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Microscopia TIRF multicolore e analisi di dinamica e interazioni di singoli recettori di membrana

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

D

IPARTIMENTO DI FISICA

“E

NRICO

F

ERMI

Laurea Magistrale in Fisica

Microscopia TIRF multicolore e analisi di dinamica e

interazione di singoli recettori di membrana

Candidato:

Relatore:

Chiara Schirripa Spagnolo

Dr. Stefano Luin

Correlatore:

(2)
(3)

Indice

1 Stato dell'arte 1

1.1 Cenni biologici . . . 1

1.1.1 Recettori neurotronici . . . 1

Dinamica dei recettori sulla membrana cellulare . . . 2

1.1.2 Marcatura dei recettori; trasfezione e trasduzione transgeniche. 2 1.2 Microscopia a uorescenza . . . 4

1.2.1 La uorescenza . . . 4

Fluorofori . . . 6

1.2.2 Il microscopio a uorescenza . . . 9

Filtri e specchi dicroici . . . 12

Obiettivo e risoluzione di un microscopio. . . 14

Microscopia a uorescenza a riessione totale interna (TIRF) . 17 Rivelatore EMCCD . . . 19

1.3 Ricostruzione di traiettorie di singole particelle (SPT) per studiare dinamiche e interazioni molecolari . . . 22

1.3.1 Precisione di localizzazione . . . 22

1.3.2 Spettroscopia di singole molecole e fotostabilità dei uorofori . 24 Cause e cinetica del photobleaching . . . 26

Migliorare la fotostabilità dei uorofori . . . 28

1.3.3 Metodi di SPT per lo studio della dinamica su membrana . . . 31

SPT a singolo colore. . . 31

SPT a più colori . . . 31

2 Motivazioni della tesi 33 3 Materiali e metodi 35 3.1 Campioni con cellule vive . . . 35

3.1.1 Materiali . . . 35

3.1.2 Mantenimenti cellulari . . . 36

3.1.3 Trasfezione di recettori con tag chimico . . . 36

3.1.4 Utilizzo di cellule trasdotte . . . 37

3.1.5 Costrutti transgenici . . . 37

3.1.6 Starvation del recettore TrkA . . . 37

3.1.7 Marcatura dei recettori . . . 38

3.2 Campioni per studi in vitro . . . 38

3.2.1 Willco con ricoprimento di polilisina e uorofori adesi . . . 39

3.2.2 Willco con ricoprimento di streptavidina e uorofori biotinilati 39 Biotinilazione dei uorofori . . . 39

Preparazione delle willco. . . 40

3.2.3 Soluzioni di reagenti anti-bleaching . . . 40

Acido ascorbico . . . 40

Propil gallato . . . 41 i

(4)

Trolox . . . 41

3.3 Software per analisi dati . . . 41

3.4 Apparati sperimentali ed accessori per microscopia . . . 42

4 Implementazione ed ottimizzazione dell'apparato sperimentale di microscopia 45 4.1 Microscopio TIRF a due colori . . . 45

4.1.1 Allineamento del set-up . . . 46

4.1.2 Fluorofori, ltri e dicroici . . . 47

4.2 Parametri della EM-CCD . . . 50

4.3 Dipendenza del segnale dalla polarizzazione della luce di eccitazione . 51 4.4 Sovrapposizione delle nestre dei due canali . . . 52

4.5 Acquisizione di lmati tramite microscopia TIRF . . . 54

5 Analisi SPT 57 5.1 Software u-track per SPT a singolo colore . . . 57

5.1.1 Rilevamento e localizzazione . . . 57

5.1.2 Tracking . . . 58

5.2 Analisi di esperimenti a doppio colore . . . 60

5.2.1 Sovrapposizione dei due canali . . . 60

Determinazione della funzione di sovrapposizione . . . 62

5.2.2 Ricostruzione delle traiettorie di interazione . . . 65

Suddivisione dei lmati e creazione di maschere . . . 65

Localizzazione e ricostruzione di traiettorie nei singoli canali . 66 Colocalizzazioni di particelle di diverso colore . . . 66

Traiettorie di particelle colocalizzate . . . 67

6 Risultati e discussione 69 6.1 Esperimenti preliminari . . . 70

6.2 Misure di photobleaching . . . 73

6.2.1 Misure con acido ascorbico . . . 73

6.2.2 Misure con trolox e NPG . . . 73

Esecuzione degli esperimenti . . . 73

Analisi delle misure e risultati . . . 76

6.3 Spettroscopia del trolox come antiblinking . . . 79

6.4 Esperimenti sul recettore TrkA . . . 81

6.4.1 Sovrapposizione dei due canali . . . 83

6.4.2 Ottimizzazione dei parametri di u-track . . . 83

6.4.3 Analisi di colocalizzazione . . . 90

6.5 Controllo positivo . . . 93

7 Conclusioni e sviluppi futuri 97

(5)

Introduzione

I progressi nella microscopia a uorescenza stanno permettendo di studiare eventi biologici con dettagli sempre maggiori, anche grazie a tecniche avanzate che permet-tono di seguire vari processi dinamici a livello cellulare e molecolare, in vivo o in cellule vive, con risoluzioni a livelli del limite di dirazione o anche inferiori, ed in scale di tempi anche inferiori al milisecondo. Fra queste, le tecniche di visualizzazio-ne e ricostruziovisualizzazio-ne di traiettorie di singole particelle (single particle tracking - SPT) raggiungono la massima sensibilità nel rilevamento della uorescenza, e permettono di studiare la dinamica di molecole nelle condizioni più siologiche possibili e pertur-bando il sistema il meno possibile; tali tecniche hanno il vantaggio di poter misurare le distribuzioni dei parametri sici, chimici e/o biologici di interesse, di determinare direttamente la stechiometria (cioè, l'eventuale grado di multimerizzazione) dei com-plessi in movimento, e potenzialmente di studiare le singole interazioni fra diverse molecole.

In particolare, la mia tesi si è inserita in una linea di ricerca in biosica attiva presso i laboratori NEST (National Enterprise for nanoScience and nanoTechnology) della Scuola Normale Superiore di Pisa, nella quale vengono utilizzate tecniche di SPT sulla membrana plasmatica di cellule vive. Il mio lavoro ha avuto come obiettivo quello di estendere tali strumenti verso la realizzazione di esperimenti di SPT a due colori.

Il problema biologico considerato in questa linea di ricerca riguarda i recettori neurotronici; le neurotrone costituiscono una famiglia di fattori di crescita che agi-scono principalmente sulle cellule nervose ed esercitano molteplici funzioni interagendo principalmente con due tipi di recettori: i recettori della famiglia Trk (tropomyosin receptor kinases) e il corecettore neurotronico p75. Esperimenti di SPT a singolo colore hanno mostrato l'esistenza di una correlazione tra il comportamento di queste molecole sulla membrana e la loro attività biologica; tra i risultati ottenuti è stata per esempio osservata la di/oligo-merizzazione del recettore TrkA indotta dal ligan-do NGF (nerve growth factor) ed un rallentamento e connamento parziali della sua dinamica.

In letteratura non sono però ancora chiari i meccanismi per cui le diverse concen-trazioni dei vari (co)recettori e ligandi generino tutta una serie di segnali cellulari, che variano dall'indurre apoptosi (morte cellulare) no a sopravvivenza e dierenziazione, né i complessi che si formano sulla membrana cellulare. Lo scopo nale degli espe-rimenti di SPT a più colori al NEST vuole essere proprio lo studio delle interazioni tra recettori e loro ligandi e tra i diversi recettori per chiarire tali meccanismi ancora controversi.

Il mio lavoro è soprattutto servito ad arontare tutto l'ampio lavoro preliminare da un punto di vista biosico/strumentale necessario prima di poter svolgere esperi-menti di questo tipo: scelta del sistema di visualizzazione dei recettori, ottimizzazione del setup, controllo e miglioramento del rapporto segnale/rumore nella misura, svilup-po ed implementazione di algoritmi per l'analisi dati, solo per fare qualche esempio. In particolare, dovendo utilizzare diversi uorofori organici per la visualizzazione dei recettori, abbiamo dovuto arontare dicoltà derivanti dalla necessità di

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zione simultanea del campione con due lunghezze d'onda diverse, dall'impatto del-la fotodistruzione del uoroforo (photobleaching), dalle condizioni di basso rapporto segnale-rumore.

Poiché i processi in esame avvengono sulla membrana cellulare, viene sfruttata la tecnica di microscopia TIRF (Total Internal Reection Fluorescence), che permette di limitare spazialmente l'eccitazione dei uorofori vicino all'interfaccia vetro-acqua (tipicamente intorno ai 100 nm) e di diminuire quindi il segnale di fondo. L'apparato di microscopia TIRF presente presso il laboratorio è stato opportunamente modicato per permettere la realizzazione dei nuovi esperimenti: per poter avere un'eccitazione simultanea a due lunghezze d'onda diverse è stato inserito un combinatore di linee laser (laser combiner) a cui inviare in ingresso due diversi fasci laser che vengono combinati in uno unico in uscita; per poter anche registrare simultaneamente il segnale emesso a due diverse lunghezze d'onda, è stato inserito un componente ottico (dual view) di fronte alla telecamera che permette di separare mediante ltri e dicroici la luce di emissione in due canali che producono simultaneamente due immagini, ognuna su una metà della medesima telecamera.

