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Le regole UEFA sul Financial Fair Play e il diritto dell'Unione Europea.

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Academic year: 2021

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(1)

1 A tutta la mia famiglia,

in particolar modo a mio padre

perché più di tutti non ha mai smesso di spronarmi

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2

Sommario

Introduzione ... 4

CAPITOLO I ... 6

IL C.D. “MODELLO EUROPEO DI SPORT”. ... 6

1. Introduzione al concetto di sport in Europa. ... 6

1.1 L’evoluzione dello sport in ambito europeo... 6

1.2 Il modello “piramidale” europeo: organizzazione e caratteristiche. ... 8

1.3 I meccanismi di finanziamento nel “modello europeo di sport.” 12 2. L’ordinamento giuridico sportivo. ... 14

2.1 La pluralità degli ordinamenti giuridici. ... 14

2.2 L’ordinamento sportivo: fonti e soggetti. ... 17

2.3 La legge 280/2003 e il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo. ... 28

3. La specificità dello sport nell’Unione Europea ... 33

3.1 Storia ed evoluzione della specificità dello sport in ambito comunitario ... 33

3.2 Le eccezioni alla specificità dello sport e le relative sentenze della Corte di giustizia. ... 35

3.3 Il caso Meca-Medina: una sentenza rivoluzionaria. ... 44

4. La funzione sociale dello sport. ... 48

4.1 Il carattere sociale dello sport: premessa. ... 48

4.2 La funzione sociale dello sport nel diritto dell’Unione europea: la Dichiarazione di Amsterdam n. 29, la c.d. Relazione di Helsinki e la Dichiarazione di Nizza. ... 50

4.3. La funzione sociale dello sport nel Libro Bianco sullo sport. ... 54

CAPITOLO II ... 59

LA GOVERNANCE EUROPEA SPORTIVA DOPO IL TRATTATO DI LISBONA 59 1. Lo sport a seguito del Trattato di Lisbona. ... 59

1.1 Premessa. ... 59

1.2 La nuova base giuridica introdotta dal Trattato di Lisbona: l’articolo 165 TFUE. ... 61

1.3 La Comunicazione della Commissione “Sviluppare la dimensione europea dello sport”. ... 67

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3

2. La gestione del settore sportivo in Europa ... 74

2.1 La buona governance e l’intervento dell’Unione Europea in materia sportiva. ... 74

2.2 La governance dell’Unione delle Federazioni Europee di calcio (UEFA). ... 83

2.3 Gli accordi di cooperazione con l’Unione Europea... 86

CAPITOLO III ... 93

IL SISTEMA LICENZE UEFA E IL FAIR PLAY FINANZIARIO ... 93

1. Introduzione al Fair Play Finanziario. ... 93

1.1 Premessa ... 93

1.2 Le cause che hanno portato all’introduzione del Fair Play Finanziario ... 94

1.3 Il Sistema delle Licenze UEFA ... 97

2 Il Fair Play Finanziario. ... 115

2.1 Rapida digressione circa le fonti regolatrici dello sport prima del Trattato di Lisbona. ... 115

2.2 La fase di monitoraggio e i requisiti del Fair Play Finanziario: “break even rule”. ... 116

2.3 Il UEFA Club Financial Control Body. ... 122

2.4 Il Settlement agreement, il Voluntary agreement, e le possibili sanzioni. ... 127

3. Il caso A.C. Milan. ... 133

Bibliografia. ... 150

Sitografia ... 156

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Introduzione

Lo scopo di questo elaborato è quello di analizzare i rapporti tra il diritto dell’Unione Europea e il sistema delle Licenze Uefa e del Fair Play Finanziario, nonché gli effetti positivi che quest’ultimo sta portando nel mondo del calcio.

Per comprendere a pieno la potenza, economica e non, di questo strumento è tuttavia necessario iniziare l'analisi dai primi studi sullo sport in ambito europeo.

Per questa ragione, il primo capitolo si incentra sull'evoluzione del concetto di sport all'interno del diritto comunitario. Si parte così dal c.d. modello piramidale europeo, costituito da una struttura gerarchica di federazioni che organizzano e regolano il settore sportivo, fino ad arrivare alla funzione per eccellenza riservata allo sport: la funzione sociale. Il concetto di funzione sociale dello sport verrà analizzato guardando a tre delle principali fonti giuridiche che ci hanno aiutato nella comprensione e nell'applicazione del concetto di sport in ambito europeo: la dichiarazione di Amsterdam n.29, la dichiarazione di Nizza e il Libro Bianco sullo sport. All'interno dello stesso capitolo si toccano ulteriori temi, anch'essi fondamentali per la comprensione dell'intero testo, come l'eterno conflitto sulla nozione specificamente giuridica di sport e le relative sentenze, l'ordinamento giuridico sportivo e la legge 280/2003 sul principio di autonomia dello stesso.

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Il secondo capitolo verterà sulle vicende piuttosto recenti, relative al panorama sportivo europeo. Grazie al trattato di Lisbona si assiste alla consacrazione del concetto di sport in ambito europeo. È da attribuire a tale trattato, e agli articoli 6 e 165 TFUE, il fatto che adesso all'Unione Europea sia riconosciuta una competenza di sostegno e coordinamento del settore sportivo. Attraverso l'inserimento del concetto di sport nel trattato, l'Ue e le istituzioni sportive internazionali hanno iniziato a collaborare per il raggiungimento di vari obiettivi, tra i quali il più importante è da ravvisarsi nella buona governance del settore sportivo. Attraverso risoluzioni del Parlamento Europeo o del Consiglio dell'Unione Europea, decisioni della Commissione, ovvero ancora grazie agli accordi di cooperazioni tra Ue e Uefa, si cerca di raggiungere una buona governance del settore sportivo. Il perseguimento di questo obiettivo comporta inevitabilmente l'introduzione del Financial Fair Play.

Con il terzo capitolo si entra nel vivo dell'elaborato. Questa parte si sofferma sull'analisi del sistema delle Licenze Uefa, sull'introduzione e sull'applicazione del FFP in Europa, prestando particolare attenzione agli aspetti prettamente tecnici e organizzativi del sistema. Inoltre, l'analisi si sofferma sui diversi procedimenti che rendono possibile alle squadre qualificate per le competizioni europee di accedere ad incontri internazionali. La parte finale dell'elaborato si sofferma con maggior attenzione sul caso più celebre, che vede come protagonista la squadra A. C. Milan. Trattandosi del primo episodio veramente eclatante in ambito di fair play finanziario, può sicuramente definirsi come il punto di partenza dell'approfondimento di questo fenomeno. Si tratta, infatti, della prima vera e propria manifestazione di risposta veramente punitiva nei confronti di una squadra di calcio così prestigiosa.

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CAPITOLO I

IL C.D. “MODELLO EUROPEO DI SPORT

1

”.

1. Introduzione al concetto di sport in Europa.

1.1 L’evoluzione dello sport in ambito europeo.

Immediatamente dopo la fine della Seconda guerra mondiale si formarono in Europa due differenti modelli di sport: quello dell’Europa occidentale e quello dell’Europa orientale. Nel primo caso lo sport aveva un fine quasi ideologico, in quanto era interpretato come attività di stampo propagandistico, legata al potere pubblico da rigorosi vincoli. Questo regime in particolare ha sfruttato l’enorme appeal dello sport per promuovere il loro credo ideologico, utilizzando le vittorie delle squadre nazionali come incentivo per la loro campagna politica. Nel caso dell’Europa occidentale, invece, lo sport si è evoluto secondo un modello misto, in cui convivevano iniziative di Stato e altre organizzazioni private (Federazioni, Leghe, Enti di promozione sportiva). All'interno di quest’ultimo macro-gruppo non mancavano

1 Consultazione sul modello europeo di sport, novembre 1998. L’atto si apre con un’analisi storica del

fenomeno sportivo, con particolare attenzione alla descrizione dei due modelli europei di sport (quello dell’Europa Occidentale e quello dell’Europa Orientale) esistenti fino alla metà degli anni ottanta; si descrive, poi, l’attuale struttura piramidale dello sport e se ne mettono in risalto i cambiamenti politici ed economici subiti nel tempo, anche a causa della disgregazione del blocco sovietico, dell’aumento degli investimenti in ambito sportivo e alcuni cambiamenti delle regole ad opera del Comitato Olimpico Internazionale, (il riferimento è in particolare, all’autorizzazione da parte del CIO, alla sponsorizzazione dei Giochi Olimpici, che ha favorito la commercializzazione di tutti i settori dello sport). Infine, la Commissione non manca di individuare problemi connessi allo sport, dal razzismo alla violenza, dai diritti televisivi al doping e al diritto alla salute, che pongono il fianco a forti distorsioni del suo ruolo sociale. Il documento si conclude con un questionario che verrà inviato alle Parti interessate e che la Commissione si impegna a prendere in debita considerazione nell’elaborazione di atti e politiche future.

