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La valutazione del Capitale Intellettuale: la componente Relazionale

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione(pag. 5)

CAPITOLO 1

1.1. La riscossa delle risorse immateriali

1.2. Le risorse immateriali nel bilancio d'esercizio

1.3. Le risorse immateriali: un asset in continua evoluzione

1.4. L'evoluzione del controllo di gestione e del sistema di misurazione delle

performance

CAPITOLO 2

2.1. Il Capitale Intellettuale

2.2. I modelli pioneristici per la misurazione del Capitatale Intellettuale

2.2.1. Lo Skandia Navigator 2.2.2. Il modello di Sveiby

2.2.3. Intellectual Capital Process Model

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CAPITOLO 3

3.1. I sistemi evoluti per la misurazione e il reporting del Capitale Intellettuale: focus

sulla gestione.

3.1.1. Gli Intellectual Capital Statements proposti dal governo danese 3.1.2. Ic Rating

3.1.3. Thecnology broker

3.1.4. L'Intellectual Capital Accounting System

3.1.5. Il modello di gestione e reporting proposto dall'OECD: il MERITUM PROJECT

CAPITOLO 4

4.1

La misurazione del Capitale Intellettuale nelle università

4.1.1 Osservatorio delle Università Europee: il progetto "PRIME"

4.1.2 WISSENBILANZ: Intellectual Capital Report nelle Università Austriache 4.1.3 PCI Program: Madrid

4.1.4 The Poznan University of Intellectual Capital Report (Polonia)

4.2 La posizione degli atenei italiani

4.2.1 Il modello dell'Università di Trieste 4.2.2 Il modello dell'Università di Ferrara

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CAPITOLO 5

5.1 La Componente Relazionale del Capitale Intellettuale

5.2 Il Capitale Relazionale dell'Università di Pisa

5.2.1 Un'integrazione con la Third Mission University

5.3 Applicazione alla realtà pisana

5.3.1 Il progetto "qualitativo": i driver della relazione 5.3.2 Il progetto "quantitativo": analisi applicativa

5.4 Conclusioni

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INTRODUZIONE

DAL MODERNO AL POSTMODERNO

Il "postmoderno" s'identifica con il periodo storico che segue o nega il moderno; è per molti aspetti riferibile ad una modalità "nuova" di notare e considerare la modernità. Siamo di fronte ad un grande spartiacque della storia, una vera e propria rivoluzione nelle modalità di comprensione e di

comportamento. Il termine "moderno" è segnato, com'è noto, da alcune idee forti quali la "fede" nel progresso

illimitato, la possibilità dell'uomo di controllare la natura attraverso gli strumenti della scienza e

della tecnica, il razionalismo, il prevalere di dimensioni oggettive, gerarchia, centralizzazione, sintesi e una visione totalizzante. L'ideologia organizzativa che corrisponde allo stereotipo della

modernità è il taylorismo. La post-modernità, il cui principale referente è la trasformazione post-fordista e post-industriale,

mette una particolare enfasi sul cambiamento delle tecnologie chiave e dei parametri conoscitivi, si collega ai sistemi complessi, celebra le diversità e gli approcci "di situazione", anche nel rifiuto di "pseudo valori assoluti" e "pseudo certezze" e un chiaro orientamento verso network relazionali. Il tentativo di definire il postmodernismo, riconducibile ad una teoria coerente ed univoca, quindi,

appare dunque complesso ed ambiguo. Nell'organizzazione postmoderna, condizionata dunque da una visione della realtà fortemente

eterogenea e da culture che differiscono in modo radicale, sono presenti reti di elementi caratterizzati da diversità. Emergono strutture piatte, condizioni di delega ed empowerment, partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori, flussi informatici fluidi, contesti volti al miglioramento continuo, autocontrollo, decentramento, valorizzazione dei processi e arricchimento dei ruoli. I processi decisionali e la responsabilità del soggetto economico passano dalla centralizzazione al decentramento; l'enfasi sulle risorse si sposta dal capitale materiale e finanziario a quello intellettuale, costituito da risorse umane e sociali; l'atteggiamento nei confronti dei rischi privilegia l'attenzione verso la velocità e forme di controllo "leggero" rispetto alla preoccupazione di muoversi con eccessiva lentezza, non in coerenza con i ritmi del mercato-ambiente.

I limiti dello scientific management ed in generale della visione classica riguardano primariamente l' eccessiva enfasi attribuita ai meccanismi degli scambi di mercato piuttosto che all'attività del soggetto. La caduta di alcuni grandi "miti" ha generato situazione d'incertezza, timore nei confronti del futuro, emergenza di un "pensiero debole" e frammentario, sbriciolamento dei valori, tra i quali ognuno può scegliere quelli ritenuti più convenienti ai propri bisogni e motivazioni. Le attese di una continuità senza fratture perdono saldezza, si rinuncia ad elaborare formule generali che pretendono

di definire la realtà in termini assolutamente "razionali". L'efficienza è connessa, prima che a strumenti procedurali, a maggiore creatività e soddisfazione

delle motivazioni insieme ad espressive trasformazioni di tipo professionale e culturale. Nell'empowerment, tra le più indicative impronte dell'organizzazione postmoderna, il valore tende a

scaturire dall'interazione di elementi quali gli atteggiamenti dei soggetti ed il senso globale di progetti e proposte, con un chiaro spostamento dal momento meramente produttivo all' organizzazione globalmente considerata ed al coinvolgimento del personale in logiche

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"cliente-6

fornitore". Con la caduta di molte tradizionali barriere interfunzionali tendono ad affermarsi quadri basati su modelli probabilistici, sistemi più aperti, apparente "disordine", valorizzazione degli errori potenzialmente capaci di generare apprendimento, enfatizzazione delle relazioni non lineari in cui il comportamento dell'intero è diverso e non è strettamente coerente con quello dei diversi soggetti. Le organizzazioni "quantistiche" rilevano modelli organici piuttosto che meccanicistici, self-organization, networks dinamici: con forti interconnessioni, tesi alla coerenza con gli ambienti "caotici" di riferimento, attenti ai bisogni non soltanto dei clienti esterni ma anche di quelli interni e degli stakeholders caratterizzati da attenzione crescente e trasversale verso terreni e ambiti "nuovi". Molto importante è anche il tema dell'etica e della responsabilità sociale, non riconducibili alle modalità di coinvolgimento dei sistemi aziendali nelle comunità di riferimento; riguardano comportamenti sostanzialmente volontari, non sfugge il loro significato anche in termini di fattore capace di determinare miglioramenti significativi nella capacità concorrenziale. Un valido codice etico deve essere condiviso, oltre che dal management e dal mercato, dagli stessi stakeholders. L' etica sta diventando sempre più non un solo dovere morale come era stato in passato, ma una scelta obbligata per chi sappia fare bene i propri interessi, collante insostituibile tra lo sviluppo e il benessere sociale al fine di migliorare i rapporti imprenditoriali con il sistema esterno, la collettività, le istituzioni e il personale. Solo un sistema che risponda nei fatti a un forte e condiviso codice etico può far fronte nel lungo periodo alle difficoltà dei mercati e alla sfida della competizione.

Il quadro postmoderno, collegato a complessità, conoscenza, auto-organizzazione, rappresenterebbe un "recupero della storia e della tradizione", intesa anche come connessione ad una rete, sapendo che il soggetto che raccoglie ed elabora dati ed informazioni, pure dai periodi precedenti, è parte essenziale e determinante del risultato che conseguirà. In sistemi non lineari, da piccoli input possono scaturire enormi conseguenze. Diventa difficile identificare le risposte non lineari a tante piccole cause concomitanti, capaci di produrre "effetti imprevedibili" .

In conclusione, quello che il postmodernismo rifiuta è un'interpretazione che lo elevi a chiave universale per comprendere in modo completo i vari significati della presente condizione. In ogni modo appare impossibile pensare al presente senza considerare il passato o il futuro. L'abbondante quantità d'informazioni disponibili nella società può dare l'illusione di dominare l'interezza del quadro. In realtà tale disponibilità non migliorerebbe sostanzialmente la qualità delle decisioni strategiche, anche a causa della complessità dei sistemi.

