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Ruolo della suscettibilità ipnotica sulla modulazione del dolore sperimentale in soggetti con Spettro Panico-Agorafobico

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica.

Corso di Laurea Specialistica in Psicologia Clinica e della Salute

Tesi di Laurea Magistrale

“Ruolo della suscettibilità ipnotica sulla modulazione del dolore

sperimentale, in soggetti con Spettro Panico Agorafobico”

Relatore

Candidata Prof.ssa Ciaramella Antonella

Fidanza Fabrizia Corelatore

Prof.ssa Santarcangelo Enrica Laura

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INDICE

INTRODUZIONE………I PARTE PRIMA: basi neuropsicologiche del dolore e dello Spettro di Panico

Agorafobico………..1

1. Organizzazione generale del sistema somatosensoriale e del dolore………...2

1.1 Il sistema somatosensoriale…...………..2

1.2 Il dolore………3

1.3 Metodi di modulazione del dolore……….………13

1.3.1 Metodi bottom up: DNIC………...…13

1.3.2 Metodi top down: suggestione di analgesia………...14

1.4 Variabili che influenzano l’esperienza nocicettiva………16

1.5 Valutazione del dolore………...23

2. Disturbo di Panico e Spettro di Panico Agorafobico……….….26

2.1 I disturbi d’ansia………...26

2.2 Disturbo di Panico………....28

2.3 Spettro di Panico Agorafobico………..29

2.4 Teorie sull’eziopatogenesi del disturbo di panico………31

2.5 Basi neurofisiologiche della paura e del panico………...32

2.5.1 Sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti nel Disturbo di Panico……….33

2.5.2 Asse HPA e Disturbo di Panico……….35

2.6 Disturbo di Panico e dolore………..35

2.7 Disturbo di panico e ipnosi………...37

PARTE SECONDA: Ricerca sperimentale………39

1. Metodologia….……….………..40

1.1 Obiettivi della ricerca………40

1.2 Metodi……….………...41

1.2.1 Il campione……….…41

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1.2.3 Procedura sperimentale………….………..………45

1.2.4 Analisi statistiche……….49

2 Risultati della ricerca……….………....51

2.1 Analisi descrittive del campione totale……….51

2.2 Analisi descrittive del campione diviso per gruppi in base al grado di ipnotizzabilità54 2.3 Risultati delle analisi relative al rapporto tra grado di ipnotizzabilità, percezione e dolore………56

2.4 Analisi Statistiche relative al rapporto tra grado di ipnotizzabilità e PAS-SR…………59

2.5 Risultati delle correlazioni tra lo Spettro di Panico Agorafobico, percezione e dolore…61 2.6 Analisi statistiche relative al rapporto tra grado di ipnotizzabilità, PAS-SR e intensità di dolore percepito………65

DISCUSSIONE……….67

CONCLUSIONI………..……….72

APPENDICE……….75

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I

Introduzione

La presente tesi di laurea può essere classificata come uno studio pilota sperimentale, nato dall'interesse a indagare l’influenza sulle abilità di percezione sensoriale e modulazione del dolore in soggetti con Spettro Panico Agorafobico distinti in gruppi in base al grado di ipnotizzabilità.

Mentre la percezione sensoriale risiede nella capacità di elaborare informazioni derivanti dagli organi sensoriali, permettendo agli individui di organizzare la realtà in informazioni dotate di significato, il dolore viene definito dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dalla IASP (International Association for the Study of Pain, 2004) come "un'esperienza sensoriale ed emozionale associata ad un danno tissutale, in atto o potenziale, descritta in termini di danno"(IASP Task Force on Taxonomy, 1994). Da entrambe le definizioni, si evince il carattere multidimensionale dell'esperienza sensoriale, che trova la sua realizzazione nell'interazione tra processi fisiologici e psicologici. Questo legame è sostenuto da studi di neauroimaging che mostrano, come l'attività di alcune aree del cervello, abbia un ruolo chiave sia nell'esperienza cognitivo-emotiva che in quella nocicettiva e percettiva, influenzandosi vicendevolmente (Wiech et. al., 2014).

Studi epidemiologici mostrano che più del 19% dei cittadini europei soffrono di dolore cronico di diversa natura, con un impatto significativamente negativo sia collettivo che nelle principali dimensioni della vita dell’individuo, con una chiara associazione con quadri psicopatologici (Breivik et. al., 2006). Una grande percentuale di questi individui mostrano una gestione inadeguata delle sindromi dolorose. È stato riportato, inoltre, che la scarsa gestione del dolore varia in relazione alla dislocazione geografica: questa evidenza riflette probabilmente le differenze riguardanti il background culturale. Inoltre si registra una crescente evidenza scientifica circa l’efficacia di metodi non tradizionali per la gestione del dolore, come le tecniche cognitive (Bowen, 1990; Faymonville et al.,2006; Derbyshire et al., 2009; Montgomery et al., 2000).

La letteratura contemporanea individua l’ansia (patologica e non), tra le variabili psicologiche più influenti sul dolore acuto e cronico (Flaten et al., 2011; Ploghaus et al., 2001; Bingel et al., 2011). La relazione ansia-dolore sembra essere bidirezionale: l’insorgenza di fenomeni dolorosi favorisce l’istaurazione di stati d’ansia e viceversa, questi ultimi, abbassano notevolmente la soglia del dolore (McWilliams et al., 2003; Kroenke et al., 1994; Kroenke & Price, 1993; Gureje O. et al., 2007). A conferma di ciò, indagini

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II

neuropsicologiche evidenziano circuiti neuronali in comune, alla base sia dell’ansia che del dolore (Hoeft 2012; Wiech et al., 2006; Wiech et al., 2014; Mitchell, 2011).

Tra i Disturbi d’Ansia, il Disturbo di Panico (DP) sembra essere quello più legato al dolore acuto e cronico, probabilmente a causa delle caratteristiche psicopatologiche e neurofisiologiche, distintive di questo disturbo (Katon et al. 1987; Fordyce, 1989). Con l’avvento del DSM 5 e la conseguente modificazione dell’approccio diagnostico (da quello categoriale a quello dimensionale), in cui salute e malattia sono poste ai due poli di un continuum, si è affermato il concetto di spettro, ovvero l’insieme di segni, sintomi e comportamenti che incrementano e diminuiscono durante l’arco della vita e che plasmano continuamente l’esperienza di una persona (Cassano et al., 1999). A tal proposito Cassano e colleghi (1999), si sono occupati di individuare le caratteristiche cliniche (sintomi, comportamenti e tratti stabili), che fanno parte di caratteristiche personologiche del paziente con DP e che possono essere individuabili in questi anche prima dell’insorgenza del disturbo conclamato. È stato così definito lo Spettro di Panico Agorafobico.

Data la freschezza di questo nuovo insieme di caratteristiche, vi sono molti studi in letteratura che indagano il legame tra Disturbo di Panico e dolore, mentre non vi sono studi epidemiologici, condotti sulla popolazione generale, relativi allo Spettro di Panico Agorafobico.

Da queste premesse è nato il presente progetto di ricerca, che mira a chiarire i meccanismi endogeni di modulazione del dolore, ovvero in che modo l'organismo è capace di innescare cambiamenti reversibili per controllare l'esperienza nocicettiva, determinando fenomeni di analgesia. In particolare lo studio si propone di indagare sia l’influenza dello Spettro di Panico Agorafobico sulla percezione sensoriale e modulazione del dolore e se o come il grado di ipnotizzabilità può modificare tale relazione. Per quanto riguarda la valutazione delle principali variabili psicologiche prese in considerazione, è stata utilizzata la Stanford

Hypnotic Susceptibility Scale, form A (SHSS) (Weitzenhoffer & Hilgard, 1959) per misurare

il livello di ipnotizzabilità, mentre per il Panic Agorafobic Spectrum Questionnaire Self

Report (PAS-SR) (Cassano et al., 1999) è stato utilizzato per misurare le dimensioni dello

Spettro di Panico Agorafobico.

Per valutare la funzionalità dei diversi sistemi endogeni di modulazione discendenti, sono state utilizzate sia tecniche fisiologiche che cognitive durante una stimolazione elettrica somministrata contemporaneamente: l’intervento fisiologico si è basato su una stimolazione dolorosa acuta eterologa, definita ‘‘heterotopic noxious conditioning stimulations’’ (HNCS) che, attraverso l’attivazione del sistema discendente di controllo del dolore (Diffusion

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III

Noxious Inibitory Control, DNIC), gerarchizza stimoli nocicettivi compresenti, inibendo la percezione dello stimolo meno intenso; a questo scopo abbiamo scelto come HNCS uno stimolo freddo doloroso (Cold Pressor Test, CPT; Tousignant-Laflamme et al., 2008). Per quanto riguarda l’intevento cognitivo, abbiamo utilizzato una suggestione di analgesia (Montgomery et al., 2000). Entrambi gli interventi sono stati manipolati in condizioni reali e false (per il DNIC condzionamento con stimolo freddo non doloroso, e falsa suggestione ipnotica caratterizzata da lettura di previsioni meteorologiche).