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tuttavia le differenze, soprattutto per quanto riguardava l’ingerenza dello Stato nei confronti dello sport, tra paesi del nord e paesi del sud; nei paesi nordici lo Stato non svolge alcuna funzione regolatrice diversamente da quanto accade nei paesi meridionali.

Negli anni del secondo dopo-guerra gli Stati europei hanno come unico interesse quello di evitare successivi conflitti e quindi di salvaguardare la pace attraverso un’azione comune. Ciò porta, nel 1952, alla prima Comunità Europea e, altrettanto importante sotto il piano sportivo, alla creazione della televisione paneuropea e alla diffusione della radio europea. Nello stesso momento si assiste anche alla creazione dell’UEFA nel 1954 e con essa alla nascita dei tornei tra i club europei. Successivamente alla frammentazione del blocco sovietico e all’apertura dell’Europa dell’est alle manifestazioni sportive comunitarie, il palcoscenico sportivo europeo cambia decisamente. A tutto ciò dobbiamo aggiungere due componenti molto importanti: 1) gli effetti della sentenza Bosman, relativa alla libera circolazione degli sportivi, che ha riconosciuto la non sussistenza di nessuna ragione per cui gli sportivi professionisti non debbano godere dei benefici del mercato unico e ciò ha provocato un aumento del livello delle attività sportive che si servono della partecipazione di atleti provenienti da ogni nazione; 2) l’aumento degli investimenti economici in ambito sportivo che, unito all’espansione di nuove tecnologie e all’apertura delle sponsorizzazioni portano ad un’accesa lotta per l’acquisto dei diritti di trasmissione degli eventi sportivi più importanti. Per fronteggiare questo innalzamento della competizione europea i principali club hanno dovuto individuare ulteriori fonti di finanziamento. Dal novembre 1997 i maggiori club di Premier League sono quotati in borsa (la Juventus Spa è entrata in borsa solo nel dicembre 2001). Questo mezzo di finanziamento ha aiutato e aiuterà i maggiori club europei a conservare la loro leadership nello sport europeo.

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Tutti questi cambiamenti economici hanno portato ad una rifondazione dei sistemi di finanziamento degli eventi sportivi, ormai legati in misura sempre crescente alle entrate derivanti dalle sponsorizzazioni e altre forme di comunicazione commerciale. Questa “mercificazione” sportiva ha comportato lo snaturamento dello sport così come inteso dal barone francese Pierre de Coubertin ed alla scissione, avvenuta nei primi anni 80 da parte del CIO, dello sport in due grandi rami: lo sport amatoriale e agonistico non retribuito da un lato, e lo sport professionistico dall’altro. L’originario sistema europeo dello sport si adatta alla perfezione con il primo ramo, tuttavia non si può dire lo stesso per il secondo. È stata la stessa Commissione Europea, in occasione della stesura del Libro Bianco sullo sport, a evidenziare questo grande rischio che minaccia lo sport europeo: “Il rapido

sviluppo conosciuto recentemente dallo sport europeo mostra che questo sistema potrebbe essere oggetto di trasformazioni radicali, e per questo è tanto importante condurre una riflessione sul modo di organizzazione di questo settore nei prossimi anni. Senza tale riflessione il sistema sportivo europeo rischia di scoppiare sotto la pressione di gruppo economici che desiderano ispirarsi a formule per lo sport agonistico già sperimentate in altre parti del mondo, in particolare negli Stati Uniti”2.

1.2 Il modello “piramidale” europeo: organizzazione e caratteristiche.

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Sotto un aspetto prettamente più organizzativo, la Commissione Europea ha riscontrato che lo sport in Europa si fonda su un sistema di federazioni nazionali (solitamente una per paese) che hanno, generalmente, una struttura piramidale e gerarchica. Alla base della piramide troviamo i club, enti per lo più costituiti in forma associativa che svolgono funzioni di interesse pubblico. Attraverso queste organizzazioni locali si mira a garantire a chiunque la partecipazione e lo svolgimento di attività sportive, promuovendo l’idea dello “sport per tutti” e favorendo in questo modo lo sviluppo di ulteriori generazioni di sportivi. È in questo caso che si individua la funzione sociale dei club, divenendo luogo sia concreto che simbolico di incontro per le persone.

Al livello successivo entriamo in contatto con una realtà completamente diversa da quella dei club: le federazioni. Le federazioni sono associazioni di diritto privato, dotate di personalità giuridica secondo l’art. 12 del codice civile. Il legislatore, attraverso il D.lgs. 242/1999, ha abrogato l’art. 14 della legge 91/1981 ed ha riconosciuto alle federazioni il carattere privatistico, qualificandole come associazioni con personalità giuridica di diritto privato e pertanto sottoposte alla disciplina del codice civile. Esse, tuttavia, rimangono assoggettate al controllo del CONI, sia al momento della loro costituzione, attraverso l’istituto del riconoscimento dei fini sportivi (condizione indispensabile per l’ottenimento della personalità giuridica di diritto privato), sia nel corso della loro attività: infatti è la Giunta nazionale del CONI che ha un potere di controllo sulle federazioni e sull’approvazione del bilancio federale.

Ritornando alla nostra struttura piramidale, subito dopo i club incontriamo le federazioni regionali, a cui sono di regola affiliati la maggior parte dei club. Queste federazioni hanno il compito principale di coordinare le attività sportive all’interno di una determinata area geografica e compiti di responsabilità nell’organizzazione dei

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campionati regionali (per esempio, in Germania vi sono grandi confederazioni regionali a cui appartengono tutti i club di una regione). A seguire troviamo le federazioni nazionali (una per ogni disciplina sportiva) solitamente composte da tutte le federazioni regionali. Le federazioni nazionali si dedicano a tutte le questioni che riguardano la propria disciplina sportiva, la rappresentano nelle federazioni europee o internazionali e soprattutto si occupano dell’organizzazione dei campionati nazionali. Quest'ultima materia è di esclusivo monopolio della singola federazione nazionale, essendo, come già in precedenza detto, unica per ogni disciplina sportiva.

Al vertice della “piramide” si trovano le federazioni europee o internazionali, organizzate secondo le medesime regole delle federazioni nazionali e sovrintendono l’organizzazione dei campionati europei. Queste federazioni tentano spesso di mantenere la loro posizione attraverso regole che spesso si trasformano in sanzioni: come per esempio le sanzioni per chi partecipa a campionati non riconosciuti o non autorizzati dalla federazione internazionale. Guardando a quelle che sono le caratteristiche del modello europeo di sport dobbiamo iniziare a descrivere il sistema delle promozioni e delle retrocessioni che è una conseguenza diretta del sistema piramidale europeo. Questa struttura ad hoc comporta una correlazione tra i vari livelli, sia sotto un punto di vista organizzativo, sia sotto un punto di vista delle competizioni perché si organizzano incontri a tutti i livelli. Pertanto, una squadra di livello regionale può qualificarsi ad un campionato superiore (nazionale o internazionale) attraverso una promozione; allo stesso modo, una squadra che non riesce ad ottenere la qualificazione verrà retrocessa. Promozioni e retrocessioni rappresentano quindi una colonna portante dello sport europeo ed una delle principali differenze che si riscontrano con lo sport americano, dove una squadra, nonostante la mancata qualificazione, non retrocede

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nella serie inferiore. Gli Stati Uniti, infatti, hanno adottato un modello che si basa su campionati molto più ristretti e federazioni multi-sportive. Il sistema delle promozioni e delle retrocessioni europeo, invece, risulta essere un fattore di riequilibrio e di re incentivazione nei vari campionati perché grazie all’ingresso di nuove squadre si aumenta l’interesse rispetto alle competizioni ristrette. Tuttavia, bisogna segnalare un nuovo orientamento volto alla fusione dei due sistemi (europeo e nordamericano) che comporterebbe la creazione di una “Superlega” e l’adozione di criteri economici e tecnici, il tutto a discapito del sistema delle promozioni e retrocessioni.