Il postmoderno segna la fine delle grandi narrazioni e del tempo "lineare" aprendosi al tempo "circolare" . Molto importante diventa la variabile "tempo". Non è richiesto alle organizzazioni di svolgere il loro lavoro solo con la massima efficacia ed efficienza, ma anche con la minimizzazione della tempistica. Pure i processi, i livelli di performance e la competitività, il controllo dei costi, la flessibilità si mostrano interrelati: un cambiamento che dovrebbe avvenire anche in assenza di crisi, inteso come vero e proprio vantaggio competitivo. La conoscenza è l'asset fondamentale che oggi è richiesta non ai livelli gerarchici più alti, ma ad ogni membro dell'organizzazione. Essa, non ha un valore definibile quantitativamente, ma è alla base delle competenze che il personale riesce a sviluppare all'interno dell'organizzazione; è un fattore sicuramente determinante per la nascita di network relazionali con altre imprese, con altri ambienti; infine è capace di raccogliere,

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comprendere e gestire informazioni e altra conoscenza derivante dall'ambiente interno ed esterno all'organizzazione.

Lo studio, la comprensione e l'analisi del capitale intellettuale sarà l'oggetto di ricerca di questa tesi. Nel primo capitolo ho cercato di focalizzare il focus sull'importanza che hanno assunto le risorse immateriali per le aziende oggi. Successivamente ho introdotto il concetto di capitale intellettuale e le diverse definizioni che sono presenti in dottrina. Nel terzo capitolo, ho analizzato i sistemi di misurazione del capitale intellettuale; la prima fase è rivolta a quei sistemi di misurazione che vengono definiti "pionieristici", i quali basano il loro studio sulla misurazione del differenziale tra valore di mercato (reale) e valore contabile di un'organizzazione. Poi sono passato ad un'analisi di quei sistemi di misurazione del capitale intellettuale che hanno un focus sulla gestione dello stesso: i sistemi "multidimensionali". Questi cercano non tanto di attribuire valore quantitativo agli elementi che fanno parte del capitale intellettuale ma di comprendere la loro direzione, i driver che lo compongono per guidare così la gestione aziendale.

Nel quarto capitolo ho analizzato il capitale intellettuale nell'organizzazione principe per la diffusione e la creazione di conoscenza: le Università. Successivamente ho descritto il capitale intellettuale dell'università in generale e ho considerato i sistemi di misurazione principali che sono stati sviluppati dai vari Paesi Europei, integrandoli nell'ottica delle mission istituzionali

universitarie: Didattica, Ricerca e Terza Missione. Nel quinto capitolo, quello conclusivo, ho analizzato la componente relazione del capitale

intellettuale dell'università: "il Capitale Relazionale", con uno sguardo rivolto allo sviluppo della Terza Missione. Questa componente è stata l'oggetto di studio del gruppo di ricerca PRA dell' Università di Pisa (progetto di ricerca d'Ateneo). Il gruppo di ricerca si è suddiviso in vari team a seconda delle competenze e conoscenze. L'obiettivo del team ove sono stato titolare di una borsa di studio e di ricerca, è stato quello di comprendere, descrivere e misurare la qualità della relazione tra università-imprese/enti pubblici nell'ottica del raggiungimento della Terza Missione. E' stato molto importante l'individuazione dei driver che influiscono nella relazione e che riescono così a governarla. Lo scopo finale è quello di costruzione di un framework di riferimento per la misurazione e per la gestione della relazione adattabile nelle diverse realtà universitarie italiane. In seguito, indipendentemente dal team, mi sono soffermato su una descrizione statistica delle tabelle pubblicate e disponibili nel sito online dell'ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca). Attraverso l'elaborazione delle informazioni in esse contenute sono riuscito ad effettuare delle valutazioni soggettive riguardanti l'analisi di specifici indicatori inerenti lo sviluppo e la valorizzazione della qualità della Ricerca. Quindi sono passato ad un'analisi della Third Mission focalizzandomi sull'oggetto principe del PRA: la "relazione".

Concludendo, sento doveroso porre un ringraziamento particolare alla prof. Lazzini Simone, a Sua moglie la prof.ssa Lazzini, alla prof.ssa Angelini e al prof. Lanzara che con la loro professionalità, con le loro competenze e soprattutto con la loro disponibilità nei miei confronti mi hanno permesso di crescere professionalmente e umanamente attraverso le numerose attività che mi hanno proposto di svolgere.

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CAPITOLO 1

1.1 LA RISCOSSA DELLE RISORSE IMMATERIALI

I profondi mutamenti occorsi negli ultimi decenni nel contesto socio-economico hanno contribuito a modificare profondamente il modo di essere e di operare delle aziende. Fattore decisivo per la sopravvivenza e per lo sviluppo in un contesto sempre più competitivo (competitività maggiore dovuta principalmente dallo sviluppo dell'ITC e dal processo di globalizzazione) è la capacità d' innovazione che rende l'azienda capace di adattarsi tempestivamente ai cambiamenti ambientali o di anticiparne il loro avvenire. Diventa sempre più importante l'immagine legata al prodotto o l' esperienza legata alla marca (brand experience) per soddisfare le esigenze del client, ricercatore continuo di un benessere non definibile. Quindi la variabilità del contesto competitivo odierno induce le aziende a profondi mutamenti in ambito sia produttivo, che gestionale ed organizzativo. Nel quadro postmoderno nascono i concetti di LEAN PRODUCTION o "produzione snella" volta ad ottenere la sincronizzazione tra tempi di produzione e tempi richiesti dal mercato e la minimizzazione degli sprechi nel consumo delle risorse attraverso una riduzione dei livelli

gerarchici e una diffusione dell'autonomia decisionale. In ambito gestionale si diffonde il concetto di TOTAL QUALITY MANAGEMENT1 una filosofia,

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Secondo questo approccio, nato in Giappone e diffuso negli Stati Uniti verso gli anni cinquanta, tutta l' impresa deve essere coinvolta nel raggiungimento dell' obiettivo finale (mission). Ciò comporta anche il coinvolgimento e la mobilitazione dei dipendenti e la riduzione degli sprechi in un' ottica di ottimizzazione degli sforzi.

Successivamente, a partire dal 1987 sono state emanate delle norme volontarie mirate a fissare per le organizzazioni i requisiti necessari verso un approccio alla qualità (approccio che, comunque, rimane secondo la maggioranza delle interpretazioni e soprattutto delle applicazioni distante da quello previsto dal TQM). Nella norma UNI

EN ISO9004:2000 (e 9001:2008) sono stati definiti gli otto principi di gestione per la qualità: 1. Orientamento al cliente

2. Leadership

3. Coinvolgimento del personale 4. Approccio per processi

5. Approccio sistemico alla gestione

6. Miglioramento continuo tramite: aggiornamento, rapporto di ascolto con il cliente, ogni piccolo miglioramento là dove sia possibile, controllo dei processi, innovazione.

7. Decisioni basate sui dati di fatto: analisi vendite, statistiche e analisi di marketing, feedback dai clienti, indicatori macro e micro economici.

8. Rapporti di reciproco beneficio coi fornitori.

Secondo un punto di vista tradizionale, per raggiungere un'alta qualità si devono sostenere forti costi di produzione. Oggi questa posizione non è più valida secondo due punti di vista:

1. Perché il concetto di qualità va definito in base a ciò che vuole e che si aspetta il cliente. La soddisfazione del cliente è l' obbiettivo che è alla base del movimento per la qualità totale;

2. Oggi molte imprese scoprono di competere sia sul prezzo che sulla qualità. I clienti si aspettano determinati livelli di qualità a un prezzo competitivo, oltre a certi requisiti di fornitura.

Non si tratta solo di valutare quanto costa fare qualità, ma anche quanto costa non farlo, in termini di efficienza organizzativa, di soddisfazione del cliente e quindi di maggiore o minore competitività.

