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Dal testamento biologico alle direttive anticipate di trattamento: la complessa tematica del fine vita in assenza di una legge

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO

FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA

DIPARTIMENTO DI STUDI INTERNAZIONALI DI DIRITTO ED ETICA DEI MERCATI

DOTTORATO DI RICERCA IN

DIRITTO INTERNAZIONALE E DIRITTO INTERNO IN MATERIA INTERNAZIONALE

XI CICLO (NUOVA SERIE)

TESI DI DOTTORATO

DAL TESTAMENTO BIOLOGICO ALLE DIRETTIVE ANTICIPATE DI

TRATTAMENTO:

LA COMPLESSA TEMATICA DEL FINE VITA IN ASSENZA DI UNA LEGGE

TUTORS DOTTORANDA CHIAR.MA PROF.SSA ANGELA PRINCIPE DOTT.SSA GIUSEPPINA NAPOLI CHIAR.MA PROF.SSA VITULIA IVONE

COORDINATRICE

CHIAR.MA PROF.SSA MARIA CRISTINA FOLLIERO

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Indice

Capitolo I

Le fonti giuridiche in tema di testamento biologico……….….p.4

1. Cenni introduttivi……….……p.4 2. Il tentativo di offrire una definizione di “testamento biologico”……….……....p.9 3. L’assenza di una disciplina normativa e la conseguente ricerca di coordinate: l’esigenza di una ricostruzione per principi generali………..……...p.11 4. Il sistema delle fonti. La Convenzione di Oviedo………..p.12 4.1. segue. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea……...………p.15 4.2. Segue. Il Comitato Nazionale per la Biomedicina ed il Codice di deontologia medica………...…….p.18 5. Le fonti costituzionali: gli artt. 2, 13 e 32 Cost… ………..…….p.21 6. L’art. 5 c.c. : tra la tutela della vita e la libertà di disposizione del proprio corpo………...………p.29 7. L’esistenza di un “diritto a morire” alla luce della disciplina penalistica…..p..33

Capitolo II

L’evoluzione del consenso informato tra diritto e dovere di cura e i più recenti approdi giurisprudenziali……….………….p.40

1. Il “diritto – dovere” alla salute alla luce della disposizione dell’art. 32 della Costituzione……….………..p.40 2. Il consenso all’atto medico: la sua evoluzione attraverso l’esame dei Codici di deontologia medica………..……….p.45 3. Il consenso informato nelle ricostruzioni della giurisprudenza costituzionale……….………p.58

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3

4. La manifestazione del consenso in caso di rifiuto dei trattamenti salva vita: rifiutabilità o non rifiutabilità degli stessi………..………p.67 5. Il consenso nel paziente capace di intendere e di volere e sue modalità di accertamento; le differenze con il paziente incapace……….p.70 6. La sentenza n. 2847 del 2010, consenso informato e profili civilistici……….p.78 7. Rilevanza penale del consenso informato……….….p.85

Capitolo III

Il principio di autodeterminazione in ambito medico-sanitario……….….p.92

1. Il principio di autodeterminazione: dall’originario approccio filosofico alle più attuali utilizzazioni del termine………..p.92 2. La ricerca di un fondamento costituzionale al principio di autodeterminazione………...………….p.97 3. Un esempio di forzata interpretazione del principio di autodeterminazione: il “Caso Englaro”………p.102 4. L’esigenza di un “bilanciamento” tra principi e valori………...p.107 5 I più recenti approdi giurisprudenziali in tema di lesione del diritto di autodeterminarsi……….………..p.112 6. Consenso viziato e tutela dell’autodeterminazione. La teoria del diritto strumentale……….…..p.115 7. L’astratta configurabilità di un risarcimento per lesione del diritto all’autodeterminazione terapeutica………..……p.119 8. I contenuti della nuova “alleanza terapeutica”……….……p.124

Capitolo IV

La forma di manifestazione della libertà di autodeterminazione: dalla nozione tecnicamente imprecisa di testamento biologico alle direttive anticipate di trattamento………..……….p.129

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1. L’inadeguatezza dell’espressione “testamento biologico”, quale strumento di manifestazione di future volontà in tema di cure mediche………..p.129 2. Il ricorso alle “Direttive anticipate di trattamento” come strumento meglio qualificato a manifestare il consenso informato al trattamento medico……...p.134 3. Dissenso informato e eutanasia, le strettoie di una differenziazione………...p.136 4. L’efficacia delle direttive anticipate ed il c.d. “testamento di sostegno”…….p.138 5. I registri comunali dei testamenti biologici……….p.141 6. Uno sguardo all’esperienza degli altri Paesi………p.143 7. Il progetto di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento……..……..p.147 8. La distinzione tra trattamento terapeutico e normale mezzo di sostentamento...p.156 9.L’inadeguatezza del d.d.l……….p.158

Considerazioni conclusive……….p.161

(5)