Un'ulteriore caratteristica dello sport europeo è stata individuata dalla dichiarazione di Amsterdam n.29 allegata al trattato3 la quale riconosce

allo sport una funzione sociale. Della funzione sociale in particolare parleremo più dettagliatamente nei successivi paragrafi. Quello che in questo momento ci deve interessare è la caratteristica dello sport europeo di rafforzare l’identità nazionale e di riavvicinare le persone, di collaborare per una futura e più sicura stabilità sociale. Lo sport, infatti, è simbolo di cultura e identità, è in grado di creare un senso di appartenenza ad un gruppo, sia esso composto da giocatori, sia composto da comuni tifosi cittadini. Proprio per questo viene considerato come una delle ultime passioni nazionali, in grado di accrescere l’identità nazionale o regionale di qualsiasi persona. Nonostante ciò, da questa caratteristica dello sport europeo possono derivare anche effetti negativi che possono andare a deturpare ed inquinare il sistema europeo: si parla di razzismo o di eccessi nazionalisti o, come accade ultimamente di frequente, di fenomeni di violenza da parte dei c.d. hooligans.

3 “La conferenza sottolinea la rilevanza sociale dello sport, in particolare il ruolo che esso assume nel

forgiare l'identità e nel ravvicinare le persone. La conferenza invita pertanto gli organi dell'Unione Europea a prestare ascolto alle associazioni sportive laddove trattino questioni importanti che riguardano lo sport. In quest'ottica, un'attenzione particolare dovrebbe essere riservata alle caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico”; v. Trattato di Amsterdam, Dichiarazione n. 29 Allegata, in GUCE C 340 del 10 novembre 1997.

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Un'altra caratteristica tipica del modello europeo di sport è la sua origine di base: tutto il movimento sportivo europeo si sviluppa dalla sua base, ovvero dall’attività con cui i club organizzano le manifestazioni e/o competizioni sportive a livello locale e che, solitamente, non sono connesse con lo Stato o con un’impresa. Questo fenomeno si percepisce anche dal fatto che principalmente lo sport in Europa viene gestito da volontari o da non professionisti che non vengono retribuiti, vale a dire persone per le quali lo sport rappresenta un passatempo o un modo per partecipare attivamente allo sviluppo della società. Anche di fronte a questa caratteristica possiamo notare una grande differenza con lo sport statunitense visto che quest’ultimo ruota tutto intorno al mondo degli affari e di conseguenza viene gestito soprattutto da professionisti.

L'importanza dello sport in Europa la si può notare anche dal fatto che solitamente sono gli Stati membri ad ospitare le competizioni sportive mondiali: ad esempio si sono svolti in Europa il 54% dei giochi olimpici estivi organizzati tra il 1896 e il 1996 e il 50% dei campionati mondiali di calcio organizzati tra il 1930 e il 1998. Appunto per questo bisogna considerare l’Europa come motore dello sport mondiale.

1.3 I meccanismi di finanziamento nel “modello europeo di sport.”

Il sistema europeo dello sport mostra tuttavia alcune difficoltà dovute alla crescente importanza dei diritti televisivi, che come abbiamo accennato in precedenza, portano ad un rapido cambiamento nei

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sistemi di finanziamento delle squadre. Le federazioni nazionali negli ultimi trent’anni hanno modificato la loro impostazione di base, passando da semplici organi regolatori ad essere gli effettivi protagonisti nelle trattative per i diritti televisivi, pertanto agendo come vere e proprie imprese commerciali. Questo cambio di mentalità ha generato dubbi ed incertezze sia da parte dei grandi club europei, sia da parte dei club minori, che reputano non più tutelati adeguatamente i propri interessi. I più grandi club europei chiedono alle federazioni una percentuale maggiore dei loro guadagni avvertendo che in caso contrario lasceranno la federazione per poi creare dei campionati a sé stanti (evento che è accaduto in Inghilterra e Spagna nel mondo del calcio e in Spagna, Italia e Francia per la pallacanestro). In queste

competizioni ristrette i guadagni rimangono all’interno

dell’organizzazione che, essendo indipendente, non ha alcun interesse nel finanziare gli altri sport; pertanto, qualsiasi intensificazione di questo fenomeno rischia di danneggiare lo sport in Europa. I club di base, dal canto loro, accusano le federazioni di non eseguire più quello che è il loro compito “pubblico” di promozione dello sport. Precisamente affermano che questo nuovo sistema di ripartizione dei guadagni non funzioni regolarmente, andando contro i loro interessi. Bisogna capire se le federazioni riusciranno ad armonizzare questa doppia funzione così fortemente criticata, ovvero se sarà possibile conciliare l’attività di impresa commerciale con quella di promozione dello sport per tutti.

Sempre sotto un aspetto relativo ai finanziamenti, non si può non citare la sentenza Bosman4 e soprattutto gli effetti a cui essa ha portato. Fino al 1995 le società traevano i maggiori profitti dalle indennità di trasferimento e quando quest’ultime sono state abolite le retribuzioni dei calciatori sono cresciuti e i club hanno dovuto compiere sacrifici

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enormi per potersi assicurare i migliori giocatori sul mercato. Il sistema di finanziamento dello sport europeo attualmente si basa in larga parte sulle entrate legate agli eventi sportivi che però, allo stesso tempo, dipendono dall’interesse che essi esercitano presso gli spettatori. C'è pertanto un forte rischio che sopravvivano solo gli sport di maggior richiamo, come il calcio, e che gli sport “minori” svaniscano nel nulla. Fu proprio l’avvocato Lenz5 nella causa Bosman ha suggerire che le

entrate venissero suddivise equamente per poter mantenere un certo equilibrio concorrenziale. Partendo da questo suggerimento la UEFA ha creato un sistema di solidarietà per la distribuzione delle entrate derivanti dalla Champions League: si tratta di un sistema che ha come obiettivo quello di riequilibrare il livello finanziario e competitivo dei club e di promuovere il calcio in generale.

2. L’ordinamento giuridico sportivo.

2.1 La pluralità degli ordinamenti giuridici.

5 BOSMAN, causa 415/93, Conclusioni dell’Avvocato generale Carl Otto Lenz,, in Riv. Dir. Sport., 1996,

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A seguito di un lungo percorso dottrinale intrapreso agli albori del XIX secolo, possiamo oggi affermare che l’ordinamento sportivo ha acquisito la caratteristica di ordinamento giuridico autonomo, anche in mancanza di una sovranità originaria. Alcuni studiosi, che inizialmente erano in maggioranza, sostenevano la tesi della non giuridicità dell’ordinamento sportivo e ne sottolineavano soltanto il carattere tecnico, in quanto questo era il responsabile e il coordinatore della pratica sportiva. Secondo il giurista Carlo Furno6, lo sport, anche se molto importante per la società, non era altro che “un complesso o un

sistema di giochi” ed in più non si poteva “neppure lontanamente configurare alcuna interferenza o collisione tra l’ordinamento giuridico statale e l’ordinamento tecnico sportivo” in quanto

“eterogenei e situati su piani differenti”. Quindi, secondo Furno, il diritto e la regolamentazione dello sport erano categorie del tutto differenti. Il Carnelutti7 sosteneva una tesi molto simile a quella del Furno: secondo lo storico giurista veneto vi poteva essere una compatibilità tra diritto e sport solamente perché i competitori nello sport erano obbligati a porsi delle regole senza il cui rispetto non poteva esercitarsi il gioco. Bisogna però dire che il diritto nello sport aveva uno scarso utilizzo e uno scarso peso in quanto il sistema era per larga parte uniformato dal principio del fair play. Il primo a parlare di ordinamento giuridico sportivo fu il Cesarini Sforza8 che tentò di ricostruire il fenomeno sportivo come ordinamento denominandolo “il

diritto dei privati”9. Questa corrente fu fondamentale perché

finalmente si riuscì a mettere in risalto la concezione pluralistica degli

6 C. Furno,”Note critiche di giochi, scommesse e arbitraggi sportivi”, Rivista Trimestrale Italiana di

Diritto Processuale Civile, 1952.