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volta al perseguimento della qualità, che coinvolge tutte le attività aziendali e si incentra sulla logica

del miglioramento continuo, realizzato attraverso il processo di "learning by doing". Infine, la cultura organizzativa diventa essenziale in ambienti turbolenti come quelli odierni. Si

parla di SELF ORGANIZATION ossia ci riferiamo alla capacità dei membri interni all'azienda di assumere liberamente modalità decisionali e di comportamento coerenti. Ogni organizzazione genera e diffonde la propria cultura che in diversa misura la differenzia da altre combinazioni. Essa ha l'importante prerogativa di avere un potere unificante potendo generare sinergie tra le persone capaci di integrare gli obiettivi individuali e assimilarli a quelli espressi dall'azienda.

Questi mutamenti hanno accresciuto la rilevanza delle risorse invisibili quali fattori critici per il successo aziendale. Emerge, in primo luogo, la centralità dell'uomo, in particolare del KNOWLEDGE WORKER ossia il capitale umano2 che è sempre più libero di raggiungere gli obiettivi a lui assegnati con creatività e con competenze personali. Un secondo aspetto da considerare nelle organizzazioni piatte è la cultura aziendale. L'ambiente interno è uno degli elementi base di tutta la gestione. Esso influenza il grado di coesione e partecipazione del personale e l'orientamento verso obiettivi comuni. Ultimo elemento fondamentale è il sistema informativo capace di raccogliere il flusso informativo che attraversa trasversalmente tutta la struttura organizzativa e presupposto essenziale per diffondere la conoscenza.

Secondo Giannessi l'azienda è una [...] unità elementare dell'ordine economico generale, dotata di vita propria e riflessa, costituita da un sistema di operazioni, promanante dalla combinazione di diversi fattori e dalla combinazione di forze interne ed esterne, nel quale i fenomeni della produzione vengono predisposti per il conseguimento di un determinato equilibrio economico, a valere nel tempo, suscettibile di offrire una remunerazione adeguata ai fattori utilizzati e un compenso, proporzionale ai risultati raggiunti, al soggetto economico per conto del quale l'attività si svolge" (Giannessi, Le aziende di produzione originaria, 1958). Secondo questa concezione sistemica, l'azienda è un sistema sociale, come tale, lo svolgimento dei processi richiede la predisposizione di strutture. Essa è costituita a sua volta da 2 elementi fondamentali: lavoro e capitale. Una parte molto rilevante della struttura è costituita dalle conoscenze individuali ed organizzative e da tutte quelle variabili definite "soft". La struttura oggi non ha più carattere statico ma è dinamica cioè sensibile alla fluttuazione delle relazioni che si instaurano tra essa e l'ambiente esterno.

In sintesi, secondo un'analisi strategica possiamo scomporre il sistema d'azienda in 3 sottosistemi: sistema delle idee e delle risorse, il sistema competitivo e il sistema sociale3. Questi 3 sistemi sono correlati tra di loro per il raggiungimento del vantaggio competitivo (es: in un'azienda le risorse vengono combinate nello svolgimento dei processi e si ha la produzione di 2 tipologie di offerte: una rivolta al cliente(sistema competitivo) e una rivolta allo stakeholders (sistema sociale). Questi 3 elementi rappresentano il modo di essere, l'identità profonda dell'azienda, rispettivamente nell' ambiente competitivo e nel sistema delle forze economiche, politiche e sociali. Quindi l'azienda è

2

Il "capitale umano" supera il concetto di forza lavoro e di dipendenti utilizzati nel periodo passato. Con il termine capitale umano enfatizziamo l' importanza che ha questo driver per un' azienda che deve emergere in un mercato e in una società basata sulla conoscenza "knowledge society". La capacità d' innovazione è la chiave del successo e il capitale umano è sicuramente un elemento che accresce tale capacità.

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un sistema dinamico ed aperto. Con il termine dinamico ci riferiamo al fatto che la gestione dell' azienda si compone da molte operazioni gestionali complesse e si riferisce al sistema della produzione; mentre, con il termine "aperto" si riferisce al sistema delle relazioni azienda-ambiente. Queste 3 fonti strategiche vanno a determinare le idee, le decisioni e le azioni dell'azienda che non sono guidate da un rapporto deterministico ma complesso4. Se non capiamo le relazioni che si instaurano tra queste 3 variabili non possiamo capire la filosofia del management.

VANTAGGIO COMPETITIVO

Le relazioni che l'azienda instaura con il sistema competitivo e degli interlocutori sociali si combinano con altre risorse aziendali per alimentare continuamente i circuiti virtuosi. I cambiamenti economici, sociali e ambientali hanno contribuito a focalizzare l'attenzione sulle risorse immateriali che, più di altre, rappresentano elementi su cui far leva per conseguire i risultati competitivi, sociali e di sviluppo economico finanziario per l'azienda. Generalmente le risorse immateriali sono definite in senso "negativo" ossia come quegli elementi potenzialmente utili per i processi aziendali che non hanno il carattere della tangibilità né natura finanziaria. Esse costituiscono un complesso molto eterogeneo. Alcune di esse si sviluppano nei processi aziendali come le attività di R & S che sono alla base delle innovazioni di prodotto e di processo. Altre, invece, sono collegate alle risorse umane e riguardano le competenze individuali; altre sono direttamente collegate ad aspetti organizzativi e altre sono intrise nella cultura aziendale e nei valori condivisi. Secondo la dottrina economico aziendale, non tutte le risorse immateriali possono essere connotate quali fattori produttivi.

4 Cfr.U. Bertini, il sistema d'azienda,op.cit., pagg 35-81 sistema della produzione sistema delle idee sistema delle relazioni azienda ambiente

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Infatti, per essere considerata tale, la risorsa dovrebbe soddisfare 2 requisiti:

essere disponibile per il processo produttivo ed influenzare il risultato economico

essere valorizzabile in termini monetari.

Quindi gli elementi immateriali che soddisfano le 2 condizioni anzidette e che, quindi, possono essere qualificati come fattori produttivi sembrano essere circoscritti ai brevetti, ai marchi, alle concessioni, alle licenze, ai servizi di consulenza e agli elementi che hanno un riconoscimento giuridico-formale.

Le restanti risorse immateriali, pur non soddisfacendo i requisiti necessari per essere considerati fattori produttivi, hanno un ruolo estremamente importante nella gestione in quanto sono rappresentative delle caratteristiche distintive dell'azienda; quindi devono essere prese in considerazione quando si esamina l'attività aziendale.

Il fatto che si tratti di elementi intangibili non esprimibili in termini monetari, ma solo in termini qualitativi o utilizzando indicatori quantitativi-fisici, li esclude dal poter essere classificati come "risorsa" ma rende possibile una loro connotazione come "condizioni o modalità interne": elementi solo qualitativi a carattere immateriali in quanto intangibile.5 Le risorse immateriali risultano costituite da 2 fattori primigeni: conoscenza e fiducia6. Alcune di esse sono costituite dalla conoscenza sedimentata all'interno dell'azienda; il riferimento è, in questo caso, alle competenze, alle routine organizzative, alle procedure operative ecc.. Altre risorse immateriali, quali le relazioni che l'azienda instaura con gli stakeholders, l'immagine aziendale, la coesione e la motivazione del personale sono basate sulla fiducia che soggetti esterni e interni all'azienda nutrono nei confronti della stessa. Le risorse anzidette possono essere considerate il frutto dell'azione congiunta di due elementi propri dei soggetti con cui l'azienda si relaziona. Esse derivano dalla conoscenza che tali soggetti hanno del sistema aziendale. Inoltre le risorse immateriali considerate implicano un giudizio soggettivo da parte dei soggetti esterni ed interni all'azienda, in merito al grado con il quale i comportamenti aziendali soddisfano le loro peculiari attese.

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Cfr. R Ferraris Franceschi, Appunti di Economia Aziendale. L'azienda: forme, aspetti, caratteri e criteri determinanti, Edizione Kappa, Roma, 1995

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Adesso esplicitiamo le caratteristiche delle risorse immateriali:7

1. DIFFICILE AQUISIBILITA': a differenza delle risorse materiali, quelle immateriali (prevalentemente) derivano da processi di creazione e di sviluppo che si svolgono all' interno dell'azienda, richiedendo periodi di tempo consistenti e legate da condizioni d' incertezza;

2. INCIDENTALITA': molte volte la loro creazione è frutto di scelte consapevoli da parte dell' azienda;ma in molti altri casi, esse si generano in modo spontaneo, non deliberato e spesso a latere di iniziative dirette al perseguimento di altri scopi. Un esempio potrebbe essere rappresentato dall'incremento delle competenze del personale in seguito alla progettazione di specifici prodotti con i clienti.