Il sistema ottico (linee laser, cubo di uorescenza, ltri di emissione) è stato ot-timizzato in base alle caratteristiche spettrali dei due uorofori da osservare. Per minimizzare interferenze (crosstalk) tra i due canali sono stati scelti due uorofori con una buona separazione tra gli spettri di emissione. Il rivelatore utilizzato è una telecamera di tipo EM-CCD (Electron Multiplying Charge Coupled Device); i para-metri di acquisizione della telecamera sono stati ottimizzati per quanto riguarda il compromesso fra velocità di acquisizione e rapporto segnale-rumore.

Ho poi arontato la questione del photobleaching. Sono state testate alcune so-stanze utilizzabili per studi in cellule vive e che ho controllato essere ecaci: acido ascorbico, trolox (un analogo della vitamina E), e n-propyl gallate (NPG). Con l'a-cido ascorbico si è osservato un'evidente quenching (diminuzione della brillanza) di entrambi i uorofori. Si è scelto quindi di utilizzare trolox e NPG in concentrazio-ni tali da diminuire il photobleaching, ed in parte anche l'instabilità di uorescenza (blinking/ickering), ma non inciare la vitalità cellulare.

Prima di applicare la nuova strategia sperimentale di SPT a due colori alla ricerca di forme eterodimeriche, e per testare il sistema con esperimenti più semplici, si sono voluti vericare i comportamenti osservati negli esperimenti a singolo colore. Dopo un esperimento preliminare sul p75, con i parametri ottimizzati sono stati condotti degli esperimenti sul recettore neurotronico TrkA marcando una frazione di recettori con un uoroforo e una frazione di recettori con l'altro. Sono stati acquisiti dei lmati delle cellule esprimenti il recettore marcato in presenza e in assenza di NGF.

Da un punto di vista dell'analisi dati, ho dovuto sviluppare un metodo per po-ter sovrapporre le acquisizioni nei due diversi canali con precisioni simili a quelle di localizzazione dei uorofori (dell'ordine della decina di nanometri); la trasformazio-ne che stabilisce la corrispondenza tra le coordinate dei punti trasformazio-nei due canali serve a correggere il disallineamento meccanico delle due nestre tramite rototraslazione ma anche eventuali aberrazioni cromatiche. Sono state utilizzate delle microsfere (Tetra-Speck— Fluorescent Microspheres) che possono essere visualizzate simultaneamente in entrambi i canali. Tramite l'acquisizione dell'immagine di una sferetta posta in diver-se posizioni, è possibile ottenere un insieme di punti di controllo nei due canali tra cui stabilire una corrispondenza. Sono stati confrontati diversi tipi di trasformazioni e la più accurata è risultata una trasformazione polinomiale di terzo grado, che ha dato un'incertezza media di sovrapposizione di 10 nm.

Per implementare algoritmi di analisi dati di esperimenti di SPT a due colori si vogliono apportare le opportune modiche e aggiunte al software u-track, utilizzato per la ricostruzione delle traiettorie in esperimenti a singolo colore, ed ai codici già sviluppati in laboratorio per l'analisi degli esperimenti di SPT ad un colore. Gli

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algo-ritmi di rilevamento e localizzazione del software u-track sono stati stati utilizzati sul lmato acquisito, separato nei due canali, per individuare gli spot dei due colori. Questa fase ha richiesto l'ottimizzazione dei valori di vari parametri utilizzati dal soft-ware che variano a seconda del rapporto segnale-rumore delle immagini, dell'intensità del segnale, della mobilità degli oggetti. Il software u-track dopo la localizzazione procede con la ricostruzione delle traiettorie; nell'analisi SPT a due colori, invece, è stata inserita preventivamente una ricerca delle colocalizzazioni degli spot individua-ti e si sono ricostruite separatamente le traiettorie di spot colocalizzaindividua-ti e nei singoli canali. La colocalizzazione di due particelle in più frame consecutivi è un forte indi-catore della loro eettiva interazione e non di una coincidenza casuale. Anche queste fasi di tracking hanno richiesto l'ottimizzazione dei valori di diversi parametri.

Si è fatto un primo confronto tra i risultati ottenuti in presenza e in assenza del ligando NGF, ricavando la costante di dissociazione del processo di dimerizzazione kd

a partire dal prodotto della densità degli spot totali nei due canali e la densità di spot colocalizzati, considerando solo gli spot facenti parte di traiettorie per escludere false detection e false colocalizzazioni. Come atteso, la kdè risultata signicativamente più

alta dopo l'aggiunta di NGF.

Si sono condotti anche esperimenti preliminari su una molecola che sarebbe dovuta essere stabilmente dimerica (p75-LeuZip). Una prima osservazione dei risultati, in accordo fra l'altro con altri esperimenti a singolo colore eettuati al NEST sulla stessa molecola, sembra suggerire la possibilità che il dimero non sia stabile oppure che non tutte le unità monomeriche siano state marcate.

Gli esperimenti svolti sono ancora pochi per derivarne delle conclusioni biologi-che denitive, ed hanno solo voluto essere un primo test sull'ecacia dell'apparato sperimentale ed una fonte di dati da utilizzare nel test dei codici MatLab sviluppa-ti. I risultati sono incoraggianti, ma suggeriscono ulteriori sviluppi: ad esempio, un metodo per correggere l'impatto del photobleaching, ridotto ma non eliminato comple-tamente; una più attenta ottimizzazione dei parametri di tracking; ulteriori sviluppi nell'analisi dati; il bisogno di un controllo positivo migliore.

Questo elaborato di tesi è così organizzato:

ˆ Il primo capitolo fornisce le informazioni necessarie per comprendere gli scopi di questo lavoro e le tecniche adoperate. In particolare vengono forniti dei cenni biologici, viene illustrata la tecnica della microscopia a uorescenza (rivolgendo particolare attenzione alla microscopia TIRF) e della spettroscopia di singole molecole (mostrando anche alcuni dati originali), e vengono discussi gli espe-rimenti di SPT riportando lo stato dell'arte di questo metodo a uno e a più colori.

ˆ Il secondo capitolo chiarisce lo scopo di questo lavoro alla luce di quanto pre-sentato nel capitolo introduttivo.

ˆ Il terzo capitolo descrive i materiali e metodi adoperati in questa tesi; viene descritto il lavoro da me svolto per la preparazione dei diversi campioni cellulari e delle operazioni per la marcatura dei recettori, e vengono forniti alcuni det-tagli tecnici sui software commerciali o comunque preesistenti e sui componenti dell'apparato sperimentale.

ˆ Il quarto capitolo riporta le modiche realizzate sull'apparato di microscopia, i risultati degli esperimenti svolti per la sua ottimizzazione, ed i protocolli utilizzati nelle misure di microscopia.

ˆ Il quinto capitolo concerne il software u-track utilizzato per le analisi di SPT e descrive i nuovi algoritmi implementati in MatLab per le analisi di SPT a doppio colore, con particolare attenzione anche ai risultati ottenuti riguardanti la sovrapposizione fra le nestre dei 2 canali.

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ˆ Il sesto capitolo riporta e discute i risultati e le analisi degli esperimenti su photobleaching (incluso quanto riguarda preparazione e caratterizzazione delle soluzioni di trolox) e su dinamiche e interazioni di singole molecole di TrkA, p75 e p75-LeuZip espressi separatamente in membrana di cellule di neuroblastoma umano e marcati con due uorofori diversi.

ˆ Il settimo capitolo riassume i risultati del lavoro di tesi e presenta alcune sue possibili prospettive.

ˆ In appendice sono riportati esempi di codici MatLab che ho scritto durante il tirocinio di tesi.

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Capitolo 1

Stato dell'arte

1.1 Cenni biologici

Questa tesi si è inserita in una linea di ricerca che studia recettori neurotronici sulla membrana di cellule vive. Vengono quindi qui forniti dei cenni necessari per comprendere lo scopo di questo lavoro, ed in particolare la motivazione di alcune tecniche sviluppate. Sono inoltre presentate alcune delle tecniche di biologia cellulare e molecolare utilizzate nella tesi.

1.1.1 Recettori neurotronici

I fattori di crescita sono biomolecole prodotte da un organismo per controllare la crescita ed il dierenziamento cellulare. Queste molecole vengono secrete nel mezzo extracellulare e possono agire sulla stessa cellula che li ha prodotti o su altre cellule. Solitamente la loro azione si esplica nel legame con una certa anità a uno o più tipi di recettori transmembrana della cellula bersaglio; la formazione del complesso ligando-recettore attiva la cascata di trasduzione del segnale: il dominio intracellulare del recettore catalizza la produzione di secondi messaggeri all'interno della cellula, molecole che trasmettono il segnale con una successione di reazioni che possono ar-rivare no al nucleo dove vengono determinate modicazioni dell'espressione genica; tale signalling può partire direttamente da sotto la membrana cellulare oppure, a seguito dell'internalizzazione di complessi ligando-recettore all'interno del cosiddetto endosoma segnale, da una locazione più vicina al nucleo.