Da questa indagine, condotta su un campione di 47 soggetti sani, distinti in base al grado di ipnotizzabilità, è emerso che il campione totale, presenta una capacità di avvertire gli stimoli sensoriali e un’intensità di dolore percepito significativamente ridotti durante i trattamenti analgesici (Suggestione e stimolo doloroso freddo). D’altra parte, i risultati ottenuti indicano che alti livelli del grado di ipnotizzabilità siano predittori di maggiore analgesia indotta da tecniche cognitive. Lo stesso accade per la percezione sensoriale. L’ipnotizzabilità, inoltre, sembra avere legami circoscritti ad alcune dimensioni del PAS-SR, quali sono le Misure Controfobiche, Drammatizzazione e Sensibilità alla Rassicurazione, che potrebbero rappresentare, quindi, le dimensioni sensibili all’ipnosi e che può rappresentare un fattore prognostico favorevole nell’utilizzo dell’ipnosi in soggetti con spettro panico agorafobico. Valutando i singoli domini dello Spettro di Panico Agorafobico la loro presenza non sembra influenzare una diversa percezione sensoriale, mentre risultano importanti nel modificare la percezione del dolore. In particolare, all’aumentare dei punteggi dello Spettro Panico Agorafobico diminuisce la soglia nocicettiva con maggiore sensibilità agli stimoli dolorosi. In condizioni sperimentali di tipo “vero” la capacità di modulare il dolore in funzione di due tipi di interventi (suggestione ipnotica e CPT) risulta essere differente: il condizionamento di una stimolazione elettrica dolorosa dovuto alla contemporanea somministrazione del CPT determina incremento della percezione del dolore in presenza di aspettativa ansiosa e ansia anticipatoria ed una riduzione, invece, in presenza di ansia da separazione, sensibilità alla perdita e sensibilità alla separazione (domini del PAS-SR). Di contro, la suggestione ipnotica genera un aumento del dolore percepito in presenza di alti punteggi alle dimensioni di fobia delle malattie, ricerca di aiuto, misure controfobiche, ipocondria e sensibilità alla rassicurazione del PAS-SR. Nella condizione “falsa”, come in quella vera, si osserva una maggiore attivazione del sistema modulatorio discendente in soggetti con alti punteggi di ansia da separazione, sensibilità alla perdita e sensibilità alla separazione. Anche in questa condizione si conferma una ridotta attivazione del DNIC in presenza di ansia anticipatoria. I soggetti con alti punteggi di aspettativa ansiosa e ansia anticipatoria presentano un

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IV

incremento del dolore dopo una suggestione ipnotica falsa. È possibile quindi che nella modulazione del dolore in una condizione sperimentale falsa, intervengano altri fattori non esplorati in questo esperimento. Come sostenuto da ricerche precedenti, infatti, la modulazione può essere spiegata dalla presenza di terze variabili come la distrazione e l’aspettativa, che possono aver influito nell’esperimento (Bushnell et al., 1999; Levine, Gordon, Smith, & Fields, 1982; Miron, Duncan, & Bushnell, 1989; Rode, Salkovskis, & Jack, 2001 Lee et al., 2012).

Nonostante il nostro studio sia stato in grado di evidenziare una relativa influenza della suggestione ipnotica nella riduzioni di alcuni domini dello spettro panico agorafobico, quali la drammatizzazione, misure controfobiche e sensibilità alla rassicurazione, non ha tuttavia dimostrato una validità sulla modulazione del dolore in soggetti con spettro panico agorafobico.

La realizzazione di questo studio sperimentale è stata permessa dalla collaborazione tra l’ambulatorio di medicina psicosomatica dell’istituto GIFT di Medicina Integrata, l’associazione Aplysia onlus e il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell'università di Pisa.

Nella prima parte del presente elaborato verranno affrontate le basi teoriche generali del sistema somatosensoriale, del dolore e dello Spettro di Panico. Successivamente, nella seconda parte, sarà descritto come si è articolato il lavoro sperimentale, illustrandone i metodi e i risultati. Per concludere verrà esposta una discussione dello studio per definire i risultati ottenuti e proporre possibili implicazioni della ricerca.

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PARTE PRIMA: basi neuropsicologiche del dolore e dello Spettro

di Panico Agorafobico

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1.Organizzazione generale del sistema somatosensoriale e del

dolore

1.1 Il sistema somatosensoriale

Il sistema somatosensoriale rientra nella categoria dei sistemi speciali e può essere definito come l‘insieme di apparati, per mezzo dei quali, un organismo è capace di percepire gli stimoli esterni, permettendogli di interagire e adattarsi nell’ambiente in cui vive.

Possiamo distinguere tre tipologie principali di sensibilità somatiche (Stanfield, 2012): 1. meccanocettive (come la sensibilità tattile);

2. termiche; 3. dolorifiche.

Le informazioni sensoriali, vengono captate da organelli altamente specializzati (specifici per ogni tipo di stimolazione) situati nella cute (come le terminazioni nervose libere e l‘organo terminale pilifero) o più in profondità nel derma (come i corpuscoli di Pacini, i corpuscoli di Meissner, gli organi terminali di Ruffini e i dischi di Merkel). Essi hanno il compito di trasdurre le informazioni sensoriali, relative al tipo di stimolo, alla sua localizzazione e all‘intensità dello stesso, in un impulso elettrico. La deformazione della struttura recettoriale, in seguito a uno stimolo pressorio, determina l’apertura dei canali del sodio (Na+), depolarizzando la membrana, fino al raggiungimento della soglia sufficiente a

innescare il potenziale d’azione.

Una volta innescato l’impulso elettrico, l’informazione verrà proiettata verso il sistema nervoso centrale attraverso vie ascendenti, caratterizzate da fibre nervose periferiche (classificate in due grandi gruppi principali: A e C), specifiche per il tipo di recettore. Le fibre A (di cui i sottotipi in ordine decrescente rispetto alla velocità di conduzione sono α, β, ɣ, e δ,) sono grandi e mielinizzate, per questo capaci di trasmettere velocemente l’informazione.

Le fibre C (le più diffuse nei nocicettori periferici) o anche classificate come C-polimodali, perché rispondono a tutti i tipi di stimoli (chimici, termici e meccanici), sono amieliniche e a piccolo diametro, conformazione che gli conferisce una capacità di conduzione tipicamente lenta.

È mediante tutte queste vie che lo stimolo raggiunge il corpo cellulare dei neuroni di I ordine, localizzati quasi tutti nei gangli delle radici dorsali del midollo spinale (ad eccezione di poche fibre che entrano nelle radici ventrali).

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Dai gangli delle radici dorsali, lo stimolo verrà trasmesso ai neuroni di II ordine, ascendendo mediante due diverse vie, a seconda del tipo di informazione: sistema delle colonne dorsali lemnisco-mediale e il sistema antero-laterale o tratto spinotalamico (Stanfield, 2012). I corpi cellulari del tratto antero-laterale sono localizzati nel midollo spinale, i loro gangli sono caratterizzati da una conduzione tipicamente veloce, trasportando informazioni grezze provenienti dai meccanocettori, termocettori e nocicettori. Le informazioni che attraversano il sistema lemnisco-mediale, invece, hanno un grado molto alto di accuratezza, a cominciare dall‘organizzazione somatotopica. È legato alla percezione fine, e i corpi cellulari da cui origina sono localizzati nel tronco encefalico.

Le fibre dei neuroni di II ordine in genere decussano convergendo controlateralmente in larga parte al talamo, dove fanno sinapsi col neurone di III ordine, situato precisamente nel nucleo ventrale postero laterale e mediale (che insieme cosituisco il complesso ventrobasale del talamo).

Il talamo rappresenta una vera e propria centrale di smistamento delle informazioni per permettere l’elaborazione di tutte le sue componenti, proiettandole in aree cerebrali specifiche.

I segnali derivanti dalla periferia devono essere integrati (cioè interpretati rispetto alle loro differenti carattreristiche) per elaborare una risposta unitaria. Più l’informazione salirà a monte del sistema nervoso più l’inegrazione sarà complessa. Il livello più semplice di integrazione è quello che avviene nel midollo spinale e che dà vita all’arco riflesso.