5

Capitolo I

Le fonti giuridiche in tema di testamento biologico

SOMMARIO: 1. Cenni introduttivi. 2. Il tentativo di offrire una definizione di “testamento

biologico”. 3. L’assenza di una disciplina normativa e la conseguente ricerca di coordinate: l’esigenza di una ricostruzione per principi generali. 4. Il sistema delle fonti. La Convenzione di Oviedo. 4.1. segue. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. 4.2. Segue. Il Comitato Nazionale per la Biomedicina ed il Codice di deontologia medica. 5. Le fonti costituzionali: gli artt. 2, 13 e 32 Cost. . 6. L’art. 5 c.c. : tra la tutela della vita e la libertà di disposizione del proprio corpo. 7. L’esistenza di un “diritto a morire” alla luce della disciplina penalistica.

1. Cenni introduttivi.

Quella del fine vita è notoriamente una tematica complessa ed estremamente delicata.

Ciò che un tempo sarebbe stato rimesso alla natura ed alle sue leggi, attualmente è oggetto di valutazioni multidisciplinari poiché, da un lato, lo studioso del diritto si approccia ad esse alla luce dei principi di dignità umana1, uguaglianza ed autonomia, dall’altro lato, le medesime fattispecie sono analizzate sulla base delle regole e dei parametri che ogni scienza erge a proprio criterio di riferimento2.

Il primo dato inconfutabile da cui occorre prendere le mosse è, certamente, quello per cui, in materia di fine vita, discipline diverse si sono da sempre incontrate e scontrate, talvolta trovando spazi di convergenza e dialogo, talaltra trincerandosi ciascuna dietro le proprie regole ed i propri fondamenti.

1 <<The living will and its relashinship with philosophical and ethicol issues must lead the lawyer

top u the value of human dignity at the foundation of law>> così è stato osservato da V. IVONE, Exploring self-determination and informed consent in advance directives in light of the Italian legal system, in S.Negri (a cura di), Self-determination, Dignity and End of life care, Boston, 2011, p. 382

ss.

2

S. RODOTÀ, La vita e le regole, Milano, 2006, p. 247 ss.; A. SANTOSUOSSO- V. SELLAROLLI,

Coscienza, volontà e diritti fondamentali nei pazienti in stato vegetativo permanente, in La vita prima della fine, Galletti e Zullo, Firenze, 2008, p. 72 ss.

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Il giurista che voglia avventurarsi in una tanto intricata, quanto affascinante materia, pertanto, è chiamato a dialogare sia con la scienza che con la bioetica3 oltrepassando, quindi, il proprio abitudinario campo d’indagine che è quello delle norme4 e del sistema che esse costituiscono, il c.d. “ordinamento giuridico”5.

In seno ad una riflessione squisitamente giudica, come quella oggetto del presente lavoro di ricerca, occorre, dunque, rilevare come l’esistenza di un ordinamento giuridico consenta, in presenza di un fatto della realtà sprovvisto di disciplina, di ricostruire pur sempre una base di regole che ad esso possa applicarsi.

Tale considerazione assume rilievo fondamentale e, persino determinante, in una tematica come quella che qui si sta affrontando: il fine-vita.

Le varie fonti del diritto consentono di elaborare dei principi cui il giudice può fare riferimento di fronte al problema che egli è chiamato a risolvere, decidendo così il caso concreto.

Tale discorso è ancor più decisivo ove si consideri il fatto che In Italia manca una normativa ad hoc che si occupi dell’autonomia privata della persona nella fase finale della sua esistenza ed a tale assenza si contrappone un ricco e stimolante dibattito relativo alla possibilità di stabilire se l’ordinamento ad oggi vigente consenta o meno alla persona umana di disporre di beni quali l’integrità psico-fisica e, soprattutto, la propria vita6.

Come è stato autorevolmente osservato: <<La vita e la morte irrompono nel

diritto con pregnanza tale da mettere in discussione tutte le grandi costruzioni e le

3 Per un approfondimento sul rapporto tra consenso informato e biodiritto internazionale, si

vedano le considerazioni svolte da S. NEGRI, The right to informed consent at the convergence of

International biolaw and International human rights Law, , in S.Negri (a cura di), Self-determination, Dignity and End of life care, Boston, 2011, p. 23 ss.

4

Dalla nozione di norma dipende concettualmente la nozione di fonte materiale, intesa come prescrizione generale e astratta. Tuttavia, nella letteratura teorico-generale, vi è un modo di esprimersi secondo cui il nome di ‘norma’ conviene non solo alle prescrizioni generali ed astratte, bensì anche ai precetti singolari e concreti, contenuti in dispositivi di sentenze o di atti amministrativi, come pure in clausole contrattuali. Cfr. H.KELSEN, General theory of law and State, Harward University Press, 1945

5

Quando si parla di ordinamento giuridico si suole far riferimento ad un insieme di norme valide dotato di due proprietà rilevanti: dinamicità e sistematicità. Per un approfondimento relativamente alla struttura dell’ordinamento ed il suo rapporto con la norma giuridica, v. R.GUASTINI, Teoria e

dogmatica delle fonti, in Tratt..dir. civ. , Cicu e Messineo, vol. I, Milano, 1998, p. 121 ss.