Le neurotrone costituiscono una famiglia di fattori di crescita che agiscono prin-cipalmente sulle cellule nervose esercitando una vasta gamma di funzioni durante lo sviluppo e nell'organismo adulto: inducono segnali di sopravvivenza e/o morte cel-lulare, favoriscono la dierenziazione di cellule immature, determinano la direzione di crescita delle bre nervose, agiscono nella regolazione della plasticità sinaptica. Sono coinvolte in stati patologici, ad esempio in malattie neurodegenerative. Nei mammiferi la famiglia delle neurotrone comprende: NGF (Nerve growth factor), BDNF (Brain-derived neurotrophic factor), NT-3 (Neurotrona 3) e NT-4/5 (Neuro-trona 4/5); tutti questi fattori troci possono essere presenti anche nella loro forma immatura (proneurotrone), da cui le neurotrone maturano a seguito del distacco di un pro-dominio. Questi fattori di crescita esercitano le loro molteplici funzio-ni interagendo principalmente con due tipi di recettori: i recettori della famiglia Trk (tropomyosin receptor kinases) TrkA, TrkB e TrkC e il corecettore neurotronico p75. L'attivazione dei recettori di tipo Trk determina per lo più segnali di crescita e so-pravvivenza mentre il recettore p75 (membro della famiglia dei recettori del fattore di necrosi tumorale, tumor necrosis factor receptor - TNFR) è soprattutto noto per l'in-duzione di segnali di morte cellulare, ma può in realtà aumentare l'anità dei Trk alle

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neurotrone mature con un meccanismo non ancora del tutto chiarito, avendo quindi paradossalmente un ruolo opposto. In realtà il funzionamento di questi recettori è complesso e dipendente da vari fattori, come meglio specicato nel seguito.

Neurotrone diverse mostrano maggiore anità per recettori Trk diversi: l'NGF si lega con maggiore anità al recettore TrkA, il BDNF e la NT-4/5 si legano con più anità al TrkB e la Nt-3 si lega con maggiore anità al TrkC; la NT-3 può legarsi anche al TrkA e TrkB, anche se con minore anità e attivando segnali di risposta diversi. La presenza del recettore p75 inuenza la specicità del legame dei ligandi ai recettori Trk e la corrispondente risposta biologica. Tutte le neurotrone legano il p75 con la stessa anità ma la risposta biologica dipende dal rapporto di espressione tra i recettori Trk e il p75, dalla presenza e concentrazione di diversi ligandi (in particolare, neurotrone nelle loro forme mature ed immature) e di altri corecettori per il p75. Sembra dunque che il segnale indotto dalle neurotrone dipenda da una complessa coordinazione di ligandi e recettori, ma come questa coordinazione avvenga non è chiaro.

Far luce sui meccanismi di interazione tra le neurotrone ed i loro recettori è il primo passo per poter chiarire i loro meccanismi d'azione e per ideare eventuali strategie terapeutiche di patologie in cui sono coinvolte. Il ruolo cruciale che questi fattori di crescita esercitano nello sviluppo e nella sopravvivenza di cellule del sistema nervoso pone gradi aspettative nel loro utilizzo nel trattamento di disordini o danni neuronali.

Dinamica dei recettori sulla membrana cellulare

La linea di ricerca in cui questa tesi si è inserita è focalizzata sullo studio della dina-mica dei recettori neurotronici sulla membrana cellulare e si propone di chiarire la correlazione tra la dinamica dei recettori attivati da diverse neurotrone e la corri-spondente risposta biologica. Infatti, mentre numerosi studi sono stati condotti sulla cascata intracellulare di segnale, manca ancora una comprensione della dinamica e delle interazioni dei recettori neurotronici sulla membrana in assenza e in presenza dei diversi ligandi.

Studi condotti sul recettore TrkA basati sull'analisi della dinamica di singole mole-cole (tecnica descritta nel paragrafo 1.3) hanno mostrato che, in assenza di ligando, la maggior parte dei recettori sono monomeri caratterizzati da un coeciente di diusio-ne medio di circa 0.5µm2/s, circa il 20% delle molecole hanno un coeciente almeno

un ordine di grandezza più basso e corrispondono probabilmente a stati dimerici e oligomerici e circa il 4% dei recettori sono immobili o connati in regioni minori di 0.6µm di diametro. Il legame col ligando causa un rallentamento dei recettori e un aumento della popolazioni dimeriche e oligomeriche, corrispondenti verosimilmente a piattaforme di segnale interagenti con eettori intracellulari, oppure a gruppi di re-cettori all'interno di precursori di vescicole di internalizzazione. Le modiche indotte sulla mobilità del recettore dipendono dal particolare ligando: è cruciale il fatto che neurotrone diverse promuovano tipi di traiettorie del recettore diverse. Questi dati supportano una correlazione tra dinamica del recettore attivato e risposta biologica indotta da ligandi diversi per lo stesso recettore [30].

1.1.2 Marcatura dei recettori; trasfezione e trasduzione

tran-sgeniche.

Per visualizzare i recettori in microscopia a uorescenza (vedi Ÿ1.2), questi devono essere coniugati ad una sonda uorescente, cioè una molecola capace di emettere fotoni a seguito di un'eccitazione e che quindi può essere visualizzata (vedi Ÿ1.2.1).

Presso il laboratorio dove si è svolto questo lavoro di tesi era già stata elaborata una strategia di marcatura di tipo chimico delle neurotrone e dei loro recettori [31].

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Figura 1.1: Reazione di marcatura di una proteina con una sonda uorescente. In blu è rappresentata schematicamente la proteina da marcare, in rosso il tag ACP (da notare che nel corso della tesi sono stati utilizzati anche tag peptidici più corti [31]) in cui è evidenziato il gruppo idrossile del residuo di serina del tag; in verde è rappresentata la sonda uorescente legata al CoA (in nero). L'enzima PPTase taglia il braccio di fosfopanteteina del CoA (che porta la sonda) e lo trasferisce al residuo di serina del tag.

In questo tipo di marcatura una sequenza peptidica (il tag) viene geneticamente fusa tramite metodi di mutagenesi alla proteina di interesse; quando tale proteina viene espressa, il tag che essa contiene può essere modicato tramite reazioni chimiche per coniugare vari tipi di molecole, fra cui le sonde uorescenti. In particolare, il metodo sviluppato usa tag chimici derivati dalla acyl-carrier protein (ACP) ed è stato dimostrato che tali tag non interferiscono con le funzioni delle proteine marcate [12, 31].

La reazione che permette di legare covalentemente la sonda al tag è catalizzata da un enzima phosphopantetheinyl transferase (PPTase) il quale può coniugare ad un residuo di serina del tag il braccio di fosfopanteteina di un Coenzima A (CoA) funzionalizzato con la sonda uorescente; in particolare, presso il NEST si utilizzano soprattutto i tag peptidici A1 ed S6, lunghi 11 amminoacidi, che sono funzionalizzati rispettivamente dalle PPTasi Acp Synthase (AcpS) e Sfp Synthase (SfpS) [31]. La reazione è schematizzata nella Figura 1.1.

Tale strategia di marcatura presenta vari vantaggi:

ˆ è compatibile con studi su cellule vive e non altera la funzione delle proteine marcate;

ˆ assicura una stechiometria 1:1 tra proteina di interesse e sonda uorescente; questo è molto utile in studi in cui vengono visualizzate singole molecole (ve-di Ÿ1.3), permettendo ad esempio (ve-di poter valutare lo stato oligomerico della proteina in base all'intensità della uorescenza emessa;

ˆ fondendo i tag scelti al dominio extracellulare del recettore di membrana, è pos-sibile marcare solo i recettori correttamente traslocati sulla membrana cellulare, dato che CoA e PPTasi non la permeano;

ˆ i tag possono essere coniugati con tutti i tipi di molecole che possano essere funzionalizzate con un substrato di CoA.

Questa modalità di marcatura richiede l'espressione ectopica del recettore con il tag, ossia richiede di introdurre articialmente nella cellula un gene esogeno (transgene) che codica per la proteina del recettore geneticamente modicato. Il transgene può essere introdotto nella cellula con varie modalità, come descritto di seguito.

Uno dei metodi più utilizzati e che viene sfruttato anche in questo lavoro di tesi è la trasfezione basata su liposomi cationici. I liposomi cationici sono strutture composte

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da lipidi cationici i quali sono costituiti da una testa carica positivamente legata a un coda idrofobica. I liposomi possono reagire con il DNA in una soluzione acquosa formando strutture più complesse dette lipoplessi. La carica positiva superciale del lipoplesso permette l'interazione con la membrana cellulare carica negativamente; il complesso solitamente entra nella cellula per endocitosi. Il lipoplesso all'interno della cellula si dissocia e il DNA, eventualmente dopo essere uscito dalle vescicole di internalizzazione, può entrare nel nucleo dove il transgene può essere trascritto facendo così partire l'espressione della proteina esogena.

