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Motivazioni che conducono alla privazione di cittadinanza

4. La privazione della cittadinanza come strumento antiterrorismo degli Stati

4.1. Motivazioni che conducono alla privazione di cittadinanza

Come accennato nei capitoli precedenti, i FTFs rappresentano una minaccia per la sicurezza, non solo dei paesi di destinazione, dove hanno luogo i conflitti, ma anche per i loro paesi di origine. Infatti, è ormai ben noto il rischio che i FTFs, una volta tornati a casa, operino ancora all’interno dei network terroristici, compiendo attentati o reclutando nuovi fighters per conto delle suddette organizzazioni. Al fine di fronteggiare questo pericolo per la sicurezza interna, e di implementare la risoluzione 2178 (2014) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite181, alcuni Stati della componente occidentale182 della comunità internazionale hanno introdotto ex novo o potenziato all’interno dei loro ordinamenti una serie di provvedimenti finalizzati a privare i FTFs della loro cittadinanza.

Pertanto, secondo diversi autori183, alla luce di questo contesto, la privazione della cittadinanza assume la funzione di vera e propria policy di antiterrorismo degli Stati, volta principalmente ad impedire ai FTFs di far ritorno nei loro paesi di origine. Le motivazioni con cui gli Stati giustificano questo utilizzo di tipo antiterroristico della privazione della cittadinanza variano da Stato a Stato, così come variano le modalità con cui prende forma

181 Come abbiamo visto nel capitolo 2, al paragrafo 8 la risoluzione 2178 (2014) del Consiglio di sicurezza

impone agli Stati di impedire la circolazione dei FTFs. Ciò include l'obbligo di impedire l’ingresso o il transito dei FTFs nel loro territorio. Tuttavia, la risoluzione precisa che ciò non "obbliga alcuno Stato a negare l'ingresso o a richiedere la partenza dai propri territori dei propri cittadini o residenti permanenti". Krähenmann, op.cit, pag. 248

182 Le legislazioni degli Stati presi in considerazione sono sostanzialmente omogenee dal punto di vista del

rispetto degli standard internazionali in materia di tutela dei diritti umani. Ciò non significa che tutti gli Stati, che hanno adottato norme di privazione volte a contrastare il fenomeno dei FTFs, si ispirino al medesimo principio. A titolo di esempio, diversi autori citano il caso del Bahrein che, con l’emendamento del 2014 alla propria legislazione in materia di cittadinanza, ha utilizzato lo strumento di privazione della cittadinanza contro oppositori politici, difensori dei diritti umani, giornalisti, autorità religiose. Laura Van Waas, Foreign Fighters and the Deprivation of Nationality: National Practices and International Law, contenuto in Foreign Fighters under International Law and Beyond, pag. 484 e Simone Marinai, Perdita

della Cittadinanza e Diritti Fondamentali: Profili Internazionalistici ed Europei, Giuffrè Editore, Milano,

2017, pag. 34.

183 Jayaraman, op. cit., pag. 182, Krähenmann, op.cit, pag. 248, Laura Van Waas, op. cit., pag. 471, Rainer

Bauböck e Vesko Paskalev, Citizenship Deprivation A Normative Analysis, CEPS Papers in Liberty and Security in Europe, n. 82, 2015, pag. 16. e Ryan Dowding e Charles Mckeon, Criminal and administrative

measures against “foreign terrorist fighters”, Human Rights Law Clinic Papers 2016, University of

64 la privazione. Nonostante questa eterogeneità, secondo gli esperti, è possibile individuare i due motivi che, ad oggi, sono maggiormente indicati nelle diverse legislazioni nazionali per far fronte al problema del terrorismo, ovvero: il venir meno del rapporto di lealtà e fedeltà tra Stato e individuo e la salvaguardia della sicurezza nazionale.

La privazione di cittadinanza dovuta al venir meno del rapporto di fedeltà con lo Stato di appartenenza, rappresenta uno dei casi “tradizionali” di perdita184, che ha subito, negli ultimi tempi, un parziale adattamento in merito alla lotta al terrorismo e in particolare ai FTFs. Infatti, come spiegato da Marinai185, la lealtà e la fedeltà verso lo Stato, sono tradizionalmente uno dei doveri ai quali un cittadino è tenuto in cambio della protezione ricevuta dallo Stato di appartenenza. Questo obbligo si manifesta attraverso una serie di impegni ai quali un cittadino, storicamente, ha sempre dovuto adempiere: la necessità ad operare con correttezza e lealtà dal momento dell’acquisto della cittadinanza, l’adempimento degli obblighi militari e l’obbligo di difesa della patria in caso di conflitto. Il venir meno a uno di questi impegni, anche in circostanze che nulla hanno a che vedere col terrorismo, ha sempre comportato concretamente, nelle legislazioni che lo prevedono, la perdita della cittadinanza, ad esempio: per chi abbia acquisito la stessa tramite frode186, per chi si sottrae agli obblighi di leva militare o, per chi, invece, decida di prestarli per uno Stato diverso dal proprio187.

