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La residenza fiscale delle persone fisiche

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Academic year: 2021

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(1)

INTRODUZIONE 4

1 LA NOZIONE DI RESIDENZA FISCALE 7

1.1 CENNI STORICI: DA UN SISTEMA DI TASSAZIONE REALE AD UN

SISTEMA DI TASSAZIONE PERSONALE 7

1.2 IL CONCETTO DI RESIDENZA FISCALE NELL’ORDINAMENTO

TRIBUTARIO ITALIANO ODIERNO 13

1.2.1 L’ISCRIZIONE PRESSO LE ANAGRAFI DELLA POPOLAZIONE

RESIDENTE 19

1.2.2 IL DOMICILIO AI SENSI DELL’ARTICOLO 43, COMMA 1 DEL CODICE CIVILE 24

1.2.3 LA RESIDENZA AI SENSI DELL’ARTICOLO 43, COMMA 2, DEL

CODICE CIVILE 27

1.2.4 IL REQUISITO TEMPORALE 30

1.3 PRINCIPI COSTITUZIONALI E CRITERI DI COLLEGAMENTO 31

1.4 LA RESIDENZA FISCALE NEL DIRITTO CONVENZIONALE

INTERNAZIONALE 32

1.4.1 IL MODELLO O.C.S.E. E LE “TIE BREAKER RULES” 35

1.5 NORMATIVA ESTERA 42

2 IL TRASFERIMENTO ALL’ESTERO DELLA RESIDENZA

FISCALE 44

2.1 IL TRASFERIMENTO 44

2.2 INTERVENTI DA PARTE DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA PER VERIFICARE L’EFFETTIVITÀ DEL TRASFERIMENTO 47

2.3 COME PROCEDERE PER TRASFERIRE ALL’ESTERO LA PROPRIA

RESIDENZA 49

2.3.1 CANCELLAZIONE DALL’ANAGRAFE DELLA POPOLAZIONE

RESIDENTE ED ISCRIZIONE ALL’A.I.R.E. 51

2.3.2 COSTITUZIONE DEL FASCICOLO DOCUMENTALE PROBATORIO DEL

CONTRIBUENTE 54

2.4 IL CONCETTO DI “CENTRO DEGLI INTERESSI VITALI 55

(2)

2.6 ONERE DELLA PROVA NEL TRASFERIMENTO DI RESIDENZA

FISCALE 62

2.6.1 INDIVIDUAZIONE DELL’UFFICIO COMPETENTE

ALL’ACCERTAMENTO 64

2.7 VALUTAZIONE DELLE PROVE RACCOLTE: PREVALENZA DEGLI

ELEMENTI DI COLLEGAMENTO 65

2.8 IL CONCETTO DI NORMALE RESIDENZA DELLA CORTE DI

GIUSTIZIA EUROPEA 67

2.9 TRASFERIMENTO E LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE 75 2.10 CENNI: TRASFERTA E DISTACCO DEL LAVORATORE 77

2.11 CENNI: IL REGIME FISCALE DEI LAVORATORI

TRANSFRONTALIERI 81

3 PROFILI DI ELUSIONE E DI EVASIONE FISCALE 84

3.1 LA VERIFICA FISCALE 86

3.1.1 I POTERI RICONOSCIUTI IN CAPO ALL’AMMINISTRAZIONE

FINANZIARIA 91

3.1.2 PARTECIPAZIONE DEI COMUNI ALL’ATTIVITÀ DI ACCERTAMENTO

TRIBUTARIO 93

3.2 I PROFILI PENALI DELL’ELUSIONE 97

3.3 RISCHI E SANZIONI 101

3.3.1 LE SANZIONI AMMINISTRATIVE 101

3.3.2 LE SANZIONI PENALI 102

3.4.1 IL RICORSO ALLA VOLUNTARY DISCLOSURE DA PARTE

DELL’ORDINAMENTO ITALIANO 113

4 I “PARADISI FISCALI” E GLI STRUMENTI DI CONTRASTO

120

4.1 COSA SONO I “PARADISI FISCALI” 120

4.1.1 L’ATTENZIONE DEGLI ORGANISMI INTERNAZIONALI 124

4.2 GLI STRUMENTI DI CONTRASTO ADOTTATI DALLO STATO

ITALIANO 128

4.2.1 IL MOMENTO IN CUI LA PROVA CONTRARIA DEVE ESSERE

(3)

4.3 L’INVITO A PRODURRE LA PROVA 136

4.4 SENTENZA N.20285 DEL 4 SETTEMBRE 2013 140 4.5 CENNI: LE “BLACK LISTS”, LE “WHITE LISTS” E LE IMPORTANTI MODIFICHE APPORTARE DALLA CIRCOLARE 39/E DEL 2016 142 4.6 BREVI CENNI SUL REGIME FISCALE ANGLOSASSONE “RESIDENT

BUT NOT DOMICILIATED 148

CONSIDERAZIONI FINALI 152 BIBLIOGRAFIA 156 GIURISPRUDENZA 162 LINKOGRAFIA 165 RINGRAZIAMENTI 166                                

(4)

Introduzione

Il presente lavoro si propone di analizzare la tematica della residenza fiscale delle persone fisiche ed il suo trasferimento all’estero.

Si tratta di un argomento di particolare importanza per l’ordinamento tributario e questo, principalmente, è riconducibile a due ordini di ragioni.

In primo luogo, il concetto di “residenza” rappresenta la relazione di collegamento con il territorio dello Stato e costituisce, quindi, uno dei principi per l’applicazione, da parte di quest’ultimo, della potestà impositiva.

Inoltre, allo status di residente sono connessi una serie di obblighi che determinano la soggettività tributaria, specialmente nel campo dell’imposizione sui redditi.

Da quanto premesso, possiamo intuire sin da subito la rilevanza riconosciuta al concetto di residenza e l’impossibilità di

circoscriverlo ad una mera relazione con l’ambito territoriale. Infatti, la nozione di residenza, va intesa con riferimento a diversi criteri di collegamento, i quali determinano l’efficacia della normativa fiscale nei confronti dei soggetti passivi.

In particolare, la residenza nel diritto tributario svolge il

fondamentale compito di determinare se l’obbligo del contribuente debba calcolarsi su base territoriale, ovvero su base mondiale. Non sempre, però, alla residenza fiscale è stato riconosciuta tale importanza.

In passato, infatti, ai fini della determinazione dell’imposizione, rilevava il luogo in cui il reddito veniva prodotto, un criterio, questo, di carattere meramente oggettivo.

Da queste premesse storiche è partita la presente trattazione, inerente la tematica della residenza fiscale, proseguendo poi con l’analisi dei vari interventi normativi, susseguitisi nel corso degli anni, che hanno portato alla costituzione dell’odierno assetto.

(5)

In particolare, all’interno del primo capitolo, si analizzerà la nozione di residenza fiscale, contenuta all’art. 2 del Testo Unico delle

Imposte sui Redditi.

In virtù del succitato articolo, sono considerate residenti le persone che “per la maggior parte del periodo d’imposta, sono iscritte

all’anagrafe della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice Civile”.

Da una prima lettura di evincono i tre criteri in base ai quali si determina la residenza fiscale, ovvero: l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente, il domicilio o la residenza.

