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Il fenomeno dei Foreign Terrorist Fighters e l'evoluzione degli strumenti di contrasto al terrorismo

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA IN STUDI INTERNAZIONALI

Tesi di Laurea:

Il fenomeno dei Foreign Terrorist Fighters e

l'evoluzione degli strumenti di contrasto al terrorismo

Candidato:

Relatore:

Redi Deliallisi

Prof.ssa Sara Poli

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Indice

Introduzione ...2

1. L’emergenza del fenomeno dei foreign fighters... 4

1.1. Organizzazioni e conflitti nei quali operano i foreign fighters --- 4

1.2. Motivazioni che spingono i FFs a partire --- 7

1.3. Modalità e strumenti di reclutamento --- 11

2. La risposta al fenomeno dei foreign fighters e la lotta al terrorismo: la prospettiva dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ...15

2.1. Risoluzione 2170 --- 15

2.2. Risoluzione 2178 (2014) --- 21

2.2.1. Obblighi in capo agli individui --- 25

2.2.2. Obblighi in capo agli Stati --- 28

2.2.3. Conformità delle misure di contrasto e prevenzione con i diritti umani --- 34

3. Le misure di contrasto adottate dall’Unione Europea nella lotta al fenomeno dei foreign fighters ...37

3.1. Cronologia della risposta europea al fenomeno --- 37

3.2. La direttiva 2017/541: il nuovo quadro giuridico dell’Unione Europea in materia di terrorismo --- 43

3.3. Strumenti usati dall’Unione Europea per contrastare il fenomeno dei FTFs --- 47

3.3.1. Sistema europeo per l’utilizzo dei dati Passenger Name Record (PNR) ---- 49

3.3.2. Strumenti europei di prevenzione della radicalizzazione --- 54

3.3.3. Forme di cooperazione operativa europea finalizzate al contrasto del fenomeno dei FTFs --- 57

4. La privazione della cittadinanza come strumento antiterrorismo degli Stati ...63

4.1. Motivazioni che conducono alla privazione di cittadinanza --- 63

4.2. Casi dei Paesi più colpiti dai FTFs --- 68

4.2.1. Regno Unito, Belgio, Francia, Australia, Canada --- 69

4.3. Privazione della cittadinanza e Diritto Internazionale --- 78

4.3.1. Divieto di privazione arbitraria --- 81

4.3.2. Divieto di discriminazione --- 85

4.3.3. Divieto di apolidia --- 87

Conclusioni ...90

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2

Introduzione

I durissimi conflitti in Siria ed in Iraq hanno portato alla ribalta il fenomeno dei foreign fighters (FFs), vista la grande affluenza di individui partiti, da tutto il mondo, per unirsi alle varie fazioni in gioco. Nonostante non si tratti di un fenomeno nuovo, la sua gestione è subito salita in cima all’agenda di moltissimi Stati e delle maggiori Organizzazioni Internazionali (OI), poiché queste partenze e i possibili ritorni rappresentano un grande problema nei paesi di destinazione e di origine. Per comprendere cosa sia realmente un FF, ci può essere d’aiuto la definizione data da Bekker e Singleton, che lo delineano come: “un individuo spinto da un’ideologia, religione e/o parentela, che lascia il proprio paese di origine o residenza abituale per raggiungere una parte in un conflitto armato”1. Partendo da questa definizione, cercheremo di analizzare la relazione tra il fenomeno e ciò che sta accadendo in Siria e in Iraq, dove le tristemente note organizzazioni terroristiche chiamate IS2 e Fronte al-Nusra3, insieme ad altre organizzazioni ad esse associabili, rappresentano il maggior polo attrattivo di FFs.

A tal proposito cercheremo di comprendere, nel primo capitolo, le motivazioni che spingono i FFs a partire e quali siano le modalità del loro reclutamento.

Dopo questo breve quadro di riferimento, nei capitoli successivi vengono analizzate le risposte che, su vari livelli, la Comunità internazionale ed i singoli Stati hanno dato a questo fenomeno.

Nello specifico, nel secondo capitolo, viene analizzata la risposta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e vengono presentate le risoluzioni usate per contrastare il fenomeno dei FFs, ovvero la 2170 (2014) e soprattutto la 2178 (2014). Nella prospettiva

1 Edwin Bekker e Mark Singleton, Foreign Fighters in the Syria and Iraq Conflict: Statistics and Characteristics of Rapidly Growing Phenomenon, in Foreign Fighters under International Law and Beyond di Andrea de Guttry, Francesca Capone e Christophe Paulussen, The Hague, T.M.C. ASSER

PRESS by Springer-Verlag Berlin Heidleberg, 2016, pag. 11.

2 Nei vari documenti riportati lo Stato Islamico è nominato con la maggior parte delle sue denominazioni

precedenti, dato che la produzione normativa ha cercato di seguire il più speditamente possibile l’evoluzione del gruppo terroristico. Per una cronistoria accurata sui nomi dell’IS, consultabile:

https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2015/05/04/jihad-stato-islamico-al-qaeda

3 Il Fronte al-Nusra, ovvero Jabhat al- Nusra (JaN), inizialmente costola dell’IS e poi declinazione nel

conflitto siriano di Al-Qaida, ha cercato dal 2016 di abbandonare il ruolo di organizzazione terroristica, per questo ha cercato di recidere i rapporti con la casa madre in cerca di legittimazione. Gwynne Dyer, La

vittoria di Assad non segnerà la fine dei combattimenti in Siria, internazionale.it, 2017, consultabile: https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2017/01/03/fine-guerra-siria

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3 dell’ONU, questo fenomeno si inserisce nel quadro più generale della lotta al terrorismo4, come si evince dalla dizione usata nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, le quali introducono la locuzione “foreign terrorist fighters” (FTFs).

Nel terzo capitolo, l’attenzione viene rivolta alle misure adottate dall’Unione Europea per contrastare il fenomeno dei FFs. Le prime iniziative europee risalgono al 2013 e hanno rappresentato un punto di partenza a livello internazionale, anticipando persino la Risoluzione 2178 (2014) del Consiglio di Sicurezza dell’ONU5.

Nel suo sviluppo, il complesso meccanismo europeo si è basato su tre pilastri fondamentali: proteggere i cittadini dell’Unione, prevenire la radicalizzazione e cooperare a livello internazionale. Per questo motivo l’azione europea, si è articolata in modo tale da contrastare e prevenire il fenomeno e favorire la cooperazione internazionale tra paesi membri e tra paesi membri e paesi terzi.

Il lavoro si chiude con l’analisi sulla privazione della cittadinanza usata da alcuni Stati come norma antiterrorismo per far fronte all’emergenza dei FFs. Attraverso l’approfondimento delle norme istituite o emendate negli ultimi anni, da un gruppo di paesi selezionati, vengono prese in considerazione le conseguenze e le criticità di questa nuova tendenza normativa.

4 Andrea de Guttry, The role played by the UN in Countering the Phenomenon of Foreign Fighters, in Foreign Fighters under International Law and Beyond, 2016, pag. 462.

5 De Kervochove e Bibi van Ginkel et al., The Foreign Fighters Phenomenon in the European Union- Profiles, Threats & Policies, ICCT Research Paper, ICCT International Center for Counter-Terrorism -

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1. L’emergenza del fenomeno dei foreign fighters

1.1. Organizzazioni e conflitti nei quali operano i foreign fighters

Il fenomeno dei FFs è stato descritto, dalle principali agenzie di intelligence internazionali, come la minaccia più grave che l’Occidente e i suoi alleati dovranno affrontare negli anni a venire.

I conflitti che attualmente attirano sui propri campi di battaglia i FFs sono molteplici e interessano varie parti del mondo: dalla Nigeria alla Somalia, all’Afghanistan, all’Ucraina, fino ad arrivare all’Iraq e alla Siria6, i due teatri più importanti, dove si sono registrati i numeri più alti7.

L’IS e il Fronte al-Nusra costituiscono i due poli attrattivi maggiori per i FFs che sono partiti alla volta della Siria o dell’Iraq, ma non sono gli unici, ovvero le due organizzazioni sono contornate da una galassia composita di numerosi gruppi che operano nel conflitto. In questo paragrafo viene presentata brevemente la storia dei due gruppi terroristici principali tenendo conto della loro genealogia comune.

