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Il Controllo di Gestione nelle Aziende Ospedaliere

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE ... 5  

PRIMO CAPITOLO: ... 9  

Evoluzione normativa del Sistema Sanitario Nazionale: dalle usl alle asl ... 9  

Legge 883/78: la creazione del Servizio Sanitario Nazionale. ... 9  

Le evoluzioni successive: introduzione del controllo di gestione nelle strutture santarie ... 11  

La riforma del titolo V ... 17  

Documenti programmatici della Regione Sicilia ... 19  

Il piano di rientro: “Il contenimento della spesa”. ... 19  

Piano della salute della regione Sicilia: Triennio 2011/2013 ... 23  

Collegamenti con altri livelli di programmazione: il Patto per la Salute del 2009 ... 23  

Obiettivi del piano di salute ... 24  

Un cambiamento culturale: l’utente al centro del sistema sanitario regionale ... 26  

SECONDO CAPITOLO ... 29  

IL CONTROLLO DI GESTIONE NELLE AZIENDE SANITARIE: PRINCIPI GENERALI. ... 29  

Specificità delle aziende erogatrici ... 29  

I risultati economici. ... 29  

La natura dell’attività. ... 31  

Il processo del controllo di gestione ... 36  

I tempi nel controllo di gestione: quando si controlla ... 36  

Il personale nel controllo di gestione: chi si controlla e chi controlla. ... 37  

Le finalità del controllo di gestione ... 37  

Elementi strutturali e processo ... 40  

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Il budget ... 43  

Caratteristiche e funzioni del budget ... 45  

Processo di budgeting: il caso della asp Basilicata ... 49  

Budget generale ... 49  

Contenuti del Budget Generale ... 51  

Il Budget Operativo ... 53  

Soggetti coinvolti nel processo di redazione del Budget Operativo ... 53  

Fasi operative per la redazione del Budget Operativo ... 56  

Contenuti del budget operativo ... Errore. Il segnalibro non è definito.   QUARTO CAPITOLO ... 60  

La contabilità analitica ... 60  

Contabilità direzionale e contabilità analitica ... 62  

Analisi dei costi ... 64  

Le tipologie di costo ... 65  

Configurazioni di costi ... 67  

Direct Costing ... 68  

Full costing ... 72  

Oggetti di costo ... 74  

La contabilità per centri di costo ... 74  

Il piano dei centri di costo e la localizzazione dei costi ... 76  

La chiusura dei centri di costo intermedi e la determinazione del costo della prestazione ... 80  

Piano dei centri di costo della regione Lombardia ... 84  

Premessa: la funzione delle Linee Guida per il controllo di gestione ... 84  

Piano dei centri di costo ... 86  

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Sezione 2: Servizi diagnostico-terapeutici ... 88  

Sezione 3: Servizi di supporto sanitari ... 89  

Sezione 4: Servizi alberghieri e di presidio ... 90  

Sezione 5: Servizi amministrativi, generali e costi comuni d’azienda ... 91  

Sezione 6: Servizi territoriali e dipartimento di salute mentale ... 91  

Sezione 7: direzione scientifica e ricerca ... 92  

Sezione 8: Attività specialistica ambulatoriale ... 92  

Le rilevazioni contabili per linea di attività ... 93  

Criteri generali di allocazione dei ricavi e dei costi ... 93  

Chiusura dei centri di costo intermedi ... 96  

Ribaltamento dei costi ... 98  

QUINTO CAPITOLO ... 101  

Il sistema di reporting ... 101  

Contenuti dei report ... 106  

Analisi degli scostamenti ... 106  

Il sistema di indicatori economici sanitari ... 111  

Il sistema di indicatori gestionali sanitari ... 115  

La valutazione delle performance negli ospedali lombardi ... 124  

La struttura del modello di valutazione della performance ... 125  

L’efficacia ex post ... 129  

L’accessibilità ... 132  

Rilevazione della customer satisfaction ... 132  

Rilevazione dei tempi di attesa ... 134  

Qualità ex ante ... 135  

Efficienza ... 138  

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I ricoveri opportunistici ... 139  

Controlli delle cartelle cliniche ... 141  

Assegnazione del punteggio agli ospedali ... 142  

CONCLUSIONE ... 143  

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INTRODUZIONE

L’esplosione della spesa sanitaria a livello mondiale ha spinto, sia i governi nazionali, sia quelli regionali ad affinare le tecniche di pianificazione, programmazione e controllo della sanità. I motivi di questa esplosione si possono ricondurre, sia a un aumento dell’anzianità media della popolazione (come tutte le statistiche mondiali dimostrano), sia ad un aumento incontrollato degli sprechi nella sanità italiana.

L’azione governativa, attraverso il processo di riforme, è volta alla creazione di un contesto in cui si cerchi di massimizzare al massimo l’uso delle risorse che, per definizione, sono “scarse”.

Coscienti delle difficoltà di attuazione di una qualsiasi riforma che riguardi l’amministrazione pubblica, si deve porre l’accento sul coraggioso passo, fatto dal governo, verso l’aziendalizzazione degli erogatori sanitari pubblici; le riforme susseguitesi nel tempo, hanno voluto dotare le aziende sanitarie pubbliche di strumenti di contabilità e controllo più adeguati rispetto a quelli fino ad ora adottati, scegliendo la contabilità patrimoniale in luogo della contabilità finanziaria, al fine di raggiungere obiettivi di maggiore efficienza, efficacia, economicità e qualità gestionale.

Il riordino del Servizio Sanitario Nazionale, previsto dal D.lgs. 502/92, e successive modificazioni, ha tra i capisaldi fondamentali:

• La trasformazione delle unità locali in aziende, dotate di personalità giuridica propria e di autonomia amministrativa, organizzativa, patrimoniale e contabile; • L’adozione generalizzata dell’utilizzo del budget, e la conseguente attivazione

del processo di programmazione e controllo di gestione Oltre all’affermazione di una serie di principi irrinunciabili:

• Mantenimento in ambito pubblico del servizio • Universalità delle prestazioni;

• Uniformità dei livelli di assistenza garantiti su tutto il territorio; • Libera scelta del cittadino.

Occorre individuare, per le Asl nascenti, una “forma giuridica” che sia coerente con il processo di aziendalizzazione avviato dalla riforma del ‘92/93, che risponda ai seguenti obiettivi:

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2. Superamento dei vincoli amministrativi pubblicistici;

3. Previsione di un organo d’indirizzo sulle decisioni strategiche che, senza intaccare l’autonomia gestionale affidata agli amministratori regionali, sia in grado di soddisfare la delega relativa al potenziamento del ruolo delle regioni nei procedimenti di programmazione sanitaria e sociosanitaria.

Il D.lgs. 502/92, ha portato un cambiamento radicale nella natura degli attori del sistema sanitario pubblico; infatti, attribuendo una personalità giuridica alle aziende sanitarie, delega alle regioni il compito di disciplinare il modello di riferimento e l’organizzazione delle proprio sistema sanitario regionale, lasciando allo Stato il compito di indirizzo generale e di garanzia, per quanto riguarda i livelli essenziali di assistenza.

Questo cambiamento può essere definito epocale infatti, per la prima volta, una tipologia di azienda pubblica abbandona il tradizionale sistema di contabilità finanziaria per sviluppare un sistema di contabilità economica finanziaria.

L’ente sanitario precedente, “Unita Sanitaria Locale” (Usl), regolato dal comune, si evolve pertanto in una “Azienda Sanitaria Locale” (Asl), dotata di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, gestionale e tecnica, che, inserita in un contesto di “libertà di scelta del cittadino, circa la struttura sanitaria fornitrice del servizio”, alimenta un processo di concorrenza tra il sistema pubblico e il sistema privato.

Il principio ispiratore dell’aziendalizzazione può essere ricondotto alla constatazione che le aziende pubbliche, viste da sempre come aziende di pura erogazione, si sono piano piano evolute verso attività di vera “produzione”, contribuendo, non solo a soddisfare i bisogni dei cittadini, ma anche ad accrescere e distribuire valore a tutta la collettività.

