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Modificazioni indotte dall’esercizio in forma di circuito su soggetti diabetici di tipo 2

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI URBINO CARLO BO

DIPARTIMENTO DI SCIENZE BIOMOLECOLARI

SCUOLA DI SCIENZE MOTORIE

CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN

SCIENZE DELLA VITA, SALUTE E BIOTECNOLOGIE

CICLO XXIX

Settore Scientifico Disciplinare M-EDF/01

Modificazioni indotte dall’esercizio fisico in forma di

circuito, in soggetti affetti da diabete di tipo 2

Tutor

Chiar.mo Prof. Ario Federici

Dottorando

Dott. Alessandro Stranieri

Anno Accademico 2015-2016

TESI DI DOTTORATO

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Sommario

SOMMARIO ... 1 ABSTRACT ... 3 PREFAZIONE ... 4 ESERCIZIO FISICO E PREVENZIONE DALLE PATOLOGIE ... 6 CENNI STORICI ... 8 FITNESS, WELLNESS E SALUTE ... 16 Fitness ... 16 Wellness ... 18 Salute ... 19 Attività fisica ed esercizio fisico ... 20 I principi F.I.T.T. ... 23 Esercizio in forma di circuito ... 31 DIABETE TIPO 2 ED ESERCIZIO FISICO ... 36 DEFINIZIONE, INCIDENZA E COSTI DEL DIABETE ... 37 CLASSIFICAZIONE DEL DIABETE ... 40 DIABETE T2: DIAGNOSI E OBBIETTIVI DI TRATTAMENTO ... 44 ESERCIZIO FISICO E DIABETE DI TIPO 2 (T2D) ... 45 Migliorare l’aderenza dei diabetici all’esercizio fisico ... 46 SCOPO DELLA RICERCA ... 51 MATERIALI E METODI ... 53 DISEGNO SPERIMENTALE ... 54 SOGGETTI ... 56 VALUTAZIONI EFFETTUATE ... 58 Antropometria e Valutazioni funzionali ... 58 Valutazioni cliniche ... 66 PROTOCOLLO DI ESERCIZIO A CIRCUITO ... 67 ANALISI STATISTICA ... 73 RISULTATI ... 75 VALUTAZIONI FUNZIONALI ... 76 Composizione corporea ... 76 Fitness muscolare ... 76 Fitness cardiorespiratorio ... 77 VALUTAZIONI CLINICHE ... 79 CONFRONTO TRA DURATE DELLA SESSIONE ... 81 DISCUSSIONE ... 83 BIBLIOGRAFIA ... 90

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“Prima di cercare la guarigione di qualcuno,

chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose

che lo hanno fatto ammalare ”

(Ippocrate)

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ABSTRACT

OBJECTIVE

To assess the effects of circuit training on HbA1c and VO2max (primary outcome) and several metabolic risk factors (blood pressure, body composition, body weight), and muscle fitness, in subjects with type 2 diabetes, and to identify factors that may improve adherence to physical exercise.

RESEARCH DESIGN AND METHODS

Type 2 diabetic patients (n = 13) were randomly assigned to circuit training program. After 2 months (8 weeks) of intervention, HbA1c, cardiorespiratory fitness (VO2max), muscular strength and body composition were measured. We compared our group with a meta-analysis specifically designed on the results of 17 research works.

RESULTS

After circuit training program, comparing our group with pre and post values, we observed increase in maximal oxygen consumption (VO2peak) was +5,65% (p <0,05), strength was greater in the lower limb (+25.38%). Fat mass of the subject has not decreased significantly. improvement in HbA1c after training was independently pre- dicted by baseline HbA1c and by changes in VO2peak and truncal fat.

CONCLUSIONS

Our circuit training, similarly to aerobic, resistance and concurrent training, improves metabolic features (HbA1c) muscle strenght, cardiorespiratory fitness (VO2max) in type 2 diabetic patients. There were no significant changes on the body composition and blood pressure. Our protocol has achieved good results in less time by 30% compared to all the examined protocols. This is important if we think a better adhesion to physical exercise in diabetic patients.

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PREFAZIONE

Le evidenze scientifiche sono concordi nel ritenere l’esercizio fisico come un’attività rilevante per il mantenimento di un corretto equilibrio psico-fisico dell’individuo, in grado di migliorare in modo significativo la qualità della vita e di attuare un’efficace attività di prevenzione delle malattie, quali ad esempio quelle cardiovascolari, il diabete, l’ipertensione, l’obesità e i tumori, contribuendo tra l’altro a ridurre in modo significativo la spesa pubblica

In un’epoca di oggettive ristrettezze economiche come quella che stiamo vivendo, diventa sempre più difficile mantenere fede ai principi istitutivi del sistema sanitario nazionale, tanto più quando s’intende intraprende anche un percorso di innovazione del sistema, scelta che spesso è destinata ad impattare negativamente sui costi. Bisogna, quindi, cercare di conciliare la crisi economica con la logica dell’innovazione e dell’universalità delle prestazioni. Analizzando la situazione attuale, è innegabile che in taluni casi il sistema sanitario nazionale, e ancor più quello regionale, potrebbero trarre un enorme giovamento da alcune forme di collaborazione con altri settori lavorativi, che da sempre si occupano della salute del corpo e del benessere del cittadino.

La sfera delle scienze motorie, con le proprie competenze, potrebbe rappresentare il tassello mancante per mantenere la sostenibilità del comparto della salute pubblica. In effetti, la collaborazione tra il settore della sanità pubblica e quello delle scienze motorie può rappresentare oggi un importante supporto al sistema sanitario, sia per mantenere le valenze di universalità ed equità, nell’ambito del processo di regionalizzazione della gestione delle risorse, sia per offrire cultura e competenze integrate nell’ambito di una cooperazione, che abbia come obiettivo la tutela della salute di ogni individuo e la sostenibilità del sistema sanitario.

Metodologie di esercizio fisico, come quella del circuit training, potrebbero avvicinare maggiormente i soggetti diabetici alla pratica motoria come terapia, riducendo al contempo il drop-out, per effetto di un minor tempo di durata delle sessioni e un maggior divertimento di gruppo, ottenendo risultati simili ad altri protocolli di lavoro.

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ESERCIZIO FISICO E PREVENZIONE

DALLE PATOLOGIE

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Cenni storici

L’attività motoria è da sempre parte integrante della vita degli individui e si confonde con le stesse origini storiche dell’uomo. Questo non significa che i nostri antenati prendessero in considerazione la necessità di una pratica “ginnica” come la intendiamo ai nostri giorni; piuttosto l’attività fisica, in particolar modo la corsa, era strettamente connessa alle necessità di sopravvivenza e di reperimento del cibo. Al contrario di quanto succede nella nostra società moderna, l’essere umano, nella sua vita più primitiva, doveva letteralmente correre dietro a quello che sarebbe poi divenuto il “pasto”, oppure muoversi velocemente per evitare di divenire cibo egli stesso. Nell’attuale società nessuno di noi si sognerebbe di fare una cosa del genere, ma il nostro corpo ha mantenuto nella sua memoria genetica la necessità di muoversi e di essere attivo per sopravvivere al mondo esterno e per rafforzare le proprie difese. Probabilmente siamo gli unici ”animali” del pianeta terra, che considerano il movimento come attività secondaria o, addirittura, semplice attività ricreativa, piuttosto che condizione essenziale per la vita. Ma quando è stato che l’uomo ha iniziato a pensare al movimento come attività migliorativa del proprio benessere fisico? Le prime notizie di un esercizio in forma organizzata utilizzato per la promozione della salute sono state rinvenute in Cina, e risalgono al 2.500 aC. La civiltà greca è però quella che, nell’antichità, ha impostato una tradizione della salute per mezzo di una corretta alimentazione e dell’esercizio fisico, tanto da coniare il motto: “l’esercizio per il corpo e la musica per l'anima”. (Wuest & Bucher, 1995) Ippocrate (460-370 a.C.), già allora scriveva che “tutte le parti del corpo che hanno una funzione, se usate con moderazione ed esercitate nei lavori in cui ciascuno è abituato, diventano in tal modo sani, ben sviluppati e s’invecchia più lentamente ma, se inutilizzati, divengono

suscettibili di malattie, crescono male e s’invecchia più rapidamente”. (Jones, 1967)