Dopo aver analizzato la normativa vigente nel nostro ordinamento tributario, si passerà ad analizzare il concetto di “residenza fiscale” dal punto di vista del diritto convenzionale. Si tratta di un passaggio molto importante in quanto, gli accordi stipulati tra i diversi Stati, sono volti a risolvere uno dei problemi cruciali riconducibili al concetto di residenza, ovvero quello della doppia imposizione. Di seguito, all’interno del secondo capitolo, si tratterà il

trasferimento all’estero della residenza fiscale e, in particolare, l’iter che deve seguire il soggetto intenzionato a spostarsi oltre il confine italiano.

Sono state stabilite, infatti, dal nostro legislatore una serie di regole che devono essere rispettate dal contribuente al fine di non subire contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria mentre, in ordine agli strumenti di prova utilizzabili, non è stato posto alcun tipo di limite.

Nel capitolo successivo, ossia il Terzo, si affronteranno i profili di elusione e di evasione fiscale connessi al trasferimento della residenza fiscale, con le relative sanzioni, amministrative e penali. Nell’analizzare tale argomento, di fondamentale rilevanza sarà il concetto di “centro degli interessi vitali”, cui deve basarsi

(6)

l’Amministrazione Finanziaria nella ricerca dell’effettiva residenza del contribuente sottoposto a controllo.

Si tratta di un argomento di particolare attualità, sempre più persone, infatti, decidono di spostare all’estero la propria residenza fiscale al fine di perseguire un risparmio d’imposta.

È importante precisare, sin da subito, che tale comportamento non è ritenuto di per sé contra legem, se il contribuente sposta

effettivamente “il centro dei propri interessi” oltre il confine italiano. È necessario, cioè, che non vi sia una mera simulazione della perdita della residenza con fittizi trasferimenti, operata al solo fine di

beneficiare del più favorevole trattamento riconosciuto ai soggetti “non residenti”.

All’interno del capitolo, si analizzeranno, poi, i vari poteri

riconosciuti in capo all’Amministrazione Finanziaria, la quale può attuare una serie di strategie ispettive per prevenire ed eventualmente contrastare fenomeni di elusione e di evasione fiscale.

Successivamente, nel quarto ed ultimo capitolo, si accennerà ai cosiddetti “paradisi fiscali”, ovvero dei territori in cui si registra un regime di tassazione molto basso o addirittura nullo.

Ai fini del presente lavoro, tale argomento assume rilevanza soprattutto in collegamento con il comma 2-bis dell’art. 2 T.U.I.R., in base al quale, per i soggetti trasferiti nei suddetti territori opera un importante inversione dell’onere della prova.

Si tratta di uno strumento adottato dal nostro ordinamento al fine di contrastare fenomeni elusivi ed evasivi e, per chiarire meglio il concetto, si analizzerà una Sentenza emanata dalla nostra Cassazione nel 2013.

(7)

1 La nozione di residenza fiscale

1.1 Cenni storici: da un sistema di tassazione reale ad un sistema di tassazione personale

 

Il concetto di residenza ha sempre avuto, ed ha tutt’oggi, un’elevata importanza nell’ordinamento tributario italiano e non solo.

Innanzitutto occorre precisare che “la residenza costituisce uno dei

principi per l’applicazione della potestà impositiva da parte di uno Stato”1; essa costituisce un criterio di collegamento tra il soggetto ed il territorio da cui nasce l’imposizione tributaria.

Prima di entrare nel merito della questione, e analizzare tale nozione nell’ambito del nostro ordinamento, è utile fare un breve cenno storico.

Il sistema di tassazione esistente nel territorio europeo nel XIX secolo era un sistema di tipo reale.

La caratteristica principale dell’imposta reale consiste nell’incidere sulla ricchezza in quanto tale, non tenendo conto delle condizioni personali (familiari, economiche e sociali) del contribuente. In virtù di tale regola, elemento determinante ai fini

dell’imposizione, era rappresentato dal luogo di produzione del reddito mentre, il concetto di residenza, assumeva un ruolo del tutto marginale2.

Un sistema di tassazione reale comportava determinati vantaggi e, contestualmente, svantaggi di non poca rilevanza.

Riguardo ai primi, colpendo la ricchezza in modo oggettivo, le imposte reali risultavano essere più facilmente amministrabili.

                                                                                                               

1 P.Valente, L. Vinciguerra, “Esterovestizione delle persone fisiche, centro degli interessi vitali e nomadismo fiscale”, IPSOA, 2016, p.3.

2 L. Einaudi, “Principi di scienza delle finanze”, Edizioni Scientifiche Einaudi,

1952, p. 134 sostiene che “ciò che si vuole tassare sono i singoli redditi derivanti

dalle cose capaci di produrre reddito, non il reddito netto complessivo totale di una persona”.

(8)

Infatti, non sussisteva la necessità di calcolare le varie imposte sulla base di criteri personali, economici o sociali bensì unicamente in relazione alle ricchezze detenute da parte del soggetto.

Altro vantaggio consisteva nell’impossibilità di creazione di doppie imposizioni3.

In base al criterio di tassazione territoriale erano sottoposti ad imposizione i redditi da chiunque prodotti nel territorio di

riferimento e, dunque, non potevano venire ad esistenza fenomeni di doppie imposizioni.

Ciononostante, gli svantaggi collegati a tale tipo di tassazione non erano affatto trascurabili.

Infatti le stesse, colpendo il fatto indice di capacità contributiva in sé considerato a prescindere dalle caratteristiche soggettive del soggetto passivo d’imposta, potevano essere alquanto inique.

Le imposte reali non risultavano, e non risultano, conciliabili con il principio di progressività4 in quanto, nel calcolo dell’imposta dovuta, non assumono valore le condizioni familiari, sociali ed economiche del titolare dal lato passivo dell’obbligazione tributaria.

L’imposizione sui redditi nel XIX secolo si componeva di quattro imposte, tutte di tipo reale ovvero: la tassazione sui terreni, l’imposta sul registro agrario, l’imposta sui fabbricati e quella sulla ricchezza mobile5.

Data la forte iniquità caratterizzante il sistema di tassazione, tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, iniziò a manifestarsi la necessità di operare una riforma del sistema tributario al fine di attuare una distribuzione del carico tributario.

Il sistema in vigore non riusciva a garantire alcuna proporzionalità, non prendendo in considerazione le diversità personali proprie di ogni individuo singolarmente inteso.

                                                                                                               

3http://www.simone.it/newdiz/?action=view&id=1533&dizionario=6 4  Ex art. 53, comma 2, Cost, in www.senato.it  

5  G. Tinelli, S. Mencarelli, “Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche”, Giappichelli Editore, 2013, pp. 2-4.  

(9)

Il legislatore italiano, nel corso della prima guerra mondiale, introdusse criteri di progressività in aggiunta alle suddette quattro imposte reali esistenti.

Si trattò di un primo timido tentativo verso la realizzazione di un sistema di tipo personale.

Nonostante la nuova introduzione, non si produsse alcun risultato concreto e la situazione rimase la stessa.

La causa principale della non realizzazione di tali criteri era riconducibile primariamente alla situazione di fatto esistente all’epoca.

L’Italia era un Paese appena uscito dalla guerra, non in possesso delle risorse necessarie per sostenere un sistema tributario più complesso che i criteri di progressività avrebbero richiesto. Nel 1947, a seguito della caduta della monarchia, l’Assemblea Costituente approvò la Costituzione della nuova Repubblica e disciplinò l’imposizione fiscale in termini di progressività

disponendo che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche

in ragione della propria capacità contributiva”6.

