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Caratterizzazione della flora lattica del Pecorino della Garfagnana. Allestimento, impiego e valutazione di uno starter autoctono mesofilo.

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione 1

1. Territorio della Garfagnana 5

1.1. Agronomia e zootecnia in Garfagnana 7

1.2. La pecora di razza Garfagnina 8

1.3. La pecora di razza Massese 11

2. Prevenzione e igiene nella produzione lattiero-casearia 14

2.1. Igiene dell’allevamento ovino 15

2.1.1. Malattie infettive trasmissibili all’uomo con il formaggio 17

2.1.1.1. Genere Brucella e brucellosi 17

2.1.1.2. Genere Salmonella e salmonellosi 20 2.1.1.3. Listeria monocytogenes e listeriosi 25 2.1.1.4. Genere Escherichia e infezioni enteriche 27 2.1.1.5. Genere Campylobacter e campylobacteriosi 30

2.1.1.6. Coxiella burnetii e febbre Q 35

2.2. Igiene del latte ovino 40

2.2.1. Morfologia della mammella 40

2.2.2. Fisiologia della mammella 42

2.2.3. Le mastiti ovine 45

2.2.3.1. Agenti eziologici delle mastiti 46

2.2.4. Mungitura 53

2.2.4.1. Mungitura manuale 54

2.2.4.2. Mungitura meccanica 54

2.2.4.3. L’importanza della refrigerazione del latte

appena munto 57

2.2.5. Criteri per il latte crudo ovino 60

2.2.6. Presenza di Stafilococchi nel latte 61

2.3. Igiene della trasformazione del latte ovino 66 2.3.1. Approvvigionamento, stoccaggio e trattamento

del latte 67

2.3.2. Produzione del pecorino 69

2.3.3. Procedimento di sanificazione del caseificio 73 2.3.4. Fasi sensibili soggette a controllo igienico sanitario 75

3. Batteri lattici 78

3.1. Genere Lactobacillus 80

3.2. Genere Lactococcus 83

3.3. Lactococcus lactis subsp. lactis 83

3.4. Genere Leuconostoc 85

3.5. Genere Streptococcus 86

3.6. Genere Pediococcus 86

4. Colture starter: impiego nella caseificazione 88

4.1. I batteri probiotici 97

4.2. LAB non starter 101

4.3. Le colture “protettive” 103

5. Materiali e metodi 105

5.1. Parte 1.Descrizione delle aziende coinvolte nella ricerca 108 5.2. Parte 2. Analisi eseguite sul latte e sul formaggio

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pecorino senza aggiunta di starter 112 5.3. Parte 3. Selezione della flora lattica e allestimento dello

starter autoctono 113

5.4. Parte 4. Caseificazione sperimentale e analisi sul formaggio Pecorino a latte crudo prodotto con l’aggiunta di uno starter

autoctono 114

5.5. Parte 5. Protocolli utilizzati per l’esecuzione delle analisi 116

6. Risultati 149

6.1. Risultati delle analisi microbiologiche e del pH 150 6.1.1. Risultati delle analisi eseguite sul latte di tutte le aziende

coinvolte 150

6.1.2. Risultati delle analisi effettuate sui formaggi prodotti senza l’utilizzo

di starter 151

6.1.3. Risultati delle analisi sui ceppi isolati 151 6.1.3.1. Risultati dell’identificazione fenotipica

e genotipica 152 6.1.3.2. Risultati della caratterizzazione dei ceppi 154 6.1.3.3. Risultati della combinazione dei ceppi per la

costituzione dello starter autoctono 154 6.1.4. Risultati della caseificazione sperimentale 156

6.1.4.1. Risultati delle analisi microbiologiche e del

pH effettuate sul latte e formaggi 156 6.2. Risultati sul grado di proteolisi nei formaggi 165 6.3. Risultati dell’analisi del profilo di tessitura (TPA) 168

6.4. Risultati dell’analisi sensoriale 170

6.4.1. Fase visuale 171

6.4.2. Fase tattile 179

6.4.3. Fase olfattiva 184

6.4.4. Fase buccale 190

7. Considerazioni e conclusioni 197

7.1. Considerazioni sui risultati delle analisi microbiologiche e

del pH 198

7.1.1. Caseificazione senza utilizzo di starter 198

7.1.2. Messa a punto dello starter 198

7.1.3. Caseificazione sperimentale 200

7.2. Considerazioni sui risultati delle analisi sul grado di proteolisi

dei formaggi 201

7.3. Considerazioni sui risultati dell’analisi del profilo ti tessitura

dei formaggi 202

7.4. Considerazioni sui risultati dell’analisi sensoriale dei formaggi 203

7.5. Conclusioni 204

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Introduzione

Un tempo l’Italia agricola si presentava come un mosaico di realtà economiche, sociali e produttive estremamente frazionate e diversificate: tecniche e produzioni differivano radicalmente sia per le diverse condizioni ambientali (climi, terreni, ecc.), sia perché, in ciascuna regione la storia, le istituzioni e i rapporti economico-sociali avevano creato un mondo agricolo del tutto particolare, con una miriade di prodotti diversi.

Oggi l’agricoltura e i processi di trasformazione si sono per tanti aspetti industrializzati e devono misurarsi con un mercato non solo nazionale, ma anche comunitario e addirittura mondiale, che tende a uniformare e standardizzare le produzioni. Tuttavia il prodotto artigianale sopravvive, frutto di particolari tradizioni, legato a luoghi di produzione con caratteristiche del tutto peculiari: terreno e clima per la riuscita di ortaggi e frutta, pascoli e alpeggi che danno un determinato sapore a latte e formaggi, umidità e venti per la perfetta stagionatura di certi salumi, esposizione o pendenza dei vigneti. I molteplici fattori che influenzano le coltivazioni e gli allevamenti sfuggono ad ogni uniformità industriale e ci consegnano prodotti ineguagliabili.

Strettamente intrecciate ai fattori naturali, le tecniche di lavorazione sono un altro elemento di tipicità. Gli strumenti utilizzati, l’abilità e l’esperienza dell’artigiano, i tempi e i modi delle operazioni, l’aggiunta di determinati ingredienti, creano infatti prodotti unici.

Una fetta importante delle produzioni alimentari artigianali del nostro Paese è rappresentata dai formaggi a base di latte ovino. L’allevamento ovino ha sempre rappresentato per l’Italia un’importante attività agricola, specialmente nelle regioni nella quali la conformazione e le risorse del territorio concedono pochi spazi ad altre specie zootecniche.

In Toscana, grazie alla presenza dei pastori sardi, si è assistito ad un costante incremento dell'ovinicoltura a partire dagli anni ’60; oggi l'allevamento delle pecore è diffuso su tutto il territorio regionale e la concentrazione maggiore si ha nelle province di Siena e Grosseto, dove viene allevato circa il 70% dell'intero patrimonio ovinicolo regionale. Se il principale frutto di questa attività zootecnica è rappresentato dal Pecorino Toscano DOP, sul territorio regionale sono presenti molti altri tipi di

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formaggi pecorini, che arricchiscono il bagaglio gastronomico e culturale della Toscana. Si tratta di formaggi spesso di antiche origini, preparati con latte crudo, per i quali il sostegno della produzione può rappresentare un’occasione per valorizzare il territorio e le razze autoctone in esso allevate, oltre che per recuperare i mestieri e le tecniche di lavorazione tradizionali.

L’utilizzo di latte crudo per la caseificazione è un punto di forza per i pecorini tradizionali ma, contemporaneamente, può diventare il punto di maggior debolezza se la qualità microbiologica del latte è scadente, vuoi per la povertà di batteri lattici, vuoi per la presenza di microrganismi anticaseari.

È noto che nel processo di caseificazione intervengono fattori di ordine microbiologico, biochimico, fisico, fisico-chimico, chimico e meccanico. Ogni tipo di formaggio scaturisce da una determinata combinazione di questi fattori. I fattori di ordine microbiologico, peraltro i più difficili da governare, svolgono un ruolo essenziale nella produzione e nella maturazione dei formaggi.

Produrre pecorini a latte crudo significa trasformare un latte che non subisce trattamenti di risanamento termico, né prima, né durante il processo di caseificazione. In questo modo resta viva e vitale la flora microbica propria dell’ambiente di produzione. La varietà di questa popolazione microbica "favorevole" è tale da generare una serie di reazioni enzimatiche che danno come risultato finale una grande ricchezza aromatica e gustativa tipica e irripetibile, che si aggiunge a quella del latte di partenza, derivante dalle erbe dei prati su cui pascolano le greggi. Si originano così formaggi con tipicità accentuata, frutto della bio-diversità che contraddistingue ogni singola entità produttiva: animali, pascoli, tecniche di lavorazione, clima e microclima dei locali di produzione e di stagionatura.

