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Investimenti ed accordi internazionali

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Academic year: 2021

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1 INTRODUZIONE

Il presente lavoro avrà ad oggetto la materia degli Investimenti Esteri Diretti attraverso l‘analisi dell‘origine, sviluppo ed in particolar modo della regolamentazione del diritto internazionale degli investimenti. Innanzitutto verrà delineata la cornice storico-giuridica nella quale è nata e si e sviluppata nei suoi caratteri essenziali la dottrina riguardante gli investimenti esteri.

In termini generali l‘evoluzione prodottasi nella materia si è mossa a ridosso del periodo post-coloniale, momento in cui sorge l‘esigenza di una regolamentazione omogenea che permettesse la protezione dei capitali esportati dalle potenze imperiali nei territori delle ex colonie e si muove con l‘obiettivo di promuovere la realizzazione di operazioni di investimento straniero, nella direzione di un rafforzamento delle garanzie offerte agli operatori economici transnazionali attraverso il superamento delle controversie che avevano caratterizzato la materia e si sono fatte più aspre nel corso degli anni settanta, in particolare tra paesi industrializzati esportatori di capitali e paesi in via di sviluppo restii ad accogliere gli investimenti stranieri in virtù dello sviluppo di un atteggiamento nazionalistico che mirava a conseguire l‘indipendenza economica e politica.

Tale evoluzione, si è principalmente basata sull‘adozione di strumenti bilaterali ad hoc che si caratterizzano per l‘attribuzione di diritti immediatamente applicabili agli operatori economici, soluzione migliore per attirare capitali stranieri senza dover mettere in discussione la sovranità nazionale degli Stati e ottenendo garanzie sul comportamento degli investitori stranieri: gli accordi bilaterali sulla promozione e protezione degli investimenti stranieri ( BITs).

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Prima di analizzare nello specifico la struttura dei BITs, la tesi si occuperà del rapporto tra i BITs e l‘Unione Europea, alla luce della competenza esclusiva in materia di investimenti attribuita a quest‘ultima dal Trattato di Lisbona.

Sin dalla conclusione del Trattato istituente la Comunità Economica Europea si è presentata la questione sulla competenza della Comunità prima e dell‘Unione poi, circa gli investimenti stranieri.

La successiva annessione di nuovi Stati membri ha accelerato il processo di riesame della natura e dell‘estensione della competenza delle istituzioni europee in tale campo.

Il processo di definizione delle competenze è stato oggetto di un rapido mutamento nel corso degli anni, in virtù delle molteplici disposizioni contenute nei trattati europei conclusi e delle molteplici sentenze della Corte UE, fino ad arrivare alla profonda innovazione introdotta con il Trattato di Lisbona che ha conferito competenze esplicite ed esclusive in materia di investimenti diretti esteri all‘Unione, introducendo gli stessi entro il dominio della politica commerciale comune.

Si entrerà quindi, nel merito della struttura degli accordi bilaterali che non hanno un modello unico a cui riferirsi ma l‘analisi della immensa mole di accordi conclusi nel corso del tempo ha dimostrato come vi sia una scaletta che si ripete pressochè in tutti gli accordi con differenze non particolarmente significative.

Ad un generico preambolo che esprime la volontà delle Parti di intensificare le proprie relazioni economiche con la creazione di condizioni favorevoli atte a ciò, segue la specificazione di una serie di definizioni che vogliono specificare i concetti-chiave degli accordi tra cui la definizione stessa d‘investimento, in quanto non contemplata nel diritto internazionale.

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Dall‘analisi degli accordi emerge che si è venuta a creare un‘ampia definizione di investimento modellata sui concetti di―bene‖e―diritto‖ nel cui ambito sono compresi sia investimenti diretti che di portafoglio. Vedremo come altre costanti nella struttura dei BITs risultano essere l‘enunciazione delle condizioni che premettono l‘ammissione degli investimenti esteri; il trattamento poi è un termine generale che nell‘ambito dei trattati bilaterali d‘investimento introduce il regime giuridico da applicare agli investimenti una volta ammessi dallo Stato ospite e viene descritto attraverso l‘introduzione di clausole che indicano standards di comportamento: la clausola della nazione più favorita, insieme col trattamento giusto ed equo ed il trattamento nazionale costituiscono le norme di trattamento applicabili agli investimenti effettuati dai cittadini e dalle società di una parte contraente nel territorio dell‘altra.

Vi è poi la parte dedicata alle modalità di trasferimento dei capitali investiti e degli utili ricavati dal territorio dello Stato ospite al territorio nazionale dello Stato o del privato investitore, precondizione essenziale per la promozione e protezione degli investimenti.

Una sezione degli accordi bilaterali è dedicata alla protezione degli investitori dai rischi non commerciali, in primis le misure di espropriazione dell‘investimento straniero. Sono tassativamente regolate modalità e casi che ne garantiscono la liceità: interesse pubblico, non discriminazione, due process of law, rispetto degli impegni assunti e pagamento di un indennizzo.

Infine grande importanza è dedicata alla risoluzione delle controversie che possono sorgere tra le Parti, nella considerazione che queste possono avere prerogative differenti e interessi spesso antitetici fra loro. Per questo tale aspetto verrà sviluppato interamente nel quarto capitolo, il quale si occuperà delle modalità di risoluzione delle controversie tra

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4 le Parti dell‘accordo.

Si trovano quasi sempre disposizioni relative alla soluzione sia delle controversie tra gli Stati contraenti sia di quelle tra l‘investitore e il paese ospite, le quali sono in genere piuttosto dettagliate e raramente prevedono gli stessi mezzi di soluzione per i due tipi di controversie, oggetto usualmente di due distinte clausole.

Come si vedrà meglio, le disposizioni relative alle controversie tra Stati solitamente prevedono il ricorso all‘arbitrato ad hoc; mentre quelle relative alle controversie tra lo Stato ospite e l‘investitore straniero contemplano il ricorso ai tribunali nazionali e all‘arbitrato, istituzionale o ad hoc; in entrambi i casi vi è l‘obbligo per le parti di cercare in via preliminare una soluzione amichevole della controversia. La parte finale dell‘opera indagherà sulle reali possibilità di conclusione di una convenzione multilaterale sulla regolamentazione degli investimenti nonostante i fallimenti che si sono susseguiti nel corso degli anni.

Ravviseremo come molti Stati(G-20 paesi industrializzati) ed Organizzazioni internazionali( OCSE, OMC) hanno auspicato ed auspicano ancora una regolamentazione multilaterale della materia degli investimenti con il superamento dei migliaia di accordi bilaterali proliferati nel contesto internazionale ma gli interessi da contemperare sono stati e sono tuttora molteplici e l'emergere di movimenti no-global sulla scena mondiale ha rallentato il processo di multilateralizzazione.

La continua evoluzione ed importanza dei traffici commerciali a livello internazionale fa restare, però, l' ipotesi di un accordo internazionale in materia di investimenti stranieri ancora un approdo possibile.

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CAPITOLO 1

Diritto internazionale degli investimenti

SOMMARIO: 1.1 Origine ed evoluzione. – 1.2 Antecedenti degli accordi bilaterali di promozione e protezione degli investimenti. - 1. 3 Affermazione degli accordi bilaterali sulla promozione e protezione degli investimenti.

1.1 Origine ed evoluzione.

L‘affermazione degli accordi bilaterali sulla promozione e la protezione degli investimenti non può prescindere dallo studio sulla nascita ed evoluzione del diritto internazionale in tema di investimenti. Le origini del diritto internazionale degli investimenti risiedono nella più generale tematica del trattamento degli stranieri e dei loro beni ma l‘espansione delle attività commerciali trasnazionali porta alla luce l‘esigenza di configurare gli investimenti stranieri in maniera autonoma per la tutela degli Stati esportatori di capitali e dei loro cittadini attraverso lo sviluppo di norme consuetudinarie.

Nel XVIII e XIX secolo, gli investimenti erano parte essenziale dell'espansione coloniale e, avendo, le potenze colonizzatrici, sostituito i loro ordinamenti giuridici a quelli delle colonie, non vi era l'esigenza dello sviluppo di una regolamentazione degli investimenti poiché questi erano già sufficientemente regolamentati all'interno degli ordinamenti degli imperi coloniali.