Nonostante la sua espressa previsione, è necessario attendere il verificarsi di una serie di modifiche normative, volte a snellire l’esistente apparato impositivo, affinché la norma anzidetta risulti pienamente attuata.

Nel 1958 è stato emanato il “Testo unico delle leggi sulle imposte dirette” (di seguito T.U.I.D.) in virtù del quale la nozione di “cittadinanza” assumeva un importanza preminente.

Infatti, la distinzione tra cittadini italiani e stranieri, rappresentava l’elemento scriminante per individuare il domicilio fiscale del contribuente, ai sensi dell’art. 9 T.U.I.D.

                                                                                                               

(10)

All’art. 131, con riferimento all’imposta complementare,

s’individuavano come soggetti d’imposta le persone fisiche, cittadini italiani o stranieri.

Il sistema di tassazione risultava articolato su un insieme di imposte reali basate sul principio di territorialità7 ed il ruolo assegnato

all’imposta complementare, di tipo personale, era quello di assicurare una progressività dell’imposizione.

Questa progressività era fondamentale, dato il riconoscimento e la specifica menzione del principio nella nostra Carta Costituzionale. Relativamente all’imposta complementare acquisiva importanza la nozione di residenza fiscale8, la quale veniva riconosciuta:

• ai soggetti che avessero in Italia la propria dimora da oltre un anno, anche nel caso di mancata iscrizione nei registri

anagrafici

• ai cittadini italiani residenti all’estero per motivi di pubblico servizio.

La distinzione tra soggetti residenti e non residenti assumeva rilevanza ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta complementare.

In particolare, all’art. 133 co. 1 e 2 T.U.I.D. si stabiliva che i

residenti venissero tassati anche sui redditi prodotti all’estero purché “goduti” in Italia, e salvo che non vi fossero norme contrarie

all’interno di convenzioni internazionali.

Per quanto riguarda, invece, i non residenti, in base alla suddetta normativa subivano tassazione soltanto sui redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano.

                                                                                                               

7L’art. 6 T.U.I.D. disponeva che “le imposte sono applicabili se i loro presupposti si verificano nel territorio dello Stato”, in www.altalex.it.

8  Cfr. G. Melis, “La nozione di residenza fiscale delle persone fisiche nell’ordinamento tributario italiano” in Rassegna tributaria, 1995, p. 1037  

(11)

L’assetto normativo, così delineato, subì una serie di variazioni a seguito dell’emanazione di decreti volti ad operare una sostanziale modifica del sistema tributario.

Nei primi anni ’70, infatti, il legislatore intervenne al fine di semplificare l’articolata struttura del sistema tributario ed, inoltre, per dare piena attuazione al principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.

Con la legge delega per la riforma tributaria del 9 Ottobre 1971, n. 8259 all’art. 2 venne introdotta un’imposta sul reddito delle persone fisiche ispirata a principi del “carattere personale e progressivo

dell’imposta”, dell’ “applicazione dell’imposta al reddito

complessivo netto delle persone fisiche comunque conseguito”, “del concorso alla formazione del reddito complessivo di tutti i redditi del soggetto”.10

L’intento della riforma menzionata era quello di snellire l’apparato normativo introducendo, in luogo delle imposte gravanti sui singoli redditi, una sola ed unica imposta progressiva sul reddito

complessivo prodotto dalle persone fisiche.

L’introduzione di una modifica siffatta face sì che il soggetto stesso assumesse importanza primaria, a differenza della situazione precedente in cui non rilevavano le diversità soggettive. La persona fisica, singolarmente considerata, concorreva alla definizione del presupposto ed il concetto di residenza fiscale divenne il volano per l’attuazione dei principi costituzionali ex art. 53 Cost.

Contestualmente, perse valore il requisito della “cittadinanza” che, nella normativa precedente, fungeva da criterio di collegamento tra l’imposizione fiscale e la sua attribuzione al soggetto.

                                                                                                               

9  

http://def.finanze.it/DocTribFrontend/decodeurn?urn=urn:doctrib::L:1971-10-09;825  

(12)

Venne meno la distinzione tra cittadini e stranieri e fu sostituita da quella tra soggetti fiscalmente residenti e non.

Nel D.P.R. n. 597 del 1973 si stabiliva, all’art. 2 comma 2, che “ si

considerano residenti, oltre alle persone iscritte alle anagrafi della popolazione residente, coloro che hanno nel territorio dello Stato la sede principale dei loro affari ed interessi o vi dimorano per più di sei mesi all’anno, nonché i cittadini residenti all’estero per ragioni di servizio nell’interesse dello Stato o di altri enti pubblici”11. Al criterio di residenza venne attribuito un ruolo decisivo, lo stesso rappresentava il presupposto per l’applicazione del principio del

worldwide income taxation, in base al quale i residenti risultavano

soggetti a tassazione per i redditi ovunque prodotti.

I non residenti, invece, subivano la più mite imposizione sui redditi prodotti all’interno del territorio dello Stato12.

Subito dopo la sua emanazione vennero sollevati forti perplessità sul D.P.R. n. 597, in ordine soprattutto a due profili ovvero quello inerente la “dimora abituale” ed il suo coordinamento con la

disciplina civilistica, ed il diverso problema inerente l’assenza della previsione di una tempistica per quanto riguarda l’iscrizione

anagrafica.

Il riferimento alla dimora ultrasemestrale creò perplessità in quanto non veniva fornita alcuna specificazione da parte del legislatore riguardo al suo effettivo significato.

L’unico parametro per un raffronto era costituito dalla nozione di dimora abituale, presente nel nostro ordinamento all’art. 43 c.c. Si trattava, quindi, di capire se il termine menzionato nella normativa potesse essere interpretato ai sensi della disciplina civilistica o, al contrario, dovesse attribuirsi un suo specifico significato diverso.                                                                                                                

11  

http://def.finanze.it/DocTribFrontend/decodeurn?urn=urn:doctrib::DPR:1973;597  

12Il principio della tassazione sui soli redditi conseguiti all’interno del territorio

(13)

Altro profilo dubbio del suddetto articolo era collegato alla non previsione di un termine per l’iscrizione anagrafica.

Il legislatore cercò, dunque, di attenuare i forti dubbi sollevati modificando nuovamente la normativa ed i presupposti necessari per l’individuazione della residenza fiscale con il D.P.R n. 917 del 198613, di seguito T.U.I.R, ancora oggi vigente.

L’ art. 2 comma 2 dispone che “ai fini delle imposte sui redditi si

considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte alle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice Civile”14.

Il successivo comma 2-bis estende l’applicabilità del concetto di residenza ai cittadini italiani cancellati dalle Anagrafi della

popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime a fiscalità privilegiata. Della trattazione di quest’ultimo aspetto ci occuperemo in seguito, è utile adesso esaminare i singoli requisiti richiesti affinché un soggetto possa considerarsi “fiscalmente residente”.

1.2 Il concetto di residenza fiscale nell’ordinamento tributario italiano odierno

Come abbiamo già accennato, nel 1986 è stato approvato il Testo unico delle imposte sui redditi, composto da 136 articoli.

Di seguito, sono state apportate una serie di modifiche15 ed oggi il T.U.I.R. risulta composto da 191 articoli16, divisi in quattro Titoli17.