7 F. Carnelutti, “Figura giuridica dell’arbitro sportivo”, Rivista di Diritto Processuale, 1953.

8 W. Cesarini Sforza, “Il diritto dei privati”, Rivista Italiana di Scienze Giuridiche,1929 e in collana Civiltà

del Diritto, vol.5, Giuffrè, Milano, 1963 – “Ordinamenti giuridici (Pluralità di)”, in Nuovissimo Digesto, vol. XII

9 W. Cesarini Sforza, “La teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo”, in Foro Italiano, 1933, I,

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ordinamenti giuridici sostenuta da tempo dal Santi Romano10. Secondo quest’ultimo l’ordinamento statale è una specie del genere più esteso del concetto generale di ordinamento giuridico. Il sistema statale è fornito di un più alto grado di effettività di potere, ma allo stesso tempo possono coesistere al suo interno differenti gruppi sociali che si disciplinano attraverso una loro normativa. L’aumento di importanza sul piano sociale di questi ordinamenti, diversi da quello statale, ha portato i giuristi ad abbracciare la concezione pluralista degli ordinamenti giuridici. È con il Giannini11 che si pongono solide basi a sostegno della tesi della pluralità. Egli riuscì ad individuare all’interno di questi organismi tre elementi che generalmente venivano associati agli ordinamenti giuridici: la “plurisoggettività”, ovvero la necessaria presenza di persone fisiche ed enti che contribuiscono alla pratica sportiva; l’organizzazione, quindi una struttura in grado di regolare e curare la disciplina sportiva anche attraverso la risoluzione di conflitti; la “normazione”12, un insieme di norme con finalità regolatrici di ogni

fatto rilevante all’interno dello sport. Questa tesi è stata poi sostenuta da sempre più studiosi del diritto che hanno così individuato il vero nocciolo della questione: la trasformazione dello sport da pratica puramente ludica ad una organizzata e ordinata. Pertanto, possiamo dire che gli ordinamenti sportivi si concretizzano in un complesso di

10 Nella celeberrima teoria istituzionalistica, Santi Romano sosteneva che potesse configurarsi la

sussistenza di un ordinamento giuridico ogniqualvolta si fosse ravvisata la presenza di un insieme di soggetti organizzati in strutture predefinite e retti da regole certe. Secondo il Romano i requisiti dell’ordinamento giuridico sono: la società (ossia l’insieme dei soggetti), la normazione (ossia il complesso delle regole organizzative), l’ordine sociale (ossia il sistema delle strutture entro cui i soggetti membri della società si muovono).

11 M.S. Giannini, “Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi”, Rivista di Diritto Sportivo,

1949, pag. 10.

12 Secondo M.S.Giannini "Il gruppo organizzato ed effettivamente produttore di norme proprie dicesi

ordinamento giuridico. Descrittivamente si può anche dire che ordinamento giuridico è un gruppo di soggetti, che per interessi comuni si organizza, conferendo a una autorità dei poteri, e dandosi delle norme che hanno una effettiva vigenza. Le componenti primarie dell'ordinamento sono quindi la plurisoggettività (complesso dei componenti il gruppo), l'organizzazione e la normazione”. Sviluppando l'ipotesi della pluralità degli ordinamenti giuridici, la dottrina giunge dunque a definire con precisione quali siano gli elementi necessari degli ordinamenti giuridici (cioè gli elementi in assenza dei quali non può parlarsi di ordinamento giuridico) e arriva anche a definire quali possano essere i rapporti tra i vari ordinamenti giuridici.

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norme, di natura giuridica, in quanto dotati di basi costitutive fondamentali.

Tuttavia, la convivenza tra gli ordinamenti giuridici può portare a degli scontri ed è per questo che si crea la necessità di predisporre mezzi di coordinamento. I vari studi dottrinali, relativi al rapporto Stato-sport e relativi alla possibilità per quest’ultimo di avere una propria dimensione, hanno portato alla formazione di due tipi di orientamenti: uno “monista”, secondo il quale l’ordinamento statale è e deve essere l’unico ordinamento esistente; l’altro “pluralista” che ammette con fermezza le norme giuridiche esistenti nei vari gruppi sociali organizzati. Nonostante ciò non è possibile individuare una soluzione unica in grado di soddisfare tutti. I monisti contestano l’impossibilità di adozione della regola sportiva in mancanza di un tangibile intervento del diritto statale; i pluralisti, dal canto loro, sostengono la tesi dell’esistenza di un ordinamento sportivo vicino a quello statale, dotato degli stessi poteri regolatori e giudiziari finalizzati alla pianificazione dell’attività settoriale sportiva. In questo modo si giunge alla conclusione di un reciproco riconoscimento tra i due ordinamenti.

2.2 L’ordinamento sportivo: fonti e soggetti.

Nel nostro ordinamento statale si annoverano tutta una serie di ordinamenti aventi finalità di interesse collettivo, dotati di una propria autonomia ma comunque operanti nel rispetto dei principi di supremazia dell’ordinamento statale. Questi ordinamenti sono tutti il risultato della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, tra i quali ritroviamo anche l’ordinamento sportivo. Secondo il principio

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della pluralità degli ordinamenti giuridici, infatti, ogni fenomeno associazionistico dotato dei caratteri della plurisoggettività, dell’organizzazione e della normazione è qualificabile come Istituzione o Ordinamento. La nostra carta fondamentale ne sancisce e ne riconosce la legittimità nell’art. 2 quando stabilisce che “la

Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. In aggiunta a ciò, anche

l’articolo 18 della Costituzione, relativo alla garanzia della libertà di associazione, si pone come base costituzionale del principio del pluralismo sociale: “i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente,

senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Nel nostro paese l’ordinamento

sportivo è costituito da un articolato sistema che fa capo al Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), a sua volta aderente al Comitato Internazionale Olimpico (CIO). Pertanto, il nostro ordinamento sportivo ha la caratteristica di dover rispettare sia le norme dell’ordinamento statale, sia i dettami dell’ordinamento sportivo internazionale13. Ordinamento che ha, come ogni ordinamento settoriale, il potere di emettere nei settori di propria competenza, regole vincolanti per i propri membri ed il potere di deputare ad organi competenti l’applicazione delle medesime regole e la risoluzione di eventuali conflitti. Tuttavia, a differenza di quello statale, l’ordinamento sportivo non si presenta come sovrano, in quanto è carente del carattere dell’originalità, cioè “di quel carattere in virtù del

quale la titolarità e l’esercizio del potere non traggono derivazione da

13 Art. 2 D.lgs. 242\1999: il CONI si conforma ai principi dell’ordinamento sportivo internazionale, in

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19 nessun'altra entità ordinamentale superiore”14, tanto è vero che nasce

e si sviluppa all’interno dell’ordinamento statale e internazionale e pertanto deve uniformarsi agli stessi. A tal proposito, è la stessa Cassazione, con una sentenza del 11 febbraio 1978, n.625 ad affermare che “il fenomeno sportivo, quale attività disciplinata sia in astratto

che in concreto, visto indipendentemente dal suo inserimento nell’ordinamento statale, si presenta come organizzazione a base plurisoggettiva per il conseguimento di un interesse generale. È un complesso organizzato di persone che si struttura in organi cui è demandato il potere-dovere, ciascuno nella sfera di sua competenza, di svolgere l’attività disciplinatrice, sia concreta che astratta, per il conseguimento dell’interesse generale. È, dunque, un ordinamento giuridico”15, quindi, un ordinamento che è autonomo, che attinge la sua fonte dall’ordinamento giuridico internazionale e ha un potere amministrativo e normativo.