Nel periodo storico anteriore al 1945 la forma base dei processi di internazionalizzazione dell‘ economia è ancora costituita dalle esportazioni delle merci, la situazione normativa era caratterizzata dal fatto che ogni ―regolamentazione‖ da parte della Comunità Internazionale era da considerarsi prematura, anche in considerazione

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del grado di anarchia e frammentazione del sistema.

Questa carenza di regolamentazione non produceva tuttavia conseguenze materiali di gran rilievo, considerando che l‘epicentro dei rapporti economici internazionali era costituito dalle relazioni tra Stati tutti avviati verso rapidi processi di industrializzazione e dotati di abbondanza di capitali.

La dissoluzione degli imperi coloniali portò alla luce da una parte la necessità di un regime omogeneo a livello internazionale di protezione degli investimenti da parte delle potenze imperiali che erano diventate esportatrici di capitali nei territori delle ex colonie ma dall'altro lato proprio da queste ultime emerse un atteggiamento di antagonismo verso l'investimento straniero generato dal nazionalismo post-coloniale che mirava a conseguire l'indipendenza politica ed economica.

Il fervente nazionalismo delle ex colonie aveva tra gli obiettivi quello di riappropriarsi del controllo dei settori vitali delle proprie economie e fu sviluppato attraverso misure di nazionalizzazione ed espropriazione nei riguardi degli investitori stranieri1.

Dopo la conclusione, agli inizi degli anni Sessanta, del processo di decolonizzazione la base dei processi di internazionalizzazione è costituita dalle esportazioni di capitali, ma le esigenze di sviluppo dei paesi di nuova indipendenza rendono drammatica la spaccatura tra Stati dotati di abbondanza di capitali, e Stati che soffrono di una mancanza dei medesimi.

La mancanza di regole internazionali che disciplinino il fenomeno della libera circolazione internazionale di capitali rappresenta allora la conseguenza della impossibilità di conciliare i contrastanti interessi dei paesi esportatori di capitali e di quelli importatori; ma registra e rende formalmente legittima la permanenza di una

1 Sul ruolo del nazionalismo nella società internazionale: Mayall, Nationalism and

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situazione di grave squilibrio strutturale, che è alla base di molte contraddizioni dell‘attuale sistema economico internazionale.

La pari ―libertà‖ degli Stati di regolare il fenomeno della circolazione internazionale dei capitali costituisce l‘espressione della tutela , da parte del diritto internazionale, di una situazione di eguaglianza formale degli Stati la quale nasconde la disuguaglianza sostanziale dei medesimi.

Gli Stati industrializzati si trovano nella favorevole condizione di poter regolare a loro piacimento il flusso e la destinazione degli investimenti all‘estero ; gli Stati c.d. in via di sviluppo, invece, data la loro cronica carenza di capitali, si trovano per lo più nella condizione dietro l‘apparente libertà di regolare come meglio credano l‘accesso ai capitali stranieri, di dover entrare in concorrenza tra loro, al fine di attirare, con regimi preferenziali e concessioni di altro tipo, i capitali medesimi.

Questa situazione di permanente conflitto strutturale si ripercuote negativamente sull‘equilibrio del sistema economico internazionale. Questo contrasto sfociò in tre risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1974 circa la creazione di un ―nuovo ordine economico internazionale‖ 2

basato sull'equità, eguaglianza sovrana, l'interdipendenza, l'interesse comune e la cooperazione tra tutti gli Stati per eliminare le disuguaglianze esistenti tra i Paesi sviluppati e i Paesi in via di sviluppo.

Le risoluzioni in realtà sottendevano la volontà di attribuire allo Stato la sovranità permanente sulle risorse naturali e sulle attività economiche che portarono gli Stati di nuova formazione al rifiuto dei principi di diritto internazionale tradizionale applicabili agli

2Risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nn. 3201, 3202 e 3281 del

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investimenti di libertà di commercio ed iniziativa privata prediligendo il controllo pubblico e la pianificazione delle attività economiche.

1. 2 Antecedenti degli accordi bilaterali di promozione e protezione degli investimenti.

Un problema contingente determina la nascita dei BIT(Bilateral

Investment Treaty) : ottenere la fiducia dei Paesi in via di sviluppo

per favorire l'afflusso degli investimenti degli Stati industrializzati. La situazione di incertezza dovuta al rifiuto del riconoscimento dei principi di diritto internazionale applicabili agli investimenti stranieri da parte dei Paesi in via di sviluppo portò in maniera progressiva alla stipulazione di accordi bilaterali sulla promozione e protezione degli investimenti che ai Paesi industrializzati consentivano di porre nuove regole di protezione oltre a quelle ritenute consuetudinarie da tali Stati e contemporaneamente rappresentavano per gli Stati in via di sviluppo la soluzione per accettare, nelle situazioni disciplinate dagli accordi, regole che non erano disposti a riconoscere come consuetudinarie e salvaguardare la loro sovranità in quanto la protezione convenzionale offerta all'investitore straniero traeva origine da un atto sovrano dello Stato ospite. Inoltre le garanzie offerte con il BIT erano limitate nel tempo ed erano il frutto della libertà contrattuale dello Stato ospite, con presupposto nella stessa sovranità dello Stato.

Nell'interesse comune degli Stati parte il BIT permetteva adattamenti in relazione alla situazione specifica.

Il primo esempio di accordo bilaterale per la protezione degli investimenti stranieri è rappresentato dai Friendship Commerce and

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Navigation treaties (FCNs) 3con cui in particolare gli Stati Uniti andavano a regolamentare gli investimenti all'estero.

Inizialmente l'ambito di applicazione dei FCNs era molto ampio e riguardava questioni relative sia al commercio che alla navigazione e le disposizioni concernenti gli investimenti erano poco sviluppate e si limitavano a prevedere l'obbligo di garantire la proprietà straniera. Erano molteplici le materie regolamentate: dalle libertà personali alle garanzie sui diritti della proprietà, dal controllo delle aziende alle restrizioni di borsa sulla conversione di valuta.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l'intensificarsi delle relazioni economiche e commerciali rese evidente che i FCNs non erano più uno strumento sufficiente ma era necessario separare le diverse materie da essi regolate e trattarle in maniera più dettagliata.

In questa prospettiva gli stati come Stati Uniti, Canada e Francia fecero ricorso ad un altro tipo di accordo bilaterale sugli investimenti, l'IGA (Investment Guarantee Agreement) con l'obiettivo di applicare i sistemi nazionali di assicurazione degli investimenti realizzati all'estero attraverso la stipulazione di un contratto di assicurazione tra un organismo appositamente abilitato dallo Stato e l'investitore privato nazionale per garantire agli investimenti effettuati all'estero una copertura da rischi quali l'espropriazione, l'inconvertibilità della valuta nazionale, la guerra e le insurrezioni.4

Gli accordi di garanzia non indicavano quale era il regime giuridico da applicare e ben presto anche essi si dimostrarono inadeguati nella

3 Il primo FCN venne firmato dagli Stati Uniti e dalla Francia il 6 febbraio 1778. 4

Sui sistemi generali di investimenti realizzati all‘estero v. KRONFOL, Protection of Foreign Investment. A study in International Law, Leiden, 1972 pp. 36-40; MERON, Investments Insurance in International Law, Dobbs Ferry, 1976; LAVIEC, Protection et promotion des investissements. Etude de droit international économique, Paris, 1985, pp. 215-223; AKINSANYA, International protection of direct foreign investments in the third world, in International and comparative law quarterly, 1987, pp. 67-70.

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regolamentazione degli investimenti stranieri.

1.3 Affermazione degli accordi bilaterali sulla promozione e protezione degli investimenti.

L'inadeguatezza dei modelli precedenti di accordi bilaterali nella disciplina delle problematiche legate agli investimenti stranieri, le quali avevano assunto una determinata importanza dopo la seconda guerra mondiale, determinò l'elaborazione di un nuovo modello di accordo che avesse natura specifica perchè destinato esclusivamente alla promozione e protezione degli investimenti ma tali accordi dovevano avere anche una natura generale perchè applicabili a tutti gli investimenti che rientravano nella definizione prevista dallo stesso accordo.