Il punto d’inizio è la nascita dell’autoproclamato “Stato Islamico”, che si può far risalire all’epoca dell’operazione Iraqi Freedom e all’ascesa di tawhid wa-l-Jihad (twJ), un gruppo guidato dal giordano Abu Musab al-Zarqawi, attivo principalmente nel nord-ovest dell’Iraq. A dispetto delle dimensioni ridotte e del suo essere in gran parte composto da guerriglieri stranieri8, twJ emerse rapidamente come una delle realtà più importanti della variegata insurrezione irachena. L’ascesa della formazione venne favorita dalle elevate capacità operative dimostrate dai suoi membri e dalla sua abilità nel “vendere” il proprio marchio sul piano mediatico, anche attraverso la brutalità delle sue azioni9. Nonostante il

6 La Siria, in particolare, è molto importante sia per la sua relativa vicinanza all’Europa, sia per la sua

importanza nell’escatologia islamica e l’avversione verso il regime alawita di Bashar al-Assad. Lorenzo Vidino, Jihadisti europei in siria. Profili, dinamiche di viaggio e risposte governative, contenuto in Jihad

e terrorismo Da al-Qa‘ida all’ISIS: storia di un nemico che cambia, pag. 71.

7 Nel 2014, momento di massima espansione del fenomeno, il numero complessivo dei FFs in Siria e Iraq

era, secondo le stime, di 25000 individui di cui 4000 provenienti dai paesi dell’Unione. Jayaraman, op. cit., pag. 187

8 Sin da questa fase il gruppo poteva contare su FFs provenienti da Siria, Pakistan e Afganistan oltre ad altri

provenienti da altri paesi. BBC, What is "Islamic State"?, 2015,

http://www.bbc.com/news/world-middle-east-29052144

9 Andrea Plebani, Origini ed evoluzione dell’autoproclamato «Stato Islamico» contenuto in Jihad e terrorismo Da al-Qa‘ida all’ISIS: storia di un nemico che cambia di Andrea Plebani, 2016, pag. 46.

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5 rapido successo ottenuto dall’organizzazione, essa dovette far fronte a vari problemi, che rischiavano di minarne il consolidamento, come il numero limitato di risorse e combattenti a sua disposizione e l’origine prevalentemente straniera del gruppo. Per far fronte a queste difficoltà, il gruppo decise nel 2004 di diventare un affiliato di al-Qaida, nacque così al-Qaida in Iraq (aQI). Inizialmente Il gruppo era attivo nella lotta alle truppe della coalizione americana e alle forze di sicurezza irachene. Durante questo periodo l’aQI venne indebolito dalla controffensiva della coalizione americana e perse, progressivamente, il sostegno dei capi tribù sunniti. Per questo motivo, nel 2006, subì una significativa riorganizzazione sotto con il nome di «Stato Islamico nell’Iraq» (ISI). Qualche anno più tardi (2011), sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi, l’ISI cercò l’affermazione nella regione del Levante. Il suo leader conscio dell’importanza della rivoluzione scatenata contro il regime di Bashar al-Assad e consapevole delle opportunità che essa poteva offrire al movimento, decise di inviare in Siria supporto materiale e un manipolo di guerrieri sotto il comando di Abu Muhammad al-Julani.

I combattenti dell’ISI, malgrado fossero in numero limitato, riuscirono a provare il loro valore in molteplici occasioni; contribuendo così alla nascita di uno dei gruppi più temuti dell’insurrezione: il Fronte al-Nusra (JaN)10. Il JaN è riuscito in breve tempo ad accattivarsi le simpatie di crescenti strati della popolazione locale.

I successi sul terreno e le reazioni positive della popolazione hanno aiutato il JaN ad affermarsi a livello locale e internazionale, attirando migliaia di volontari, così come ingenti finanziamenti. Queste risorse hanno permesso ad al-Baghdadi di intensificare le operazioni anche in Iraq, riuscendo inoltre a mettere a segno attentati dal forte impatto mediatico contro complessi obiettivi istituzionali e contro alcune delle principali carceri irachene. Queste ultime operazioni hanno permesso al movimento di liberare diversi suoi membri e di cooptare centinaia di prigionieri dotati di significative competenze strategiche ed operative, che unite alla loro profonda conoscenza dei territori e delle dinamiche locali, si sono dimostrate importantissime per i successi dell’organizzazione.

10 Il JaN è riuscito nel corso della sua storia ad attrarre circa il 30% dei FFs partiti per la Siria. Fabrizio

Coticchia, The Military Impact of Foreign Fighters on the Battlefield: The Case of the ISIL, contenuto in

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6 La crescente forza acquisita dall’ISI, su entrambi i lati del confine siro-iracheno, spinse al-Baghdadi a forzare la mano, cercando di proclamare il 9 aprile 2013 la fusione di JaN e ISI nello “Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante” (ISIL).

La suddetta mossa espose le fratture latenti all’interno del movimento, tanto da portare Julani a opporsi alla fusione e a chiamare in causa Ayman Zawahiri, leader di al-Qaida. Nemmeno il suo intervento però, riuscì a placare la faida che si andava delineando. La situazione degenerò rapidamente, traducendosi in uno scontro aperto tra le componenti del JaN rimaste fedeli ad al-Julani e quelle entrate a far parte dell’ISIL. Il risultato fu una spaccatura netta del campo jihadista che vide al-Baghdadi prevalere nettamente e ottenere, oltre al sostegno di gran parte delle forze del JaN- in particolare dei FFs- anche molte delle sue roccaforti.

Dopo diversi tentativi di mediazione falliti, numerose accuse reciproche e centinaia di vittime, la spaccatura fu definitiva nel febbraio 2014.

Dopo questa mancata fusione i due gruppi continuarono le loro rispettive offensive, in maniera parallela in Siria, mentre l’ISIL proseguì la sua azione contro il governo e le forze irachene.

L’ISIL, di lì a poco, riuscì ad espandersi fino ad arrivare al punto più importante della sua storia ovvero la conquista di Mosul e la nascita del nuovo «califfato» nel giugno del 2014. Invece, il JaN ha cercato nell’ultimo anno e mezzo di abbandonare il ruolo di organizzazione terroristica, tentando di recidere i rapporti con al-Qaida, in cerca della propria legittimazione11.

Per chiudere, è importante specificare che l’IS12 e il JaN, durante le loro offensive, hanno commesso numerosi crimini di guerra. Durante il periodo della loro occupazione, i gruppi jihadisti hanno perpetrato, seppur con delle differenze sia nell’intensità che nell’estensione13, crimini contro l’umanità: con attacchi e massacri ai danni delle minoranze etniche, con stupri di massa, innumerevoli altre forme di abusi sessuali e con la distruzione del patrimonio civile, storico e culturale di quei territori.

11 Gwynne Dyer, I colloqui di Parigi non fermeranno la guerra in Siria, internazionale.it, 2016, https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2016/01/27/siria-colloqui-di-parigi-onu

12 “Islamic State” ultimo nome assunto dalla formazione nel gennaio del 2015. Gwynne Dyer, La guerra dei nomi tra i gruppi jihadisti, internazionale.it, 2015,

https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2015/05/04/jihad-stato-islamico-al-qaeda

13 Al JaN è stata riconosciuta una durezza minore nella perpetrazione dei crimini contro le popolazioni

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1.2. Motivazioni che spingono i FFs a partire

Come già detto in precedenza, nonostante il fenomeno dei FFs venga associato ai conflitti in Siria e in Iraq e ai gruppi estremisti che operano in quei territori, esso è presente fin da tempi antichissimi, nella storia dei conflitti, con picchi più o meno alti14.

Per comprendere in maniera esaustiva l’ultima manifestazione di questo fenomeno, ovvero quella riguardante i conflitti siriano ed iracheno, è necessario approfondire le cause che spingono un numero così grande di individui a partire per andare a combattere in un paese “diverso dal proprio paese di origine o residenza”15. Affinché ciò sia fatto è opportuno, innanzitutto, specificare che le motivazioni che spingono alla partenza dei FFs sono diverse dalle ragioni che spingono alla radicalizzazione degli individui. Questo può sembrare fuorviante, soprattutto alla luce della natura prettamente terroristica ed integralista della maggior parte delle organizzazioni o dei gruppi che hanno accolto negli ultimi anni tra le loro fila i FFs ma è doveroso sottolineare che non tutte queste organizzazioni/gruppi sono di matrice integralista islamista16. La matrice ideologica rappresenta solo una delle possibili motivazioni alla partenza. Infatti, secondo lo studio17 di Frenett e Silverman18 spiccano tre “fattori scatenati” nel determinare la partenza dei FFs: “(1) l’indignazione verso gli avvenimenti, veri o presunti19, che accadono nei paesi dove ci sono dei conflitti, e l’empatia con le persone che ne sono coinvolte; (2) l’adesione all’ideologia di un gruppo a cui un individuo desidera unirsi; (3) la ricerca di identità e di un senso per la propria esistenza”. Gli autori, tuttavia, pongono l’accento sulla presenza di altri fattori decisivi ai fini della partenza, i quali spesso risultano accessori ai tre principali, come: “il risentimento verso la politica estera del proprio paese o della

14 Marcello Flores, Foreign Fighters Involvement in National and International Wars: A Historical Survey,

contenuto in Foreign Fighters under International Law and Beyond, pag. 28.