6

S. PATTI, L’autonomia decisionale della persona alla fine della vita, in AA.VV., Testamento

biologico: riflessione di dieci giuristi, Fondazione Umberto Veronesi, Milano, 2006, p. 1 ss. L’assenza

di una specifica disciplina ha determinato il ricorso a fonti di diritto civile e penale e sempre tenuto conto dei principi di matrice costituzionale, nonché delle raccomandazione del CNB sul tema “fine della vita umana”. Secondo l’A. tali documenti costituiranno vero e proprio punto di riferimento per comprendere in che modo possa evolvere l’ordinamento italiano nella materia in esame.

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grandi certezze del diritto>>7. Sicché, da quando l’uomo è uomo, la questione relativa alla sua nascita ed alla sua morte ha costituito uno dei più grandi misteri dell’esistenza umana.

Preliminarmente, occorre considerare che l’uomo “moderno” non è stato mai estraneo alla formulazione di regole che disciplinassero il venire al mondo ed il dipartire dallo stesso.

Per l’uomo, infatti, non meno profondo di quello legato alla nascita è il dilemma legato alla morte, in particolare, la questione che più ha interrogato ed attratto la comune attenzione ha riguardato l’esistenza o meno di una possibilità in ordine alla scelta di vivere o morire, laddove le condizioni di salute di una persona fossero tali da rendere la vita particolarmente complessa e faticosa nello svolgimento delle sue ordinarie incombenze.

E’ stato sostenuto prioritario seguire le regole dell’esperienza ossia, prima tra tutte, la domanda collettiva di un bene che consiste nella dignità del morire8.

Tale aspirazione, dal punto di vista etico-giuridico, si è a lungo tradotta nella valutazione ponderata di quello che gli inglesi chiamano “best interest” del paziente.

Il tema, in quanto “eticamente sensibile”, si presta ad essere oggetto di confronto e scontro tra istanze morali, ideologiche e politiche e che trova posizioni diametralmente opposte tra correnti di pensiero di tipo radicale, in cui prevale il riconoscimento di un indiscriminato diritto alla libertà di determinazione dell’individuo9 (fino ad auspicare il ricorso all’eutanasia) ed impostazioni totalmente diverse di profonda difesa della vita10, la maggior parte delle quali sono di matrice cattolica11.

7 G. RESTA, Biodiritto (voce), in AA.VV., XXI Secolo, Norme ed idee, Enciclopedia Italiana Treccani,

Roma, 2009, p. 51

8

D. MALTESE, Il “testamento biologico”, in Riv. Dir. Civ. ( a cura di) W. Bigiavi- A. Trabucchi, n. 4, 2006, p. 525 ss.

9 Sulle quali lungamente si soffermeremo nei capitoli successivi del presente lavoro per ragioni di

tipo logico-sistematico.

10

M. SACCHI, Il testamento biologico tra tutela del diritto alla vita e libertà di autodeterminazione, in Vita Not. , n. 3, p. 1346 ss. qui l’A. si occupa dei rapporti tra testamento biologico e living will anglo-americano.

11 M. CANONICO, Eutanasia e testamento biologico nel magistero della chiesa cattolica, in Il diritto

di famiglia e delle persone, 2007, n. 4, p. 337 ss. Per comprendere la posizione della Chiesa cattolica

riguardo al tema del fine-vita bisogna considerare che il diritto canonico si fonda essenzialmente sul diritto divino, posto cioè dal Creatore, distinto in naturale e positivo a seconda che discenda dalla creazione stessa , o sia stato rivelato successivamente risultando dalle sacre scritture. In particolare il diritto naturale è costituito da un insieme di precetti che, prescindere dalla rivelazione, possono essere compresi e fatti propri dall’uomo nella sua razionalità (Così G. BARBERINI, Elementi

essenziali dell’ordinamento giuridico canonico, 2° ed., Torino, 2008); può pertanto affermarsi che i

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Con l’intensa trasformazione tecnologica e l’estendersi delle fasi finali della vita nascono nuove problematiche e necessità legate, da un lato, alla condizione del malato, soprattutto quello terminale, e dall’altro, al ruolo del medico.

Si comincia a delineare il c.d. “diritto a morire con dignità”, espressione piuttosto ambigua con cui si fa riferimento, da un lato, al ricorso agli analgesici per alleviare il dolore e, più in generale, alle cure palliative, dall’altro al rifiuto o alla sospensione di trattamenti eccezionali, che non hanno più valore di terapia. In tal senso si delinea il rifiuto dell’accanimento terapeutico, che si configura qualora si ricorra ad un trattamento di constatata inefficacia, cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato o di sofferenza ulteriore per il paziente o si intraprenda un trattamento chiaramente sproporzionato nel rapporto rischi-benefici12.