Molte ricerche hanno infatti evidenziato come nelle produzioni tipiche e tradizionali siano presenti microrganismi atipici o biodiversi, non riscontrabili nelle colture selezionate disponibili in commercio, che in fase di caseificazione possono contribuire al processo di acidificazione, ma, soprattutto nel prosieguo della stagionatura, sono determinanti nella definizione delle caratteristiche sensoriali dei prodotti. Come è ormai stato dimostrato dalle numerose ricerche effettuate in questo ambito, tali caratteristiche sono strettamente dipendenti dalle proprietà dei ceppi, che compongono le popolazioni microbiche naturali. La conoscenza e la salvaguardia

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della diversità genetica di tali ceppi naturali stanno quindi alla base del mantenimento della tipicità dei prodotti artigianali e costituiscono un importante strumento per la selezione di microrganismi da impiegare nuovamente come starter.

L’obiettivo di questa tesi è di formulare un protocollo tecnologico di riferimento per la produzione del Pecorino della Garfagnana, un formaggio tradizionale a latte crudo prodotto in Toscana.

La Garfagnana, situata nella Toscana nord-occidentale, in provincia di Lucca, presenta una realtà produttiva caratterizzata da numerose piccole aziende, spesso a conduzione familiare, nelle quali la scelta dell’allevamento ovino è stata dettata in modo preponderante dalle caratteristiche fisiche del territorio.

Il punto di partenza di questo lavoro è stato un’indagine effettuata in collaborazione con il Dipartimento di Agronomia e Gestione dell' Agroecosistema di Pisa, nella quale sono stati presi in esame gli allevamenti ovini della Garfagnana, al fine di individuare quelli più adatti a essere coinvolti nella sperimentazione. Per il protocollo di caseificazione, è stato applicato quello in uso in molte delle aziende che producono il Pecorino della Garfagnana. Si è scelto inoltre di trasformare il latte prodotto dalle due razze ovine più rappresentative di questo territorio, la Massese e la Garfagnina. Tutte le analisi microbiologiche sono state realizzate presso il Laboratorio di Microbiologia applicata del Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi ed Igiene degli Alimenti di Pisa.

Nella prima fase della ricerca il latte massale ed il pecorino, prodotto senza aggiunta di starter, sono stati sottoposti ad analisi microbiologiche finalizzate essenzialmente alla caratterizzazione della microflora presente ed al conseguente isolamento di ceppi di batteri lattici da utilizzare in una fase successiva per la messa a punto di uno starter autoctono.

La scelta di introdurre uno starter autoctono nel protocollo di caseificazione del Pecorino della Garfagnana è giustificata, oltre che dall’esigenza di uno stretto legame con il territorio, anche da motivi di ordine tecnologico. Infatti lo starter ha un ruolo importante sia nella prima fase della caseificazione, durante la quale l’acidificazione conseguente allo sviluppo dei batteri lattici coadiuva l’azione del caglio e sfavorisce la crescita e lo sviluppo delle microflore indesiderate, che nelle successive fasi di maturazione, durante le quali tali microrganismi conferiscono al

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prodotto aromi particolari derivanti dal loro metabolismo, molto graditi al consumatore, in particolare quelli prodotti dalle specie mesofile.

I ceppi più adatti alla realizzazione dello starter sono stati scelti, dopo identificazione fenotipica e genotipica, mediante prove di caratterizzazione tecnologica, realizzate sui singoli microrganismi e sulle loro associazioni.

La combinazione di ceppi che ha fornito i migliori risultati è stata utilizzata per la realizzazione di uno starter del quale si è testata l’efficacia in una prova di caseificazione sperimentale.

I formaggi così ottenuti sono stati sottoposti ad analisi microbiologiche e chimiche e infine a prove di valutazione sensoriale, effettuate presso il Dipartimento di Tecnologia degli Alimenti, Nutrizione e Bromatologia di Murcia, al fine di verificare la effettiva realizzazione di un prodotto qualitativamente ottimale.

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La regione geografica conosciuta con il nome di Garfagnana si identifica con la vallata superiore del fiume Serchio; ubicata nella Toscana nord-occidentale, costituisce l'estremità settentrionale del territorio della Provincia di Lucca con una superficie di poco inferiore ai 300 Kmq, suddivisa fra 16 comuni amministrativi.

Ad occidente il massiccio delle Alpi Apuane, orientato con l'asse maggiore da nord-ovest a sud-est, separa la Garfagnana dal vicino litorale tirrenico della Versilia e di Massa-Carrara, mentre, ad oriente, la parallela dorsale appenninica segna il confine fra questo territorio e quello delle provincie di Reggio-Emilia e Modena.

A differenza dei suddetti limiti geografici naturali indotti dall'orografia e perciò fissi nel tempo, il confine meridionale più propriamente politico e come tale strettamente legato alle vicissitudini storiche della zona, è stato molto variabile nei secoli, (Santini, 1964). Le due catene montuose che fanno della Garfagnana una zona intermontana distinta dal resto della Toscana non solo geograficamente, ma anche per le peculiarità fisiche e climatiche, si presentano molto difformi tra loro. Le Alpi Apuane si elevano con alte pareti di accentuata verticalità pressoché prive di vegetazione e culminano in creste dal profilo molto frastagliato: la cima più elevata (Monte Pisanino), raggiunge i 1946 m di altitudine. Trattandosi di una formazione calcarea, il cui componente principale è il marmo, hanno preso qui origine considerevoli fenomeni carsici come cavità e tracciati idrografici sotterranei, (Pizziolo, 1994). L'Appennino Tosco-Emiliano che corre parallelamente e a pochi chilometri di distanza dal massiccio apuano, pur raggiungendo la massima altitudine della Toscana con i 2054 m del Monte Prado, si snoda, invece, con cime più uniformi, arrotondate ed erbose; è costituito in prevalenza da arenaria-macigno e degrada nel fondo valle originando vaste zone collinari.

Dalle due dorsali si dirama un fitto sistema di valli laterali e rilievi minori che convergono nella vallata centrale del fiume Serchio. Questo fiume che all'altezza di Piazza al Serchio si origina dall'unione del ramo del Serchio di Sillano con quello di Gramolazzo, rispettivamente provenienti dal massiccio appenninico ed apuano, riceve nel territorio in questione un gran numero di affluenti caratterizzati da forte capacità di trasporto solido e quindi, frequentemente, fattori di dissesto territoriale. Le scarse aree pianeggianti presenti, identificabili con depositi alluvionali e lacustri, si localizzano quasi essenzialmente lungo il corso del Serchio, dove si sono sviluppati i

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centri più importanti della Valle che, partendo da sud sono: Gallicano, Fornaci di Barga, Barga, Castelnuovo e Piazza al Serchio.

Il clima risulta molto condizionato dai rilievi; le temperature medie annue sono relativamente basse e la piovosità alta soprattutto nella regione apuana dove questi monti, fungendo da barriera ai venti umidi marini, creano i presupposti per copiose precipitazioni. Sul versante appenninico, esposto ai venti settentrionali, si ha invece una più ridotta piovosità ma temperature più rigide.

Le precipitazioni nevose sono frequenti da novembre a marzo benché la loro permanenza sia molto variabile in relazione all'altitudine, all'esposizione e alla temperatura (Giovannetti, 2005).

Le abbondanti piogge alimentano un rigoglioso manto vegetale che riveste quasi il 60% dell'intero territorio, le specie arboree più diffuse e tipiche della zona sono il castagno e il faggio (Biagioni, 1984).

1.1. Agronomia e zootecnia in Garfagnana

L'aggettivo silvo-pastorale viene utilizzato per definire l'impostazione economica incentrata sullo sfruttamento del castagno e sull'attività di pastorizia. E’ stato variamente utilizzato da tutti gli storici che si sono occupati dell'economia della Garfagnana, infatti, la generale ristrettezza del territorio agricolo disponibile, a causa di una difficile morfologia, avrebbe imposto la necessità di coltivazioni tutt'altro che specializzate e, dove necessario, la trasformazione dei pendii in aree coltivabili attraverso l'opera di terrazzamenti. Da ciò ne deriva un quadro agricolo molto frammentato, destinato a coprire il fabbisogno delle singole comunità (Cavalli, 1990). Le produzioni agricole della Garfagnana sono caratterizzate dalla netta predominanza di aziende piccole, rivolte alla zootecnia, castagnicoltura, produzione del bosco, del sottobosco e prodotti tipici.