É il 25 novembre 1959 la data in cui viene stipulato il primo accordo di questo tipo, tra Repubblica Federale Tedesca e Pakistan5, il quale per diversi aspetti ha costituito un modello per la stipulazione dei successivi accordi.

I paesi industrializzati come Germania, Regno Unito, Svizzera e Francia hanno concluso più accordi sulla promozione e protezione degli investimenti e più di recente hanno iniziato a stipularli anche Giappone, Stati Uniti e Canada.

Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo destinatari dei maggiori investimenti stranieri solo più di recente hanno firmato BITs.

Interessante è l'atteggiamento dei paesi dell'America Latina in merito agli investimenti stranieri

La maggioranza di questi Paesi, nei rapporti economici con investitori

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stranieri si ispirano alla c.d. Dottrina Calvo, i cui principi fondamentali prevedono come regole da applicarsi agli investimenti stranieri il trattamento nazionale, competenza dei tribunali dello Stato ospite in tema di investimenti stranieri e tutto ciò comportava la rinuncia da parte dell‘investitore straniero alla protezione diplomatica del proprio Stato. Tali principi erano in netto contrasto con le finalità degli accordi bilaterali sulla promozione e protezione degli investimenti stranieri. Molti paesi Latino americani hanno mantenuto i principi della dottrina Calvo anche nel XX secolo.6

Questo atteggiamento viene evidenziato dal Patto Andino sugli investimenti stranieri, istituito con l‘Accordo di Cartagena del 1969, firmato da Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador e Perù 7.

L‘art.27 di questo accordo dispone che le parti contraenti adottino ―un sistema comune per il trattamento del capitale straniero‖; conforme a tale provvedimento , la Commissione del Patto Andino istituì la Decisione 24, detta anche Codice Andino, il quale in uno dei suoi principi cardine stabilisce che gli Stati membri non debbano garantire agli investitori stranieri un trattamento più favorevole di quello riservato agli investitori nazionali.

La decisione inoltre obbliga gli Stati membri a non approvare clausole che possano sottrarre alla giurisdizione dello Stato ospite la soluzioni delle controversie.

Questa decisione fu successivamente modificata svariate volte, indirizzandosi verso più tenui restrizioni nei confronti degli investimenti stranieri.

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V. MAURO M.R., Riflessioni sul principio del trattamento nazionale e sulla soluzione delle controversie riguardanti gli investimenti stranieri nella prassi dei paesi dell‘America Latina, in Del Vecchio A. (a cura di) , Aspetti dell‘integrazione regionale latino-americana, Atti del Convegno – Roma 2000, Milano 2001.

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Ma la caratteristica principale dei primi accordi bilaterali conclusi dai paesi latino americani è proprio la mancanza di clausole relative alle soluzioni delle controversie tra Stato ospite ed investitore straniero, che cominciarono ad essere introdotte solo alla fine degli anni ‘70, principalmente con riferimento alle clausole ICSID. Pur rimanendo fondamentale il principio per cui all‘investitore straniero non saranno riservati trattamenti né più né meno favorevoli rispetto all‘investitore nazionale, negli ultimi decenni si è potuta notare un‘apertura maggiore di questi Stati agli investimenti stranieri ed alla conclusione di accordi bilaterali d‘investimento, determinata anche da carenze di capitali e dal tentativo di porre rimedio a gravi crisi economiche.

Nei primi anni ‘90 , settantacinque trattati bilaterali d‘investimento su centottantatre hanno avuto come parte contraente un paese dell‘Est Europeo, ciò riflette la recente politica e gli sviluppi economici che hanno permesso al settore privato di giocare un ruolo di primo piano in questi paesi 8.

Questa tendenza è stata recentemente seguita da alcune repubbliche dell‘ex Unione Sovietica, le quali assieme ad alcuni paesi orientali (laCina per prima9)hanno tentato di liberalizzare gli investimenti stranieri.

Inoltre, mentre la maggior parte dei recenti trattati bilaterali d‘investimento sono stati conclusi tra paesi esportatori di capitali e paesi invia di sviluppo o di formazione socialista, vi è stato un netto incremento di quelli stipulati fra due paesi invia di sviluppo.

Questo aumento non solo sottolinea l‘approvazione degli accordi

8V. SACERDOTI G., Bilateral Treaties and Multilateral Instruments on Investment

Protection, in Recueil des Cours, La Haye, 1997.

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V. SHISHI L., Bilateral Investment Promotion and Protection Agreements of the People‘s Republic of China: Practice of the People‘s Republic of China, in International Law and Development, La Hague, 163-84, 1988.

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bilaterali d‘investimento come strumento per la disciplina degli investimenti stranieri, ma suggerisce che il numero di tali accordi è destinato ad aumentare nel futuro.

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14 CAPITOLO 2

Gli accordi bilaterali per la promozione e la protezione degli investimenti e l'UE

SOMMARIO: 2.1 Gli investimenti diretti esteri e la competenza della CEE – 2.2 La nascita dell‟Unione Europea e l‟evoluzione delle competenze in materia di investimenti diretti esteri. – 2.3 La difficile integrazione tra accordi bilaterali di promozione e protezione degli investimenti e il diritto primario dell'Ue. – 2.4 La denuncia e rinegoziazione degli accordi internazionali incompatibili con il diritto europeo e l‟interpretazione dell‟ art 351 TFUE( ex art 307 TCE): il caso Open Skies. - 2.5 Il contemperamento tra diritto nazionale, internazionale ed europeo nei BITs intra-UE: il caso Eastern Sugar c/ Repubblica Ceca. – 2.6 L'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e l'ampliamento delle competenze europee in materia di investimenti diretti esteri. – 2.7 Il ruolo delle istituzioni europee per il raggiungimento di una “politica globale europea sugli investimenti”. – 2.8 Contrasti tra Commissione e Parlamento sulla creazione di un modello unico di BIT per la negoziazione dei futuri accordi da parte dell'UE. – 2.9 Gli accordi bilaterali di libero scambio sottoscritti e in fase di negoziazione dall‟Ue in luogo degli Stati membri.

2.1 Gli investimenti esteri e la competenza della CEE.

Nel Trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità Economica Europea, non vi era nessun riferimento alla competenza della CEE circa la protezione degli investimenti esteri, ciò perché il regime della proprietà rimaneva di competenza di ciascuno stato e così individualmente gli Stati europei potevano stipulare liberamente accordi per la promozione e protezione degli investimenti con Stati terzi rispetto alla CEE.

Un punto di partenza per quanto riguarda gli investimenti poteva essere l'art 133 del TCE relativo alla politica commerciale comune,

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modificato in seguito dal Trattato di Lisbona; questo articolo non presentava espliciti riferimenti alla materia degli investimenti esteri ma in esso può essere individuata una base di competenza per alcuni aspetti che li riguardano.

L'art 133.1 disponeva ― la politica commerciale comune è fondata su dei principi uniformi, soprattutto in quello che concerne la conclusione d'accordi commerciali, l'uniformazione delle misure di liberalizzazione‖.

La Corte di Giustizia nel 197110 ha propeso per un'interpretazione estensiva dell'art 133 ampliando le competenze della Comunità allo scopo di proteggere i suoi interessi commerciali all'estero.

La Corte affermava che l'art 133 non presentava una lista perfettamente esaustiva degli strumenti di politica commerciale, in particolar modo le misure di liberalizzazione, non sono necessariamente applicate al commercio in senso stretto, piuttosto anche a quelle attività che realizzano lo sviluppo economico come gli investimenti.11 Esse potrebbero interessare ugualmente gli investimenti in ragione di un legame necessario tra commercio ed investimenti stessi.

Il parere 1/78 precisa al par. 4 che ―la politica commerciale non potrebbe più essere condotta efficacemente se la CEE non disponesse pure dei mezzi d'azione più elaborati, usati per lo sviluppo del commercio internazionale.‖ La Corte qui intendeva gli accordi internazionali.