15 Definizione di Bekker e Singleton nota 1 dell’Introduzione di questo elaborato. 16 Bekker e Singleton, op. cit., 23.

17 È interessante notare che gli autori, per arrivare ad una comprensione “a tutto tondo” del fenomeno,

hanno realizzato una serie di interviste ad un’ampia gamma di foreign fighters, non limitandosi esclusivamente ad elementi riconducibili al radicalismo islamico. Ciò permette una comprensione più ampia del fenomeno, creando un modello applicabile a tutte le sue possibili manifestazioni, senza necessariamente ricondurre ad una tipologia specifica di foreign fighter o ad un determinato conflitto, momento storico o ideologia.

18 Ross Frenett e Tanya Silverman, Foreign Fighters: Motivations for Travel to Foreign Conflicts,

contenuto in Foreign Fighters under International Law and Beyond, pag. 65.

19 Con questa espressione gli autori hanno cercato di sottolineare la possibilità di distorcere la percezione

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8 comunità internazionale verso una determinata questione, la politica interna del proprio paese, il conflitto intergenerazionale e la pressione dei propri coetanei”20.

Il primo “fattore scatenate”, ovvero l’indignazione verso gli avvenimenti che accadono in un determinato conflitto, o almeno la percezione di quanto sta accadendo, è l’iniziale punto di contatto emozionale che scatena interesse in molti potenziali FFs. Prima ancora dell’ideologia, questo sentimento, anche comprensibile, suscita negli individui il desiderio di “fare qualcosa”. A questo contribuisce senza dubbio, nell’epoca della mediatizzazione, l’estrema velocità di diffusione e la fruibilità di immagini che raccontano le atrocità della guerra, sia imparziali che manipolate da propaganda, le quali spingono numerosi individui a cercare di agire e dare un contribuito affinché tali orrori terminino al più presto. A conferma di ciò molti dei FFs, intervistati dagli autori, affermano che la spinta iniziale venisse dall’intenzione “di fare qualcosa per le donne e i bambini in pericolo” o per la “comunità” 21, dimostrando così anche la presenza di un senso di appartenenza.

Il secondo fattore pone le basi per la partenza e per la partecipazione di un individuo ad un particolare gruppo, ovvero “l’adesione all’ideologia”.

Innanzitutto, per far sì che un FF si unisca ad un particolare gruppo ci deve essere un “iniziale approvazione” dell’ideologia del gruppo stesso, o almeno non si deve assolutamente manifestare un’“avversione” verso tale ideologia. Per questo motivo, i FF che aderiscono ad un gruppo per motivi ideologici si posizionano su un vasto spettro di combinazioni: ad un estremo si trovano coloro che sono veri e propri militanti, impegnati

in toto nell’esaltazione dell’ideologia senza ancora essere scesi sul campo di battaglia,

dall’altra parte ci sono, invece, coloro che accettano l’ideologia una volta sperimentato il campo di battaglia. Per spiegare meglio questo concetto è opportuno fare dei brevi esempi utilizzando gli elementi del conflitto siriano: al primo estremo si presenta un individuo, già radicalizzato, che da principio raggiunge e combatte per un gruppo islamista, ad

20 Emblematico è il caso di Sharia4Belgium, un gruppo di ragazzi, provenienti da Anversa, i quali lasciarono

il paese per unirsi a gruppi jihadisti in Siria. Secondo le stime, oltre la metà dei foreign fighters belgi che hanno combattuto in Siria era legata a Sharia4Belgium. Alcuni di loro sono rimasti uccisi, altri hanno postato video in cui minacciano attentati contro il Belgio, altri ancora sono noti per essere stati autori di particolari efferatezze contro nemici e civili nel corso del conflitto. Vidino, op. cit, pag. 75

21 Una “comunità”, che secondo lo studio delle identità e comunità translocali, verrebbe definita “comunità

immaginata”. Gabriele Tomei, Comunità Translocali: Identità e appartenenze alla prova della

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9 esempio l’IS; all’estremo opposto invece abbiamo un individuo recatosi in Siria a combattere per i più disparati motivi, tipo il desiderio di aiutare le fasce più deboli nel conflitto, e in seguito si ritrova a combattere in una formazione radicale, di nuovo l’IS come esempio, di cui solo in secondo momento abbraccia l’ideologia.

Una via mediana, ai due casi precedenti, è data dal cambiamento dell’ideologia, la quale può non essere la stessa che motiva un FF a partire ma cambia durante il conflitto, cooptandolo in nuovi gruppi.

Colui che inizialmente non crede completamente nell’ideologia del gruppo di appartenenza, con il passare del tempo adotta o almeno tollera la suddetta. Questo è il caso di molti FFs di prima generazione, arrivati in Siria per destituire Bashar al-Assad, disposti ad unirsi a chiunque pur di raggiungere tale scopo. Molti, confluiti in gruppi estremi come l’IS, solo in un secondo momento ne hanno abbracciato l’ideologia, soprattutto con la socializzazione22. Tuttavia, è importante constatare che il potente messaggio radicale di organizzazioni come l’IS, ha avuto un forte richiamo su un grandissimo numero di FFs, ed è diventato più potente dopo i successi militari e le conquiste territoriali di suddette organizzazioni23.

Il terzo “fattore trainante”, che determina la partenza dei FFs, è secondo gli autori, la “ricerca di identità e di un senso alla propria esistenza”.

I FFs sono, per lo più, molto giovani: il range di età comprende sia minorenni (non in numero elevato) e soprattutto individui prima dei trent’anni. In questo periodo della loro vita gli uomini e le donne cercano un senso alla loro esistenza e questo fattore risulta fondamentale per le loro partenze. Lo è anche per quegli individui, più formati, che sono stanchi o incerti del loro ruolo nella propria dimensione domestica, indipendentemente dalla classe sociale e dal livello d’istruzione.

Nella ricerca di identità, di un senso alla propria esistenza, bisogna considerare, secondo gli autori, due sfaccettature principali: in primo luogo, questa ricerca di un senso e di identità deve colmare un “vuoto” che gli individui portano dentro fino a raggiunger una sensazione di soddisfazione personale (per esempio l’essere utili a qualcosa); in secondo

22 I FFs di prima generazione, spesso, non avevano neanche idea delle differenze tra i vari gruppi che

combattevano contro il redime di Assad. R. Foreign Fighters in Syria. The Soufan Group, 2014 citato in Frenett e Silverman, op. cit., pag. 69.

23 Questa è, secondo molti analisti, la principale ragione del grande numero di FFs reclutati da IS e altri

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10 luogo c’è il bisogno di soddisfare, di consolidare la nuova identità percepita (per esempio quella di membro della umma).

A suffragio di ciò è stato affermato che l’essere FF è intimamente legato alla ricerca d’identità e per questo non è un comportamento anomalo, quanto più un risultato fisiologico ad una serie di cause (l’alienazione, la discriminazione, la disoccupazione etc.). La sensazione di empatia, di comprendere e condividere ciò che altri sentono e l’auto-identificazione con un particolare tipo di individuo (per esempio di salvatore della umma), traspare da tutti e tre i fattori presi in considerazione. Questo sottolinea come il concetto di FF sia troppo spesso plasmato intorno al concetto di jihad quando invece le cause possono essere le più disparate. Ciò fa apparire questo gesto anche nella sua dimensione estremamente individuale che viene prima dell’aderenza ad un’ideologia o ad una causa politica. L’autore Malet spiega che questo bisogno individuale, soddisfatto da un messaggio di identità comune, sia essa religiosa, politica, etc. è cruciale per il reclutamento di individui con backgroud spesso profondamente diversi.

Un altro fattore decisivo è la voglia degli individui di differenziarsi da una massa di ignavi a favore di una causa. La smania nel raggiungimento di uno scopo personale è enorme in colui che pensa di non possederne uno nella propria esistenza; infatti è obbiettivo comune, tra gli ex FFs dell’IS, riuscire a cambiare la propria vita in una più avventurosa, significativa e “reale”. Questa ricerca di identità comprende anche molti individui occidentali, sia di genere maschile che femminile, i quali hanno viaggiato nei territori occupati dall’IS, sostenuti dal desiderio di cameratismo e fratellanza, raggiunto in seguito all'arrivo. Questi forti sentimenti di coesione sono spesso paragonati ai rapporti falsi e superficiali che avevano nei loro luoghi d’origine.