Le caratteristiche dell'agricoltura della Garfagnana possono essere così riassunte:

• dimensioni aziendali relativamente piccole;

• conduzione diretta dell’azienda;

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• forte propensione alla tipicizzazione dei prodotti, intesa come attaccamento alle proprie tradizioni culturali ed ai metodi tradizionali di produzione;

• spiccata imprenditorialità e deciso orientamento al mercato nell’area litoranea della Versilia.

Alcuni dei prodotti tipici della Garfagnana, apprezzati in tutta Italia e recentemente introdotti nel Paniere Lucchese sono: il Farro IGP della Garfagnana, il Fagiolo Giallorino della Garfagnana, il granturco Formentone otto file, il Latte Garfagnana Alta Qualità, il Pecorino della Garfagnana e delle Colline Lucchesi, il Formaggio caprino della Garfagnana e Media Valle del Serchio, il Miele della Garfagnana e Media Valle del Serchio, la Carne Bovina della Garfagnana e della Media Valle del Serchio, il Pane di patate della Garfagnana e molti altri (www.lucca.coldiretti.it).

Oltre agli allevamenti di bovini da carne e da latte, sono presenti un significativo numero di allevamenti di ovicaprini. L’allevamento di pecore nella valle del Serchio in Garfagnana e nella val di Magra (Lunigiana e zona di Pontremoli) ha origini antichissime e già ne parla Columella nel “De re rustica” nel I secolo d.C. Si tratta di pecore di probabile derivazione da un ceppo ovino di origine Appenninica, (www.assonapa.com).

1.2. La pecora di razza Garfagnina

La pecora Garfagnina ha mantello bianco ed è caratterizzata dalla presenza di corna, giallastre, sia sugli esemplari maschili sia su quelli femminili. Il peso vivo dell’animale adulto varia da 42 a 52 chilogrammi, mentre l’altezza è di circa 62-67 centimetri. Si tratta di una popolazione originaria della Garfagnana lucchese e appartenente al gruppo delle razze appenniniche. Ha una notevole somiglianza morfologica con la Massese che però presenta il vello di colore nero. Un tempo era diffusa in una vasta area compresa nelle province di Modena Bologna Ferrara Livorno Massa Carrara e Pistoia.

Nel 2008 i pochi capi derivati dal nucleo dell’Orecchiella, ceduto nel 1995 alla Foresatale dell’Aquila, sono rientrati in Garfagnana in seguito alla chiusura dell'azienda Forestale che allevava le razze reliquia italiane nel comune di Castel del

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Monte - AQ. Esistono poi altri allevamenti in fase di formazione o sviluppo nel versante Modenese dell' Appennino Tosco Emiliano che comprendono pochissimi capi di pecore autoctone dette nel Modenese "Bianche di Fellicarolo" o più genericamente "Cornelle Bianche" (Appennino Reggiano e pianura Bolognese e Ferrarese), molto simili alle Garfagnine anche se più grosse e leggermente più pesanti, probabilmente appartenenti allo stesso ceppo d'origine. Tali allevamenti vengono oggi ad acquistare i montoni negli allevamenti della Garfagnana .

L’allevamento è stanziale collocato prevalentemente in zone collinari o montuose. Gli allevamenti a quote inferiori spesso utilizzano la pratica della piccola transumanza, cioè con un periodo di alpeggio estivo alle quote più alte sul crinale appenninico, senza però spostamenti su grandi distanze.

Per la buona produzione di latte e di carne è considerata una razza a duplice attitudine, e viene utilizzata principalmente per il latte anche se, molto recentemente, si stanno distinguendo nettamente due linee di selezione che permetteranno a breve di avere allevamenti con animali esclusivamente da latte e altri con animali esclusivamente da carne. Questa differenziazione è in relazione al fatto che alcune aziende non hanno interesse alla produzione casearia, non disponendo più di manodopera da destinare alla mungitura e trasformazione del latte, ma restano interessate all'allevamento di un tipo di pecora Garfagnina (morfologicamente identica a quella da latte) con produzione lattea inferiore, destinata totalmente all'allevamento di un agnello pesante. Questi animali sono molto apprezzati in quanto pascolano zone marginali, non necessitano di eccessive cure da parte dell'allevatore e non comportano un impegno giornaliero oneroso in termini di tempo, come le pecore da latte, permettendo una buona integrazione di reddito con gli agnelli prodotti anche da parte di agricoltori part-time o aziende che hanno nella forestazione l'attività principale.

Anche la lana è di buona qualità ed è in corso un progetto di valorizzazione delle produzioni tessili ottenute con lana di pecora Garfagnina.

La Comunità Montana della Garfagnana ha curato il piano di riacquisto degli animali che erano in provincia dell’Aquila ed il loro affidamento a pochi allevatori sul territorio della Garfagnana; la stessa Comunità Montana ha anche incentivato il recupero della

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lavorazione della lana per ottenere prodotti tipici (tappeti, ed altri manufatti) e sta formando addetti alla tintura della lana mediante erbe ed estratti naturali.

Il servizio Veterinario USL ha sottoposto tutta la popolazione di pecore di razza Garfagnina al controllo genetico per la predisposizione a contrarre Encefalopatie Spongiformi (pecora pazza) permettendo così di dimostrare la buona resistenza genetica di tale razza alla malattia. Alcuni nuclei di allevamento di pecore di razza Garfagnina sono, poi, utilizzati costantemente come animali sentinella per il controllo delle malattie esotiche trasmesse dai vettori (zanzare) e monitorati mediante prelievi di sangue periodici che permettono di verificare l’arrivo di queste malattie che coi cambiamenti climatici si spostano continuamente verso nord.

Caratteristiche morfologiche e produttive.

Taglia: media

Testa: leggera, profilo leggermente o decisamente montonino con sfumature rossastre. Orecchie corte strette portate orizzontali. Presenza di corna in entrambi i sessi.

Collo: lunghezza media, bene attaccato.

Tronco: corto e ben proporzionato ma con diametri trasversi modesti. Arti: solidi e di media lunghezza.

Vello: bianco, aperto con bioccoli molto corti. Pelle e mucose: rosee.

Altezza al garrese: -maschi 65-70 cm -femmine 60-65 cm. Peso medio: - maschi 60-65 kg - femmine 45-50 kg

Si ottengono due parti in 14-15 mesi con tasso di gemellarità medio. Produzione: latte, carne e lana.

Per quanto riguarda la valenza territoriale della zootecnia, è importante ribadire come la presenza di allevamenti in queste “aree marginali” come la Garfagnana, rappresenti una fonte di reddito difficilmente sostituibile in grado di garantire una sorta di presidio ambientale e territoriale.

Inoltre, la forma di allevamento prevalentemente estensiva praticata dalla gran parte delle aziende zootecniche, conferisce al prodotto ottenuto (carne, latte e derivati) una qualità intrinseca superiore riconoscibile dal consumatore.

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Tuttavia, a fronte di questi punti di forza il comparto zootecnico evidenzia alcune gravi criticità: in primo luogo la rilevante senilizzazione dei conduttori di azienda, problema comune alla zootecnia di montagna o delle piccole aziende agro-zootecniche; in secondo luogo costi non indifferenti per l’adeguamento alle nuove normative sanitarie; prezzi di mercato nella maggior parte dei casi poco remunerativi e infine difficoltà di ricambio generazionale dovuto in gran parte alle difficoltà esistenti nel praticare tale attività.

Si rende pertanto necessario incrementare i livelli di qualità ed efficienza dei prodotti e delle aziende zootecniche.

Nel rispetto delle esigenze di un consumatore sempre più attento alle problematiche ambientali, salutistiche e in cerca di qualità e tipicità, occorre far sì che anche i prodotti zootecnici locali raggiungano livelli qualitativi e di sicurezza alimentare in grado di rispondere a queste richieste. In questa ottica appare prioritario promuovere uno sviluppo delle condizioni produttive e di commercializzazione circoscritto ad un ambito di intervento ben definito nella salvaguardia e nella tutela degli aspetti ambientali e paesaggistici (www.buffardello.it).

1.3. La pecora di razza Massese

La pecora di razza Massese è originaria della Valle del Forno in provincia di Massa viene allevata in Toscana, Emilia, Umbria e Liguria con presenze in espansione nelle regioni limitrofe.

Caratteristiche morfologiche e produttive.

La Massese è una pecora da latte e quindi le caratteristiche devono essere riferite a tale attitudine.

L’animale in piena lattazione non deve avere carne superflua, le ossa costali larghe e ben distanziate e l’aspetto generale deve evidenziare nevrilità e vigore. La pecora Massese è di media taglia, raggiungendo nei maschi adulti il peso di 70-75 Kg. e nelle femmine il peso di 45-5O Kg. Il vello, aperto e semiaperto con bioccoli conici, è di color grigio piombo o marrone, con la parte apicale dei bioccoli meno scura nelle femmine e quasi nera nei maschi.