L’utilizzo sempre più invasivo di sofisticati macchinari e di nuovi metodi di cura del paziente solleva, quindi, inevitabilmente, questioni di varia natura, le quali attingono non solo alla problematica definizione del limite terapeutico e della sua proporzione rispetto al risultato atteso ma, più ampiamente, all’orizzonte della libertà e della ricerca scientifica.

Il dibattito politico italiano, soprattutto a seguito di casi giudiziari che hanno scosso notevolmente l’opinione pubblica, si è incentrato, negli ultimi anni, sull’opportunità di disciplinare, sul piano del diritto positivo, ciò che comunemente viene definito “testamento biologico”.

Particolari problemi sorgono, infatti, quando il paziente non sia più in grado di esprimere la propria volontà e di opporsi a determinati trattamenti. In tal caso possono verificarsi due situazioni: o il malato ha manifestato in precedenza la sua volontà, ed è questo l’ambito in cui si collocano il testamento biologico e le problematiche sulla sua ammissibilità, o manca del tutto un’indicazione precisa in tal senso, discutendosi, quindi, se possa essere ritenuta determinante la volontà del medico o se si possa ricorrere ad una sorta di presunta volontà del paziente desunta da specifici elementi.

Finora, in assenza di una valida normativa di legge, il necessario consenso a determinati trattamenti sanitari da parte di soggetti incapaci è stato sostituito dal

vincolano tutti gli uomini e non sono suscettibili di deroga , né interpretativa, né applicativa. La posizione della Chiesa è stata comunque esplicitamente espressa in Congregazione per la dottrina della fede, Dichiarazione Iura et Bona, 5 maggio 1980, in Enchiridion vat., n. 7, Documenti ufficiali della Santa Sede 1980-81, Ed. Dehoniane, Bologna, 1982, p. 341 ss.

12

C. VIAFORA , Il diritto a morire con dignità: quattro tesi sull’etica dell’accompagnamento, in A. Argiroffi, P. Becchi, A.P. Viola, D. Anselmo (a cura di), I diversi volti dell’eutanasia. Prospettive

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consenso di “altri”: dalla volontà di un medico, di un giudice, di un familiare13. E ciò a scapito della libertà di autodeterminazione dell’individuo, in un terreno che pone certamente rilevanti problemi etici di demarcazione dei confini entro i quali tale libertà possa esprimersi. La difficoltà di individuazione di tale terreno dipende certamente dal fatto che diametralmente opposti sono i punti di partenza, per cui, a maggior ragione, lo sono quelli di arrivo. Si contrappongono, infatti, impostazioni ideologiche basate su istanze radicali che spingono verso un indiscriminato diritto alla libera determinazione della persona, giungendo al riconoscimento dell’ “eutanasia” tout court, ed impostazioni, altrettanto radicali, che giungono ad una vera e propria “idolatria della vita” nella sua dimensione biologica, prescindendo da qualsiasi considerazione “qualitativa” della stessa.

L’unanime consenso circa la necessità di rispettare il fondamentale valore della dignità umana trova un ostacolo di rilievo etico nel momento in cui si discute del rifiuto di trattamenti sanitari nei confronti di malati terminali, cioè di rifiuto di interventi che possano mantenere in vita un soggetto affetto da malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili.

A ben guardare, il nostro ordinamento giuridico già offre validi strumenti per analizzare la fattispecie del c.d. testamento biologico (meglio “direttive anticipate di trattamento sanitario”) dal punto di vista della sua liceità, la quale, a sua volta, presuppone un giudizio di valore già effettuato dal legislatore italiano in relazione ai beni ed ai principi da tutelare in via primaria.

Attraverso i principi e le disposizioni costituzionali, attraverso il limite invalicabile dell’art. 5 del codice civile (per i motivi che più avanti si andranno a specificare), attraverso il quadro penalistico e, attraverso tutte le fonti non strettamente vincolanti ma in grado di incidere fortemente sull’agere umano, è

13 In particolare non è mancato qualche autore che ha rilevato come l’istituto dell’amministrazione

di sostegno, introdotto con legge n. 6 del 9 gennaio 2004, svolga un ruolo fondamentale proprio in materia di determinazioni mortis causa ove il soggetto versi in uno stato di incapacità tale che lo renda impossibilitato ad assumere decisioni in ordine alla propria cura. Si è sostenuto, inoltre, con riguardo all’impossibilità temporanea, contemplata all’art. 404 c.c., o alla nomina dell’amministratore di sostegno provvisorio, ex art. 405, comma 6, c.c., che una persona , alla vigilia di un intervento chirurgico, potrebbe designare un soggetto affinché assuma decisioni in ambito medico nel tempo in cui essa non sarà in grado di intendere e di volere. Ampia è stata la letteratura in materia; si segnala, in particolare, G. BONILINI, A. CHINIZZI, L’amministrazione di

sostegno, Padova, 2004, p. 44 ss.; G. CAMPESE, L’istituzione dell’ amministrazione di sostegno e le modifiche in materia di interdizione e di inabilitazione, in Fam e dir., 2004, p. 126 ss.; AA.VV. , L’amministrazione di sostegno. Una nuova forma di protezione dei soggetti deboli, a cura di G.

