vita e a cui spero di dare una grande gioia in questo giorno.

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ABSTRACT 5

RINGRAZIAMENTI 7

INDICE 9

INTRODUZIONE 13

1.INDIVIDUAZIONE DEL FENOMENO DELL’IMPRESA FAMILIARE 15

1.1 Impresa familiare, una breve definizione 15

1.1.1 Family Business in letteratura 15

1.1.2 La definizione Europea 16

1.1.3 L’impresa familiare nell’ordinamento italiano 17

1.2 Caratteristiche di unicità 18

1.3 Misure di coinvolgimento familiare nell’impresa 20

1.3.1 Approccio strutturale e intenzionale 20

1.3.2 Family Business ampio, medio e stretto 23

1.3.3 Definizione multidimensionale: La scala F-PEC 25

1.4 Il governo dell’impresa e le problematiche di agenzia 28

1.4.1 L’attività di governo, tra Consiglio di Amministrazione e Consiglio di Famiglia 28

1.4.2 La teoria dell’Agenzia 31

1.4.3 Strumenti di mitigazione dei problemi di agenzia 35

1.4.4 “Dual agency problems” e incentivazione manageriale nelle imprese familiari 37

1.4.5 La “Stewardship Theory” 39

1.5 Creazione di valore nelle imprese familiari 41

1.5.1 Proprietà familiare e performance finanziaria 41

1.5.2 Management familiare e risultati economici 43

1.5.3 Successione generazionale, opportunità o minacce 46

2.STRUTTURA DEL CAPITALE:IL QUADRO TEORICO 48

2.1 Il finanziamento e la struttura del capitale 48

2.1.1 Che cosa significa “struttura del capitale”? 48

2.1.2 Debito e mezzi propri: Le caratteristiche 48

2.1.3 La struttura finanziaria ottimale 50

2.2 L’irrilevanza della struttura finanziaria 50

2.2.1 L’introduzione dell’effetto fiscale 52

2.2.2 La tassazione personale per gli investitori 52

2.3 Asimmetrie informative e costi di transazione 53

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2.4.1 Indebitamento obiettivo e costi del fallimento 54

2.4.2. Modello statico 57

2.4.3 Modello dinamico: un cenno 58

2.5 Pecking Order Theory 60

2.5.1 Implicazioni della teoria 61

2.5.2 Asimmetrie informative e problemi di selezione avversa 62 2.5.3 Combinazione ottima o ordine di scelta: un confronto 63 3. PROPRIETÀ E MANAGEMENT, TRA FAMIGLIA E IMPRESA: EFFETTI SULLE POLITICHE FINANZIARIE 65

3.1 Contributo economico e peculiarità del family business 65

3.1.1 Famiglia, storia e tradizione dell’economia 65

3.1.2 Caratteristiche finanziarie e responsabilità sociale 67

3.1.3 Coinvolgimento e patrimonio socio emozionale 69

3.2 La famiglia come nucleo proprietario e direzionale: evidenze empiriche 71

3.2.1 Costi di agenzia del debito nelle imprese familiari 71

3.2.2 Effetto proprietario e ricorso al finanziamento 75

3.2.3 Coinvolgimento manageriale 83

3.2.4 Caratteristiche di impresa e struttura del capitale 90

3.3 Formulazione delle ipotesi 96

4.UN’ANALISI DELLA STRUTTURA FINANZIARIA 97

4.1 Raccolta dati e selezione del campione 97

4.1.1 Selezione delle variabili 98

4.1.2 Analisi descrittiva del campione 100

4.2 Statistiche descrittive e analisi preliminare 103

4.3 Analisi econometrica 108

4.3.1 Modello di analisi 108

4.3.2 Risultati dell’analisi empirica 109

4.3.3 La maturità del debito 114

4.3.4 Analisi di robustezza 119

CONCLUSIONI 123

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Structure-based approach 20

Intention-based approach 21

Integrazione "Structure based approach" e "Intention based approach" 22 Grado di coinvolgimento familiare e impresa 24

Scala F-PEC 27

Relazione tra performance finanziaria e dispersione proprietaria 43 Relazione quadratica negativa tra coinvolgimento manageriale e performance 45

Trade-Off Theory, interpretazione grafica 56

Family business index (2019 ) per distribuzione geografica 66 Tasso di crescita cumulato dei ricavi delle vendite dal 2010 al 2019 68 Distribuzione del campione per macro - area 102

Distribuzione delle imprese per regione 102

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I

ndice delle tabelle

Comparazione delle imprese family business e no-family business 19 Debito e mezzi propri, caratteristiche a confronto 49 Confronto tra Trade-off e Pecking Order Theory 64 Dimensione teorica della "socioemotional wealth” 70 Risultati della regressione in Ramalho et al. (2018) per tutte le imprese 82

Descrizione delle variabili 100

Distribuzione settoriale del campione 101

Statistiche descrittive 104

Statistiche descrittive per "no family" e "family business" 106

Matrice di correlazione 107

Risultati della regressione Pooled OLS 110

Risultati della regressione "Fractional regression models" 113 Risultati delle regressioni per il debito a breve 115 Risultati della regressione debito a medio lungo termine 117 Risultati della regressione di robustezza, Pooled OLS 120 Risultati della regressione di robustezza, fractional models 122

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Le imprese familiari rappresentano la più grande forma di organizzazione economica presente al mondo, si stima che tra il 70% e il 95% delle imprese siano familiari (J. J. S. Ramalho et al., 2018) e che in Europa costituiscano circa il 50% del prodotto interno lordo, impiegando una quota tra il 40% e il 50% di tutti i lavoratori del settore privato (European Family Business, 2021).

Le opinioni in riferimento al family business sono miste, da un lato questa struttura proprietaria è rispettata perché le imprese Europee per molto tempo sono cresciute sotto la supervisione della famiglia, a questa si attribuisce un impegno di lungo termine nell’impresa e una forte connessione emozionale con il valore della stessa, tuttavia, si teme che le differenti priorità della famiglia possano ledere gli interessi degli azionisti e stakeholders esterni, limitandone la creazione di valore e la crescita (Barontini & Caprio, 2006).

Parte della letteratura ha posto l’attenzione sull’effetto della proprietà familiare sul valore dell’impresa, nonché l’effetto del coinvolgimento del fondatore o degli eredi (Villalonga & Amit, 2006).

La prospettiva della nostra analisi si sposta dal lato del rapporto di finanziamento cercando di rispondere alle domande: Come la presenza della family ownership caratterizza la struttura finanziaria delle imprese? Il coinvolgimento attivo della famiglia nell’impresa è un fattore rilevante?

Gran parte della letteratura odierna valuta imprese di grande dimensione e quotate (Ampenberger et al., 2013; Anderson & Reeb, 2003a; Croci et al., 2011a), scarsa attenzione è riservata alle PMI (Margaritis & Psillaki, 2010; J. J. S. Ramalho et al., 2018).

Nel nostro lavoro utilizziamo un campione di imprese di piccola e media dimensione Italiane andando a studiare l’effetto della proprietà familiare e del suo coinvolgimento manageriale in relazione al quoziente di indebitamento, estendendo l’analisi empirica al debito a breve e a lungo termine.

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Ulteriori fattori di controllo in linea con la letteratura di riferimento sono inseriti nell’ordine di offrire una valutazione del comportamento finanziario nel quadro teorico della static trade-off o pecking order theory.