In relazione all’ordinamento sportivo nazionale, dobbiamo analizzare fin da subito la caratteristica della plurisoggettività, ovvero la necessaria presenza di una pluralità di soggetti che si occupano della pratica sportiva. All'interno di questa caratteristica è necessario distinguere due categorie: 1) gli enti associativi; 2) le persone fisiche. Gli enti associativi presenti nell’ordinamento sportivo sono sei: a) il CIO; b) il CONI; c) le federazioni sportive; d) le discipline sportive associate; e) le associazioni sportive e le società; f) gli enti di promozione sportiva. Dall'altro lato, all’interno della categoria delle persone fisiche ritroviamo; a) gli atleti; b) i tecnici sportivi; c) gli ufficiali di gara.

• Il CIO (Comitato Olimpico Internazionale), fondato nel 1894 dal barone francese Pierre de Coubertin, è un ente sovranazionale a cui sono associati i singoli Stati dotati, al loro

14 M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti giurdici sportivi, cit., p. 18. 15 Cass., 11 febbraio 1978 n. 625, in Foro It., 1978, I, 86

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interno, di un Comitato Olimpico Nazionale di riferimento. È un organismo permanente che segue i principi della Carta Olimpica. Attualmente ha sede a Losanna, in Svizzera, e vi aderiscono innumerevoli comitati olimpici nazionali. La sua funzione principale è quella di supervisionare i Giochi Olimpici e di ricevere le candidature per poterli organizzare, procedendo, in un secondo momento, all’assegnazione dei medesimi sulla base di una votazione effettuata dai propri membri. Il CIO è anche il coordinatore dei Comitati Olimpici

Nazionali e di altre organizzazioni collegate, che

collettivamente formano il c.d. Movimento Olimpico.

• Il CONI viene ufficialmente disciplinato organicamente attraverso la legge n. 426 del 194216, che li attribuisce la qualifica di ente pubblico in grado di organizzare e perfezionare lo sport nazionale. Il CONI è stato oggetto di una revisione con il D.lgs. n.242 del 1999 “Riordino del Comitato

olimpico nazionale italiano, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59” il quale ha segnato profondamente

sull’organizzazione dello stesso, rideterminando le

competenze degli organi di vertice, nonché stabilendo nuovi principi in materia di compatibilità e di partecipazione democratica nella gestione del fenomeno sportivo. Questa riforma17 abbraccia una più imponente innovazione nel campo

della pubblica amministrazione, ove, attraverso una pluralità di interventi normativi (da ultimo il D.lgs. 165 del 2001), si è voluto separare l’attività politica da quella gestionale. Recentemente il legislatore è intervenuto con un ulteriore decreto legislativo (D.lgs. n.15 del 2004) dove ha codificato ed

16 Con il D.P.R. 530 del 1974 si assiste alla definitiva e completa normazione sul CONI. 17 Tutti gli ambiti della pubblica amministrazione sono stati oggetto di una profonda revisione

normativa che parte dalla volontà di tenere distinta l’attività di gestione da quella politica. Un primo accenno a questo cambiamento era già presente nelle leggi 241/90 e 142/90 relative rispettivamente alla semplificazione amministrativa e all’ordinamento degli enti locali, ma poi ha trovato la propria dimensione operativa generalizzata con il D.lgs. 29/93, come ora sostituito dal D.lgs. 165/01

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istituzionalizzato la piena uguaglianza tra le Federazioni sportive nazionali e le Discipline associate. Il CONI ha sede a Roma, è un ente di diritto pubblico ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali. In virtù di disposizioni normative il CONI si deve uniformare ai principi dell’ordinamento sportivo internazionale e pertanto essere rispettoso dell’orientamento derivante dal CIO.

• Le Federazioni Sportive Nazionali sono state riconosciute come associazioni aventi personalità giuridica di diritto privato dal D.lgs. n. 242 del 1999. L'articolo 15 di questo decreto legislativo è molto importante in questo senso, perché codifica la natura privata delle Federazioni Sportive. In passato si era ritenuto che queste federazioni altro non fossero che organi del CONI, con tutta una serie di problemi circa la natura giuridica degli atti posti in essere dalle Federazioni stesse.

• Accanto alle Federazioni Sportive Nazionali troviamo le Discipline sportive associate, che possono essere riconosciute dal Consiglio Nazionale (organo del CONI) purché detengano determinati requisiti. Attraverso questo riconoscimento, le Discipline sportive associate godono degli stessi attributi delle Federazioni. Queste discipline sportive sono alternative a quelle riconosciute come Federazioni Sportive Nazionali, in quanto lo Statuto del CONI prevede che il Consiglio Nazionale possa riconoscere una sola Disciplina associata per ciascuno sport.

• Le società e le associazioni sono regolate dall’art. 29 dello Statuto del CONI il quale prevede che queste siano guidate da principi democratici e di pari opportunità e che non abbiano uno scopo di lucro, salvi i casi espressamente previsti dall’ordinamento e previa deroga del Consiglio Nazionale. Sono dei veri e propri soggetti dell’ordinamento sportivo e

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pertanto devono esercitare le loro attività secondo principi di lealtà sportiva, attenendosi ai principi, alle norme e alle consuetudini sportive, preservando quelle che sono le funzioni sociali, culturali ed educative dello sport. Inoltre, lo Statuto del CONI evidenzia come le società e le associazioni, in particolar modo quelle professionistiche, devono esercitare la loro attività guardando sempre al principio di solidarietà economica tra lo sport di alto livello e quello base.

• Gli enti di promozione sportiva sono regolati dallo Statuto del CONI nel Titolo VI. Questi enti svolgono la funzione di organizzare attività sportive con finalità ricreativa e formativa. Devono rispettare i principi dettati dal CONI e dalle Federazioni Sportive Nazionali e possono anche concludere con queste ultime delle convenzioni. All'interno del loro statuto è espressamente prevista l’assenza di un fine lucrativo e l’osservanza dei principi democratici e di pari opportunità. Per quando riguarda l’aspetto di sostentamento, gli enti ricevono delle entrate proprie ed un contributo annuale, stanziato dal CONI, con riferimento alla conformazione organizzativa e all’attività svolta.

Passando ora ad una breve disamina sulle persone fisiche bisogna distinguere tra:

• Gli atleti, regolati dall’art. 31 dello Statuto CONI, entrano a far parte dell’ordinamento sportivo attraverso il “tesseramento”, un atto formale attraverso il quale gli stessi depositano una serie di rapporti giuridici tra i quali anche l’obbligo di conoscere e di rispettare la normativa sportiva. Lo Statuto stabilisce che gli atleti sono soggetti dell’ordinamento sportivo e pertanto devono esercitare la loro attività seguendo il principio di lealtà sportiva, osservando i principi, le norme e i dettami sportivi. Gli atleti devono praticare lo sport seguendo

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sempre gli indirizzi del CIO, del CONI e anche della Federazione Sportiva Nazionale a cui appartengono; essi devono rispettare anche le norme della competente Federazione Internazionale, a patto che queste non collidano con le norme del CIO e del CONI.

• I tecnici sportivi sono disciplinati dall’art. 32 dello Statuto del CONI. Sono soggetti dell’ordinamento sportivo e devono rispettare i principi e le norme sportive, esercitando la loro attività con lealtà sportiva, osservando gli indirizzi del CIO, del CONI e delle Federazioni a cui appartengono. Essi sono inquadrati all’interno di una società o di una associazione sportiva riconosciuta, o comunque iscritti nei quadri tecnici federali.

