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La febbre Q (Query Fewer) è una zoonosi sostenuta da Coxiella burnetii, diffusa in tutto il mondo, ad eccezione dell’Antartide e della Nuova Zelanda (Hilbink et al., 1993). La malattia è stata descritta per la prima volta nel 1935, in Australia, da Derrik che la denominò “Q” dall’iniziale della parola indigena australiana “Query” che significa “incertezza”, ma furono Burnet nel 1937 e Cox nel 1939 a definirla eziologicamente. L’agente eziologico della febbre Q, Coxiella burnetii, classificato in passato nell’ordine Rickettsiales, famiglia Rickettsiaceae, tribù Richalimaea, è stata oggi riclassificato, in base all’analisi della sequenza genica, nell’ordine Legionellales, famiglia Coxiellaceae, genere Coxiella (Raoult et al., 2005).

Coxiella burnetii è un microrganismo parassita intracellulare obbligato, con struttura e

composizione simile a quella dei Gram-negativi, polimorfo con prevalenza di forme coccoidi e bacilliformi, immobile, dalle dimensioni di 0,2-0,4 μm (Maurin and Raoult,

1999). Si coltiva su sacco vitellino di uova embrionate di pollo e su colture cellulari primarie e in serie continua.

Il microrganismo si colora in blu-rosso o rosso porpora con il metodo Giemsa e in rosso acceso su fondo bluastro con Macchiavello e con Ziehl-Nielsen modificato. La penetrazione nel citoplasma della cellula ospite avviene per fagocitosi e il fagosoma si fonde con il lisosoma a formare il fagolisosoma in cui avviene la riproduzione per scissione binaria. L’osservazione al microscopio elettronico permette di individuare due distinte forme, entrambe capaci di moltiplicarsi per scissione binaria: le LCV (large cells variant) e le SCV (small cells variant). Le SCV derivano dallo spazio periplasmatico delle LCV, si liberano all’esterno con la lisi della cellula e possono sopravvivere per lungo tempo nell’ambiente (fino a 150 giorni) (forme spora-like).

L’agente eziologico della febbre Q presenta anche variazioni assimilabili alla fase liscia (fase I) e a quella rugosa (fase II) di alcune specie batteriche. In natura si presenta in fase I, con LPS lungo, più virulenta ed immunogena, ed evolve nella fase II (con LPS corto) solo dopo molti passaggi in coltura cellulare o su sacco vitellino di uova embrionate di pollo. La riconversione dalla fase II alla fase I avviene dopo un solo passaggio in animali da laboratorio. L’infezione naturale è provocata da stipiti in fase I che, da subito, stimolano la comparsa di anticorpi attivi anche sugli stipiti in fase II, che risultano più precoci di quelli attivi contro la fase I (Amano, et al., 1984).

Coxiella burnetii resiste alle basse temperature, infatti, rimane attivo a 4°C e a -20°C

per almeno 4 mesi, resiste al fenolo all’1% per 24 ore, ma viene inattivato dalla formalina al 2%, dall’etere etilico al 5%, dall’acqua ossigenata al 5% e dalla cianamide di calcio allo 0,6%.

Coxiella burnetii rimane attiva per qualche settimana nel latte, nel burro e nei

formaggi freschi, resiste 30 minuti nel latte a 61°C, ma è inattiva dalla pasteurizzazione a 72°C per 15 secondi.

Sono recettivi a Coxiella burnetii l’uomo e numerose specie animali sia domestiche che selvatiche. La principale via di trasmissione per l’uomo è quella inalatoria tramite particelle aerosolizzate infette provenienti da lochiazioni, feci, urine e da polveri contaminate; è anche possibile la trasmissione per via orale tramite ingestione di latte crudo contaminato e suoi derivati.

Le zecche rivestono un importante ruolo epidemiologico trasmettendo l’infezione con il morso e con le feci.

Altri prodotti morbosi sono i feti abortiti, le placente, i liquidi fetali, gli scoli vaginali e i secreti e gli escreti quali latte, feci e urine. I prodotti morbosi possono rimanere infettanti anche per lungo tempo (70 giorni le urine di cane), vista l’elevata resistenza dell’agente eziologico nell’ambiente in determinate condizioni di temperatura e umidità.

Il contagio degli animali avviene, oltre tramite la via respiratoria e le zecche, anche per via orale in seguito all’ingestione di acqua e alimenti contaminati dai prodotti morbosi. La massima eliminazione di Coxiella burnetii si verifica dal momento dell’aborto o del parto fino a due settimane dopo. Nella pecora l’escrezione fecale e quella vaginale sono molto importanti e sembrano persistere per un tempo superiore rispetto a quella con il latte, in cui il microrganismo si ritrova per 8 giorni (Babudieri, 1959 e Berri et al., 2001), mentre nella bovina l’agente patogeno viene elimnato con il latte per mesi e per 52 giorni invece nella capra (Arricau-Bouvery et al., 2003). In queste ultime due specie animali l’escrezione fecale e vaginale sono brevi e di minima entità.