Ippocrate diventa, così, il primo medico ad associare l’attività fisica, non solo ad una funzione curativa, ma soprattutto ad un compito preventivo, ancora troppo spesso trascurato, invece, dai medici dei nostri giorni. Ma il motto di Ippocrate sembra si sia ormai perso nella memoria delle persone e, anche chi lo ricorda bene, difficilmente lo persegue come stile di vita. In genere le specie animali si evolvono per poter fare sempre meglio ciò per cui sono stati creati. L’uomo, invece, pur possedendo un patrimonio genetico che gli chiede di attivarsi fisicamente, nella generalità dei casi non fa nulla per assecondarlo o migliorarlo. Il benessere sempre maggiore, derivato dai progressi tecnologici, sta facendo aumentare a dismisura l’ipocinesi, cioè il principale

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fattore di rischio per l'insorgenza di patologie a carattere metabolico (obesità e diabete) e cardiovascolare (coronaropatie, ipertensione), predisponendo inoltre, a stati di stress mentale e poca resa nella concentrazione. (Lee et al., 2012) Come giustamente diceva Epicuro: “La necessità è irresponsabile, la fortuna instabile, invece il nostro arbitrio è

libero, per questo può meritarsi biasimo o lode”. (Epicuro) Evidentemente ogni uomo

adulto è libero di decidere per sé stesso, anche se poi non sempre decide per il meglio. La dimensione psichica e quella corporea creano un'unità di sistema, in cui l’indipendenza di ciascuno dei due aspetti è garantito dal reciproco rapporto con l'altro. Platone diceva: “Non bisogna tenere in massimo conto il vivere come tale, bensì il vivere bene” e sotto tale monito non possiamo non pensare a come l’attività fisica potrebbe risollevare le sorti della nostra esistenza e farci beneficiare di una migliore qualità della vita. Di questo si sono accorti in molti ma, fino a non molto tempo fa, non si conosceva ancora la relazione precisa tra l’insorgenza (e l’inasprimento) di alcune patologie e la prevenzione (primaria e secondaria) che l’attività fisica, o meglio, l’esercizio fisico, poteva assumere nei confronti di queste. Gli Stati Uniti d’America furono, forse, tra i primi paesi industrializzati a ricercare tale correlazione, sia per effetto di una crisi senza precedenti negli anni ‘30, sia per un dilagare sempre più alto di patologie cardiovascolari che, spesso, non trovavano uguale riscontro in altri paesi occidentali. Il "crollo di Wall Street" nel 1929, diede l'avvio a quella che fu poi la “grande depressione”, che colpì non solo gli Stati Uniti, ma anche tutte le economie mondiali a cui gli USA avevano concesso ingenti prestiti per effettuare la ricostruzione postbellica. Gli Stati Uniti piombarono di colpo in una crisi senza precedenti. La crisi bancaria cominciò a diventare crisi economica nel 1931. (Galbraith, 2009) Il numero dei disoccupati decuplicò nel 1933, passando da 1,5 a 15 milioni. Consumi, investimenti e produzione erano nel fondo del baratro. Il crollo delle borse di Wall Street fu così devastante per l’economia nazionale americana, che mise in serio pericolo anche la salute dei giovani americani. (Sobel 1999) Nel periodo compreso tra il 1941 e il 1945, si parlava già molto di quali attività potevano essere utili per promuovere la salute della popolazione americana, fino ad individuare, sempre più spesso, l’attività cardiovascolare, l’esercitazione contro resistenza e della forza muscolare, il miglioramento della flessibilità e dell’agilità, come le attività che permettevano una migliore resistenza corporea all’insorgenza di numerose patologie (Larson, Yocom, 1951) Intorno alla metà del ‘900, il benessere derivato dall’industrializzazione e dalle nuove tecnologie messe a punto negli U.S.A., incrementano un modello di vita fondato

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sul consumismo, cioè basato sull’allargamento dei consumi privati, che di lì a poco si sarebbe propagato fino in Europa. Le nuove tecnologie, significarono più produttività per tutti i paesi occidentali industrializzati e maggior benessere. Soprattutto negli Stati Uniti, cambiarono gli stili di vita, sia nel campo dell’alimentazione, con un consumo più sostenuto di zuccheri semplici, carni e latticini, sia nelle abitudini al movimento. E’ chiaro che l’eventualità di possedere un’automobile, diminuiva di gran lunga le opportunità per camminare, così come avveniva prima del boom economico. Negli anni ‘50 e ’60 anche le classi sociali degli operai riuscirono a migliorare il proprio tenore di vita e il proprio stato di salute, con un evidente allungamento della vita. Ma la cosa più evidente fu come l’automazione avesse ridotto i tempi di lavorazione e cambiato l’organizzazione degli stessi, diminuendo di conseguenza anche il lavoro fisico degli operai e dei contadini. La produzione aumentava e quindi si poteva spendere di più lavorando di meno, ottenendo inoltre più tempo libero per sé stessi. Appare chiaro come questi immediati cambiamenti, si riflettessero anche nei confronti dell’abitudine al movimento, attivando tutta una serie di negative pratiche sedentarie, le quali, a loro volta, iniziarono ad essere costellate da numerosi problemi di salute. Questa situazione non era molto evidente fino agli inizi del ‘900, in quanto l’automazione era ancora agli albori e l’attività lavorativa si svolgeva quasi esclusivamente in modo manuale. Gli spostamenti all’interno del territorio di residenza erano attuati per lo più a piedi o, per i più ricchi, in bicicletta. In effetti, già intorno alla metà del XX secolo, si riscontrò un’inversione di tendenza tra le patologie di carattere infettivo, evidentemente debellate dall’uso dei primi antibiotici e quelle derivate da un improvviso benessere alimentare. Fu così che iniziò un particolare interesse per il repentino aumento delle malattie cardiovascolari. Subito dopo la conclusione del 2° conflitto mondiale, il rinnovato interesse nei confronti della salute fisica, convince l’Associazione di Medicina Americana (A.M.A. – American Medical Association) a riprendere gli studi in merito all’esercizio fisico. In questo periodo suscitarono grande attenzione le ricerche di Thomas K. Cureton, Jr. svolte presso il suo Physical Fitness Research Laboratory dell’Università dell’Illinois (Shea 1993). Sappiamo che il cuore è un muscolo e, come tutti i muscoli, s’ipertrofizza con l’uso ma si “atrofizza” se non è regolarmente allenato. Se non è sottoposto ad un lavoro sufficientemente impegnativo, la sua frequenza di battito tende via via ad aumentare, dato che la sua forza di contrazione si riduce. L’inattività, quindi, grava pesantemente sull’efficienza del sistema cardiovascolare, ed è divenuto evidente come la mancanza d’attività fisica sia

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correlata anche con un alto numero di malattie metaboliche (obesità, diabete, iperlipidemia, ecc.) e in particolar modo a malattie cardiovascolari quali pressione alta, coronaropatie e aterosclerosi. Nacque, quindi, la necessità di intraprendere tutta una serie di studi che potessero mettere in evidenza quali comportamenti errati, o fattori di rischio, fossero in grado di influenzare lo sviluppo di patologie cardiache. Il Framingham Heart Study, nel 1949, (Dawber et al 1951; Oppenheimer 2005) fu il capostipite di questa tipologia di studi. Effettuato nella cittadina di Framingham nel Massachusetts (USA), lo studio della popolazione si proponeva di classificare ed analizzare i dati di migliaia di persone (sia sane, sia ammalate) per scoprire se, ed in che misura, questo o quel determinato ’’fattore di rischio’’ (termine coniato per la prima volta proprio da questo studio) influenzassero lo sviluppo, magari dopo anni, di eventi cardiovascolari, quali l’infarto, l’angina e l’ictus. Prima di questa ricerca, la considerazione e l’identificazione di come determinati comportamenti potessero determinare una patologia, era pratica quasi sconosciuta per la medicina dell’epoca. Dal 1949 al 1953 (in realtà l’indagine è continuata, con diverse modalità, per oltre 50 anni e continua tutt’oggi) sono state esaminate 5.209 persone di età compresa tra 35 e 65 anni, alla ricerca di possibili fattori di rischio: ogni soggetto è stato sottoposto ad un'accurata visita medica generale e poi classificato in base alla presenza di particolari malattie o abitudini di vita. Ad ognuno è stata misurata la pressione arteriosa ed effettuato un prelievo di sangue per valutare i livelli ematici di numerose sostanze. I risultati dimostrarono, per la prima volta, che i fumatori erano a serio rischio di malattie cardiovascolari, così come i soggetti con alti valori di colesterolo LDL. I ricercatori fornirono prova di come lo stile di vita americano potesse influenzare negativamente la salute, soprattutto se associato a inattività fisica, comprovando il ruolo protettivo dell’attività motoria, anche modesta, nei confronti delle patologie cardiovascolari. A tale proposito un fisiologo inglese, Jeremy Morris, fu tra i primi a rilevare in modo scientifico il ruolo protettivo dell’esercizio fisico riuscì, in una sua nota ricerca, a dimostrare che un gran numero delle morti, avvenute all’epoca in Inghilterra, potevano essere ricondotte a patologie cardiovascolari derivate da uno stile di vita sedentario. Nel 1953 riportò i dati di un suo studio (Morris et al. 1953) che paragonava l’attività fisica dei controllori di autobus londinesi (quelli a due piani, per intenderci) con quella degli autisti. Mostrò che per svolgere la propria attività il controllore saliva gli scalini dell’autobus circa 600 volte al giorno, mentre l’autista era sedentario per il 90% della propria giornata. Questa maggiore attività fisica, seppur minima, si dimostrò sufficiente