Il trasferimento del gene può anche essere realizzato mediante un'infezione virale; in questo caso si parla di trasduzione e di cellule trasdotte, ed il transgene di interes-se potrebbe esinteres-sere incluso nel corredo genomico stabile della cellula, eventualmente mediante retrotrascrizione o integrazione.

In studi in cui si vogliono visualizzare singole molecole è utile disporre di siste-mi di regolazione dell'espressione genica per poter controllare la densità di molecole uorescenti. Una possibile strategia consiste nell'utilizzo di promotori inducibili. I promotori sono sequenze di DNA che si trovano a monte del gene codicante una pro-teina di interesse, e che ne determinano la trascrizione solitamente in modo regolato; un promotore deve essere incluso anche nei transgeni, e potrebbe essere un promoto-re forte (semppromoto-re attivo), un promotopromoto-re controllato internamente (ad esempio, attivo in determinate cellule o in determinati momenti del ciclo cellulare), oppure regola-to esternamente. Nel sistema utilizzaregola-to presso il laboraregola-torio, detregola-to sistema Tet-On, la trascrizione del transgene è attivata in maniera reversibile dalla presenza dell'in-duttore tetraciclina (o del suo derivato doxiciclina). Regolando la concentrazione di induttore è possibile controllare il livello di espressione del transgene.

Questo metodo di controllo dell'espressione è stato ottimizzato utilizzando una trasduzione dei costrutti, in quanto il sistema virale può contenere sia il DNA che codica per il recettore con il tag sia il DNA che codica per il controllore del pro-motore (vettore lentivirale all-in-one, [31, 4]); con la trasfezione invece i due geni dovrebbero essere trasfettati separatamente e questo non assicurerebbe la presenza di entrambi nella giusta proporzione.

1.2 Microscopia a uorescenza

1.2.1 La uorescenza

La uorescenza è un processo di fotoluminescenza che consiste nell'emissione di fo-toni da una specie che si trova in uno stato elettronicamente eccitato in seguito ad assorbimento di fotoni.

Tipicamente questi fenomeni di assorbimento ed emissione luminosa sono rappre-sentati tramite i diagrammi di Jablonski di cui un esempio è riportato in Figura 1.2. S0, S1, e S2 rappresentano rispettivamente gli stati elettronici di singoletto

fonda-mentale, primo e secondo eccitato. In ognuno di questi livelli energetici elettronici la molecola presenta una serie di sotto-livelli vibrazionali (indicati dai numeri 0, 1, 2,...); i sottostati vibrazionali di livelli elettronici sono detti in generale livelli vibronici.

Questa rappresentazione degli stati molecolari deriva dall'approssimazione di Born-Oppenheimer che permette di separare l'equazione di Schrödinger in una parte elet-tronica (a ssata geometria dei nuclei) ed una parte nucleare (in cui l'energia dello stato elettronico ha il ruolo di energia potenziale) e di scrivere la funzione d'onda totale come prodotto della funzione d'onda elettronica e della funzione d'onda nu-cleare. Considerando l'Hamiltoniana del sistema molecolare composta dai termini di energia cinetica elettronica (Te)e nucleare (Tn)e dai termini di interazione

coulombia-na nucleo-nucleo (Vnn)elettrone-elettrone (Vee)e nucleo-elettrone (Vne), la funzione

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Figura 1.2: Un tipico diagramma di Jablonski. Linee orizzontali spesse rap-presentano il livello vibrazionale fondamentale di un dato stato elettronico (S0, S1, S2, T1),linee orizzontali sottili la sua struttura vibrazionale (0,1,2); frecce

solide diritte verticali indicano fototransizioni, linee non orizzontali, a trattini, o ondulate (non presenti in questo caso) transizioni non radiative. Sono indicate le energie dei fotoni associati alle transizioni radiative: hνA,hνF,hνP, rispettivamente

per i fenomeni di assorbimento, uorescenza e fosforescenza.

Heϕ= E(R)ϕ

con He dipendente dalle coordinate elettroniche e in maniera parametrica dalle

coordinate nucleari:

He(r; R) = Te+ Vee(r) + Vne(r; R) + Vnn(R)

La funzione d'onda nucleare φ obbedisce all'equazione di Schrödinger: ih∂

∂tφ = (Tn+ E(R))φ

La funzione d'onda totale ψ(r, R) viene approssimata come: ψ(r, R) ≈ ϕ(r; R)φ(R)

Con una terminologia "classica", la transizione elettronica avviene senza uno spo-stamento signicativo dei nuclei essendo i tempi caratteristici dei moti elettronici molto minori dei tempi caratteristici dei moti nucleari. Di conseguenza, sono favorite le transizioni verso stati vibrazionali che corrispondono al minimo cambiamento delle coordinate nucleari (transizioni verticali), come illustrato in Figura 1.3.

Considerando una descrizione quantistica, secondo la regola d'oro di Fermi la probabilità di transizione è proporzionale al modulo quadro dell'elemento di matrice dell'operatore momento di dipolo elettrico tra gli stati iniziale e nale:

< ψ0ν(r, R)|µ(r, R)|ψnν0(r, R) >

dove 0 e n sono numeri quantici elettronici eν e ν0

numeri quantici nucleari. Considerando lo sviluppo µ(r, R) = µ(r, R0) + ∂R∂µ|R0(R − R0), dove R0 è la

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< ϕ0(r; R)φ0ν(R)|µ(r, R)|ϕn(r; R)φnν0(R) >=

=< ϕ0(r; R)|µ(r, R0)|ϕn(r; R) >< φ0ν(R)|φ n ν0(R) >

I fattori < φ0

ν(R)|φnν0(R) >sono chiamati fattori di Frank Condon e stabiliscono

che maggiore è la sovrapposizione tra le funzioni d'onda nucleari dello stato iniziale e nale, maggiore è la probabilità di transizione.

La transizione avviene spesso con maggiore probabilità verso uno stato vibrazio-nale eccitato a causa dello spostamento relativo tra le funzioni E(R) corrispondenti a diversi stati elettronici; tale spostamento fa sì che la sovrapposizione tra le fun-zioni d'onda nucleari degli stati vibrazionali fondamentali possa essere molto piccola (Figura 1.3).

Il fenomeno di assorbimento può portare quindi la molecola in uno stato vibra-zionale eccitato in S1o S2. Con un fenomeno detto conversione interna la molecola

rilassa rapidamente (in tempi dell'ordine di 10−12s) al più basso stato vibrazionale di

S1 (vedi Figura 1.2). Poiché i tempi caratteristici dell'emissione di uorescenza sono

più lunghi, dell'ordine di 10−9−10−8s, l'emissione avviene generalmente da

quest'ulti-mo stato. Analogamente all'assorbimento, anche l'emissione può portare in uno stato vibrazionale eccitato. Per questi motivi l'energia di emissione è tipicamente inferiore a quella di assorbimento (spostamento di Stokes). La molecola nello stato S1può anche

andare incontro a un'inversione di spin e compiere una transizione verso lo stato di tripletto T1(conversione intersistema). Le transizioni tra stati a diversa molteplicità

di spin sono proibite in approssimazione di dipolo, tuttavia c'è una piccola interazione tra funzioni d'onda di molteplicità diverse tramite l'accoppiamento spin-orbita. La transizione T1→ S0 porta all'emissione di fosforescenza che, essendo una transizione

rara, è caratterizzata da tempi tipici molto maggiori rispetto alla uorescenza. Otre alla conversione intersistema diversi altri processi non radiativi possono com-petere con l'emissione di uorescenza per il ritorno allo stato fondamentale dopo l'ec-citazione, come fenomeni di conversione interna tra stati vibronici diversi seguita da rilassamento vibrazionale.

Fluorofori

Le molecole che, quando fotoeccitate, uorescono nello spettro visibile (o nei vicini infrarosso o ultravioletto) con probabilità sucientemente alta (con resa quantica, meglio denita più avanti, intorno all'1% o solitamente superiore) sono note come uorocromi. I uorofori sono generalmente molecole che contengono uorocromi.

Le rappresentazioni delle diverse probabilità di assorbimento ed emissione alle varie lunghezze d'onda costituiscono gli spettri di assorbimento ed emissione. Solitamente, si può notare la cosiddetta regola dello specchio: lo spettro di emissione è l'immagine a specchio dell'assorbimento dal livello S0al livello S1a causa della somiglianza della

struttura vibrazionale tra i due livelli. Le varie transizioni non sono visibili come un insieme di righe discrete e lo spettro appare continuo a causa dell'esistenza di un set di sottolivelli rotovibrazionali in ogni stato elettronico. Inoltre tali spettri possono essere più o meno strutturati: in alcuni casi molti livelli vibrazionali non sono attivi e quindi si riescono a distinguere chiaramente alcuni picchi corrispondenti a livelli attivi; se invece il uoroforo si trova in soluzione le interazioni col solvente possono alterarne i livelli energetici, rendendo possibili molte congurazioni e gli spettri solitamente diventano completamente destrutturati (Figura 1.4).