Il lavoro è organizzato come segue. Il primo capitolo valuta la letteratura teorica nell’ottica di definire il significato di impresa familiare, le caratteristiche collegate, la valutazione delle relazioni e i possibili conflitti che possono crearsi nell’impresa, infine l’effetto proprietario sulla creazione di valore.

Il secondo capitolo ripercorre la letteratura che negli anni ha trattato la definizione della struttura del capitale.

Nel terzo capitolo andiamo ad introdurre la nostra prospettiva empirica, discutendone le evidenze proposte dalla letteratura e formulando le nostre ipotesi. Nel quarto capitolo illustriamo la creazione del database e l’analisi empirica che abbiamo condotto utilizzando un approccio in panel data, valutando due modelli econometrici ed estendendo la valutazione alla maturità del debito. Concludiamo, con una definizione di family business più restrittiva nella sezione “Analisi di robustezza” mostrando come i nostri risultati continuano ad essere validi.

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1.1 Impresa familiare, una breve definizione

1.1.1 Family Business in letteratura

La presenza della famiglia è un tratto distintivo dell’impresa che non si esaurisce nella mera proprietà di alcuni membri, legati da un rapporto parentale. La vera unicità del concetto è data dalla presenza di una relazione di parentela tra coloro che ricoprono i vertici manageriali, influenzando gli obbiettivi aziendali, nonché le strategie e la loro implementazione (Chua et al., 1999). Poiché il carattere familiare particolareggia molteplici degli aspetti del complesso produttivo, non è possibile individuarne nozione unica, gli studiosi sviluppano le diverse accezioni del termine sulle caratteristiche proprietarie, di management e sulla successione di queste, come illustrato di seguito.

Parte della letteratura definisce imprese familiari, tutte quelle in cui i componenti del gruppo “famiglia”, nella concezione di “parenti di sangue” o di legame matrimoniale, ricoprono le posizioni strategiche e di supervisione in azienda, in cui la gestione è fondata su di un legame di “parentela emotiva”. La dimensione parentale del fenomeno imprenditoriale permette un migliore allineamento, tra i membri dell’organizzazione e gli obbiettivi finanziari, valutando sempre la costrizione economico-razionale dell’inclusione legata alla capacità del membro della famiglia nello sviluppo dell’attività imprenditoriale (Ram & Holliday, 1993). Questa definizione garantisce che la scelta del componente familiare sia fatta su di una condizione coerente e che implica un legame stretto (Bøhren et al., 2018). Altri autori utilizzano una metodologia diversa, indicando tutte le aziende gestite da una famiglia dominante come Family Business. Questa classificazione dona rilevanza alla figura del “manager e fondatore”: quando il manager è anche proprietario dell’impresa, possiede un interesse personale nel successo di

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quest’ultima, a differenza del manager di professione1. Quest’ultimo, infatti, è

legato all’impresa da un contratto di lavoro, per cui il fallimento imprenditoriale non è percepito come un evento catastrofico ma come la sola perdita dell’occupazione (Daily & Dollinger, 1993).

Una terza definizione si concentra sull’avvicendamento nel tempo dei vertici aziendali. Se questo processo avviene all’interno della famiglia, quest’ultima viene associata al gruppo delle imprese familiari (Acedo-Ramírez et al., 2017).

Infine, alcuni autori classificano l’impresa come familiare quando la famiglia fondatrice possiede almeno il 25% dei diritti di voto2 (Ampenberger et al., 2013).

Difficile è definire maggiormente corretta, rispetto alle altre, una delle suddette definizioni; tuttavia, è preferibile utilizzare quelle che riescono ad includere differenti caratteristiche del fenomeno in modo ampio, per avere una visione completa dell’impresa familiare e di come queste caratterizzano il risultato della ricerca.

1.1.2 La definizione Europea

L’importanza del Family Business e il suo ruolo all’interno dell’economia in Europa è difeso anche dalla Commissione Europea, che definisce quattro criteri per chiarificare il gruppo delle imprese familiari (European Commission, 2009):

1. La maggioranza dei diritti decisionali sono in possesso della persona fisica che ha fondato l’impresa, o in possesso della persona fisica che ha acquistato il capitale sociale dell’impresa, o delle loro mogli, parenti, figli, o degli eredi diretti dei figli.

2. La maggioranza dei diritti decisionali sono diretti o indiretti.

1 Daily e Dollinger (1993) definiscono i manager che non sono anche proprietari “manager

professionisti”. La definizione prescinde dalle differenze in termini di competenze rispetto ai

manager familiari, che come suggerito da Ram e Holliday (1993), vengono inseriti in azienda secondo un criterio di razionalità economica.

2 Utilizzare un livello di concentrazione del diritto di voto elevato come il 25% è molto restringente, tuttavia, questi dati sono in linea con le evidenze riguardanti le imprese di medie dimensioni in Europa continentale presentate, per gli approfondimenti numerici rinvio a “Control of Medium-Sized

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3. Almeno un rappresentante della famiglia o di un parente è formalmente coinvolto nella gestione dell’impresa.

4. Le società quotate soddisfano la definizione di impresa familiare se la persona che ha fondato o acquisito l’impresa (il capitale sociale) o i loro familiari o discendenti possiedono il 25% dei diritti decisionali dettati dal loro capitale sociale.

Possiamo notare che queste quattro definizioni non aggiungono molto a quelle individuate nella letteratura. I tre punti iniziali ricoprono i concetti di proprietà e gestione attiva individuati nel gruppo famiglia, introducendo al terzo punto una estensione, considerando gestione familiare anche quella che avviene per mano di un rappresentante. Il quarto punto, introduce un criterio di concentrazione del potere di gestione in mano al gruppo familiare, tuttavia, solo per le società quotate. In un parallelismo con le definizioni in letteratura, nulla viene espresso in termini di mantenimento del controllo nel tempo.

1.1.3 L’impresa familiare nell’ordinamento italiano

La definizione giuridica italiana individua come impresa familiare, quella in cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado (fino ai nipoti) e gli affini entro il secondo grado (fino ai cognati) dell’imprenditore (Art. 230-bis del codice civile). Con riferimento alle decisioni rilevanti di gestione dell’impresa (impiego degli utili e degli incrementi, indirizzi produttivi e cessazione dell’attività), il codice indica che:

“Sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa” Art. 230-bis del codice civile Il legislatore determina anche i diritti patrimoniali che devono essere riconosciuti ai membri della famiglia prestatori di lavoro: Diritto al mantenimento, secondo le condizioni patrimoniali della famiglia, anche se non dovuto da altro titolo (è il caso dei figli maggiorenni); Diritto di partecipazione agli utili dell’impresa; Diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda; Diritto di prelazione in caso di divisione ereditaria o di trasferimento.

Si deve specificare che la definizione non ha come obiettivo l’individuazione di criteri oggettivi che aiutino nel definire una impresa come familiare ma, con

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l’introduzione della norma nella riforma del diritto di famiglia del 1975, pone come finalità dell’istituto la tutela del lavoro familiare all’interno dell’impresa che prima della riforma era oggetto di ingiustizie, conseguentemente al rapporto di parentela tra imprenditore e prestatori di lavoro (Compobasso, 2013).