A testimonianza dell’importanza dei “tre fattori trainanti” avanzati dagli autori, e della loro commistione, è interessante presentare l’intervista ad un FF dell’IS, nato a Parigi, rilasciata ad una giornalista dell’emittente televisiva France 24:

“Il ventisettenne Salahudine (nome di fantasia) racconta di aver lasciato la Francia nel giugno 2013 per unirsi a un gruppo jihadista in Siria, portando con sé la moglie e le due figlie. Così descrive il processo che lo ha condotto a maturare la decisione di partire: Per venire qui ho abbandonato tutto. Avevo una buona situazione professionale, guadagnavo circa 3000 euro al mese. È stato necessario abbandonare tutto. È così che

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Allah vede la nostra sincerità. Non saprei dire qual è stata la molla. È avvenuto tutto gradualmente. Sin dagli inizi del conflitto siriano, nel 2011, mi ha dato fastidio l’indifferenza del mondo verso i miei fratelli musulmani. Da principio non sapevo cosa pensare. Nelle moschee francesi non ti parlano di questo. Ti insegnano a fare le tue abluzioni e basta. Ti chiedono di portare rispetto. Non ti dicono mai che, quando c’è di mezzo uno scontro, l’Islam dice «occhio per occhio, dente per dente». Questo l’ho imparato in internet, quando ho cominciato a guardare i video e ad ascoltare i discorsi di bin Laden. Tu la chiami «radicalizzazione religiosa», io «presa di coscienza». Non ho frequentato nessun gruppo, nessun network, credimi. Non conoscevo nessuno. Ho preparato il viaggio da solo. A un mese dalla partenza non dormivo più. Allah mi ha fatto capire che la mia terra non era più la Francia. Bisognava che andassi a espiare i miei peccati in Siria. Prima uscivo, frequentavo i locali notturni, bevevo alcol: ero un uomo di questo mondo, interessato soltanto ai beni materiali. Adesso il jihad è diventato un obbligo”24.

1.3. Modalità e strumenti di reclutamento

Il reclutamento è alla base di qualsiasi organizzazione terroristica, procacciando martiri, guerrieri, spose e anche finanziatori, i quali risultano continuamente necessari per la sopravvivenza del gruppo.

La campagna reclutamenti delle organizzazioni radicali, in particolare, nel conflitto siriano e iracheno, ha puntato a coinvolgere il maggior numero di individui possibile. Essa viene fatta, a discapito delle caratteristiche degli individui, soprattutto nelle fasi iniziali, per poi procedere ad una selezione in base all’utilità e al ruolo sul campo di battaglia25. La più importante e impressionante campagna di reclutamento è stata lanciata dall’IS nel 2011, riuscendo a includere nelle sue file FFs da tutto il mondo.26 Un ruolo fondamentale nel successo dell’IS è ricoperto dalla sua azione propagandistica e di reclutamento online attraverso tutte le piattaforme e i social media più importanti: Twitter, Facebook, Youtube, Ask.fm.

24 Tratto da Vidino, op. cit., pag. 70.

25 La selezione viene fatta per scegliere gli individui più utili sul campo di battaglia, ciò nonostante sono

cooptate all’interno del gruppo anche individui utili alla “causa” in modo diverso. Vidino, op. cit., pag. 66.

26 Gli esperti stimano che i foreign fighters provengano, addirittura, da più di ottanta paesi. Richard Barrett, Foreign fighters in Syria, The Soufan Group, 2014, pag. 11,

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12 La realtà virtuale permette l’utilizzo di uno spazio aperto e relativamente sicuro che consente di agganciare nuovi potenziali membri, facendo conoscere ai suddetti la storia, l’azione del gruppo e il loro punto di vista sul conflitto, coinvolgendoli in dibattiti, seducendoli e infine radicalizzandoli.

Il reclutamento online è contraddistinto da una sofisticata propaganda terroristica, confezionata in modo da attirare individui vulnerabili che si trovano ai margini della società, cercando di impossessarsi dei loro sentimenti di ingiustizia, alienazione o discriminazione27.

Gabriel Weimann28 presenta, nel suo studio, il “narrowcasting”, cioè la nuova forma di propaganda online delle organizzazioni terroristiche: “una propaganda che ha come target dei particolari sottogruppi nelle popolazioni, selezionati in base a certe caratteristiche (come età o sesso)”.

Questo nuovo trend, creato dagli esperti dei gruppi terroristi nel reclutamento online, invece di puntare ad un unico “messaggio telematico”, punta a selezionare specifiche sub-popolazioni di internauti. Per conseguire questo scopo, essi si affidano alle strategie del marketing moderno e cercano di applicarne le regole e i concetti al marketing del terrorismo.

Oggi, i terroristi sono assai scaltri nell’adattare il loro messaggio a platee particolari ovvero, adolescenti, donne, immigrati di seconda generazione, stranieri, neo-convertiti all’Islam e persino bambini preadolescenti.

Per agganciare tutte queste persone si utilizzano i social network e altre piattaforme virtuali, ognuna indirizzata ai diversi tipi di soggetti targettizzati. Un caso emblematico ed estremo è quello del reclutamento giovanile che avviene tramite cartoni animati, fumetti, video musicali e videogiochi intenti a glorificare il jihad e il martirio. Tutti questi strumenti sono parte di una strategia, a lungo termine, dei terroristi che mira ad “inculcare” i precetti radicali sin dalla tenera età, a spingere adolescenti e giovanissimi a compiere azioni violente e a partire verso i campi di battaglia.

Nel caso delle donne, spesso, il modo di spingerle alla partenza è la radicalizzazione online, insieme all’instaurazione di vere e proprie relazioni amorose via web; il risultato

27 Ritroviamo due dei tra i “fattori scatenanti” avanzati da Frenett e Silverman.

28 Gabriel Weimann, The Emerging Role of Social Media in the Recruitment of Foreign Fighters, contenuto

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13 di tutto ciò è un addestramento per le jihadiste donne che saranno sia “pronte al combattimento” che a “essere le madri e le mogli dei martiri della nuova umma”29. Secondo l’autore, il reclutamento online dei terroristi si presenta in diverse fasi distinte. La prima fase è un multi-processo che richiede diverse sotto-fasi, con una transizione crescente. In primo luogo, attraverso i social network, si punta ad un particolare gruppo di individui, i quali possono essere recettivi verso il materiale di propaganda online: messaggi, video, testi mirati, etc.

A questa prima esposizione solo alcuni soggetti risponderanno in maniera positiva ed entreranno quindi nella seconda fase definita “imbuto”. A questo punto le potenziali “reclute” iniziano un processo di selezione e di graduale trasformazione in veri e propri militanti radicalizzati. A questo stadio, i reclutatori hanno un ruolo fondamentale che può essere diretto, se l’individuo è considerato abbastanza pronto, o più graduale con un approccio frammentato. A tale scopo vengono utilizzate tecniche molto sofisticate basate: sulla “fiducia”, sulla profondità del legame tra reclutatore e recluta- seppur solo virtuale- e su tutte le frustrazioni dell’individuo. Il passo successivo è quello dell’“infezione”, nello specifico, gli individui selezionati (insoddisfatti dalla loro esistenza e/o pieni di risentimento per la loro condizione, la politica interna, la religione) sono indirizzati alla “auto-radicalizzazione”.

L’auto-radicalizzazione consta infatti di un processo auto-referenziale di apprendimento da fonti online, che conduce ad un graduale avanzamento nel livello di estremismo e impegno per la “causa”.

A questo punto si avvia l’ultima fase, ovvero l’”attivazione”, ora la “recluta” è pronta a partire o commettere attacchi in loco.

Lorenzo Vidino30 presenta nel suo lavoro le dinamiche generali del reclutamento off-line, che sostituisce o si pone in maniera parallela a ciò di cui abbiamo parlato in precedenza. In questo lavoro è presentata come di cruciale importanza la figura del facilitatore, ovvero un intermediario, che garantisce per l’aspirante jihadista, in modo da ovviare al pericolo di infiltrati ed evitare problemi di sicurezza. I facilitatori sono individui che hanno i

29 Farhad Khosrokhavar, Les profils pluriels du djihadisme européen, lemonde.fr, 2016, http://www.lemonde.fr/idees/article/2016/03/24/les-profils-pluriels-du-djihadisme-europeen_4888954_3232.html?xtmc=farhad&xtcr=1

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14 contatti giusti all’interno di uno o più gruppi jihadisti, e pertanto sono in grado di fare da garanti per le nuove reclute. Spesso si tratta di militanti impegnati che hanno partecipato a vari conflitti e stabilito solidi legami con diversi network jihadisti. Carismatici e, in genere, più anziani, non reclutano nel senso tradizionale del termine; piuttosto, fanno sì che le cose accadano, mettendo in contatto gli individui e i nuclei terroristici locali con quelli all’estero. I facilitatori entrano in contatto con le aspiranti reclute e nuclei jihadisti nei modi più svariati, in luoghi che vanno dalla moschea alla palestra, dall’internet café al chiosco di kebab.