L’attivazione del processo di programmazione e controllo risulta problematico in un contesto come quello dei servizi sanitari; le criticità derivano dall’oggettiva complessità organizzativa, dall’eterogeneità dei processi di produzione, dall’elevata autonomia professionale dei dirigenti e degli operatori dei diversi centri di responsabilità, dalla carenza di una cultura e di una sensibilità diffusa di carattere economico-aziendale, dalla tendenza ad una esasperata settorializzazione, con difficoltà notevoli di comunicazione orizzontale (tra comparti diversi dell’azienda) e verticale (tra differenti livelli di responsabilità), dalla carenza dei diversi sottoinsiemi informativi di supporto al

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processo decisionale (gestione dei farmaci, dei materiali sanitari e non sanitari, delle attrezzature).

Il presente lavoro si propone di andare ad analizzare come si sono evolute le tecniche di programmazione e controllo nelle aziende ospedaliere italiane e, conseguentemente, come quest’ultime si sono organizzate per attuarle.

Nella prima parte della tesi, verranno presentate una serie di informazioni generali riguardo l’inquadramento normativo a cui il settore sanitario dovrà sottostare, e riguardo le principali caratteristiche, funzioni e strumenti del controllo di gestione.

Questi due aspetti vanno di pari passo, infatti, sono stati i D.lgs. 502/92 ed il D.lgs. 229/99 che hanno creato le condizioni idonee all’introduzione, nelle aziende ospedaliere, dei processi di pianificazione e controllo gestionale.

Sono analizzati i documenti di programmazione della Regionale Sicilia, mostrando come ha recepito gli indirizzi generali dettati dallo Stato (contenuti nel Nuovo Patto sulla Salute del 2006) circa il contenimento della spesa, e come questa ha deciso di procedere, attraverso la fissazione di una serie di obiettivi a medio termine, all’attivazione del sistema di controllo per ridurre gli sprechi.

Inoltre, verranno presentate le principali caratteristiche di una azienda ospedaliera; essa, infatti, può essere considerata alla stregua di una azienda di servizi, ma rispetto ad essa, avrà delle peculiarità (la complessità dell’erogazione del servizio e l’impossibilità di standardizzare la maggior parte delle prestazioni) che impongono una riflessione aggiuntiva circa la qualità percepita dall’utente, circa i sistemi di rilevazione dei costi e dei ricavi e circa il significato da attribuire ai valori, economici e patrimoniali, presenti nei principali documenti contabili, tipici della contabilità economico-patrimoniale. La seconda parte della tesi analizzerà gli strumenti tipici del controllo di gestione: il budget, la contabilità analitica ed il sistema di report.

È necessario, intanto, capire quali sono le funzioni che la letteratura assegna a questi strumenti, al fine di creare un linguaggio condiviso da tutti gli attori facenti parte dei sistema sanitario, che consenta di massimizzare lo sfruttamento di questi e che permetta un confronto tra sistemi (sia a livello nazionale, ma anche a livello regionale) per individuare i punti di forza e di debolezza di ciascuno di essi, in un’ottica di miglioramento continuo delle performance.

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Dopo aver chiarito il precedente punto, ho analizzato come, nella pratica, le Asl implementano questi strumenti; per il budget, ho preso in considerazione l’Asp Basilicata, e per la contabilità analitica e la valutazione delle performance, l’Asl Lombardia.

L’Asp Basilicata, in particolare, ha deciso di utilizzare tre documenti per attivare il processo di budgeting: il Documento delle Direttive, il Budget Generale, il Budget Operativo; per ognuno di essi saranno analizzati le caratteristiche, i soggetti partecipanti al processo e gli obiettivi finali.

Le Linee Guida della Regione Lombardia, riguardanti la contabilità analitica e la valutazione delle performance, forniscono un quadro molto dettagliato su come andare a costituire un piano dei centri di costo, su come riuscire ad allocare i costi (diretti e indiretti) alle singole prestazioni, e su come riuscire ad usare questi dati per una chiara ed obiettiva valutazione delle performance, che non sia fine a se stessa ma che serva per l’attivazione di processi di miglioramento continuo necessari per garantire livelli di efficienza, efficacia e qualità sempre più ambiziosi.

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PRIMO CAPITOLO:

Evoluzione normativa del Sistema Sanitario Nazionale: dalle usl alle asl Legge 883/78: la creazione del Servizio Sanitario Nazionale.

La tutela della salute, nella società moderna, assume una duplice connotazione: costituisce un bisogno primario dell’individuo ed è una responsabilità diretta della comunità organizzata.

In Italia, negli ultimi decenni, la pubblica amministrazione ha assunto un ruolo fondamentale nella gestione dei servizi sanitari nazionali, in particolare, questa tendenza si è rafforzata a seguito dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale creato nel 1978 con la legge n.833.

Si è inteso così garantire la soddisfazione completa del diritto alla salute previsto dall’art 32 della Costituzione.

Tale articolo prevede che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”.

Prima di questo intervento legislativo l’attività sanitaria era legata soprattutto agli enti locali, infatti, i comuni e le province affiancavano gli ospedali e le altre istituzioni private, sia laiche sia religiose, che provvedevano all’erogazione di servizi sanitari. Con la legge 833 si è passati da una realtà caratterizzata da una molteplicità di strutture aventi carattere mutualistico-assicurativo ed assistenziale, ad un sistema prevalentemente unitario che ha dato vita al Servizio Sanitaro Nazionale.

La legge 833/78 era improntata sulla “soddisfazione del bisogno di tutela della salute” come diritto della persona e prevedeva che l’attuazione del SSN fosse di competenza dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali; il modello così impostato, affermava la centralità dell’operatore pubblico, realizzando la quasi totale “pubblicizzazione” delle strutture di offerta dei servizi.

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Tra i principi ispiratori della legge 883/78 si ricordano: l’universalità dei destinatari, l’eguaglianza di trattamento, la globalità delle prestazioni, il rispetto della dignità e della libertà della persona umana.

L’assetto istituzionale prevedeva la sovrapposizione di diversi centri autonomi di decisione.

Lo Stato, a cui il legislatore nazionale aveva assegnato funzioni di programmazione sanitaria nazionale, aveva il compito di stabilire l’entità dei finanziamenti da ripartire alle regioni e aveva il ruolo di coordinatore dell’intero sistema.

Le Regioni che avevano una funzione legislativa in materia sanitaria e ospedaliera, predisponevano dunque i piani sanitari regionali e ripartivano le risorse finanziarie tra le USL (Unità Sanitaria Locale).

I Comuni avevano, invece, funzioni amministrative residuali, in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, che, quindi, non erano attribuite allo Stato e alle Regioni, ed avevano il compito di erogare i servizi sanitari; funzioni esercitate in forma singola o associata attraverso le USL.

L’attuazione delle politiche sanitarie, dunque, si fondava sulle scelte di politica economica statale, prevedendo l’erogazione delle prestazioni del Servizio Sanitario in base agli stanziamenti erariali, gravanti sulla fiscalità generale.

Le risorse per la sanità erano quelle previste mediante un apposito strumento, il Fondo Sanitario Nazionale (F.s.n.), approvato annualmente con la manovra di bilancio, in cui confluivano le varie entrate tese a sostentare la spesa sanitaria1. Al fine di determinare l’importo complessivo da stanziare si usavano criteri demografici, fondati sul numero e l’età della popolazione nazionale, in base ai quali era calcolata la cd. “quota pro-capite”, da cui si ricavava il fabbisogno di spesa di ciascuna Regione2.

1 Art.69 l. n. 833: si trattava sia delle imposte generali, sia dei contributi sanitari versati dai datori di

lavoro, sia di ulteriori entrate.

2 Il fondo si articolava in due segmenti: la parte corrente, comprensiva delle risorse necessarie per il

funzionamento ordinario del Servizio Sanitario Nazionale; la parte in conto capitale, in cui confluivano le risorse per gli investimenti durevoli. Le risorse così determinate, quindi, venivano distribuite alle regioni, le quali le attribuivano poi alle singole USL con la collaborazione dei comuni

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Il modello istituzionale così definito, consentiva che le scelte in materia sanitaria fossero il risultato di una pluralità di contributi provenienti sia dal livello locale sia dal livello nazionale; un sistema basato sulla cd. Finanza Derivata e da trasferimento, con una forte centralizzazione a livello statale delle scelte di spesa, al fine di garantire uniformità ed effettività alla tutela del diritto alla salute.