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Corte UE, 31 Marzo 1971, Caso 22/70 Commissione c. Consiglio, Accordo Europeo sul trasporto stradale, Racc.,1971, p.263.

11Corte UE, parere 1/75, Accordo relativo a norme sulle spese locali, Parere dell'11

novembre 1975, par 4-5, Parere 1/78 Accordo internazionale sulla gomma naturale, 4 ottobre, par. 4.

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In sostanza la Corte, attraverso la sua opera interpretativa e consultiva, riconosce alla CEE la competenza necessaria per concludere accordi commerciali aventi determinati effetti sugli investimenti esteri.

La Corte precisa12 che tale competenza riconosciuta alla CEE deve garantire la rappresentanza degli Stati membri nelle negoziazioni internazionali, in quanto membri della CEE e rappresentanti dei propri territori. Così viene salvaguardata l'indipendenza degli Stati membri relativamente alla sovranità territoriale e nelle sfere economiche e finanziarie. La Corte ha seguito questa interpretazione estensiva delle competenze della CEE nella politica commerciale comune fino a che, negli anni Novanta, subisce una battuta d'arresto a seguito delle rimostranze degli Stati membri, i quali chiedevano che la competenza non fosse esclusiva della CEE ma che venisse ripartita tra gli stessi Stati membri.

La Corte si risolve nel mantenere ben separata la competenza propria degli Stati per quanto concerne fattori essenziali in un'operazione di investimento: la libera circolazione delle persone, i loro diritti di stabilimento e il loro diritto all'investimento nel campo dei servizi. In particolare nei Pareri 1/9413 e 2/9214 la Corte ha stabilito che le disposizioni sulla politica commerciale non conferiscono alla CEE una competenza esclusiva per l'offerta del trattamento nazionale agli investitori esteri.

2.2 La nascita dell‟Unione Europea e l‟evoluzione delle

12 Parere 1/78 par. 9.

13Corte UE, Parere 1/94, Competenza della Comunità a stipulare accordi in materia

di servizi e di tutela della proprietà intellettuale, Parere del 15 Novembre 1994.

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Corte UE, Parere 2/92, Competenza della Comunità o di una sua istituzione a partecipare alla terza revisione del principio di trattamento nazionale OCSE, Parere del 24 marzo 1995.

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competenze in materia di investimenti diretti esteri.

Il 1993 segna il passaggio dalla Comunità Economica Europea all'Unione Europea ed altresì l'inizio di un'opera riformatrice delle competenze attribuite alla nascente Ue attraverso una serie di trattati che si sono succeduti negli anni.

Il Trattato di Amsterdam nel 1997 segna un punto di svolta nelle competenze comunitarie in materia di politica commerciale, aggiungendo un paragrafo all'art 133 che estende le competenze di negoziazione anche in materia di proprietà intellettuale, previa consultazione del Parlamento e decisione all'unanimità del Consiglio. Il Trattato di Nizza del 2003 va a chiarire questo aspetto, dicendo che le disposizioni sugli accordi commerciali si applicano ugualmente alla negoziazione e alla conclusione di accordi nell'ambito del commercio, dei servizi e di aspetti commerciali della proprietà intellettuale. In sostanza, questa diviene l'unica competenza esterna esplicita che rientra nel campo degli investimenti diretti esteri.

Tale competenza non deve essere però considerata come esclusiva in quanto viene precisato nello stesso Trattato che ―il Consiglio deve deliberare all'unanimità quando l'accordo comprende disposizioni per le quali è prevista l'unanimità per l'adozione di norme interne o quando l'accordo riguarda un settore nel quale la Comunità non ha ancora esercitato le sue competenze sul piano interno‖15

All'Ue, sulla base delle disposizioni del TCE, si riconosceva un numero limitato di poteri per la conclusione di accordi aventi come obiettivo la protezione degli investimenti internazionali.

Inoltre, sulla base dei diversi Pareri della Corte, emerge una

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competenza dell'Ue per quegli investimenti che abbiano un legame con la politica commerciale comune, essenzialmente gli investimenti nel settore dei servizi.16 Emerge così la competenza implicita della CEE negli investimenti diretti esteri.

La Corte precisa che l'azione dell'Ue non può non essere supportata dalla collaborazione con gli Stati membri, i quali conservano le rispettive competenze, in quanto i poteri della Comunità, essendo una competenza riconosciuta a livello implicito e non esclusivo, non erano così forti da eclissarle.

Di fatto si venne a creare la situazione per cui la negoziazione e conclusione di accordi internazionali in materia di investimenti era condivisa e complementare dell'Ue e dagli Stati membri.

In più occasioni l'Ue si è vista assegnare il mandato, esercitando i propri poteri di negoziazione nell'ambito di diversi negoziati aventi come controparte gli Stati stessi, di includere diverse clausole riferite agli investimenti diretti esteri.17

A seguito dei processi di allargamento dell'Ue nel 2004 e 2007, molti Stati non avevano le competenze pratiche per la negoziazione e conclusione di accordi bilaterali sulla promozione e protezione degli investimenti, per cui il Consiglio adotta il MPol ―Minimum Platform on Investiment‖18

.

L'MPol è un documento che si propone di diventare il modello-base dei futuri accordi sugli investimenti che i Paesi membri avrebbero

16 EILMANSBERGER T. , Bilateral Investiment treaties and UE law, Common

Market Law Reviw, vol. 46, Alphen aan den Rijn, 2009, pag. 389.

17V. Accordi di stabilizzazione con i Paesi balcanici; Accordi di associazione con i

Paesi mediterranei; Accordi di partnership e cooperazione con gli Stati della ex Repubblica Sovietica; Accordi CARIFORUM-EU; Trattato sulla Carta dell'Energia.

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stipulato attraverso l'applicazione di tre principi fondamentali: l'accesso al mercato, il trattamento nazionale e quello denominato della ―nazione più favorita‖.

L'accesso al mercato indica che le parti non potranno adottare alcuna limitazione circa il numero delle operazioni e sulla partecipazione di capitali .

Il trattamento nazionale invece richiede che ogni parte garantisca alle istituzioni e agli investitori della controparte un trattamento non meno favorevole di quello accordato alle proprie istituzioni ed investitori. Infine il principio della ―nazione più favorita‖, che secondo l'MPol si applica sia al principio dell'accesso al mercato che a quello del trattamento nazionale, per cui gli Stati contraenti si impegnano a concedersi reciprocamente il trattamento più favorevole che abbiano concesso o eventualmente concederanno in futuro, in una determinata materia ad uno o più Stati.

Il documento non affronta questioni delicate di diritto internazionale come la sicurezza e la protezione e la risoluzione delle controversie perché il Consiglio si è guardato bene dall'alterare i poteri propri degli Stati nella negoziazione di misure personalizzate per gli investitori nazionali.

2.3 La difficile integrazione tra accordi bilaterali di promozione e protezione degli investimenti e il diritto primario dell'Ue.

Se da un lato l'MPol ha sancito una competenza condivisa tra Ue e Stati membri nella negoziazione di accordi sugli investimenti a livello internazionale, dall'altro ha rappresentato il detonatore di una serie di

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controversie tra alcuni Stati europei con i loro BIT e il diritto primario dell'Ue.

Sin dal primo BIT tra Germania e Pakistan, la stipulazione di tali accordi veniva visto come un uno strumento politico di incentivo agli investimenti esteri e perciò i BITs stipulati dagli Stai membri sono proliferati.

La disciplina relativa agli investimenti diretti esteri era condivisa tra disposizioni proprie del diritto Ue e altre disposizioni contenute negli stessi BITs portando a delle incompatibilità tra i due.

In particolar modo le incompatibilità potevano essere classificate in due diverse tipologie: in primis le misure attuate da un Paese europeo in applicazione di un BIT devono essere prive di qualsiasi pregiudizio nei confronti delle disposizioni europee. L'art 226 TCE sancisce che se la Commissione reputa ―che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati‖ essa potrà ―adire la Corte di Giustizia dell'Unione Europea‖.