3. DIFFICILE IMITABILITA': le caratteristiche delineate contribuiscono a rendere le risorse intangibili firm-specific in quanto intrinseche all'azienda e spesso unite all'esistenza di ambiguità causale.

4. MOLTEPLICITA' D'USO: le risorse immateriali possono essere impiegate contemporaneamente in ambiti diversi, senza che l'utilizzo delle stesse in un dato contesto ne precluda l'impiego per altri scopi e ne riduca i benefici ritraibili. Quindi queste risorse possono essere trasferite in altri contesti senza ridurne l'utilità nell'originario ambito di applicazione. Le risorse immateriali, di conseguenza, non sono soggette al fenomeno dei rendimenti decrescenti, tipico invece di quelli materiali. Questi significa che utilizzare sempre di più e in contesti differenti una risorsa immateriale non determina la riduzione del contributo che la stessa è in grado di offrire alla gestione aziendale.

5. PERVASIVITA': gli effetti delle azioni compiute dalle risorse immateriali si riflettono in molteplici aspetti della vita aziendale.

6. VOLATILITA': l'utilità delle risorse immateriali è intrinsecamente legata a condizioni organizzative ed ambientali, cosicché mutamenti di contesto possono incidere profondamente sull'entità e sulle caratteristiche delle risorse immateriali. Emblematico è il caso dell'investimento nella formazione del personale i cui benefici possono essere persi dall'azienda nel caso in cui i dipendenti decidono di lasciare l'organizzazione e utilizzare altrove le proprie abilità e conoscenze.

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A partire dagli anni 80' queste risorse immateriali sono sempre più fonti del vantaggio competitivo; quindi diventa sempre più importante riuscire a creare dei sistemi di misurazione e di controllo delle risorse immateriali.8 Allo stesso modo anche gli studi di strategia spostano il focus dall'ambiente esterno alle risorse e alle competenze aziendali.

 RESOURCE BASED THEORY Nell'analizzare le fonti del vantaggio competitivo, essa si basa su 2 assunti fondamentali: le risorse strategiche controllate dalle aziende sono una

fonte di differenziazione e che non vi sia perfetta mobilità delle risorse, quindi che l'eterogeneità delle imprese possa protrarsi a lungo nel tempo. Di conseguenza in un

ambiente turbolento l'identità strategica dell'azienda dovrebbe essere definita considerando le risorse a disposizione, le quali rappresentano una base solida quando ci sono cambiamenti frequenti e imprevedibili.

 COMPETENCE BASED THEORY In questo filone di studi viene data particolarmente enfasi alle competenze. Si ritiene che le risorse tangibili o intangibili che siano, non siano sufficienti di creare un vantaggio competitivo. Chiariamo innanzitutto il concetto di competenza: core competence non coincide con una singola risorsa o tecnologia ma è un insieme coordinato di risorse che vengono attivate congiuntamente. Ma per comprendere a pieno cosa si intenda per competenza, accanto al concetto di risorse bisogna esplicitare quello di routine organizzative: un modello di attività dal funzionamento regolare e prevedibile, costituito da una serie d'azioni coordinate dai singoli. In sintesi, le competenze sono il risultato dell'apprendimento collettivo riguardo alle modalità di integrazione delle abilità produttive, di coordinazione delle tecnologie e delle conoscenze e di organizzazione del lavoro in azienda. Esse sono diffuse nell'organizzazione, rappresentano un sistema di conoscenze, risorse, routine che sono fonte della capacità competitiva dell'azienda. Le competenze hanno la caratteristica di essere firm-specific infatti è molto semplice imitare una tecnologia ma è molto difficile imitare il modo di integrazione tra tecnologia-struttura organizzativa-risorse umane. L'azienda per competere con successo deve far leva sulle proprie core competences e affinché si raggiunga ciò è necessario si verifichino 3 condizioni:

- significativo contributo al valore percepito dal cliente o che permette di ridurre notevolmente i costi;

-deve differenziare l'azienda dai suoi competitors, quindi deve essere difficilmente imitabile;

-possibilità di entrare in mercati nuovi per l'azienda.

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Inoltre, occorre un'organizzazione costituita da persone che hanno le capacità e il commitment necessari per apprendere. Si ritiene, infatti, che l'apprendimento sia alla base del miglioramento della performance aziendale. Grazie ad esso, i comportamenti e gli schemi mentali esistenti vengono messi in discussione e cambiati, se non risultano coerenti con le nuove conoscenze acquisite. Tale apprendimento garantisce che i cambiamenti non siano temporanei ma che vadano in profondità, cioè che riescano a modificare le routines organizzative, i modi di pensare, di agire, e gli obiettivi che guidano l'azione dei singoli individui e di tutta l'organizzazione. Sebbene la learning organization sia ancora oggi un riferimento concettualmente diffuso, il modello ha subito negli anni più recenti una profonda evoluzione, soprattutto al fine di tenere conto delle ricerche compiute sulla conoscenza individuale ed organizzativa.

Un concetto fondamentale che è alla base dei modelli preposti è che la conoscenza individuale è alla base della conoscenza organizzativa. Infatti, molti studiosi giapponesi sostengono che la conoscenza sia creata, sviluppata e diffusa attraverso una sorta di "interazione sociale" tra conoscenza tacita ed esplicita. Si sviluppa, quindi, il concetto di knowledge management inteso come un insieme di tecniche e di attività finalizzate a favorire la creazione, lo sviluppo e a diffusione della conoscenza in azienda.

In conclusione, possiamo osservare che con il passare degli anni si è passati ad uno spostamento dell'oggetto d'indagine: dalle risorse materiali e immateriali, alle competenze e alla conoscenza. Si passa, quindi da un'analisi statica delle risorse ad una dinamica.

Tende a crescere la focalizzazione verso aspetti intangibili, essi si configurano come determinante fondamentale per le performances, pur in carenza di criteri univoci per apprezzarne il loro valore in termini quantitativi. E' importante che l'azienda individui le leve della sostenibilità su cui vuole impegnarsi, dall'ambiente al sociale, valutando come la loro implementazione possa generare diverse condizioni di performances.

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1.2 LE RISORSE IMMATERIALI NEL BILANCIO D'ESERCIZIO

Il bilancio d'esercizio è "uno strumento di conversione della dinamica in cifre e di riconversione delle cifre in andamenti economici"9. La rappresentazione delle risorse immateriali nel bilancio presenta alcune problematiche peculiari, connesse alle loro caratteristiche intrinseche. La dottrina contabile nazionale e internazionale prevedono dei requisiti piuttosto stringenti per iscrivere le risorse immateriali nell'attivo dello Stato Patrimoniale. I Principi Contabili Nazionali definiscono le immobilizzazioni immateriali come elementi, privi del carattere della tangibilità, costituiti da

costi dai quali derivano benefici economici futuri. Le immobilizzazioni immateriali possono essere

suddivise in 3 macrocategorie:

1. BENI IMMATERIALI: rappresentati da tutela giuridica che riconosce ad essi l'

utilità pluriennale e la trasferibilità ossia che sono cedibili ai terzi separatamente dal

complesso aziendale. Tali beni possono essere acquisiti, prodotti internamente, oppure possono entrate in azienda in seguito all'apporto dei soci. Esempi sono i diritti di brevetto industriale, concessioni, licenze ecc..

2. ONERI PLURIENNALI: sono costi che pur non essendo sostenuti per l' acquisizione o la produzione interna di un bene immateriale, presentano un'utilità pluriennale. Essi si suddividono in:

-Costi d'impianto: Cioè costi sostenuti nel periodo d'avviamento dell'attività come le spese notarili per la redazione dell'atto costitutivo, imposte e tasse per il deposito dell'atto costitutivo ecc...

-Costi di ampliamento: costi sostenuti durante la vita di un'impresa per incrementare o diversificare la capacità produttiva e di mercato, per esempio le spese notarili e imposte e tasse per la modifica dell'atto costitutivo dovuta all'aumento del capitale sociale o a operazioni di fusione o trasformazione.