Esso però si portava una serie di limiti dovuti alla frammentazione eccessiva delle competenze, all’impossibilità degli organi regionali di comprendere appieno le esigenze delle singole strutture e quindi della collettività locale, in quanto, la determinazione delle necessità finanziare delle USL era effettuata con il criterio della “spesa storica”. L’assegnazione delle risorse alle regioni attraverso la “spesa storica”, cioè l’attribuzione di stanziamenti riferibili non tanto ai reali bisogni della comunità e alla domanda di salute ma alle esigenze di bilancio delle amministrazioni, inoltre, comportò uno scarso senso di responsabilità delle amministrazioni regionali e locali, tenuto conto della sempre assicurata “copertura” dei deficit sanitari mediante la manovra finanziaria. Questo sistema di finanziamento di certo non spingeva le Regioni ad effettuare corrette valutazioni sulle modalità d’impego delle risorse per la sanità.

La contabilità finanziaria, come si evince, rilevava le entrate e le spese dell’esercizio, ma era incapace di correlare le risorse consumate con la produzione dei servizi resi e soprattutto era inadeguata nel collegare obiettivi con risorse e risultati raggiunti con le relative responsabilità.

Le evoluzioni successive: introduzione del controllo di gestione nelle strutture santarie

Nel 1992 con il D.lgs n.502, in attuazione della legge delega n.421/92, la disciplina dell’ordinamento di tutto il sistema sanitario viene riformata e rinnovata al fine di superare norme ormai obsolete, e quindi di risolvere gli evidenti limiti del modello istituzionale precedente, al fine di orientare con maggiore forza il sistema sanitario verso condizioni di efficienza, efficacia economicità e competitività.

Per quanto riguarda i principi cardine della normativa, essi sono ripresi dalla legge 822/78, ma il legislatore apporta alcuni significativi elementi di cambiamento, riguardanti:

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1. La struttura del sistema, con un maggior grado di decentramento dei poteri decisionali;

2. La relazione tra i diversi organi, con modalità di risoluzione dei conflitti nei rapporti tra i diversi livelli di governo;

3. I criteri di finanziamento, non più basati sul costo storico, ma sul numero effettivo di prestazioni effettuate;

4. I criteri di valutazione, dei risultati delle aziende sanitarie pubbliche.

Nelle strutture di gestione e di sviluppo del processo decisionale sono implementate logiche di tipo manageriale, attraverso la trasformazione delle USL e dei presidi ospedalieri, in possesso dei requisiti necessari, in Aziende Sanitarie Locali (ASL) dotate di personalità giuridica di diritto pubblico.

I soggetti erogatori, secondo la normativa, sono le ASL (costituite dai Distretti Socio Sanitari, Dal Dipartimento di Prevenzione, dal Dipartimento di Salute Mentale e dai Presidi a diretta gestione), le Aziende Ospedaliere (AO) e gli Ospedali Privati Accreditati.

Viene modificato anche l’assetto istituzionale, con un passaggio da una tripartizione dei poteri ad una bipartizione con un ruolo centrale assunto dalle Regioni e un ruolo dei Comuni ormai del tutto residuale e secondario.

Il Governo svolge una generale attività di programmazione dell’assistenza sanitaria attraverso il Piano Sanitario Nazionale redatto con una cadenza triennale; con tale documento si stabiliscono: le aree prioritarie d’intervento, le linee d’indirizzo finalizzate a orientare il Sistema Sanitario Nazionale verso il miglioramento continuo della qualità dell’assistenza, gli obiettivi da raggiungere, gli indicatori per la verifica dei livelli di assistenza forniti, i livelli essenziali e uniformi di assistenza e la quota capitaria di finanziamento.

Le Regioni, diventate i principali responsabili della soddisfazione dei bisogni di salute del cittadino, hanno il compito di determinare: i principi di organizzazione dei servizi di erogazione delle prestazioni dirette alla tutela della salute, i criteri di finanziamento delle ASL e delle AO e gli orientamenti tecnici, di promozione e di supporto anche in relazione al controllo di gestione ed alla valutazione della qualità delle prestazioni sanitarie.

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Sia le ASL sia le AO sono preposte all’erogazione di prestazioni sanitarie ed hanno autonomia istituzionale, organizzativa e gestionale; ottengono risorse finanziarie pubbliche e sono caratterizzate dalla presenza degli stessi organi decisionali e di controllo: il direttore generale, affiancato dal direttore sanitario e dal direttore amministrativo, il consiglio dei sanitari ed il collegio dei revisori dei conti.

Esistono però altri aspetti, che differenziano le tipologie di aziende sanitarie: le ASL svolgono un’attività strettamente legata al territorio, hanno per oggetto servizi generici di cura e di prevenzione e quindi assicurano ai cittadini, residenti nell’ambito territoriale di competenza, tutti i servizi sanitari che rientrano nei livelli essenziali di assistenza stabiliti dallo Stato e poi dalle singole Regioni.

Le Aziende Ospedaliere, invece, prestano servizi connessi con livelli di specializzazione più elevati che prescindono dal contesto territoriale; essi sono presidi autonomi particolarmente qualificati, in grado di erogare autonomamente il proprio servizio. La nuova norma, pur confermando la presenza del Fondo Sanitario Nazionale, introduce un nuovo modello di finanziamento: le ASL sono finanziate in base alla “quota pro-capite”, mentre le AO e gli ospedali privati accreditati ottengono il rimborso della proprio attività mediante la valorizzazione a DRG (Diagnosis Related Groups) dei ricoveri effettuati; inoltre alle singole Regioni è attribuita la facoltà di reperire risorse aggiuntive tramite appositi tributi regionali.

I DRG corrispondono ad un corrispettivo a fronte di una prestazione resa; il D.lgs. 502/92 ha previsto espressamente il pagamento delle prestazioni erogate in base alle tariffe definite dalla Regione, tenendo presente il costo della prestazione e della quota finanziata dal Fondo Sanitario Nazionale.

Il Decreto Ministeriale del Ministro della Sanità del 15/04/1994, ha determinato i criteri generali per la fissazione delle tariffe per le prestazioni di assistenza ospedaliera. Le tariffe sono determinate in base ad un costo standard di produzione, relative a prestazioni specifiche per ogni singolo raggruppamento omogeneo di diagnosi.

I DRG raggruppano le diagnosi e le procedure chirurgiche in modo che i pazienti, appartenenti ad un determinato gruppo, risultino omogenei nella quantità delle risorse consumate durante il ricovero.

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Questo sistema di finanziamento impone all’azienda ospedaliera di minimizzare i costi, in quanto deve seguire una logica gestionale che tenga questi al di sotto della remunerazione prevista dalla tariffa regionale.

Il finanziamento mediante DRG consente di perseguire le seguenti finalità:

1. Equità nella distribuzione delle risorse assegnate; l’assegnazione delle risorse in base alle prestazioni erogate rispetta il principio dell’equità meglio del finanziamento in base alle giornate di degenza e al criterio della spesa storica; 2. Aumento del numero delle prestazioni erogate; poiché il prezzo corrisposto alle

AO per la prestazione è fisso, al fine di raggiungere un equilibrio fra costi e proventi, occorre realizzare un certo numero di prestazioni che permettano la copertura dei costi fissi; Una delle modalità per raggiungere l’equilibrio è proprio quella di aumentare il numero delle prestazioni erogate;

3. Incentivo al miglioramento dell’efficienza e delle prestazioni aziendali; il finanziamento a prestazione dovrebbe portare ad una maggiore attenzione circa l’impiego delle risorse e circa il rendimento dei fattori produttivi. Il miglioramento dell’efficienza poi dovrebbe consentire di ridurre la degenza dei pazienti ed aumentare così la velocità di rotazione dei posti letto, ossia incrementare il numero di prestazioni effettuate.