Dal talamo, i neuroni di III ordine, a questo punto, mandano l’informazione alla corteccia somestesica I (SI), che si occupa dell’elaborazione dei segnali di livello superiore. La SI è situata nel lobo parietale, a ridosso del giro post-centrale ed è costituita da una particolare organizzazione somatotopica: le informazioni derivanti dalle zone periferiche sono mappabili sulla corteccia, in maniera stabile e costante nonostante lievi differenze individuali.

A livello della SI, avviene l’elaborazione cosciente della rappresentazione sensoriale. Dalla SI i neuroni proiettano alla corteccia somestesica II (situata posteriormente alla SI, fungendo da corteccia di associazione) che a sua volta, mediante vie discendenti, proietta ai gangli della base, talamo, tronco e midollo spinale, ai quali fornisce segnali di controllo.

1.2 Il dolore

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all’individuo di evitare stimoli nocivi. Basti pensare ai rischi in cui incombono pazienti affetti da CIPA (Congenital Insensitivity to Pain with Anidrosis), una condizione clinica che determina un’insensibilità al dolore (Indo et al., 1996).

Il circuito della nocicezione è molto simile a quello della percezione sensoriale, con cui condivide, per la maggior parte di essa, lo stesso percorso, ma da cui si distingue per alcuni centri specializzati, a partire dai recettori.

I nocicettori sono nervi liberi con dendriti sensibili preferenzialmente a stimoli nocivi o che potrebbero diventarlo se prolungati. Sono organelli altamente specializzati con il compito di convertire gli stimoli in impulso nervoso (Rosenquist et. al., 2015), che veicola la sensazione di dolore (Patel et al., 2010). Al contrario dei recettori sensoriali, i nocicettori presentano una scarsa capacità di adattamento, anzi, in certe condizioni l’eccitazione delle fibre dolorifiche diventa progressivamente più intensa (sensibilizzazione) (Treede, 1995).

La nocicezione è composta di 4 fasi: 1. trasduzione;

2. trasmissione; 3. percezione; 4. modulazione. Trasduzione

La trasduzione consiste nella trasformazione di stimoli nocivi (termici, meccanici o chimici) in stimoli elettrici che percorreranno le terminazioni periferiche delle fibre sensoriali dei nocicettori (Stanfield, 2012).

Questa fase si realizza quando i nocicettori sono attivati da uno stimolo nocivo, che ne causa modificazioni della membrana recettoriale, con l'apertura di canali ionici, inducendo la depolarizzazione (Rosenquist et al., 2015). Quando la curva di stimolazione giunge alla zona di innesco, verrà prodotto un impulso elettrico che viaggia attraverso due tipi principali di assoni (fibre Aδ e C). Quando si verifica una lesione vengono rilasciati diversi agenti chimici nell’area coinvolta (come istamina, bradichinina, prostaglandine, sostanza P, acetilcolina e serotonina) che a loro volta possono avere un effetto sia inibitorio che facilitatorio sulla sensazione di dolore (Huether & McCance, 2016)

– le prostaglandine sono sostanze capaci di aumentare la sensibilità dei

nocicettori, rinforzando l'effetto dolore-provocato dalla bradichinina;

– la sostanza P è un agente chimico che, in periferia, si trova nelle fibre C e ha

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– l’istamina è un agente chimico proinfiammatorio;

– quando un nocicettore viene attivato esso esercita attività inibitoria sui recettori adiacenti, attraverso gli interneuroni: questo meccanismo, che prende il nome di inibizione laterale, è finalizzato a favorire una maggiore discriminazione topografica dello stimolo (Fox & Woolsey, 2008);

– le endorfine rilasciate nel midollo spinale, in seguito a uno stimolo

nocicettivo, causano una diminuzione della trasmissione nocicettoriale. Trasmissione

La trasmissione si realizza nella conduzione dell’informazione, trasdotta in potenziale d’azione, dalle terminazioni periferiche fino al midollo spinale, tronco encefalico e corteccia (Fig. 1.2). Lo stimolo dolorifico, una volta trasdotto, inizia la sua ascesa percorrendo le fibre Aδ e C (Rosenquist E.W.K. et al, 2015). Come precedentemente descritto, le fibre Aδ sono fibre a grande diametro, mielinizzate e quindi a conduzione veloce. Sono responsabili del dolore acuto e del riflesso spinale di retrazione che avviene prima ancora che la sensazione di dolore sia percepita. Le fibre C, essendo più piccole e amieliniche, sono tipicamente a lenta conduzione e recuperano molto più lentamente rispetto alle fibre A. Esse sono responsabili del dolore lieve e persistente e della sensazione di bruciatura; queste sensazioni sono mal localizzate e spesso presenti sotto forma di dolore costante. Uno stimolo improvviso può determinare l’attivazione di entrambe le fibre, provocando una doppia sensazione di dolore: prima acuta e poi lenta.

Una volta arrivato a monte delle fibre periferiche, lo stimolo raggiunge la prima sinapsi: i neuroni di I ordine, alcuni situati nei gangli delle corna dorsali del midollo spinale per gli stimoli provenienti dalla maggior parte del corpo, e altri nei gangli delle corna dorsali del midollo allungato per gli stimoli provenienti dalla zona oro-facciale (mediante il nervo trigemino) (Dubner & Bennett ,1983). Successivamente il segnale è trasmesso all’interno delle corna dorsali del midollo spinale, dove sono localizzati i neuroni di II ordine: sono neuroni afferenti che possiamo distinguere in nocicettivi specifici, non nocicettivi e ad ampio range dinamico (WDR) (Almeida et al, 2004), i quali rispondono a stimoli nocivi; questi ultimi neuroni sono strettamente legati a interneuroni, capaci di regolarne l‘inibizione e l‘eccitazione. Questa è la prima stazione delle vie ascendenti in cui avviene il controllo e modulazione del dolore.

A livello dei neuroni di II ordine essi proiettano attraverso tre vie principali differenti fra loro in quanto trasmettono informazioni diverse, ovvero il tratto spinotalamico (che a sua

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volta si divide in neospinotalamico e paleospinotalamico), il tratto spinoreticolare e lo spinomesencefalico (Kandel, 2012):

• il tratto spinomesencefalico proietta alla formazione reticolare del

mesencefalo, facendo sinapsi con strutture chiave per la modulazione del dolore, come la sostanza grigia periacqueduttale (PAG); La PAG stabilisce attraverso l’ipotalamo, connessioni reciproche con il sistema limbico;

• il tratto spinoreticolare, a differenza del neospinotalamico presenta alcune fibre che non si decussano, dopo aver attraversato la formazione reticolare, proietta prima al talamo e poi alla corteccia;

• il fascio neospinotalamico trasporta velocemente informazioni circa gli

stimoli dolorosi intensi, verso il SNC, terminando principalmente nel talamo (nel complesso ventrobasale). I segnali sono poi trasmessi ad altre aree sottocorticali e alla SI. Questa via trasporta informazioni relative alla componente sensoriale-discriminativa del dolore;

• il tratto paleospinotalamico (evoluzionisticamente di formazione più antica

rispetto al neospinotalamico) trasporta lentamente stimoli dolorosi lievi e cronici. Esso trova le sue terminazioni nervose solo in piccola parte direttamente al talamo (circa un decimo), il resto sono dirette in maniera diffusa nel tronco-encefalo, insula, amigdala, ippocampo, nuclei reticolari del bulbo, del ponte e del mesencefalo, area tettale del mesencefalo, PAG e corteccia cingolata anteriore (ACC). I segnali afferenti ai nuclei intralaminari del talamo (e altre strutture adiacenti) sono trasmessi, a loro volta, alla SI e alla corteccia frontale. Le aree coinvolte in questa via suggeriscono un ruolo della stessa nell’attivazione autonomica legata al dolore e nella codifica della componente affettivo-motivazionale dell’informazione dolorifica. Questi due tratti (paleospinotalamica e neospinotalamica) hanno connessioni con la formazione reticolare, l’ipotalamo, il talamo, e il sistema limbico. Gli impulsi dovuti all’attivazione dei nocicettori vengono proiettati alla corteccia somatosensoriale primaria che insieme ad altre aree associative ne permettono l'interpretazione, con una risposta integrata allo stimolo dolorifico. L’integrazione delle afferenze dolorifiche genera il fenomeno della percezione.

Percezione

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decodifica\interpretazione di input afferenti che arrivano al cervello, permettendo la genesi di un'esperienza sensoriale specifica e consapevole dell'individuo (Rosenquist E.W.K. et al, 2015).