Come seconda tipologia di incompatibilità troviamo quelle che derivano dalla violazione da parte dello Stato membro, nell'applicazione del diritto europeo, del principio di non arrecare pregiudizio nei confronti degli investitori esteri e dei diritti loro riservati dal BIT. In tal caso lo Stato membro può essere portato dinanzi ad un organo internazionale per la risoluzione delle controversie sia dall'investitore estero che da un proprio cittadino. Da un lato, gli Stati erano liberi di esercitare la loro competenza nella negoziazione e conclusione di nuovi BITs, ma al contempo vincolati dall'esigenza di rendere compatibile il contenuto degli accordi con il diritto comunitario.

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Commissione nei confronti di Austria19, Svezia20, Finlandia21 e Danimarca22.

La Commissione ha inviato delle formali lettere di costituzione in mora nei confronti di tali Stati membri per richiedere chiarimenti circa la violazione del diritto europeo delle disposizioni dei BITs conclusi con Stati terzi precedentemente all'adesione all'Ue.23

Alla Danimarca la Commissione rimproverava il fatto che il BIT concluso nel 1986 con l'Indonesia violasse l'art 307 TCE ai sensi del quale il diritto comunitario non prevale automaticamente sugli accordi internazionali conclusi dagli Stati membri prima della loro adesione. Tuttavia, secondo quanto previsto dallo stesso articolo, gli Stati membri sono tenuti a ricorrere a tutti i mezzi atti a eliminare eventuali incompatibilità presenti nei suddetti accordi internazionali precedenti all‘adesione.

Alla Danimarca veniva contestato di aver esteso i diritti propri dei soli investitori europei anche a soggetti economici esterni. Così la stessa Danimarca ha scelto di estinguere il BIT, concludendone uno nuovo nel 2007 avente come controparte sempre l'Indonesia.

Per quanto riguarda i casi dell'Austria, Svezia e Finlandia la Commissione ha rilevato che gli Stati non hanno perseguito i loro obblighi in quanto i BITs non prevedevano restrizioni sulla libera

19Corte UE, 3 marzo 2009, Case C-205/06 Commission of European Communities vs

Repubblic of Austria, ECR I-1301.

20Corte UE, 3 marzo 2009, Case C-249/06 Commission of European Communities vs

Kingdom of Sweden, ECR I-1335.

21

Corte UE, 19 novembre 2009, Case C- 118/07Commission of European Communities vs Repubblic of Finland, ECR I-10889.

22 Corte UE, 5 novembre 2002, Case C-467/98 Commission of European

Communities vs Kingdom of Denmark, ECR I-9519.

(22)

22

circolazione dei capitali da o verso Stati terzi come previsto dagli artt 57, 59 e 60 del TCE ed essi non si sono attivati per rettificare tale situazione.

A seguito di tali controversie e con l'ammissione di nuovi Stati nell' Ue, oltre a prevedere l'obbligo di aderire ad alcuni trattati, viene inserito altresì l'obbligo di rinegoziare o denunciare gli accordi internazionali incompatibili con il diritto europeo. La Commissione ha anche facilitato la cooperazione con gli Stati terzi in modo tale che i nuovi Stati membri dell'Ue realizzassero appieno le loro obbligazioni.

Risultato di tale opera è stato, dopo diverse revisioni di accordi precedenti all'annessione all'Ue, una migliore armonizzazione di tutti gli accordi internazionali con il diritto europeo.

2.4 La denuncia e rinegoziazione degli accordi internazionali incompatibili con il diritto europeo e l‟interpretazione dell‟ art 351 TFUE( ex art 307 TCE): il caso Open Skies.

Il caso Open Skies24 apre ad importanti considerazioni circa le problematiche che possono presentarsi, sul piano delle relazioni internazionali, nella rinegoziazione o denuncia degli accordi incompatibili con il diritto europeo.

Il caso aveva ad oggetto una serie di trattati bilaterali conclusi da otto

24

Cfr. Commissione c. Danimarca, causa C-467/98 del 5 novembre 2002; Commissione c. Svezia, causa C-468/98 del 5 novembre 2002; Commissione c. Finlandia, causa 469/98 del 5 novembre 2002; Commissione c. Belgio, causa C-471/98 del 5 novembre 2002; Commissione c. Lussemburgo, causa C- 472/98 del 5 novembre 2002; Commissione c. Austria, causa C-475/98 del 5 novembre 2002; Commissione c. Germania, causa C-476/98 del 5 novembre 2002; Commissione c. Paesi Bassi, causa C-523/04 del 24 aprile 2007. Vi sarebbe, in realtà, un nono caso rientrante nella saga Open Sky, in cui lo Stato convenuto era il Regno Unito. Questo caso, tuttavia, è riconducibile alla situazione vista nella sentenza T. Port, poiché il nuovo accordo Open Sky firmato dal Regno Unito prevedeva una clausola di abrogazione espressa del trattato precedente. Cfr. Commissione c. Regno Unito, causa C-467/98 del 5 novembre 2002.

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23

Stati membri dell'UE singolarmente con gli Stati Uniti d'America prima della creazione dell'Unione.

Agli inizi degli anni Novanta, gli Stati Uniti avevano intrapreso un vasto processo di rinegoziazione di quegli accordi al fine di realizzare un'ampia liberalizzazione del trasposto aereo tra Stati europei e Stati Uniti, secondo una politica chiamata, appunto, open sky. A metà anni Novanta venivano concluse diverse intese bilaterali finalizzate a modificare i vecchi accordi. Essi, tuttavia, venivano impugnati dalla Commissione, nell'ambito di procedimenti di infrazione, per una serie di incompatibilità con il diritto comunitario innanzitutto per la violazione della competenza esterna della Comunità; infatti solo quest'ultima sarebbe competente a concludere siffatti accordi e di aver contravvenuto alle disposizioni del Trattato in materia di diritto di stabilimento avendo consentito agli Stati Uniti d'America di rifiutare i diritti di traffico sul loro spazio aereo ai vettori aerei designati dallo Stato membro contraente di un accordo, qualora una quota rilevante della proprietà e il controllo effettivo non facciano capo a tale Stato membro o a cittadini di tale Stato.

Tra gli argomenti avanzati dagli Stati membri a difesa di tali nuovi accordi, vi era quello della copertura degli stessi in quanto, appunto, accordi precedenti ai sensi dell' allora art. 307 TCE ( oggi 351 TFUE), atteso che si trattava, in tutti i casi, di modifiche apportate ad accordi stipulati in epoca precedente alla creazione dell'UE, o dell'adesione per gli Stati non fondatori. In sostanza, gli Stati membri sostenevano che gli accordi negoziati negli anni ‗90, altro non erano che il punto culminante di un lungo processo di mutua liberalizzazione del trasporto aereo con gli Stati Uniti, iniziato in epoca precedente alla creazione dell'Unione. Di conseguenza, al contrario di quanto sostenuto dalla Commissione, secondo la quale in sostanza gli emendamenti apportati avevano l'effetto di estinguere i vecchi trattati, i

(24)