1.2 Caratteristiche di unicità

L’importanza dello studio riferito alle imprese familiari consegue all’integrazione dell’attività economica con il nucleo famiglia. Le risorse caratterizzanti riferiscono al capitale umano, capitale sociale, capitale di sopravvivenza e capitale paziente (Sirmon & Hitt, 2003)

Iniziamo dal capitale umano, rappresentato dalle conoscenze, caratteristiche e competenze della persona. I membri della famiglia partecipano alla vita quotidiana del nucleo familiare ma anche all’attività imprenditoriale, il che pone una netta differenza rispetto alle imprese non familiari. Il contributo positivo deriva da un maggior impegno dei manager familiari, legati da un fattore emozionale all’attività dell’impresa, che valorizza una potenziale profonda conoscenza specifica del processo produttivo, dovuta al coinvolgimento già in giovane età nell’attività imprenditoriale (Sirmon & Hitt, 2003). Tuttavia, vi sono anche lati negativi, tra cui, la potenziale mancanza di competenze legate ad una educazione manageriale dei dirigenti familiari, presente nei professionisti esterni, e maggiormente problematica in aziende possedute da famiglie composte da un numero elevato di membri (Bertrand et al., 2008).

Per quanto riferisce al capitale sociale, indichiamo tutti gli attributi soggettivi integrati nelle relazioni personali del singolo soggetto, con potenziale valore aggiunto all’attività di impresa. Sirmon e Hitt (2008) definiscono tre dimensioni del profilo: Strutturale, con riferimento ai legami che si creano e alla loro formazione; Cognitiva, fondata su un linguaggio condiviso; Relazionale, connessa alla fiducia delle parti nel rapporto. Coleman (1988) sostiene la favorevole influenza nella crescita del capitale sociale nelle famiglie caratterizzate da una forte relazione fisica ed affettiva tra generazioni. Infatti laddove i figli hanno un rapporto sentimentale fortemente radicato con i genitori, sono più propensi ad acquisire da loro nuove conoscenze e competenze.

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Il capitale finanziario paziente prevede una miglior gestione delle risorse monetarie, individuandone il movente negli obiettivi di lungo termine e nella volontà di preservare l’attività per le generazioni future. Un possibile svantaggio nelle imprese familiari è nella limitazione di alcune tipologie di risorse finanziarie, elemento connesso alle, spesso, limitate dimensioni.

Il capitale di sopravvivenza asserisce al lavoro gratuito o in forma di prestito dei membri familiari, gli investimenti nel capitale proprio e i prestiti monetari effettuati dai parenti. L’importanza si rileva nei momenti di crisi economica, caratterizzati da un razionamento finanziario, ma anche nei periodi di espansione imprenditoriale, tal volta, segnate da scelte errate. Una sintesi, e parallelismo con le imprese non familiari, in Tabella1.

Tabella 1: Comparazione delle imprese family business e no-family business

Family Business Non-Family

Business

Definizione Positività Negatività Capitale Umano Conoscenze, competenze e capacità di una persona Maggior impegno, minori formalità, relazioni intime e forti conoscenze specifiche dell’azienda. Difficile attrarre e trattenere manager altamente qualificati,

mercato del lavoro ristretto

Lati positivi non condivisi, ma vi sono

meno limitazioni (attrazione manager competenti e mercato

del lavoro ampio)

Capitale Sociale Risorse integrate, accessibili attraverso il network Componenti integrati nella famiglia e sviluppo del capitale

sociale

Relazioni limitate Relazioni di tipo diverso Capitale finanziario paziente Investimenti finanziari senza la minaccia di liquidazione Obbiettivi di lungo periodo Risorse finanziarie limitate ai membri della famiglia, escludendo membri esterni

Non vi sono lati positivi ma, neanche

limitazioni Capitale di sopravvivenza Risorse personali comuni e condivise con l’azienda

Aiuto nel sostenere l’azienda in periodi di crisi economica e

di espansione

Non presente in tutte le imprese familiari

Non presente dovuto al minor impegno di

lavoratori e stakeholder

Fonte: Elaborato da "Managing resources: Linking Unique Resouces, Management, and Wealth Creation in Family Firms" Sirmon e Hitt (2003) in Entrepreneurship Theory and Practice

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1.3 Misure di coinvolgimento familiare nell’impresa

1.3.1 Approccio strutturale e intenzionale

Per definire una impresa come familiare, si deve avere partecipazione della famiglia nella proprietà, nell’attività di gestione o di sorveglianza della stessa, questa idea è diffusa in letteratura, condivisa a livello europeo e dall’ordinamento italiano all’art. 230-bis del codice civile.

In letteratura viene valutata una modellizzazione di questi due aspetti, attraverso un approccio strutturale e intenzionale, valutando poi la combinazione dei due modelli (Litz, 1995).

Il primo modello è lo “Structure Based approach” come si intuisce, analizza la struttura dell’organizzazione, nelle dimensioni di proprietà e management dell’impresa, quindi sulla loro diversificazione, di seguito lo schema proposto da Litz (1995).

Figura 1: Structure-based approach

Fonte: “The Family business: Toward definition clarity – Litz, R.A. 1995

Lo schema mostra tre livelli di concentrazione manageriale e proprietaria, seguendo un ordine di concentrazione decrescente:

• Individuale: La gestione o la proprietà appartiene a un singolo soggetto. • Familiare: La gestione o la proprietà appartiene a un gruppo di soggetti

legati da un rapporto di parentela.

• Ampiamente diffuso: La gestione o la proprietà appartengono a più soggetti, appartenenti a diversi gruppi.

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Analizzando lo schema, si vuol classificare il coinvolgimento della famiglia nei due aspetti dell’impresa e dall’analisi delle combinazioni si possono individuare quelle in cui il ruolo della famiglia non è rilevante (celle: 1, 3, 7, 9), quelle in cui la famiglia è coinvolta nella gestione o nella proprietà (celle: 2, 4, 6, 8) e il caso in cui entrambe le dimensioni sono nel dominio della famiglia (cella 5).

Seguendo l’analisi della griglia si individuano le combinazioni “gestione – proprietà” che coinvolgono il nucleo di parenti, con questo approccio si vuol definire una impresa come Family Business, valutandone il coinvolgimento nell’attività (Litz, 1995).

Il criterio appena illustrato pone le proprie basi su elementi esterni e tangibili dell’azienda (c.d. “strutturali”). La successiva intuizione di Litz è quella di spostarsi su di un livello interno, studiando le dinamiche intenzionali3 degli attori dell’attività

economica. La prospettiva di analisi interna è definita “Intention Based Approach”. Figura 2: Intention-based approach

Fonte: “The Family business: Toward definition clarity – Litz, R.A. 1995

A lato della griglia si mostra la situazione attuale dell’azienda di analisi, in basso viene valutata la dinamica intra-organizzativa, cioè la volontà di aumentare o meno la presenza familiare.

3 L’analisi interna all’organizzazione è punto importante per catturare l’essenza del Family Business, che consiste nella visione della famiglia e nella volontà che questa visione venga perseguita, anche con l’aiuto delle generazioni future (Chua, et al., 1999). Porsi sul livello dell’impresa è fondamentale per capire i meccanismi che questa utilizza per sviluppare la visione desiderata, più importante capire le intenzioni delle generazioni future nel perseguimento degli obbiettivi (Sharma, 2004).

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Nella lettura della griglia si possono evidenziare due possibili situazioni di transizione. La prima nel quadro in alto a sinistra, dove l’azienda attualmente è impresa familiare, ma non vi è intenzione di continuare in questa direzione. Si potrebbe assistere ad una situazione opposta, una famiglia che vuol rafforzare la sua posizione in una azienda che non è attualmente familiare, rappresentata nel quadrante in basso a destra.

Il quadrante in alto a destra e il quadro in basso a sinistra, rappresentano situazioni stabili, in cui la situazione attuale è in linea con le intenzioni future della proprietà, nel caso, rispettivamente di Family e No-Family Business.