• Gli ufficiali di gara (art. 33 dello Statuto del CONI) sono tenuti ad esercitare la loro attività in osservanza dei principi di terzietà, imparzialità ed indipendenza di giudizio. Gli ufficiali di gara partecipano allo svolgimento delle manifestazioni sportive per assicurarne la validità e la conformità. Anche gli ufficiali di gara possono associarsi in gruppi dalla competente Federazione Sportiva Nazionale.

Rivolgendo la nostra attenzione alle fonti del diritto sportivo, possiamo osservare la presenza di una pluralità di fonti, nazionali ed internazionali, eteronome ed autonome. Le fonti nazionali per eccellenza sono: la Costituzione; le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge; lo Statuto e i Regolamenti del CONI; gli Statuti e i Regolamenti delle singole Federazioni Sportive, delle Discipline Sportive e degli Enti di promozione sportiva; le Carte federali. Da esse distinguiamo le fonti internazionali dell’ordinamento sportivo: la Carta Olimpica; la Carta Europea dello Sport per tutti; la Carta internazionale dello sport e dell’educazione fisica dell’UNESCO; la Carta Europea dello sport; il Libro Bianco sullo sport; il Trattato di Lisbona. Prima di

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passare all’esame delle singole fonti è utile fare un’ulteriore distinzione. All'interno dell’ordinamento sportivo possiamo trovare, da un lato, le fonti autonome, ovvero fonti che vengono create proprio dall’ordinamento stesso e sono: la Carta Olimpica, le Direttive e Raccomandazioni del CIO; gli Statuti delle singole Federazioni Sportive Internazionali; lo Statuto del CONI; gli Statuti federali delle Federazioni Sportive Nazionali. Dall'altro lato invece abbiamo le fonti eteronome, ovvero fonti generate da soggetti esterni e sono: la Costituzione; le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge; il Libro Bianco sullo sport e il Trattato di Lisbona.

Le fonti più rilevanti e di più grande interesse sono:

a. La Costituzione. Originariamente non faceva nessun richiamo

allo sport e secondo molti questa mancanza non è casuale e rappresenta la volontà di evitare qualsiasi continuazione dell’uso della pratica sportiva dello Stato in epoca fascista, dove addirittura la carica di presidente del CONI veniva scelta dal duce. Velatamente però non si può non ritrovare all’interno della Costituzione alcune norme vicine al fenomeno sportivo, come l’art. 3, comma 2 e l’art. 32. Attraverso questi articoli il legislatore costituente attribuisce alla Repubblica la promozione sociale e umana e la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. A seguito della riforma costituzionale avuta con la legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n.3, è stato inserito all’interno della Costituzione un chiaro riferimento alla pratica sportiva, esattamente nell’ambito di suddivisione della potestà legislativa tra Stato e Regioni (art. 117, Titolo V). Questo articolo prevede che “la potestà legislativa è esercitata dallo

Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Il secondo comma dello stesso

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articolo, alla lettera g, tiene conto anche dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, confermando la competenza esclusiva dello Stato a promulgare nuove leggi sull’ordinamento e sull’organizzazione del CONI, quale ente pubblico nazionale di vertice dello sport italiano. Il terzo comma, invece, rubrica le materie di competenza concorrente, per le quali le Regioni godono della potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali che sono riservati allo Stato, e vi comprende anche l’ordinamento sportivo e la tutela alla salute. Attualmente la Costituzione prevede l’esistenza dell’ordinamento sportivo e attribuisce la materia legislativa e regolamentare a soggetti quali lo Stato e Regioni, riservando al primo il computo di indicare i principi fondamentali della materia, ed alle seconde la definizione della disciplina effettiva.

b. La Carta Olimpica18. Rappresenta il documento ufficiale

all’interno del quale sono stabilite le regole e le raccomandazioni per l’organizzazione dei giochi olimpici, estivi e invernali. La Carta Olimpica viene adottata dal CIO che, periodicamente, la rivede e aggiorna inserendo modifiche ed integrazioni. Nel dettaglio, la Carta Olimpica ha tre scopi imprescindibili: la codificazione dei principi e dei valori olimpici; la definizione dei doveri delle quattro organizzazioni che fanno parte del Movimento Olimpico; la costruzione dell’ossatura normativa del CIO. All'interno della stessa colpiscono altresì i principi generali che stanno alla base dello spirito olimpico e si concretizzano nel principio di uguaglianza, solidarietà e fair-play.

18 La Carta Olimpica è stata pubblicata nel 1908, con il titolo di Annuaire du Comité internazionale

Olympique. Alcune delle norme contenute nella presente Carta erano, però, state scritte da Pierre de Coubertin nel 1898. Il simbolo delle Olimpiadi costituito dai cerchi rappresenta l’unione dei cinque continenti.

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26 c. La Carta Europea dello sport. Approvata nel 1992 a Rodi

dalla settima conferenza dei Ministri Europei dello sport. È un documento nel quale sono racchiusi i principi contenuti nella

Carta Europea dello Sport per tutti, a sua volta recepiti nella Carta Internazionale per l’Educazione Fisica e lo Sport”. Tra

i principi annoverati ritroviamo quello della non

discriminazione, avente la finalità di rendere libero l’accesso alle attività sportive, senza distinzione di sesso, razza, etnia, religione. La Carta intende tutelare gli sportivi da ogni speculazione politica, commerciale o finanziaria; inoltre ripudia ogni forma di sfruttamento, diretto o indiretto. All'interno del documento si conferma l’autonomia dello sport, sottolineando che le iniziative dei poteri pubblici devono essere complementari a quelle dei movimenti sportivi e devono cooperare con le organizzazioni sportive. Si richiama l’obbligo, per i poteri istituzionali, di sostenere lo sviluppo dello sport fin dall’infanzia, garantendo un facile accesso per i giovani alle attività fisiche, cosi come una preparazione specializzata per i docenti.

d. Il Trattato di Lisbona. Approvato il 17 dicembre 2007 ed

entrato in vigore nel 2009, il Trattato di Lisbona, modificando le linee base del Trattato sull’Unione Europea firmato a Maastricht nel 1992 e il Trattato istitutivo della Comunità Europea firmato a Roma nel 1957, precisa, all’articolo 165 TFUE, che allo sport deve essere conferita una prioritaria funzione sociale considerandolo un elemento fondamentale per la crescita psico-fisica di ciascun soggetto.

e. Lo Statuto del CONI. Sicuramente la fonte più rilevante per

l’ordinamento sportivo nazionale e contemporaneamente elemento di congiunzione tra le fonti autonome e quelle eteronome. Questa ultima caratteristica gli viene attribuita

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dall’art 18, comma 7, del D.lgs. n.242/1999, che sancisce “sino

all’approvazione dello statuto dell’ente a norma dell’articolo 2 e per quanto non diversamente disciplinato dal presente decreto, continuano ad applicarsi le disposizioni del Decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1986, n.157”.