-Costi di Ricerca e Sviluppo10

9 Cfr. E. Giannessi, Appunti di economia aziendale con particolare riferimento alle aziende agricole, Pisa, 1962

10 I costi di R&S riflettono lo sforzo economico che l'azienda ha sopportato per arrivare alla creazione di nuovi beni o al miglioramento di quelli esistenti reintegrabili con ricavi futuri. Tali costi devono essere suddivisi in 3 categorie:

1. RICERCA DI BASE: non è finalizzata a nessun beneficio economico futuro. (no capitalizzabile) 2. RICERCA APPLICATA: finalizzata ad un determinato progetto; i costi devono essere identificabili,

misurabili, recuperabili medianti ricavi futuri. (si può capitalizzare una certa quota del personale, attrezzature e materiali che si riferiscono ai costi di R&S.)

3. SPESE DI SVILUPPO: La conoscenza scientifica e tecnica viene utilizzata per la produzione di nuovi prodotti, servizi o processi.

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3. AVVIAMENTO: è l'attitudine di una azienda a produrre utili in misura superiore a quella ordinaria. Esso è formato da: valore del patrimonio dell'azienda + potenzialità che essa possiede (es:rapporti con i clienti o con i fornitori ecc..) L' avviamento può derivare da:

-Acquisizione da terzi: avviamento derivato (viene iscritto in bilancio) -Produzione interna: avviamento originario (non si iscrive in bilancio)

Una volta definite le immobilizzazioni/attività immateriali, è necessario individuarne i requisiti per l'iscrizione nell'attivo dello Stato Patrimoniale. Il principio contabile n. 24 richiede che i costi di cui sia accertata la capacità di produrre benefici economici futuri, siano effettivamente sostenuti, distintamente identificabili e attendibilmente quantificabili. Con riferimento ai costi pluriennali, caratterizzati da un alto grado di indeterminatezza, l'iscrizione nell'attivo patrimoniale costituisce comunque, per l'azienda, una facoltà e non un obbligo.

Per i beni immateriali il C.C. non stabilisce la durata massima dell'ammortamento ne stabilisce il limite della distribuzione degli utili. Quindi l'ammortamento segue il criterio generale della "residua possibilità di utilizzazione" e non è vincolata ad una durata massima prestabilita. Le immobilizzazioni immateriali devono essere iscritte al COSTO D'ACQUISTO (include anche gli oneri accessori) o di PRODUZIONE (comprende tutti i costi direttamente imputabili + quota costi indiretti ragionevolmente imputati all'immobilizzazione). Il valore d'iscrizione al costo delle immobilizzazioni immateriali non può eccedere il valore recuperabile che si suddivide in valore

realizzabile dall'alienazione 11 e dal valore d'uso12.

Tuttavia, la legge prevede come eccezione al criterio generale della residua possibilità di utilizzazione anche vincoli specifici che limitano la durata del periodo di ammortamento (art 2426, n. 5 e 6):

 I costi d'impianto e d'ampliamento, i costi di ricerca e sviluppo e di pubblicità aventi utilità pluriennale devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a 5 anni;

 L'avviamento deve essere ammortizzato entro un periodo di 5 anni; è tuttavia consentito ammortizzare sistematicamente l'avviamento in un periodo limitato di durata superiore, purché esso non superi la durata per la sua utilizzazione.

11 Il valore realizzabile dall'alienazione è rappresentato dall'ammontare che può essere ricavato dalla vendita dell'immobilizzazione a prezzi correnti di mercato, al netto degli oneri diretti da sostenere per la cessione. 12

Il valore attuale dei flussi di cassa attesi nel futuro derivanti dalla continuazione di utilizzazione dell'immobilizzazione compresi quelli relativi al suo smobilizzo al termine della vita utile.

(19)

18

Il concetto di attività immateriale assunto dai principi contabili internazionali (IAS 38) non si sovrappone con quello delle immobilizzazioni immateriali, così come sono concepite nella normativa e nella prassi nazionale. Lo IAS 38 identifica prima di tutto le "risorse immateriali" che costituiscono una categoria più ampia delle "attività immateriali". Sono risorse immateriali ad esempio le conoscenze scientifiche, la progettazione o l'attuazione di nuovi progetti o processi, il patrimonio intellettuale ecc... Ma non tutti le risorse immateriali soddisfano i requisiti necessari per rilevare in Stato Patrimoniale un'attività immateriale. E' infatti necessario che l'elemento soddisfi: a) la definizione di attività immateriale

b) i criteri di rilevazione delle attività immateriali

a. Per soddisfare la prima condizione una risorsa immateriale deve rispettare i seguenti 3 requisiti:

Identificabilità: consente di distinguere la risorsa immateriale dall'avviamento e concerne la possibilità di trasferirne i benefici economici futuri senza privarsi di quelli derivanti dall' impiego di altre risorse. Quindi essa deve essere:

-separabile: capace di essere separata dall'azienda, -deriva da diritti contrattuali o da altri diritti legali.

Controllo: tale principio è rispettato quando l'azienda è in grado di appropriarsi dei benefici economici futuri derivanti dalla risorsa immateriale, e al tempo stesso, di escludere ad altri soggetti l'utilità di goderla.

Determinabilità del costo: Quando sono previsti proventi originati dalla vendita di prodotti o servizi, risparmi di costo o altri benefici derivanti dall'utilizzo dell'attività da parte dell' azienda.

b. Per soddisfare i criteri di rilevazione delle attività immateriali una risorsa immateriale deve rispettare 2 requisiti:

-deve essere probabile che l'azienda possa godere dei benefici economici futuri attesi che sono attribuiti all'attività,

-si deve essere in grado di determinare attendibilmente il costo dell'attività.

In mancanza di tali requisiti, una risorsa immateriale che soddisfa la definizione di attività immateriale non può essere iscritta tra le attività, ma va rilevata come costo dell'esercizio.

Dai principi, si desume come in ambito internazionale si ha una maggiore ampiezza del complesso degli elementi immateriali rappresentabili nello SP rispetto ai principi nazionali. In ogni caso, l' iscrizione dei costi connessi alla creazione e allo sviluppo degli elementi immateriali(oneri

(20)

19

pluriennali) nel CE, anziché nello SP ha delle conseguenze importanti nel risultato economico di breve periodo. Infatti se noi investissimo nello sviluppo delle competenze del personale, nell' aggiornamento delle procedure operative o nelle relazioni con i clienti e fornitori ecc... aggraveremmo di tali valori il reddito d'esercizio. Quindi, di conseguenza, un'azienda potrebbe esprimere i migliori risultati economici nei periodi di minor sforzo per lo sviluppo delle risorse immateriali, andando però a minacciare la possibilità di avere successo nei mercati e in tempi futuri. La recente modifica dello IAS 38 ha introdotto la categoria delle attività immateriali "a vita utile indefinita". Si tratta d'elementi intangibili per i quali non è possibile prevedere un limite al periodo di godimento ossia dei benefici futuri associabili ad essa. Per questo motivo, queste attività immateriali a vita indefinita, non sono soggette ad ammortamento. Per esse si effettua, con cadenza almeno annuale, il cosiddetto "IMPAIRMENT TEST" (IAS 36) mediante il quale si tiene conto delle eventuali perdite o ripristini di valore dell'attività conseguenti ai mutamenti nelle condizioni di utilizzo dell'attività stessa o nelle condizioni di operatività dell'azienda. Quindi si effettua un confronto tra il valore contabile e il valore recuperabile. Il valore recuperabile è determinato tra il maggiore tra il valore d'uso dell'attività e il suo fair value al netto dei costi di vendita. La verifica ha lo scopo di accertare che il bene non sia iscritto in bilancio a un valore superiore al valore recuperabile, che viene definito il più elevato tra:

-fair value al netto degli oneri di vendita -valore d'uso

(21)

20

1.3 LE RISORSE IMMATERIALI: UN ASSET IN CONTINUA EVOLUZIONE

A partire dagli anni 90' si è tentato una schematizzazione dei modelli di stima delle risorse intangibili in modelli monetari puri e modelli integrati. I primi sono quelli che tentano una stima delle componenti intangibili utilizzando esclusivamente valori monetari come ad esempio far coincidere il valore delle risorse immateriali con la differenza tra il valore di mercato e il valore di bilancio. Mentre i modelli integrati sono quelli che invece cercano nuove logiche e metodologie di stima, basate sull'uso congiunto di misure monetarie e misure fisico-tecniche capace di cogliere particolarità innovative delle risorse immateriali.