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Testa: leggera, proporzionata, vigorosa, distinta con profilo superiore quasi rettilineo

nelle femmine, nel maschio presenta profilo leggermente montonino; occhi vivaci piuttosto sporgenti; orecchie mobili e non troppo lunghe e sottili. Le mascelle e il musello larghi, narici ampie.

Corna: leggere, nere, sempre presenti nel maschio seghettate e saldamente

impiantate con andamento a spirale; nelle femmine le corna sono più leggere ed esili. Preferibilmente l’attacco delle corna deve essere ravvicinato. La testa non deve presentare lana.

Collo: allungato e sottile, leggero con ridotto vello.

Tronco: le spalle devono essere fuse con il collo. Petto ampio e potente perché

l’ampiezza del petto contribuisce ad aumentare la capacità toracica. La linea dorso-lombare deve essere lunga, ben rilevata, rettilinea, il garrese poco pronunciato.

Groppa: bene attaccata ai lombi, molto lunga e sufficientemente larga, leggermente

inclinata posteriormente.

Mammella: bene attaccata sotto il ventre anteriormente, posteriormente deve avere

un attacco molto largo e molto alto, con profilo posteriore visto di lato rettilineo in linea con le natiche o leggermente sporgente; il piano inferiore deve essere leggermente arrotondato ai lati, mai superare in profondità i garretti. Vista posteriormente la mammella deve presentare un giusto solco mediano provocato dal legame sospensorio robusto che ne sopporta tutto il peso, onde assicurarne la durata. La mammella deve presentare la rete venosa abbastanza evidente, essere povera di tessuto connettivo e adiposo.

Deve avere pelle molto fine ed elastica, priva di peli; dopo la mungitura si deve ridurre notevolmente di volume. I capezzoli devono essere di giuste dimensioni, inseriti bassi.

Arti: anteriori con appiombi perfetti per appoggiare piedi forti ben serrati e con

unghioli alti e chiusi. Posteriori ben distanziati tra loro, perfettamente in appiombo, leggeri, mediamente lunghi con ossa robuste. Garretto forte ed asciutto, zoccolo ben serrato, di media grossezza, con suola alta specialmente nel tallone, pastoia corta.

Vello: aperto o semiaperto, a bioccoli conici con lana piuttosto liscia. Di colore grigio

piombo, con parte apicale meno scura nelle femmine e quasi nera nel maschio; sono accettati mantelli di colore nero, marrone e grigio chiaro.

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Pelle e pigmentazione: pelle fine, pigmentazione nera o grigia.

La razza Massese ha una spiccata e preminente attitudine lattifera. Una femmina, in un periodo di lattazione di 120 giorni, produce 80-90 litri di latte se allevata con l’utilizzo del pascolo e 140-150 litri di latte se allevata con apporti energetici tipici di un allevamento intensivo.

La selezione degli ovini di razza Massese ha lo scopo di produrre soggetti sani, precoci sia per lo sviluppo che per la produttività, di robusta costituzione, di conformazione corretta, fecondi, prolifici, longevi, con spiccata e preminente attitudine lattifera, non disgiunta da una buona attitudine per la produzione di carne. E’ da favorire la tendenza, peraltro in atto, di ottenere 3 parti in due anni.

Nella scelta dei riproduttori, sono difetti da eliminare la depigmentazione, il vello con colore diverso dal nero, la coda bianca; la diffusione di lana alla testa, agli arti ed al ventre; l’assenza di corna; nelle femmine inoltreranno eliminati i difetti della mammella per quanto attiene volume, legamenti, forma e tessitura, capezzoli impiantati alti.

La pecora di razza Massese viene allevata in medi allevamenti in forma semibrada, stanziale e transumante. Il sistema di allevamento tradizionale prevede l’utilizzo del pascolo durante tutto l’anno, con rientro delle pecore per la mungitura serale e mattutina.

Durante il periodo invernale la razione prevede anche l’uso di fieno e modeste quantità di farine di cereali.

La caseificazione avviene presso le singole aziende con vendita diretta del prodotto ottenuto (http://www.agriligurianet.it/Agrinet).

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2.1. IGIENE DELL’ ALLEVAMENTO OVINO

Al fine di garantire la sicurezza dei prodotti alimentari e quindi di tutelare la salute del consumatore è entrato in vigore dal 1° gennaio 2006 il “pacchetto igiene”.

Il “pacchetto igiene” è un insieme di provvedimenti normativi (Reg. CE 852/04, Reg. CE 853/04, Reg. CE 854/04 , Reg. CE 882/04 e Dir. CE 41/04, integrati con Reg. CE 183/05, Reg. CE 2073/05, Reg. CE 2074/05, Reg. CE 2075/CE e Reg. CE 2076/05), emanato dalla Comunità Europea.

Questo insieme di provvedimenti normativi nasce dai principi generali del Reg CE n. 178/02, che stabilisce i principi generali della legislazione alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, e dal precedente Libro Bianco sulla Sicurezza Alimentare (2000).

Reg. CE 852/04, relativo all’igiene dei prodotti alimentari

Il regolamento ha l’obiettivo fondamentale di “garantire un elevato livello di sicurezza dei consumatori con riguardo alla sicurezza degli alimenti”.

E’ evidenziata la necessità di una strategia integrata per garantire la sicurezza degli alimenti dal luogo di produzione primaria al punto di commercializzazione/consumo; Il controllo dei rischi nella produzione primaria riguarda la prevenzione delle contaminazioni dei prodotti di origine animale derivanti dall’aria, dal suolo, dall’acqua, dai mangimi, dai fertilizzanti, dai medicinali veterinari, dai prodotti fitosanitari e dai biocidi.

Agli allevatori è in particolare richiesto:

- di mantenere livelli adeguati di pulizia degli impianti utilizzati per la produzione primaria e per le operazioni associate;

- di mantenere livelli adeguati di pulizia ed igiene degli animali allevati; - di utilizzare acqua potabile o pulita;

- di assicurare che il personale addetto alla manipolazione dei prodotti alimentari sia in buona salute e informato sui rischi sanitari;

- di prevenire la contaminazione da parte di animali e insetti nocivi; - di immagazzinare e gestire i rifiuti e le sostanze pericolose;

- di prevenire l’introduzione e la propagazione di malattie pericolose per l’uomo; - di usare correttamente i medicinali veterinari.

(18)

Reg. CE 853/04, relativo a norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale.

Il latte crudo deve provenire da animali:

a) che non presentano sintomi di malattie infettive trasmissibili all'uomo attraverso il latte;

b) che denotano uno stato sanitario generale buono e non evidenziano sintomi di malattie che possano comportare una contaminazione del latte e, in particolare, non sono affetti da infezioni del tratto genitale con scolo, enteriti con diarrea accompagnate da febbre, o infiammazioni individuabili della mammella;

c) che non sono affetti da ulcerazioni della mammella tali da poter alterare il latte; d) ai quali non sono stati somministrati sostanze o prodotti non autorizzati, ovvero che non sono stati oggetto di un trattamento illecito ai sensi della direttiva 96/23/CE; e) per i quali, in caso di somministrazione di prodotti o sostanze autorizzati, siano stati rispettati i tempi di sospensione prescritti per tali prodotti o sostanze.

In particolare, per quanto riguarda la brucellosi, il latte crudo deve provenire da: pecore o capre appartenenti a un allevamento ufficialmente indenne o indenne da brucellosi ai sensi della direttiva 91/68/CEE del Consiglio, del 28 gennaio 1991, relativa alle condizioni di polizia sanitaria da applicare negli scambi intracomunitari di ovini e caprini (GU L 46 del 19.2.1991, pag. 19). Direttiva modificata da ultimo dal regolamento (CE) n. 806/2003 (GU L 122 del 16.5.2003, pag. 1).

Tuttavia, il latte crudo proveniente da animali che non soddisfano i requisiti suddetti può essere utilizzato previa autorizzazione dell'autorità competente nei seguenti casi: - ovini o caprini che non presentano reazione positiva alle prove per la brucellosi; - o che sono stati vaccinati contro la brucellosi nel quadro di un programma approvato di eradicazione e che non presentano sintomi di tale malattia.

Tale prescrizione può non essere rispettata nel caso di formaggi che richiedono un periodo di maturazione di almeno due mesi, o previo trattamento termico che consenta di presentare una reazione negativa alla prova di fosfatasi.