In alcuni casi il grado di coinvolgimento del facilitatore può variare, possono limitarsi a fornire consigli sul modo migliore per entrare nel paese, oppure spiegare dove, una volta sul posto, è più probabile procurarsi contatti. I facilitatori, però, riescono ad avere anche un ruolo più attivo, in particolare una volta che cominciano a fidarsi dell’aspirante jihadista. In questo caso possono dargli il numero di telefono del “contatto giusto”, fornirgli una “lettera di referenze”, o addirittura organizzare un incontro con un membro del gruppo jihadista. Possono persino arrivare a procurare visti, documenti, biglietti aerei e denaro, assolvendo così ad una funzione che può a buon diritto essere definita di reclutatori.

La sfida avanzata dalle organizzazioni terroristiche è enorme e per questo richiede uno sforzo altrettanto grande, da condurre nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e delle norme dei vari paesi. Questo intervento deve essere perpetrato attraverso il coinvolgimento delle comunità locali e lo studio di contro-narrative indirizzate, tanto quanto lo sono quelle delle organizzazioni terroristiche. Fare altrimenti si rivelerebbe una enorme “débâcle” che fomenterebbe ancora di più la macchina propagandistica integralista.

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15

2. La risposta al fenomeno dei foreign fighters e la lotta al

terrorismo: la prospettiva dell’Organizzazione delle Nazioni

Unite

2.1. Risoluzione 2170

Il fenomeno dei FFs e la sua, già citata, relazione con le organizzazioni terroristiche (ISIL31 e Fronte al-Nusra32), operanti nei conflitti siriano ed iracheno, hanno innescato una serie di risposte di tipo normativo da parte di più soggetti della Comunità Internazionale: come immaginabile sono scesi in campo gli Stati di origine, di transito e di destinazione dei FFs, ma non solo, anche le più importanti Organizzazioni Internazionali (OI).

In questo capitolo ci concentreremo sull’intervento da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che grazie al suo organo preposto alla lotta al terrorismo, ovvero il Consiglio di Sicurezza, ha affrontato il fenomeno dei FFs con l’adozione di due risoluzioni vincolanti.

La prima risoluzione in cui il Consiglio di Sicurezza parla dei FFs è la 2170 del 15 agosto 2014, in cui, sin dal preambolo, esprime la necessità di una reazione pronta ed efficace: “Il terrorismo continua ad essere uno dei maggiori problemi per la sicurezza internazionale e per questo va combattuto con ogni mezzo, e con ogni mezzo deve essere combattuta ogni minaccia derivante dal terrorismo compresi i FTFs”33.

La risoluzione 2170 (2014), in pratica, estende il regime sanzionatorio adottato nei confronti del gruppo terroristico di al-Qaida, dalla risoluzione 1267 (1999) e da altre successive ad ISIL e ANF, inoltre deplora “nei termini più forti gli atti terroristici dell’ ISIL e la sua palese, sistematica e diffusa pratica di abuso dei diritti umani e la violazione del diritto internazionale umanitario”, chiedendo “a tutti gli Stati Membri di prendere misure necessarie in conformità coi loro obblighi secondo il Diritto Internazionale, per

31 L’utilizzo del nome ISIL, da parte del Consiglio di Sicurezza, risulta molto controverso. L’articolo

dell’Indipendent, citato di seguito, propone un’interessante retroscena politico su questo tema.

http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/isis-vs-isil-vs-islamic-state-what-is-in-a-name-9731894.html.

32 Da questo capitolo in poi la sigla usata per abbreviare il nome del Fronte al-Nusra sarà ANF (Al-Nusra

Front) al posto di JaN (Jabhat al-Nusra), in quanto utilizzata nei documenti analizzati.

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16 contrastare l’istigazione agli atti terroristici motivati dall’estremismo e dall’intolleranza, perpetrati da individui ed entità associabili all’ISIL”34.

All’ interno della risoluzione 2170 (2014) vi sono diversi paragrafi35 dedicati ai FFs. In questi, il Consiglio esprime preoccupazione per il flusso dei combattenti stranieri che va ad alimentare le fila dell’ISIL, dell’ANF e di altri gruppi associabili ad al-Qaida. Questa risoluzione nasce nel momento di massima emergenza e di massima espansione del fenomeno per questo prevede una serie di obblighi per gli Stati Membri.

La risoluzione fa riferimento ai “foreign terrorist fighters” (FTFs): si tratta di una nuova locuzione, usata dal Consiglio, che associa immediatamente ed esplicitamente i FFs a specifici gruppi terroristici e più in generale al terrorismo.

Tuttavia, nella risoluzione 2170 (2014) manca una definizione del termine FTF36, inoltre manca anche una definizione di terrorismo. Come è noto anche nella prassi non troviamo una definizione di terrorismo condivisa a livello internazionale. Si tratta di un problema, tutt’ora irrisolto, a cui solo la risoluzione 1566 (2004)37 e pochi altri timidi tentativi degli organi giudiziari internazionali hanno cercato di porre rimedio38. La conseguenza della mancanza di questa definizione è che gli Stati possano abusare di questa situazione di incertezza, sollevando rischi di strumentalizzazione politica delle posizioni assunte dal Consiglio riguardo al rispetto dei diritti umani.

In aggiunta a ciò, è rilevante sottolineare, che per la prima volta in una risoluzione del Consiglio, e addirittura in una fonte del Diritto Internazionale, viene adoperato il termine “fighter”. Questo vocabolo, anomalo e mai comparso precedentemente in trattati di Diritto Internazionale Umanitario, è stato stranamente preferito al più canonico

34 Paragrafo 11 del preambolo della risoluzione 2170 (2014), pag. 2.

35 I paragrafi dedicati ai FFs iniziano al paragrafo 7 per terminare al paragrafo 11. 36 La definizione sarebbe arrivata in seguito con la risoluzione 2178 (2014).

37 In particolare, la risoluzione 1566 (2004), al par. 3, “condanna gli atti terroristici, definiti come atti

criminali, commessi, anche contro civili, con l'intento di provocare la morte o gravi lesioni corporali, o la presa di ostaggi, con lo scopo di provocare uno stato di terrore in una popolazione o in un gruppo di persone o particolari persone, intimidire una popolazione o costringere un governo o un'organizzazione internazionale a fare o ad astenersi dal fare qualsiasi atto”. Queste violazioni, prosegue la disposizione, “costituiscono dei reati come stabilito dalla portata e dalle definizioni delle convenzioni e dei protocolli relativi al terrorismo”, tali reati non sono “in alcun caso giustificabili da considerazioni di carattere politico, filosofico, ideologico, razziale, etnico, religioso o di altra natura simile”.

38 Alex Conte, States’ Prevention and Responses to the Phenomenon of Foreign Fighters Against the Backdrop of International Human Rights Obligations, contenuto in Foreign Fighters under International Law and Beyond, pag. 287.

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17 “combatants”39, nello specifico per indicare: i membri di gruppi armati organizzati che combattono il governo di uno Stato in un conflitto armato non-internazionale e che nella condizione di “foreign” non sono cittadini di quello Stato40.

Come detto in precedenza, la risoluzione 2170 (2014) dedica più paragrafi ai FTFs, concentrando la propria attenzione ai fighters, in quanto individui, e al loro reclutamento: evidenziando l’utilizzo delle nuove tecnologie ai fini dell’arruolamento, dell’incitamento a commettere atti terroristici ma pone anche l’attenzione sul finanziamento e sulla pianificazione di attività terroristiche.

Il Consiglio non solo reitera la condanna al reclutamento dei FTFs da parte dell’ISIL e ANF e ad “altri individui, gruppi ed entità associabili ad al-Qaida”, ma aggiunge che la presenza di questi individui esacerba il conflitto e contribuisce alla sua radicalizzazione violenta, chiedendo formalmente ai FTFs di ritirarsi. Inoltre, il suddetto esprime la possibilità di inserire nella “lista delle sanzioni Al-Qaeda”41 i seguenti soggetti: coloro che partecipano alle attività di ISIL, ANF, etc., chi recluta per loro conto e chi facilita o finanzia il viaggio dei FTFs.

Dopo essersi concentrato su individui e gruppi terroristici, il Consiglio di Sicurezza definisce gli obblighi per gli Stati Membri, invitando questi ultimi, non solo a contrastare il fenomeno, ma anche a prevenirlo.