I uorofori utilizzati nella microscopia a uorescenza sono principalmente di tre tipi: proteine uorescenti (come la green uorescence protein, GFP), piccoli uorofori organici, e nanoparticelle di materiale semiconduttore (quantum dots, QD).

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Figura 1.3: Illustrazione del principio di Frank-Condon. Nella gura in alto sono rappresentate le E(R) (ossia le superci di energia potenziale soluzioni della parte elettronica dell'equazione di Schrödinger) per lo stato fondamentale (E0) e per il

primo eccitato (E1); in ordinata è riportata schematicamente una rappresentazione

delle coordinate nucleari (ad esempio, la distanza fra nuclei in una molecola biatomi-ca o la coordinata di un modo normale di vibrazione di una molecola). I numeri 0-6 a lato indicano gli stati vibrazionali e per ognuno è rappresentata la corrispondente funziona d'onda nucleare (evidenziata in arancione). Nella seconda gura è rappre-sentata l'intensità (quindi la probabililità) di alcune transizioni di assorbimento dal livello fondamentale. Si osserva come, nel caso rappresentato, per l'assorbimento dal livello fondamentale il fattore di Frank Condon maggiore sia quello corrispondente alla transizione nel secondo livello vibrazionale del primo livello eccitato elettronico per cui la maggiore probabilità di transizione si ha per la transizione indicata come 0-2.

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Figura 1.4: Esempi di spettri di assorbimento e di emissione. Nella prima gura si può distinguere la struttura vibrazionale e osservare la regola dell'immagine a specchio dello spettro di emissione rispetto a quello di assorbimento. Nella seconda gli spettri appaiono destrutturati, inoltra si vede come la regola dell'immagine a specchio non sia valida per transizioni che coinvolgono livelli più elevati di S1; ciò

è dovuto al fenomeno di conversione interna dai livelli più elevati verso S1 prima

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Importanti caratteristiche utilizzate per descrivere e confrontare uorofori sono: l'ecienza di assorbimento ed emissione, il tempo di vita medio di uorescenza, la fotostabilità. Le ecienze di assorbimento e di emissione di uorescenza sono quan-ticate rispettivamente tramite il coeciente di estinzione molare e la resa quantica. Il primo esprime l'assorbanza per mole per 1 cm di cammino ottico ad una certa lun-ghezza d'onda, la seconda il rapporto tra numero di fotoni emessi e numero di fotoni assorbiti e quindi indica l'ecienza dell'emissione di uorescenza rispetto a tutti i possibili modi di diseccitazione. Il prodotto tra il coeciente di estinzione molare e la resa quantica fornisce la brillanza del uoroforo.

I QD hanno un coeciente di estinzione molare circa dieci volte maggiore rispetto ai uorofori organici e alle proteine uorescenti e quindi possiedono caratteristiche di brillanza molto migliori (essendo la resa quantica dello stesso ordine di grandezza).

Il tempo di vita medio di uorescenza è il tempo caratteristico in cui la molecola rimane nello stato eccitato prima di emettere. Una popolazione di molecole eccitate con un impulso luminoso presenta un decadimento di intensità di uorescenza, che nei casi più semplici può essere descritto da una funzione esponenziale decrescente del tipo: I(t) = I(0)e−t/τdove τ è il tempo di vita medio di uorescenza ed è quindi

denito come il tempo a cui l'intensità iniziale I(0) è ridotta del fattore1/e.

Un'altra importante caratteristica di un uoroforo è la sua fotostabilità. Il uoro-foro può compiere ripetuti cicli di eccitazione ed emissione ed il fatto che un singolo uoroforo possa così generare no a diverse migliaia di fotoni è alla base della gran-de sensibilità gran-delle tecniche di uorescenza. Un fenomeno noto come fotodistruzione (photobleaching) limita il numero di fotoni che un uoroforo può emettere. Questo si manifesta quando la molecola perde permanentemente la propria abilità di uorescere in seguito a reazioni chimiche a cui va incontro nello stato eccitato. Il photobleaching è un fenomeno complesso e dicile da controllare: dipende molto dalla struttura molecolare del particolare uoroforo e dall'ambiente locale (Ÿ1.3.2). Alcuni uorofori si fotodistruggono velocemente, dopo aver emesso solo pochi fotoni; altri, più sta-bili, possono compiere no a migliaia o milioni di cicli di eccitazione ed emissione. Maggiori dettagli sul photobleaching e sul suo impatto negli studi a singola molecola verranno dati nella successiva sezione 1.3.2.

A seconda dell'applicazione, ulteriori considerazioni nella scelta della sonda uo-rescente possono riguardare eetti legati alle dimensioni e all'ingombro sterico di quest'oggetto. L'uso dei QD è limitato da dimensione (no ai 10 nm a seconda della lunghezza d'onda di emissione) e massa relativamente grandi che possono alterare la dinamica di piccole proteine. L'uso di piccoli uorofori organici, di dimensioni in-torno a 1-2 nm, può invece essere compatibile con lo studio della dinamica di tali molecole, sebbene il loro uso comporti maggiori complicazioni a causa delle peggiori caratteristiche in termini di brillantezza e fotostabilità.

1.2.2 Il microscopio a uorescenza

Le funzioni basilari di un microscopio a uorescenza che lo distinguono da altri tipi di microscopi ottici (ad esempio a trasmissione) sono quelle di illuminare il campione con una luce di eccitazione alla lunghezza d'onda desiderata e successivamente raccogliere la più debole luce di emissione grazie alla loro separazione spettrale.

In una congurazione a luce trasmessa, l'emissione di uorescenza verrebbe rac-colta insieme ad una quantità signicativa di luce di eccitazione. La congurazione comunemente utilizzata è perciò a luce riessa (detta anche epiuorescenza) in cui la luce di eccitazione e quella di emissione hanno un percorso ottico in comune vicino al campione: la luce di eccitazione è focalizzata sul campione attraverso le lenti del-l'obiettivo e la uorescenza emessa è raccolta dallo stesso obiettivo. Solo una piccola parte della luce di eccitazione è riessa o diusa dal campione e quindi ripassa at-traverso l'obiettivo insieme alla luce di emissione e viene successivamente ltrata. La

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Figura 1.5: Schema di un microscopio a uorescenza in congurazione a luce riessa o epiuorescenza. Sono illustrati i cammini ottici della luce di eccitazione e della luce di emissione: la uorescenza è raccolta dallo stesso obiettivo che focalizza la luce di eccitazione sul campione. Sono evidenziati i principali componenti del microscopio le cui funzioni vengono descritte in dettaglio nel testo.

congurazione a epiuorescenza è realizzata mediante l'utilizzo combinato di ltri di eccitazione e di emissione e grazie alle proprietà degli specchi dicroici come spiegato nella sezione 1.2.2.

Lo schema di un tipico microscopio a epiuorescenza è riportato nella Figura 1.5. Il metodo di illuminazione più comunemente usato è detto metodo di Köhler, illustrato nella Figura 1.6, il quale assicura un'illuminazione omogenea del campione senza che l'immagine della sorgente di illuminazione, ad esempio il lamento di una lampada, sia visibile. Il principio è quello di utilizzare un sistema di lenti con due famiglie di piani coniugati, una comprendente la sorgente di luce, l'altra comprendente il campione.

La prima famiglia di piani comprende: sorgente, diaframma di apertura ), pupilla dell'obiettivo, pupilla dell'osservatore (circa 1 cm oltre l'oculare). La seconda com-prende: diaframma di campo, campione, immagine intermedia formata dall'obiettivo, retina dell'occhio dell'osservatore. Nei sistemi più moderni (con "correzione all'in-nito"), la luce proveniente da un punto di una delle due famiglie di piani coniugati corrisponde ad un fascio collimato con una data direzione nell'altra famiglia di piani coniugati; ad esempio, in un sistema di questo tipo il piano del campione si trova nel piano focale anteriore dell'obiettivo, e la pupilla dell'obbiettivo si trova nel suo piano focale posteriore.

Il diaframma di campo, essendo in un piano coniugato col campione,determina la regione di campione illuminata. Il diaframma di campo non inuenza la risoluzione ma, oltre a limitare la zona illuminata e quindi potenzialmente fotodanneggiata del campione, la sua apertura può inuenzare il contrasto limitando la regione da cui può provenire luce diusa.