Ferrando, Milano, 2005, p. 57 ss. Di recente la giurisprudenza si è pronunciata in senso negativo sull’ammissibilità di preventiva nomina di amministratore di sostegno per il successivo e futuro momento di incapacità, si rimanda, per tanto a Cass. Civ., sez. I, 20 dicembre 2012 n. 23707, in D&G, 2012, 0, p. 1105 ss. con nota di A. IEVOLELLA, Testamento biologico e amministratore di

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possibile individuare un quadro di riferimento che rende la tematica del fine vita, non espressamente disciplinata, pur tuttavia, non totalmente sprovvista di tutela (come si avrà modo di rilevare di qui a breve).

Ciò considerato comincia a delinearsi l’oggetto di indagine cui questa ricerca è rivolta: lo scopo di questo lavoro vuole essere quello di ricostruire l’attuale quadro delle fonti in materia di testamento biologico e di analizzare quanto sia emerso dalla prassi delle Corti dei vari Paesi, puntando lo sguardo su alcune delle vicende che hanno interessato il diritto europeo in generale, ed il diritto italiano, più in particolare. Il discorso non può che prendere le mosse che da una definizione dell’istituto.

2. Il tentativo di offrire una definizione di “testamento biologico”.

Innanzi tutto, corre obbligo di tentare una definizione del testamento biologico.

Esso costituirebbe una dichiarazione anticipata di trattamento sanitario, con cui un soggetto, in condizioni di capacità e lucidità mentale, si esprime in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell’eventualità in cui dovesse trovarsi, in futuro, in situazioni di incapacità tale da non poter esprimere coscientemente la propria volontà, restando in vita per mezzo di trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione14 .

Il testamento biologico è proprio il “luogo”(documento) in cui tale volontà può essere espressa.

Dal punto di vista giuridico l’espressione “testamento biologico” è imprecisa perché il testamento, come ben noto, è un atto di volontà destinato ad avere efficacia dopo la morte del testatore, è un atto c.d. “mortis causa”, con il quale “si

dispone delle proprie sostanze o di parte di esse”15.

14 M. SACCHI, Il testamento biologico tra tutela del diritto alla vita e libertà di autodeterminazione,

in Vita Not., 2009, 3, p. 1345; AA. VV. , Rifiuto di cure e direttive anticipate – Diritto vigente e

prospettive di regolamentazione, Torino, 2011; E. CALO’, Il testamento biologico tra diritto e anomia, 2008; G. COSMACINI, Testamento biologico – idee ed esperienze per una

morte giusta, Bologna, 2010; E. LECALDANO, Bioetica - Le scelte morali, Bari, 2007; F.G. PIZZETTI, Alle frontiere della vita: il testamento biologico tra valori costituzionali e promozione della persona,

Milano, 2008. RODOTÀ, Un programma per i diritti fondamentali, in Micromega,n. 7/2011; M. ARAMINI, Testamento biologico: spunti per un dibattito, Milano, 2007.

15

Così espressamente prevede l’art. 587 co. 1 c.c. il testamento è un negozio a causa di morte che si caratterizza come atto personalissimo, unilaterale, esclusivo, formale, revocabile, e patrimoniale. Il suo scopo è quello di dare un assetto ai rapporti della persona per quando questa avrà cessato di

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Inoltre, se è vero che il testamento può contenere disposizioni di tipo non patrimoniale, le legge prescrive che esse siano solo quelle tipiche e previste dalla legge, subordinando la loro validità al fatto che tali diposizioni non patrimoniali siano comunque contenute in un atto avente la forma del testamento (così come previsto dal secondo comma dell’art. 587 c.c.)16.

La ratio che giustifica tali atti sta nel fatto che essi sono comunque destinati ad assolvere ad una funzione di sistemazione dei rapporti della persona a seguito della sua morte17.

Ben evidenti sono, dunque, la differenze con il testamento biologico: in

primis per il fatto che volontà espressa in tale atto non si riferisce al momento

successivo alla morte del soggetto, bensì ad un momento anteriore ad esso.

Inoltre, quanto alla natura delle disposizioni in esso contenute, queste non sono né di tipo patrimoniale (bensì hanno natura personalissima), né rientrano tra le ipotesi tipiche previste dal legislatore di disposizioni testamentarie non patrimoniali.