                                                                                                               

13  Cfr. G. Melis, “Il trasferimento della residenza fiscale nell’imposizione sui redditi”, 2008, p. 40.  

14http://www.altalex.com/

15 Le modifiche sono state introdotte dalla L. 23 dicembre 2014, n. 190, poi nel

2015 dalla L. n. 83 (convertita, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015) e dalla L. 13 luglio 2015, n. 107, in www.altalex.it

16

(14)

Al primo articolo s’individua il presupposto d’imposta sul reddito delle persone fisiche, ovvero “il possesso di redditi in denaro o in

natura rientranti nelle categorie indicate all’art. 6”18.

Di estrema importanza ai fini della nostra analisi è la disposizione che segue, ovvero l’art. 2 del T.U.I.R, che affronta e disciplina il concetto di residenza individuando i requisiti che un soggetto deve rispettare per essere considerato fiscalmente residente nel territorio italiano.

Prima di passare all’analisi dei singoli requisiti richiesti, si osserva che la norma dà una definizione di “soggetto residente” ma non dell’opposta situazione di “non residente”, la quale deve essere desunta a contrariis dalla disposizione stessa.

La distinzione fondamentale, che intercorre tra le due categorie, si evidenzia in relazione ai criteri con cui si determina la tassazione stessa.

Infatti, per i soggetti residenti, l’Irpef si basa sul principio di

tassazione mondiale19 mentre, per i non residenti vige il principio di tassazione su base territoriale.

Al paragrafo precedente abbiamo già accennato riguardo il secondo criterio di tassazione, il quale prevede che l’imposta sul reddito delle persone fisiche trovi applicazione solo sui redditi prodotti all’interno del territorio dello Stato.

In questo caso, oggetto di tassazione per il soggetto non residente sono solo alcune tipologie di redditi realizzate sul territorio

                                                                                                                                                                                                                                                                17 I quattro titoli sono: imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta sul

reddito delle società, disposizioni comuni, disposizioni varie transitorie e finali.

18 L’ art. 6 dispone che “i singoli redditi sono classificati nelle seguenti categorie:

redditi fondiari; redditi di capitale;

redditi di lavoro dipendente;

redditi di lavoro autonomo; redditi di impresa;

redditi diversi.”

(15)

nazionale20, ovvero quelli in stretto collegamento con il territorio stesso tanto da poter ritenere integrati i presupposti per applicare l’imposta. Si tratta ad esempio del possesso di un bene immobile situato nel territorio dello Stato italiano21.

Alla luce di quanto detto possiamo sostenere che il criterio in esame si fonda sul principio dell’assoggettamento a tassazione in base alla localizzazione dei redditi nel territorio dello Stato.

Al contrario, invece, l’art. 3 del T.U.I.R al primo comma prevede che l’Irpef debba essere calcolata sul reddito complessivo, il quale è formato da tutti i redditi posseduti ed ovunque prodotti dal soggetto residente nello Stato italiano.

Dunque, sebbene siano stati prodotti all’estero, i redditi saranno attratti nella sfera impositiva dell’ordinamento italiano in virtù del rapporto di collegamento intercorrente tra il soggetto residente e lo Stato.

Questa scelta normativa, operata da parte del legislatore, ha l’obiettivo di assoggettare alla disciplina in vigore nel Paese di residenza i redditi ovunque prodotti da parte del soggetto italiano22. Ovunque essi siano stati conseguiti, tali redditi, sono manifestazioni di ricchezza e, pertanto, dovranno essere soggetti a tassazione nel nostro Paese.

Così delineati i due principi, si percepisce l’importanza che assume la classificazione di un soggetto come residente o meno e,

conseguentemente, il grande rilievo attribuito al concetto stesso di residenza.

                                                                                                               

20 Si tratta, in particolare, di redditi fondiari, di lavoro dipendente ed assimilati, di

lavoro autonomo, d’impresa e redditi diversi come nel caso di attività svolte nel territorio dello Stato o dei beni che si trovano sul territorio stesso.

21 F. Trevisano, “La residenza fiscale delle persone fisiche ai fini delle imposte sul reddito”, in “Il Fisco”, n. 43, 2012, pp. 1-5.

(16)

Infatti, l’applicazione del principio di tassazione su utile mondiale o, al contrario, di quello su base territoriale, varia a seconda che il soggetto in questione abbia o meno la residenza in Italia.

Per rendere il più chiara possibile la situazione ed evitare dubbi, il legislatore ha disciplinato in modo preciso le condizioni in presenza delle quali possiamo ritenere sussistente la residenza nel nostro Paese all’art. 2 del T.U.I.R.

Come abbiamo anticipato, la disposizione prevede che: “soggetti

passivi dell'imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato.

Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale.”23

Analizzando il soprariportato articolo, si evince sin da subito che i requisiti previsti per la qualificazione di un soggetto come residente sono tre.

Questi tre criteri sono tra loro alternativi e non concorrenti24. Dunque, affinché un soggetto possa essere considerato fiscalmente residente, è sufficiente che egli integri anche una soltanto delle condizioni richieste.

In particolare i requisiti sono:

                                                                                                               

23

http://www.altalex.com/documents/leggi/2014/12/10/tuir-titolo-i-capo-i-imposta-reddito-persone-fisiche-disposizioni-generali#61820

24 Cfr. Circolare n. 304/E di dicembre 1997, in Il Fisco, 1997, pp. 13664 e ss; G.

Melis, “La nozione di residenza fiscale delle persone fisiche nell’ordinamento

(17)

a) l’iscrizione del soggetto presso le Anagrafi della Popolazione Residente25 (di seguito A.N.P.R.);

b) che il soggetto abbia, nel territorio dello Stato, il domicilio ai sensi dell’art. 43, 1 comma, del Codice Civile;

c) che il soggetto abbia, nel territorio dello Stato, la residenza ai sensi dell’art. 43, 2 comma, del Codice Civile.

La norma si avvale di un elemento formale, di natura obiettiva, ovvero l’iscrizione anagrafica mentre, per quanto riguarda gli altri due requisiti, rinvia alle nozioni civilistiche di domicilio e residenza. Essendo i predetti requisiti alternativi tra loro, risulterà soggetto all’Irpef il soggetto che abbia nel territorio dello Stato la sola

residenza o il solo domicilio ovvero risulti iscritto presso le A.N.P.R. Alla sussistenza di anche uno solo dei tre requisiti deve

accompagnarsi un ulteriore presupposto “di tipo temporale”.

L’Amministrazione finanziaria, infatti, tramite l’esercizio dei propri poteri, deve accertare il presupposto di un’obbligazione “di

periodo”26.

I predetti requisiti, cioè, devono sussistere per la maggior parte del

periodo di imposta, ovvero per almeno 183 giorni nell’anno solare,

come specificato dallo stesso comma 2 dell’art. 2 T.U.I.R. Il presupposto temporale è definito all’art. 7 T.U.I.R. da cui si deduce che il periodo d’imposta per le persone fisiche coincide con                                                                                                                

25 L’ordinamento delle Anagrafi della popolazione residente è regolato dalla L. 24

dicembre 1954, n. 1228 e dal D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223 che all’art. 1 prevede: “In ogni Comune deve essere tenuta l'anagrafe della popolazione residente.