Il termine “Nocicezione“ viene usato per descrivere quando il dolore diventa una percezione cosciente (Ignatavicius & Workman, 2016). La percezione cosciente del dolore raggiunge la sua massima espressione quando l’informazione arriva alla corteccia celebrale. Tuttavia è stato dimostrato come una lesione alla SI causa un’interruzione delle principali percezioni sensoriali (come per esempio quelle meccaniche), ma non ha effetti sulla sensibilità al dolore e alla temperatura. Da questo dato si evince che la percezione del dolore inizi già a livello sottocorticale (in particolare, si pensa, a livello della formazione reticolare) (Stanfield, 2012).

A livello neurocognitivo, durante una stimolazione nocicettiva, è stato ampiamente dimostrato come il circuito del dolore abbia un pattern di attivazione (corticale e sottocorticale) parzialmente specifico, coinvolgendo tre sistemi principali (Fig. 1.1) che interegiscono per produrre l’esperienza multidimensionale del dolore (Rosenquist et. al., 2017):

– il sistema sensoriale-discriminativo è associato all’attivazione della corteccia

somatosensoriale ed è responsabile della identificazione della presenza, localizzazione, qualità e intensità del dolore;

– il sistema affettivo-motivazionale, che determina un‘individuale

comportamento di evitamento e risposte emozionali di dolore, è mediato dalla formazione reticolare, il sistema limbico e il tronco cerebrale;

– il sistema cognitivo-valutativo individuale, mediato dalla corteccia celebrale,

modula il comportamento appreso concernente l‘esperienza del dolore e di conseguenza può modificarne la percezione.

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Figura 1.1 – Tratta da: Melzack, 2001. Schema di funzionamento del neuromatrix: neuromoduli (cognitivo,

sensoriale ed emotivo) codificano gli inputs dolorifici per produrre outputs specifici.

Modulazione

La modulazione del dolore consiste in un cambiamento reversibile (soppressione o aumento) dell'input sensoriale dovuto all’attivazione delle fibre nocicettive. Come precedentemente descritto, fenomeni di controllo possono essere attivati a diversi livelli della trasmissione del segnale nocicettivo.

L’iperalgesia, definita dalla IASP (IASP Task Force on Taxonomy, 1994) come l’incremento di dolore rispetto a stimoli che normalmente provocano dolore, può essere causata sia da meccanismi periferici che centrali. Come accennato precedentemente, al contrario della percezione sensoriale, un’esposizione prolungata a uno stimolo nocicettivo non provoca necessariamente abituazione, ma può generare sensibilizzazione: a livello periferico, nei nocicettori attivati, infatti, si verifica un abbassamento della soglia di eccitabilità ed incremento della capacità di scarica del neurone stesso, determinata a sua volta sia dall’apertura di canali ionici, con conseguente modificazione della permeabilità di membrana, che dal rilascio di agenti chimici come la sostanza P (un neuropeptide proinfiammatorio) che, a livello locale, causa la sensibilizzazione di altri nocicettori. Un fenomeno simile si realizza a livello centrale, nelle corna dorsali del midollo spinale: il

wind-up, un fenomeno di sensibilizzazione causato da una stimolazione periferica costante a bassa

frequenza (0,5 Hz), che aumenta il rilascio di sostanza P e glutammato (principale neurotrasmettitore coinvolto nella plasticità del sistema nervoso e nella trasmissione dello

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stimolo dolorifico). Il glutammato attiva i recettori AMPA, permettendo l’entrata nella cellula di ioni sodio e calcio e la fuoriuscita degli ioni potassio, con conseguente depolarizzazione di membrana. In questo modo è possibile lo sblocco del magnesio, con apertura dei canali NMDA dei II neuroni (WDR), con successivo maggiore ingresso di ioni calcio che generano una aumentata sensibilità al glutammato. Questo processo determina un’abbassamento della soglia di eccitabilità del neurone, amplificando la sensibilità agli stimoli successivi, per sommazione temporale.

Questi due processi (sensibilizzazione periferica e wind-up) possono essere considerati come una sorta di meccanismo di apprendimento che, attraverso fenomeni di consolidamento, permette al neurone di essere più efficiente. Fenomeni di sensibilizzazione avvengono anche a monte del circuito del dolore: è stato dimostrato come una stimolazione dolorifica continuativa nel tempo può portare a significativi cambiamenti plastici in strutture corticali come l’ACC, fortemente legata al PAG, che causano una sensibilizzazione (Min Zhuo, 2008). L’ACC sensibilizzata aumenta i segnali di controllo al PAG che, attraverso vie discendenti facilitatorie serotoninergiche, indurce i II neuroni delle corna dorsali ad iperattivarsi. Questo meccanismo provoca una sensazione di dolore protratta nel tempo, anche in assenza o cessazione di stimolo dolorifico.

L’assunto che le vie discendenti facilitatorie del dolore si generino nel tronco cerebrale è dimostrato dal fatto che, in questa struttura, si attivano gruppi di cellule appena prima di una risposta dolore-correlata e le stesse vengono inibite dalla somministrazione di morfina (Fields et. al., 2000; Fields et. al., 1999). Le strutture chiave implicate in questo meccanismo sono la PAG e il nucleo cuneiforme.

Oltre ai controlli facilitatori discendenti, il corpo umano è dotato di diversi sistemi adibiti alla soppressione del dolore.

Esistono diversi meccanismi che possono interrompere o inibire la trasmissione dello stimolo nocicettivo, i principali coinvolgono proiezioni discendenti oppioidi-sensibili, adrenergiche e serotoninergiche. Generalmente, una volta ricevuto lo stimolo nocicettivo, le aree della corteccia (come SI, corteccia insulare, corteccia prefrontale mediale, ACC) e altre strutture come l’ippocampo, mandano segnali di controllo a strutture sottocorticali come l’amigdala e la PAG (Mantyh et al., 1982; An et al., 1998). Mentre l’amigdala (coinvolta nell’elaborazione emotiva e nell’apprendimento del dolore) fa connessioni con la PAG e la corteccia prefrontale, con la quale stabilisce una connessione amigdalo-corticale inibitoria (interferendo quindi con le capacità decisionali), nella PAG vengono attivati i neuroni di rilascio dell’encefalina (un oppioide endogeno), che fanno sinapsi eccitatorie con il nucleo

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magno del rafe (Vanderah et al., 1996). Il rafe è una struttura caratterizzata principalmente da neuroni serotoninergici che, quando vengono stimolati dalla PAG, inviano un impulso agli interneuroni inibitori delle corna dorsali del midollo spinale. Nello spazio intersinaptico viene rilasciata serotonina, che indurrà gli interneuroni (generalmente GABAergici), a produrre encefalina e dinorfina, responsabili del blocco dei canali calcio che, da una parte, limita il rilascio di neurotrasmettitori dal I neurone, e dall’altra, iperpolarizza il secondo neurone, così da innalzarne la soglia di eccitazione (Basbaum A. I. et al.,1978). Questo meccanismo blocca di fatto gli stimoli dolorifici prima che essi vengano mandati al cervello (Fig 1.2).

È interessante notare come non vi sia una netta separazione anatomica e funzionale tra le strutture coinvolte nella trasmissione e modulazione (sia inibitoria che facilitatoria) del dolore: le stesse strutture che mediano facilitazione del dolore (come sopra descritto), possono inibire lo stesso, utilizzando il medesimo neurotrasmettitore. Infatti il diverso meccanismo è dovuto alla presenza di recettori diversi, capaci di produrre effetti differenti (Manzoni & Torelli, 2012).La liberazione di serotonina (i cui recettori sono presenti a livello delle corna dorsali), nello spazio intersinaptico dei II neuroni, determina la facilitazione della nocicezione se vengono attivati i recettori 1A. Se vengono attivati i recettori 1b/3, la stessa serotonina provoca inibizione (Manzoni & Torelli, 2012). Analogamente, la noradrenalina inibisce la nocicezione mediante l’attivazione del recettore α2 e, la facilita, mediante l’attivazione del recettore α1 (Pertovaara et al., 2006).