Come abbiamo osservato precedentemente, gli studi contabili e i criteri di valutazione del bilancio d'esercizio non permettono l'iscrizione di molte risorse immateriali nello SP, pur configurando degli investimenti per la creazione del vantaggio competitivo. Quindi il bilancio d'esercizio non risulta lo strumento idoneo a fornire informazioni in merito all'area di immaterialità dell'azienda. Alla luce di questi limiti contabili, le ricerche si sono orientate verso altre modalità di comunicazione del patrimonio intangibile con l'utilizzo di report integrativi basati su indicatori quantitativi-fisici e qualitativi capaci di catturare in modo efficace le risorse immateriali e poter così in un secondo momento gestirle. Nascono così dei sistemi di misurazione e di reporting evoluti che sono integrativi e non sostitutivi rispetto ai tradizionali strumenti, che permettono un maggior controllo di gestione capace di creare valore.

A partire dagli anni 80' si focalizza l'attenzione delle aziende non solo alla massimizzazione dell' efficienza, ma ad altri fattori critici di successo come la varietà, la qualità e il tempo. Da questo momento si inizia a parlare di controllo STRATEGICO sia come parte integrante del processo di pianificazione e di controllo in quanto verifica ex-post la validità della strategia, sia come controllo dei fattori critici di successo in fase di implementazione della stessa.13 Esso può essere definito come uno "spirito di fondo" che stimola a valutare sistematicamente l'impatto strategico che possono avere le scelte correnti e si concretizza nel monitoraggio dei fattori critici di successo e della loro graduale evoluzione. Alla fine degli anni 90' il controllo strategico si fonde con il controllo tradizionale o direzionale e formano un unico sistema di controllo definito "CONTROLLO DI GESTIONE"14 che consente di guidare il processo manageriale contemperando

13

Cfr. R. N. Anthony, Sistemi di Pianificazione e controllo. Schema di analisi, Milano, 1967

14 Il controllo di gestione nasce dall'integrazione tra il controllo operativo, tra il controllo strategico, organizzativo (controllo delle relazioni interne e della cultura aziendale) e relazionale (controllo nella rete relazionale tra aziende). Assume anche il nome di controllo manageriale, ossia un controllo GUIDA per il raggiungimento degli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità.

Tale controllo si concretizza in 3 tipologie di meccanismi operativi:

1. CONTROLLO SUI RISULTATI RISPETTO AGLI OBIETTIVI: si basa su condivisione e responsabilizzazione degli obiettivi con motivazione a raggiungerli;si effettua un' analisi degli scostamenti tra ciò che avevamo definito nella fase di pianificazione e i risultati ottenuti,

2. CONTROLLO SULLE AZIONI: é un modello integrativo e/o sostitutivo rispetto a quello sui risultati, poiché controllando l'operato, l'attività del soggetto riesco sicuramente a raggiungere quello che avevo pianificato ma limito la sua creatività e il suo grado d'innovazione.

3. CONTROLLO SULLE PERSONE: controllo solitamente informale basato sull'autocontrollo dei dipendenti. Gli obiettivi principali del controllo di gestione sono:

(22)

21

i trade-off tra breve e lungo periodo e tra efficacia ed efficienza. Questo sistema innovativo di controllo ha origine dalla profonda critica degli studiosi rivolta ai sistemi direzionali basati su risultati contabili di carattere economico-finanziario. La responsabilizzazione di obiettivi contabili di breve periodo porta ai manager a focalizzarsi su di essi distogliendo l'attenzione dai reali drivers della performance aziendale: processo produttivo, clienti, concorrenti e capitale umano. Inoltre, le misure monetarie valutano i risultati economici e non le cause che sono alla base; quindi non consentono un adeguato monitoraggio dell'efficacia dell'attività aziendale, in particolare se essa dipende da fattori quali la tempestività, la qualità e la varietà. Inoltre, le misure monetarie sono poco tempestive poiché l'origine contabile delle informazioni comporta tempi lunghi e complessità dei procedimenti di elaborazione.

Si sviluppa così un filone di studi che va sotto il nome di PERFORMANCE MEASUREMENT, basato su misurazioni quantitativo-fisiche e qualitative accanto a quelle di tipo monetario.

Alla base vi sono alcune assunzioni che differenziano nettamente tale sistema da quelli precedenti. Innanzitutto è opportuno ridefinire i concetti di costo e di ricavo poiché sono la conseguenza di una pluralità di variabili che bisogna monitorare se si vuole governare efficacemente l'azienda. I costi sono il risultato dei processi produttivi ed organizzativi le cui caratteristiche qualitative ed quantitative sono determinate da elementi quali le competenze e il sistema informativo, la politica degli investimenti ecc... Allo stesso tempo i ricavi sono il risultato di variabili quali la consegna, la soddisfazione del cliente, la flessibilità ecc...

La misurazione delle performance è il processo che ha per esito l'identificazione e la quantificazione, tramite indicatori, dei risultati ottenuti (prodotti, servizi, attività, processi ecc...). La valutazione si realizza nel momento in cui le informazioni relative alle risorse impiegate, attività, prodotti e impatti realizzati, vengono interpretate alla luce delle mission dell' organizzazione. Esso è un processo comparativo, di raffronto tra il valore che gli indicatori hanno assunto in fase di misurazione e il valore obiettivo che era stato definito.

Strettamente correlato alla valutazione c'è il monitoraggio della performance. Esso consiste nel confronto sistematico e periodico dei dati rilevati e degli obiettivi definiti. Tale confronto è finalizzato ad incorporare le informazioni nel processo decisionale, ancorando quest'ultimo alla realtà. Tale processo contiene anche l'autocorrezione degli scostamenti che si sono verificati.15 Si ritiene che in un approccio "performance measurement" la misurazione debba essere effettuata attraverso parametri fisico-tecnici e qualitativi che vadano ad integrare quelli contabili permettendo di catturare i fattori determinanti della performance. Si utilizzano parametri di misurazione

multidimensionali; si tratta di misure di performance espresse come rapporto di due o più unità di

misura fondamentali. Solitamente tali unità di misura sono in grado di trasmettere molte più informazioni di quanto le misure economico tradizionali riescono a fare.

-indurre i comportamenti individuali e organizzativi in linea con gli obiettivi, -Monitoraggio continuo dell'attività

-Valutare le prestazioni delle persone e poterle così motivare -coordinare le attività si orizzontalmente che verticalmente

-trasparenza e correttezza del management a favore di tutti gli stakeholders 15

Cfr. J.R. Dixon, A.J.Nanni, T. E. Vollman, The new performance challenge. Measuring operations for world-class

(23)

22

In altri termini queste misure multidimensionali devono cogliere i risultati dell'organizzazione su questi aspetti:

a) EFFICACIA: misura che l'output di un processo sia conforme ai requisiti prefissati b) EFFICIENZA:

misura l'output di un processo in termini di costo minimo delle risorse c) QUALITA': il grado con cui un prodotto o un servizio soddisfa le aspettative e le esigenze

dei clienti

d) TEMPESTIVITA': solitamente tale misura è legata alle esigenze richieste dal cliente, misura il grado di velocità con cui si riesce ad ottenere un certo output. Essa deve essere conforme a delle tempistiche che sono state definite precedentemente.

e) PRODUTTIVITA': misura il valore aggiunto ottenuto da un determinato processo rispetto al valore degli input consumati

f) SICUREZZA: Misura la salute complessiva dell'organizzazione, il rispetto delle

normative europee e nazionali sulla sicurezza del lavoro e dell'ambiente interno

Altro presupposto fondamentale alla base di questo modello è che tra strategia, azioni e misure esistono relazioni reciproche e non di tipo unidirezionale.