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a proteggere gli ispettori dai danni della sedentarietà, con un deciso e dimostrato decremento di malattie cardiache rispetto ai colleghi autisti. Contemporaneamente, negli Stati Uniti, la pubblicazione di un articolo intitolato ”Muscular Fitness and Health” (Kraus, Hirschland, 1953) fu l’evento che fece più scalpore, attirando l’attenzione pubblica (compresa quella dell’allora Presidente Eisenhover) sulla condizione fisica della popolazione americana. Gli autori dell’articolo, Hans Kraus, dell’Instituto di medicina fisica e riabilitazione del centro medico dell’Università di New York New Bellevue e Ruth Hirschland, (pseudonimo con cui si firmò Bonnie Prudden, articolista di Sport illustrated), dichiaravano che ben il 56,6% degli scolari americani, non incontravano gli standard minimi richiesti per il mantenimento di un buono stato di salute. Un confronto con il vecchio continente metteva in luce che solamente l’8,3% dei bambini europei si trovava nelle stesse condizioni dei coetanei statunitensi, ragion per cui si rendeva necessario ed urgente porre rimedio a questo stato di cose. Verso la fine degli anni ’50 Ralph Paffenbarger, uno dei più noti medici epidemiologi del mondo, studiò i possibili benefici per la salute dati dall’attività fisica, incentrando la sua ricerca sui lavoratori del porto di San Francisco. Lo studio, denominato come California

Longshoremen Study, (Paffenbarger, Hale, 1975; Paffenbarger et al., 1970) mise in

luce che gli operai che facevano un lavoro meno pesante, avevano un incidenza di 1,5-2 volte maggiore di incorrere in un infarto rispetto ai colleghi che svolgevano mansioni fisicamente più gravose. Ralph Paffenbarger continuerà per tutta la vita ad occuparsi della relazione tra attività fisica, longevità e qualità della vita, in particolar modo dando vita al famoso studio College Alumni Health Study del 1960. (Paffenbarger et al. 1978; Paffenbarger et al. 1966; Paffenbarger, Wing, 1969; Paffenbarger et al. 1986) In questa ricerca, attraverso questionari periodici, Paffenbarger ha disegnato le caratteristiche personali, i livelli di attività fisica, le malattie e la morte di oltre 50.000 persone laureate presso la Harvard University e la Pensylvania University. Già negli anni '60 e ‘70 era quindi divenuto chiaro che, oltre all'età ed al sesso, anche i livelli di pressione arteriosa, quelli di colesterolo totale, il fumo di sigaretta, l'intolleranza al glucosio e soprattutto l’inattività, costituivano fattori di rischio certi per lo sviluppo di patologie cardiache.

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Figura 1 - Relazione tra livello di attività fisica, o capacità di esercizio, e mortalità per malattia coronarica. Dati ricavati dagli studi di Morris, Paffembarger, Leon, Blair, Ekelund, Sandvik. Fonte: Pate

et al 1995.

Il 1960 è anche l’anno dell’Israeli Kibbutzim Study, (Brunner, et al. 1974) una ricerca condotta dal Dr. Brunner nei Kibbutz israeliani, comunità tradizionalmente basate sull’agricoltura. All’epoca dello studio, la popolazione dei Kibbutz aveva raggiunto il picco di 129.000 persone e Brunner ne studiò l’incidenza delle sindromi di angina e di infarto. Questa ricerca mise in luce che le morti per infarto aumentavano da un minimo di 2,5 a 4 volte in più nei soggetti con lavoro sedentario rispetto a coloro che svolgevano mansioni che prevedevano un lavoro fisico rilevante, confermando l’importanza dell’esercizio fisico nei confronti della prevenzione cardiovascolare. In questo periodo, numerose organizzazioni pubbliche per la salute e l’educazione, fecero numerosi passi verso la promozione dell’attività fisica dei bambini e dei ragazzi, tanto che, quando Jhon Kennedy divenne presidente, nel 1961, una delle sue prime azioni fu proprio quella di indire una conferenza sull’efficienza fisica dei giovani americani. Kennedy, nonostante alcune sue problematiche alla spina dorsale e alle osssa, era un’entusiasta praticante dello sport. Appena eletto scrisse su Sport Illustrated un articolo intitolato “The soft american”,dove metteva in guardia contro gli aspetti negativi di un mondo in evoluzione, in cui l’automazione e l’aumento del tempo libero sostituivano l’attività fisica e il lavoro manuale. La necessità da parte del paese di incrementare l’attività motoria, e in particolare quella giovanile, indusse

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l’A.A.H.P.E.R. - American Association for Health, Physical Education and Recreation (Associazione Americana per la salute, l’educazione fisica e il tempo libero) ad inserire un ampliamento nei propri test dedicati all’efficienza fisica, con un programma riservato ai ragazzi tra i 10 e i 17 anni di età. Nel 1964 Bruno Balke, ideatore del famoso Balke protocol (Nagle, Balke, Naughton 1965) e primo fisiologo ad aver stabilito un preciso rapporto tra consumo di ossigeno, esercizio fisico e salute cardiovascolare, lascia il suo incarico presso la Federal Aviation Agency, dove aveva lavorato dal 1950 per i programmi spaziali simulati ed entra come docente presso la facoltà di medicina della Wisconsin University ad Aspen. Quì, nel 1966, sarà il fondatore del programma di prevenzione e riabilitazione cardiologica (Naughton, Balke, Nagle, 1964) dell’Università del Wisconsin, diventando poi professore emerito della stessa Università. In un momento in cui il riposo a letto era la generale prescrizione per i pazienti cardiopatici, Balke è stato uno dei primi sostenitori della prescrizione di esercizio fisico finalizzata al rafforzamento del cuore dei soggetti colpiti da infarto. Nonostante tutti gli sforzi, alla fine degli anni ’60 gli Stati Uniti registravano una quasi totale indifferenza dei cittadini americani nei confronti dell’attività fisica. Di lì a poco sarebbe però uscito un libro che avrebbe rivoluzionato le normali abitudini di esercizio fisico degli americani. Nel 1968 il Dott. Kenneth Cooper pubblica il suo libro ’’Aerobics’’, in cui spinge ad utilizzare l’esercizio aerobico intenso come sistema di prevenzione delle malattie cardiovascolari. Sicuro di quanto asseriva e indifferente alle numerose critiche ricevute dai propri colleghi, iniziò numerose valutazioni sulla funzionalità cardiorespiratoria (Gibbons et al.,1981) istituendo un apposito centro studi per le valutazioni, attuate anche per mezzo di un suo test di misurazione dell’efficienza cardiorespiratoria, divenuto poi famoso proprio come ‘test di Cooper’. E’ il momento in cui tutta l’America scopre il Jogging, all’inizio timidamente, ancora con il timore di possibili danni al cuore derivati dall’attività aerobica intensa, poi in maniera sempre più convinta, fino a farlo diventare una vera e propria moda. Nei successivi 40 anni, presso la sua clinica, Cooper esaminò circa 10.000 persone, dimostrando che l’attività fisica intensa è un’ottima prevenzione contro le malattie cardiache e metaboliche; in seguito riscontrò le stesse possibilità anche per l’esercizio moderato, il quale non risultò di molto inferiore nel ridurre o prevenire le patologie scaturite dalla sedentarietà. Negli anni seguenti l’effetto preventivo dell’attività moderata sarà confermato da molte ricerche; in particolare quelle effettuate da Ralph Paffembarger, sulla scorta delle osservazioni scaturite negli anni dal suo College Alumni Health Study. Queste