Il diaframma di apertura, che nell'illuminazione di Köhler si trova in un piano coniugato con la sorgente, permette di modicare l'ampiezza del cono di luce che poi viene focalizzato sul campione e quindi regola l'intensità di illuminazione senza inuenzare la dimensione della zona illuminata; la sua apertura inuenza risoluzione e contrasto. Nella congurazione a epiuorescenza la luce proveniente dalla sorgente è raccolta dall'obiettivo, il quale svolge quindi anche la funzione di condensatore; in una congurazione a luce trasmessa il condensatore è un ulteriore elemento ottico, ed

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Figura 1.6: La gura illustra il metodo di illuminazione di Köhler nel caso di micro-scopio a luce riessa. Tale metodo assicura un'illuminazione omogenea: ogni punto del campione è illuminato da luce proveniente dalla stessa regione della sorgente (gura in alto), ed ogni punto della sorgente illumina tutto il campione (gura in basso). In alto si può osservare la famiglia di piani coniugati con il piano del campio-ne, che comprende: diaframma di campo, campiocampio-ne, piano dell'immagine intermedia, retina dell'osservatore; in basso si può osservare la famiglia di piani coniugati con la sorgente che comprende: sorgente, diaframma di apertura, pupilla dell'obiettivo (nel piano focale posteriore dell'obiettivo), pupilla dell'osservatore. Si vede inoltre come la luce focalizzata in un punto in una delle due famiglie di piani coniugati corrisponda ad un fascio collimato con una data direzione nell'altra famiglia di piani coniugati. Le funzioni dei diaframmi di campo e di apertura sono descritte nel testo.

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il diaframma di apertura è posto nelle sue vicinanze. Filtri e specchi dicroici

(a) Queste gure illustrano l'azione dei ltri e dello specchio dicroico al passaggio della luce di eccitazione e della luce di emissione. Nell'immagine a sinistra la luce emessa dalla sorgente di illuminazione attraversa il ltro di eccitazione il quale seleziona la banda di lunghezza d'onda voluta che viene riessa dal dicroico verso il campione; è visibile una debole luce trasmessa che può essere dovuta a un'ecienza <100% per la riettività del dicroico o per l'attenuazione del ltro di eccitazione.Nell'immagine a destra la uorescenza emessa dal campione e raccolta dall'obiettivo è trasmessa dallo specchio dicroico e attraversa il ltro di emissione; la luce di eccitazione diusa dal campione che raggiunge il dicroico viene riessa da questo verso la sorgente.

(b) Nell'immagine a sinistra sono mostrati insieme i cammini ottici della luce di eccitazione (verde) e di emissione (rosso). A destra è riportato il cubo di uorescenza in cui sono assemblati i ltri di eccitazione ed emissione ed il dicroico.

Figura 1.7

La Figura 1.7 illustra l'azione dei ltri di emissione ed eccitazione e dello specchio dicroico. La luce di eccitazione passa attraverso un ltro di eccitazione che selezio-na la banda di lunghezza d'onda voluta, raggiunge poi il ltro dicroico che la riette facendola passare attraverso l'obiettivo e quindi attraverso il campione; la luce di uo-rescenza emessa dal campione e raccolta dall'obiettivo viene trasmessa dal dicroico; la maggior parte della luce di eccitazione diusa dal campione che raggiunge il dicroico viene riessa da questo verso la sorgente; prima che la luce di emissione raggiunga il

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Figura 1.8: Spettri di trasmissione di ltri passa-lungo (LP), passa-corto (SP), passa-banda (Bandpass). Sono indicate le grandezze che caratterizzano i diversi tipi di ltro, come spiegato nel teso: la lunghezza d'onda di Cut-on per i ltri LP, la lunghezza d'onda di Cut-o per il ltri SP, la lunghezza d'onda centrale (CWL) e la FWHM per i ltri Bandpass. Sono inoltre indicate la trasmissione media (Avg. %T ) e la trasmissione al picco (Peak %T ) (denite in modo analogo per tutti i tipi di ltro anche se non rappresentate su tutti gli spettri).

rivelatore è comunque ulteriormente ltrata da un ltro di emissione che blocca ogni residuo della luce di eccitazione ed in caso la luce emessa dal campione a lunghezze d'onda non speciche per il uoroforo di interesse. Solitamente i ltri e il dicroico sono assemblati in un cosiddetto cubo di uorescenza.

I ltri utilizzati nei cubi solitamente sono di tre tipi: passa-corto (short-pass SP), passa-lungo (long-pass LP), passa-banda (band-pass BP).

I ltri LP attenuano lunghezze d'onda più corte e trasmettono quelle più lunghe, i ltri SP viceversa. Entrambi vengono caratterizzati dalle lunghezze d'onda di taglio denite come quelle lunghezze d'onda a cui la trasmissione è pari al 50% della tra-smissione al picco; nel caso di ltri LP si parla di lunghezza d'onda di Cut-on, nel caso di ltri SP si parla di lunghezza d'onda di Cut-o. La trasmissione media è calcolata sulla regione di trasmissione del ltro.

I ltri passa-banda trasmettono una certa banda di lunghezze d'onda e sono ca-ratterizzati dalla lunghezza d'onda centrale (center wavelength CWL), che è la media aritmetica delle due lunghezza d'onda a cui la trasmissione è pari al 50% rispetto al picco, e dalla larghezza di banda (chiamata FWHM ) che è data dalla dierenza tra le due lunghezze d'onda a cui la trasmissione è pari al 50% rispetto al picco. Esistono anche ltri multi-banda che hanno due, tre o quattro bande di trasmissione.

Il dicroico è un ltro interferenziale in cui la luce non trasmessa viene riessa, solitamente ottimizzato per incidenza a 45°; nei cubi a uorescenza più comuni si utilizzano dicroici che riettono lunghezze d'onda più corte e trasmettono lunghezze d'onda più lunghe.

Grazie allo spostamento di Stokes (per il quale l'emissione di uorescenza avviene a lunghezze d'onda maggiori rispetto all'assorbimento), lo specchio dicroico può essere utilizzato per riettere la luce di eccitazione e trasmettere quella di emissione. Viene posizionato inclinato di 450 rispetto alla luce di eccitazione in modo da rietterla con

un angolo di 900. Dicroici utilizzati al giorno d'oggi raggiungono un'ecienza media

maggiore o uguale al 90% sia per la riettività della luce di eccitazione che per la trasmittività della luce di emissione.

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Figura 1.9: Esempio di utilizzo dei ltri e del dicroico in relazione agli spettri di emissione ed eccitazione di un uoroforo. In azzurro è rappresentato lo spettro di eccitazione, in verde quello di emissione, con linee nere continue lo spettro di tra-smissione dei ltri di eccitazione, emissione, e del dicroico; per quest'ultimo bisogna considerare che dove la trasmittività è bassa, la riettività è alta.

In Figura 1.9 è riportato un esempio di utilizzo dei ltri e del dicroico in relazione agli spettri di emissione e assorbimento di un uoroforo.

Obiettivo e risoluzione di un microscopio.

L'obiettivo è probabilmente il componente più importante di un microscopio ottico, responsabile di risoluzione ed ingrandimento.

In generale, l'obiettivo è un sistema di lenti, caratterizzato da parametri quali l'apertura numerica, l'ingrandimento, il grado di correzione di aberrazioni, il mezzo di immersione. Solitamente un obiettivo è ottimizzato per un dato corpo di microscopio (stativo), che ha determinate caratteristiche quali la lunghezza del tubo ottico ed il tipo di correzioni, per cui è sconsigliato utilizzare obiettivi prodotti da una ditta diversa da quella produttrice dello stativo utilizzato.

L'ecienza di raccolta della luce emessa dal campione da parte dell'obiettivo è espressa tramite il parametro di apertura numerica (NA), espresso dalla seguente relazione:

N A = n sin α

dove α è metà dell'apertura angolare dell'obiettivo e n è l'indice di rifrazione del mezzo compreso tra l'obiettivo ed il campione (detto mezzo di immersione).

Nelle applicazioni biologiche la luce di emissione attraversa solitamente uno strato di vetro (a causa della presenza di un supporto per il campione); quindi, come illustra-to in Figura 1.10, se il mezzo di immersione è aria, l'ecienza di raccolta della luce è limitata dai fenomeni di rifrazione e di riessione totale che si vericano all'interfaccia vetro-aria. Se invece il mezzo di immersione è un olio con indice di rifrazione circa uguale a quello del vetro, si evitano deviazioni dei raggi luminosi e la raccolta della luce è più eciente; in questo modo si possono raggiungere aperture numeriche no a circa 1.4.

Utilizzando campioni costituiti da cellule vive (che devono essere immerse in un mezzo acquoso), per produrre immagini in profondità (oltre 10 micron) è conveniente

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Figura 1.10: Eetto del mezzo di immersione sull'apertura numerica. Nella gura (a) il mezzo è aria; si possono osservare fenomeni di rifrazione (raggio 3) e riessione totale (raggi 4 e 5) all'interfaccia vetro-aria che limitano la raccolta della luce emessa dal campione. Nella gura (b) il mezzo di immersione è olio caratterizzato dallo stesso indice di rifrazione del vetro; in questo caso non si osservano deviazioni dei raggi luminosi quando attraversano la supercie di separazione vetro-olio: l'apertura numerica è incrementata di un fattore pari all'indice di rifrazione dell'olio.

l'utilizzo di un obiettivo ad acqua per evitare distorsioni causate dalla dierenza di indici di rifrazione tra acqua e vetro.