Questa proposta di Litz (1995) permette di ampliare la definizione di Family Business, a tutte le imprese in cui, il nucleo familiare mantiene, o si impegna a promuovere, un rapporto di tipo familiare all’interno dell’impresa.

In fine, il terzo modello, propone una visione integrata dell’approccio strutturale e interno all’organizzazione.

Figura 3: Integrazione "Structure based approach" e "Intention based approach"

Fonte: “The Family business: Toward definition clarity – Litz, R.A. 1995

La figura rappresenta l’integrazione dei due approcci precedentemente illustrati. I numeri interni ai quadranti, esprimono le possibili combinazioni “gestione – proprietà” illustrate in figura 1, integrate nella lettura delle dinamiche intra-organizzative dell’impresa.

La griglia mostra che solo una delle combinazioni presentate in figura 1 rappresenta una Family Business (cella 5), differentemente due combinazioni sono collegate a

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situazioni di No-Family Business (celle 1 e 7). Le altre combinazioni, vengono identificate come situazioni di transizione, presentando la possibilità di diventare imprese non familiari, nonostante parte della famiglia sia coinvolta nella gestione (cella 4) o nella proprietà (celle 2 e 8), differentemente, sebbene vi sia solo un soggetto familiare coinvolto nella gestione (cella 6) o nessuno (celle 3 e 9), ma con la caratteristica comune di avere un proprietario individuale, presentano la possibilità di transizione in una situazione di impresa familiare.

La lettura congiunta dei due criteri, ci porta ad osservare che una impresa familiare, può esser considerata tale nel momento in cui l’unità familiare è proprietaria e/o coinvolta nel management, impegnandosi nel mantenere un ambiente organizzativo interno di relazione parentale (Litz, 1995).

1.3.2 Family Business ampio, medio e stretto

Nel paragrafo introduttivo abbiamo individuato gli aspetti che vengono valutati in letteratura per definire una impresa familiare, l’esistenza di un legame di parentela tra i componenti dell’impresa (Bøhren et al., 2018; Ram & Holliday, 1993), il ruolo di gestione strategica ricoperto dalla famiglia (Daily & Dollinger, 1993), la rilevanza della successione familiare nel passaggio generazionale che coinvolge le posizione proprietarie e manageriali dell’impresa (Acedo-Ramírez et al., 2017). Utilizzare una definizione di family business più o meno stringente può variare i risultati delle nostre analisi (Chua et al., 1999) e nasce quindi la necessita di individuare una nozione di impresa familiare diversificata, in base alla concentrazione proprietaria e di gestione in mano alla famiglia.

Nell’individuazione di questa specificazione, il lavoro di Shanker e Astrachan (1996) propone di definire una impresa come familiare valutandone il coinvolgimento dell’unità parentale, introducendo la gradazione: ampio, medio e stretto.

Il criterio di definizione ampio è il maggiormente inclusivo, indica le imprese familiari nelle quali la famiglia non è in contatto quotidiano con l’impresa ma è capace di influenzarne le decisioni. Il livello medio, include i criteri del livello ampio, inoltre richiede che l’impresa sia guidata dal fondatore o da un suo successore, per cui un coinvolgimento quotidiano nell’impresa. La definizione di

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Family Business stretto, oltre a includere tutte le precedenti condizioni, richiede che vi sia un elevato coinvolgimento della famiglia nell’attività imprenditoriale, più soggetti della famiglia e più generazioni, devono esser coinvolti nella proprietà o nella gestione quotidiana del complesso. La rappresentazione grafica proposta dagli autori è riportata in Figura 4.

Lo schema presentato aiuta nella lettura: da sinistra verso destra notiamo un livello crescente di coinvolgimento familiare nella gestione. Nel Family Business in senso ampio il coinvolgimento familiare non è elevato, si richiede che solo un membro della famiglia partecipi nell’attività per la classificazione associata a impresa familiare, laddove, nell’impresa familiare in senso stretto, i criteri stringenti di coinvolgimento familiare attivo e quotidiano, implicano che l’attività di impresa sia la principale fonte di remunerazione per la famiglia.

Figura 4: Grado di coinvolgimento familiare e impresa

Fonte: "Myths and Realities: Family Businesses' Contribution to the US Economy, A framework for assessing Family Business Statistics" - Shanker M. C., Astrachan J. H., 1996

La nozione di classificazione utilizzata è rilevante perché permette di ottenere un campione di analisi più o meno grande. Gli autori studiano l’utilizzo delle definizioni di un campione nel mercato americano, individuando che una definizione di impresa familiare in senso stretto risulta in un campione di 4.134

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imprese, differentemente dalla definizione più ampia che ne ottiene 20.3324

(Shanker & Astrachan, 1996). Come si può intuire, la scelta di utilizzare una definizione o l’altra, influisce sui risultati oggetto dell’analisi, per cui, per ottenere una migliore rappresentazione della realtà è preferibile utilizzare una definizione che riesca ad individuare il maggior numero di imprese (Chua et al., 1999).

1.3.3 Definizione multidimensionale: La scala F-PEC

Il modello di Astrachan, Klein e Smyrnios (2002), propone l’individuazione delle aziende familiari in un contesto di valutazione fondato su tre aspetti: potere, esperienza e cultura.

La valutazione congiunta dei tre aspetti fornisce una metodologia di analisi continua dei principi illustrati, più accurata e che permette di cogliere le differenti sfumature dei diversi fattori, differentemente dall’analisi dicotomica precedentemente diffusa (Holt et al., 2010).

La dimensione “potere” valuta l’influenza familiare nella gestione dell’impresa, analizzando gli aspetti proprietari, di gestione e quindi di partecipazione nell’attività di business. Queste caratteristiche di influenza familiare sono viste come sostituibili, cioè la mancanza di potere in uno di questi criteri può esser compensata dagli altri, oppure come combinazione rafforzativa dell’unità parentale, possono esser valutati l’uno in aggiunta dell’altro (Astrachan et al., 2002). L’influenza familiare è utilizzata come indicatore della forza con cui il nucleo indirizza l’attività economica, calcolata come la percentuale dei rappresentanti della famiglia all’interno degli organi gestori e di controllo, medesima considerazione vi è per l’influenza indiretta, dove il calcolo avviene nei confronti di coloro che agiscono in rappresentanza della famiglia.

La scala F-PEC che si riferisce al potere e il dominio del gruppo familiare, ne misura il livello di influenza, in relazione alla totalità del complesso aziendale (Klein et al., 2005).

4 L’interpretazione numerica si riferisce alla “Appendice 1”, gli autori propongono l’individuazione del numero totale delle imprese in America per le definizioni di impresa familiare “Ampia” o “Stretta”. I dati sono ottenuti da: “IRS (Internal Revenue Service) Income Statistics, 1991” e “Mass Mutual Family Business Survey, 1994”.

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Nei casi in cui si assiste ad una gestione condivisa tra rappresentanti diretti e indiretti dell’unità parentale, il calcolo è generato con l’attribuzione di un sistema di pesi, dove si attribuisce maggior rilevanza agli esponenti diretti5 del gruppo

famiglia.

La seconda dimensione è quella esperienziale, quale misura del ricambio generazionale che avviene nell’impresa. Si argomenta che l’ingresso di nuove generazioni ne accresce il valore, sebbene, l’incremento marginale di valore donato all’impresa da parte dei giovani successori è minore dell’apporto dei precedenti entranti; vale a dire che l’aumento di valore delle generazioni successive è proporzionalmente minore a quello delle generazioni precedenti, perché nei primi anni di attività del complesso produttivo maggiore è il numero di nuovi processi da dover implementare (Astrachan et al., 2002).