Il D.lgs. 502/92 supera effettivamente il modello burocratico e introduce la cultura del controllo manageriale, quale “insieme delle analisi, delle valutazioni, delle decisioni e delle azioni idonee a migliorare continuamente la combinazione tecnica ed economica, per aumentare la capacità di risposta del sistema pubblico ai bisogni più crescenti”.3

Per quanto riguarda gli strumenti operativi, il D.lgs. 502/92, nell’articolo 5 ha previsto l’introduzione di alcuni strumenti fondamentali per il controllo di gestione, quali:

1. Il piano programmatico, che definisce le linee strategiche dell’azienda sanitaria (piano che ha la stessa durata del piano sanitario regionale);

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2. Il bilancio pluriennale di previsione, che traduce in termini economico-patrimoniali, le scelte operative nel piano programmatico dell’azienda sanitaria;

3. Il bilancio economico preventivo, ovvero il budget; 4. La contabilità analitica.

Il D.lgs. 502/92 prevende, quindi, l’obbligo per le aziende sanitarie pubbliche della tenuta di una contabilità analitica per centri di costo, che faciliti analisi comparative dei costi, dei rendimenti e dei risultati; l’obbligo di predisposizione di un budget in cui siano definiti analiticamente gli obiettivi per la gestione e l’obbligo di rispettare il vincolo di bilancio, attraverso l’equilibrio costi e ricavi.

Il legislatore con questa riforma ha preso coscienza dell’impossibilità di gestire il sistema sanitario pubblico a livello nazionale, a causa dell’impossibilità di capire appieno i bisogni e le esigenze del servizio sanitario.

Alle Regioni, di conseguenza, è stata data un’ampia autonomia nella definizione delle regole per il servizio sanitario (l’individuazione dei Presidi Ospedalieri, la determinazione dei criteri di distribuzione delle risorse, il potere normativo circa la contabilità delle aziende sanitarie).

Una conseguenza di quest’autonomia data alle Regioni è la notevole eterogeneità, sia nei sistemi contabili, sia nei sistemi di pianificazione programmazione e controllo e sia nelle modalità organizzative dei presidi ospedalieri.

Tutto ciò comporta una diversificazione nell’offerta dei servizi sanitari tra Regione e Regione; una diversità di trattamento del malato e quindi anche una modalità diversa di soddisfazione del bisogno della salute che ha generato un’eccessiva frammentazione, e di conseguenza un’incompatibilità con i principi costituzionalmente tutelati di eguaglianza nel diritto alla salute.

Le norme successive al D.lgs. 502/92 sono tutte orientate alla ricerca di un’omogeneità nelle definizioni e negli strumenti operativi del controllo di gestione.

Il D.lgs. 517/93 e successiva modificazione (D.lgs. 299/99, la riforma Bindi) ha ripreso quasi tutti gli argomenti trattati dal decreto 502/92, confermando i principi in esso contenuti, ed ha apportato talune modifiche.

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È stato affermato il carattere aziendale delle ASL, attribuendo loro “un’autonomia imprenditoriale”, differente dalla precedente “autonomia organizzativa, amministrativa, contabile, gestionale e tecnica”. Sono stati definiti a livello statale i requisiti minimi per l’accreditamento delle strutture private, e la conseguente costituzione della Commissione Nazionale per l’accreditamento; i Comuni sono stati autorizzati ad attivare nuove strutture sanitarie.

Un passo avanti è stato fatto anche con le disposizioni che obbligano le strutture sanitarie a mantenere una contabilità economico patrimoniale e una contabilità per centri di costo per ottenere la qualifica di Aziende Ospedaliere. È stato confermato il sistema di remunerazione delle prestazioni ospedaliere a DRG.

Grazie a questa riforma, si fa un passo avanti nella direzione dell’utilizzo da parte di ogni realtà ospedaliera di sistemi di pianificazione strategica, definendo le finalità e le principali linee strategiche di un sistema di controllo direzionale, grazie al quale si verifica se la strategia è attuata in maniera efficace ed efficiente, ed infine definendo un controllo operativo sempre più focalizzato su compiti specifici.

Il D.lgs. 286/99 ha disegnato il nuovo sistema di controlli interi, stabilendo che le amministrazioni, nell’ambito della propria autonomia, si devono dotare di adeguati strumenti al fine:

1. Di effettuare un controllo di regolarità amministrativa e contabile;

2. Di verificare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa in modo tale da ottimizzare, anche mediante opportuni e tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati;

3. Di effettuare la valutazione della dirigenza; 4. Di valutare l’adeguatezza del controllo strategico.

Il D.lgs. 286/99 all’articolo n.4 introduce, quindi, l’obbligo per tutte le amministrazioni pubbliche di attuare il controllo di gestione, al fine di verificare se la gestione aziendale si svolga in condizioni di efficienza e di efficacia tali da permettere il raggiungimento degli obiettivi aziendali prestabiliti.

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La riforma del titolo V

Nel 2001 è stato introdotto dal legislatore il federalismo attraverso la modifica del titolo V Parte II della Costituzione, trasferendo alle regioni la competenza totale in materia di sanità.

Il Ministero della Sanità mantiene il ruolo di programmazione e controllo nazionale con la predisposizione del Piano Sanitario Nazionale, l’elaborazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), la vigilanza sulla loro erogazione sul territorio nazionale ed infine la competenza sulla determinazione del Fondo Sanitario Nazionale. I LEA sono le prestazioni ed i servizi che il Servizio Sanitario è tenuto a garantire a tutti i cittadini, in termini gratuiti o dietro pagamento di un ticket. Essi sono stati inizialmente definiti da un Decreto del presidente del consiglio del 2001, e sono organizzati in tre settori: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera.

Alle Regioni, la modifica costituzionale lascia autonomia sull’elaborazione del modello del Servizio Sanitario Regionale, sulla sua organizzazione, sul governo della spesa sanitaria regionale, inoltre, esse sono chiamate a provvedere agli eventuali disavanzi di gestione, attivando le imposte autonome necessarie.

La responsabilità principale in capo alle Regioni sarà quella della corretta ed efficiente gestione del servizio in modo da rispettare i limiti di spesa e mantenere l’erogazione delle prestazioni comprese nei LEA.

Gli interventi successivi alla riforma del Titolo V sono volti a migliorare i Livelli Essenziali di Assistenza ed al contempo a contenere la spesa sanitaria.

Nel 2006 viene sancita un’intesa tra il Governo, le Regioni e le Provincie Autonome: il Nuovo Patto sulla Salute. Un documento volto a rafforzare, attraverso lo sviluppo di azioni migliorative dell’efficienza e dell’appropriatezza delle prestazioni, la capacità programmatoria ed organizzativa delle Regioni.

Il Patto sula Salute 2006 si propone, quindi, di ridurre il divario quantitativo e qualitativo dei servizi regionali esistente tra il nord e il sud del paese. La via scelta per il raggiungimento di questo scopo è stata individuata nel potenziamento del sistema preposto al monitoraggio dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza.

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Nel corso del 2007, sette Regioni (Abbruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Molise e Sicilia) hanno provveduto a sottoscrivere accordi contenenti piani di rientro dai deficit strutturali.

I singoli piani di rientro, articolati sul triennio 2007/2009, individuano e affrontano le cause che hanno determinato la formazione d’ingenti disavanzi, e si configurano come veri e proprio programmi di ristrutturazione aziendale che incidono sui fattori di spesa sfuggiti al controllo delle Regioni.

L’orientamento degli ultimi anni circa la politica di sviluppo del diritto alla salute incentrata sul rigore e sulle responsabilità si basa sull’aggiornamento dei LEA, sull’appropriatezza delle prestazioni e sul monitoraggio della spesa sanitaria.

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23/4/2008 sostituisce integralmente il decreto del 2001 riguardante i LEA, revisionando le prestazioni ed arrivando a un totale di oltre 5.700 tipologie di prestazioni e servizi per la prevenzione, la cura e la riabilitazione.