Nell'anagrafe della popolazione residente sono registrate le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze, che hanno fissato nel Comune la residenza nonché le posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel Comune il proprio domicilio, in conformità del regolamento per l'esecuzione della presente legge. Gli atti anagrafici sono atti pubblici”. Di seguito

sono state apportate varie modifiche, da ultimo il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” che, al fine di accelerare il processo di automazione amministrativa rendendo più efficiente la gestione dei dati anagrafi della popolazione e riducendone i costi ha disposto l'unificazione del sistema anagrafico nazionale, già strutturato in quattro partizioni, in un’unica anagrafe l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), istituita presso il Ministero dell'interno. http://leg16.camera.it/561?appro=923

(18)

ciascun anno solare, ovvero con il periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre, e dal punto di vista pratico consiste in almeno 183 giorni (184 nel caso di anni bisestili).

Sebbene un soggetto abbia fissato la dimora abituale, il domicilio o la residenza anagrafica in Italia per oltre dodici mesi nell’arco di due anni solari, potrebbe non essere considerato fiscalmente residente nel nostro Stato.

È necessario, infatti, che il soggetto maturi il requisito temporale del “maggior periodo d’imposta” in ciascuno dei due anni singolarmente considerati.

Saranno residenti nel territorio dello Stato coloro nei cui confronti, la ricorrenza di uno dei tre requisiti di cui all’art. 2 comma 2, perduri per almeno 183 giorni in un anno27.

La Circolare n. 207/200028 ha successivamente chiarito che, ai fini del computo dei 183 giorni per quanto riguarda i redditi da lavoro dipendente prestato all’estero, vengono conteggiati in ogni caso, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi, le ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi. È opportuno fare alcune precisazioni in merito al criterio di prevalenza temporale.

A tal proposito occorre fare riferimento alla Circolare n. 304/199729, di cui ci occuperemo specificamente in seguito in quanto è stata adottata al fine di rafforzare il contrasto al trasferimento fittizio della

                                                                                                               

27 Non necessariamente, però, i 183 giorni devono essere continuativi.

28 La Circolare n. 207/2000 ha apportato modifiche rilevanti riguardo i redditi da

lavoro dipendente prestati all’estero. Con la stessa è stato precisato che la tassazione in base a reddito convenzionale "non si applica ai dipendenti in

trasferta, in quanto manca il requisito della continuità ed esclusività dell'attività lavorativa all'estero, derivante da un contratto

specifico". http://www.finanzaefisco.it/cir207-00.html,

29 Circolare del 2 dicembre 1997 n. 304 avente ad oggetto: “Attività di controllo nei confronti di cittadini italiani fittiziamente emigrati all'estero - Accertamento dei requisiti per la qualificazione di soggetto "fiscalmente residente" in Italia”, in

http://smd.src.cnr.it/DSTSVII/051002Naxos/Normativa/circolare%20ministero%2 0finanze%20304-1997.pdf

(19)

residenza all’estero, argomento trattato all’interno del secondo capitolo.

La Circolare in esame aveva ad oggetto l’accertamento dei requisiti per la qualificazione di soggetto “fiscalmente residente” in Italia e le attività di controllo nei confronti di cittadini italiani fittiziamente trasferiti all’estero.

In questa circostanza, l’Amministrazione finanziaria ha ribadito la necessità di valutare l’eventuale mantenimento in Italia della dimora abituale e del “centro degli affari e degli interessi”30, da parte del soggetto interessato.

È necessaria “la sussistenza di un legame effettivo e non provvisorio

del soggetto con il territorio dello Stato tale da legittimare il concorso alle spese pubbliche in ottemperanza ai doveri di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione”31.

Il criterio di prevalenza temporale, come anticipatamente detto, deve essere verificato in relazione a ciascun periodo d’imposta.

1.2.1 L’iscrizione presso le Anagrafi della popolazione residente

 

Il primo requisito richiesto affinché un soggetto possa essere

considerato fiscalmente residente in Italia ai sensi dell’art. 2 T.U.I.R, consiste nell’iscrizione presso le Anagrafi della popolazione

residente. Tramite l’iscrizione anagrafica è possibile una rapida identificazione del soggetto passivo residente32, gli altri due requisiti menzionati dalla disposizione, invece, rinviano ad istituti del Codice Civile.

                                                                                                               

30 Quando si parla di “centro di affari e di interessi” occorre avere riguardo sia agli

elementi patrimoniali che ai legami affettivi.

31 Circolare 8 giugno 2004 n. 22; M.Piazza, “Guida alla fiscalità internazionale”,

Il Sole 24 Ore, 2004, p. 87.

32 Cfr. G. Carnevale Miino, “La soggettività passiva delle persone fisiche residenti e non residenti, in Corriere tributario, 1985, p. 410.

(20)

L’anagrafe è il registro in cui sono annotate le generalità delle persone che, in un determinato momento, risiedono in un Comune italiano33.

Tale registro ha primariamente finalità statistiche34 e di pubblicità35 ma risulta rilevante anche in materia politica-economica36.

L’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente appare porre,

prima facie, una presunzione legale di residenza fiscale.

In altri termini, l’essere iscritto all’anagrafe sarebbe condizione sufficiente per qualificare la residenza fiscale di un determinato contribuente, non essendo necessari per l’Amministrazione finanziaria ulteriori elementi probanti.

Si deve segnalare una posizione tendenzialmente concorde sulla natura di presunzione assoluta37, iuris et de iure, della sopracitata disposizione da parte della giurisprudenza38.

Pertanto, un soggetto che concretamente trasferisca all’estero la propria residenza ma mantenga la propria iscrizione presso le A.N.P.R. risulta essere fiscalmente residente e, di conseguenza, sarà soggetto a tassazione per i redditi ovunque prodotti.

In ambito tributario dunque, in questo caso, la forma prevale sulla sostanza.

Da questo punto di vista la normativa differisce fortemente rispetto a quella civilistica in cui, al contrario, le risultanze anagrafiche danno luogo a presunzioni relative39.

                                                                                                               

33 Cfr. L. Giampaolino, “Anagrafe della popolazione”, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988.

34 Al fine di rilevare e conteggiare la popolazione residente nel territorio di un

determinato Comune.

35 G. Melis, “La nozione di residenza fiscale delle persone fisiche

nell’ordinamento tributario italiano”, in Rassegna tributaria, 1995, p. 1041. 36 Al fine di consentire cioè la quantificazione del fabbisogno finanziario dell’ente

locale.

37 La presunzione assoluta, contrariamente a quella relativa, non ammette prova

contraria.

38 Cfr. Corte di Cassazione n. 14434/2010 e n. 677/ 2015 in www.altalex.com 39

Le presunzioni relative sono superabili con prova contraria, art. 31 delle disposizioni per l’attuazione del c.c. e transitorie dispone “il trasferimento della

(21)

La validità dell’iscrizione anagrafica come presunzione assoluta è stata più volte ribadita da parte della Corte di Cassazione40 . In tal senso, ai fini del presente lavoro, appare utile citare una sentenza del 2006, in cui la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare come, ai fini tributari, l’iscrizione presso l’anagrafe della popolazione residente sia una circostanza preclusiva “di ogni

ulteriore accertamento ai fini della individuazione del soggetto passivo d’imposta, diversamente da quanto avviene ai fini civilistici ove le risultanze anagrafiche sono invece concordemente

considerate idonee unicamente a dar luogo a presunzioni relative, superabili, come tali, dalla prova contraria”. Per la Suprema Corte “in materia fiscale, a differenza di quanto avviene ai fini civilistici, la forma è destinata a prevalere sulla sostanza nell’ipotesi in cui la residenza venga collegata al presupposto anagrafico” 41.