(19)

2.1.1. Malattie infettive trasmissibili all’uomo con il formaggio 2.1.1.1. Genere Brucella e brucellosi

La brucellosi è una malattia infettiva contagiosa che colpisce gli animali e l'uomo, sostenuta da microrganismi riconducibili al genere Brucella. Negli animali in particolare nei ruminanti la malattia è caratterizzata da manifestazioni cliniche a carico del sistema riproduttivo. Nell'uomo è responsabile della cosiddetta febbre maltese o febbre ondulante o febbre del mediterraneo.

Le Brucelle sono microrganismi con morfologia coccobacillare, Gram - (0,6-2 x 0,3-0,5µ), immobili, asporigeni, acapsulati, endocellulari facoltativi e aerobi-microaerofili (5-10% CO2 ). Crescono a temperature comprese tra 18°C e 40°C (optimum a 37°C)

e in condizioni di pH comprese tra 5,5 e 7,4 e di Aw comprese tra 0,96 e 0,99. Il genere Brucella comprende 9 specie: melitensis, abortus, suis, neotomae, ovis,

canis, pinnipedialis, ceti e microti.

Le Brucelle sono molto resistenti sia nell’ambiente che negli alimenti come è mostrato nella tabella 1.

Tabella 1. Resistenza delle brucelle nell’ambiente e negli alimenti (Cerri, 2009)

RESISTENZA DELLE BRUCELLE IN MATERIALE VARIO E NELL’AMBIENTE:

MATERIALE GIORNI Latte sterile 278 Latte normale 38 Burro 142 Formaggio bovino 180 Formaggio pecorino 60 Carne 65 Acqua 57-800 Verdure 15 Terreno secco 4 Terreno umido 66 Terreno freddo 151-185

Letame liquido in estate 108 Letame liquido in inverno 174 Acqua potabile a temp. Ambiente 77

Polvere di strada 3-44

Pascoli esposti alla luce solare 15

Pascoli all’ombra 35

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Nel nostro Paese le specie coinvolte nell’infezione degli ovini sono B. melitensis, B.

abortus. e B. ovis.

La specie maggiormente diffusa è rappresentata da B. melitensis che mediante test: biochimici, di batterio stasi, di fagotipizzazione e sierologici può essere ulteriormente classificata in tre biovarianti la 1, la 2 e la 3.

In Italia, mentre nel secolo scorso la biovariante maggiormente presente negli ovini era rappresentata dalla B. melitensis biovar 2 , attualmente quella più diffusa è B.

melitensis biovar 3. Quest'ultima è presente in particolar modo nel sud del Paese;

nella regione Toscana la brucellosi è stata eradicata da diversi anni ed attualmente questa regione è ufficialmente indenne da brucellosi .

Brucellosi

Nella pecora l’infezione si può realizzare per via digerente (mucosa orale e tonsille, mucosa gastro-intestinale); attraverso la mucosa oculo-congiuntivale, vaginale e respiratoria; attraverso soluzioni di continuo cutanee; per via cutanea e venerea. La

Brucella può localizzarsi nella milza, nel fegato, nei linfonodi, nel midollo osseo ecc e

la batteriemia mediamente persiste per 30 a 45 giorni.

Nell’animale gravido provoca aborto se l’infezione viene contratta prima del 3°mese. Se l’infezione è contratta dopo il 3° mese si può avere aborto o parto a termine infetto; nella capra si può ipotizzare un’ infezione latente.

Le pecore infette non gravide o che hanno abortito si autosterilizzano in un anno circa. La capra invece rimane infetta per diversi anni.

Sintomatologia:

• Aborto: 3°- 4° mese

• Ritenzione di placenta

• Scolo vaginale

• Sterilità

• Mastite evidente con noduli mammari

• Orchiepididimite

Eliminazione:

• Scolo utero-vaginale : - 2 mesi nella pecora; - 3-4 mesi nella capra

• Latte: tutta la lattazione, per la capra anche per le lattazioni successive

• Seme

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La brucellosi umana è una malattia infettiva diffusa in tutto il mondo l’uomo viene colpito in ordine di gravità da B. melitensis, B. suis, B. abortus e B. canis (tabella 2).

Nel mondo la specie di brucella maggiormente coinvolta nell'infezione umana è

Brucella melitensis, in Italia è stata isolata in maggior misura B. melitensis biovar 2,

ma sono stati segnalati anche sporadici cosi sostenuti da B. melitensis biovar 3. La principale via di contaminazione è rappresentata dalla via orale, l'uomo si può infettare attraverso il consumo di alimenti infetti in particolar modo di latte, latticini e in minor misura con carni di suino crude o con salumi freschi.

Alcune categorie di persone come allevatori, macellai, veterinarie e zootecnici, che per motivi professionali hanno contatti con animali infetti possono contrarre l'infezione anche per altre vie (congiuntivale, aerogena, soluzioni di continuo, ecc.)

Tabella 2. Brucelle isolate negli animali e nell’uomo (Cerri, 2009)

Nell'infezione umana le brucelle, penetrate nella sottomucosa attraverso le cellule epiteliali della cute, della congiuntiva, della faringe o del polmone, inducono un’attiva risposta infiammatoria. Se le capacità di difesa dell’ospite sono superate, si verifica una batteriemia che diffonde l’infezione a livello splenico, epatico, midollare con formazione di granulomi.

Il periodo di incubazione dura circa 2-4 settimane, ma può protrarsi anche per alcuni mesi.

OSPITE BRUCELLE ISOLATE

BOVINO B. abortus B. melitensis B. suis

PECORA B. melitensis B. ovis B. abortus

CAPRA B. melitensis B. abortus

CAVALLO B. abortus B. suis

SUINO B. suis B. abortus B. melitensis

RENNA e LEPRE B. suis

CANE B. canis B. abortus B. melitensis B. suis

MAMMIFERI MARINI B. ceti B. pinnipedialis

RATTO del deserto B. neotomae

ARVICOLE B. microti

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L’infezione subclinica si individua solo con i test sierologici e si verifica più spesso in individui a rischio (allevatori,. macellai, veterinari e zootecnici ecc).

La malattia acuta e subacuta presenta sintomi aspecifici: febbre (definita “ondulante” nelle persone non trattate per lungo tempo, ma che può presentarsi sotto molteplici aspetti), brividi, sudorazione maleodorante, artromialgie, astenia, anoressia, dolore alle articolazioni e dolore lombare, occasionalmente perdita di peso. L’epatosplenomegalia è presente nel 20-30% dei casi, mentre una linfoadenopatia moderata nel 10-20% dei pazienti. Comuni sono l’anemia, la leucopenia e la trombocitopenia. Se predomina il coinvolgimento di uno specifico organo (ossa, SNC, cuore, polmoni, milza, testicoli, fegato, colecisti, rene, prostata, cute, occhi) si parla di malattia localizzata e/o complicata. Quando la malattia dura per oltre un anno si definisce forma cronica e si manifesta come una malattia a decorso protratto (spesso a causa di una inadeguata terapia antibiotica) oppure con un quadro focale ascessuale a localizzazione ossea, epatica o splenica. Il 20% dei pazienti con diagnosi di brucellosi cronica lamenta astenia persistente, malessere e depressione, che solo raramente sono associati ad evidenza clinica, microbiologica e sierologica di infezione attiva.

Una presunta diagnosi si pone con l’anamnesi (professione, contatti con animali, viaggi in aree enzootiche, ingestione di alimenti ad alto rischio, come i prodotti caseari non pastorizzati), la sintomatologia ed i test sierologici, di cui i più utilizzati sono i test di sieroagglutinazione. Quando questi sono dubbi, si può ricorrere ai test immunoenzimatici. La diagnosi definitiva si ottiene con le emocolture, le colture midollari o di altri tessuti.

Il trattamento, in base alle disposizioni dell’OMS, prevede l’uso di doxiclina (200 mg/die) e rifampicina (600-900 mg/die x os) per 6 settimane. In alternativa si può usare doxiciclina (200 mg/die) per 6 settimane associata a Streptomicina (1g. i.m.) per le prime 3 settimane (James Chin, MD, MPH; 2000).

2.1.1.2 Genere Salmonella e salmonellosi

La salmonellosi è una malattia infettiva contagiosa che colpisce gli animali e l'uomo sostenuta da microrganismi appartenenti al genere Salmonella.

(23)

Negli animali si può presentare con manifestazioni cliniche a carico dell'apparato gastroenterico o dell'apparto riproduttore (aborto) o con setticemia.

Nell'uomo le salmonelle possono essere responsabili di gravi infezioni sistemiche,quali il tifo sostenuto da S. typhi ed il paratifo da S. paratyphi A, dove l'uomo infetto rappresenta l'unica fonte di contagio, e di salmonellosi così dette minori, responsabili di gastroenteriti, nel determinismo delle quali gli animali ricoprono un importante ruolo epidemiologico.