L'apertura numerica dell'obiettivo determina il suo potere risolvente. Quest'ulti-mo è denito come la capacità di distinguere i dettagli, ossia la minima distanza a cui due punti distinti possono essere visti come oggetti separati. L'immagine di un oggetto puntiforme prodotta sul piano dal sistema ottico è una gura di dirazione detta gura di Airy, costituita da un disco centrale e una serie di anelli concentrici intorno. Il disco centrale contiene circa l'84% dell'intensità luminosa. L'immagine tridimensionale della sorgente puntiforme prodotta dal sistema è nota come funzio-ne di allargamento del punto (Point Spread Function, PSF). Nella Figura 1.11 sono rappresentati i proli laterale (gura di Airy) e assiale della PSF.

Secondo il criterio di Rayleigh, quando il centro di un disco di Airy di un primo oggetto si sovrappone al primo minimo della gura di dirazione di un altro oggetto, i due oggetti sono al limite della risoluzione e possono ancora essere distinti; se le due gure di Airy sono più vicine i due oggetti si considerano per convenzione non risolti. Le relazioni di Abbe legano la risoluzione all'apertura numerica e alla lunghez-za d'onda della luce utilizlunghez-zata per formare l'immagine. Secondo queste relazio-ni, nel caso di illuminazione di Köhler ideale (apertura del fascio di illuminazio-ne uguale all'apertura numerica dell'obiettivo) le risoluzioni laterale e assiale sono rispettivamente: dxy≈ λ 2N A (1.1) dz≈ 2nλ N A2 (1.2)

Un'altra importante caratteristica dell'obiettivo è il grado di correzione delle razioni. Le aberrazioni possono essere policromatiche o monocromatiche. Le aber-razioni monocromatiche sono dovute principalmente alla supercie sferica delle lenti (possono essere ad esempio aberrazioni sferiche o eetti di curvatura di campo); le aberrazioni policromatiche sono invece dovute alle variazioni dell'indice di rifrazione

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Figura 1.11: In alto è mostrata l'immagine di una sorgente di luce puntiforme prodotta dal sistema ottico: a sinistra l'immagine sul piano xy, in questo caso l'im-magine è detta gura di Airy ed è formata da un disco centrale e una serie di anelli concentrici intorno; a destra l'immagine nel piano yz. Le immagini sono mostrate con una scala di grigi logaritmica. In basso è illustrato il criterio di Rayleigh: la linea continua più sottile e quella tratteggiata rappresentano il prolo di intensità (lungo x o y) di due sorgenti puntiformi di uguale intensità al limite di risoluzione: il massimo di una (corrispondente al centro del suo disco di Airy) coincide con il primo minimo dell'altra come indicato dalla freccia. La linea scura rappresenta il prolo di intensità totale che viene prodotto dalle due sorgenti: tra i due massimi si ha una caduta di intensità pari a circa il 20%.

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delle lenti con la lunghezza d'onda. Queste ultime causano dierenze nell'ingrandi-mento e nella posizione del punto focale tra diverse lunghezze d'onda.Gli obiettivi detti acromatici sono corretti per aberrazioni cromatiche su due lunghezze d'onda (solitamente 486 e 656 nm, ossia blu e rosso) e per aberrazioni sferiche su una lun-ghezza d'onda; gli obiettivi con il maggior grado di correzione sono detti apocromatici e sono corretti esattamente per aberrazioni cromatiche in tre colori (rosso, verde e blu) e per aberrazioni sferiche in due o tre lunghezze d'onda.

Inoltre gli obiettivi detti piani correggono eetti di curvatura di campo. Microscopia a uorescenza a riessione totale interna (TIRF)

La microscopia a uorescenza a riessione totale interna (TIRF) è una tecnica che permette di limitare l'eccitazione del campione a una sottile regione adiacente all'in-terfaccia tra due mezzi con diverso indice di rifrazione.

In particolare nelle applicazioni biologiche, avendo un campione costituito da cel-lule immerse in un mezzo acquoso e contenute in un supporto con un fondo in vetro, si può sfruttare il fenomeno di riessione totale all'interfaccia vetro-acqua. Per la legge della rifrazione di Snell, se nel passaggio da un mezzo a indice di rifrazione maggiore (il vetro ha indice di rifrazione n1= 1.52) a un mezzo con indice di rifrazione minore

(l'acqua ha indice di rifrazione n2 = 1.33 ) l'angolo di incidenza raggiunge o supera

il valore critico:ϑc = arcsin(nn2

1) = 61º, non si ha onda rifratta bensì una riessione

totale. Per soddisfare le equazioni di Maxwell nei materiali e le condizioni al contorno associate, i campi nel mezzo acquoso non possono essere nulli e si ha la penetrazione di un'onda evanescente la cui intensità decresce esponenzialmente secondo l'equazione: I(z) = I(0)e−z/d dove I(z) rappresenta l'intensità a una distanza z dall'interfaccia,

I(0)rappresenta l'intensità subito sopra l'interfaccia e d è la lunghezza di penetrazio-ne. Quest'ultima può essere espressa in funzione della lunghezza d'onda di eccitazione λ, degli indici di rifrazione dei due mezzi e dell'angolo di incidenza ϑ:

d = λ 4π(n2 1sin2ϑ − n 2 2) 1/2. (1.3)

Valori adabili per le lunghezze di penetrazione in microscopi TIRF commerciali sono di solito intorno a valori compresi tra 30 e 300 nm; la lunghezza di penetrazione d è indipendente dalla direzione di polarizzazione della luce incidente e decresce al crescere dell'angolo di incidenza.

La tecnica TIRF si rivela ideale per studiare processi che avvengono sulla mem-brana di cellule che si trovano adese al fondo in vetro del supporto che le contiene: limitando la profondità di eccitazione viene diminuito il segnale di fondo proveniente dal resto del campione, migliorando in questo modo il rapporto segnale-rumore ed inoltre aumentando la sopravvivenza delle cellule che saranno meno soggette a danni fotoindotti.

L'intensità dell'onda evanescente all'interfaccia I(0) dipende sia dall'angolo di in-cidenza che dalla polarizzazione del fascio. Denendo come piano di inin-cidenza il piano xz formato dalle direzioni parallela (x) e perpendicolare (z) all'interfaccia, sono possibili due direzioni indipendenti di polarizzazione della luce incidente: parallela (polarizzazione p) e perpendicolare (s) al piano di incidenza. Per luce di incidenza con polarizzazione s, il campo elettrico dell'onda evanescente all'interfaccia ha solo la componente perpendicolare al piano di incidenza (y); per luce di incidenza con polarizzazione p, invece, il campo elettrico dell'onda evanescente all'interfaccia ha una direzione che giace nel piano di incidenza, quindi ha componenti in direzione x e in direzione z (vedi Fig. 1.12). La Figura 1.13 mostra un confronto tra l'intensità dell'onda evanescente nel caso di polarizzazione s e nel caso di polarizzazione p.

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Figura 1.12: Sistema di coordinate in cui è rappresentata la direzione del cam-po evanescente nel caso di cam-polarizzazione parallela o perpendicolare al piano di incidenza.

Figura 1.13: Intensità relativa dell'onda evanescente in funzione dell'angolo di in-cidenza nel caso di polarizzazione perpendicolare (s-Polarized Ligth) e parallela (p-Polarized Ligth) al piano di incidenza. L'intensità relativa è calcolata come rapporto tra l'intensità dell'onda evanescente all'interfaccia e l'intensità incidente nel caso di un'interfaccia tra quarzo fuso (n=1.46) e acqua (n=1.33). L'angolo critico in questo caso ha un valore di 65.7 gradi.

Nella microscopia TIRF vengono eccitati quindi uorofori che si trovano entro una distanza dall'interfaccia che è tipicamente intorno a 100 nm; la luce proveniente da uorofori situati così vicini ad un'interfaccia e che può raggiungere l'obiettivo ha un un complesso prolo spaziale dipendente dall'orientamento del momento di dipolo del uoroforo rispetto alla geometria dell'interfaccia. Considerando il prolo rappresentato in Figura 1.14, se l'obiettivo è posizionato sotto il campione (come di solito accade nei microscopi detti invertiti per studi su colture cellulari) e il dipolo è disposto in maniera perpendicolare all'interfaccia, è richiesta un'alta apertura numerica dell'obiettivo per raccogliere ecientemente la luce di emissione. Comunque, un'alta apertura numerica (tipicamente intorno a 1.4 o superiore) è anche richiesta per poter avere un angolo di incidenza maggiore dell'angolo critico e quindi realizzare

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Figura 1.14: Prolo di emissione non isotropo di uorofori vicini a un'interfac-cia nei due casi di dipolo parallelo e perpendicolare all'interfacun'interfac-cia. Questi pro-li sono ottenuti modellizzando i uorofori come dipoli oscillanti posti a 80 nm dall'interfaccia.

Figura 1.15: Utilizzo di un obiettivo ad alta apertura numerica per realizzare la condizione di riessione totale nella microscopia TIRF.

la condizione di riessione totale (Figura 1.15).