La terza e ultima dimensione dell’analisi, riguarda l’aspetto culturale, l’integrazione e condivisione dei valori tra i membri del nucleo familiare e tra famiglia e impresa. La valutazione6 focalizza l’impegno con cui i familiari aiutano l’attività ad ottenere

successo, la loro fedeltà all’impresa, la compatibilità dei valori condivisi e quelli dell’attività economica, l’essere orgogliosi della propria attività e la volontà di perseguire obbiettivi di lungo periodo.

Integrando le tre dimensioni di analisi otteniamo il calcolo dell’indicatore F-PEC, sul quale fondiamo l’individuazione delle aziende familiari, una rappresentazione grafica dei criteri di valutazione è fornita in figura 5.

Come evidenziato in apertura del paragrafo, e condiviso nella letteratura, la metodologia di investigazione continua garantisce maggior precisione di quella dicotomica. La principale critica avanzata indica che la comparazione

5 Per capire il concetto, l’utilizzo di un esempio può aiutarci, riprendiamo l’originale proposto dagli autori (Astrachan, et al., 2002). Immaginiamo di avere un consiglio di amministrazione composto da cinque membri, in cui, due sono i rappresentanti diretti dell’unità familiare e due quelli indiretti, un rappresentante è attribuito alla minoranza non familiare. Si calcola che i rappresentanti diretti della famiglia rappresentano il 40% della totalità familiare, alla rappresentanza indiretta è attribuito un peso pari allo 0.1, da cui l’influenza indiretta della famiglia è pari al 4% (40% * 0.1). Dalla somma dell’influenza diretta e indiretta, si ottiene l’influenza totale della famiglia sulla gestione d’impresa pari al 44%.

6 Per una comprensione sulle metodologie di valutazione dei diversi aspetti si veda il questionario in appendice ad Astrachan, Klein e Smyrnios, che suddivide rispettivamente in scala continua il potere, l’esperienza e la condivisione culturale tra famiglia e impresa (Astrachan, et al., 2002).

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internazionale è un importante elemento da considerare nella valutazione dell’autorevolezza della famiglia nei confronti dell’azienda, particolarmente, per quanto concerne l’influenza indiretta a causa delle diverse tipologie proprietarie permesse attraverso diverse entità (ad esempio: Holding e Trust) (Klein et al., 2005). La valutazione del potere attribuibile alla proprietà potrebbe anche esser esteso nella valutazione di differenti culture familiari, settori industriali e anche nell’ottica di possibili variazioni nel tempo (Cliff & Jennings, 2005). La terza osservazione si riferisce a coloro a cui è indirizzato il questionario, cioè gli amministratori delegati delle imprese (c.d. CEO). Potrebbe essere interessante inviare il questionario ad altri membri familiari coinvolti nell’attività economica, valutando poi, la congruenza delle risposte (con quelle dei CEO) (Cliff & Jennings, 2005).

Figura 5: Scala F-PEC

Fonte: “The F-PEC Scale of Family Influence: A Proposal for Solving the Family Business Definition Problem”, Figura 5 - Astrachan et al. 2002

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Osserviamo che vi sono evidenze empiriche7 a supporto del modello, proposte su

di un campione di aziende americane e tedesche (Holt et al., 2010; Klein et al., 2005).

Concludiamo che, sebbene il modello multidimensionale permetta una migliore analisi nella valutazione della impresa definita “familiare” e che offre la possibilità di quantificare la caratteristica dell’essenza della famiglia nell’impresa, il principale limite della metodologia è nel tasso di risposta al questionario, solitamente basso in particolare nelle PMI (Holt et al., 2010).

1.4 Il governo dell’impresa e le problematiche di agenzia

1.4.1 L’attività di governo, tra Consiglio di Amministrazione e Consiglio di Famiglia

Come abbiamo già avuto possibilità di sottolineare l’elemento distintivo del family business è l’integrazione della famiglia nell’attività di impresa.

La corporate governance è il fenomeno che comprende la proprietà dell’impresa e la struttura manageriale, allineando e organizzando l’interazione tra le due. Gli organi compresi sono: l’Assemblea degli Azionisti, il Consiglio di Amministrazione e i vertici massimi della direzione aziendale (c.d. Top Management). L’assemblea degli Azionisti pone le decisioni finali sull’attività imprenditoriale; tuttavia, le questioni relative al governo societario sono in capo al Consiglio di Amministrazione (ad esempio le modalità di scelta dei membri dello stesso, il suo funzionamento e le relative responsabilità) ripercuotendosi sull’operatività del top management (Brenes et al., 2011). Le caratteristiche del governo aziendale differiscono tra le varie tipologie di imprese. In relazione al tema trattato, poniamo l’attenzione al family business.

Il particolare caso delle imprese familiari guida a requisiti distintivi e specifici. La famiglia, nell’attività di supervisione e controllo manageriale, ha la necessità di

7 La metodologia di raccolta dati utilizzata ha avuto per oggetto l’invio di un questionario, ad un campione casuale di 10.000 imprese tedesche, individuate nel database Hoppenstedt, tra quelle con fatturato superiore a € 1.000.000 e registrate al registro del commercio tedesco. Il questionario è stato inviato durante i primi mesi dell’estate 2002 e chiuso nel settembre dello stesso anno, con un tasso di risposta del 12,8%. I questionari incompleti o che presentavano risposte non logiche sono stati eliminati(Klein et al., 2005). Holt (2010), attua l’analisi su di un campione di Imprese familiari Americane, riferendosi alle aziende analizzate in “American Business Survey” (2002), condizione aggiuntiva è che le imprese siano in attività da almeno 10 anni.

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adottare una struttura direzionale che migliori la coesione e la condivisione di valori e strategie, riducendo i possibili conflitti.

Si deve specificare che la presenza di una distinzione gerarchica non è elemento comune a tutte le imprese, e spesso quando una di queste nasce come impresa familiare e le sue dimensioni rimangono limitate, non possiede un Consiglio di Amministrazione oppure questo è composto da soli membri della famiglia. Ciò influisce sull’obiettività della governance, favorendo tal volta gli interessi familiari su quelli dell’impresa. Importanti benefici sono legati anche ad una forte presenza di leader familiari, dato che essi restano in carica per lunghi periodi di tempo, favorendo la continuità dell’attività e la stabilità all’impresa. Quindi, la gestione risulta essere più prudente e manager e dipendenti sono più leali alla famiglia che all’azienda (Brenes et al., 2011).

L’approccio per sistemi ne indica la co-esistenza di due principali: Il sistema di governo dell’impresa e il sistema collegato alla famiglia. Il sistema riferito all’attività imprenditoriale è definito come tutte le attività di amministrazione e controllo formate dai vertici direzionali, il Consiglio di Amministrazione e l’assemblea degli azionisti. Sul fronte familiare, si definiscono e organizzano i ruoli dei membri nell’impresa favorendo lo sviluppo di una ideologia comune. Questi obiettivi vengono perseguiti con l’adozione di un Consiglio di Famiglia, nonché nell’assemblea degli azionisti (Siebels & Zu Knyphausen-Aufseß, 2012).