Tra le novità introdotte dal decreto, spicca l’aggiornamento degli elenchi delle malattie rare e croniche per cui sono previste assistenze specifiche e l’esenzione dal ticket. La legge n.2/2009, nell’articolo 6-bis stabilisce disposizioni in materia di disavanzi sanitari. In particolare per le Regioni che non rispettano gli adempimenti stabiliti nei piani di rientro preposti, è prevista la possibilità di nomina di commissari ad acta, al fine di assicurare il riequilibrio economico-finanziario e la riorganizzazione del sistema sanitario regionale anche sotto il profilo amministrativo-contabile.

Per le Regioni che non hanno raggiunto gli obiettivi di risanamento contenuti nei piani di rientro, è prevista la sospensione dell’erogazione dei maggiori finanziamenti previsti dalla legislazione vigente, e l’incremento delle aliquote (sia quella addizionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche e sia quelle regionale sulle attività produttive) anche oltre il limite massimo previsto e necessario per conseguire l’equilibrio economico nel settore sanitario.

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Documenti programmatici della Regione Sicilia

In base al quadro normativo prima esposto, numerose sono state le iniziative poste in atto dalla Regione Sicilia per l’adeguamento istituzionale del proprio Sistema Sanitario al dettato legislativo.

Negli ultimi anni, in particolare, sono stati approvati due documenti fondamentali, il “Piano di rientro”4 ed il “Piano della Salute”5 le cui linee d’azione principali hanno riguardato:

1. La ristrutturazione territoriale del modello sanitario;

2. La programmazione, la gestione e il controllo del Sistema Sanitario Regionale;

Il piano di rientro: “Il contenimento della spesa”.

La Regione siciliana attraverso il Piano di rientro ha intrapreso un percorso per il risanamento del deficit, con l’introduzione di un sistema di misure prevalentemente orientate alla riduzione dei costi ed alla razionalizzazione delle risorse, che ha consentito di contenere la spesa entro livelli pattuiti.

Con questo documento, quindi, si vuole andare oltre il mero controllo dell’andamento della spesa sanitaria; si ricercano soluzioni organizzative e gestionali che vadano ad individuare e a rimuovere le cause strutturali di inadeguatezza e di inappropriatezza, costituenti pesanti vincoli per il Sistema Sanitario Regionale.

A fronte dell’attribuzione del maggior finanziamento da parte del Governo, la Regione Siciliana nel Piano di rientro ha assunto rilevanti impegni, dettagliatamente individuati nei singoli interventi in cui si articolano gli obiettivi prioritari del piano stesso per il

4 Accordo sottoscritto il 31 Luglio 2007 tra il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia e

Finanze per l’approvazione del Piano di contenimento e riqualificazione del Servizio Sanitario Regionale2007/2009

5 Riguarda il triennio 2011/2013 a seguito della legge del 14 Aprile 2009 n. 5 recante “Norme per il

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triennio 2007/2009, fondamentali per dar luogo ad un processo virtuoso di riequilibrio economico complessivo del SSR.

Il quadro degli obiettivi presente nel Piano si articola in obiettivi generali ai quali saranno associati uno o più obiettivi specifici; in particolare:6

Obiettivi generali Obiettivi specifici

A- Contenimento e riduzione della spesa farmaceutica convenzionata

A.1- Misure operative sulla spesa farmaceutica convenzionata

B- Il contenimento della spesa specialistica convenzionata, e il potenziamento delle strutture di assistenza territoriale pubblica, riorganizzazione dei servizi destinti all’urgenza e all’emergenza e i rapporti con l’assistenza sanitaria di base

B.1- Assistenza specialistica

B.2- Assistenza territoriale residenziale e riabilitativa

B.3- Assistenza territoriale domiciliare integrata, protesica integrativa e termale B.4- Riorganizzazione dei servizi destinati all’urgenza e all’emergenza e i rapporti con l’assistenza sanitaria di base

C- Riduzione delle risorse destinate all’assistenza ospedaliera pubblica e privata, con la revisione della rete ospedaliera, la riduzione dell’attività ad alto rischio di inappropiatezza e il minor ricorso alla mobilità interregionale

C.1- Revisione della rete ospedaliera C.2- Riduzione dell’attività di ricovero e di pronto soccorso inappropriata e ad alto rischio di inappropriatezza

C.3- Riduzione della mobilità sanitaria C.4- Sperimentazioni gestionale e collaborazioni pubblico privato- Messa a regime

C.5- Riduzione del numero delle aziende ospedaliere

6 Regione Siciliana, Assessorato della Salute, Programma operativo 2010-2012 per la prosecuzione del

piano di contenimento e riqualificazione del sistema sanitario regionale 2007-2009, richiesta ai senti dell’art. 11 del D.L. 31/5/2010 N. 78 convertito dalla legge 30/7/2010 N.122

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D- Altre misure di contenimento dei costi D.1- Interventi sul costo del personale e costi assimilati

D.2- Interventi sui costi dei beni e servizi E- Conseguimento dei risparmi previsti

dalla normativa nazionale

E.1- Misura nazionale AIFA- determinazione 27/9/2006: effetto sul 13%

E.2- Misura nazionale AIFA- determinazione 27/9/2006: effetto sul 3% E.3- Maggiori entrate da ticket sulla specialistica e sul ticket del pronto soccorso- settore pubblico

E.4- Minori spese da sconto da laboratori privati, farmaci off label, dispositivi medici e ticket presso strutture private E.5- Adozione dei provvedimenti per il contenimento della spesa per il personale dell’1,4% rispetto al 2004

F- Implementazione del progetto tessera sanitaria

F.1- Monitoraggio della spesa sanitaria tramite flussi informativi da Portale Sistema TS

G- Potenziamento della struttura amministrativa regionale

G.1- Adempimenti correlati all’attuazione del Piano di Contenimento e di riqualificazione del SSR nel periodo anni 2007/2009 e all’implementazione di corrette procedure contabili

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In conformità a questi obiettivi, abbastanza articolati, presenti nel Piano, la Regione è potuta intervenire sui meccanismi che finora hanno esercitato un impatto decisivo sulla spesa sanitaria, attraverso la corretta allocazione delle risorse destinate alle diverse forme di assistenza.

Di conseguenza, si è potuto intervenire sulla modificazione del sistema di offerta sanitaria secondo le seguenti linee di priorità:

• Analisi del processo assistenziale e dei corrispondenti fabbisogni, quale base per la riprogettazione dell’offerta improntata alla razionalità, all’efficacia, all’efficienza e alla economicità;

• Spostamento graduale delle risorse economiche attualmente utilizzate dall’assistenza ospedaliera per acuti verso diverse tipologie di assistenza sanitaria territoriale più appropriate e meno costose, con particolare riferimento al potenziamento dell’attività di prevenzione, all’implementazione dell’attività domiciliare nella forma integrata e di riabilitazione sia ospedaliera sia territoriale, dell’assistenza residenziale per lungodegenti o di quella specialistica;

• Riorganizzazione-riqualificazione del sistema privato di erogazione dei servizi sanitari, sulla base dei criteri che garantiscano prestazioni qualitativamente elevate;

• Responsabilizzazione dei vertici aziendali, a partire dai direttori generali delle aziende.

Riguardo il piano operativo, le azioni programmate hanno posto la base (attraverso la definizione di un business plan delle attività) per la realizzazione del nuovo assetto sanitario regionale delineato dalla riforma e, contestualmente, per il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario, con le sole risorse del Fondo Sanitario, nei tempi previsti dal Piano di Rientro.

In seguito si richiamano gli interventi maggiormente orientati ad incidere, in modo strutturale, sulle cause del disavanzo:

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• Provvedimenti di riordino e di riconversione della rete ospedaliera e territoriale regionale; con i quali è stato ridefinito il nuovo assetto; determinando il fabbisogno di posti letto per acuti nella misura stabilita per ciascuna azienda e dei posti letti per riabilitazione/lungodegenza nelle misure stabilite per provincia.