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Figura 1.2 - Tratta da: Min Zhuo, 2008. Rappresentazione schematica delle vie di trasmissione e

modulazione del dolore, sottostante a condizioni fisiologiche normali. ACC: corteccia cingolata anteriore; SDH: corna dorsali del midollo spinale; DRG: ganglio dorsale; IC: corteccia insulare; PFC: corteccia prefrontale; PAG: grigio periacqueduttale; RVM: midollo rostro ventrale

Ricapitolando, l’esperienza del dolore è il risultato dell’attivazione di network cerebrali, specializzati nel codificare componenti specifiche dell’informazione nocicettiva. Una volta che uno stimolo in ingresso viene elaborato dalle aree specializzate, il cervello genera una risposta di output, che rappresenta il risultato dell’attivazione-inibizione a cascata di molteplici strutture. Nella tabella 1 sono state riportate tutte le strutture cerebrali coinvolte nel painmatrix ed il loro ruolo all’interno di esso. Le spunte indicano il coinvolgimento dell’area nella fase specifica (input dello stimolo e output della risposta) nel circuito del dolore e le frecce si riferiscono all’aumento di connettività tra un’area e l’altra. Come si può notare, nonostante la relativa costanza dei network deputati alla realizzazione di una fase, essi possono essere influenzati dalle caratteristiche di stimoli interni ed esterni. Per esempio una risposta al dolore può essere modificata dalla presenza di uno stimolo freddo, che determina l’attivazione del Diffuse Noxious Inhibitory Control (DNIC), o da una

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suggestione ipnotica. Entrambi questi metodi ed altri fattori che possono influenzare l’esperienza nocicettiva, verrano trattati di seguito nel dettaglio.

Tabella 1 – aree cerebrali coinvolte nel painmatrix

output

aree cerebrali ruolo input stato

ordinario DNIC ipnosi

talamo stazione di relais dell’informazione nocicettiva ✓ ✓ ✓ sis tema li mbi co amigdala elaborazione emotiva-affettiva e dell’apprendimento del dolore ✓ ✓ ipotalamo ✓

giro del cingolo (ACC in particolare) ✓ ✓ formazione reticolare ✓ insula ✓ ✓ PAG (neuroni oppioidi) regolazione degli oppioidi endogeni nel painmatrix ✓ ✓ SII componente sensoriale-discriminativa del dolore ✓ SI ✓ ✓

ippocampo apprendimento del

dolore e vigilanza ✓ corteccia prefrontale aspetti attentivi e decisionali ✓ ✓ ✓ locus coeruleus (NE) responsabile della regolazione di serotonina

nelle corna dorsali

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nucleo magno del rafe (5-HT)

responsabile della regolazione di noradrenalina nelle corna

dorsali ✓ midollo prima stazione di filtraggio dell’informazione nocicettiva ✓ striato

area chiave che filtra il passaggio tra afferenze sensitive e l’attivazione

corticale

1.3 Metodi di modulazione del dolore

1.3.1 Metodi bottom up: DNIC

L’analgesia può essere indotta mediante diverse procedure. Per la valutazione dei meccanismi modulatori del dolore discendenti, che presuppongono un ruolo passivo del soggetto, viene spesso utilizzato il DNIC (Diffuse Noxious Inhibitory Control), termine oggi spesso sostituito con “modulazione condizionata del dolore“ (CPM), che ne rappresenta la componente psicofisiologica (Yarnitsky, 2010). Il DNIC è un meccanismo fisiologico, parzialmente oppioide-dipendente (Kraus, Le Bars, Besson, 1981), che inibisce in maniera diffusa i segnali dolorifici, in risposta a una stimolazione dolorosa acuta eterologa, definita ‘‘heterotopic noxious conditioning stimulations’’ (HNCS). In altre parole è un sistema che, similmente al gate control, gerarchizza stimoli nocicettivi compresenti. Il DNIC, in natura, rappresenta un meccanismo di modulazione molto importante: bassi livelli di DNIC riflettono bassa capacità di inibizione del dolore. Si suppone che un’alterazione di tale meccanismo sia responsabile dell’insorgenza di sindromi da dolore cronico (Yarnitsky D et al., 2008; Edwards et al., 2003).

Il circuito sopraspinale del DNIC non è stato ancora ben definito, tuttavia alcuni studi sull’attività del trigemino hanno chiarito come questo circuito agisca attraverso vie discendenti inibitorie (spino-bulbo-spinale) e sulle convergenze di neuroni WDR (Le Bars et. al., 1979; Le Bars et al., 1981). Uno studio, condotto da Van Wijk Veldhuijzen (2010),

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identifica nel subnucleo reticolare dorsale del midollo caudale come la regione chiave coinvolta nel DNIC. Un altro studio molto interessante ha rilevato che durante l’attivazione del DNIC si assiste alla riduzione di attività, oltre che del midollo, della porzione destra del talamo (controlateralmente al HNCS), insula anteriore e posteriore, corteccia cingolata posteriore e mediale e amigdala (Sprenger, Bingel, & Büchel, 2011). Una correlazione positiva è stata riscontrata tra l’analgesia indotta dal HNCS e l’attività del talamo, insula, corteccia prefrontale dorsolaterale e midollo dorsale. Inoltre è stato rilevato un aumento della connettività tra ACC e altre strutture come amigdala, PAG e ipotalamo.

Questo sistema di inibizione del dolore può essere attivato volontariamente mediante diversi metodi:

• cold pressor test, ovvero l‘immersione di una mano nell’acqua fredda (0°-2°) contemporaneamente all’esposizione del soggetto ad un altro stimolo spiacevole, come stimoli elettrici dolorifici nell’altra mano (Tousignant-Laflamme et al., 2008); • riflesso di flessione nocicettiva (NFR), mediante una stimolazione elettrica dolorifica viene provocata una risposta elettromiografica nel femore (Sandrini et al., 1993);

• algometro, uno strumento capace di provocare dolore attraverso la pressione,

misurata e calibrata in kg\cm2 (Fischer, 1987).

È stato dimostrato come il DNIC si distingua dal tradizionale sistema oppioide endogeno del controllo inibitorio, ma dal quale rimane comunque strettamente dipendente (Bouhassira Chitour, Villanueva, & Le Bars, 1993): le strutture chiave del sistema modulatorio discendente tradizionale (sopracitate), con le loro proiezioni monoamminergiche (che influiscono sull’attività dei neuroni WDR), sembrano essere indirettamente coinvolte, perturbando (inibendo o facilitando) il DNIC. Gli antagonisti della serotonina, che agiscono sui recettori 1b/3, facilitano il DNIC in soggetti normali, mentre gli agonisti lo inibiscono; di contro, le proiezioni dopaminergiche hanno un’influenza opposta (Bannister, Lockwood, Goncalves, Patel, & Dickenson, 2017). Queste ultime, infatti, attraverso le vie discendenti che originano dai nuclei noradrenergici del tronco cerebrale (in particolare dal locus coeruleus) (Jones, 1991), esercitano un’azione inibitoria sui recettori α-2-adrenergici degli interneuroni eccitatori (Olave & Maxwell, 2014).

1.3.2 Metodi top down: suggestione ipnotica

Nei paragrafi precedenti è stato ampiamente argomentato come, tra le strutture cerebrali coinvolte nella percezione e modulazione del dolore, alcune siano strettamente legate alla

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processazione emotiva e cognitiva. Da questa evidenza si profilano metodi che sfruttano l’influenza dei processi cognitivi sui meccanismi neuropsicologici della percezione del dolore, come per esempio l’ipnosi, utilizzata per indurre fenomeni di analgesia.

Grazie a evidenze scientifiche che hanno dimostrato la concreta efficacia dell’ipnosi, si fa sempre più ricorso a queste tecniche, nell‘ambito della gestione del dolore nei pazienti (Faymonville et al.,2006; Derbyshire et al., 2009; Montgomery et al. 2000).

L’ipnosi viene definita dall‘American Psychological Association (APA) come una „procedura durante la quale un professionista della salute o un ricercatore suggerisce a un paziente o soggetto di esperire cambiamenti nelle sensazioni, percezioni, pensieri e comportamenti“ (The Executive Committee of the American Psychological Association— Division of Psychological Hypnosis, 1994). Questo stato di attenzione focalizzata è caratterizzato da tre componenti (Spiegel et al., 1991):

1- Assorbimento: coinvolgimento pieno del soggetto nelle proprie percezioni,

sensazioni e idee;

2- Dissociazione: separazione di componenti mentali che ordinariamente sono

processate insieme e integrate (intellettivo-affettiva, mente-corpo, conscio-incoscio);

3- Suggestionabilità: sospensione del giudizio critico, che aumenta la tendenza

del soggetto ad assecondare richieste, mediante precise istruzioni ipnotiche (dirette o indirette).