24

nuovi accordi non potevano essere considerati autonomi, ma soltanto un'integrazione di quelli già esistenti. Secondo gli Stati membri, di conseguenza, anche i nuovi accordi avrebbero dovuto beneficiare del regime protettivo di cui all'art. 307 TCE. Ad avviso della CGUE, i nuovo accordi così negoziati avevano creato una cooperazione molto più stretta tra gli Stati coinvolti, sì da dar vita ad un complesso di obblighi giuridici del tutto nuovi, per questa ragione, gli accordi in questione non potevano beneficiare dell'art. 307 TCE e dovevano essere valutati alla stregua di accordi successivi. In questo contesto, è interessante notare come l'Avvocato Generale Tizzano, nelle sue conclusioni 25 , contestava con forza le argomentazioni della Commissione, facendo diretto riferimento alle norme internazionali rilevanti, affermando che ―[a] parte il fatto, invero, che [la Commissione], non tiene in alcun conto che da un punto di vista formale gli accordi controversi hanno modificato, ma non sostituito, gli accordi bilaterali precedentemente in vigore, mi pare soprattutto che essa trascuri la volontà delle parti, che pur dovrebbe costituire il principale punto di riferimento in simili ipotesi‖. In sostanza, in un caso del genere andava condotta un'indagine tesa a verificare se nell'intenzione delle parti i nuovi accordi andavano considerati come sostitutivi dei vecchi, oppure solo integrativi degli stessi. Inoltre, secondo l'Avvocato Generale la verità stava, in un certo senso, nel mezzo: ―devo anche precisare che, se si escludono, come a me pare, le radicali implicazioni della tesi della Commissione e si ammette quindi che i «vecchi» accordi sopravvivano, devono anche escludersi le implicazioni più radicali dell'opposta tesi; deve cioè escludersi che le successive modifiche di tali accordi godano del loro stesso regime‖. In altre parole, atteso che i vecchi accordi erano da considerarsi coperti dall'art. 307 TCE, non poteva dirsi la stessa cosa per gli emendamenti

(25)

25

apportati agli stessi, i quali, essendo intervenuti in epoca successiva alla creazione dell'Unione, potevano e dovevano essere sottoposti al sindacato di compatibilità con i trattati, al contrario di quanto teorizzato dagli Stati membri convenuti. La CGUE ha seguito un'altra impostazione. Attraverso la valorizzazione della conferma di obblighi precedenti nell'ambito della conclusione di un nuovo accordo, la Corte ha di fatto affermato che la mera rinegoziazione di un trattato anteriore ha l'effetto di far venir meno la copertura accordata dall'art. 307 TFUE. La decisione della Corte, se da un lato garantisce una preminenza piena dell'ordinamento giuridico dell'Unione, dall'altro appare non esattamente conforme alle norme rilevanti del diritto internazionale dei trattati.

2.5 Il contemperamento tra diritto nazionale, internazionale ed europeo nei BITs intra-UE: il caso Eastern Sugar c/ Repubblica Ceca.

Il lodo arbitrale del 27 marzo 200726 è molto importante perché, incidentalmente, per la prima volta fa luce sul complesso rapporto esistente tra diritto nazionale, internazionale ed europeo negli accordi bilaterali sugli investimenti conclusi da due Stati membri.

Alla base delle controversia tra la Eastern Sugar e la Repubblica Ceca vi era un BIT concluso nel 1991 tra l'allora Cecoslovacchia e i Paesi Bassi27.

La questione verteva sull'interrogativo se il regime di protezione

26Eastern Sugar B.V. (Netherlands) c. The Czech Republic, SCC no. 088/2004,

Partial Award, 27 marzo 2007 (pres. Karrer; Volterra e Gaillard arbitri), reperibile al sito Internet http://ita.law.uvic.ca.

27 Cfr. l‘Agreement on encouragement and reciprocal protection of investments

between the Kingdom of the Netherlands and the Czech and Slovak Federal Republic, firmato a Praga il 29 aprile 1991, in United Nations Treaty Series, vol. 2242, p. 205 ss.

(26)

26

accordato ad un investitore straniero da parte di un trattato bilaterale sulla promozione e la protezione degli investimenti dovesse ritenersi superato per il fatto che i due Stati parte al trattato fossero Stati membri dell‘Unione europea.

In particolare la Repubblica Ceca, affermava che il BIT del 1991 non fosse applicabile alla controversia tra essa stessa e l'impresa olandese a seguito dell'avvenuta adesione all'Unione Europea il primo maggio del 2004.

In base all‘art. 8 di tale BIT, l‘investitore olandese, produttore di zucchero, sottopone ad un Tribunale arbitrale ad hoc la controversia con la Repubblica ceca, lamentando la violazione dell‘accordo bilaterale e degli standard di trattamento ivi previsti.

Nel merito, il Tribunale accoglie, anche se non completamente, le ragioni dell‘investitore, accertando la violazione da parte dello Stato ospite dello standard del ―giusto ed equo trattamento‖.

La parte del lodo emblematica è quella relativa all‘accertamento da parte del Tribunale arbitrale della propria giurisdizione in cui viene affrontata la questione dei BITs intracomunitari.28

La Repubblica ceca, infatti, contesta la giurisdizione del Tribunale, affermando che la propria adesione all‘Unione europea, avvenuta nel 2004, avrebbe avuto l‘effetto di far terminare o limitare implicitamente l‘applicazione del BIT concluso in precedenza con i Paesi Bassi. Sostanzialmente la Repubblica ceca sostiene che l‘ordinamento comunitario non lasci più alcuno spazio ad accordi bilaterali sugli investimenti tra Stati membri poichè accordi bilaterali sugli investimenti e regole comunitarie sarebbero ―strutture giuridiche in competizione‖ vertenti sulla medesima materia, ossia sulla facoltà

(27)

27

delle parti di investire risorse sul territorio di un altro Stato e di disporre dei ricavi 29. Il diritto comunitario darebbe all‘investitore ―diritti equivalenti‖ rispetto a quelli contenuti nel BIT, che è dunque da ritenere ―superato‖ dal regime comunitario e non applicabile in una eventuale controversia.30.

Il Tribunale arbitrale richiama due documenti nella decisione finale, il primo è la lettera inviata dal Direttore generale della Direzione generale mercato interno e servizi della Commissione europea,ad un membro del governo della Repubblica Ceca31.

La Commissione, rispondendo sulla questione dell‘efficacia dei BITs tra Stati membri, dichiara che ―i BITs intracomunitari vadano terminati nella misura in cui le questioni affrontate da tali accordi cadano sotto la competenza comunitaria‖.

La Commissione va a sancire che per fatti verificatisi in seguito all‘adesione di uno Stato all‘Unione Europea, un accordo bilaterale sugli investimenti non è applicabile a questioni che ricadano nelle competenze comunitarie. La lettera sottolinea che l‘applicazione di BITs intracomunitari potrebbe comportare un trattamento più favorevole degli investitori e degli investimenti tra gli Stati parte all‘accordo bilaterale e, di conseguenza, discriminare altri Stati membri (o loro cittadini), creando una situazione che non sarebbe in conformità con i principi contenuti nei trattati istitutivi.

Il secondo documento riportato nel lodo arbitrale è un breve estratto da una nota inviata dalla Commissione al Comitato economico e

29 Eastern Sugar B.V. c. The Czech Republic, par 101. 30Ibidem, par 104.

31Ibidem, par. 119, è riprodotta la lettera inviata il 13 gennaio 2006 dalla Direzione

generale mercato interno e servizi della Commissione europea a Ladislav Zelinka, vice Ministro delle finanze della Repubblica ceca.

(28)

28

finanziario, organo consultivo che riferisce regolarmente alla Commissione e al Consiglio. La Commissione sostiene che la maggior parte delle previsioni contenute nei BITs sono state ―sostituite‖ dal diritto comunitario a partire dal momento in cui lo Stato interessato ha aderito all‘Unione europea32.

Il Tribunale arbitrale conclude che i BITs tra Stati membri non siano automaticamente superati dal diritto comunitario, rilevando come tanto nei trattati che hanno segnato l‘ingresso della Repubblica ceca nell‘Unione europea quanto nello stesso BIT alla base della controversia non venga disciplinata la questione del rapporto tra il BIT e il trattato istitutivo della CE, gli arbitri affrontano la questione del possibile conflitto in base alla convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, in particolare in base al suo art. 59 in tema di abrogazione tacita.33

Il Tribunale arbitrale ripercorre i requisiti che tale norma richiede perché si verifichi l‘abrogazione di un precedente trattato da parte di uno successivo. Gli arbitri affermano innanzi tutto che il BIT e il trattato CE non vertono sulla ―medesima materia‖.

32 Ibidem par. 126, riporta l‘estratto dalla nota del novembre 2006 inviata dalla

Direzione generale mercato interno e servizi della Commissione europea al Comitato economico e finanziario.