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evidenziarono che la correlazione tra attività fisica e salute non è direttamente correlata all’intensità dell’esercizio quanto, piuttosto, al consumo calorico giornaliero, che Paffembarger stimò dover essere di almeno 2.000 Kcal a settimana per dimostrarsi efficace, indipendentemente da come queste vengono spese. Così, ad esempio, 30 minuti di cammino e di relativo consumo calorico, possono essere accumulati anche in tre frazioni giornaliere di 10 minuti ciascuna, distanti l’una dall’altra, senza per questo perdere di validità nei confronti del benessere fisico. Le osservazioni in merito alla correlazione tra movimento, consumo calorico e miglioramento della salute sono state veramente numerose nell’arco degli ultimi quaranta anni. Molti di questi esami sono stati raccolti nel 1973 da Pollock e anche da alcune importanti associazioni, come l’A.C.S.M. – American College of Sport Medicine (Collegio Americano di Medicina dello Sport) (Pollock, 1998) e l’A.H.A. – American Heart Association (Associazione Americana di Cardiologia), le quali hanno poi provveduto, sulla scorta di quanto messo insieme, a creare delle linee guida per un corretto esercizio fisico. (Gibbons, et al, 2002) Nel 1975 l’A.A.H.P.E.R. ha provveduto a differenziare l’efficienza fisica in relazione alla salute o in relazione alla performance atletica. (Hunsicker, Reiff, 1976 ) Nel 1979 il Report of the Surgeon General Healthy

Peopleha gettato le basi per un programma nazionale di prevenzione, in parte basato

anche sulle evidenze scaturite negli anni in merito all’attività fisica e a cui seguì l’Healthy People 2000, ovvero il National Health Promotion and Desease Prevention Objectives. Entrambi gli studi hanno stabilito gli obiettivi nazionali per la salute degli Stati Uniti e sono serviti come base per lo sviluppo dei piani sanitari dello Stato e del successivo progetto dedicato alla salute denominato Healthy People 2010, ovvero una tabella di marcia per il miglioramento della salute di tutti gli abitanti degli Stati Uniti durante il primo decennio del 21° secolo. Il progetto è stato creato per raggiungere due obiettivi principali: aumentare la quantità di anni passati in salute, ed eliminare le disparità di salute. L’Healthy People 2010 indica, inoltre, ben 467 obiettivi specifici (che insieme ai sub-obiettivi diventano 955). Prevede, inoltre, dieci indicatori per la salute pubblica elencando tra i primi tre il miglioramento dell’attività fisica, la diminuzione di sovrappeso e dell’obesità e la drastica riduzione del tabagismo. A seguire tutti gli altri indicatori che prevedono un’attenzione particolare verso l’abuso di sostanze dannose, il sesso praticato in modo irresponsabile, la salute mentale, gli incidenti e gli atti di violenza, l’immunizzazione delle malattie e l’accesso alle cure sanitarie.

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Fitness, wellness e salute

Fitness

Il termine fitness sembra apparire, nella letteratura dedicata, intorno al 1930. Arthur Steinhaus nel 1936 pubblica sul Journal of Health, Physical Education and Recreation uno dei primi articoli dedicati al ’’physical fitness’’ cioè al miglioramento della condizione fisica degli individui. (Steinhaus, 1936) Sempre nello stesso giornale appare, nel 1938, un articolo di C. H. McCloy’s dal titolo ’’Physical Fitness and Citizenship’’. (McCloy 1938) Dovendo tradurre la parola ‘fitness’ (o physical fitness) il concetto italiano che più si avvicina all’idioma inglese è quello di ‘efficienza fisica’ o ‘forma fisica’. Questa può tradursi con l’abilità o la capacità di svolgere una qualsiasi attività fisica, lavorativa o di carattere ricreativo, al meglio delle proprie possibilità energetiche, senza accusare particolare fatica o difficoltà e mantenendo una quota energetica sufficiente per gli imprevisti. (President's Council on Physical Fitness and Sports, 1971; ACSM’s, 2010; Rahl, 2010; Caspersen et al., 1985) Significa possedere tutta una serie di capacità, le quali messe insieme, creano l’efficienza fisica di cui necessitiamo. In effetti, se consideriamo l’efficienza fisica, come miglioramento della salute, ma anche della prestazione fisica, ci troveremo a gestire, in modo più o meno articolato, 5 componenti principali comuni ad entrambi i settori (resistenza cardiovascolare, forza muscolare, resistenza muscolare, flessibilità e composizione corporea) e altre 6 (agilità, equilibrio, coordinazione, velocità, potenza, tempo di reazione) più specifiche della prestazione, (Pate, 1983; ACSM, 2010) anche se la qualità di equilibrio è sempre più spesso annoverata tra quelle basilari, soprattutto quando riferita all’esercizio fisico dedicato ai soggetti anziani. Di seguito alcune brevi definizioni delle componenti di base:

ü Resistenza cardiovascolare: per resistenza cardiovascolare (o endurance cardiovascolare) si intende la possibilità di svolgere un’attività fisica, potendo contare su cuore, sistema respiratorio e sistema vascolare efficienti, che riescano, cioè, a diffondere a tutti i distretti corporei l’ossigeno per tutto il tempo necessario per la conclusione del lavoro previsto, anche se di lunga durata. Uno dei primi obiettivi di un programma di allenamento, è proprio quello di provvedere a creare i benefici necessari per poter prolungare la capacità aerobica. Quest’ultima viene solitamente valutata preventivamente, prima dei programmi di allenamento, in modo tale da capire quali siano i parametri iniziali

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e i miglioramenti possibili nel tempo, nonché per adattare le tipologie di allenamento previste, al soggetto.

ü Forza muscolare: è una componente fondamentale dell’efficienza fisica. Rappresenta la forza (tensione) ottenibile da un gruppo muscolare in una singola contrazione contro una resistenza. Risulta essere una delle abilità più utilizzate anche se, spesso, in modo inconsapevole. Ogni volta che si solleva, spinge o abbassa un carico, i muscoli generano la forza necessaria a spostarlo o sostenerlo.

ü Resistenza muscolare: rispetto alla pura forza muscolare, questa è la qualità più di sovente utilizzata nella vita di relazione. Si definisce come l’abilità di un muscolo di attuare ripetute contrazioni in un arco di tempo piuttosto lungo, ottenendo per ciascuna contrazione un’intensità di forza sub-massimale. Si utilizza tale capacità, ad esempio, nel cammino, o in molti mestieri manuali, in cui gli arti sono sottoposti a contrazioni ripetute. Un allenamento adeguato della resistenza muscolare permette, quindi, di camminare più a lungo e con minor fatica.

ü Flessibilità: Consiste nella capacità di far muovere le articolazioni del corpo per l’intero e normale arco di movimento. Una buona flessibilità dipende sia da una buona salute delle articolazioni, sia da un’idonea capacità di estensibilità della muscolatura.

ü Composizione corporea: la salute dipende in gran parte anche da come siamo strutturati, in particolar modo da una giusta proporzione tra la nostra massa magra (ossa, muscoli, pelle, viscere, ecc.) e la nostra massa grassa. La composizione corporea può essere valutata attraverso differenti sistemi (circonferenze, plicometria, pesata idrostatica, TAC) più o meno sofisticati, e che possono determinare lo stato di benessere, i reali bisogni di esercizio fisico e le eventuali modificazioni dello stile di vita necessarie. Inoltre, per mezzo delle prime tre componenti è possibile modificare in modo significativo la composizione corporea di un soggetto, soprattutto se coadiuvati da un’idonea e corretta alimentazione.

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Figura 2 - Schema delle componenti del fitness connesse con la salute e con la prestazione,

(Caspersen 1985)

Wellness

Questo termine rimanda a un concetto molto più ampio rispetto a quello di fitness: quest’ultimo ci dice infatti che, se vogliamo preservarci dalle malattie
ed essere efficienti fisicamente, dobbiamo dedicarci a sviluppare determinate capacità, ma il concetto rimane ristretto all’ambito fisico. Il wellness allarga, invece, gli orizzonti dello stare bene, includendo, oltre alla componente fisica, anche quella psichica e spirituale. Possiamo tradurlo come uno stato di benessere totale, un modo per arrivare a un’ottima qualità della vita. Il concetto di wellness (o alto livello di benessere) è stato introdotto dal Dr. Halbert L. Dunn in una serie di 29 conferenze tenute presso la Chiesa Unitaria di Arlington County, Virginia alla fine del 1950. Solo nel 1961 darà alle stampe il suo libro “High Levell Wellness” (Ardell, 2000; Dunn, 1961) Le dimensioni del wellness (in origine solo fisica, spirituale e psicologica) sono tra loro fortemente legate; paradossalmente, anche se considerassimo l’esercizio fisico fine a se stesso, otterremmo comunque parallelamente un miglioramento anche delle altre componenti: basti pensare all’attività di socializzazione maturata durante lo sport, che ci mette di buon umore e ci stimola a dare sempre di più.