• Interventi volti allo spostamento delle risorse dall’assistenza ospedaliera all’assistenza territoriale; si annovera la nuova organizzazione della rete regionale di assistenza palliativa, finalizzata all’armonizzazione dell’attività sanitaria dei centri residenziali di assistenza palliativa hospice all’interno della rete di assistenza territoriale, definendo anche il fabbisogno di posti letto degli stessi centri ed introducendo specifici valori tariffari delle prestazioni erogate sia in regime residenziale che domiciliare.

• Riorganizzazione strutturale dei servizi di emergenza e urgenza; consistente nella ristrutturazione della rete sia in ambito territoriale che ospedaliero, nonché nella revisione dell’attività e nella messa a punto di un sistema di verifica di qualità secondo le logiche di clinical governance.

• Ridefinizione dei rapporti con le struttura private; stabilendo condizioni e modalità per gli accordi e i contratti con le strutture stesse, vincolandoli alla determinazione dell’effettivo fabbisogno di prestazioni rapportato alla disponibilità di risorse (“tetti di spesa”)

Piano della salute della regione Sicilia: Triennio 2011/2013

Collegamenti con altri livelli di programmazione: il Patto per la Salute del 2009 L’intesa è stata raggiunta il 3 dicembre 2009 tra il Governo, le Regioni e le Provincie autonome; essa consentirà una maggiore sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale per il triennio 2010-2012 e, al contempo, una migliore programmazione regionale. Col nuovo Patto sono stabilite regole e fabbisogni condivisi, nel rispetto dei vincoli previsti dal Patto Europeo di Stabilità e Crescita7, in particolare, le Regioni e le

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Provincie autonome sono chiamate a confrontarsi su indicatori standard di efficienza e di appropriatezza allocativa delle risorse.

Nello specifico, gli indirizzi di programmazione del nuovo Patto per la salute si rivolgono a settori strategici in cui operare, al fine di qualificare il servizio sanitario regionale e garantire maggiore soddisfacimento dei bisogni dei cittadini, tutto questo in un’ottica di contenimento e controllo della spesa.

Le aree di maggiore interesse indicate dal Patto sono:

1. Riorganizzazione della rete regionale di assistenza ospedaliera; 2. Assistenza farmaceutica;

3. Governo del personale;

4. Qualificazione dell’assistenza specialistica;

5. Meccanismi di regolazione del mercato e del rapporto pubblico-privato; 6. Accordi sulla mobilità interregionale;

7. Assistenza territoriale e post acuto, ivi compresa l’assistenza residenziale e domiciliare ai pazienti anziani e ai soggetti autosufficienti;

8. Potenziamento dei procedimenti amministrativo contabili, ivi compreso il progetto tessera sanitaria;

9. Rilancio dell’attività di prevenzione.

Il Piano della Salute della Regione Siciliana fa propri i contenuti del Patto per la salute compresi gli indicatori e gli standard per le suddette aree di interesse strategiche.

Obiettivi del piano di salute

Il piano della salute della Regione Siciliana riferito al triennio 2011-2013 giunge a seguito della legge 14 Aprile 2009 n. 5 recante “Norme per il riordino del Servizio Sanitario Regionale” che ha posto le basi per la riforma dell’assetto organizzativo e di governo del proprio sistema.

all’Unione Economica e Monetaria dell’Unione Europea (Eurozona), cioè rafforzare il percorso d’integrazione monetari intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del trattato di Maastricht.

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La legge 5/09 rappresenta un punto di svolta per il Sistema Sanitario Regionale, infatti costituisce il fondamento normativo per rinnovare in modo incisivo le modalità con cui la sanità è articolata, gestita ed erogata nella Regione; essa incide:

1. Sull’assetto organizzativo del sistema; 2. Sulla sua modalità di programmazione;

3. Sul riequilibrio tra la rete ospedaliera e il territorio;

4. Sull’introduzione di meccanismi operativi di governo e controllo delle attività sanitarie e delle relative risorse.

L’azione del Governo della Regione Sicilia, ripresi i principi precedentemente esposti del Patto della Salute, si articola lungo le seguenti linee di intervento:

• Il progressivo spostamento dell’offerta sanitaria dall’ospedale al territorio, al fine di un più corretto ed efficace bilanciamento delle prestazioni in funzione dei fabbisogni;

• Il riordino della rete ospedaliera pubblica e privata, realizzata attraverso l’accorpamento e la valorizzazione di presidi ospedalieri sotto-utilizzati;

• Il superamento della frammentazione e/o duplicazione di strutture, attraverso processi di aggregazione e integrazione operativa e funzionale;

• Il potenziamento dei servizi e dei posti letto destinati alle attività di riabilitazione lungo-degenza e post-acuzie;

• La riduzione della mobilità sanitaria passiva extra-regionale;

• Il progressivo contenimento dei ricoveri inappropriati sia sotto il profilo clinico, sia organizzativo;

• L’introduzione di un sistema di assegnazione delle risorse commisurato all’erogazione delle attività programmate, alla qualità e all’efficienza dell’operato delle aziende;

• L’attuazione del principio della responsabilità attraverso un sistema di controlli e verifiche che trovi fondamento in ben definiti processi tecnologici-gestionali e nell’informatizzazione dei flussi.

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In termini programmatori la legge stabilisce che l’assegnazione delle risorse alle aziende deve essere preceduta da una puntuale definizione degli obiettivi di attività, di volumi e di qualità delle prestazioni, quest’ultime definite in base al livello di fabbisogno territoriale. Solo così si potrà raggiungere una sinergia virtuosa tra l’attribuzione degli obiettivi, l’assegnazione delle risorse e una puntuale verifica dei risultati ottenuti.

In particolare la legge definisce, per quando riguarda l’organizzazione territoriale, la nuova articolazione dell’assetto organizzativo del sistema sanitario prevedendo la costituzione di 17 nuove aziende sanitarie che subentrano alle 29 soppresse.

Definisce i distretti ospedalieri (20 in tutto la Sicilia) e i distretti sanitari in numero coincidente con gli ambiti territoriali dei distretti socio-sanitari che erogano le prestazioni in materia di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione ed educazione sanitaria.

La creazione di due bacini territoriali, per ottimizzare l’acquisto di beni e servizi, per il coordinamento delle funzioni e dei servizi a livello interaziendale e per lo sviluppo dei progetti comuni.

Per quando riguarda le modalità di gestione delle aziende sanitarie, di definiscono gli atti e le procedure, i tempi di vigilanza e di controllo che possono essere esercitati dall’assessorato sulle aziende, al fine del monitoraggio dei dati economico-gestionali. Pianifica le attività di verifica e controllo sulla corrispondenza tra i risultati ottenuti dalle aziende e quelli fissati in budget.

Definisce un sistema di controllo di gestione delle aziende che assicuri la verifica dell’appropriatezza, l’adeguatezza e la qualità delle prestazioni, adeguati tassi di utilizzo dei posti letto e delle dotazioni tecnologiche, l’accoglienza delle strutture, l’accessibilità dei servizi e l’attivazione di procedure per il governo del rischio clinico.

Un cambiamento culturale: l’utente al centro del sistema sanitario regionale

Il Piano Regionale della Salute tiene conto di alcuni principi di fondo quali: il rispetto della libertà di scelta, il pluralismo erogativo da parte di strutture pubbliche e strutture private accreditate e l’equità di accesso alle attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione per tutti i cittadini comprese le fasce più vulnerabili.

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Tali principi, tuttavia, non possono prescindere dall’appropriatezza, intesa sia in senso strettamente clinico, sia nell’accezione di “erogazione della prestazione più efficace al minor consumo di risorse”.

Il Piano, in conformità a questi predisposti, pone il cittadino al centro del sistema assistenziale, offrendo risposte appropriate e diversificate in relazione agli specifici bisogni di salute sia sul territorio che all’interno delle strutture sanitarie, tenendo conto anche delle esigenze che attengono alla sfera della persona.

Il Piano, quindi, mira da un lato allo sviluppo del territorio quale sede primaria di assistenza e di governo dei percorsi sanitari, con la realizzazione di un sistema di assistenza che costituisca un forte riferimento per la prevenzione, la cronicità, le patologie a lungo decorso e la personalizzazione delle cure; dall’altro, alla riqualificazione dell’assistenza ospedaliera, puntando all’appropriatezza dei ricoveri nella fase di acuzie, riabilitazione e lungodegenza.