Questa considerazione è stata ritenuta condivisibile e nella pratica risulta più facilmente attuabile. Infatti, non sembra possibile

incaricare l’Amministrazione finanziaria del “compito di verificare,

per ogni periodo d’imposta e per milioni di contribuenti, se essi abbiano o meno effettivamente fissato il loro domicilio o la loro residenza nel territorio dello Stato”42.

Appare utile evidenziare che non è attribuito lo stesso valore probatorio all’ipotesi di cancellazione dalle medesime liste con contestuale iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente all’estero.

                                                                                                                                                                                                                                                                residenza si prova con la doppia dichiarazione fatta al Comune che si abbandona e a quello dove s’intende fissare la dimora abituale”.

40 Cfr, Cassazione, Sezione I, 18 settembre 1997- 6 febbraio 1998, n. 1215 in GT- Rivista giuridica tributaria 1998, pp. 631 e ss. Più di recente, Cassazione15

gennaio 2015, n. 677, in GT- Rivista giuridica tributaria, 2015, pp. 288 e ss.  

41 Cfr. Corte di Cassazione n. 9319/2006 in P. Valente, L. Vinciguerra,

“Esterovestizione delle persone fisiche, centro degli interessi vitali e nomadismo

fiscale”, IPSOA, 2016, p.14.

42 G. Melis, “La nozione di residenza fiscale delle persone fisiche nell’ordinamento tributario italiano” in Rassegna tributaria, 1995, p. 1046.

(22)

Dunque, mentre la semplice iscrizione presso le anagrafi della popolazione residente fa scattare automaticamente il requisito della residenza fiscale43, con le relative conseguenze in materia di

tassazione dei redditi ovunque prodotti, la cancellazione dalle stesse non produce i medesimi effetti.

In questo caso, infatti, risulta comunque necessario un accertamento di tipo sostanziale in quanto il soggetto interessato potrebbe

mantenere il domicilio e/o la residenza in Italia, sebbene abbia compiuto la cancellazione presso l’anagrafe.

Nonostante la cancellazione dalle liste, la condizione di soggetto residente ai fini fiscali potrebbe permanere.

Infatti, il domicilio e la residenza possono “essere desunti con ogni

mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici”44.

Più di recente la Corte di Cassazione ha ribadito questo

orientamento45, sottolineando la non esaustività della cancellazione dall’A.N.P.R. e iscrizione all’A.I.R.E. ai fini della determinazione del domicilio fiscale del contribuente.

Per accertare l’effettiva residenza, è necessario che

l’Amministrazione stessa compia una serie d’investigazioni per rilevare sia la volontà di trasferire all’estero il centro dei propri interessi in capo al soggetto (elemento soggettivo), sia la presenza fisica dello stesso nel territorio straniero per la maggior parte del periodo d’imposta (elemento oggettivo).

Con riferimento all’Anagrafe della popolazione residente è utile fare qualche precisazione.

                                                                                                               

43 Ai sensi dell’art. 2, comma 2 del T.U.I.R. in www.altalex.it   44 Cfr. R.M. 10 febbraio 1999, n. 17/E, in Banca Dati, BIG, IPSOA.

45 Cfr. Cassazione, 13 maggio 2015, n. 9723, in Corriere tributario, 2015, pp. 2424

(23)

Fino al 2014 la normativa era costituita, come abbiamo anticipato, dalla L. 24 dicembre 1954, n. 122846 e dal relativo regolamento di attuazione approvato con D.P.R 30 maggio 198947.

Ai sensi di tale disciplina, per l’iscrizione presso l’A.N.P.R. era necessario avere, presso il Comune interessato, la propria dimora abituale48.

Non cessavano di appartenere alla popolazione residente i soggetti che dimoravano temporaneamente in altri Comuni o all’estero per occupazioni stagionali o per altre ragioni di durata limitata. Nel 2014 è intervenuta una nuova normativa49, introdotta dal Presidente del Consiglio dei Ministri, volta a modificare l’assetto. Con questa, è stato attuato il funzionamento dell’anagrafe nazionale della popolazione residente50 ed il suo graduale subentro alle

anagrafi della popolazione residente precedentemente esistenti. Con l’introduzione della nuova A.N.P.R. si realizza un’unica banca dati contenente le informazioni anagrafiche della popolazione residente.

Ad essa fanno riferimento non solo i Comuni, ma l’intera Pubblica Amministrazione e tutti coloro che sono interessati ai dati anagrafici, in particolare i gestori dei pubblici servizi.

                                                                                                                46 In www.senato.it  

47 In http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/08/14/15G00140/sg%20 48 Con riferimento, invece, alle persone senza fissa dimora era necessario che

stabilissero nel Comune il proprio domicilio.

49 D.P.C.M. 10 novembre 2014, n. 194.

http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/01/08/15G00002/sg

50 Che era stata istituita con il D. Lgs. N. 82/2005, art. 62. Ex art. 1 è stato previsto

che “L’A.N.P.R. subentra gradualmente alle anagrafi tenute dal Comuni secondo

il piano di subentro e le modalità, idonee a garantire l’integrità, l’univocità e la sicurezza dei dati, descritti nell’Allegato A, che costituisce parte integrante del presente regolamento”.

(24)

1.2.2 Il domicilio ai sensi dell’articolo 43, comma 1 del Codice Civile

Il secondo requisito contenuto all’art. 2 del T.U.I.R consiste nel possesso del domicilio ai sensi della normativa del Codice Civile. L’art. 43 c.c. dispone che “il domicilio di una persona è il luogo in

cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”.

Se la definizione del concetto di domicilio a livello normativo sembra piuttosto semplice, l’individuazione in termini pratici della “sede principale” risulta in realtà essere piuttosto problematica. È necessaria, infatti, una valutazione di prevalenza dei vari interessi, economici e non, in maniera tale da poterne indirettamente derivare il luogo nel quale il domicilio risulta effettivamente ubicato.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità51 ha più volte

evidenziato che il domicilio si sostanzia in un rapporto giuridico con il centro dei propri affari e prescinde dalla presenza effettiva in un luogo.

Il domicilio, dunque, consiste in una res juris, ed è caratterizzato dall’elemento soggettivo52.

Più di recente è stata messa in discussione la natura meramente volontaria del domicilio.

Secondo la dottrina precedente, infatti, il domicilio consisteva in un rapporto giuridico caratterizzato dall’elemento soggettivo e, dunque, dalla volontà del soggetto di stabilirsi in un determinato luogo. Da questo punto di vista, il concetto è mutato.

Si ritiene, infatti, che debba sussistere anche un elemento oggettivo, consistente nell’effettiva presenza dell’interessato in un luogo degli affari e degli interessi53.

                                                                                                               

51 Cfr. Cassazione 12 febbraio 1973, n. 435 in http://formazione.ipsoa.it/ 52  E cioè dalla volontà di mantenere in quel luogo la sede principale dei propri

affari ed interessi. Cassazione 21 marzo 1968, n. 884 in www.fiscoggi.it  

53  Cfr. P. Valente, L. Vinciguerra, “Esterovestizione delle persone fisiche, centro degli interessi vitali e nomadismo fiscale”, IPSOA, 2016, p. 20.  

(25)

La giurisprudenza di legittimità54 e parte della dottrina55 hanno da tempo ritenuto che la locuzione “affari ed interessi” debba intendersi in senso ampio.

Quest’ultima comprende non solo i rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche, e soprattutto, quelli sociali e familiari.