LA STRADA PER IL FITNESS 27 26 FITNESS, WELLNESS E SALUTE

quindi necessario e urgente, queste erano le conclusioni dell’articolo, trovare delle soluzioni.

Gli anni Sessanta

Negli anni Sessanta era divenuto quindi chiaro che, oltre all’età e al sesso, anche i livelli di pressione arteriosa, quelli di colesterolo totale (somma di colesterolo LDL e HDL), il fumo di sigaretta, l’intolleranza al glucosio e soprattutto l’inattività costituivano fattori di rischio certi per lo sviluppo di patologie cardiache.

Molte organizzazioni pubbliche per la salute e l’educazione fecero diversi passi avanti a favore della diffusione dell’attività fisica dei bambini e dei ragazzi, tanto che, quando John Kennedy divenne presidente, nel 1961, si fece

promotore proprio di una conferenza sull’efficienza fisica dei giovani americani. La necessità, da parte del Paese, di far crescere l’attività motoria giovanile, indusse l’American Association for Health, Physical Education and Recreation (AAHPER; Associazione americana per la salute,

l’educazione fisica e il tempo libero) a effettuare un ampliamento dei propri test dedicati

all’efficienza fisica con un programma riservato

Il colesterolo

Essendo scarsamente solubili in acqua, i grassi non possono circolare liberamente all’interno del sangue e sono per questo legati a molecole chiamate lipoproteine. Il colesterolo, che è un lipide, viene trasportato nel corpo da due classi di lipoproteine: HDL (High Density Lipoprotein, lipoproteine ad alta densità) e LDL (Low Density Lipoprotein, lipoproteine a bassa densità). Il colesterolo totale risulta dalla somma del colesterolo contenuto nelle HDL e nelle LDL. Il colesterolo HDL (o colesterolo “buono”) esercita una funzione positiva perché ostacola la formazione delle placche nelle arterie. Al contrario, il colesterolo LDL (o colesterolo “cattivo”) è

particolarmente dannoso perché tende a depositarsi all’interno delle pareti delle arterie.

ai ragazzi tra i 10 e i 17 anni di età. Nel 1975 l’AAHPER provvide inoltre a differenziare l’efficienza fisica finalizzata al mantenimento di un buono stato di salute da quella indirizzata alla performance atletica (come riassunto nello schema di pag. 27).

Nonostante questi sforzi, alla fine degli anni Sessanta gli Stati Uniti registravano una quasi totale indifferenza dei cittadini americani nei confronti dell’attività fisica. Di lì a poco sarebbe però uscito un libro che avrebbe rivoluzionato le normali abitudini di esercizio fisico. Nel 1968, infatti, Kenneth Cooper pubblicò il libro

Aerobics, in cui incoraggiava a utilizzare

l’esercizio aerobico intenso come strategia di prevenzione delle malattie cardiovascolari. Sicuro di quanto asseriva e indifferente alle molte critiche mossegli dai colleghi, Cooper compì numerose valutazioni sulla funzionalità cardiaca e fondò addirittura un centro studi apposito per queste analisi, attuate anche attraverso un suo test di misurazione

dell’efficienza cardiorespiratoria (noto in seguito proprio come “test di Cooper”, che vedremo nel dettaglio nel quarto capitolo di questo volume). In questo momento, inoltre, tutta l’America scopre il jogging: all’inizio timidamente, ancora

con il timore di possibili danni al cuore derivati da un’attività aerobica intensa, poi in modo sempre più convinto, fino a farne una vera e propria moda. Nell’arco dei successivi

quarant’anni, nella sua clinica Cooper esaminò circa 10.000 persone e dimostrò che l’attività fisica intensa è un’ottima prevenzione contro le malattie cardiache. In seguito, riscontrò gli

stessi effetti positivi anche nell’esercizio moderato, che non risultò di molto inferiore nel ridurre o prevenire le patologie nate dalla sedentarietà

(patologie quali diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari). L’effetto “preventivo” dell’attività fisica moderata sarà confermato da diverse ricerche: quelle effettuate da R.

Paffembarger, in particolare, evidenziarono che la correlazione tra attività fisica e salute non è

direttamente legata all’intensità dell’esercizio

quanto, piuttosto, al consumo calorico giornaliero; Paffembarger stimò che il consumo calorico, per dimostrarsi efficace, deve essere di almeno 2000 kcal a settimana, indipendentemente da come queste vengono spese. Così, ad esempio, 30 minuti di cammino e di relativo consumo calorico possono essere accumulati anche in tre frazioni giornaliere di 10 minuti ciascuna, distanti l’una dall’altra, senza per questo perdere di validità nei confronti della prevenzione.

Nel corso degli ultimi trent’anni, le osservazioni in merito alla correlazione tra movimento, consumo calorico e miglioramento della salute sono state piuttosto numerose.

Molti di questi esami sono stati raccolti nel 1973 da Pollock e da alcune importanti associazioni, quali il Collegio Americano di Medicina dello Sport (ACSM) e l’American Heart Association (AHA; Associazione Americana di Cardiologia). Queste hanno poi provveduto, sulla scorta di quanto analizzato, a creare delle linee guida per un corretto esercizio fisico a cui faremo riferimento nei prossimi capitoli.

Per poter beneficiare degli effetti positivi e preventivi dell’attività fisica, il consumo calorico deve essere di almeno 2000 kcal a settimana,

indipendentemente da come queste vengono spese

Efficienza fisica Efficienza fisica

connessa alla prestazione connessa alla salute

- Agilità - Forza - Flessibilità - Velocità - Equilibrio - Potenza - Resistenza cardiorespiratoria - Composizione corporea - Resistenza muscolare

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Figura 3 - Copertina originale del libro “High-Level Wellness” del Dr.Halbert Dunn e il simbolo del wellness (Dunn, 1961)

Salute

Nel corso degli ultimi cinquant’anni anche il concetto di salute si è evoluto. In passato, si considerava in salute la persona che non aveva malattie. Oggi il concetto di salute si sovrappone a quello di wellness, ossia di benessere dinamico e totale. Dal 1948, l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia

o di infermità, definendo la promozione della salute come “un processo che conferisce

alle persone la capacità di migliorare il controllo sul proprio stato di salute e comprende tutti gli sviluppi delle conoscenze e dei metodi che contribuiscono al benessere individuale e collettivo”. È da notare, infine, che l’essere in salute deve essere inteso anche come un dovere, oltre che verso sé stessi, anche verso la collettività. L’articolo 32 della Costituzione italiana specifica infatti: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. In conclusione, possiamo definire anche la salute come una condizione
di piena efficienza funzionale, mentale,
affettiva e relazionale, dunque come uno stato
di equilibrio totale dell’organismo. Va comunque notato che, dalla definizione di salute proposta dall’OMS, nasce un paradosso, fondato sul fatto che nessuna persona si trova in modo costante, nella propria vita, ad avere tutti gli elementi considerati sempre positivi, ovvero, essendo la salute un processo in continuo divenire, e quindi dinamico, seguendo la descrizione dell’OMS si rischia di essere costantemente considerati

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malati per definizione.

Attività fisica ed esercizio fisico

Il danno, generato da scorrette abitudini di vita e in particolare dalla sedentarietà, è un fenomeno progressivo, che va combattuto grazie a un approccio multidisciplinare e promuovendo il concetto di salute ed efficienza fisica fin dalla giovane età. Le prove scientifiche che mostrano gli effetti benefici dell'esercizio fisico, come prevenzione e trattamento di diverse malattie, sono ormai inconfutabili. Le ricerche dimostrano chiaramente che un aumento dei livelli di attività fisica e dei livelli di fitness, hanno una riduzione del rischio relativo di morte di circa il 20% -35%(Macera et al., 2003; Blair et al., 1989) In una meta-analisi del 2001, che rappresentava 1.325.004 persone, Williams P.T. ha messo in luce con chiarezza la forte relazione esistente tra diverse dosi di esercizio fisico, attività fisica e il rischio d’insorgenza di patologie cardiache e coronariche, mostrando come, una quantità maggiore di attività fisica, produca un incremento di benefici sulla salute e, ancora di più, l’aumento dei livelli di physical fitness (vedi figura 4). (Williams 2001)

Figura 4 - Evidenza di una curva dose-risposta rispetto al rischio relativo di patologie cardiovascolari e aterosclerosi rispetto a diverse percentuali di attività fisica e di physical fitness; (Williams 2001; ACSM, 2010)

Ecco, quindi, che attività fisica, esercizio fisco e movimento, sono le parole che sempre più si sentono pronunciare da moltissimi professionisti del settore medico-sanitario,

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oltre che da quello più specifico delle scienze motorie. Generalmente, però, ciascuno di questi termini viene spesso usato come sinonimo degli altri e la confusione è d’obbligo, soprattutto quando sono usati erroneamente anche in pubblicazioni scientifiche. Se parliamo di “movimento”, tecnicamente intendiamo un qualsiasi spostamento del nostro corpo, o di parti di esso, nello spazio circostante e, di per sé, questo non può riferirsi ad un incremento della salute. Diverso è se parliamo di “attività fisica” termine con il quale s’intende qualsiasi occupazione che preveda movimenti corporei prodotti per mezzo di contrazioni muscolari ripetute e continue e che richieda un dispendio energetico maggiore di quello necessario al metabolismo a riposo.