Il genere Salmonella appartiene alla famiglia delle Enterobatteriaceae, microrganismi bastoncellari, Gram negativi, asporigeni, generalmente mobili per la presenza di flagelli peritrichi (ad eccezione di S. gallinarum e S. pullorum), aerobi-anaerobi facoltativi, catalasi positivi, ossidasi negativi, prevalentemente lattosio e indolo negativi che crescono sui comuni terreni anche in presenza di sali biliari.

La famiglia delle Enterobatteriaceae comprende numerosi generi di interesse sanitario come Escherichia, Shigella, Citrobacter, Klebsiella, Enterobacter e molti altri. La loro identificazione è possibile in base ad una serie di specifici prodotti metabolici ed alla loro capacità di fermentare particolari zuccheri.

All’interno del genere Salmonella esistono un gran numero di sierotipi, distinti sulla base della diversa composizione degli antigeni somatici e flagellari e talvolta anche in base ad alcuni caratteri biochimici.

Dai primi isolamenti ad oggi la classificazione del genere Salmonella è stata più volte profondamente rimaneggiata. Se inizialmente i ceppi di Salmonella isolati da diverse forme cliniche o da diversi ospiti venivano considerati come specie distinte, lo studio degli antigeni somatici (O) e flagellari (H) iniziato da White e portato avanti da Kauffmann, portò alla descrizione di un enorme numero di sierotipi che sostituirono, nella nomenclatura, le specie precedentemente identificate.

Le classificazioni delle salmonelle sono tante ma tra queste quelle più conosciute e utilizzate sono quella di Kauffmann-White, per quanto riguarda la tipizzazione in base al sierotipo, e quella di Le Minor per quanto riguarda la suddivisione in sottospecie. Il genere Salmonella è distinto in due sole specie, S. enterica e S. bongori. La specie

enterica è a sua volta suddivisa in sei sottospecie: enterica, salamae, arizonae, diarizonae, houtenae, indica.

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Oggi si conoscono più di 2400 sierotipi della specie enterica e il sierotipo non è più identificativo di specie pertanto la nomenclatura non la riporta più in corsivo; peraltro sono mantenuti solamente per i sierotipi appartenenti a S. enterica subsp. enterica (es S. typhimurium), mentre quelli ascrivibili alle altre sottospecie vengono identificati attraverso le relative formule antigeniche.

L’attuale classificazione che deriva da quelle di Kauffmann-White e quella di Le Minor riflette la presente tassonomia delle salmonelle ed è soggetta ad aggiornamenti annuali curati dal WHO Collaborating Centre for Reference and

Research on Salmonella con cui collaborano vari laboratori di riferimento

internazionali (Graziani, et al. 2005).

Test biochimici per la suddivisione del genere Salmonella nei quattro sotto generi di Kauffmann-White I II III IV Fermentazione dulcite + + - - Fermentazione lattosio - - + -Fermentazione salicina - - - + Fermentazione malonato - + + -Crescita in terreno KCN - - - +

La suddivisione in sierotipi viene effettuata mediante l'individuazione del mosaico di antigeni, nel genere sono stati individuati gli antigeni somatici O di natura lipopolisaccaridica, termostabili e poco specifici, indicati con numeri arabi; e gli antigeni flagellari H, termolabili, di natura proteica altamente specifici che possono assumere due forme alternative: fase 1 (monofasica) più specifica indicata con lettere; fase 2 (difasica) meno specifica, indicata con lettere e numeri. Alcuni sierotipi

(S. typhi, S. paratyphi, S. dublin) presenatano anche l’antigene Vi detto di virulenza,

termolabile, di natura polisaccaridica, poco specifico (Graziani et al, 2005). Classificazione delle salmonelle secondo Le Minor

Specie Sottospecie Numero sottospecie

S. enterica enterica I salamae II arizonae IIIa diarizonae IIIb houtenae IV indica VI S. bongori V

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Identificazione delle sottospecie secondo Le Minor

Test S. enterica S. bongori

I II IIIa IIIb IV VI V Fermentazione: dulcite + + - - - +/- + lattosio - - - + - +/- -salicina - - - - + - -sorbitolo + + + + + - -malonato - + + + - - -d(+)tartrato + - - - -Crescita in terreno KCN - - - - + - + ONPG - - - + - +/- +

Questi ultimi cambiamenti nella classificazione delle salmonelle sono basati sulla caratterizzazione mediante ibridizzazione DNA-DNA ed elettroforesi enzimatica multilocus (MEE) (Jay, et al., 2009).

Ad eccezione di S. typhi e S. paratyphi A, la salmonella è un microrganismo ad ampio spettro d’ospite in quanto si ritrova, oltre che nell’uomo, in molte specie di animali, sia a sangue caldo che freddo, domestici ed in produzione zootecnica.

Benché le condizioni ottimali per lo sviluppo siano: 37°C; pH 7,0-7,5; Aw tra 0,94-0,99 ed NaCl <8%. I microrganismi appartenenti a questo genere possono adattarsi anche a condizioni non ottimali (Mucchetti, et al., 2006). L’habitat primario è rappresentato dal tratto intestinale di numerosi animali ma può sopravvivere in molti altri ambienti per periodi molto lunghi. Ha anche la particolarità di sapersi adattare all’ambiente acido riuscendo a superare la barriera gastrica e arrivando all’intestino. Le salmonelle non vengono inattivate dal congelamento e sono però uccise dalla pastorizzazione senza produrre tossine termoresistenti.

Sono sensibili ai comuni disinfettanti a diverse sostanze antibatteriche e la maggior parte è sensibile agli antibiotici efficaci sui Gram negativi.

Salmonellosi

Negli ovini la salmonellosi rappresenta un importante patologia responsabile di imponenti danni economici agli allevamenti.

In questa specie animale l'infezione si può presentare nelle seguenti forme: enterica, abortigena e setticemica

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La forma enterica generalmente colpisce i giovani animali in particolar modo nel periodo dello svezzamento,in questi provoca asteneia, abbattimento, temperatura febbrile, diarrea profusa mista a sangue, feci maleodoranti e di color verde- giallastro, disidratazione, disappetenza con conseguente perdita di peso gli animali colpiti spesso vanno incontro a morte. I soggetti che superano la malattia possono rimanere portatori sani.

La forma gastroenterica è stata descritta anche negli adulti nei quali le manifestazioni cliniche sono le stesse descritte in precedenza ma di minore entità anche in questo caso sussiste lo stato di portatore sano, la gravità dell'infezione molto spesso dipende dal ceppo in causa ed in particolar modo da plasmidi che possono codificare per una maggior virulenza.

La forma abortigena si verifica al terzo mese di gravidanza molto spesso seguita da endometrite, i feti abortiti presentano focolai emorragici sul fegato e sulla milza, i linfonodi meseraici appaiono edematosi in cavità peritoneale è presente liquido sieroso.

Le pecore che hanno abortito eliminano con le lochiazioni un elevato numero di salmonelle per diverso periodo di tempo.

La forma setticemica si verifica generalmente nei giovani animali che inizialmente presentano la forma gastroenterica; le salmonelle invadono il torrente ematico dando luogo ad un' infezione sistemica con massiccia liberazione di endotossina con conseguente ipotensione, ipoglicemia e shock quasi sempre fatale.

I sierotipi più frequentemente isolati negli ovini sono S. abortus ovis responsabile di aborto, S. enteritidis, S. typhimurium. e S. dublin responsabili di forme gastroenteriche e setticemiche (Ruffo,1998).

La salmonellosi rappresenta la classica zoonosi in quanto la principale via di trasmissione dell’infezione va dagli animali all’uomo, direttamente o indirettamente. Tutti i sierotipi di salmonella devono essere considerati potenzialmente patogeni per l'uomo ma la virulenza di questi può variare in base a fattori legati al microrganismo (ogni sierotipo ha un suo specifico potere patogeno); fattori legati all’ospite (bambini, anziani o con patologie croniche; fattori legati all’alimento e all’ambiente (esempio acqua contaminata).

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Solo alcuni sierotipi appartenenti per lo più alla specie Salmonella enterica, subspecie enterica, sono in genere coinvolti in eventi morbosi. In particolare, quelli che più frequentemente si riscontrano nelle infezioni umane sono S. enteritidis e S.

typhimurium.

L’infezione da salmonella si trasmette principalmente per via oro-fecale. Tuttavia l’infezione si può verificare anche mediante il contatto con malati o portatori, specialmente animali.