Tra le tecniche finalizzate a indurre cambiamenti nelle capacità percettive e sensoriali, viene spesso utilizzata la suggestione ipnotica verbale: essa consiste in istruzioni che hanno la peculiarità di produrre una risposta involontaria, caratteristica qualificante delle tecniche ipnotiche. Ricerche mostrano come l’applicazione di questa procedura comporti la riduzione sia della componente affettiva (spiacevolezza) che sensoriale (intensità percepita) del dolore (Faymonville et al., 2003). La variabilità del livello dell'analgesia ipnotica mostra una correlazione positiva con il grado di ipnotizzabilità (Montgomery et al., 2000). Infatti la capacità dei soggetti di sviluppare uno stato ipnotico è estremamente soggettiva ed è possibile misurarlo mediante apposite scale, che permettono di classificare i soggetti in alti (highs), medi (mediums) e bassi (lows), in riferimento al grado di ipnotizzabilità. Una recente ricerca ha inoltre dimostrato come il livello di ipnotizzabilità, considerata in psicologia sperimentale come un tratto stabile di personalità (Piccione et al., 1989), possa essere predittore dell’efficienza dei sistemi di modulazione del dolore (Fidanza et al., 2017): tutte e tre le categorie (high, medium e low) manifestano gradi simili di modulazione del dolore, quando vengono esposti ad uno stimolo condizionante potenzialmente analgesico

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(suggestione ipnotica o Cold Pressor Test); tuttavia gli highs mostrano una riduzione del dolore significativamente maggiore durante la suggestione, rispetto alle altre categorie. Questo legame (tra ipnotizzabilità e controllo del dolore) è rafforzano da studi che indagano le basi neurofisiologiche del grado di ipnotizzabilità: una ricerca condotta da Hoeft e colleghi (2012), mediante fMRI, rileva una maggiore connettività, negli highs, tra la corteccia prefrontale dorsolaterale sinistra (che fa parte del circuito del controllo esecutivo) e alcune aree del painmatrix (ACC, insula anteriore, amigdala, striato ventrale) coinvolto nell’identificazione, integrazione e filtraggio di informazioni somatiche autonomiche ed emozionali. Inoltre, l’evidenza che il grado di ipnotizzabilità correli fortemente con la concentrazione di acido omovanillico (un metabolita della dopamina) nel liquido cerebrospinale (Spiegel & King, 1992) e che l’ACC e la corteccia prefrontale facciano parte del sistema dopaminergico (Raz, 2005), rappresenta un’ulteriore conferma del legame tra livello di ipnotizzabilità e modulazione del dolore. La modificazione delle abilità percettive legata allo stato ipnotico è rintracciabile nella diminuzione di potenziali evento-correlati (p100 e p300) legati al processamento dell’informazione percettiva (Spiegel et al., 1989). Numerosi studi di neuroimaging, condotti sia su soggetti sani che soggetti affetti da patologie legate al dolore (come fibromialgia, o dolore cronico), mostrano che i meccanismi sottostanti la modulazione, indotta da condizioni ipnotiche, siano mediati dall’ipoattivazione della ACC, coinvolgendo l’attività di reti corticali e sottocorticali come la corteccia prefrontale, insulare e pregenuale, il talamo, lo striato e il tronco cerebrale (Rainville et al., 2002). In particolare la diminuzione della spiacevolezza allo stimolo doloroso, sembra essere legata all’ipoattivazione della ACC, mentre un’innalzamento della soglia dolorifica sembra essere legata alla diminuita attività del talamo.

1.4 Variabili che influenzano l’esperienza nocicettiva

La tolleranza e soglia nocicettiva possono essere notevolmente modificate dall‘interpretazione del dolore. La IASP (IASP Task Force on Taxonomy, 1994) definisce la tolleranza al dolore come „la massima intensità del dolore prodotto da uno stimolo, che il soggetto è disposto a sopportare in una determinata situazione“, mentre la soglia nocicettiva come „l’intensità minima di uno stimolo che viene percepita come dolore“. Entrambi questi indici variano non solo tra individui ma può variare anche per lo stesso individuo a distanza di tempo. Infatti esse subiscono l’influenza diretta di alcune variabili come il corredo genetico, le influenze culturali, i ruoli di genere, il sesso, l’età, le esperienze di vita, le

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esperienze di dolore passate, l’aspettativa, lo stato psicologico e i livelli di salute (Keogh et al., 2000; Miron et al., 1989; Ehrlichman, Kuhl, Zhu, & Warrenburg, 1997; Lang et al., 1993; Bjorkedal & Flaten, 2012; Edwards et al., 2003; Lariviere et al., 2007; Washington et al., 2000; Riley et al 2014; Grashorn et al., 2013).

L‘attenzione

Trattando l’ipnosi, è stato approfondito come l’attenzione può avere un ruolo incisivo sulla percezione del dolore; allo stesso modo anche la distrazione può avere effetti significativi: infatti ponendo l‘attenzione su un’altra modalità sensoriale, durante una stimolazione nocicettiva, il dolore risulta essere meno intenso (Bushnell et al., 1999; Levine et al., 1982; Miron et al., 1989; Rode et al., 2001). Questo fenomeno si rispecchia, a livello neurofisiologico, nel significativo aumento dell‘attività del PAG, predittivo di una riduzione dell’intensità di dolore esperita (Tracey et al., 2002). Tuttavia il fenomeno è più complesso, in quanto studi sperimentali riportano dati contrastanti: uno studio ha rilevato che individui maschi percepiscono meno dolore quando si concentrano su di esso, piuttosto che su altre modalità sensoriali, fenomeno che non risulta essere esperito dalle donne (Keogh et al., 2000). In un altro studio condotto su pazienti particolarmente ansiosi affetti da dolore cronico, essi hanno sperimentato una diminuzione del dolore e dell‘ansia se si concentravano sulle sensazioni fisiche (Hadjistavropoulos et al. 2000). Questo dato suggerisce come terze variabili (quelle individuali come il sesso, lo stato di salute, e stato emotivo ecc.) possono avere un’influenza molto forte ma non diretta e scontata sulle variabili inerenti al contesto come l’attenzione, influenzandosi vicendevolmente. Inoltre il dolore stesso modifica la capacità del soggetto di focalizzare l’attenzione: pazienti con dolore cronico mostrano valori deficitari a carico delle abilità attenzionali (Miron et al., 1989). Miron e colleghi (1989) hanno interpretato questo fenomeno in termini evoluzionistici: le risorse attentive sono organizzate gerarchicamente in modo da focalizzarsi su stimoli rilevanti; essendo il dolore una modalità attenzione-dipendente, che funge da sistema di allarme per l’organismo preservandone la sopravvivenza, l’informazione nocicettiva finisce per dominare sulle risorse attentive. A rinforzare questa alterazione delle capacità attenzionali, subentrano anche meccanismi fisiologici (come precedentemente discusso) che coinvolgono l’amigdala e le sue influenze inibitorie sulla corteccia prefrontale, sede dei processi attenzionali e di monitoraggio. Anche gli stati emozionali possono modificare l’attività di queste strutture e quindi avere effetti diretti sull’attenzione al dolore: per esempio pazienti con alti livelli di paura del dolore hanno un bias attenzionale dolore-correlato che aumenta la percezione del

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dolore (Keogh et al., 2001).

È possibile quindi affermare che la modulazione discendente del dolore può essere invocata dalla manipolazione di processi attenzionali.

Le emozioni

Diverse teorie sulle emozioni possono spiegare l’interazione tra la sfera affettiva e il dolore. In accordo con la Motivational Theory (Miller, 1944), le emozioni sono guidate attraverso due sistemi di motivazione primari: quello appetitivo e quello avversivo, i quali operano con processi opposti (Lang et al., 1992). A livello comportamentale il sistema appetitivo è associato a emozioni positive che guidano verso stimoli pro-sopravvivenza, mentre il sistema avversivo è associato a emozioni negative che guidano il comportamento lontano dagli stimoli potenzialmente nocivi (Konorski, 1968). A livello neurofisiologico, l'arousal (ovvero lo stato generale di attivazione e reattività del sistema nervoso autonomo, in risposta a stimoli interni o esterni) riferisce il grado di attivazione di questi sistemi, correlando con indici fisiologici come la risposta galvanica della pelle (GRS), il battito cardiaco, la pressione del sangue e l’attività elettrica del cervello. Il sistema motivazionale si è evoluto in funzione dell'adattamento all'ambiente; esso è così in grado di garantire la sopravvivenza permettendo il riconoscimento tra stimoli dannosi e salutari. Stimoli nocivi attivano il sistema difensivo, producendo l'esperienza percettiva che chiamiamo dolore e contemporaneamente strategie cognitivo-comportamentali atti ad evitare questi stimoli.

Da queste premesse possiamo affermare che:

• dolore ed emozione fanno parte del circuito motivazionale che promuove la

sopravvivenza;

• circuiti coinvolti nelle emozioni e dolore si sovrappongono

significativamente, suggerendo possibile e reciproca influenza;

• la modulazione del dolore emozionale può essere descritta attraverso

l'interazione di due dimensioni ortogonali dell'emozione: valenza (piacevole vs spiacevole) e arousal (calma vs eccitazione) (Russell, 1979). Alcuni studi hanno dimostrato come nonostante queste due dimensioni siano consequenziali, possano essere dissociate, suggerendo la presenza di circuiti differentemente coinvolti: infatti mentre la manipolazione emozionale altera la spiacevolezza del dolore più della sensazione di dolore, l’attenzione altera entrambi (Villemure & Bushnell, 2002; Zelman et al., 1991).