Figura. Triangolo Dixon, Nanni

STRATEGIA

(24)

23

Quindi nel momento in cui si effettuano determinate scelte strategiche dobbiamo tener conto dell' adeguamento del sistema di indicatori capace di misurarle altrimenti si rischia di fuorviare il processo decisionale.

La progettazione di un sistema di misurazione della performance si sviluppa secondo alcune fasi essenziali:

1. Progettazione mission e strategia aziendale con obiettivi di lungo periodo. 2. Identificazione di fattori critici di successo.

3. Analisi dell' organizzazione che opera per l'implementazione della strategia 4. Individuazione delle attività, processi e unità operative

5. definire indicatori di performance.

Il sistema, quindi, deve possedere i seguenti elementi:

1. ESSERE COERENTE CON LA STRATEGIA ED ORIENTATO ALL'AZIONE. Gli indicatori debbono essere espressivi dei fattori critici di successo e orientati al monitoraggio delle attività e dei processi.16

2. ESSERE COMPOSTO DA INDICATORI SIA MONETARI SIA QUANTITATIVO- FISICI E QUALITATIVI, che esprimano i risultati aziendali nonché le relative cause. Questi indicatori sono tempestivi e consentono di ricostruire e misurare i fenomeni che costituiscono le determinanti della performance aziendale.

3. ESSERE SEMPLICE E SELETTIVO

4. FAVORIRE IL CAMBIAMENTO Gli indicatori devono essere pragmatici ossia capaci di stimolare il comportamento del personale verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali. 5. ALTO GRADO DI FLESSIBILITA'

Il sistema di misurazione delle performance, sebbene presenti numerosi aspetti positivi, non è esente da limiti. Ad esempio risulta difficile assegnare un valore monetario ai cambiamenti delle misure fisico-tecniche (es: è difficile misurare in termini monetari la variazione di flessibilità). Altro aspetto da considerare è che la bontà del sistema di misurazione dipende dall'esistenza di uno schema teorico di riferimento, altrimenti senza di esso, i parametri non monetari possono entrare in conflitto tra loro e creare trade-off di difficile soluzione.

Ma perché, all'interno di un'organizzazione abbiamo bisogno di misurare le performances?

Perché senza una misurazione delle attività e dei processi che compongono la gestione non è possibile controllarla e quindi è impossibile gestirla.

16

attività: qualsiasi impegno lavorativo effettuato all'interno dell'azienda;

processo: insieme di attività, appartenenti a professionalità diverse e legate fra loro da flussi informativi, sulla base di un rapporto collaborativo "cliente-fornitore"per realizzare uno specifico obiettivo rilevante per l'impresa.

(25)

24

Concludendo, tale sistema di misurazione delle performance ha come principali obiettivi:

 CONTROLLO

 AUTOVALUTAZIONE

 MIGLIORAMENTO CONTINUO: poiché possiamo determinare i difetti e le problematiche che caratterizzano un certo processo e poterle così risolvere.

 VALUTAZIONE DELLA GESTIONE: senza una valutazione della gestione non è possibile capire se stiamo raggiungendo gli obiettivi prefissati con la massima efficacia ed efficienza. Quindi sarà molto importante l'analisi degli scostamenti tra ciò che avevamo prefissato e quello raggiunto.

Gli enti pubblici sono obbligati a redigere una "Valutazione sul sistema di misurazione delle performance" e quindi sono obbligati anche gli atenei italiani.

(26)

25

1.4 L'EVOLUZIONE DEL CONTROLLO DI GESTIONE E IL SISTEMA DELLE PERFORMANCE

I sistemi di controllo direzionale si diffondono negli anni 50', epoca in cui il vantaggio differenziale principale risiede nella vendita di prodotti standardizzati a prezzi competitivi. I processi produttivi sono quelli tipici della produzione di massa17: efficienza e produttività rappresentano le variabili da monitorare con maggiore attenzione. L'importanza del budget e, in particolare, della sua funzione di coordinamento viene enfatizzata negli anni sessanta-settanta quando il mutamento delle condizioni di contesto porta alla saturazione di alcuni mercati con la conseguente necessità di concorrere non solo facendo leva sul prezzo, e quindi sul contenimento dei costi, ma anche spingendo le vendite attraverso la differenziazione dei prodotti. A ben vedere, gli ambienti produttivi, organizzativi e i contesti competitivi in cui si sviluppano i sistemi di controllo direzionale sono caratterizzati da una forte rilevanza delle risorse materiali e da un ruolo più contenuto di quelle immateriali. Gli elementi immateriali quali, ad esempio, le relazioni con i clienti e più in generale con gli stakeholders, i brevetti, i sistemi informativi, le attività poste in essere per creare e migliorare le risorse immateriali generano costi fissi nel breve periodo, non parametrizzabili e quindi difficilmente controllabili. Quindi i sistemi di controllo direzionale invalsi nella letteratura e nella prassi si dimostrano pertanto efficaci in quanto coerenti con il binomio strategia/struttura e la declinazione degli scenari competitivi di fondo. Tuttavia, se cambiano gli imperativi nel mercato e acquistano rilevanza altri elementi immateriali, tali sistemi mostrano dei limiti:

1. inadeguatezza di misure economico-finanziarie che comportano la difficile determinazione di alcuni costi come le competenze;

2. troppa semplificazione che comporta non accuratezza dell'informazione;

3. costo delle risorse immateriali non è indicativo dell'efficienza ne tantomeno dell'efficacia delle stesse (non è detto che se una risorsa immateriale costa di più abbia degli effetti maggiori sulla creazione del valore)

Le organizzazioni aziendali offrono una rappresentazione di quello che nelle classi scientifiche è definito come "sistema caotico" in cui è difficile la prevedibilità18. Questo periodo tra l'era industriale e quella della conoscenza, segnata da incertezze e crisi, favorisce la precarietà a tutti i livelli e a tutte le aree. Nuove tecnologie, nuovi modi di pensare e nuove culture contribuiscono alla creazione di mercati ed ambienti più sensibili ad instabilità, ineguaglianza, conflitti. Nella società postmoderna svaniscono dunque le soluzioni "perfette" e compaiono condizioni d' incertezza,dinamicità delle relazioni e progressiva perdita dei punti di riferimento "sicuri". Si passa

17 Questa era che va da fine 800' a metà del 900' si basa su un dogma deterministico, riguardante il comportamento di fenomeni soggetti alle leggi della meccanica, in cui semplici regole e conoscenze consentirebbero precise invenzioni. I pensieri rimandano ad un mondo "lineare" nel quale gli organismi si adattano all' ambiente di riferimento attraverso lenti processi evolutivi e mutazioni causali. L'ambiente è prevedibile caratterizzato da sistemi lineari scomponibili e ricomponibili come il cuore di un orologio. Nell'età fordista nasce la produzione standardizzata e la produzione di massa, essi sono i 2 effetti principali dell'ambiente statico che caratterizzava quegli anni.

18

Importante è sicuramente il passaggio tra prevedibilità e probabilità. Adesso l'ambiente è caratterizzato da alta probabilità dove non esiste più una linearità ma una forte complessità di dinamiche.