Utilizzando come sorgente di illuminazione la luce laser, questa deve essere foca-lizzata sulla periferia dell'apertura posteriore dell'obiettivo per garantire che la luce esca dalla lente frontale collimata e con un angolo di incidenza superiore all'angolo critico. Utilizzando un sorgente di luce non coerente, invece, viene introdotto un di-sco opaco nel cammino ottico per far sì che la luce passi attraverso la regione esterna dell'apertura posteriore dell'obiettivo; in questo modo vengono bloccati i raggi che si trovano al centro del cono di illuminazione i quali emergerebbero a un angolo infe-riore all'angolo critico e, propagandosi in profondità nel campione, aumenterebbero il segnale di fondo.

La distanza di penetrazione del campo evanescente può essere controllata in manie-ra riproducibile cambiando la distanza manie-radiale dall'asse del punto (o della zona) sulla pupilla dell'obiettivo da cui proviene la luce di eccitazione: aumentando tale distanza anche l'angolo di incidenza aumenta e la distanza di penetrazione diminuisce. Rivelatore EMCCD

Fra i rivelatori multicanale più utilizzati in microscopia a uorescenza ci sono i dispositivi ad accoppiamento di carica (Charge Coupled Device: CCD).

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Lo strato di rilevazione è organizzato in una matrice di elementi fotosensibili detti pixel; in ogni pixel viene accumulata una carica proporzionale all'energia che è stata rilasciata dalla radiazione incidente. La rivelazione della radiazione e l'accumulo di carica in ogni pixel è basata sulle proprietà del capacitore MOS (metal oxide semi-conductor). Quest'ultimo è costituito da un substrato di semiconduttore (solitamente silicio) con drogaggio di tipo p, un sottile strato di isolante (biossido di silicio) e inne un elettrodo conduttore (il gate). Applicando al gate un voltaggio positivo si crea nel semiconduttore una regione di svuotamento attigua allo strato di isolante in cui, grazie ad una buca di potenziale, è possibile accumulare i fotoelettroni prodotti dalla radiazione incidente. Infatti, quando la radiazione penetra nello strato di silicio libera per eetto fotoelettrico delle coppie elettrone-lacuna: le lacune sono portate dal cam-po elettrico lontano dalla zona di svuotamento, gli elettroni vengono invece attirati in questa zona e non potendo attraversare lo strato isolante vengono accumulati.

In un CCD, grazie alla presenza di tanti elettrodi sullo stesso substrato, vengono create delle buche di potenziale distinte per ogni pixel: i fotoelettroni liberati dal-la radiazione incidente nelle dimensioni di un pixel sono accumudal-lati neldal-la buca di potenziale corrispondente a quel pixel.

Le colonne di pixel sono elettricamente separate tramite dei channel stops che impediscono la migrazione laterale degli elettroni fuori dalla zona di svuotamento.

Figura 1.16: Schema di un EMCCD. Sono evidenziate l'image section e la store section, le cui funzioni sono descritte nel testo. In basso è visibile anche il registro di lettura (readout register) in cui la carica è trasferita per la lettura del segnale e il registro di moltiplicazione (multiplication register), caratteristico degli EMCCD, in cui il segnale viene amplicato.

Alla fase di accumulo delle cariche durante il tempo di esposizione, segue la fase di lettura del segnale. In un dispositivo a trasferimento di immagine (frame transfer), oltre alla matrice di elementi fotosensibili in cui si crea il segnale (image section), è presente un'altra area con lo stesso numero di elementi protetta dalla luce (store section). Trascorso il tempo di esposizione, il segnale è trasferito molto rapidamente (tipicamente in tempi dell'ordine di centinaia di microsecondi ) in questa zona, da dove poi viene letto il contenuto di carica di ogni elemento; in questo modo, mentre avviene la lettura, nella zona di rivelazione si può continuare ad accumulare segnale con ritardo trascurabile tra due successive esposizioni (Figura 1.16 ).

La caratteristica di un CCD è la modalità di lettura del segnale. Questa avviene facendo scorrere le righe di pixel della store section una alla volta nel registro di lettura.

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Figura 1.17: Sistema di trasferimento di carica a tre fasi utilizzato nel CCD. Le tre situazioni illustrate sono spiegate nel testo.

Viene utilizzato un processo di trasferimento di carica che permette di far scorrere lungo ogni colonna di pixel le cariche accumulate mediante una regolazione dei po-tenziali degli elettrodi. Un metodo (detto a tre fasi) è quello di avere tre elettrodi per ogni pixel: uno di accumulo e due di barriera: se il potenziale dell'elettrodo centrale è maggiore del potenziale degli altri due, i fotoelettroni tenderanno ad accumularsi nella buca corrispondente a quell'elettrodo, come nella situazione iniziale della Figura 1.17

Quando il terzo elettrodo viene portato alla stessa tensione del secondo, la carica si distribuisce in corrispondenza di questi due elettrodi (situazione intermedia della Figura 1.17); successivamente il potenziale del secondo viene portato al livello del primo e così la carica è trasferita in corrispondenza del terzo elettrodo (situazione nale della Figura 1.17). Continuando in questo modo, al passaggio successivo la carica di questo pixel si distribuirà parzialmente anche nel pozzo successivo e sarà poi trasferita completamente in quest'ultimo. Diverse buche di potenziale rimangono sempre separate e quindi viene conservata l'informazione relativa ai singoli pixel.

Quando i pacchetti di carica di una riga sono stati portati nel registro di lettu-ra, un ulteriore processo di trasferimento di carica li può portare verso il registro di moltiplicazione (o direttamente al convertitore di uscita in caso di CCD senza molti-plicazione elettronica). Questo spostamento orizzontale si compie in modo analogo a quello verticale, con una regolazione opportuna dei potenziali degli elettrodi.

L'aggiunta del registro di moltiplicazione (Gain Register o multiplication register) è quello che distingue un CCD a moltiplicazione elettronica (electron multiplier CCD - EMCCD) da un CCD convenzionale. Il registro di moltiplicazione permette di amplicare (no a migliaia di volte) il numero di fotoelettroni prodotti dalla luce incidente grazie al fenomeno di ionizzazione da impatto.

Come illustrato in Figura 1.18, nel registro di moltiplicazione ogni elemento com-prende quattro gate.

I potenziali agli elettrodi indicati con H1 e H3 nella gura sono analoghi a quelli utilizzati in un registro di lettura standard; il gate HV invece arriva a valori di tensione più alti (no a 50V) ed è preceduto da un gate a basso potenziale ssato (DC). La dierenza di potenziale tra DC e HV favorisce il fenomeno di ionizzazione da impatto. La moltiplicazione di carica per un trasferimento solitamente aumenta il numero di elettroni solo di un fattore dell'ordine dell'1%, ma utilizzando un gran numero di trasferimenti (il registro di moltiplicazione contiene no a centinaia di elettrodi) si può ottenere un guadagno no all'ordine delle migliaia. Questo guadagno viene controllato

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Figura 1.18: Confronto tra il processo di trasferimento di carica che avviene in un registro di lettura standard (Conventional register) e il processo di trasferimento di carica che avviene in un registro di moltiplicazione di un EMCCD (EM register). La dierenza tra i due casi è spiegata nel testo. H1, H2 e H3 indicano dei gate standard, HV un gate ad alti valori di tensione e DC un gate a basso potenziale ssato.

variando il voltaggio dell'elettrodo HV e aumenta esponenzialmente con tale voltaggio. La probabilità di moltiplicazione della carica varia anche con la temperatura: più bassa è la temperatura maggiore è questa probabilità e quindi maggiore il guadagno. L'informazione corrispondente a ogni pixel dell'immagine è poi trasformata da carica a segnale di tensione ed è convertita in segnale digitale tramite un convertitore analogico-digitale.

1.3 Ricostruzione di traiettorie di singole

particel-le (SPT) per studiare dinamiche e interazioni

molecolari

I metodi di ricostruzione di traiettorie di singole particelle (single particle tracking -SPT ) consistono nel seguire nel tempo la posizione di singole molecole in modo da ricostruire le loro traiettorie ed estrarre informazioni quantitative sulla loro dinamica. Rientrano nei metodi di visualizzazione di singole molecole (single molecule ima-ging - SMI) che orono notevoli vantaggi rispetto alle tecniche in cui vengono condotte misure di insieme su un gruppo di molecole. Visualizzando singole molecole è infatti possibile ricavare la distribuzione di parametri di interesse e caratterizzare le eteroge-neità dei sistemi biomolecolari, ed è quindi possibile rivelare anche eventi rari; inoltre, è possibile ottenere informazioni su scala nanometrica, in quanto la posizione della singola molecola può essere localizzata meglio del limite di risoluzione del microscopio. La rivelazione di singole molecole richiede di disporre di una tecnica microscopica che permetta di avere un rapporto segnale-rumore adeguato, di un rivelatore ad alta sensibilità e basso livello di rumore, di sonde uorescenti brillanti e fotostabili, e, in cellule, può giovarsi di sistemi di controllo dell'espressione per avere una densità di molecole uorescenti tale da poterle visualizzare singolarmente.

1.3.1 Precisione di localizzazione

La microscopia TIRF è una delle tecniche che può essere utilizzata per la visualizza-zione di singole molecole grazie alla signicativa riduvisualizza-zione del rumore di fondo rispetto

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