In particolare, nella risoluzione 2170 (2014), a proposito dell’azione di contrasto, è richiesto agli Stati: “di prendere misure nazionali volte alla soppressione del flusso di FTFs, alla prevenzione degli spostamenti di terroristi e di gruppi terroristici, allo scambio di informazioni in modo tempestivo, all’aumento e al miglioramento della cooperazione

39 Il vocabolo, utilizzato nel Protocollo addizionale di Ginevra, sta ad indicare: i membri delle forze armate

di una parte impegnata in un conflitto, i quali hanno il diritto a partecipare alle ostilità.

40 Sempre secondo il medesimo autore, l’espressione “terrorist” ha un forte valore simbolico che pone

l’attenzione sulla violazione da parte di questi combattenti stranieri dei principi del Diritto Interazionale Umanitario. Essi, secondo questa interpretazione, commettono quelli che in tempo di pace verrebbero definiti atti terroristici ma che in un conflitto armato non-internazionale sono considerati crimini di guerra. Da qui viene a manifestarsi anche una spaccatura della dottrina poiché: da una parte “il Comitato Internazionale della Croce Rossa ritiene che nel corso dei conflitti armati non vi sia ragione di parlare di terrorismo, dato che già si parla di crimini di guerra”, dall’altra un differente indirizzo della dottrina, di cui fanno parte alcuni tribunali penali internazionali, sostiene la presenza di una norma consuetudinaria che proibisce il terrorismo nei conflitti armati. Alì, op. cit., pag. 185.

41 La risoluzione 2253 (2015) ha rinominato il regime sanzionatorio da “Al-Qaida Sanctions List” a “ISIL

(Da’esh) and Al-Qaida Sanction List”. Piotr Bakowski, Foreign fighters–Member State responses and EU

action, eprs.ep.parl.union.eu, 2016, pag. 3,

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18 fra le autorità competenti nei vari paesi, alla prevenzione del movimento dei terroristi da e verso i propri territori, alla prevenzione del sostegno che viene dato ai terroristi attraverso la fornitura di armi e di finanziamenti…”42.

Invece, per quanto riguarda la prevenzione, gli Stati Membri sono “incoraggiati” ad occuparsi degli individui, residenti nei loro territori, i quali sono a rischio di reclutamento e di radicalizzazione violenta e sono “incoraggiati” a dissuaderli dal partire alla volta della Siria e dell’Iraq.

Infine, il Consiglio afferma che gli Stati dovrebbero “prevenire la fornitura diretta o indiretta, la vendita o il trasferimento dai loro territori, o da parte dei loro cittadini in altri territori, o da mezzi battenti la loro bandiera, di armi, munizioni, materiale relativo ecc… ad ISIL e ANF”43 e enfatizza e obbliga a prevenire il finanziamento al terrorismo. Dato che gli atti terroristici richiedono molte risorse, per contrastarli, in maniera efficace, gli Stati devono dedicarsi, con ogni mezzo, a bloccare i finanziamenti, così come le attività illecite ad essi correlate44.

Secondo de Guttry45, che ha analizzato gli elementi più importanti della risoluzione 2170 (2014), il Consiglio fa una chiara distinzione tra gli obblighi in capo agli Stati Membri (ovvero dovere di sopprimere il flusso dei FTFs, di processarli, di prevenire il trasferimento di finanziamenti e armi ai gruppi terroristici) e le mere raccomandazioni suggerite ad essi (impegnarsi con chi è a rischio radicalizzazione, intensificare e accelerare la cooperazione e lo scambio di informazioni sui gruppi). La risoluzione 2170 (2014) tende così a privilegiare l’aspetto immediato di contrasto al fenomeno, dato il suo carattere emergenziale, come si denota dall’utilizzo di termini perentori, a differenza della prevenzione trattata come mera raccomandazione e lasciata colpevolmente troppo a discrezione degli Stati.

Un altro argomento importante, secondo l’autore, è la particolare attenzione rivolta al rispetto del Diritto Internazionale, e in particolare dei diritti umani, nel riuscire a implementare gli obblighi previsti in capo agli Stati Membri. Anche in questo caso degne

42 Paragrafo 8 della risoluzione 2170 (2014), pag. 4. 43 Paragrafo 9 della risoluzione 2170 (2014), pag. 4.

44 Le attività illecite, rivolte al finanziamento dei gruppi terroristici, riguardano, ad esempio, il commercio

illecito di armi da fuoco, petrolio, sostanze stupefacenti, sigarette, merci e beni culturali asportati illegalmente o contraffatti, fino ad arrivare al traffico di esseri umani. Considerando 13 della direttiva (UE) 2017/541 del parlamento Direttiva (UE) 2017/541 del Parlamento Europeo e del Consiglio, pag. 2.

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19 di nota sono le espressioni usate nel testo:” ogni membro deve assicurarsi che tutte le misure prese per combattere il terrorismo, incluse quelle adottate per implementare questa risoluzione, siano conformi con tutti gli obblighi di Diritto Internazionale, in particolare il Diritto Internazionale Umanitario e il Diritto dei Rifugiati”46 e in aggiunta “Il Consiglio urge che gli Stati adottino le misure menzionate in conformità col competente Diritto Internazionale”.

Il Consiglio, in seguito, va oltre affermando che “misure antiterrorismo efficaci e il rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e il rispetto del rule of law47 sono complementari e mutuamente rinforzanti, inoltre sono parte sostanziale del successo delle misure antiterrorismo”48, confermando un approccio non nuovo nell’agenda delle Nazioni Unite riguardo il rapporto tra antiterrorismo e rapporti umani49.

L’attenzione speciale rivolta dal Consiglio, in questa risoluzione, al totale rispetto dei diritti umani e del rule of law nella lotta al terrorismo è indubbiamente un trend positivo, a differenza di quanto successo nelle risoluzioni all’indomani dell’11 settembre. L’impatto di questa innovazione è di massima importanza, sia per quanto riguarda il contrasto e la prevenzione al fenomeno dei FTFs, sia per il rispetto dei diritti umani in generale. Questo viene confermato anche da uno statement del 29 maggio 2015 di Raimonda Murmokaitè, Presidente del Consiglio di Sicurezza in carica in quel periodo: “l’importanza del rispetto del rule of law, in modo da prevenire e combattere efficacemente il terrorismo, evidenzia che non assolvere alla realizzazione di questo e altri obblighi internazionali, inclusi quelle della Carta delle Nazioni Unite, risulta un fattore di massima importanza che contribuisce ad aumentare la radicalizzazione e ad accrescere il senso di impunità”50.

46 Paragrafi 8,13, 15 e 17 del preambolo, e paragrafi 6 e 8 della parte operativa della risoluzione 2170

(2014), pagg. 2, 3 e 4.

47 “Il rule of law si può considerare lo scudo grazie al quale fondamentali diritti politici, sociali ed economici

sono protetti e applicati. il concetto implica l’esistenza di istituzioni efficaci e legittime, innanzitutto di un governo nazionale che amministri la legge e garantisca la sicurezza personale e l’ordine pubblico”. Emiliano Palmieri, Un’alternativa al going ballistic: Combattere i network transnazionali violenti

mediante un approccio operativo di Law Enforcement contenuto in Jihad e terrorismo Da al-Qa‘ida all’ISIS: storia di un nemico che cambia, pag. 137.

48 Paragrafo 8, della risoluzione 2170 (2014), pag. 4. 49 Conte, op. cit., pag. 289.

50 Statement del Presidente del Consiglio di Sicurezza, 29 maggio 2015, https://undocs.org/S/PRST/2015/11

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20 Questo approccio, rimane incerto nella misura in cui il proclamato rispetto dei diritti umani possa essere ostacolato dalla mancanza di una definizione comune di terrorismo e di come ciò possa portare ad un’implementazione eterogenea degli obblighi della risoluzione, dovuta dalle diverse interpretazioni di terrorismo che hanno gli Stati.

Il terzo elemento di interesse secondo l’autore, è che il Consiglio definisce in modo alquanto stringente le misure da prendere nei confronti dei FTFs, lasciando poco spazio di interpretazione ai membri. In questo modo il suddetto acquista un nuovo ruolo di

“quasi legislatore”, manifestando una tendenza ancora molto discussa, in particolare dal

mondo accademico, che consiglia un approccio più cauto.

Il Consiglio ha richiesto agli Stati Membri di prendere tutte le misure necessarie per sopprimere il flusso dei FTFs e portarli davanti alla Giustizia, a tal proposito i Membri devono emendare le loro legislazioni, nella fase dell’implementazione, per permettere la criminalizzazione degli spostamenti dei FTFs dai loro territori verso altri paesi. Si adotta così una nuova strategia molto invasiva che non lascia spazio alla discrezionalità degli Stati Membri, ma questa discrezionalità dei Membri risulta completamente inalterata quando si tratta di definire, da parte degli Stati, il terrorismo, lasciando così poca chiarezza sulla strada da seguire.