Il Consiglio di Amministrazione (anglicizzato in Board of directors) è l’organo più importante nel governo dell’impresa, ha l’obbiettivo di allineare gli interessi degli azionisti con quelli manageriali, attua attività di controllo e di consulenza nei confronti del top management, può anche favorire l’integrazione delle relazioni familiari, la partecipazione strategica e la crescita dei collegamenti tra azienda e ambiente esterno. Corbetta e Salvato (2004) argomentano che una maggiore dimensione dell’organo ne migliora l’attività di controllo, rispecchiata in una riduzione dei costi di agenzia, consentendo quindi il miglioramento dei risultati reddituali. L’aspetto negativo dell’implementazione di un’attività di controllo troppo stringente si rispecchia nella riduzione di motivazione degli amministratori nel comportarsi con un atteggiamento pro-organizzativo (Corbetta & Salvato, 2004).

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Siebel e Knyphausen-Aufseß (2012) suggeriscono l’integrazione di membri esterni alla famiglia all’interno del board of directors provvedendo l’apporto di importanti risorse ed espandendone le conoscenze legate all’istruzione e all’attività professionale, caratteristiche soggettive del membro non appartenente alla famiglia. Le risorse aggiuntive derivano dai contatti esterni, consentendo loro di offrire una consulenza articolata, più o meno difficile da ottenere in relazione al settore di appartenenza, apportando un incremento di valore nei risultati economici dell’impresa.

Come già citato, la presenza più o meno grande di un Consiglio di Amministrazione è legata a vari aspetti. Brenes et al. (2011) suggeriscono la connessione con il ciclo di vita dell’impresa. Nella prima fase il proprietario dirige l’azienda direttamente, prendendo tutte le decisioni e l’organo consiliare è spesso mancante. Quando avviene l’ingresso della seconda generazione, il fondatore ne inizia a considerare la creazione, con il fine di aiutare i figli a far crescere l’impresa ed amministrare i conflitti connessi. La presenza del CdA assume maggior valore nei processi di transizione proprietaria, generazionale, e nell’ingresso di membri esterni o soggetti di società partner. E’ il momento del passaggio generazionale il più favorevole nella crescita organizzativa dell’azienda, l’approccio diventa maggiormente strutturato, con la creazione di un organo esecutivo dove vengono inseriti membri esterni con competenze integrative di quelle possedute dal nucleo parentale.

Sintetizzando, con l’ingresso di membri esterni il Consiglio di Amministrazione assume maggiori competenze nella gestione dell’attività imprenditoriale e, tal volta, nella mitigazione dei conflitti interni alla famiglia, facilitando le comunicazioni tra le parti, tutelando gli interessi degli azionisti e quelli della famiglia proprietaria (Brenes et al., 2011).

Si affianca il Consiglio di Famiglia, elemento unico delle imprese familiari, la funzione cardine è la gestione dei rapporti tra la famiglia e l’impresa, allineando gli interessi tra le parti e mitigando il fattore emozionale nelle decisioni intraprese dalla proprietà. Svolge le funzioni di discussione delle strategie imprenditoriali, sviluppando gli obbiettivi e presentandoli al top management e al board of directors, e può eleggere i membri di quest’ultimo. Inoltre, gestisce e influenza l’avvicendamento generazionale nella guida dell’impresa e giudica le caratteristiche soggettive dei potenziali nuovi entranti nel capitale dell’impresa. In

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fine, gestice il processo di uscita degli attuali azionisti (Siebels & Zu Knyphausen-Aufseß, 2012).

Il Consiglio di Famiglia è quindi un luogo in cui i membri discutono i propri punti di vista e bisogni, le strategie da perseguire e i disegni futuri, senza interferire con la conduzione quotidiana dell’azienda, dalla quale deve esser autonomo. A sostegno dell’indipendenza dell’organo, il presidente, eletto tra i membri della famiglia, deve preservare la sua libertà di giudizio nei confronti del leader aziendale (Giudice & Maggioni, 2011).

1.4.2 La teoria dell’Agenzia

Si definisce relazione di agenzia, quando uno o più soggetti (c.d. Principale) delegano uno o più soggetti (c.d. Agente) nell’amministrare operazioni e attività, in loro nome. Il contesto imprenditoriale da noi analizzato può indentificare questa relazione come il rapporto che esiste tra proprietà e management, proprietà e azionisti di minoranza, proprietà e prestatori di debito, ma anche in prospettiva intra-organizzativa, tra i manager della stessa.

I problemi derivanti sono sintetizzabili in due punti: 1. I conflitti che si creano tra gli obbiettivi del principale e dell’agente; 2. Il difficile e costoso controllo per il principale, nei confronti del comportamento dell’agente (Eisenhardt, 1989).

Nel contesto aziendale “proprietà – management”, i soggetti potrebbero avere diversa propensione al rischio, conseguentemente le azioni intraprese in ambito strategico risultare troppo rischiose, quindi non ottimali, per i titolari dei diritti residuali dei flussi di cassa (Eisenhardt, 1989).

Nell’analisi del fenomeno, il lavoro di Jensen e Meckling (1976), pone le basi dello studio.

Individuata la definizione di rapporto di agenzia e i relativi attori, è importante osservare che, se entrambe le parti massimizzano la propria utilità, è probabile che l’agente non opererà sempre nel migliore interesse del principale. In termini generali si assisterà ad una divisione tra coloro che possiedono elevate percentuali investite nel capitale dell’impresa e l’organo che indirizza le decisioni economiche (E. F. Fama & Jensen, 1983).

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A livello intra-organizzativo, il rapporto tra principale e agente è regolato contrattualmente (E. Fama, 1980), stabilendo la natura del rapporto e il processo decisionale, al quale gli agenti devono attenersi nello svolgimento dell’attività di impresa. La regolamentazione dei rapporti e della decisione strategica è importante e caratterizza le diverse aziende, stabilendo perché alcune riescono ad ottenere un maggiore successo di mercato (Jensen & Meckling, 1976).

Tuttavia, è difficile, se non impossibile, in un rapporto a costo zero, che nel suo operato il preposto, agisca nell’ottica di massimizzazione del valore per il principale. Quest’ultimo può implementare meccanismi di incentivazione e controllo per garantire un migliore allineamento dei propri interessi con quelli dell’agente, disincentivandolo dal perseguire comportamenti egoistici legati a costi di agenzia. Questi devono esser individuati in concezione ampia, non limitandosi a quelli originati da attività di monitoraggio e controllo, ma devono esser considerati come costi di agenzia anche le decisioni dell’agente che originano una riduzione del patrimonio del principale.

Per quanto riguarda l’implementazione degli incentivi, è importante che questi risultino essere adeguati a quelli utilizzati dalle imprese concorrenti perché, se il mercato del lavoro è competitivo, la proprietà che non implementa meccanismi di remunerazione concorrenziali, vedrà i propri manager andarsene, tra cui, per primi quelli più bravi (E. Fama, 1980).

Come abbiamo introdotto in precedenza i costi di agenzia possono incorrere anche, nel momento in cui il proprietario apre il capitale ad azionisti esterni e dalla divergenza degli interessi tra le parti, conseguentemente i nuovi azionisti valuteranno le aspettative di possibili frizioni e dei costi di monitoraggio, riflettendole nel prezzo delle quote di capitale. Sebbene il prezzo pagato dai nuovi entranti sia corretto al ribasso, il proprietario preferirà raccogliere capitale proprio, anziché debito, sino a quando l’incremento di valore del suo patrimonio derivante dalla convergenza dei suoi interessi con quelli dell’azienda, sia in grado di compensare i costi di agenzia. Questi scontano le aspettative di natura pecuniaria, quindi tutte le decisioni concernenti l’attività di gestione strategica dell’impresa che genera risultati economici, ma anche di natura non pecuniaria, in tal senso, l’imprenditore potrebbe esser soddisfatto dei risultati finanziari ottenuti e per cui non impegnarsi nel voler incrementare il valore dell’impresa con nuovi progetti,

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scoraggiato dai possibili problemi tecnologici e personali (es. ansia, stress, minor tempo libero) ad essi collegati, chiaramente questo comporta un disincentivo per gli investitori che vogliono massimizzare la propria quota (Jensen & Meckling, 1976).

