• Non ci sono risultati.

2.2. IGIENE DEL LATTE OVINO

2.2.3. Le mastiti ovine

2.2.4.3. L’importanza della refrigerazione del latte appena munto

Il latte costituisce un buon terreno di coltura per molti ceppi di microrganismi che vi si trovano naturalmente e che provengono tanto dall’interno della mammella che dall’ambiente esterno. Alcuni di questi microrganismi possono essere dannosi per la salute dei consumatori, altri provocano l’alterazione dei costituenti del latte ponendo problemi di conservazione e di trasformazione, altri ancora sono indice di una scarsa igiene aziendale. La refrigerazione, inducendo una stasi dell’attività moltiplicativa per effetto della bassa temperatura, costituisce il miglior mezzo per contenere la proliferazione dei germi, e la sua efficacia è legata tanto alle prestazioni degli impianti quanto alla qualità iniziale del prodotto. Infatti, poiché la refrigerazione non costituisce un trattamento di risanamento ma solo di stabilizzazione, sia in fase di allevamento che di mungitura devono essere messe in atto tutte quelle procedure che consentono di limitare al massimo il grado di contaminazione iniziale del latte. I batteri che colonizzano il latte sono di provenienza endogena ed esogena. Sono endogeni sia germi banali presenti nel dotto galattoforo che alcuni patogeni la cui presenza è associata ad uno stato di malattia dell’animale.

La massima parte dei comuni germi che si isolano dal latte è di origine esogena e, quindi, strettamente dipendente dal grado di igiene dell’animale e dell’ambiente. Alcuni di questi patogeni sono di provenienza fecale (come gli enterobatteri), ma la maggior parte è rappresentata dalla cosiddetta flora d’alterazione, cioè da quei microrganismi che degradano le proteine, il lattosio e i lipidi e alterano, quindi, la composizione originaria del latte.

La flora batterica in un latte appena munto cambia durante la conservazione in funzione della temperatura del latte che influisce sul tasso di moltiplicazione delle diverse specie. Infatti, ciascun ceppo batterico si riproduce attivamente entro un

determinato campo di temperature, nell’ambito del quale vi è un valore ottimale cui corrisponde la massima velocità di crescita. Al di sopra ed al di sotto di questo valore la crescita è rallentata fino a cessare completamente per valori di temperatura al di fuori dei limiti minimo e massimo del campo di sviluppo. Pur tenendo presente che tali limiti non sono rigidissimi, i batteri del latte possono essere suddivisi in specie psicrofile, mesofile, termofile e in funzione delle loro temperature di sviluppo.

Subito dopo la mungitura è favorita la microflora lattica mesofila che trova la temperatura ottimale per il proprio sviluppo e che, inizialmente, costituisce infatti il gruppo predominante.

La moltiplicazione dei batteri nel latte appena munto non è però quasi mai immediata, ma inizia solo dopo un certo periodo di tempo (2-3 ore, ma il dato è estremamente variabile) a causa della presenza di alcune sostanze inibenti naturali. Ciò determina una fase iniziale di latenza nello sviluppo dei microrganismi prima che si instauri la fase di moltiplicazione esponenziale. Sulla base di queste informazioni si comprende come sull’efficacia del processo di refrigerazione giochino due fattori fondamentali: il tempo e la temperatura.

Il tempo perché intervenendo tempestivamente si sfrutta la fase iniziale batteriostatica, la temperatura perché già al di sotto di 10 °C si rallenta lo sviluppo dei batteri mesofili, fino a bloccarlo completamente nel latte a 4°C.

Durante il processo di refrigerazione e la successiva conservazione a bassa temperatura si verificano dei cambiamenti di natura microbiologica a carico dei costituenti del latte e che ne influenzano, in diversa misura, l’attitudine alla caseificazione.

La minor resa in formaggio che si verifica nella lavorazione del latte conservato a freddo è legata all’attività proteolitica della flora psicrofila e, quindi, alla perdita di microparticelle caseiniche che si disperdono nel siero durante la lavorazione.

Queste specie batteriche, avendo un optimum di temperatura per la crescita intorno ai 5°C, possono svilupparsi attivamente nel latte refrigerato. Di conseguenza, la composizione originaria della flora batterica si modifica durante la conservazione prolungata, variando così il rapporto fra i vari ceppi, con una diminuzione delle specie mesofile ed un aumento significativo di quelle psicrofile costituite prevalentemente da

grado di contaminazione iniziale del latte da parte dei batteri di questo tipo, ciò che indica un inquinamento ambientale derivante da una scarsa igiene dei materiali a contatto con il latte. In situazioni igienico-sanitarie buone, l’incidenza della microflora psicrofila nel latte crudo è pari a circa il 10% di quella totale, ma può arrivare a costituire anche il 75% in condizioni di scarsa igiene.

La produzione, da parte di questa microrganismi, di enzimi esocellulari proteolitici e lipolitici resistenti ai successivi trattamenti termici provoca, oltre il peggioramento delle caratteristiche reologiche del latte, la comparsa del gusto amaro e di rancido nei prodotti caseari.

Poiché gli effetti divengono evidenti dopo 48 ore di conservazione a 4°C e soprattutto nei latti molto contaminati, la durata accettabile dello stoccaggio in vasca è strettamente legata al numero di psicrofili presenti inizialmente.

La sintesi delle proteasi e delle lipasi è comunque inibita alla temperatura di 2°C, per cui spingere la refrigerazione fino a questo livello di temperatura potrebbe consentire di aumentare il periodo di conservabilità del latte (Pazzona, 1994).

Secondo il Reg. CE 853/04 il latte deve essere posto, immediatamente dopo la mungitura, in un luogo pulito, progettato e attrezzato in modo da evitare la contaminazione. Deve essere immediatamente raffreddato a una temperatura non superiore a 8°C in caso di raccolta giornaliera e non superiore a 6°C qualora la raccolta non sia effettuata giornalmente.

La catena del freddo deve essere mantenuta durante il trasporto e all'arrivo presso lo stabilimento di destinazione la temperatura del latte non deve superare i 10°C.

Gli operatori del settore alimentare non sono tenuti a ottemperare ai requisiti termici di cui sopra se il latte rispetta i criteri definiti per il latte crudo e se:

a) la trasformazione del latte avviene entro le due ore successive alla fine della mungitura, o b) è necessaria una temperatura più elevata per motivi tecnologici connessi alla fabbricazione di taluni prodotti lattiero-caseari e l'autorità competente lo consente.