Secondo Laura Van Waas188, oggi, e in parte già dalle prime fasi della “war on terror”, iniziata l’11 settembre 2001, questa causa tradizionale di privazione della cittadinanza, ovvero il venir meno della fedeltà verso lo Stato, è stata estesa per far fronte al terrorismo e in particolare ai FTFs. Nello specifico, questa estensione deriva dall’equiparazione dell’arruolamento di un FTF in un’organizzazione terroristica al prestare servizio militare

184 Secondo Marinai le cause di privazione di cittadinanza storicamente più usate nelle varie legislazioni

statali sono: (1) Il venir meno del rapporto di lealtà e fedeltà tra Stato e individuo (2) I motivi di sicurezza nazionale che possono essere invocati in caso di commissione di atti ritenuti seriamente pregiudizievoli per gli interessi vitali dello Stato. (3) L’acquisto di un’altra cittadinanza. (4) L’assenza prolungata dal territorio nazionale. (5) La perdita di cittadinanza per mantenere l’unità del gruppo famigliare. (6) Il mutamento di sovranità sul territorio di uno Stato. Marinai, op.cit., pag. 25.

185 Marinai, op. cit., pag. 29.

186 Questo aspetto concerne il caso dei naturalizzati ed è, nella prassi degli Stati, una delle cause di

privazione più frequente. Marinai, op. cit., pag. 30.

187 Secondo Bauböck e Paskalev, questo motivo di privazione ha perso, oggi, ogni tipo di fondamento dato

che appartiene ad un’epoca storica passata contraddistinta da una diffusa ostilità tra gli Stati, a differenza dell’attuale situazione internazionale che dovrebbe manifestare, almeno in teoria, relazioni amichevoli e una sorta di cooperazione pacifica tra gli Stati. Bauböck e Paskalev, op.cit., pag.17.

65 per un altro Stato, o combattere tra le fila di un altro Stato, rispetto a quello di cittadinanza, che, come detto in precedenza, rappresentano due tra le cause “tradizionali” del venir meno del rapporto di lealtà tra cittadino e Stato. In aggiunta a ciò, Van Waas afferma che, secondo altre interpretazioni, l’arruolamento di un FTF causerebbe, oltre che al venir meno del legame di fedeltà, una sorta di rinuncia implicita allo stesso rapporto e conseguentemente alla cittadinanza. Per questo motivo, un FTF non è privato della cittadinanza da parte del suo Stato, ma è piuttosto lui in prima persona a rinunciarvi volontariamente, con atti come il giuramento alla causa jihadista o la distruzione del proprio passaporto in filmati di propaganda dei gruppi terroristici.

In generale, sia secondo Marinai che Van Waas, la convinzione che essere un FTF, e più in generale compiere atti di terrorismo, possa di per sé far venir meno il rapporto di lealtà tra Stato e cittadino o sia indicativo della volontà di rinunciare implicitamente alla cittadinanza, è da considerare come minimo criticabile. Infatti, se in linea di massima è possibile ritenere alcuni atti terroristici, considerando le modalità con cui vengono compiuti, contrari al dovere di lealtà verso lo Stato, è però azzardato compiere delle generalizzazioni, dato che potrebbe non essere necessariamente vero che atti compiuti lontano dal territorio nazionale e che nulla hanno a che vedere con lo Stato medesimo189, siano tali da pregiudicare il rispetto di tale dovere.

Secondo gli autori, gli Stati devono sicuramente sanzionare le condotte in questione, anche nel rispetto dei loro obblighi internazionali190, visto che sono commesse dai propri cittadini, ma allo stesso tempo questo non implica necessariamente il venir meno del vincolo di lealtà e, quindi, la conseguente revoca della cittadinanza.

Sono strettamente correlate al venir meno del rapporto di fiducia tra cittadino e Stato anche le misure di privazione della cittadinanza motivate dal bisogno di tutelare gli interessi essenziali dello Stato, tra cui spicca la sicurezza nazionale e la salvaguardia del bene pubblico. Anzi, secondo Van Waas, è possibile affermare che dopo l’11 settembre 2001 e soprattutto col fenomeno dei FTFs, ci sia stato un vero proprio passaggio di consegne nei motivi della privazione della cittadinanza, usati nell’ambito della lotta al

189 A titolo di esempio ricordiamo che, come già affermato nel capitolo 1, molti dei primi FTFs, partiti alla

volta della Siria, si erano arruolati nei gruppi terroristici unicamente allo scopo di destituire il regime del presidente siriano Bashar al-Assad. Vedi paragrafo 1. 2.