Non solo, nuovi azionisti ma anche con i prestatori del debito possono originarsi dei conflitti di agenzia. Quest’ultimi vogliono controllare e tal volta, vincolare l’operato del management nella raccolta di nuovo debito e più in generale, in tutte quelle attività rischiose che potrebbero ridurre il capitale sociale e quindi la garanzia per i finanziatori. Le limitazioni sono di fatto attività di monitoraggio e controllo, imposte dai prestatori di debito, inserite attraverso apposite clausole contrattuali (c.d. covenants), che si riflettono in un maggior costo delle risorse per l’impresa. Dobbiamo osservare che è interesse dell’imprenditore ottenere il finanziamento ad un prezzo minore, per cui potrebbe decidere, prima della richiesta dei finanziatori, di incentivare i meccanismi di trasparenza dell’operatività aziendale, ad esempio, avvalendosi di valutatori esterni e indipendenti, nella certificazione dei documenti riguardanti la gestione finanziaria. Inoltre, l’incremento del livello di debito rende la struttura finanziaria più rischiosa, conseguentemente incrementa i possibili costi del fallimento e di una eventuale riorganizzazione, entrambi riflessi nei costi operativi e nei ricavi futuri8. Concludendo, i costi di agenzia del debito possono

esser sintetizzati in: 1. L’opportunità persa di incremento del valore dell’impresa dovuto all’impatto del debito sulle decisioni di investimento; 2. Spese di monitoraggio da parte degli obbligazionisti nei confronti del proprietario; 3. Costi di fallimento e di riorganizzazione (Jensen & Meckling, 1976).

Fama e Jensen (1983), focalizzano il loro studio sull’analisi delle diverse possibilità organizzative in varie tipologie societarie private (imprese a capitale diffuso, imprese finanziarie, organizzazioni no-profit e società tra professionisti), indagandone il processo decisionale e i possibili conflitti. L’argomentazione indica che nell’implementazione delle strategie imprenditoriali, quando i manager

8 Il punto può esser reso più chiaro con due esempi. Per quanto riguarda i costi operativi, un’azienda con un elevato rischio del fallimento, dovrà sostenere spese salariali più elevate per i suoi dipendenti, poiché quest’ultimi scontano una probabilità più elevata di rimanere senza lavoro. Dal lato dei ricavi, pensiamo all’acquisto da parte di un consumatore di un bene durevole (o di un macchinario da parte di una impresa, in un mercato business-to-business), ad esempio un’automobile, nel tempo il consumatore potrà avere bisogno di assistenza tecnica, per cui ha interesse che l’azienda produttrice non fallisca, per aver l’opportunità di continuare a reperire sul mercato i pezzi di ricambio.

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appartenenti all’organo di gestione non sono anche possessori di una quota di capitale dell’impresa, non sostengono il rischio delle loro decisioni in termini di appropriazione dei flussi monetari. Quindi, senza la presenza di un organo di controllo, i manager sono incentivati nell’intraprendere decisioni che possono deviare dagli interessi della proprietà. La separazione tra la decisione strategica e il controllo dell’impresa risulta essere fondamentale, in modo che il manager non esercita potere di indirizzo dell’attività e di controllo sulla medesima decisione. Tuttavia, nel contesto di divisione tra i soggetti che detengono i diritti finanziari dell’impresa, i titolari dei diritti decisori e coloro che ricoprono la posizione di controllo, la soluzione proposta dagli autori è quella di limitare le decisioni di indirizzo strategico ai possessori di elevate quote capitale, anziché implementare costosi sistemi di monitoraggio sull’operato dei manager. Argomentazione, quella di allineare i poteri gestori ai possessori dei diritti maggiori sul capitale che incontra il suo limite nella specializzazione delle abilità manageriali dei proprietari.

L’attività di controllo riguardante le decisioni strategiche, nelle imprese in cui cooperano team diversi è attuata dagli stessi singoli manager, incentivati dalla competizione tra i diversi gruppi e all’interno della propria squadra, tra i vari membri. In breve, ogni manager controlla i manager dei livelli inferiori, ma anche superiori, per cui, maggiore è la competitività tra i dirigenti interni all’azienda e l’interdipendenza tra i team di lavoro, maggiore è l’attività di controllo sul lavoro reciprocamente svolta (E. Fama, 1980).

La presenza di elevata competizione interna all’azienda, potrebbe guidare i manager in comportamenti individualistici, mossi dalla volontà di ascesa nelle gerarchie aziendali. Soluzione alternativa e atta a non ledere il clima collaborativo interno è l’introduzione di organi di controllo esterni e indipendenti. La presenza di una funzione audit esterna e indipendente all’impresa ne accresce il valore, inoltre, si evidenzia l’importanza, nell’ottica di limitare le collusioni con i manager, di utilizzare un comitato di revisione anziché, di un unico revisore poiché corrompere un intero audit committee è più costoso che corrompere un solo controllore (Watts & Zimmerman, 1983).

Concludiamo delineando che la relazione di agenzia nasce dalle differenti esposizioni al rischio, riflesse nel disallineamento degli obiettivi tra gli attori del rapporto. Il soggetto agente favorito da una razionalità limitata del principale nel

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monitoraggio del suo operato, dovuta dalla presenza di asimmetrie informative, opererà nel perseguimento dei propri interessi, che quando differiscono da quelli del principale originano relazioni di agenzia (Eisenhardt, 1989).

Segue che, se nella gestione aziendale coloro che sostengono il rischio dell’attività imprenditoriale sono anche i detentori del potere decisionale, i conflitti sono attenuati.

1.4.3 Strumenti di mitigazione dei problemi di agenzia

Individuata la definizione di relazione di agenzia e i costi ad essa connessi, valutiamo le possibili soluzioni proposte in letteratura a limitazione dei conflitti. I principali approcci sviluppati, nell’ottica di minimizzazione dei costi di agenzia sono tre: Indipendenza dei soggetti che compongono il Consiglio di Amministrazione; Approccio equity – based che sostiene il coinvolgimento patrimoniale personale nel patrimonio dell’impresa da parte dei manager; Il mercato del controllo aziendale (Dalton et al., 2007).

La prima soluzione proposta in letteratura, si riferisce al Consiglio di Amministrazione, l’organo ha il dovere di controllare l’operato dei manager, nello sviluppo e implementazione del disegno strategico aziendale, per cui il primo deve possedere il requisito di “indipendenza” dal secondo.

Il concetto di indipendenza del Consiglio di Amministrazione è un punto di difficile definizione nella letteratura economica, tuttavia, con riferimento al nostro contesto di analisi che pone l’obbiettivo di valutare aziende non quotate9, ci riferiamo al

diritto civile italiano. Il codice civile in merito:

“Lo statuto può subordinare l’assunzione della carica di amministrazione al possesso di speciali requisiti di onorabilità,

professionalità e indipendenza […]”

Art. 2387 c.c. Dall’inciso della norma notiamo che non vengono individuati criteri validi per ogni tipologia di impresa, la valutazione è rinviata alla singola autonomia statutaria

9 Non ci addentriamo maggiormente nella discussione di indipendenza degli amministratori proposta nella letteratura, di difficile individuazione, poniamo invece un’analisi più pratica nel contesto di analisi, con riferimento all’ordinamento italiano. Per un confronto con il modello delle società quotate americane si veda Sarbanes-Oxley Act (2002) alla sezione 103.