(ACSM, 2010)

Figura 5 - Proporzione di adulti, per età e sesso, che in Inghilterra rispettano le linee guida sull’attività

fisica del 2006. Le linee orizzontali mostrano i target proposti dal governo per il 2011 e il 2020 – (Hardman, Stensel, 2009)

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Attività fisica/Esercizio fisico raccomandati dalle principali linee guida internazionali

Anno Riferimento Intensità Minuti Frequenza

1970-1980 (American College of Sports Medicine, 1978) Esercizio vigoroso (es. corsa) 20 min/giorno 3 volte a settimana

1990

(Pate et al., 1995; Physical activity and cardiovascular health, 1996)

Esercizio moderato

(es. cammino veloce) 30 min/giorno

La maggior parte dei giorni della settimana 2000 (Lee, 2007) Esercizio moderato 60 min/giorno La maggior parte de giorni della

settimana (5 giorni) 2010

(18-45 anni) (O’Donovan et al., 2010)

Esercizio moderato 30 min/giorno (150 min/sett)

La maggior parte de giorni della settimana (5 giorni) Esercizio vigoroso 75 min/sett

2011 Gaber et al. 2011 – Guidance for prescribing exercise

Esercizio moderato 30-60 min/giorno (150 min/sett) ³5 gg/sett Esercizio vigoroso 20-60 min/giorno (75 min/sett) ³3 gg/sett

Esercizio combinato ³3-5 gg/sett

Tabella 1 - Riassunto delle principali linee guida sull’attività fisica e l’esercizio fisico

Quando parliamo, invece, di “esercizio fisico”, facciamo riferimento a un’attività fisica programmata , strutturata e ripetuta secondo uno schema ben preciso, finalizzato all’incremento, o al mantenimento, di una o più componenti dell’efficienza fisica, o physical fitness. (Caspersen et al. 1985) 
Proprio per la sua maggiore specificità rispetto all’attività fisica, l’esercizio fisico necessita di alcune caratteristiche descrittive che ne connotino gli esatti meccanismi di prescrizione, le quali sono generalmente racchiuse all’interno dell’acronimo F.I.T.T.

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Elementi distintivi dell’attività fisica e dell’esercizio fisico

ATTIVITA’ FISICA ESERCIZIO

1. Movimenti corporei attuati per mezzo della muscolatura scheletrica

1. Movimenti corporei attuati per mezzo della muscolatura scheletrica 2. Prevede una spesa energetica 2. Prevede una spesa energetica 3. La spesa energetica può essere variabile,

da bassa ad alta

3. La spesa energetica può essere variabile, da bassa ad alta

4. Si correla in modo positivo con

l’efficienza fisica 4. Strettamente correlato all’efficienza fisica 5. Prevede movimenti corporei ripetitivi,

pianificati e strutturati

6. Ha come obiettivo il miglioramento, o il mantenimento, delle componenti dell’efficienza fisica

7. E’ regolato dai principi F.I.T.T., (Frequenza, Intensità, Tempo e Tipologia).

Tabella 2 - Riassunto degli elementi distintivi dell’esercizio fisico e dell’attività fisica;

(Caspersen et al., 1985)

I principi F.I.T.T.

Gli sport, o le necessità, a cui fa riferimento un allenamento, e di conseguenza gli esercizi fisici che questo richiede al soggetto, possono essere estremamente diversi, con altrettante diversificazioni in merito alle stimolazioni muscolari e cardiovascolari necessarie. Ciascun allenamento ha, però, in comune, alcuni specifici principi, che si applicano a tutti i livelli di esercitazione fisica, dall’atleta olimpionico al podista del fine settimana, i quali sono generalmente ricordati per mezzo dell’acronimo F.I.T.T., originato dalle iniziali di ciascuno degli elementi portanti dell’esercizio fisico, ovvero: frequenza, intensità, tempo (o durata) e tipologia.

Frequenza: Indica quante volte alla settimana bisogna ripetere un determinato carico di lavoro per riuscire a ottenere gli adattamenti e i miglioramenti voluti. 
Le attuali linee guida in merito all’esercizio fisico ci dicono che, per essere realmente efficace, questo deve essere praticato 5 o più volte alla settimana se di moderata intensità (al di sotto delle 3 volte o, qualora troppo leggero, non produce grandi effetti allenanti, se non in soggetti fortemente sedentari o decondizionati), oppure 3 o più volte, se d’intensità vigorosa. E’ inoltre possibile variare ulteriormente la frequenza, miscelando durante la settimana gli esercizi vigorosi con quelli di media intensità.

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Intensità:Determina quanta energia deve essere spesa per far sì che uno stimolo possa essere allenante e ben dosato.. Quindi, la soglia di intensità dovrà essere regolata in base alle qualità di base del soggetto e alla capacità specifica che si vuole allenare. (Garber 2011 – ACSM, 2010) In merito all’intensità, e quindi al carico, si distinguono due tipologie di stimolo: il carico esterno e il carico interno. Il primo è la quantità di carico, o di resistenza vinta, misurata indipendentemente dagli effetti che produce sull’organismo (ad esempio il sollevamento di 50 kg da terra). Il carico interno è invece la fatica che il soggetto percepisce mentre solleva tale peso. Carico esterno e interno possono essere in proporzioni diverse tra loro, correlati al reale stato di allenamento di un soggetto.
 Per due soggetti con diverso grado di forma fisica, un identico carico esterno può risultare allenante per uno e inefficace per l’altro (diversi carichi interni). Da qui, la necessità di quantificare l’intensità per mezzo di sistemi che possano rendere evidenti le relazioni tra i due tipi di carico e che possano manifestare le reazioni organiche per ciascun tipo di sforzo effettuato. Le principali metodiche utilizzate a questo proposito sono:

ü VO2max: (massimo consumo di ossigeno) - Indica quanto lavoro può sostenere un soggetto sia in condizioni aerobiche, che alla massima intensità ed è usato, espresso in percentuale di utilizzo, come indicatore dell’intensità di un esercizio fisico. L’unità di misura è in ml/kg/min, ovvero in termini relativi al peso corporeo, quando quest’ultimo è coinvolto in attività che prevedono ciclici spostamenti del soggetto in direzione opposta alla forza di gravità (come nella corsa, o nei giochi sportivi) mentre può essere espresso in l/min, ovvero in termini assoluti, nei casi in cui il corpo si sposti, ad esempio, in modo orizzontale al piano di appoggio con l’ausilio di un mezzo, come accade durante gli allenamenti, o le competizioni, di ciclismo, o canoa. Le misurazioni di questo parametro possono essere effettuate sia in modo diretto (tramite sofisticate e costose attrezzature che misurano l’ossigeno consumato e l’anidride carbonica prodotta), che attraverso metodi indiretti, sfruttando la stretta correlazione che esiste tra il massimo consumo di ossigeno e la massima frequenza cardiaca.