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(Lang, 1995; Bradley & Lang, 2000) che, per mezzo dell‘International Affective Picture System (IAPS), un test costituito da immagini a valenza positiva o negativa, assume la possibilità di modificare le reazioni dei soggetti mediante il condizionamento indotto da un

priming. Infatti diversi studi mostrano un incremento dei tempi di reazione del riflesso di

retrazione, indotto dagli effetti di un priming negativo (tramite foto o odori), mentre priming positivi lo decrementano (Ehrlichman, Kuhl, Zhu, & Warrenburg, 1997; Lang et al., 1993). Un altro studio a conferma di questa tesi, messo a punto Greenwald e colleghi (1998), ha dimostrato che attraverso un priming del sistema appetitivo, mostrando cioè immagini a valenza positiva, si induce un’inibizione del dolore associata ad un’emozione positiva. Viceversa per il priming del sistema avversivo; immagini a valenza negativa inducono un aumento del dolore percepito, associato a una emozione negativa. E’ stato visto che sia durante la modulazione dell'emozione e del dolore, vi era l'attivazione di aree in comune: PAG e amigdala (Davis, 1997; Fendt et al., 1994). Infatti questi sistemi (avversivo e appetitivo) sono legati a uno specifico network nella corteccia (corteccia sensoriale e prefrontale destra), sottocorticali (amigdala, nuclei basali, talamo, ipotalamo e ippocampo) e tronco cerebrale (ponte caudale dei nuclei reticolari, PAG). Tutte queste aree sono le stesse coinvolte nel sistema modulatorio discendente del dolore, spiegando così, il coinvolgimento delle emozioni con l’attivazione dello stesso. È interessante notare come il network del sistema appetitivo sia caratterizzato principalmente da neuroni dopaminergici e oppioidi endogeni, in linea con i risultati degli esperimenti sopracitati, che legano in particolare il sistema appetitivo alla soppressione del dolore. Tuttavia questo rapporto non è così scontato: infatti emozioni positive conducono ad una inibizione dell'esperienza dolorosa finché è mantenuta una soglia minima di arousal, mentre generalmente le emozioni negative conducono facilitazione alla percezione dolorifica, ma se associate ad un’arousal innalzato, causano un effetto opposto (Rhudy & Meagher, 2001). Allo stesso modo l'amigdala, struttura critica nella processazione emozionale e in particolare legata alla paura, se stimolata con un forte shock causa una riduzione del dolore. Tuttavia è stato visto che uno shock medio aumenta la sensibilità al dolore (King et al., 1996).

Alcuni comportamenti legati ad affetti positivi sono mediati dagli stessi meccanismi neurali che mediano il sistema delle ricompense, ovvero il circuito dopaminergico (Ashby et al., 1999). Gli affetti positivi sono associati a un incremento dei livelli di dopamina celebrale, rilevabile nelle aree corticali frontali (corteccia cingolata anteriore e prefrontale). Il concetto che affetti positivi si realizzino neurofiologicamente nel rilascio di dopamina e si trasformino in influenze sul funzionamento cognitivo, può essere esteso al dolore: studi neuropsicologici

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dimostrano il ruolo del sistema dopaminergico del prosencefalo (che include nucleo accumbens, amigdala, segmento ventrale, giro orbitale) nel dolore e analgesia (Lai et al., 1997; Magnusson & Fisher, 2000). Queste regioni celebrali sembrano rispondere agli stimoli gratificanti, inclusi agenti farmacologici come la cocaina (Breiter et al., 1997). Inoltre studi di neuroimmagine con PET hanno trovato che, intense risposte emozionali di piacevolezza legata alla musica correlano con un‘aumentata attività di regioni celebrali implicate nelle gratificazioni, emozioni e dolore (Blood & Zatorre, 2001). Queste regioni includono lo striato ventrale (che risponde al nucleus accumbens), PAG, amigdala, corteccia orbitofrontale, ACC e insula. Queste aree vengono attivate in maniera contrapposta durante stimoli gratificanti e avversivi dimostrando non solo come dolore e gratificazioni sono ai poli opposti dello stesso spettro comportamentale ma anche che il sovraccarico di stimoli edonici (negativi o positivi) può velocemente modulare la percezione del dolore. Il dolore quindi non rispecchia direttamente l'intensità di uno stimolo, perché lo stesso può essere percepito come doloroso in un momento e in un altro no (Rhudy & Meagher, 2001).

La capacità delle emozioni di attivare meccanismi di modulazione discendenti del dolore è stato ampiamente dimostrato in ambito accademico. Tuttavia non è ben chiaro se la modulazione del dolore indotta dalle emozioni sia legata ad uno specifico pattern modulatorio, come quello oppiaceo, serotoninergico o adrenergico. Infatti, per esempio, il sistema oppiaceo ha la capacità di alterare la sensazione del dolore nella sua componente affettiva (Morin et al., 1999) e anche lo stato emozionale e dell’umore altera la componente affettiva del dolore. Tuttavia alcuni studi hanno osservato che non è sempre così (Zelman et al., 1991). Questo può indurre a pensare che il sistema oppiaceo non sia coinvolto nella modulazione del dolore indotta dalle emozioni. Alcuni studi che hanno indagato gli effetti dell’induzione di uno stato emozionale sulla modulazione del dolore, infatti, riportano che questi determinano analgesia con un effetto ritardato e che si protrae anche per diversi minuti dopo l’induzione dello stato affettivo (Cogan R. et al., 1987; Weisenberg M. et al., 1998). L’effetto analgesico ritardato ma prolungato nel tempo è il meccanismo d’azione tipico del sistema oppiaceo, lasciando pensare a un coinvolgimento dello stesso, nella modulazione indotta dalle emozioni. Altri studi invece mostrano una rapida insorgenza della modulazione e il riequilibrio degli effetti emozionali (De Wied & Verbaten, 2001). Queste differenze temporali, degli effetti emozionali sul dolore, suggeriscono che differenti paradigmi sperimentali possono accedere a differenti circuiti modulatori. Inoltre molti studi sulle influenze emozionali sul dolore non controllano gli stati attenzionali, così che l’attenzione può diventare una variabile confondente, invocando l’attivazione di circuiti addizionali. In

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aggiunta, manipolazioni che producono cambiamenti emozionali estremi coinvolti nello stress e depressione possono produrre una varietà di effetti fisiologici, inclusi cambiamenti nelle catecolamine o nei livelli di endorfina (Ressler & Nemeroff, 2000; Vaccarino & Kastin, 2001), suggerendo che l’emozione stessa ha un’influenza su più circuiti differenti.

È possibile quindi concludere che la manipolazione emozionale può ingaggiare diversi circuiti adibiti alla modulazione del dolore.

Le variabili psicologiche

Come già accennato, il coinvolgimento di strutture chiave legate alla sfera cognitiva ed emotiva, come in particolare il sistema limbico e alcune aree della corteccia, suggerisce la stretta interdipendenza tra fattori psicologici e i sistemi di modulazione del dolore (Goffaux et al. 2007)

Per esempio persone con alti livelli di catastrofismo mostrano una diminuzione di effetti CPM durante una stimolazione dolorifica (King et al., 2013; Weissman-Fogel et al., 2008; Goodin et al., 2013). Goodin e colleghi (2013) in un loro studio dimostrano che ottimismo ed effetti della CPM abbiano una significativa correlazione positiva.

I processi psicologici, come le credenze, possono condizionare la percezione del dolore (Moseley, 2004; Moseley & Arntz, 2007). L‘anticipazione sembra essere un fattore fortemente influente sulla percezione e modulazione del dolore, con effetti significativamente differenti quando l’aspettativa è certa o incerta. L’ansia provocata da un‘aspettativa incerta sembra incrementare la sensibilità al dolore (Ploghaus et al. 2001). Lo studio di Ploghaus e colleghi (2001) dimostra che due stimoli nocivi identici erano percepiti diversamente a seconda del contesto: in un contesto di ansia maggiore, indotta da un’aspettativa incerta, lo stimolo era percepito come più doloroso. Inoltre, mediante fMRI, è stato riscontrato che l'ansia indotta da iperalgesia, era associata all'attivazione della formazione ippocampale, insula e CCA. Per spiegare questo legame, Gray e colleghi (2000) proposero l’ipotesi per cui la formazione ippocampale risponde ad eventi avversivi in situazioni di conflitto (come un'aspettativa incerta). L‘ippocampo risolve questo conflitto mandando segnali amplificati alla rappresentazione neurale di eventi avversivi, aumentando lo stato di allerta, e quindi l‘ansia. In linea con questa interpretazione, Wiech e colleghi (2006) in uno studio riportano che effetti analgesici implicano la co-occorrenza tra riduzione dell’ansia (dovuta alle rassicurazioni) e l‘incremento dell’attività della corteccia ventrolaterale prefrontale (VLPFC), una regione chiave nella regolazione delle emozioni e del dolore. Segnali di sicurezza, infatti, causano attivazione della corteccia cingolata

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anteriore rostrale (rACC), che incrementa connettività con PAG e VLPFC. Come sopra descritto, ACC e PAG sono fortemente implicati nella modulazione del dolore.