La scelta del termine “testamento” si giustifica, dunque, come autorevolmente sostenuto, poiché tale termine appartiene, di fatto, al generale patrimonio linguistico e supera gli stretti confini della definizione normativa 18.

Il termine testamento pare addirittura appropriato se in esso si ravvisa il carattere di “discorso” destinato ad essere in concreto ricevuto ed eseguito

vivere. Il testamento risponde, quindi, alla funzione della successione a causa di morte, ma anche alla specifica funzione di liberalità successoria: esso cioè soddisfa il bisogno socialmente rilevante della persona di disporre dei propri beni per dopo la morte a favore di determinati beneficiari. Per un approfondimento vedesi C.M. BIANCA, Diritto civile, tomo II, La famiglia le successioni, Milano, 2001, 641 ss.; nonché G. BONILINI, Il testamento, Padova, 199, e Testamento, in Dig. Disc. Priv., Sez.

civ., XIX, p. 338 ss.; L. BIGLIAZZI GERI, Delle successioni testamentarie, in Comm. Scialoja- Branca, a

cura di Galgano, Art. 587-600, 1993, e in Tratt. Rescigno, VI, p. 5 ss.; A. DE CUPIS, Successione

testamentaria, in Enc. Dir., XLIII, p. 1378 ss.

16

Le disposizioni testamentarie non patrimoniali si caratterizzano per avere direttamente ad oggetto prestazioni od effetti non patrimoniali; esse comprendono: il riconoscimento di figlio naturale (art. 254, co. 1 c.c.), la designazione del tutore del minore da parte del genitore ultimo esercente la potestà (art. 348, co. 1 c.c.), la nomina del curatore speciale per amministrazione dei beni lasciati al minore (356 co. 1), l’istituzione di una fondazione (art. 14 co. 2 c.c.), la designazione del luogo di sepoltura, la clausola di cremazione, il divieto di prelievo di organi, la confessione (sia pure con efficacia ridotta)

17 C. M. BIANCA, Diritto civile, II, Le successioni, Milano, 2001, pag.651 ss.

18 P. RESCIGNO, La scelta del testamento biologico, in AA.VV., Testamento biologico: riflessione di

dieci giuristi, Fondazione Umberto Veronesi, Milano, 2006, p. 16 ss. L’ A. sostiene che il termine

“testamento” appartiene al generale patrimonio linguistico come accade ad esempio con il termine “testamento spirituale (che si esaurisce in apprezzamenti, giudizi, moniti, consigli manifestati da un soggetto)”, pertanto la locuzione appare appropriata a descrivere questa particolare manifestazione di volontà, se in esso si ravvisa il carattere di un discorso destinato ad essere, in concreto, ricevuto ed eseguito, quando non vi è più alcuna possibilità di controllarne l’esecuzione da parte dell’autore stesso

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quando l’autore non abbia più alcuna possibilità di controllarne gli effetti19. Attualmente si utilizzano anche altre espressioni per indicare lo stesso istituto, quali: “direttive anticipate di trattamento (c.d. DAT )”, “volontà previe di trattamento”, “testamento di vita” o, nei Paesi anglosassoni, “living will”.

Dietro il tentativo di offrire una definizione, non può obliterarsi una questione molto più significativa: la mancanza nell’ordinamento giuridico italiano di una disciplina del fine vita.

3. L’assenza di una disciplina normativa e la conseguente ricerca di coordinate: l’esigenza di una ricostruzione per principi generali.

Il sistema giuridico italiano non possiede una legge che disciplini compiutamente il testamento biologico, pur se in parlamento giace un d.d.l. a firma dell’onorevole Calabrò20, di cui non è facilmente auspicabile la conversione in legge.

In assenza di una legge ad hoc, è stato, dunque, di particolare ausilio all’interprete il riferimento a fonti sopranazionali, seppur non vincolanti, ed il ricorso ai principi Costituzionali in tema di dignità della persona e cura della stessa. L’assenza di una disciplina è stata per lo più motivata sulla base dell’impossibilità di offrire una regolamentazione che potesse comprendere, in maniera adeguata, le numerose fattispecie che nella prassi si verificano21 .

Fatto certo è che la totale de-regulation della materia del fine-vita non è stata una soluzione adeguata alla realtà, poiché si è sentita in tutta la sua insistenza la esigenza che una regola, un punto oggettivo, ci fosse, se non altro per non lasciare a provvedimenti giurisdizionali la scelta in ordine alla vita o alla morte di una persona.

Prima, però, sono irrinunciabili due premesse.

Innanzi tutto, una nuova legge non nasce mai da un vuoto di regole. Essa introduce norme che incidono su norme preesistenti, ed a sua volta è influenzata da quest’ultime. Ogni norma, quindi, si inserisce imprescindibilmente in un corpo di norme organizzato, cioè in un “sistema”22.