L’articolo 2 del D.lgs. n.242/1999, come modificato dal D.lgs. 8 gennaio 2004, n.15, decreta che il CONI si conforma con i principi dell’ordinamento sportivo internazionale, in concerto con le iniziative, deliberazioni e disposizioni emanate dal CIO. All'interno dello Statuto si stabilisce che è compito del CONI curare l’organizzazione ed il consolidamento dello sport nazionale, con un occhio sempre vigile sulla preparazione degli atleti e sull’organizzazione dei mezzi idonei per le Olimpiadi. Al Comitato vengono altresì conferiti notevoli poteri in tema di vigilanza e controllo del doping, poteri finalizzati alla pratica sportiva, sia per normodotati che per disabili, istituendo iniziative contro ogni forma di discriminazione.

f. Gli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle discipline sportive associate. Gli statuti delle Federazioni

Sportive Nazionali e delle Discipline sportive associate devono osservare i principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale, e in particolare devono rispettare il ricorrente equilibrio tra diritti e doveri nei settori professionistici e non professionistici. Nel dettaglio questi Statuti stabiliscono la procedura per l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo di atleti e di tecnici sportivi, in accordo con le raccomandazioni del CIO e con i principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale del CONI. Come già ribadito, le Federazioni Sportive Nazionali e le discipline sportive associate sono associazioni dotate di personalità giuridica di diritto privato, e pertanto soggette alla disciplina del codice civile, il quale

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all’articolo 16, comma 1 e 2 prevede che gli statuti delle associazioni debbano contenere “norme sull’ordinamento e

sulla amministrazione. Devono anche riguardare i diritti e gli obblighi degli associati, le condizioni della loro ammissione e, eventualmente, quelle relative all’estinzione dell’ente e alla devoluzione del patrimonio”.

g. Le norme ordinarie di settore. L'ordinamento giuridico

sportivo, essendo portatore di interessi diversificati, è interessato dalla legislazione nazionale. Le norme di settore regolamentano vari aspetti dello sport: organizzazione del CONI, tutela sanitaria dell’attività agonistica e non, assetto tributario, rapporti tra società e sportivi professionisti. La legge 17 ottobre 2003, n.280 è di grande interesse per l’ordinamento giuridico sportivo visto che ne riconosce l’autonomia rispetto all’ordinamento statale e ne delimita i limiti di tale autonomia. Questo sarà l’argomento del prossimo paragrafo.

2.3 La legge 280/2003 e il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo.

La coesistenza tra gli ordinamenti giuridici e i conflitti, che spesso si vengono a creare, sono una conseguenza diretta della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici. Infatti, accade spesso che gli stessi vengano a contatto tra di loro e questo confronto necessita di una regolamentazione. Il rapporto tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale, in particolare tra l’autonomia del primo e la supremazia del secondo, ha trovato una disciplina nella legge 17 ottobre 2003, n.280, la quale ha definito i principi riconosciuti in

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giurisprudenza e dottrina. Da un lato abbiamo lo Stato, il solo ordinamento che persegue interessi di carattere generale, comuni a tutta la nazione; dall’altro lato invece abbiamo i vari ordinamenti settoriali o particolari che, a differenza del primo, perseguono interessi “collettivi”, ovvero comuni unicamente alla collettività dei soggetti facenti parte di quel singolo ordinamento. L'ordinamento statale, visti gli interessi generali perseguiti, detiene un’autorità assoluta su tutti gli altri ordinamenti settoriali ed è la sola istituzione che ha la competenza di emanare fonti di rango primario. Conseguentemente, i vari ordinamenti settoriali, visti gli interessi collettivi che si prefiggono, si collocano in una posizione sottostante rispetto all’ordinamento statale. Ci troviamo pertanto dinanzi ad un principio generale di “gerarchia delle Istituzioni”: da una parte l’ordinamento statale, ordinamento supremo rispetto a quelli settoriali, dall’altra i vari ordinamenti particolari, subordinati allo Stato ma provvisti di una propria autonomia. Dal principio di gerarchia delle Istituzione si deduce un ulteriore principio essenziale per il nostro ordinamento: il principio di gerarchia delle fonti del diritto. Come conseguenza di questo principio le norme di rango inferiore non possono contrastare con quelle di rango superiore, pertanto, gli ordinamenti settoriali, pur avendo una certa autonomia nell’svolgimento della propria attività e nell’elaborazione della propria normativa, si trovano di fronte all’insuperabile limite del necessario rispetto di norme di rango superiore, poste in essere dallo Stato.

Dopo aver esaminato il quadro generale in cui si collocano i rapporti tra l’ordinamento sportivo nazionale e l’ordinamento statale e cioè, tra l’autonomia del primo e la supremazia del secondo, spostiamo l’attenzione sull’analisi approfondita della Legge 280/2003 che, sostanzialmente, codifica i principi generali relativi ai rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale, sancendo l’autonomia del primo rispetto al secondo e rimarcando i limiti di tale autonomia.

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La legge 280/2003 rappresenta uno dei momenti fondamentali per la regolazione dei rapporti tra ordinamento statale e sportivo. Questa legge ha riconosciuto, per la prima volta, l’esistenza di un principio di autonomia in capo all’ordinamento sportivo, delimitando i confini di tale sfera di autonomia e specificando che la stessa deve sottomettersi alla supremazia dello Stato nel caso in cui una questione sportiva assuma rilevanza parimenti per l’ordinamento statale. L'autonomia dell’ordinamento sportivo (articolo 1, comma 1) trova un limite “nei

casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”

(articolo 1, comma 2). Pertanto, ogniqualvolta che un provvedimento emanato dall’ordinamento sportivo assume rilevanza anche per l’ordinamento statale, e laddove tale provvedimento provochi una lesione di situazioni giuridiche soggettive rilevanti, non vigerà il c.d.

vincolo di giustizia19 e quindi, tali provvedimenti potranno essere impugnati dinanzi alla giurisdizione statale. In altri termini, deve ritenersi che “un intervento dello Stato nella disciplina sportiva – e

quindi una limitazione all’espansione autonomistica dell’ordinamento sportivo – possa verificarsi solo nei casi in cui l’interesse, pur pubblico, di settore (sportivo) venga ad interferire con quelli più generali e più ampiamente pubblici che compete direttamente allo Stato tutelare ed attuare”20. La previsione di tale limite è stata una scelta doverosa visto che, un eventuale riconoscimento di un’autonomia assoluta, avrebbe concretato una netta distinzione tra i due ordinamenti, distinzione che però è discordante rispetto alla prassi abituale dove i due ordinamenti beneficiano di una reciprocità necessaria derivante dal fatto che tutte le attività dell’ordinamento

19 si concretizza nella ”preclusione per i tesserati/affiliati di adire gli organi della giustizia statale per

dirimere le controversie insorte in ambito sportivo, risponde all’esigenza dell’ordinamento settoriale di affermare la propria supremazia sull’ordinamento statale, si fonda sul concetto di specificità dello sport e si attua nella c.d. clausola compromissori.”

R. STINCARDINI, M. ROCCHI, La responsabilità degli arbitri componenti dei collegi previsti negli accordi collettivi: riferibilità del vincolo di giustizia?, in Riv. Dir. Economia e Sport, vol. 4, n. 3, 2008, 34

20 G. IADECOLA, Se al presidente di un comitato regionale della FIGC compete la qualifica penalistica di

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sportivo nazionale si praticano nel territorio italiano e dal fatto che i soggetti facenti parte di questo ordinamento sportivo fanno parte anche dell’ordinamento statale. In considerazione di tale principio di autonomia, l’articolo 2 della legge riserva alla giustizia sportiva la risoluzione dei contrasti “tecnici” e “disciplinari”: ovviamente, anche in relazione a tali provvedimenti tecnici o disciplinari è da ritenersi sempre valida l’impugnabilità in capo alla giurisdizione statale nel caso in cui tali questioni assumano rilevanza esterna, ovvero nei casi in cui siano in grado di creare una lesione di situazioni giuridiche soggettive identificabili come diritti soggettivi o come interessi legittimi. Per quanto riguarda le controversie di carattere economico, l’articolo 3 della legge 280/2003 le identifica come rilevanti per l’ordinamento statale e difatti la risoluzione di queste controversie viene lasciata alla giustizia ordinaria, affermando il già sancito

principio di alternatività, ovvero la presenza di una duplice facoltà, per

i soggetti interessati, di adire, a turno, gli organi della giustizia sportiva oppure gli organi della giustizia ordinaria competenti21. Le questioni di carattere amministrativo (tesseramento, affiliazione, iscrizione ai campionati), a seguito della modifica apportata dalla legge 280/2003, non sono più di competenza della giustizia sportiva. La norma in esame ha riconosciuto la loro rilevanza per l’ordinamento statale e per questo motivo ha soppresso le lettere c e d dell’articolo 2 del D.L. 220/2003 che riservava tali controversie alla giustizia sportiva. È evidente come le questioni di carattere amministrativo abbiano una rilevanza esterna per l’ordinamento sportivo visto che l’emanazione di tali provvedimenti può pregiudicare posizioni giuridiche soggettive rilevanti anche per l’ordinamento statale. Ciò può avvenire sia nei confronti di un professionista, dove si può limitare il suo diritto di iniziativa economica o il diritto al lavoro, sia nei confronti di un soggetto non professionista, andando a ledere il proprio diritto di