Si ritiene che, affinché possa considerarsi sussistente il domicilio in un dato luogo, debba esserci un certo grado di stabilità.

Gli affari e gli interessi, cioè, non devono essere meramente occasionali bensì durevoli56.

Per la determinazione del domicilio fiscale, in Italia, viene attribuita maggiore rilevanza agli elementi di natura non patrimoniale57. Il luogo di produzione del reddito, che può collocarsi

prevalentemente al di fuori dello Stato, passa così in secondo piano. Può accadere che una persona abbia una residenza stabile all’estero dove vive per l’intero periodo d’imposta ma, ciononostante,

mantenga in Italia il proprio domicilio e dunque, ai sensi dell’art. 2 T.U.I.R. risulti fiscalmente residente nel nostro territorio58.

In quest’ottica, la determinazione del domicilio deve essere sempre desunta dando rilievo a “tutti gli elementi di fatto che, direttamente o

indirettamente, denunciano la presenza in un centro luogo di tale complesso di rapporti e il carattere principale che esso ha nella vita della persona”59.

Sebbene paia una questione meramente teorica, in realtà, l’estensione dell’ambito di efficacia della norma fiscale sino a ricomprendere i rapporti familiari, comporta un rilevante ampliamento della sfera di efficacia della norma tributaria.

                                                                                                               

54 Cfr. Corte di Cassazione 9 maggio 1956, n. 1530 in https://www.jstor.org/ 55 V. Tedeschi, “Domicilio, residenza, dimora”, in Novissimo dig.it, 1982, p. 168. 56 Cfr. M. Piazza, “Guida alla fiscalità internazionale”, Il Sole 24 Ore, 2004, p.

90.

57 Si tratta di elementi che attengono alla vita coniugale, in cui vivono i figli. 58 Cfr. M. Piazza, “Guida alla fiscalità internazionale”, Il Sole 24 Ore, 2004, p.

91.

(26)

I giudici tributari hanno confermato e valorizzato l’interpretazione in senso ampio del domicilio fiscale.

La stessa Cassazione ha privilegiato l’aspetto personalistico rispetto a quello patrimoniale60, tra le diverse sentenze si segnala in modo particolare la n. 13803 del 200161 in cui i giudici, nel rigettare il ricorso del contribuente, hanno evidenziato il rilievo preponderante da assegnarsi alle vicende personali.

Nel dettaglio, il collegio giudicante ha richiamato la sentenza del 12 luglio 200162 della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ove si evince il principio secondo cui “…nel caso in cui una persona abbia

legami sia personali sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua ‘normale residenza’, stabilito nell’ambito di una

valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi di tale persona e che, nell’ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta valutazione, occorre dichiarare la preminenza dei legami personali”.

Da ciò si desume che, anche a livello comunitario ed internazionale, si registra una situazione analoga a quella del nostro Paese.

Nel sottolineare che il giudice nazionale deve sempre compiere una valutazione globale di tutti gli elementi, la Corte di Cassazione ha elencato alcuni degli elementi rilevanti al fine di appurare l’esistenza di legami personali. Tali elementi sono: la presenza fisica della persona e dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo in cui i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo

                                                                                                               

60 Più di recente in questo senso si è espressa la Cassazione, 31 marzo 2015 n.

6501, in Corriere Tributario, 2015, p. 1497

61 Cassazione 13 luglio- 7 novembre 2001, n. 13803, in Bollettino tributario, 2002,

1738.  

62  In causa C- 262/99, L. c. Stato Ellenico.

http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30d5dbcb87c4138945 e886afc4825ba6c84f.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxuNbNz0?text=&docid=46531&p ageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=11225  

(27)

dell’esercizio delle attività professionali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali. Si tratta di elementi di carattere quantitativo tramite cui si compie un accertamento di tipo sostanziale. Si svolge una sorta di analisi

comparativa tra i diversi luoghi al fine di individuare il vero territorio in cui sono riconducibili gli “affari ed interessi” del soggetto in questione.

Secondo alcuni una soluzione potrebbe ricercarsi nella “principalità” dal punto di vista dei terzi che entrano in contato con il

contribuente63.

Sulla qualificazione della nozione “affari ed interessi” continuano ad esserci forti dubbi applicativi, nonostante le varie pronunce, anche a livello comunitario, prediligano la sua lettura in senso ampio.

1.2.3 La residenza ai sensi dell’articolo 43, comma 2, del Codice Civile

Secondo quanto disposto dal Codice Civile “la residenza è nel luogo

in cui la persona ha la dimora abituale”.

Innanzitutto è possibile discernere dal concetto di residenza due diversi elementi, ovvero uno oggettivo ed uno soggettivo, in base ai quali è stato esaminato il requisito stesso da parte della

giurisprudenza civile64.

Il primo è rappresentato da una relazione significativa tra il soggetto ed un determinato luogo, mentre il secondo si sostanzia nella volontà di fare di quel luogo la propria stabile dimora.

Quest’ultimo si ritiene generalmente ricompreso nel primo. L’elemento oggettivo, infatti, è agevolmente dimostrabile a differenza di quello soggettivo che risulta essere, invece, assai più sfuggente.

                                                                                                               

63  Cfr. A. Bonafè e P. Franzoni, “La nozione di residenza delle persone fisiche ai fini delle imposte sui redditi”, in Bollettino tributario, 2006, p. 1596.

(28)

A tal proposito, la giurisprudenza prevalente ritiene quest’ultimo dimostrato qualora si estrinsechi in fatti univoci che evidenziano l’intenzione del soggetto65.

La residenza di una persona si determina in relazione alla sua abituale dimora, la quale si rileva dalla condizioni di vita dell’interessato.

Una volta che è stata accertata la sussistenza dei requisiti e degli estremi richiesti ai fini della determinazione della residenza, non rileva la mera volontà del soggetto66.

Si afferma spesso che la volontà si presume fino a prova contraria e, in sede probatoria, può essere dimostrata mediante elementi

estrinseci rappresentati dal comportamento adottato dall’interessato, dalla cerchia delle sue relazioni sociali, dalle sue abitudini di vita etc. Se l’elemento soggettivo viene ritenuto implicito nel comportamento esteriore, di fatto si alleggerisce notevolmente l’onere probatorio di controparti quali l’Amministrazione finanziaria. È anche vero, però, che non sempre risulta agevole dimostrare gli elementi fattuali a base della residenza di un soggetto67.

Da ultimo, occorre fare un cenno al profilo dell’abitualità. A tal riguardo, parte della dottrina sostiene che sia assimilabile al concetto di stabilità68, intesa come intenzionale non provvisorietà.

Secondo quanto detto sarebbe ammessa, quindi, la possibilità di detenzione di una pluralità di residenze.

                                                                                                               

65 Cassazione 5 febbraio 1985, n. 791 in http://formazione.ipsoa.it/.

66 In tal senso, quindi, “la dichiarazione di voler fissare ivi la semplice dimora- soggiorno, e non la residenza sarebbe del tutto irrilevante”, P. Valente, L.

Vinciguerra,“Esterovestizione delle persone fisiche, centro degli interessi vitali e

nomadismo fiscale”, IPSOA, 2016, p.16.

67 P. Valente, “Il ‘centro dell’interesse prevalente’ come criterio di determinazione ‘privilegiato’ della residenza fiscale”, in Il Fisco, n. 4 del 2013, pp. 1-20.