19 P. RESCIGNO, La scelta del testamento biologico, op. ult. cit., p. 17 ss. 20

Di tale disegno di legge si tenteranno di analizzare le disposizioni di maggiore interesse ma soprattutto si espliciteranno le numerose questioni aperte e tuttora insolute nel prosieguo di tale lavoro.

21

F. D’AGOSTINO, Bioetica e diritto, in Medicina morale, 1993, p. 675 ss. ; ID. Dalla bioetica alla

biogiuridica, in AA. VV. , Nascita e morte dell’uomo, a cura S. Biolo, Genova, 1993, p. 137 ss.

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A ciò deve aggiungersi che nessun sistema di regole può evitare all’individuo di mettere in gioco le proprie convinzioni ed il proprio vissuto emotivo, così che egli non sia mero esecutore delle leggi, ma protagonista del sistema di leggi cui appartiene.

Pertanto, occorre spendere qualche riflessione sui principi generali emersi dalla prassi internazionale e convenzionale prima, e da quelli formulati nel diritto interno, poi, al fine di individuare gli elementi comuni ad entrambi; poiché da tale tipo di indagine potranno tracciarsi le coordinate per l’interprete chiamato a muoversi ed agire in una tanto complessa materia, quale è quella del fine vita.

Qual è dunque il sistema in cui andrebbe ad inserirsi la nuova legge?

Come sopra anticipato, non esistendo una legge sul testamento biologico, gli interpreti si sono serviti di due strumenti fondamentali: fonti di natura sopranazionale da un lato (il documento più importante è certamente la Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina), fonti interne aventi rango di principi costituzionali ovvero norme civili e penali di cui fosse possibile un’interpretazione analogica .

Si procederà dunque ad una breve disamina degli stessi, optando per una descrizione che, prendendo le mosse, seppur per principi generali, dai trattati sovranazionali ad applicazione generalizzata, troverà la sua più estesa attenzione nella disamina delle disposizioni più rilevanti di diritto interno, specie di rango costituzionale.

Non potrebbe essere diverso l’ordine di trattazione per un giurista dei nostri tempi, ben consapevole che il diritto è necessariamente un diritto globale, poiché globale sono la cultura, l’economia , la conoscenza. Tanto più, in assenza di una disciplina compiuta, non può prescindersi da un’indagine che parta dai principi generali, anche in ambito internazionale, e dal loro contenuto fondamentale.

4. Il sistema delle fonti. La Convenzione di Oviedo.

Fondamentale è la Convenzione di Oviedo23 sui diritti dell’uomo e la biomedicina del 1997, ratificata in Italia con legge n. 145 del 2001. Si tratta di un trattato internazionale stipulato nell'ambito del Consiglio d'Europa –

23 La Convenzione consta di XIV capitoli che si articolano sui temi fondamentali di: consenso (cap.

II), vita privata e diritto all’informazione (cap. III), genoma umano (cap. IV), ricerca scientifica (cap. V), prelievo di organi ai fini di trapianto (cap. VI), divieto di profitto di parti del corpo umano (cap. VII).

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un'organizzazione internazionale nata nel 1949 e attualmente composta da 46 Paesi – che si propone di tutelare i diritti dell'uomo e la democrazia parlamentare, nonché promuovere accordi internazionali per armonizzare le pratiche sociali e giuridiche degli stati membri24.

Come tutti gli accordi internazionali, anche la Convenzione di Oviedo necessita di una ratifica e di un ordine di esecuzione per poter essere attuata nel nostro Paese. L’Italia ha, infatti, provveduto alla ratifica con l. 28 marzo 2001 n. 145 ed insieme alla Convenzione, venne ratificato anche il Protocollo addizionale sul divieto di clonazione di esseri umani, che è parte integrante della convenzione stessa25. Con tale legge di ratifica, essa ha dunque assunto il rango di norma di diritto interno.

La convenzione recepisce gli inviti contenuti nella risoluzione n. 3 adottata dai Ministri della giustizia su proposta del segretario generale del Consiglio d’Europa (1990) e nella Raccomandazione n. 1160 (1991) dell’Assemblea parlamentare, entrambi volti all’elaborazione di “a fram work convention

comprising a main text wich general principles and additional protocols on specific aspects”26.

Le due disposizioni della Convenzione su cui occorre porre l’attenzione sono gli articoli 5, 8 e 927.

L’art. 5 della Convenzione stabilisce, quale regola generale (“Regola Generale” è proprio la rubrica dell’art. 5), che la persona che deve ricevere un

24

Tale convenzione ha determinato il riaccendersi di un dibattito, in sede europea, sui contenuti della bioetica nei vari Paesi dell’Ue, specie con riguardo alle tematiche del consenso informato e delle pratiche eugenetiche . per un’analisi dei “nodi della bioetica europea v. C. PICIOCCHI, La

Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina: verso una bioetica europea?, in Dir. pub. comp. ed eur., 2001, III, p. 1301 ss.; D. NERI, La Convenzione europea di bioetica e la terapia genica, in Bioetica, 4, 1998, p. 516 ss.; A. BOMPIANI, Aspetti rilevanti per la trasposizione nell’ordinamento italiano della Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, a cura di C.M.