33 Art 59 Convenzione di Vienna : Estinzione di un trattato o sospensione della sua

applicazione derivanti implicitamente dal fatto della conclusione di un trattato successivo

1. Un trattato è considerato estinto quando tutte le parti di questo trattato concludono successivamente un trattato avente per oggetto la stessa materia e:

se risulta dal trattato posteriore o per altra via che secondo l'intenzione delle parti la materia deve essere disciplinata dal trattato medesimo; oppure

se le disposizioni del trattato successivo sono incompatibili con quelle del trattato precedente a tal punto che è impossibile applicare contemporaneamente i due trattati. 2. Il trattato anteriore è considerato come soltanto sospeso se risulta dal trattato posteriore o se è accertato per altra via che ciò corrispondeva alla intenzione delle parti.

(29)

29

Nell‘interpretazione data dal Tribunale, infatti, il trattato CE disciplina anche l‘aspetto degli investimenti tra uno Stato membro e l‘altro, attraverso la libera circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento; tuttavia esso non si estende fino a coprire aspetti quali il trattamento equo e giusto, la protezione contro le espropriazioni nonchè i meccanismi arbitrali di risoluzione delle controversie, che costituiscono i tratti salienti di ogni accordo bilaterale in materia di investimenti.

Inoltre, secondo gli arbitri non è provato che nelle intenzioni di entrambe le parti la materia dovesse essere regolata dal trattato CE, né il BIT risulta essere ―incompatibile‖ con il trattato CE, trattandosi anzi di due strumenti ―complementari‖34

Per queste ragioni, e non sentendosi vincolato dalle argomentazioni della Commissione europea, il Tribunale arbitrale afferma di avere giurisdizione in base all‘accordo bilaterale tra Paesi Bassi e Repubblica ceca.35

A favore della soluzione data dal Tribunale a tali problemi può aver giocato anche un ulteriore elemento: la Commissione europea, favorevole alla progressiva eliminazione dei BITs intracomunitari, non ha tradotto, le proprie prese di posizione in una formale procedura di infrazione a carico degli Stati membri che non abbiano posto termine a

34 Cfr. Eastern Sugar B.V. c. The Czech Republic, par. 169 ss.

35Cfr. Eastern Sugar B.V. c. The Czech Republic, par. par. 181. La Repubblica ceca

aveva inoltre richiesto al Tribunale arbitrale di sospendere il procedimento e di rimettere alla Corte di giustizia delle Comunità europee la questione dell‘efficacia del BIT tra i due Stati membri in seguito all‘adesione della Repubblica ceca all‘UE. Il Tribunale, richiamando la giurisprudenza della Corte di giustizia sulla impossibilità per un tribunale arbitrale di avvalersi dello strumento del rinvio pregiudiziale ex art. 234 CE, rigetta tale domanda e rifiuta di sospendere il procedimento (ibidem, par. 130 ss.).

(30)

30 tali accordi bilaterali.36

Eastern Sugar, al di là del singolo BIT considerato, diventa importantissimo per la definizione del rapporto tra i BITs intracomunitari e il diritto europeo soprattutto a seguito dell'ingresso di nuovi Stati nell'Ue nel 2004 e 2007 che ha fatto aumentare in maniera considerevole il numero di tali accordi bilaterali tra stati membri. La posizione della Commissione emersa nel caso citato è chiara: la preoccupazione principale appare quella di evitare che la permanenza in vigore dei BITs intracomunitari possa creare situazioni di disparità di trattamento tra cittadini dell‘Unione.

Come hanno argomentato gli esponenti della dottrina37 i BITs non attribuiscono garanzie e tutela diversa da quella accordata dal diritto europeo in quanto i principi-cardine di libertà di stabilimento, di libera circolazione dei capitali, di non discriminazione in ragione della nazionalità e di tutela della proprietà privata fornirebbero agli investitori una protezione equivalente rispetto a quella accordata dagli standard di trattamento che si trovano nella maggior parte degli accordi bilaterali in materia di investimenti.

La principale differenza tra BITs e diritto comunitario risiede nelle procedure a cui può ricorrere l'investitore straniero che voglia far valere i suoi diritti nei confronti dello Stato che ospita l'investimento. Nella maggior parte dei BITs viene previsto il ricorso allo strumento arbitrale mentre nel diritto comunitario questo strumento non viene contemplato: il privato investitore può presentare ricorso contro uno

36 Cfr. Eastern Sugar B.V. c. The Czech Republic, par. 122.

37Cfr. POULAIN, Quelques interrogations sur le statut des traitès bilatéraux de

promotion et de protection des investissements au sein de l‘Union européenne, in Revue générale droit int. public, Paris, 2007, p. 803 ss., a p. 814

(31)

31

Stato membro esclusivamente attraverso la Commissione38.

Tuttavia, qualora tale problematica venisse sollevata in un procedimento arbitrale, come è avvenuto nel caso Eastern Sugar, è difficilmente ipotizzabile che ciò possa avere delle conseguenze in termini di applicazione o meno di un BIT da parte degli arbitri: in tali ipotesi, infatti, la discriminazione non colpirebbe l‘investitore (che si avvantaggia usufruendo del meccanismo di risoluzione previsto dal BIT) ma i soggetti comunitari, estranei al procedimento, che a quel meccanismo non hanno accesso. Tutt‘al più, come osservano gli arbitri del caso Eastern Sugar, ―it will be for those other countries and investors to claim their equal rights‖39

.

Permane una situazione di incertezza nell'interpretazione delle disposizioni nazionali ed internazionali che caratterizzano la materia degli investimenti internazionali alla luce del diritto comunitario.

2.6 L'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e l'ampliamento delle competenze europee in materia di investimenti diretti esteri. Il 1° dicembre 2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, testo che determina una profonda riforma dell'Unione europea così come conosciuta fino a quel momento sotto ogni aspetto, rafforzandone il carattere democratico, iniziando dai trattati istitutivi per approdare all'organizzazione per una più alta efficacia ed efficienza delle attività dell'Ue, definendo meglio alcune politiche europee.

In particolare, il Trattato di Lisbona ha recepito la classificazione delle

38

Artt 258 e 259 TFUE.

(32)

32

competenze dell'Ue, così come delineata dall'opera giurisprudenziale della Corte di Giustizia.

Finalmente emerge una competenza esclusiva dell'Ue nella materia degli investimenti diretti esteri.

L‘art. 3, par.1, lett. e, TFUE stabilisce che la UE ha competenza esclusiva nel settore della politica commerciale comune di cui è parte fondamentale l'unione doganale, l'art 206 TFUE specifica come l'abolizione delle restrizioni sullo stabilimento degli investimenti diretti esteri sia parte integrante dell'unione doganale. L'art 207 amplia il campo della politica commerciale comune al fine di consentire che questa politica si fondi su dei principi uniformi anche in riferimento agli investimenti diretti esteri.

La competenza in materia di investimenti diretti esteri, nel quadro della politica commerciale comune, emerge formalmente per la prima volta quale competenza espressa ed esclusiva all‘art. III-315 del Trattato che adotta una Costituzione per l‘Europa40

, mai entrato in vigore ma la cui eredità viene lasciata al Trattato di Lisbona.

L'art 207 TFUE indica come la politica commerciale comune ―è indirizzata nel quadro dei principi e obiettivi dell'azione esteriore dell'Unione.‖ I principi e gli obiettivi dell'azione esteriore dell'Ue sono esplicitati, come indicato dall'art 205 TFUE, all'art 21 TUE il quale prevede che ―definisce e attua politiche comuni e azioni e opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine di: …e) incoraggiare l‘integrazione di tutti i paesi nell‘economia mondiale, anche attraverso la progressiva abolizione delle restrizioni agli scambi internazionali‖ nonché ―h) promuovere un sistema internazionale basato su una cooperazione

(33)

33

multilaterale rafforzata e il buon governo mondiale‖.41

Combinando le norme di cui sopra con quelle che, formalmente, attribuiscono la personalità giuridica di diritto internazionale alla Ue42 ( altra grande innovazione introdotta con il Trattato di Lisbona) non v‘è dubbio che quest‘ultima sia un ente abilitato a stipulare con Stati terzi accordi internazionali bilaterali e multilaterali in materia di commercio internazionale, compresa la materia degli investimenti diretti esteri. Dal punto di vista procedurale, per quanto riguarda le modalità di esercizio della competenza, dobbiamo far riferimento al paragrafo 4 dell'art 207 TFUE dove si afferma che per la conclusione degli accordi esterni riguardanti la politica commerciale comune, il Consiglio decreta a maggioranza qualificata con un'eccezione che interessa proprio gli investimenti esteri diretti, secondo cui ―il Consiglio stabilisce all' unanimità quando questo accordo comprende delle disposizioni per le quali l'unanimità è richiesta per l'adozione di regole interne.‖

Il trattato di Lisbona segna il riconoscimento definitivo in capo all'Ue del potere di regolazione degli investimenti diretti esteri e la positivizzazione della giurisprudenza della Corte , secondo cui anche gli investimenti esteri sono parte integrante delle azioni politiche della Commissione e delle diverse istituzioni europee.