Per concludere l’autore segnala che anche il regime di sanzioni stabilito da questa risoluzione appare e privo di un meccanismo di controllo. In particolare, ISIL e ANF, oltre ad altri gruppi, entità ed individui51, sono stati aggiunti al regime sanzionatorio di al-Qaida, in maniera coerente con lo sforzo generale della risoluzione (cioè di bloccare ed intervenire nei riguardi dei FTFs). Tuttavia, non sono state prese misure importanti per monitorare, in maniera efficace, l’implementazione di queste sanzioni da parte degli Stati Membri. Su questo tema, de Guttry ritiene che la riluttanza dei Membri a conformarsi alle decisioni del Consiglio, anche se vincolanti, unita al fatto che è assente un meccanismo di controllo, fa sì che la risoluzione in questione possa andare incontro ad una estesa inosservanza.

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2.2. Risoluzione 2178 (2014)

Il Consiglio di Sicurezza, sotto la presidenza degli Stati Uniti e in presenza del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, approvava all’unanimità la risoluzione 2178 (2014), dedicata specificatamente ai FTFs. Questa seconda risoluzione del Consiglio, adottata il 24 settembre 2014, solo 40 giorni dopo la precedente, è incentrata esclusivamente sui FTFs. La risoluzione 2178 (2014), motivata come in precedenza dal “flusso di fighters senza precedenti”, riesce finalmente a colmare la mancanza di una definizione di FTF, non presente nella precedente. Infatti, un nuovo paragrafo fornisce una definizione innovativa di FTFs cioè: «individui che viaggiano da uno Stato diverso da quello di residenza o di cui sono cittadini con il fine di commettere o pianificare o preparare o partecipare ad atti terroristici o che forniscono o che ricevono un addestramento a fini terroristici, anche in connessione con conflitti armati»52.

Secondo Sandra Krähenmann, questa è la prima volta che il Consiglio fornisce una definizione specifica di FTFs, considerata di massima importanza, per rendere la propria strategia di antiterrorismo e le proprie decisioni efficaci ed applicabili negli ordinamenti degli Stati Membri. Tale manovra si esplica attraverso una nozione ampia che comprende tutti coloro che si spostano verso paesi terzi con finalità di terrorismo. L’obbiettivo era quello di espandere il quadro normativo antiterrorismo imponendo così ai Membri di rispondere alla specifica minaccia dei FTFs.

La definizione di FTF, in questo paragrafo, si avvicina in parte alle definizioni date dai sociologi, storici, esperti di terrorismo53; tuttavia la stessa conferma l’associazione dei FFs al terrorismo e a specifici gruppi terroristici, già avanzata nella risoluzione precedente. Inoltre, riguardo questa definizione è stato dibattuto da più parti, che l’espressione “anche in connessione con conflitti armati” invoca atti di terrorismo governati dal Diritto Internazionale Umanitario (DIU), senza limitare il termine di FTFs, esclusivamente ad atti proibiti dal DIU54. Per questo motivo secondo l’autrice, da quanto

52 Paragrafo 8 del preambolo della risoluzione 2178 (2014), pag. 2.

53 Le più autorevoli sono quella già citata di Bekker (vedi introduzione) e quella di Hegghammer che

definisce i foreign fighters come: “individui che si uniscono a insurrezioni all’estero spinti da motivi ideologici o religiosi piuttosto che pecuniari”. Definizione tratta da Bakowski, op. cit., pag. 11.

54 Come osservato da Scheinin, e come discusso nel proseguimento del lavoro, la risoluzione si occupa del

fenomeno dei FTFs senza limitazioni geografiche o temporali, per questo motivo la sua applicazione non è ristretta a situazioni dove è presente un conflitto armato. Questa valutazione è condivisa sia da de Guttry,

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22 stabilito nella risoluzione anche la sola adesione di un individuo ad un gruppo terroristico coinvolto in un conflitto armato, potrebbe corrispondere, per esempio, a “ricevere un addestramento a fini terroristici”, a prescindere che il DIU sia applicabile o meno55. Passando al testo della risoluzione 2178 (2014), sin dal preambolo, grande apprensione è stata espressa dal Consiglio per la crescente capacità dei terroristi, in sinergia con i loro supporter, di usare esponenzialmente le nuove tecnologie di comunicazione. Questo utilizzo è finalizzato a radicalizzare, reclutare e incitare sempre più individui a commettere attacchi terroristici e a finanziare le attività terroristiche. Tale aspetto rafforza il bisogno che gli Stati Membri “cooperino per prevenire che i terroristi sfruttino la tecnologia, i canali comunicativi e le risorse che gli servono per incitare all’adesione agli atti terroristici”56.

Inoltre, sempre nel preambolo della risoluzione, è espressa grande preoccupazione per due problemi specifici: uno è rappresentato dagli individui con più di una cittadinanza, che cercano di approfittare di questa condizione per evitare controlli mirati (di frontiera, etc.), l’altro è costituito dalla necessità di prevenire che lo status di rifugiato possa essere abusato da esecutori, preparatori, organizzatori o facilitatori di attacchi terroristici (compresi quelli commessi dai foreign fighters).

Dopo un veloce quadro del preambolo, della 2178 (2014), iniziamo ad analizzare la parte operativa della risoluzione che, essendo incentrata solamente sui foreign terrorist fighters, risulta molto più dettagliata, rispetto alla risoluzione 2170 (2014), e presta molta più attenzione all’implementazione degli obblighi sanciti in essa.

Per controllare la suddetta attuazione delle parti operative, il Consiglio incarica il CTC (Counter Terrorism Commitee), con il supporto del CTED (Counter Terrorism Executive Directorate), ad identificare i gap principali presenti nelle capacità degli Stati Membri e ad individuare i problemi nell’implementazione delle risoluzioni che si occupano di terrorismo, in particolare della 2170 e della 2178 (2014). Tale manovra facilita il Consiglio ad avere una panoramica sullo stato dell’implementazione della risoluzione,

op. cit., pag. 46 che da Krähenmann, Foreign Fighters under International Law, Academy Briefing No. 7,

Geneve Academy, 2014,

https://www.geneva-academy.ch/joomlatools-files/docman-files/Publications/Academy%20Briefings/Foreign%20Fighters_2015_WEB.pdf

55 Krähenmann, op. cit., 2014, pag 271.

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23 permettendo al suddetto di perfezionare il supporto verso gli Stati bisognosi d’assistenza. All’interno di questo indirizzo operativo, il contributo del CTED risulta essenziale ed estremamente positivo57, ossia esso svolge la sua azione tramite: visite ai paesi, assistenza tecnica, report sui paesi, scambio di pratiche virtuose.

La creazione di questi meccanismi di monitoraggio può sicuramente giocare un ruolo importante nell’avvicinarsi alla piena conformità della risoluzione 2178 (2014). Seguendo il percorso già tracciato dalla risoluzione 1373 (2001), il Consiglio ha deciso di muoversi in maniera assai veloce evitando “di passare attraverso il lungo e spesso infruttuoso procedimento del trattato”58.

In particolare, nella risoluzione 1373 (2001), il Consiglio impose ai Membri l’obbligo di adottare strumenti legali per implementare i doveri proclamati nella risoluzione stessa; la medesima cosa viene attuata nella 2178 (2014), dove è richiesto agli Stati di adottare misure specifiche ed efficaci in relazione ai FTFs.

Un altro tema degno di nota, secondo il già citato de Guttry59, riguarda il ruolo semi-legislativo, mostrato dal Consiglio, presente sia nella risoluzione 2178 (2014) che nella 2170 (2014), ampiamente criticato da più parti. Tali critiche sono basate sul fatto che questa risoluzione modifica nettamente il bilanciamento e l’equilibrio designato dalla Carta delle Nazioni Unite; nello specifico cambia l’assetto del ruolo e dei poteri dei diversi organi delle Nazioni Unite e ciò crea tensione tra i membri delle Nazioni Unite. Inoltre, l’autore sottolinea che l’ “ampia latitudine”, ovvero l’ampia libertà, concessa agli Stati per interpretare gli elementi operativi e per formulare una propria definizione di “FTF”, apre le porte a potenziali abusi da parte dei Membri, difficilmente controllabili anche dal CTC e dal CTED.