ü FCmax: (frequenza cardiaca massima) – Può essere misurata con un test massimale, oppure, stimata per mezzo di formule qualora non sia possibile effettuare un test. Una delle formule maggiormente consigliate è quella della

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Heart Rate Reserve (HRR), o Frequenza Cardiaca di Riserva: FCtarget =

[(HRmax - HRriposo) x % intensità desiderata] HRriposo. In questo caso la HRmax

è stimata per mezzo della formula 220 – età (o altre formule simili) e la HRriposo è la FC rilevata a riposo.(Garber 2011 – ACSM, 2010)

ü MET (Metabolic Equivalent of Task): è un modo efficace per misurare il consumo di energia di una particolare attività.
Esprimere il valore in MET presenta il vantaggio di indicare sia l’energia spesa in calorie, che l’ossigeno consumato al minuto. 1 MET corrisponde a 3,5 millilitri (ml) di ossigeno consumato per ciascun chilogrammo (kg) di peso corporeo al minuto (ml/kg/min). Sappiamo, inoltre, che 1 MET equivale al consumo di circa 1 kcal per chilogrammo di peso corporeo per 1 ora (kcal/kg/h). Questo significa che un esercizio fisico che richieda, ad esempio, 12 MET di dispendio energetico, sarà pari a 42 ml/kg/min di ossigeno consumato e a circa 12 kcal/kg/h. A seconda dell’intensità possiamo dividere il lavoro fisico in:
lavoro di lieve intensità (3 MET), cioè un’attività pari a 3 volte il consumo di ossigeno a riposo; lavoro di media intensità (3-5 MET), cioè un’attività tra 3 e 5 volte il consumo di ossigeno a riposo;
lavoro di forte intensità (≥6 MET), cioè un’attività superiore almeno 6 volte il consumo di ossigeno a riposo.

ü 1RM (Singola Ripetizione Massimale): è utilizzata per prescrivere

programmi di allenamento contro resistenza e per determinare la massima capacità di sollevamento di un individuo. La singola ripetizione massimale si riferisce al massimo peso che può essere sollevato in una singola ripetizione, ed è universalmente indicata con la sigla 1RM. Dal momento che la forza muscolare varia a seconda dei gruppi muscolari coinvolti e dal tipo di esercizio svolto e dal macchinario utilizzato, la capacità di sollevamento massima deve essere valutata, in modo specifico, per ogni esercizio prescritto. In alcuni casi, l’utilizzo della metodica diretta per prove ed errori, può essere sconsigliata, come ad esempio nei principianti, che di solito non hanno né la coordinazione necessaria al test, né l’abitudine al dolore muscolare e allo sforzo massimo (Braith, 1993) Per minimizzare i rischi di una valutazione realmente massimale della forza, si sono ideate delle

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equazioni di regressione utili a predire, in modo indiretto, la relativa 1-RM

(Baumgartner, Jackson, 1982; Brzycki, 1993) In questo caso si pronostica la 1-RM con un metodo sub-massimale, che mette al riparo da sforzi massimali (controindicati ad esempio in caso di ipertensione o patologie cardiache) permettendo, comunque, al trainer di valutare la forza generale, ma anche di calcolare le percentuali di peso da adottare per ciascun esercizio prescritto. Per facilitare le operazioni, sono state ideate delle tabelle (vedi tabella 3) che permettono un facile calcolo di 1RM in base alle ripetizioni effettuate (generalmente entro un range di 4-10 ripetizioni massimali) e al carico sollevato.

TABELLA PER LA VALUTAZIONE INDIRETTA DI 1RM

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ü Scala di Borg (RPE): un’altra modalità per valutare l’intensità è quella offerta dalla scala di Borg, anche detta Rating Perceived Exertion (RPE ), ossia Scala dello sforzo percepito”, in cui la persona sottoposta a un test, o a un lavoro fisico, riferisce a parole al valutatore, la sua personale percezione dell’intensità di esercizio. La percezione espressa tiene conto di numerose informazioni suggerite dal corpo, ossia: fatica del sistema cardiorespiratorio; fattori psicologici;
sensazioni termiche;
motivazione; affaticamento dei muscoli e delle ossa.
La scala RPE ha valori che vanno da 6 a 20 è stata messa a punto nella seconda metà degli anni ‘50 da Gunnar Borg. Ciascun valore numerico della scala è associato, in crescendo, a una determinata sensazione di fatica, da debolissima a molto intensa. Maggiore è la fatica percepita, più alto sarà il numero corrispondente. Questa metodica di misurazione dello sforzo ha un notevole grado di corrispondenza con la frequenza cardiaca, il consumo di ossigeno e la produzione di acido lattico. Una variante di questa scala è la CR10 in cui, rispetto all’originale, cambia solamente il sistema di numerazione. Risulta in genere più semplice e immediata da utilizzare rispetto alla precedente perché, sfruttando un intervallo compreso tra 0 e 10, fa riferimento a una scala di valori diffusa e comune a molte situazioni. (Wilson, Jones, 1991; Borg, 1982)

ü Talk test: è un test semplice, che permette di verificare empiricamente l’intensità di sforzo attraverso la capacità di parlare (Talk, appunto) durante un’attività o un esercizio fisico. Quando l’ossigeno scarseggia, viene meno, infatti, anche la capacità di parlare, a causa della necessità di respirare meglio in funzione di una migliore ventilazione: pertanto, il fatto di riuscire o meno a chiacchierare con un compagno durante un esercizio fisico prolungato, potrebbe essere un utile indicatore del livello di consumo di ossigeno, o dell’intensità che si persegue in quel momento. (Persinger et al. 2004; Foster et al. 2004; 2008)

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Tempo (durata): La durata di una sessione di allenamento dipende in gran parte dall’intensità degli stimoli. Maggiore è l’intensità, minore è la durata dell’allenamento. Se l’intensità si mantiene bassa, la durata della sessione può invece prolungarsi. In generale, il periodo necessario per un miglioramento della capacità cardiovascolare può stabilirsi tra i 20 e i 60 minuti al giorno (per 75 minuti totali a settimana) se d’intensità vigorosa e tra i 30 e i 60 minuti al giorno (150 minuti totali a settimana) se d’intensità moderata. (Garber, ACSM, 2011) Le linee guida attuali indicano anche la possibilità di cumulare brevi periodi di attività fisica durante la giornata, fino a raggiungere il minimo indispensabile di 30 minuti al giorno. I brevi periodi dovranno però essere di almeno 10 o più minuti ciascuno per poter sortire un effetto cumulativo.

(Haskell, et al., 2007)

Figura 6 - Curva dose-risposta all’esercizio fisico I benefici dell’esercizio fisico, dipendono, al pari di

un farmaco, da un rapporto dose-risposta. Il grafico mostra la diversa risposta ottenuta, in tre differenti soggetti, per mezzo di una stessa dose (ossia interazione di intensità, durata e frequenza) di esercizio fisico. Il soggetto sedentario presenterà le trasformazioni positive più visibili. La persona attiva invece ha già ottenuto la gran parte dei miglioramenti da quella quantità di esercizio e necessiterebbe di una dose maggiore di allenamento per vedere incrementati i propri parametri (Pate et al.,1995; Haskell, 1994)

Tipologia: L’allenamento ottiene gli effetti voluti a patto che gli esercizi siano mirati. Quindi, le esercitazioni che prevedono l’incremento della forza non potranno essere valide se ottenute per mezzo di un allenamento finalizzato all’endurance muscolare, così come per un allenamento degli arti superiori bisognerà utilizzare esercizi che impieghino questi in modo adeguato, con un carico specifico e per la qualità che si vuole allenare. (Garber, ACSM, 2011)

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Esercizio aerobico (endurance): nel caso del miglioramento della capacità aerobica, l’intensità dell’esercizio consigliata dall’American College of Sport Medicine (ACSM) per la maggior parte dei soggetti è tra il 70 e l’85% della Frequenza Cardiaca massima Teorica (FCmaxt), oppure tra il 60 e l’80% della Frequenza Cardiaca di Riserva (HRR)

(Garber, ACSM, 2011) ovvero, soglie di intensità minori non produrranno adattamenti adeguati,
 a meno che il soggetto non sia un sedentario o non abbia problemi medici: in questo caso anche intensità del 50% possono rappresentare uno stimolo sufficiente per un miglioramento. L’esercizio aerobico è anche spesso indicato come esercizio di endurance cardiorespiratoria ed è tipicamente descritto come un esercizio che coinvolge grandi gruppi muscolari, impiegati in modo ritmico e ripetuto, come ad esempio il cammino, la corsa, il nuoto e il ciclismo. Un elemento di misura dell’efficienza cardiorespiratoria aerobica è il consumo massimo di ossigeno (VO2max)

valutabile attraverso alcuni test per comprendere, ai fini di un allenamento mirato, la massima capacità del corpo di utilizzare O2. (Garber, ACSM, 2011)