Questa prospettiva organizzativa e gestionale va ad inserirsi in un processo culturale fondato sull’appropriatezza dell’assistenza, traducibile in un cambiamento di orientamento riguardo all’investimento strategico aziendale a cura dei vertici aziendali, destinato sempre di più allo sviluppo di appropriati strumenti gestionali finalizzati alla realizzazione/implementazione di opportune attività assistenziali.

Il processo di riqualificazione dell’assistenza, inoltre, richiede un lavoro in rete: lavorare in una logica di sistema vuol dire far si che gli operatori della sanità possano comunicare tra di loro, condividere obiettivi e progetti collettivi al fine di assicurare in maniera integrata la continuità dell’assistenza.

Attraverso le reti possono essere offerte risposte alle esigenze di superamento della compartimentazione da cui scaturisce uno degli aspetti più critici dell’assistenza sanitaria, e cioè la frammentarietà dell’assistenza; difatti esse forniscono:

• Al cittadino, maggiori garanzie di efficacia e di continuità per la gestione del suo problema di salute;

• Al sistema, garanzie ponderate di efficienza che evitino inutili sperperi di risorse;

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Infine con il presente Piano, la Regione assume l’impegno di accompagnare gli interventi mirati al perseguimento degli obiettivi di salute, attraverso una puntuale verifica e validazione dei risultati via via conseguiti, sia in termini di efficienza ed efficacia sia in termini di compatibilità economica.

Esso si pone come lo strumento attraverso il quale fornire ai Direttori Generali delle Aziende della Regione sufficienti elementi per programmare l’assistenza sanitaria e sociosanitaria secondo obiettivi, criteri, parametri e modelli che consentano una rimodulazione dei rispettivi ambiti gestionali ed organizzativi; avendo come obiettivo finale quello della riqualificazione della rete dell’offerta a partire dal potenziamento del territorio, alla riorganizzazione degli ospedali e all’avvio dell’assistenza sociosanitaria in forma integrata, quale nuova modalità operativa da porre a sistema.

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SECONDO CAPITOLO

IL CONTROLLO DI GESTIONE NELLE AZIENDE SANITARIE: PRINCIPI GENERALI.

Specificità delle aziende erogatrici

I risultati economici.

Prima di affrontare le tematiche relative al controllo di gestione applicato ad una azienda ospedaliera, è necessario fare un approfondimento circa i lineamenti tipici delle aziende di cui si tratta, proprio per individuare le corrispondenti caratteristiche che un sistema di controllo dovrebbe avere per operare con efficacia all’interno delle stesse. Prima di tutto ci soffermiamo sul significato da attribuire ai risultati economici ascrivibili alle aziende ospedaliere e alla loro attitudine alla dimostrazione del conseguimento delle condizioni dell’equilibrio economico.

Se per le aziende orientate al mercato il concetto di reddito può essere assunto quale indicatore sintetico del grado di equilibrio, nelle aziende di cui si tratta lo stesso concetto assume non solo un significato di minore portata, bensì anche un contenuto differente.

Le strutture sanitarie hanno come finalità istituzionale non la massimizzazione del valore economico, ma il diritto, costituzionalmente tutelato, alla salute; questo rende impossibile esprimere in termini economico-finanziari il grado di raggiungimento di tale obiettivo.

Le aziende ospedaliere sono unità elementari di erogazione, facenti parte di una più ampia azienda di erogazione, a cui è stata affidata la delega della tutela alla salute; la collettività destina le risorse, necessarie alla tutela del diritto, determinate in funzione dell’esigenza di assicurare i Livelli Essenziali di Assistenza. Tali risorse saranno in seguito distribuite alle singole aziende attraverso un meccanismo tariffario di valorizzazione delle prestazioni (DRG).

Il sistema DRG può essere, in prima approssimazione, assimilabile a un sistema di aziende private che producono per lo scambio di mercato: anche per le aziende ospedaliere, cioè, si possono configurare dei ricavi a fronte della produzione effettuata.

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Tuttavia, quelli che apparentemente sono configurabili come ricavi non sono altro che finanziamenti ottenuti per l’erogazione del servizio da parte dell’unità di erogazione: la commisurazione delle attività non ha lo scopo di esprimere il valore della produzione bensì quello di remunerazione dei fattori della produzione impiegati secondo uno standard di efficienza ritenuto opportuno, in funzione degli obiettivi e delle disponibilità del sistema sanitario, indirizzando, inoltre, le aziende alla realizzazione di più elevati volumi di produzione e, quindi, alla saturazione delle capacità strutturali.

Ciò comporta una serie di effetti che potranno essere così sintetizzati8:

Il miglioramento della qualità non si traduce in un correlato miglioramento dell’equilibrio economico. Tale miglioramento è solitamente ottenuto solo attraverso la riduzione di costi che, tuttavia, non permette lo svolgimento del servizio con determinati livelli qualitativi.

L’assenza del valore di scambio rende debole o elimina il meccanismo di autoselezione della domanda. L’utente non percepisce il valore economico di ciò che consuma e ciò comporta un tendenziale aumento della domanda.

La selezione della domanda attuata con sistemi diversi dal prezzo, può portare dei problemi di consenso nei confronti di chi attua tali meccanismi alterativi. Il prezzo è solitamente accettato come criterio sufficientemente oggettivo, mentre criteri alternativi possono essere qualificati come discriminatori nei confronti di chi è escluso o limitato nell’utilizzo di un determinato servizio.

La mancanza del valore di cessione riduce il grado di significatività dei valori economici, poiché i ricavi ottenuti attraverso trasferimenti e altre modalità esterne di finanziamento non sono correlabili o lo sono debolmente ai costi sostenuti per la produzione di servizi.

Se da un lato questo meccanismo non consente di assimilare i trasferimenti ai ricavi, dall’altro, in termini di controllo, è possibile associare le risorse destinabili al servizio ai costi effettivamente sostenuti.

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Il risultato d’esercizio che emerge dal bilancio non può essere utilizzato quale indicatore di redditività delle stesse, ma il suo significato sarà quello di esprimere la coerenza tra le risorse ritenute necessarie per assicurare un determinato livello di prestazioni e risorse effettivamente utilizzate.

La natura dell’attività.

Oltre le considerazioni appena fatte sul significato attribuibile alle grandezze economiche delle strutture sanitarie, un altro aspetto è necessario analizzare, ovvero, quello della natura dell’attività.

Le strutture erogatrici saranno vere e proprie aziende di servizi con tutte le conseguenze organizzative e gestionali, tipiche di queste:

1. Carattere intangibile dell’output, e i conseguenti effetti produttivi (relativi all’impossibilità di produrre per il magazzino), o commerciali (derivanti dall’impossibilità di fare leva sui clienti attraverso l’esposizione dei prodotti); 2. La contestualità dei processi di erogazione e produzione;

3. Il ruolo partecipativo assunto dal cliente;

In aggiunta alle considerazioni appena fatte, quest’ultime presentano un ulteriore elemento di differenziazione, individuabile nel fatto che sono orientate all’erogazione di prestazioni complesse e fortemente personalizzate.

Per complessità si intende fare riferimento al fatto che accanto all’erogazione della “core activities” (l’effettivo soddisfacimento del bisogno manifestato), si devono erogare altre prestazioni, che se pur strumentali o accessorie rispetto a quella principale, concorrono con quest’ultima al soddisfacimento delle aspettative globali dell’utente. L’attività sanitaria è il risultato di un combinarsi di singole prestazioni elementari, realizzate spesso da soggetti diversi, che si combinano con altri servizi, tra i quali l’attività infermieristica e quella alberghiera, il cui destinatario sarà sempre l’utente finale.

La percezione del livello qualitativo dell’utente, quindi, non dipenderà solamente dal soddisfacimento del bisogno manifestato (la cura della malattia), ma dipenderà anche dal grado di aderenza delle attività strumentali e accessorie alle proprie attese.