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privata. Capiamo quindi la difficoltà della definizione dell’attributo di indipendenza, in astratto, e la caratteristica soggettiva legata ad ogni singolo individuo, poiché l’amministratore valutato indipendente per una particolare fattispecie aziendale potrebbe non esserlo per un'altra.

Una seconda soluzione proposta riguarda il coinvolgimento patrimoniale del management dell’impresa nel patrimonio della stessa. La letteratura sostiene che il legame pecuniario tra i detentori del potere di indirizzare l’attività economica e il complesso aziendale, favorisce l’allineamento degli interessi tra i manager e gli azionisti (Jensen & Meckling, 1976).

Diverse sono le possibilità per allineare la ricchezza personale all’andamento dell’impresa. In tal senso, si propone di collegare le remunerazioni dei manager (c.d. executive compensation) alle performance ottenute dall’impresa, un esempio è l’utilizzo di stock option (Hall et al., 2004).

Altri autori argomentano che la presenza di un gruppo azionario di maggioranza potrebbe limitare i conflitti di agenzia, grazie all’incentivo nel monitorare e controllare l’attività aziendale di quest’ultimi, è questo il caso delle aziende familiari (Villalonga & Amit, 2006). Anche la presenza di investitori professionali (c.d. Investitori istituzionali) è individuata come un deterrente ai conflitti, poiché essendo investitori maggiormente qualificati e con grande esperienza, riescono a monitorare in modo più efficiente e meno costoso, l’operato del management (Dalton et al., 2007).

Ultima soluzione individuata, riguarda il meccanismo del mercato per il controllo aziendale. La teoria indica che se nell’attuazione del piano strategico di impresa i manager, prendono decisioni mosse dai propri interessi e non con lo scopo di massimizzare il valore del complesso economico, il mercato potrebbe sottovalutare il valore dell’azienda, rendendola oggetto di possibili attività di incorporazione da parte di imprese concorrenti. Conseguentemente alla rilevazione dell’impresa da parte della nuova proprietà, i dirigenti potrebbero perdere il posto di lavoro. Come risultato questo meccanismo, che implica la razionalità economica dei dirigenti, riduce l’incentivo manageriale nell’attuare decisioni di interesse personale (Dalton et al., 2007).

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1.4.4 “Dual agency problems” e incentivazione manageriale nelle imprese familiari

I costi di agenzia sono maggiori quando si assiste alla separazione tra proprietà e management, la particolare fattispecie delle imprese familiare è il caso di studio dove la naturale intuizione è la minimizzazione dei costi di agenzia, poiché la caratterizzante forma societaria favorisce l’allineamento degli interessi tra impresa e famiglia. Le aziende family business possono optare per la scelta di figure direzionali apicali interne al gruppo parentale che tendono ad applicare meccanismi di monitoraggio e controllo informali, vocati ad evitare problemi disciplinari che potrebbero avere ripercussioni nelle relazioni interne e sull’impresa.

Calando l’applicazione della Teoria dell’Agenzia nella fattispecie del family business, possiamo delineare due tipologie di problematiche, principal to agent o problemi del primo tipo e principal to principal, o problemi del secondo tipo. La classificazione suddetta riferisce a Villalonga e Amit (2006).

Nell’ambito delle imprese familiari, la letteratura in merito si riferisce al punto definendolo dual agency problem.

Definiamo come conflitti del primo tipo i problemi che nascono tra la proprietà e il management con riferimento alla proposta di Jensen e Meckling (1976).

Con la nozione di problemi della seconda tipologia indichiamo i conflitti che possono nascere tra gli azionisti di maggioranza e di minoranza, quando i primi utilizzano il loro potere per l’estrazione di benefici privati, a danno dei secondi. Nella nostra analisi indentifichiamo il caso delle family business, dove gli azionisti di maggioranza sono rappresentati da una famiglia e sono incentivati nel monitoraggio del management e, tal volta, nell’estrazione dei benefici privati. L’ottica della proprietà familiare propone un’analisi più attenta poiché, dobbiamo valutare la reazione, in termini di problemi di agenzia, quando un membro della famiglia ricopre, o meno, una posizione manageriale.

Villalonga e Amit (2006) studiano quale di queste due tipologie di costi di agenzia, risulti essere più oneroso, valutandone la caratteristica proprietaria e la gestione (con riferimento alla posizione gerarchica di amministratore delegato), quindi la

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loro interazione, comparandole poi con le imprese non familiari10. I risultati

dell’analisi evidenziano che, nelle family business in cui, il ruolo di CEO è ricoperto da un membro della famiglia e non vi sono problemi di estrazione di benefici privati a danno degli azionisti di minoranza, i costi di agenzia sono minori. Non si notano particolari differenze tra le imprese familiari in cui la posizione di direzione apicale non è ricoperta da un membro della famiglia, o vi sono meccanismi di espropriazione di benefici privati, e le no-family business.

Nella sezione precedente abbiamo illustrato i meccanismi di mitigazione dei problemi di agenzia, tra cui gli incentivi monetari corrisposti ai manager, cerchiamo di valutarne l’efficacia. Il lavoro di Mazur & Wu (2016) ne indaga l’effetto e il costo, nella comparazione tra imprese non familiari e familiari, segmentando quest’ultime in relazione alla posizione manageriale ricoperta (active family business) o meno (passive family business) da un membro del nucleo parentale. L’assunzione alla base della ricerca è che gli incentivi11 pagati ai manager,

racchiudono l’incidenza dei costi di agenzia. Gli autori mostrano12 che il valore

degli incentivi pagati risulta essere maggiore nelle imprese non familiari, mentre è simile in quelle familiari, inoltre, l’ammontare pagato risulta anche essere maggiore nelle imprese di età minore e in quelle di grande dimensione. Questi risultati suggeriscono che i conflitti di agenzia tra i proprietari e i manager (prima tipologia) nelle aziende non familiari sono più costosi dei conflitti tra azionisti di maggioranza e di minoranza (seconda tipologia) nelle aziende familiari.

L’estensione dell’analisi pone la valutazione del coinvolgimento patrimoniale dell’Amministratore Delegato nell’impresa che, nel caso sia elevata, riduce i problemi di agenzia della prima tipologia, conseguentemente non vi è necessità di

10 Analisi svolta su di un campione di 508 imprese americane quotate sul “Fortune 500” nel periodo 1994-2000. Nella definizione di imprese familiari includono, tutte quelle in cui almeno un membro della famiglia è impiegato nell’impresa, o la famiglia possiede almeno il 5% del capitale proprio. I costi di agenzia sono misurati in termini di performance legata all’indicatore Tobin’s Q. Per una interpretazione numerica si rinvia alla Tabella 5, pg.403, Villalonga e Amit (2006) in Journal of

Financial Economics.

11Gli incentivi riconosciuti ai manager sono calcolati option based, gli autori ritengono che nella prospettiva di paragone interna alle imprese familiari, con le imprese non familiari, se venisse utilizzata una misurazione equity based, i risultati potrebbe non essere comparabili dato il grande coinvolgimento patrimoniale del fondatore manager nelle active family business.

12 Per una interpretazione numerica si veda Tabella 3, pg 1111, Mazur e Wu (2016) in Journal of

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