(27)

26

quindi ad una logica per processi, le organizzazioni danno vita a network relazionali, esplorazioni di ambiti diversi con raccolta di informazioni che attraverso l'interpretazione divengano conoscenza. I driver che l'organizzazione deve possedere sono quindi una conoscenza diffusa, cooperazione e capacità di lavorare in team, learning by doing, gestione di molte risorse immateriali, outsurcing, logica cliente-fornitore19, ecc...Occorrono quindi dei sistemi di misurazione delle performance aziendale capaci di monitorare e gestire tali variabili sempre più elementi essenziali per la creazione di valore; possiamo notare che essi sono stati sviluppati proprio per controllare la gestione in aziende che adottano logiche produttive ed organizzative avanzate (just in time, lean organization, flexible manufacturing system ecc...) caratterizzate da una maggiore rilevanza delle risorse immateriali. In questo sistema si sviluppa il "whole person concept" ossia le persone non debbano essere considerate solo per il lavoro che operativamente svolgono ma anche per il loro "cervello"; si prende coscienza del fatto che, in azienda, hanno un crescente rilievo i knowledge workers20. Il sistema di misurazione delle performance stimola il miglioramento continuo nello svolgimento delle operazioni cosicché le persone abbino tempo libero da dedicare ad attività diverse da quelle operative. Il tempo liberato può essere utilizzato per attività come la formazione, il problem solving strategico e tutte quelle attività che permettano di apprendere, creare e diffondere la conoscenza. Le competenze strategiche, legate indissolubilmente alla risorsa umana, sono quindi oggetto di monitoraggio e lo sono anche le pratiche di condivisione della conoscenza, essenziali per trasformare la conoscenza tacita in esplicita ossia strutturata nell'organizzazione.21 Affinché le risorse immateriali possano essere gestite è necessario che vengano sviluppati sistemi di misurazione ad hoc, centrati esclusivamente sul loro monitoraggio. Tali sistemi debbono essere focalizzati sulle molteplici e differenziate risorse immateriali e sulle loro relazioni, permettendo di coglierne le dinamiche di sviluppo. Essi dovrebbero monitorare le cause alla base della creazione e sviluppo di tali risorse, in modo di consentire una gestione finalizzata alla creazione di valore. Dunque risalta la conoscenza che ogni persona è in grado di acquisire e sviluppare, contribuendo così a far crescere il valore dell'azienda.

19 La logica cliente-fornitore è un concetto caratteristico nelle strutture per processi. Il processo è composto da n attività, esse sono svolte da m soggetti che hanno come obiettivo la massima efficacia dell' attività di cui sono responsabili; quindi compito di ogni soggetto sarà quello di svolgere la propria attività raggiungendo la massima efficacia e fornendo così un prodotto o un servizio ottimale al soggetto successivo che svolgerà una diversa attività. Quindi per i soggetti che faranno parte del processo il cliente non sarà il consumatore finale ma saranno i soggetti dello specifico processo.

20

I "gestori della conoscenza" sono quei soggetti all'interno dell'azienda che sono capaci di gestire la loro conoscenza per governare il futuro della loro attività. Quindi non si richiede più al top management e ai soggetti più elevati gerarchicamente di possedere informazioni, date, capacità di problem solving, leadership ecc... ma queste caratteristiche devono essere parte integrante di tutta la struttura organizzativa.

21

Cfr. G. Padroni, Aspetti della complessità e sensibilità "Postmoderna" nelle dinamiche organizzative e del capitale

(28)

27

CAPITOLO 2

2.1 IL CAPITALE INTELLETTUALE

Come abbiamo sostenuto nel paragrafo precedente la risorsa più importante per comprendere e competere nella società complessa come quella odierna è costituita dalla conoscenza e da altri elementi immateriali che fanno parte della combinazione azienda ma dei quali è difficile dare una forma quantitativa.

A fronte dell'accresciuta rilevanza delle risorse immateriali come determinanti della performance aziendale, negli studi di accounting si avverte una duplice esigenza:

1. possedere informazioni che consentano la gestione e la creazione di valore;

2. di comunicare agli stakeholders l'entità e la peculiarità degli intangibles che influenzano le prospettive future dell'azienda.

Negli anni 90' si diffonde il concetto di "capitale intellettuale" che identifica il sistema delle risorse immateriali aziendali. Molte sono le definizioni che vengono proposte e le classificazioni ad esse associate. Il capitale intellettuale è il sistema delle risorse immateriali aziendali su cui l'azienda

deve far leva per creare valore. (D'Egidio, 2012) Si utilizza volutamente la parola "sistema" e non

"insieme" perché tra le risorse immateriali che compongono il capitale intellettuale si sviluppano, incessantemente, delle relazioni che sono alla base della creazione e dello sviluppo dello stesso e anche della creazione di valore.

Il capitale intellettuale può essere inteso sia un'accezione quantitativa sia in una qualitativa. Sotto l'aspetto quantitativo, si ritiene che spieghi gran parte del differenziale tra valore di mercato e di bilancio, sotto quello qualitativo, esso può essere articolato in tre raggruppamenti. Tale articolazione è la seguente: capitale umano, capitale organizzativo e capitale relazionale.22

22

Cfr. L.Edvinsson, M. S. Malone, Intellectual Capital. Realizing your company' s true value by finding its hidden

brainpower, 1997

capitale intellettuale

capitale

umano

capitale

strutturale

capitale

relazionale

(29)

28

 CAPITALE UMANO: è costituito dalle conoscenze, capacità, competenze e abilità possedute dagli individui. Si tratta di capitale preso "in prestito" dai dipendenti e non di proprietà dell'azienda per garantirne un vantaggio competitivo lungo e sostenibile. Quindi diventa fondamentale per l'azienda cercare di catturare e trasferire all'interno della struttura organizzativa le conoscenze tacite possedute dai dipendenti attraverso 2 metodi:

- trasformare la conoscenza tacita, componente fondamentale del capitale umano, in conoscenza strutturata.

- rafforzare il legame tra capitale umano e azienda e, quindi, l'interesse degli individui a restare nell'organizzazione e a profondere le energie essenziali per creare valore. Le azioni possono essere molteplici come ad esempio gratificazioni di tipo monetario (es: sistemi di incentivazione) oppure di tipo immateriale (es: coinvolgimento del personale in progetti che accrescono le competenze, diffondere i valori aziendali a tutta l'organizzazione e creare una forte cultura, ecc..)

 CAPITALE ORGANIZZATIVO: è costituito dalla conoscenza codificata, immagazzinata in qualche elemento che la renda condivisibile e trasmissibile nel tempo e nello spazio. Questo capitale è meno volatile di quello umano ed è di proprietà dell'azienda. Nel capitale organizzativo rientrano anche i meccanismi operativi, la struttura organizzativa e la cultura aziendale. Si ritiene, infatti, che tali elementi siano espressivi della conoscenza che si è sedimentata, nel corso degli anni, all'interno dell'organizzazione. Un modello organizzativo efficacie e dai meccanismi collaudati accrescono il valore dell'impresa e rappresentano punti di forza difficilmente imitabili, in quanto sono indissolubilmente legati a quella specifica realtà aziendale, sono espressivi del suo funzionamento e del suo modus operandi. Tra capitale organizzativo e capitale umano si dovrebbe instaurare un circolo vizioso. Infatti il capitale organizzativo è costruito facendo leva sul capitale umano; questo, a sua volta, migliora e si incrementa anche in relazione all'efficacia ed efficienza nella gestione del capitale organizzativo. In tutto questo c'è un anello debole, ossia l'esistenza e il miglioramento del capitale organizzativo, presuppongono che vi siano persone disposte a lavorare in team e a condividere la propria conoscenza ed esperienza.

 CAPITALE RELAZIONALE è l'insieme delle relazioni che l'azienda instaura con i principali stakeholders. Bisogna precisare che così come il capitale umano non è di "proprietà" dell'azienda, non lo è il capitale relazionale. La proprietà degli assets, in questo caso, è "condivisa" con gli stakeholders. E' importante comprendere queste relazioni altrimenti si rischia di instaurare difficili rapporti con i portatori di interesse e di depauperare il patrimonio aziendale. Molti autori lo definiscono "capitale commerciale" ma, questo rappresenta solo una parte del capitale relazionale perché osserva il focus nella relazione con la clientela tralasciando le relazioni con gli altri interlocutori sociali. Infine in questa categoria rientra anche l'immagine aziendale, ossia la percezione che gli stakeholders hanno dell'azienda.

(30)

29

La tripartizione appena illustrata evidenzia l'aspetto statico del capitale intellettuale: infatti, così descritto, questo sembrerebbe essere composto da 3 stock. In realtà, tra i raggruppamenti, esistono continue interazioni: il capitale intellettuale deve essere osservato non solo sotto l'aspetto statico ma anche dinamico.

Il capitale intellettuale è costituito da risorse fondamentali per la creazione di vantaggi competitivi e un ruolo di primo piano è ricoperto per la conoscenza, tacita e strutturata, e dalle competenze. Nello studiarne la misurazione, soprattutto se orientata a supportare la gestione, bisogna tener presente i molteplici punti di contatto e le sinergie con le teorie strategiche ed organizzative esaminate precedentemente. Adesso andiamo ad analizzare alcuni modelli di misurazione della performance del capitale intellettuale.

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