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Da qui le conseguenze gestionali e organizzative, che dovranno assicurare uno stretto coordinamento tra i diversi attori del processo al fine di soddisfare l’utente finale su tutti i livelli.

L’altro punto da considerare è la natura fortemente “personalizzata” del servizio.

Le prestazioni mediche sono servizi ricchi di “caratteristiche fiduciarie”, richiedono un’elevata professionalità per essere erogate, ed il paziente non ha adeguate conoscenze che gli consentano di esprimere un corretto giudizio, sia preventivo, sulle competenze e sulla professionalità della struttura sanitaria, sia consuntivo, sulla qualità della cura ricevuta9.

Esiste quindi una “asimmetria” tra il medico professionista che deve erogare la prestazione, ed il paziente che non è in grado di valutare in modo adeguato il servizio ricevuto rispetto al suo bisogno di salute.

Si noti inoltre che spesso le prestazioni sanitarie producono effetti anche dopo molto tempo dall’erogazione del servizio e lo stato di benessere del paziente dipende non solo dal trattamento sanitario ricevuto ma anche dalle caratteristiche caratteriali del paziente, dal suo stile di vita, e persino dall’inquinamento dell’ambiente circostante.

Detto questo, l’aspetto che maggiormente risalta è quello dell’impossibilità di definire a priori il percorso del trattamento dei casi e, quindi, la collegata difficoltà nel programmare le risorse assorbite dalla gestione. Tale considerazione è sintetizzata, nel carattere non standardizzabile dell’attività che, per sua natura, dovrebbe rispondere a esigenze individuali e che, evidentemente, presenta numerosi elementi di differenziazione.

In termini gestionali sorge il problema della misurazione dell’attività in termini di risultati; nelle aziende sanitarie, infatti l’output oltre a presentare un contenuto multidimensionale (tecnico, sociale, ambientale ecc.) risulta fortemente condizionato da elementi esterni e al di fuori del controllo dell’azienda (si pensi alle condizioni di salute della popolazione).

9 Zangrandi A., Amministrazione delle aziende sanitarie pubbliche. Aspetti di gestione, organizzazione e

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Specificità del controllo di gestione.

Alla luce delle considerazioni in precedenza fatte e, date le necessità sempre più pressanti di conseguire l’equilibrio di bilancio, della crescente responsabilizzazione economica sui risultati, dell’introduzione di un nuovo sistema di finanziamento correlato alle prestazione effettivamente erogate, si richiede l’introduzione, anche nelle aziende pubbliche sanitarie, di strumenti gestionali differenti da quelli storicamente presenti nelle strutture pubbliche.

Tradizionalmente il controllo della pubblica amministrazione consiste nell’esprimere giudizi sulle decisioni formulate e non sul raggiungimento dei risultati. Tale tipologia, definita “controllo esterno” (o burocratico), prevede una valutazione svolta da appositi organi, autonomi ed esterni rispetto all’ente considerato, sulle decisioni sintetizzate negli atti, al fine di garantire la “correttezza” e la “imparzialità” nella gestione delle risorse pubbliche.

Il controllo interno è invece “il controllo svolto dall’ente medesimo ed ha come scopo la verifica dell’attività svolta, delle risorse a disposizione e di altri particolari fenomeni10.

Tra i controlli interni sta acquistando sempre più rilevanza il controllo di gestione, quale sistema di coordinamento e d’indirizzo della gestione.

L’introduzione del controllo di gestione nelle amministrazioni pubbliche mira a far conseguire adeguati livelli di efficacia ed efficienza nel reperimento e nell’impiego delle risorse. Tale sistema è concepito come l’insieme delle procedure dirette a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e, attraverso l’analisi delle risorse, e della quantità e qualità dei servizi offerti, pervenire alla valutazione dell’efficacia, efficienza ed economicità nell’attività di realizzazione degli obiettivi11. Nell’accezione adottata, il controllo di gestione si configura come uno strumento di guida della gestione, qualificandosi come un processo dove “si cerca di intervenire sui comportamenti delle persone affinché, opportunamente rilevati e misurati, possano essere valutati ed orientati coerentemente e permettere il più conveniente

10 Zangradi A., il controllo di gestione nelle unità sanitarie locali, Giuffrè, Milano, 1985

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raggiungimento di obiettivi prefissati, oppure verso una loro modifica qualora la valutazione delle attività lo suggerisca”12.

Per meglio comprendere le conseguenze operative di tale processo, è utile considerare il contributo fornito da Anthony che individua tre processi gestionali di natura diversa, comprendenti sia processi di programmazione sia processi di controllo: la pianificazione strategica, il controllo direzionale e il controllo operativo.

Mentre la pianificazione è il processo attraverso il quale vengono definiti gli obiettivi aziendali, le risorse da impiegare e le modalità della loro acquisizione; il controllo direzionale e operativo sono processi mediate i quali la direzione si assicura che le risorse siano impiegate efficacemente ed efficientemente per il raggiungimento degli obiettivi, e che i compiti specifici siano altrettanto svolti secondo efficienza ed efficacia. Secondo questa visione risulta evidente come i processi di determinazione degli obiettivi ed i processi di controllo dei risultati siano interconnessi, ponendo la premessa fondamentale per la validità del controllo interno, per considerare in modo strettamente unitario la programmazione e il controllo, anche in considerazione del fatto che all’interno delle aziende sono spesso le stesse unità organizzative che programmano e controllano l’attività (ad esempio, è il primario ospedaliero che programma e controlla l’efficienza degli altri operatori, da lui dipendenti).

Il funzionamento di un sistema di controllo interno presuppone l’esigenza nell’organizzazione dell’azienda di adeguate misure che favoriscano adeguati spazi di autonomia gestionale ed operativa, pur nell’ambito di politiche ed in generale di vincoli e indirizzi posti a livello superiore.

Un “controllo organizzativo” che riguarda le interrelazioni tra il sistema di controllo e il sistema organizzativo; più in particolare esso prende in considerazione le relazioni tra:

• Lo stile di direzione ed il controllo; • Il sistema motivazionale ed il controllo; • Il sistema di ricompense ed il controllo.

12 Borgonovi E., Il controllo economico nelle aziende con processi ad elevata autonomia professionale,

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Il primo aspetto riguarda la profondità del sistema; lo stile di direzione deve prevedere fino a che livello della scala gerarchica si spinge il controllo di gestione, al fine di trarre un giudizio sulla sua coerenza con il grado di decentramento dell’autorità attuato dall’impresa. In altri termini si cerca di mettere in relazione la delega con il controllo di gestione.

L’accentramento e il decentramento dell’autorità fanno riferimento al livello cui vengono delegate decisioni specifiche e determinanti, cioè quelle definite come decisioni direzionali13.

Se in un’azienda prevale la presenza di uno stile di controllo accentrato, le procedure e le regole interne dovranno essere ben individuate ed esse saranno elementi portanti del sistema di controllo. Così facendo anche la struttura informativa risentirà di questo e quindi sarà articolata in modo tale da poter supportare questo eccesso di formalismo, che causerà una scarsa partecipazione attiva dei singoli ai processi.

Viceversa un sistema decentrato, prevedendo l’auto-controllo lascia libertà di azione ai soggetti, di conseguenza, anche la relativa contabilità direzionale non potrà essere imbrigliata in schemi da seguire.

Il processo di controllo di gestione rientra nel processo di decentramento, ed in particolare nella processo di assegnazione delle deleghe. La delega su determinate aree, o operazioni gestionali dovrà comprendere anche il riflesso economico dell’esercizio di tale autorità.

Includere il riflesso economico favorisce quindi la presa di coscienza della dimensione economica da parte dei responsabili, e la migliore razionalizzazione del processo di decisione.

Questa prassi agisce sul secondo aspetto decisivo per il controllo organizzativo, ovvero la motivazione.

Attraverso il decentramento, i responsabili delle attività interiorizzano gli obiettivi economici e si orientano sempre di più verso i risultati.

Riferimenti

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1 La percentuale applicabile per la richiesta di anticipo a valere su tale intervento è quella indicata nel bando all’art 11 comma 5, pari al 35% delle spese ritenute

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