Il substrato neurofunzionale dell’effetto modulatorio delle convinzioni sul dolore, sembra quindi risiedere nella VLPFC. Convinzioni come l’aspettativa certa sulla riduzione del dolore (placebo) (Lee et al., 2012), self-efficacy sul dolore (Salomons et al., 2004; Salomons et al., 2007) e credenze religiose (Wiech et al., 2008) sono tutte legate all’incremento di attivazione della VLPFC e alla riduzione del dolore (Wiech et al., 2006). Questo tipo di convinzioni portano i soggetti a una riconsiderazione degli eventi, percependoli come meno o per nulla minacciosi (Skinner & Zimmer-Gembeck, 2011). Questo meccanismo richiama il sistema motivazionale sopra discusso, che si realizza nell’ingaggio del sistema appetitivo. Quest’ultimo stimola l’attivazione della VLPFC (e la sua aumentata connettività con la rACC oltre che l’iperattivazione del PAG) (Wiech et al., 2014) e parallelamente la riduzione dell’ansia, anche in contesti non legati al dolore (Mitchell, 2011). Il legame tra ansia e dolore è fortificato da ricerche che dimostrano quanto un aumento dei livelli di ansia provochi un’amplificazione del dolore (Flaten M.A. et al., 2011; Ploghaus A. et al., 2001; Bingel U. et al., 2011) e, viceversa, una riduzione del dolore è capace di ridurre lo stato di ansia, senza ingaggiare direttamente meccanismi ansiolitici. Questo legame di interdipendenza tra ansia e dolore è inoltre sostenuto dal fatto che pazienti affetti da disturbi funzionali del dolore come Sindrome da colon irritabile (IBS) o dispepsia funzionale mostrano anche una compromissione del coinvolgimento della VLPFC (Mayer E. et al., 2005; Seminowicz et al., 2010) e la riduzione della materia grigia nella stessa area (Van Oudenhove et al., 2010). Genere ed età

In diversi studi è stata valutata l’influenza del solo genere sulla CPM ma in molti di essi non sono state riscontrate differenze su questo tipo di modulazione (Oono, Nie, Matos, Wang, & Arendt-Nielsen, 2011; Granot et al., 2008; Ge, Madeleine, Arendt-Nielsen, 2004). Tuttavia, in alcuni setting sperimentali in cui veniva indotta aspettativa, gli effetti sulla CPM risultano essere fortemente influenzati dal genere (Bjorkedal & Flaten, 2012). Infatti l’intensità di dolore avvertita durante uno stimolo condizionante, sembra essere positivamente correlata con l’aspettativa, quando i soggetti sono informati degli effetti della CPM (Lariviere et al., 2007; Cormier et al., 2013) ma questo effetto sembra verificarsi solo nelle donne (Bjorkedal & Flaten, 2012).

Numerosi studi sono concordi sulla correlazione negativa tra CPM e l’età (Edwards et al., 2003; Lariviere et al., 2007; Washington et al., 2000; Riley et al 2014; Grashorn et al., 2013):

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soggetti giovani presentano una CPM migliore rispetto a soggetti di mezza età o anziani. Una possibile spiegazione potrebbe risiedere nel decremento legato all’età di ß-endorfine, una sostanza oppioide endogena implicata nel DNIC (Riley et al., 2010).

1.5 Valutazione del dolore

Prima di passare ad analizzare i diversi metodi di valutazione del dolore, è bene fare una distinzione tra i principali tipi di dolore (Orlandini, 2011):

• parliamo di dolore acuto quando esso è relativamente di breve durata, che si

esaurisce con la risoluzione del danno o la cessazione dello stimolo dolorifico che lo ha prodotto. Vi è quindi un preciso rapporto di causa-effetto che genera un‘aspettativa positiva di guarigione (Price & Bushnell, 2004), nonostante il dolore acuto generi un certo grado di spiacevolezza e influenza sulle principali attività della vita del soggetto (lavoro, relazioni ecc). La dimensione sensoriale assume una rilevanza maggiore rispetto a quella affettiva. Il Ministero della Salute definisce il dolore acuto come „utile“ (Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, 2002), in quanto rappresenta un sistema di allarme dell’organismo, inducendolo ad allontanarsi da stimoli potenzialmente nocivi o per avvisarlo di una lesione tissutale in corso e limitarne così l’entità del danno. Un dolore acuto protratto nel tempo prende il nome di „dolore persistente“, che conserva le caratteristiche del dolore acuto e va quindi distinto dal dolore cronico; è un tipo di dolore che si instaura quando la causa del dolore continua ad essere operante o la disnocicezione perdura anche dopo la cessazione della stimolazione. Una caratteristica fondamentale del dolore acuto è quello di rispondere ad adeguate misure antinocicettive come FANS, oppiacei e neurolesioni: questa caratteristica è condivisa dal dolore persistente ma non dal dolore cronico;

• il dolore cronico è del tutto diverso dal dolore acuto e persistente. Sebbene

per molto tempo è stato classificato come un dolore protratto per una durata maggiore ai 6 mesi, il dolore cronico non rappresenta solo una mera estensione temporale del dolore acuto, ma assume caratteristiche qualitative completamente diverse: infatti quel che definisce la cronicità del dolore è il suo rapporto con le modificazioni plastiche del SNC indotte dalla nocicezione prolungata (Rome & Rome, 2000) e l’associazione con profonde modificazioni della personalità e dello stile di vita del paziente che costituiscono fattori di mantenimento indipendenti dalla nocicezione

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(Calvo-Lobo et al., 2017). Il dolore a questo livello si configura come patologia a sé stante che, per la sua risoluzione, necessita di un approccio professionale integrato Il

Ministero della Salute definisce questo tipo di dolore come „inutile“ per la frequente

assenza di una concreta causa in corso (Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, 2002). La caratteristica qualificante del dolore cronico risulta quindi essere l’alto grado di compromissione della componente emozionale, psico-relazionale e limitazione della performance fisica e sociale del paziente, con una conseguente e significativa diminuzione della qualità di vita. In aggiunta si riscontrano altissimi indici di comorbidità con altre patologie come disturbi del sonno, depressione, ansia, fatigue e ridotte facoltà intellettive.

La rilevazione del grado di compromissione e invalidità del paziente causata dal dolore rappresenta la base di partenza per individuare strategie d’intervento o per valutare l’efficacia dell’intervento stesso. A tal fine, sono state messe a punto diverse scale di misurazione del dolore che possiamo distinguere in due grandi gruppi: scale unidimensionali e scale multidimensionali.

• Le scale unidimensionali misurano esclusivamente l’intensità del dolore.

1. Numerical Rating Scale (NRS) (Breivik et al., 2008): consiste in una

serie di numeri generalmente da 0 a 10 il cui punto di inizio e di fine rappresentano gli estremi del dolore provato.

2. Visual Analogue Scale (VAS) (Gould, 2001): una linea orizzontale di

10 cm (100 mm) con due punti di inizio e fine, contrassegnati come “assenza di dolore” e “il dolore peggiore mai sentito”. Il paziente deve indicare un punto sulla linea che rappresenta il livello di intensità provato. Basandosi sulla distribuzione dei punteggi VAS, Hawker, Mian, Kendzerska, & French (2011) hanno individuato i seguenti cut-off: da 0 a 4 mm “nessun dolore”, da 5 a 44 mm “dolore lieve”, da 45 a 74 mm “dolore moderato” e da 75 a 100 mm “dolore severo”. La VAS presenta delle limitazioni nei pazienti con difficoltà motorie, percettive e cognitive che impediscono ai pazienti di comprendere le istruzioni.

3. Verbal Rating Scale (VRS) (Jensen, Karoly, & Braver, 1986): è una

scala costituita da una lista di descrittori che identificano il grado di intensità del dolore (nessuno, lieve, moderato e grave).

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