L’intossicazione alimentare avviene soprattutto con l’ingestione di alimenti contenenti una sufficiente quantità di batteri come: carne di pollame cruda, insaccati non ben conservati a base di maiale, cavallo e bue, uova fresche o derivati, prodotti lattiero-caseari non pastorizzati, prodotti ittici crudi come pesci, crostacei, molluschi e vegetali in genere non accuratamente lavati.

Il cibo contaminato non presenta generalmente alcuna alterazione delle caratteristiche organolettiche.

La salmonellosi è una delle principali cause d’infezione gastrointestinale a livello mondiale per la quale non esiste possibilità di prevenzione vaccinale.

Per determinare l’infezione è di norma necessario un numero elevato di cellule dell’ordine di 107-109/g di prodotto (Jay, et al., 2009).

L’uomo dopo 12-48 ore dal consumo di alimenti infetti presenta diarrea profusa (30- 40 scariche al giorno) con dolori addominali, in alcuni casi, in presenza di ceppi di particolare virulenza si può avere febbre elevata, cefalea vomito, diarrea con tracce di sangue. Il quadro clinico va attenuandosi ed in 5-6 giorni si risolve; in soggetti immunocompromessi cliniche e la temperatura febbrile possono protrarsi per 10 -15 giorni (Nicoletti e Nicolosi,1998).

L’uomo dopo 12 -48 ore dal consumo di alimenti 2.1.1.3. Genere Listeria e listeriosi

Al genere appartengono microrganismi, Gram positivi di forma bastoncellare, aerobi o microaerofil, non capsulati, mobili per la presenza di flagelli peritrichi, asporigeni, catalasi positivi ma ossidasi negativi e meso-psicrofili. Il genere è composto da sette specie (L. ivanovii, L. monocytogenes, L. seeligeri, L. murrayi, L. grayi, L. innocua e

L. welshimeri). Solo due specie sono patogene: L. monocytogenes che nell’uomo è

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ed eterogenea; mentre negli animali ed in particolar modo negli ovini può essere responsabile di forme abortigene, di setticemie e di forme neurologiche. Listeria

ivanovii che è stata segnalata più volte come responsabile di aborto negli ovini ma

non risulta coinvolta nell'infezione dell'uomo (Gualandi, 1998).

All’interno della specie Listeria monocytogenes si identificano 13 sierotipi, caratterizzati dalla presenza di 15 antigeni somatici e 4 flagellari. Tutti i ceppi sono patogeni, ma la virulenza relativa a ciascun ceppo può variare considerevolmente, fino ad essere 1000 volte maggiore in alcuni (Nuvoloni, et al., 2006). Essendo un microrganismo ubiquitario in natura può facilmente diventare un contaminante delle produzioni lattiero-casearie, infatti cresce in un range di temperatura molto largo (tra +0°C – 45°C) con un optimum tra 30°C e 38°C, particolarmente resistente al sale (tollera circa il 25% di NaCl), moderatamente resistente all’acidità (pH limite di crescita 5,3-5,5 ma in grado di sopravvivere anche in condizioni di pH prossimo a 4,0). L’Aw ottimale di crescita deve essere maggiore o uguale a 0,94 (Mucchetti, et

al., 2006; Gualandi, 1998). Il batterio ha la capacità di resistere a condizioni avverse

anche per lunghi periodi, infatti si mantiene vitale a 0°C (nei prodotti refrigerati o essicati) e fino a temperature prossime a quelle usate per la pastorizzazione, rendendolo tra quelli più presenti fra i microrganismi infettanti gli alimenti a consumo umano. Questo indica che L. monocytogenes anche se non trova le condizioni per proliferare (conservazione refrigerata per pochi giorni, rapida acidificazione sotto pH 5,5, valore facilmente raggiunto in quasi tutti i formaggi già nelle prime fasi di trasformazione), può comunque sopravvivere nel prodotto fino al momento del consumo (Mucchetti, et al., 2006).

La listeriosi presenta maggior rilievo negli ovini, caprini e bovini, ma è stata segnalata anche in altre specie di mammiferi, volatili, insetti, pesci e crostacei.

I principali serbatoi della listeria sono: il suolo, il foraggio, l’acqua, il fango ed i silos. All’utilizzo delle granaglie stoccate nei silos come alimento zootecnico corrisponde un aumento nell’incidenza di listeriosi negli animali.

Anche i mammiferi domestici e selvatici infetti, il pollame e l’uomo, che frequentemente è portatore fecale asintomatico ed eliminatore di listerie con le feci, possono rappresentare dei serbatoi.

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Le modalità d’infezione più comuni sono: dalla madre al figlio, dall’animale all’uomo, infezioni ospedaliere e di tipo alimentare (Mucchetti, et al., 2006).

L. monocytogenes è stata spesso isolata dagli animali sia domestici (pecore, bovini,

polli) che selvatici, nei volatili e anche nei ratti che rappresenterebbero un importante serbatoio di tale patogeno (Ivanek, et al., 2006). È stato ipotizzato il ruolo di vettori d’infezione rivestito da alcuni artropodi (zecche e tabanidi) (Bauda e Monfort, 2004). Nell’uomo è stato stimato che una parte della popolazione, dal 2 al 10%, sarebbe portatore sano di listeria a livello intestinale (Skidmore, 1981).

La listeriosi colpisce maggiormente anziani (>65 anni) e bambini (< 5 anni) e il tasso di mortalità umana per listeriosi si aggira intorno al 20,5% (EFSA, 2010).

2.1.1.4. Genere Escherichia e colibacillosi

I microrganismi appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae sono Gram negativi, di forma bastoncellare, anaerobi facoltativi, asporigeni, catalasi positivi, ossidasi negativi e mesofili. Il genere Escherichia comprende almeno sette specie: E.

coli, E. blattae, E. albertii, E. fergusonii, E. hermannii, E. senegalensis ed E. vulneris.

Questi microrganismi sono normali residenti dell’intestino dell’uomo e di animali a sangue caldo, dove svolgono un ruolo di commensali. Infatti la presenza di E. coli nei corpi idrici indica condizioni di fecalizzazione ed è il principale indicatore di contaminazione fecale, insieme agli altri enterococchi. Tuttavia nel latte e nei derivati è spesso considerata conseguenza di una contaminazione ambientale ed indicatore di non ottimale gestione dell’igiene di produzione (Mucchetti, et al., 2006).

I diversi ceppi vengono distinti sierologicamente in base a quattro antigeni di superficie: O (somatici), H (flagellari), K (capsulari) e F (delle fimbrie).

Alcuni antigeni delle fimbrie svolgono una specifica funzione patogena, permettendo al batterio di aderire alle cellule della mucosa intestinale e di colonizzare l’intestino tenue. Tra questi vanno ricordati l’antigene F4, F5 ed F6 (Poli, et al., 2005). Il microrganismo vive ad una temperatura ottimale tra 30°C e 42°C, ma può vivere anche a temperature comprese tra 8°C e 44,5°C; l’optimum di pH è tra 5,5-7,5 ma sopravvive bene in ambiente a pH basso (minimo 4-4,5), la velocità di crescita non subisce grandi variazioni ma declina rapidamente in condizioni più acide. Tuttavia E.

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coli può sopravvivere diverse settimane in ambiente acido ad esempio nei succhi non

pastorizzati, insaccati freschi, maionese, ecc (Jay, et al., 2009).

Non sopravvive ad Aw < di 0,95 (Zeuthen, et al., 2000). Per quanto riguarda i derivati del latte, la sensibilità di E. coli al trattamento termico e l’inibizione della proliferazione a pH minore di 5,5 in presenza del 3% di NaCl e alle basse temperature (4°-7°C) limitano il rischio nei prodotti caseari freschi e molli a rapido consumo, soprattutto se fabbricati con latte crudo (Mucchetti, et al., 2006).

I ceppi di E. coli responsabili di infezioni enteriche sono stati suddivisi in sei classi secondo le caratteristiche di virulenza, dell’interazione con la mucosa intestinale, della sintomatologia indotta e delle differenze sierologiche ed epidemiologiche (Caprioli, et al., 2005; Rodriguez-Angeles, 2002; Nataro, et al., 1998).

Sulla base di tali caratteristiche si riconoscono: ceppi enteropatogeni (EPEC), ceppi enterotossigeni (ETEC), ceppi enteroinvasivi (EIEC), ceppi enteroaderenti a pattern diffuso (DAEC) e a pattern aggregativo (EAEC) e ceppi enteroemorragici (EHEC). La patogenicità degli EPEC è associata ad un fattore di aderenza costituito da una proteina di membrana in grado di indurre lesioni istopatologiche a livello della mucosa dei villi intestinali.