Esercizio contro resistenza (sovraccarichi): parlando di sovraccarichi, intendiamo un lavoro effettuato contro una resistenza e in genere finalizzato al miglioramento della qualità di forza. Il sovraccarico può essere prodotto da metodi, come il lavoro con gli elastici, le cavigliere, i palloni medicinali, le attrezzature isotoniche, o manubri e bilancieri, che permettono di regolare l’intensità da utilizzare. Oltre a questi, sono da considerare sovraccarichi anche i metodi che consentono un potenziamento muscolare senza l’aiuto di oggetti aggiuntivi, come gli esercizi a corpo libero, la possibilità di sfruttare la resistenza dell’acqua o del vento, l’uso di salite o rampe di scale per rendere più intenso lo sforzo muscolare durante una corsa. È importante tenere in considerazione questo tipo di allenamento tanto quanto quello aerobico, soprattutto nei confronti della salute generale. Le ricerche hanno dimostrato che ogni dieci anni il corpo diminuisce la propria massa muscolare di circa 1,8 kg, se non si utilizzano movimenti che impegnano in modo adeguato i muscoli. Lo stile di vita sedentario, soprattutto nell’età anziana, accentua e accelera la progressiva perdita di espressione della forza (dal 2,6 al 4,1% annuo negli estensori del ginocchio a seconda della razza e del sesso), in modo indipendente e tre volte più veloce di quanto diminuisca (circa l’1% annuo) la massa muscolare nel corso degli anni. (Goodpaster et al., 2006) Si è inoltre appurato che, una bassa qualità di forza, più che di massa

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muscolare, oltre a contribuire all’insorgenza di una condizione di sarcopenia, è strettamente legata all’aumento della mortalità in soggetti anziani anche sani. (Metter et al., 2002) Per un allenamento contro resistenza generale, dedicato a soggetti principianti, non coinvolti in competizioni sportive, le linee guida dell’ACSM prevedono una frequenza di training di 2-3 volte a settimana, rispettando almeno 48 ore di riposo tra le sessioni di allenamento per uno stesso gruppo muscolare. Nei confronti della scelta dei gruppi muscolari da allenare in un programma mirato di esercizi, è possibile preferire di dividere, con senso logico, le porzioni muscolari coinvolte nel training, dandone una priorità e successione diversa per ciascuna sessione di allenamento settimanale. Oppure, è possibile optare per un training cosiddetto “full-body”, in cui ciascuna seduta di addestramento preveda la stimolazione di tutti i principali grandi muscoli del corpo (petto, spalle, braccia, addome, dorso, cosce, gambe), opzione che, ovviamente, vedrà un più lungo tempo della sessione, rispetto ad una routine frazionata. L’allenamento contro resistenza è, inoltre, condotto tenendo conto di ripetizioni, serie e recupero, fondamentali per modulare il carico secondo quanto necessario:

ü Ripetizioni: per “ripetizione” s’intende il singolo movimento di un determinato esercizio. La ripetizione è composta da una fase di andata (detta anche fase positiva), in cui il muscolo si contrae accorciandosi, e da una fase di ritorno (detta anche fase negativa), nella quale la muscolatura tende a rilasciare progressivamente la tensione per tornare di nuovo alla lunghezza originaria. Il numero di ripetizioni necessarie in un determinato esercizio può essere estremamente variabile e dipende dalla qualità muscolare che si vuole allenare (forza massima, resistenza muscolare, ipertrofia) e, ovviamente, dal carico che si intende spostare, per cui, numero di ripetizioni ed entità del carico sono inversamente proporzionali. Maggiore sarà il numero di ripetizioni, più bassa dovrà essere la resistenza da muovere.

ü Serie (o set): indica un gruppo di ripetizioni di un esercizio. Eseguire 3 serie di sollevamenti,
 di 10 ripetizioni ciascuna, significa ripetere un sollevamento per 10 volte, fermarsi per riposare (recupero), ripetere altri 10 sollevamenti, sostare ancora, per poi portare a conclusione le ultime 10 ripetizioni di sollevamenti previsti. Generalmente, le serie per gruppo muscolare,

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possono andare da 1 a 10, a seconda dell’anzianità di allenamento e degli scopi a cui si cerca di pervenire attraverso questo. Se lo scopo è arrivare a 6 serie totali per l’allenamento del petto, si potrà prendere in considerazione di farle tutte con uno stesso esercizio, oppure di dividerle in gruppi di 2 e ripartirle su 3 esercizi differenti. In quest’ultimo caso si effettueranno 2 serie per l’esercizio X, 2 per l’esercizio Y e altre 2 per l’esercizio Z. Quantificare le serie totali da eseguire in un allenamento per ciascun gruppo muscolare è piuttosto difficile: le variabili che potrebbero far cambiare il numero delle serie sono molte, tra cui l’individualità del carico, il tipo di allenamento da adottare, il tipo di gruppo muscolare che s’intende allenare, l’uso di tecniche intensive di allenamento, ecc.

ü Recupero: rappresenta una parte fondamentale dell’allenamento, a cui dare un’importanza pari a quella che si attribuisce all’entità di peso da sollevare. Il momento di recupero può variare di molto nella durata e deve essere attentamente calibrato in base alla tipologia di allenamento che si intende eseguire. Un tempo di riposo troppo lungo, o troppo breve, tra una serie e l’altra, o tra un allenamento e l’altro, può influire negativamente sul risultato finale.

Tabella 4 - Relazione tra numero di ripetizioni, percentuale del carico e tempi di recupero.

Esercizio in forma di circuito

L’allenamento a circuito deriva da una serie di studi sulla forza cominciati nel 1953 presso l’Università di Leeds in Inghilterra, dai professori Ronald Ernest Morgan e

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Graham Thomas Adamson, i quali pubblicarono, nel 1957, i risultati conclusivi del loro lavoro. Lo scopo era quello di creare un metodo di allenamento che riuscisse a migliorare, in modo contemporaneo, la forza, la resistenza muscolare, l’apparato cardiorespiratorio e il metabolismo energetico. Il risultato fu la creazione di un sistema che, attraverso diverse tipologie di esercizi, eseguiti ad intensità sub-massimale, permettesse una certa continuità di esercitazione senza la necessità di effettuare pause di ristoro, se non alla conclusione dell’intero percorso previsto. In origine gli esercizi disponibili per la compilazione di un circuito erano un totale di 9-12, in cui si prevedevano tutti i movimenti essenziali di spinta, trazione e salto. La catena di esercizi si dimostrò veramente efficace, tanto da diffondersi dall’Inghilterra a tutto il resto del mondo. Nel 1961 fu stampata la prima edizione del libro “Circuit Training” che vede come autori proprio gli ideatori Morgan e Adamson.

Tipologie di Circuit Training

Rappresenta, probabilmente, uno dei migliori programmi di allenamento, in cui è possibile stimolare più capacità motorie contemporaneamente, modulandole a seconda dei risultati che si vogliono ottenere. Si tratta di un addestramento a circuito, in cui si alternano, senza recuperi, una serie di esercizi, scelti dal trainer in base ai diversi elementi che si vogliono migliorare. Per questo motivo si dimostra come un allenamento molto flessibile, adattabile a diverse situazioni e soggetti e che permette il coinvolgimento di più persone contemporaneamente. Le possibilità di costruzione di un allenamento a circuito sono potenzialmente infinite. Si possono approntare circuiti per ogni particolare esigenza: allenamento delle qualità muscolari, esercizi che impegnano solo alcuni gruppi muscolari o tutto il corpo, stazioni dedicate al solo allenamento cardiovascolare, circuiti rivolti a diverse fasce di età, circuiti ideati a scopo riabilitativo e tanti altri ancora. Il sistema può realizzarsi in modi differenti:

ü Circuito a tempo fisso: in cui i soggetti devono portare a termine gli esercizi di ciascuna stazione entro un tempo predeterminato.

ü Circuito a carico fisso: in cui si realizza un numero di ripetizioni fisse per ciascuna stazione.

ü Circuito a carico individualizzato: ai primi due classici sistemi se ne può aggiungere un terzo definibile come “individualizzato”, cioè disegnato per uno specifico soggetto, in cui gli esercizi sono totalmente personalizzati, nelle modalità di esecuzione, nell’intensità e nel volume. È un circuito che spesso

Figura

Figura 1 - Relazione tra livello di attività fisica, o capacità di esercizio, e mortalità per malattia  coronarica
Figura 2 - Schema delle componenti del fitness connesse con la salute e con la prestazione,
Figura 3 - Copertina originale del libro “High-Level Wellness” del Dr.Halbert Dunn e il simbolo  del wellness (Dunn, 1961)
Figura  4  -  Evidenza  di  una  curva  dose-risposta  rispetto  al  rischio  relativo  di  patologie  cardiovascolari  e  aterosclerosi  rispetto  a  diverse  percentuali  di  attività  fisica  e  di  physical  fitness; (Williams 2001; ACSM, 2010)
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