2.7 Il ruolo delle istituzioni europee per il raggiungimento di una “politica globale europea sugli investimenti”

41In argomento v. in generale BENEDEK, MARRELLA, DE FEYTER, Economic

Globalisation and Human Rights, Cambridge, 2011.

(34)

34

A seguito del riconoscimento in capo all'Ue delle competenze in materia di investimenti diretti esteri, la Commissione ha presentato il 7 luglio 2010 un documento riguardante lo sviluppo di una politica europea sugli investimenti43 il cui scopo principale è di ―esaminare il modo in cui l'Unione potrebbe elaborare una politica d'investimenti internazionali suscettibili di migliorare la competitività dell'Ue‖44. La Comunicazione indica come la realtà economica europea sia nel tempo stesso ―la prima destinazione e la prima fonte per gli Investimenti diretti esteri‖.45

Questo particolare pone l'Ue in una posizione delicata sul piano internazionale, attribuendole un maggior potere di contrattazione di accordi sulla promozione e protezione degli investimenti rispetto ai singoli Stati membri.

Per quanto riguarda questi ultimi, ogni Stato mantiene il controllo sulle decisioni riguardanti gli strumenti di promozione, protezione, garanzia e assistenza sempre in conformità con la politica commerciale comune ed, in generale, la legislazione europea.

La Commissione dichiara che intende focalizzare la sua attenzione alla conclusione di accordi con Paesi in cui gli investimenti diretti esteri sono più sviluppati, in modo da facilitare questi tipi di negoziati. Tali Paesi devono rispondere a determinati requisiti in termini economici e dal punto di vista politico-istituzionale il clima deve essere sicuro e affidabile. È un tipo di valutazione che deve essere fatta caso per caso, considerando le singole peculiarità di ogni Stato controparte e ciò va ad escludere l'ipotesi di un modello unico per i BITs tra Ue e Paesi Terzi.

43Commissione Europea, ―Verso una politica globale europea sugli investimenti:le

linee di principio della Commissione europea‖, COM(2010) 343, 7 luglio 2010.

44

Ibidem, par.1

(35)

35

L'obiettivo principale rimane quello di garantire ai soggetti europei che intendono investire all'estero, un grado di protezione particolare che assicuri un trattamento giusto ed equo rispettando le politiche europee in materia di tutela ambientale, di sviluppo, di concorrenza e salute, nonché la promozione dello stato di diritto, dei diritti dell'uomo e dello sviluppo sostenibile così come specificato agli artt 205 TFUE e 21 TUE.

Per quanto riguarda il problema controverso della risoluzione delle controversie, in particolare tra l'investitore e lo Stato ospitante l'investimento, la Commissione sancisce che la linea guida deve essere il principio di non discriminazione ed individua nell'arbitraggio internazionale uno strumento atto a garantire tale principio nonché già sistema condiviso e ampiamente utilizzato in tutti i BITs europei. In risposta alla comunicazione della Commissione, il Consiglio pubblica un documento intitolato ―Conclusioni su una politica globale europea degli investimenti internazionali.‖46

Il Consiglio fa leva sulla protezione degli investitori europei, indicando come sia necessaria una maggiore attenzione su questo aspetto ed in particolare sui meccanismi per la risoluzione delle controversie.

Dal canto suo il Parlamento con la Risoluzione n°220347 dichiara che è consapevole delle difficoltà che l'UE deve affrontare davanti all'attribuzione di una nuova competenza in materia di investimenti diretti esteri, prima di tutto la gestione dei BITs esistenti e soprattutto una chiara definizione della politica europea in merito. Esso chiede di non essere escluso dalla definizione dei principi da introdurre nei futuri

46Consiglio, ―Conclusion in a comprehensive international investment policy‖ 3041°

Incontro del Foreign Affairs Council, 25 ottobre 2010.

47Parlamento Europeo, ―Risoluzione sulla futura politica europea in materia di

(36)

36

accordi e di partecipare attivamente nelle fasi di negoziazione con gli Stati terzi.

Il Parlamento critica alla Commissione di essersi focalizzata, nella Comunicazione, esclusivamente sulla protezione dell'investitore, mentre sarebbe stato auspicabile indirizzare gli sforzi anche sulla definizione e regolamentazione di una politica coerente con lo sviluppo . Lo sviluppo è legato anche all'eliminazione delle disparità tra i diversi BITs europei, per l'eliminazione delle differenze e la creazione di un modello europeo per gli accordi bilaterali per la promozione e protezione degli investimenti negoziati dall'Ue o dagli Stati membri con l'inserimento anche di disposizioni che rientrino nel campo della protezione ambientale e sociale .

Altro aspetto fondamentale su cui la Commissione cerca di fare chiarezza è quello relativo ai BITs degli Stati membri attraverso la c.d. ―Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che stabilisce disposizioni transitorie per gli accordi bilaterali conclusi da Stati membri con Paesi Terzi in materia di investimenti.‖48

La Proposta introduce un regime legale entro il quale gli Stati membri sono autorizzati a mantenere in vigore o concludere BITs con Paesi terzi: gli Stati membri devono notificare gli accordi già in vigore e quelli che intendono far entrare in vigore entro un mese dall'attuazione del regolamento. La lista degli accordi così notificati e autorizzati deve essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Commissione che, dopo una consultazione con gli Stati membri considerati, deve revisionare la stessa lista in base a tre diversi criteri:

― a) sono incompatibili con il diritto dell'Unione per ragioni diverse da quelle derivanti dalla ripartizione delle competenze tra l'Unione e i suoi Stati membri;

(37)

37

b) coincidono in parte o del tutto con un accordo vigente tra l'Unione e il Paese terzo in questione e quest'ultimo accordo nom affronta specificamente la questione della sovrapposizione;

c) costituiscono un ostacolo allo sviluppo e all'attuazione delle politiche dell'Unionee in materia di investimenti, in particolare della politica commerciale comune.‖49

In sostanza la revoca dell'autorizzazione al mantenimento o all'entrata in vigore di un BIT concluso da uno Stato membro con un Paese terzo deriva da un'incompatibilità con il diritto europeo.

La proposta prevede ancora un dovere di informazione in capo agli Stati membri i quali devono costantemente aggiornare la Commissione su qualsiasi incontro avvenuto per la stipulazione di un accordo bilaterale di promozione e protezione degli investimenti ed anche su qualsiasi richiesta di risoluzione di controversie presentata nel quadro dell'accordo, in modo da garantire una difesa efficace e la partecipazione della Commissione al procedimento.50

Il meccanismo prospettato risulta compatibile anche con il diritto internazionale in quanto va a tutelare i diritti degli Stati terzi stabiliti da tali accordi e la ratio è simile a quella che sottende l‘art 351 TFUE: gli obblighi discendenti dal diritto dell‘Unione dopo la conclusione degli Accordi, non incidono – temporaneamente – sui rapporti

49

Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che stabilisce disposizioni transitorie per gli accordi bilaterali conclusi da Stati membri con Paesi Terzi in materia di investimenti,art 5.

50

Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che stabilisce disposizioni transitorie per gli accordi bilaterali conclusi da Stati membri con Paesi Terzi in materia di investimenti, art 13.

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