Secondo un’altra autrice, Bibi Van Ginkel, questa “ampia latitudine” deriva dalla modalità di “legiferare” del Consiglio. Infatti, quest’ultimo “deve assicurare che la legislazione in oggetto sia chiara e precisa (assicurandosi che l’effetto della legge sia

57 Anche altre Organizzazioni Internazionali (OI) hanno stabilito dei meccanismi per monitorare

l’implementazione delle risoluzioni del Consiglio che trattano dei FTFs, un esempio su tutti: il Consiglio d’Europa. Bibi van Ginkel, et al., The Foreign Fighters Phenomenon in the European Union- Profiles,

Threats & Policies, ICCT International Center for Counter-Terrorism, The Hague, 2016, pag. 3, https://icct.nl/wp-content/uploads/2016/03/ICCT-Report_Foreign-Fighters-Phenomenon-in-the-EU_1-April-2016_including-AnnexesLinks.pdf

58 de Guttry, op. cit, pag. 272. 59 Ibidem, pag. 273.

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24 prevedile), che serva ad uno scopo preciso, e sia proporzionale a tale scopo e quindi efficace”60. Secondo la suddetta autrice, questi elementi riconducibili al principio di legalità, i quali proteggono le persone da possibili abusi di potere dei loro governi o di altre entità, non vengono rispettati nel caso della risoluzione 2178 (2014). A tal proposito l’autrice esprime una certa perplessità per la mancanza, nel testo, di una definizione precisa delle categorie di soggetti e attività che ricadono nel campo di applicazione di questa risoluzione e critica il fatto che l’ampia definizione di FTFs, data dal Consiglio, interessa tutte le forme e manifestazioni di terrorismo in maniera troppo generale. L’unicità della risoluzione 2178 (2014) e la sua incapacità a conformarsi con i suddetti principi, fa sì che essa si distingua da altri tentativi di legiferare da parte del Consiglio61 e ciò è dovuto, in buona parte, all’impossibilità di potersi basare su norme precedenti (consuetudinarie o basate su un trattato).

Un’ultima riflessione, degli autori citati in precedenza, riguarda la portata della risoluzione 2178 (2014). Dal testo si evince che la risoluzione si occupa del fenomeno dei FTFs in generale, senza nessuna limitazione geografica o temporale, risultando così universale. Per questo motivo la sua applicazione non è ristretta ad una determinata area geografica o ad un determinato conflitto armato, ma impone ai Membri di contrastare i FTFs ovunque essi operino. Sta di fatto che la risoluzione è stata redatta secondo un modello determinato di conflitto e di terrorismo (il conflitto siriano/l’IS) e potrebbe, in futuro, rivelarsi problematica (con la possibilità di abusi) ed inadeguata in circostanze diverse62.

Il corpo principale della risoluzione 2178 (2014) è articolato in 5 diverse sezioni, le quali si occupano di obblighi in capo agli individui, di obblighi in capo agli Stati, dell’aumento

60 Bibi van Ginkel, The New Security Council Resolution 2178 on Foreign Terrorist Fighters: A Missed Opportunity for a Holistic Approach, ICCT International Center for Counter-Terrorism, The Hague, 2014, https://icct.nl/publication/the-new-security-council-resolution-2178-on-foreign-terrorist-fighters-a-missed-opportunity-for-a-holistic-approach/

61 Per esempio, quando venne adottata la 1373 (2001) vi era già in forza un altro strumento cogente, con

norme simili a quelle prescritte nella risoluzione, cioè la Convenzione Internazionale per la soppressione al finanziamento del terrorismo. Sandra Krähenmann, The Obligations under International Law of the

Foreign Fighter’s State of Nationality or Habitual Residence, State of Transit and State of Destination,

contenuto in Foreign Fighters under International Law and Beyond, pag. 237.

62 Dalila Delorenzi, “Foreign Fighters” e l’attuazione nell’UE della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2178 (2014), Un altro caso di “legiferare in fretta, pentirsi con comodo, eurojus.it,

2016,

http://rivista.eurojus.it/foreign-fighters-e-lattuazione-nellue-della-risoluzione-del-consiglio-di-sicurezza-delle-nazioni-unite-2178-2015-un-altro-caso-di-legiferare-in-fretta-pentirsi-con-comodo/

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25 della cooperazione internazionale, del contrasto all’estremismo violento e dell’impegno delle Nazioni Unite contro la minaccia dei FTFs. Nel proseguo del capitolo verranno analizzate le principali tematiche delle suddette sezioni.

2.2.1. Obblighi in capo agli individui

Nel primo paragrafo, della parte operativa della risoluzione, il Consiglio: “chiede a tutti i FTFs di deporre le armi, cessare gli atti terroristici e la partecipazione al conflitto”63. La caratteristica più rilevante di questo appello è che il Consiglio impone alcuni obblighi direttamente a degli individui.

Non è la prima volta che il Consiglio istituisce degli obblighi ad attori diversi dagli Stati Membri64, ma il fatto di imporne alcuni direttamente a degli individui, in quanto tali, ha spinto numerosi esperti ad approfondirne la questione. In particolare, anche l’autrice Anne Peters65 si è occupata di questa caratteristica della risoluzione 2178 (2014), proponendo su questo tema tre questioni correlate tra loro: “In primo luogo, se la 2178 crea obblighi internazionali, giuridicamente vincolanti, per gli individui in quanto tali; in secondo luogo se questi obblighi, previsti dalla risoluzione, sono direttamente applicabili nell’ordinamento giuridico interno dei Paesi Membri ed infine se la non osservanza di questi obblighi, in capo agli individui, costituisce o meno un crimine in virtù della risoluzione stessa”.

In pratica con le suddette questioni, Anne Peters si chiede se la stessa risoluzione possa rappresentare la base giuridica per istituire un obbligo per i FTFs a desistere da una serie di attività: la falsificazione di documenti di identità, il recarsi presso campi di addestramento dell’IS, il reclutamento dei volontari, e, naturalmente, la commissione di atti terroristici, e simili.

Entrando nello specifico della prima questione, l’autrice si chiede se la risoluzione 2178 (2014) è in grado di imporre degli obblighi internazionali giuridicamente vincolanti ai FTFs in quanto individui. Peters afferma che a tale questione si deve dare risposta

63 Paragrafo 1 della risoluzione 2178 (2014), pag. 4. 64 de Guttry, op. cit., pag. 265

65 Anne Peters, Security Council Resolution 2178 (2014): The "Foreign Terrorist Fighter" as an International Legal Person, Part I, ejiltalk.org, 2014,

https://www.ejiltalk.org/security-council-resolution-2178-2014-the-foreign-terrorist-fighter-as-an-international-legal-person-part-i/

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26 positiva, poiché la Carta delle Nazioni Unite conferisce al Consiglio di Sicurezza “un’autorità valida anche nei confronti di [...] individui”, a condizione che nell’esercizio di questa autorità il Consiglio rispetti i limiti del principio di legalità. Questo potere è valido in linea di principio per tutte le risoluzioni e trova giustificazione nella necessità di ovviare a dei possibili “gap normativi”, derivanti da situazioni limite in cui uno Stato è troppo debole o del tutto assente per poter legiferare o far fronte dal punto di vista normativo alla situazione66. Questa facoltà di imporre obblighi diretti agli individui ha come limitazione il principio di legalità, già precedentemente accennato. Tale principio afferma che le risoluzioni possono dar luogo ad obblighi giuridici individuali solo: “se tali obblighi sono prevedibili per gli individui verso i quali sono rivolti, se gli obblighi ed i loro destinatari possono essere ricavati dal testo delle risoluzioni, con sufficiente determinatezza contestuale, e quando effettivamente sono pubblicate”.

Per questo motivo, Peters aggiunge che solo gli obblighi implicitamente espressi nelle risoluzioni devono essere considerati passibili di critica perché rischiano di violare il principio della legalità.

L’autrice ritiene che “probabilmente” la formulazione del paragrafo 1 della risoluzione 2178 (2014), per quanto “sola”, è sufficientemente chiara per istituire degli obblighi internazionali nei confronti dei FTFs. Persiste però anche nella sua analisi il problema della mancanza di una definizione di "atto terroristico", come evidenziato in precedenza da van Ginkel e de Guttry. Nonostante ciò, secondo Peters, il “terreno comune” già emerso, a livello internazionale, sulla nozione di "terrorismo" è sufficiente a rendere la formulazione della 2178 (2014) abbastanza chiara per istituire degli obblighi agli individui.

In definitiva, su questa prima questione, l’autrice conclude che la risoluzione 2178 (2014) è sufficientemente chiara da vietare atti terroristici (ma non abbastanza chiara da giustificare una sanzione penale), diventando quindi la base giuridica per l'obbligo di ogni individuo a non commettere atti terroristici o partecipare a conflitti armati che interessano l’IS o gruppi affini.

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