190 Nello specifico, non si intendono solamente gli obblighi di conformarsi a standard internazionali in

66 terrorismo internazionale, i quali “si sono spostati da un paradigma di violazione di fedeltà a un paradigma di tutela della sicurezza nazionale"191. Sempre più spesso, infatti, come vedremo nel paragrafo successivo, ovvero quando esamineremo le prassi degli Stati occidentali più colpiti dai FTFs, le motivazioni legate alla sicurezza nazionale stanno alla base delle legislazioni statali che hanno introdotto o potenziato la facoltà di privare un individuo della sua cittadinanza in risposta a tale fenomeno.

A supporto di questa scelta adottata dai diversi Stati, vi sarebbe principalmente la preoccupazione per la potenziale minaccia costituita da coloro che si sono uniti all’IS o all’ANF, e ai gruppi a loro affini, e rischiano in seguito di tornare nel loro paese di origine al fine di attentare alla sicurezza nazionale. Questa preoccupazione supererebbe di gran lunga le altre motivate dall’ impegno in un conflitto all’estero da parte dei FTFs o dal loro coinvolgimento in atti terroristici in generale o dall'apparente violazione del legame di lealtà con lo Stato stesso. Data questa prospettiva, la privazione di cittadinanza assume un carattere essenzialmente preventivo rispetto a quello sanzionatorio, cercando di "proteggere le nazioni in modo preventivo dai propri cittadini"192.

È proprio la natura preventiva della privazione di cittadinanza, con motivazioni attinenti alla salvaguardia della sicurezza nazionale, a causare in dottrina le critiche più aspre. In particolare, Bauböck e Paskalev193 contestano che uno Stato ha sì il dovere di perseguire e punire i cittadini che hanno messo in pericolo la sua sicurezza, anche gravemente, ma non per questo può recidere il legame che ha con gli stessi cittadini. Sotto questa visione, quindi, i FTFs, o più in generale i terroristi, dovrebbero rimanere cittadini di uno Stato, indipendentemente da quanto essi risultino pericolosi, poiché il loro legame effettivo alla base della cittadinanza, il c.d. genuine link, non viene meno quando un cittadino diventa una minaccia per la sicurezza pubblica.

Gli autori continuano affermando che gli attentati alla pubblica sicurezza sono già contemplati dal diritto penale degli Stati, spesso indipendentemente dal fatto che siano perpetrati da un cittadino o meno, perciò la privazione di cittadinanza sembra essere una policy ridondante come strumento sanzionatorio. In particolare, su questo punto, vi è il

191 P. Sykes, Exclusionary liberalism: on the conceptualisation of citizenship in the 2014 UK and US denaturalisation debates, 2015, citato in Van Waas, op.cit., pag. 473.

192 P. Sykes, op. cit., 2015, citato in Van Waas, op.cit., pag. 474. 193 Bauböck e Paskalev, op. cit, pag. 15

67 rischio che la privazione di cittadinanza violi il principio del ne bis in idem, principio universale del diritto penale, in quanto la privazione può in certi casi cumularsi ad altre misure di carattere penale previste per i reati concernenti la sicurezza nazionale.

Inoltre, secondo gli autori, gli Stati, privando i FTFs della loro cittadinanza prima che facciano ritorno sul territorio nazionale, rischiano di non adempiere alla loro funzione centrale di protezione della sicurezza nazionale, la quale impone loro il dovere di perseguire e condannare qualsiasi individuo che la compromette.

Quindi in alcuni casi, gli Stati, che utilizzano la privazione di cittadinanza nei confronti dei FTFs, rischiano in pratica di sottrarsi a questo dovere, poiché nella loro prassi la privazione risulta essere una misura meramente amministrativa senza una condanna penale e soprattutto avviene quando i fighters si trovano ancora all’estero. Per di più, è probabile che la privazione di cittadinanza, disciplinata in questi termini, potrebbe creare degli ostacoli nel processare i FTFs o presunti tali, che improvvisamente vengono trasformati in stranieri e in alcuni casi estremi in apolidi194.

Infine, secondo gli autori, la privazione è discutibile anche se intesa unicamente come uno strumento preventivo del rischio di attentati, e non di condanna dei FTFs, perché, in un mondo estremamente interconnesso a livello globale come quello odierno, eliminando una potenziale minaccia alla sicurezza di uno Stato vi è la possibilità che questa si traduca in una minaccia per la sicurezza di un altro Stato o in generale per la Comunità Internazionale.

Dopo questa breve panoramica, sulle due motivazioni più frequentemente usate dagli Stati per giustificare la privazione di cittadinanza nei confronti dei FTFs, nel proseguo del capitolo ci concentreremo sulle prassi legislative degli Stati più colpiti dal suddetto fenomeno ed in seguito valuteremo le possibili implicazione e limitazioni di questa policy di antiterrorismo alla luce del Diritto Internazionale competente in materia di cittadinanza.

194 Con il termine apolide si intende una persona che nessuno Stato considera come suo cittadino.

Definizione tratta dalla Convenzione sullo status degli apolidi del 1954.

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