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associazione nell’ambito dell’ordinamento sportivo. La conferma di tale impostazione è data non solo dalla lettura dell’articolo 2, che non ha, tra le materie assegnate, le questioni di carattere amministrativo, ma anche da un’interpretazione dello stesso articolo da un punto di vista logico e teleologico. Dal primo punto di vista si rileva che le questioni amministrative non potevano rientrare nel gruppo di quelle “riservate” in quanto oggettivamente rilevanti anche per l’ordinamento statale. Secondo un ragionamento teleologico, l’intenzione del legislatore di estromettere tale materia dal novero di quelle riservate lo si evince dal fatto che, nell’originario decreto-legge 220/2003 le questioni amministrative erano ricomprese tra quelle dell’articolo 2, mentre, nella successiva conversione in legge tali materie sono state definitivamente soppresse. L'articolo 3 della legge n.280/2003 è molto importante anche per aver individuato il giudice statale competente per la risoluzione delle questioni originatesi in ambito sportivo. L'articolo in questione ha stabilito che i provvedimenti emanati dalle istituzioni sportive sono impugnabili di fronte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e competente territorialmente per tali risoluzioni è il T.A.R. del Lazio22. In aggiunta a tutto ciò, l’articolo 3 ha decretato delle disposizioni processuali relative ai giudizi dinanzi al giudice amministrativo; in particolare: 1) ha abbreviato di metà tutti i termini processuali, come previsto dall’articolo 23bis della legge n.1034/1971; 2) ha stabilito che il giudizio in questione si deve definire con sentenza-breve ai sensi dell’articolo 26 della legge precedente. In conclusione, la legge 280/2003, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, ha inquadrato il sistema sportivo come

ordinamento giuridico settoriale, statuendo l’autonomia

22 L’art. 3, secondo comma, della legge n.280/2003 attribuisce la competenza di primo grado in tale

materia, anche per l’emanazione delle misure cautelari, al T.A.R. Lazio con sede in Roma; le questioni di competenza territoriale sono rilevabili d’ufficio.

Tale attribuzione della competenza territoriale al T.A.R. Lazio costituisce il frutto di una scelta ben precisa del legislatore, che trova la propria ratio nella portata generalmente ultraregionale dei provvedimenti emanati in ambito sportivo e nel fatto che la sede del C.O.N.I. e delle varie Federazione è proprio a Roma.

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dell’ordinamento sportivo e limitandola allo stesso tempo, ha riconosciuto specificatamente la configurabilità della giurisdizione statale in ambito sportivo e ha stabilito gli organi giurisdizionali competenti al riguardo.

3. La specificità dello sport nell’Unione Europea

3.1 Storia ed evoluzione della specificità dello sport in ambito

comunitario.

Lo sport è un mezzo attraverso il quale si sostiene e si favorisce l’educazione, la salute e lo sviluppo ed è anche fautore di valori universali: non discriminazione, uguaglianza, tolleranza. Partendo da questi presupposti il Trattato di Lisbona ha introdotto la parola “sport” nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ammettendo la “specificità dello sport”. Si tratta di un evento straordinario che ha mosso i primi passi verso la fine degli anni ‘90 con le due Risoluzioni del Parlamento Europeo e che è stata ulteriormente evidenziata in occasione del Consiglio di Nizza23 (2000) attraverso una comune dichiarazione nella quale si faceva riferimento alla specifica natura dello sport e alla sua rilevante funzione in ambito europeo. Anche il Libro Bianco sullo Sport del 200724 contiene una descrizione della

23 Consiglio europeo di Nizza, 7 – 10 dicembre 2000, Conclusioni della Presidenza, Allegato IV -

Dichiarazione relativa alle caratteristiche specifiche dello sport e alle funzioni sociali in Europa di cui tener conto nell'attuazione delle politiche comuni, consultabile in

www.europarl.europa.eu/summits/nice2_it.htm

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specificità dello sport e dell’applicazione al settore dello sport della normativa europea ina materia, per esempio, di mercato interno e di concorrenza. È con il Trattato di Lisbona che si segna il momento cruciale di riconoscimento della specifica dimensione sportiva comunitaria. A tal proposito, il punto n.124 del Trattato di Lisbona prescrive che “l’UE dovrà contribuire alla promozione dei profili

europei dello sport, tenendo conto della specifica natura dello sport, delle sue strutture basate sull’attività volontaria e della sua funzione sociale ed educativa. La dimensione europea va sviluppata anche nello sport, promuovendo l’imparzialità nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili del settore sportivo, proteggendo l’integrità fisica e morale degli atleti, specialmente tra i più giovani”. Da ciò possiamo ricavare che i quattro elementi che

istituiscono il fenomeno dello sport in Europa, ovvero, sport, specificità, struttura organizzativa piramidale e valori sociali, costituiscono i principi che mettono in luce una dimensione più ontologicamente sportiva piuttosto che economica.

Il concetto di specificità è di dubbia definizione ma può essere espresso come “un insieme di aspetti singoli ed essenziali dello sport che lo

distinguono fondamentalmente da qualsiasi altro settore di attività e di prestazione di servizi”25.

Le specificità dello sport sono riconosciute all’interno dell’articolo 165 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (d’ora in avanti TFUE). Al loro interno sono racchiuse tutti gli elementi distintivi che rendono speciale lo sport: l’interconnessione con gli avversari, la struttura piramidale delle competizioni aperte. Si prende in considerazione il concetto di specificità ogniqualvolta si debba eseguire una valutazione di compatibilità tra le regole sportive e le

25 J. ZYLBESTEIN, La specificità dello sport nell’Unione Europea, in Rivista di diritto ed economia dello

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disposizioni normative dell’UE26. Le regole sportive, anche dette

“regole di gioco”, concernono l’organizzazione e la corretta gestione dello sport e si devono conciliare con la legislazione dell’Unione Europea. La Commissione Europea, quando deve esaminare la compatibilità di una regola sportiva con la normativa UE, deve prendere atto della legittimità dell’obiettivo perseguito dalle regole sportive e valutare la presenza di potenziali effetti restrittivi intrinseci al perseguimento di tale obiettivo. Gli obiettivi legittimi che le organizzazioni sportive si prefissano sono innumerevoli: la correttezza delle competizioni sportive, l’indeterminatezza dei risultati, la tutela alla salute degli atleti, la solidità finanziaria delle squadre. In conclusione, e prima di affrontare il delicato tema della “sporting

exception”, bisogna rilevare l’impegno costante della Commissione

nella promozione di una corretta interpretazione del concetto di specificità fornendo orientamenti in merito.

3.2 Le eccezioni alla specificità dello sport e le relative sentenze della Corte di giustizia.

Attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia è possibile analizzare le varie deroghe al diritto dell’Unione europea esistenti nel settore dello sport. All'interno di questo sotto-paragrafo esamineremo le sentenze “Walrave e Koch”27; “Donà”28; “Deliège”29; “Lehtonen”30.

26 Si fa riferimento ai diritti fondamentali presenti nella normativa dell’Unione Europea: libera

circolazione, divieto di discriminazione, libera concorrenza.

27 Corte giust., 12 dicembre 1974, causa 36/72, Walrave & Koch 28Corte di giust., 14 luglio 1976, causa 13/76, Donà

29 Corte giust., 11 aprile 2000, cause riunite C51/96 e C-191/97, Deliège 30 Corte giust. 13 aprile 2000, causa C176/96, Lehtonen

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