68  V. Tedeschi, “Domicilio, residenza, dimora” in Novissimo dig.it, Torino, 1982,

(29)

Diversamente, altra parte della dottrina69 sostiene una visione di natura quantitativa. Secondo alcuni l’abitualità è riconducibile alla maggior durata della permanenza da parte del soggetto, alla maggior frequenza.

La nostra Cassazione ha privilegiato l’aspetto dell’abitudine ed ha conferito maggiore importanza alla durata della dimora70.

L’abitualità della dimora permane nel caso in cui il soggetto lavori oppure svolga determinate attività fuori dall’Italia purché lo stesso conservi in esso l’abitazione, vi faccia ritorno quando possibile e mostri la volontà di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali71.

Il requisito della residenza è, però, scarsamente identificativo e poco idoneo a rappresentare il legame tra il contribuente interessato e il territorio dello Stato.

Questo difetto è causato in primo luogo dalla globalizzazione che caratterizza il nostro mondo. Il profilo critico è più facilmente

ravvisabile in relazione a quelle persone fisiche che svolgono attività ad “elevato valore aggiunto” come ad esempio sportivi od attori. Quest’ultimi, infatti, mantengono collegamenti con diversi Stati ed hanno uno stile di vita caratterizzato da una forte mobilità.

Spesse volte le contestazioni dell’Amministrazione Finanziaria, in ordine alla residenza fiscale, si rivolgono proprio nei riguardi di questi soggetti, per i quali ha poco significato parlare di “luogo di dimora prevalente”.

                                                                                                               

69 P. Forchielli, “Domicilio, residenza e dimora”, in Enciclopedia di diritto, 1964,

p. 843.

70 Cassazione SS.UU., 28 ottobre 1985 n. 5292 in Giustizia civile, 1986, I, pp. 791

e ss.

71  Cassazione, 29 aprile 1975, n. 256; Cassazione SS.UU., 28 ottobre 1985 n. 5292

(30)

1.2.4 Il requisito temporale

Ai fini dell’attribuzione dello status di residente, l’art. 2 del T.U.I.R richiede che i requisiti sostanziali finora esaminati si verifichino “per

la maggior parte del periodo di imposta”, ovvero per almeno 183

giorni nell’arco di un anno solare.

Nella disposizione viene utilizzato un termine generico, volto alla garanzia di una maggiore astrattezza.

Si ricomprende, infatti, nella dizione “per la maggior parte del

periodo di imposta” anche il caso dell’anno bisestile composto da

184 giorni72.

Il requisito temporale presuppone che siano verificate e sussistenti le fattispecie di natura civilistica previamente analizzate73.

E’ necessario, in primis, che il soggetto sia in possesso di redditi in denaro o in natura.

Il requisito temporale comporta l’insorgere di due tipi di problemi applicativi, il primo dei quali concerne l’individuazione in concreto della “maggior parte del periodo d’imposta”.

Tale problema è stato risolto affermando che il limite di 183 giorni si possa integrare in maniera continua ovvero in modo discontinuo, a seconda del criterio di collegamento adottato.

In particolare, se si considera l’iscrizione anagrafica, il periodo può anche essere discontinuo, essendo quello un presupposto meramente formale.

Al contrario, se si guarda al domicilio, i 183 giorni devono risultare continui.

                                                                                                               

72 P. Valente, L. Vinciguerra, “Esterovestizione delle persone fisiche, centro degli interessi vitali e nomadismo fiscale”, IPSOA, 2016, p. 27.

73 Essendo i requisiti alternativi tra loro, è sufficiente la sussistenza di uno solo dei

tre. Nel caso, ad esempio, sussista la dimora in un determinato territorio, essa dovrà integrare il requisito della residenza ex art. 43 c.c. Cfr. G. Melis, “La

nozione di residenza fiscale delle persone fisiche nell’ordinamento tributario italiano” in Rassegna tributaria, 1995, p. 1062.  

(31)

Il secondo problema riguarda, invece, l’ipotesi di un soggetto che, dopo aver maturato i requisiti per poter essere considerato

fiscalmente residente in Italia, si trasferisca all’estero. In questo caso, il soggetto interessato continuerà ad essere

considerato fiscalmente residente per l’intero periodo d’imposta di riferimento, e sarà tassato anche per i redditi eventualmente prodotti all’estero dopo il trasferimento.

Tuttavia, qualora il Paese estero possieda una normativa tributaria che considera il contribuente come ivi residente per il medesimo periodo d’imposta, verrebbe a configurarsi un’ipotesi di “doppia residenza”. Questa situazione potrà essere risolta dai due Stati in

primis ricorrendo ad una procedura amichevole, in accordo con i

principi contenuti nella Convenzione contro le doppie imposizioni. Questo argomento verrà analizzato in seguito.

1.3 Principi costituzionali e criteri di collegamento

Il dovere di contribuire alla spesa pubblica è riconosciuto e disciplinato dalla nostra Carta Costituzionale, precisamente agli articoli 2 e 53.

Il primo prevede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale mentre, l’art. 53, come già anticipato, stabilisce il dovere da parte di tutti74 di concorrere alle spese pubbliche. Sulla base di questi importanti principi, lo Stato italiano può esercitare la propria potestà impositiva al fine di coprire i costi derivanti dalle prestazioni dei servizi pubblici.

                                                                                                               

74 Il significato del pronome “tutti” deve essere letto nella sua accezione più ampia.

Non si tratta di residenti né di cittadini. Il termine è volutamente generico al fine di considerare un contesto più ampio rappresentato dal dovere di concorrere alle spese pubbliche e dal dovere di responsabilità di cui all’art. 2. I soggetti obbligati, ai sensi dei due articoli in analisi, devono pur sempre essere collegati al territorio in cui vige l’imposizione, in accordo con il generale dovere di responsabilità.

(32)

Questo tipo di attività da parte dello Stato deve essere esercitata nel modo ritenuto più conforme al principio di equità distributiva dell’onere fiscale, di cui all’art. 53 Cost.

Il legislatore ha limitato il prelievo a fattispecie che possono

manifestare un effettivo collegamento tra corresponsione del tributo e servizio pubblico prestato75.

A tal proposito, l’art. 3 T.U.I.R. dispone l’obbligo di partecipazione alle spese pubbliche da parte delle persone fisiche fiscalmente residenti nel territorio italiano mediante assoggettamento ad imposizione dei redditi ovunque prodotti76.

Per i non residenti, al contrario, l’imposizione riguarda solo i redditi prodotti sul territorio dello Stato.

Nell’ipotesi di persona fisica fiscalmente residente il carico tributario, in ragione del principio vigente, risulterà ovviamente maggiore rispetto a quello cui è sottoposto il non residente.

Questo si spiega in ragione del fatto che l’utilizzo dei servizi, prestati da parte dello Stato italiano nel suo territorio, nel caso del residente è preminente rispetto al non residente, avendo nel luogo la persona fisica la sede principale dei suoi affari e dei suoi interessi o la dimora abituale.

1.4 La residenza fiscale nel diritto convenzionale internazionale

Quando si parla di diritto convenzionale, s’intendono gli accordi stipulati da parte di diversi Stati al fine di convenire ad una disciplina comune riguardo una o più questioni.

Nel caso della residenza fiscale, le Convenzioni sono volte ad evitare i fenomeni della cosiddetta “doppia imposizione”.

                                                                                                               

75 C. Sacchetto, “Territorialità nel diritto tributario”, in Enciclopedia giuridica,

Vol. XLIV, Milano, 1992, pp. 303 e ss.

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