Dopo una prima replicazione nella zona di impianto, le coxielle passano in circolo (fase batteriemica) ed esplicano la loro azione a carico del sistema reticoloendoteliale provocando la formazione di granulomi costituiti da macrofagi, cellule mononucleate, linfociti e plasmacellule, a livello di vari organi: polmone, fegato e midollo osseo. L’azione patogena di Coxiella burnetii si esplica attraverso la produzione di tossine lipopolisaccaridiche presenti sia nella fase I che nella fase II. Le tossine danneggiano le cellule endoteliali inducendo un aumento della permeabilità capillare con fuoriuscita di plasma nei tessuti e conseguente diminuzione della pressione arteriosa e shock (Andreani, 1998).

La capacità di penetrare e moltiplicarsi nelle cellule eucariote è un importante fattore di virulenza del microrganismo, il quale entra per fagocitosi nel citoplasma cellulare formando il fagosoma; quest’ultimo si fonde con il lisosoma (fagolisosoma). Quì la

Coxiella burnetii si riproduce per scissione binaria liberando poi la progenie nel

è mediato dall’integrina avβ3, mentre l’attacco della fase II è mediato anche dal recettore per la frazione C3 del complemento (Capo et al., 1999).

L’adattamento alla vita intracellulare di Coxiella burnetii è legato al pH acido del fagosoma che permette l’entrata dei nutrienti necessari per il suo metabolismo e la protegge dagli antibiotici (Hackstadt and Williams, 1981). La captazione del microrganismo in fase I dipende anche dal TRL 4 (Toll-like receptor 4) che, oltre a controllare la fagocitosi, è coinvolto nella formazione di granulomi e nella produzione di citochine (Honstettre, et al., 2004). Nell’infezione da Coxiella burnetii è coinvolto anche il TRL 2 che stimola la produzione di IFN-γ provoca l’apoptosi dei macrofagi infetti inducendo l’esposizione del TNF di membrana (Raoult et al., 2005).

Negli ovi-caprini l’infezione è spesso asintomatica ma può anche provocare broncopolmonite, oftalmite, aborto tardivo, natimortalità o parto prematuro.

L’eliminazione anche massiva di coxielle con il latte non è accompagnata da manifestazioni clinicamente apprezzabili di mastite. La manifestazione clinica più eclatante è l’aborto che nei piccoli ruminanti avviene al terzo mese di gravidanza (Orlandella, 1977). Il tasso di aborto oscilla tra il 3 e l’80% (Marrie, 2007) ma, ad eccezione di alcuni allevamenti caprini, le alte percentuali di aborto sono raramente osservate (Palmer et al., 1983).

Negli animali, durante la fase acuta, Coxiella burnetii può essere trovata nel sangue, nei polmoni, nella milza e nel fegato, mentre durante la fase cronica si verifica un’eliminazione persistente nelle feci e nelle urine (Angelakis e Raoult, 2009).

La diagnosi di febbre Q su base clinica è molto difficile e l’infezione viene sospettata solo in caso di malattia nell’uomo. La diagnosi quindi si basa su esami microscopico- colturali ed esami sierologici, dal momento che i sintomi clinici, spesso assenti, e i reperti anatomo-patologici non sono patognomonici dell’infezione e si riscontrano anche in altre patologie. Nell’infezione acuta il microrganismo può essere isolato dal sangue e da diversi visceri (polmone, fegato, milza), mentre le principali sedi dove le coxielle si moltiplicano in corso di infezione cronica sono la mammella e l’utero (Magnino et al., 2009).

La diagnosi diretta prevede la colorazione di Stamp, Gimenez o Macchiavello, l’isolamento su colture cellulari o su uova embrionate di pollo e la PCR (uno dei più

sensibili e rapidi test per identificare gli animali eliminatori) (Arricau-Bouvery e Rodolakis, 2005; Berri et al., 2003).

La diagnosi indiretta viene effettuata per mezzo di esami sierologici quali la Fissazione del Complemento (FdC), l’Immunofluorescenza Indiretta (IFI) e l’ Enzime Linked Immunosorbent Assay (ELISA).

La diagnosi differenziale deve considerare altre infezioni abortigene quali: Salmonellosi; Clamidiosi; Brucellosi; Toxoplasmosi.