Gli EHEC sono stati descritti per la prima volta nel 1975 e l’agente eziologico che dava dissenteria emorragica nell’uomo è stato identificato nel sierotipo O 157:H7. Successivamente sono stati individuati altri sierotipi enteroemorragici ma E. coli O:157:H7 rimane il sierotipo più frequentemente riconosciuto come causa della patologia “tipica”. Caratteristica di questi batteri è l’acido tolleranza: possono svilupparsi in condizioni di pH prossimo a 4,0 e sopravvivono anche in presenza di valori di acidità più elevati. Non presentano particolare termoresistenza: sono capaci di moltiplicarsi a temperature di 7-10°C e possono sopravvivere bene allo stato congelato. Sono stati osservati due elementi determinanti l’attività patogena: la produzione di potenti tossine (verocitotossine, VT) e la capacità di aderire alla membrana delle cellule della mucosa intestinale, che viene colonizzata e danneggiata a livello endoteliale. La tossina rilasciata dopo la colonizzazione della mucosa intestinale e la distruzione dei microvilli, raggiunge il circolo sanguigno e quindi differenti siti bersaglio (intestino e reni).

(31)

Dal punto di vista chimico e biologico queste tossine risultano molto simili alle Shiga-toxin (Stx) prodotte da Shigella Dysenteriae.

I ceppi produttori di tali tossine sono denominati VTEC o STEC. Non tutti i ceppi produttori di verocitotossine possiedono anche i fattori di adesione caratteristici e determinanti nel definire il tipo e la gravità della patologia dei ceppi EHEC.

Gli EIEC sono molto somiglianti sia per patogenicità sia per attività biologica a

Shigella. Gli ETEC dopo la digestione superano indenni l’ambiente acido dello

stomaco e raggiungono il piccolo intestino dove, grazie a fattori di colonizzazione (presenti nelle fimbrie), aderiscono alla mucosa ed iniziano a produrre la tossina. Questi ceppi sono in grado di produrre una o più tossine acidoresistenti, sia termostabili (Sta e Stb) sia termolabili (LT1 e LT2). Le più importanti nel determinare la malattia nell’uomo sono la Sta (stabile a 100°C per 30 min) e la LT1 (inattiva a 60°C per 15 min). DAEC e EAEC inducono diarrea nei neonati e nei bambini (tra 1-5 anni) con un meccanismo non ancora noto (Mucchetti, et al., 2006).

Il serbatoio principale di E. coli O157 è rappresentato dal bovino; tuttavia il microrganismo è stato isolato anche da altri animali come piccoli ruminanti domestici e selvatici, suino, cavallo e cane. Il microrganismo raggiunge l’ambiente esterno tramite le feci degli animali portatori che inquinano l’alimento.

Gli alimenti contaminati (quali carne poco cotta, latte crudo ed ortaggi), rappresentano il principale veicolo d’infezione. Poiché il germe presenta spiccata acidotolleranza si può ritrovare in alimenti acidi come (insaccati, formaggi, yogurt, maionese, ecc).

L’interesse per l’infezione da E. coli O157 è esploso negli anni Ottanta, in quanto il ruolo patogeno del microrganismo è stato riconosciuto nel 1983, in seguito ad un’epidemia di Colite Emorragica (CE) scoppiata negli Stati Uniti, riportabile al consumo di hamburger contaminati. Esso si configura tra quelli che presentano la dose infettante più bassa: in alcuni episodi è stato stimato che circa 10 cellule batteriche abbiano causato patologia. In base all’evoluzione dell’infezione, che a sua volta dipende dall’aggressività del ceppo in causa e priva di sangue o trasformarsi in emissioni diarroiche quasi interamente da sangue.

Ceppi VTEC possono causare Sindrome Emolitico Uremica (SEU), caratterizzata da insufficienza renale acuta e anemia emolitica che possono esitare nella perdita della

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funzionalità renale. La SEU si osserva nel 5-10% dei casi di CE e può colpire gli adulti, anche se è più frequente nei bambini molto piccoli. Le infezioni da ceppi VTEC rappresentano un serio problema di sanità pubblica in tutti i Paesi industrializzati, in particolare USA, Europa, Giappone, Canada e Australia. In Italia l’incidenza delle infezioni da VTEC è relativamente bassa se confrontata con l’incidenza osservata in Nord Europa e in USA. L’incidenza media dei casi di SEU in Italia (1998-2002) si attesta su 0,28 casi per 100.000 abtanti, contro lo 0,4-0,9/100.000 di Francia ed Austria e 1-2/100.000 del Regno Unito. È interessante notare che in Europa continentale ed Italia si sta osservando l’emergenza di sierotipi VTEC non O157, come O 26 ed O 111. Nel 2005 sono stati registrati casi di CE in Campania attribuiti ad E. coli O 26. Da una ricerca EFSA del 2008 sono stati segnalati in UE 3.159 casi di VTEC, con un aumento del 8,7% rispetto al 2007 (circa 0,7 casi per 100.000 abitanti).

Anche se il Regno Unito e Germania rappresentano il 64,6% di tutti i casi confermati, i valori sono stati maggiori in Irlanda (4,8 per 100.000 abitanti) e Svezia (3,3 per 100.000 abitanti). La più grande percentuale (37,3%) di segnalazioni di infezioni si è verificata nella fascia di età 0-4 anni. Inoltre si è riscontrato un totale di 146 casi di SEU (associata a casi di infezioni da VTEC O 157) segnalati dalla Francia (43 casi), Germania (41 casi), Italia (23 casi) e Regno Unito (23 casi), (EFSA, 2010).

2.1.1.5. Genere Campylobacter e campylobatteriosi

Il Campylobacter è un “patogeno emergente” sconosciuto fino a pochi decenni fa. È il principale agente di enterite umana di origine alimentare, la percentuale d'isolamento di Campylobacter, in caso di enterite umana è maggiore di quella riconducibile a Salmonella enterica. I Campylobacter sono un gruppo di batteri su cui è in corso un’intensa opera di revisione critica. Sono Gram negativi di forma incurvata o elicoidale, che hanno origini filogenetiche in comune. Di questo gruppo fanno parte cinque generi:

Campylobacter , Arcobacter , Helicobacter , Wolinella e Flexispira.

Campylobacter e Arcobacter formano una “famiglia” vera e propria, quella delle

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Helicobacter, Wolinella e Flexispira formano una famiglia filogeneticamente distinta,

ma ancora priva di nome ufficiale.

Tutti e cinque i generi formano una “superfamiglia”, di cui Campylobacter e

Helicobacter sono i più significativi sul piano clinico.

Caratteristiche generali della superfamiglia

• Batteri Gram negativi pleomorfi, per lo più elicoidali o curvi (“ad ali di gabbiano”).

• Tendenzialmente sono microaerofili o capnofili, cioè crescono meglio con bassa tensione di O2 (5-7%) e livelli di CO2 (10%) superiori a quelli della

normale atmosfera.

• Crescono bene nel lume di molti visceri di uomo e animali.

• Mobili per flagelli polari a uno o entrambi i poli della cellula (in qualche caso sono peritrichi). La mobilità li rende capaci di penetrare e colonizzare facilmente tutte le mucose.

• Non fermentano né metabolizzano i carboidrati e nel loro DNA il rapporto guanina/citosina è basso.

Il genere Campylobacter comprende 15 tra specie e sottospecie, 12 di esse hanno a che fare con patologie di uomo e/o animali. La specie tipo è C. jejuni, con 3 sottospecie:

C. jejuni subsp. jejuni (il principale agente di enterite umana).

C. jejuni subsp. doylei agente di gastroenterite, gastrite, setticemia in uomo e

animali.

C. jejuni subsp. fetus (agente di aborto in uomo e animali).

Oggi è molto rivalutato il ruolo di C. coli come agente di enterite alimentare.

C. fetus è presente nell’intestino di bovino e ovino, solo occasionalmente dell’uomo,

conta due sottospecie:

C. fetus subsp. fetus (il più importante del genere in ambito veterinario

provoca aborto nella bovina).

C. fetus subsp.venerealis, occasionale causa di setticemia in uomini e animali.

Altre specie “minori” del genere Campylobacter.

C. lari (tratto gastroenterico di uccelli e uomo) può causare gastroenterite,

Figura

Tabella 2. Brucelle isolate negli animali e nell’uomo (Cerri, 2009)
Tabella 4. Regolamento CE:2073/2005: Tabella riassuntiva per latte e prodotti lattiero-caseari.
Tabella 5 Principali caratteri distintivi per Lactococcus lactis subsp. lactis
Figura 1. Distribuzione degli allevamenti ovini in Garfagnana per comuni
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