Mazzoni, in Un quadro europeo per la bioetica, Firenze, 1998, p. 220 ss.

25 Entrambi in G.U. n. 95 del 24 aprile 2001 26

Recommendation 1160 (1991)on the preparation of a convention on bioethics , 28-06-1991, in http://stars.coe.fr/ta/ta91/erec1160.htm.

27 Non senza tralasciare la norma di apertura della convenzione l’art. 1, rubricato: Oggetto e finalità

stabilisce infatti che: << Le Parti di cui alla presente Convenzione proteggono l’essere umano nella

sua dignità e nella sua identità e garantiscono ad ogni persona, senza discriminazione, il rispetto della sua integrità e dei suoi altri diritti e libertà fondamentali riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina. Ogni Parte prende nel suo diritto interno le misure necessarie per rendere effettive le disposizioni della presente Convenzione>>. L’art. 2 stabilisce, invece, il “Primato dell’essere umano” ossia che: <<L’interesse ed il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza>>.

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intervento di tipo sanitario è tenuta a prestare il proprio consenso libero ed informato28.

Il consenso informato costituisce per il medico un vincolo; implica cioè, una relazione medico-paziente, in cui l’attività professionale del primo deve necessariamente coinvolgere il secondo . Il consenso informato mira a porre al centro dell’attenzione del medico la persona del malato per la quale l’informazione è un vero e proprio diritto e non una mera concessione29.

E’ quindi il consenso del paziente che rende lecita l’attività sanitaria, in assenza del quale tale attività costituisce reato ed illecito risarcibile.

L’obbligo del consenso informato subisce eccezioni solo in casi ben determinati: le situazioni nelle quali la persona malata ha espresso esplicitamente la volontà di non essere informata; i casi in cui le condizioni del paziente siano talmente gravi da richiedere un immediato intervento di necessità ed urgenza ed il malato versi in condizioni di incapacità; nonché tutti gli altri casi in cui si possa parlare di consenso implicito, come per le cure di routine.

Ma è proprio da tale “consenso implicito” e dalla condizione d’incapacità del malato a prestare il proprio consenso, che emerge la necessità e l’urgenza di una disciplina specifica della “direttiva anticipata di trattamento sanitario”.

Come si può, infatti, consentire legittimamente di delegare ad altri o ad un rappresentante, ricorrendo alla finzione del c.d. “consenso presunto”, l’esercizio di un diritto o di una libertà fondamentale della persona?

L’istituto della “rappresentanza”, tra l’altro, è escluso per i c.d. “atti

personalissimi” (come, ad esempio, il testamento), quindi desta qualche

perplessità l’utilizzo di tale strumento nell’ambito del diritto alla salute e del diritto al rifiuto di trattamenti sanitari. La sola rappresentanza legale è ammissibile per il malato minore di età o che versi in condizioni di incapacità di intendere e di volere, ma fuori da tali casi sarebbe da escludersi che la volontà di un medico o di un terzo possa legittimamente sostituirsi a quella del paziente, unico titolare del bene giuridico tutelato. La funzione garantista del medico impone un suo intervento ogni qual volta il paziente sia in pericolo di vita: nell’incapacità di esprimere il

28

Art. 5 Convenzione di Oviedo: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se

non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero ed informato: Questa persona riceve un’informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”

29 C. COLOMBO, Il consenso informato:quale spazio per il testamento biologico e l’amministrazione

di sostegno?, in Riv. Pen., 2009,1, p. 21 ss, dove in particolare l’A. si sofferma sull’evoluzione

storico-giuridica dell’informazione e su come sia mutato lo standard di informazione richiesto: dallo ‘standard professionale’ allo ‘standard adeguato’; più recentemente si è fatta strada l’idea di uno ‘standard soggettivo’, legato alla persona specifica sulla quale devono essere praticati i trattamenti

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proprio consenso; ma se tale consenso fosse prestato in via preventiva, secondo i criteri stabiliti dalla legge ed in condizioni di piena capacità di intendere e di volere, il malato potrebbe aver voce anche nei casi in cui tale capacità dovesse venir meno.

Di particolare interesse è l’art. 8 concernente le “Situazioni d’urgenza” nelle quali “il consenso appropriato non può essere ottenuto”. In queste circostanze “si

potrà procedere immediatamente a qualsiasi intervento medico indispensabile per il beneficio della salute della persona interessata”.

È evidente che proprio i requisiti per l’individuazione dello stato di urgenza sono quelli che più si prestano a divergenze interpretative ampiamente aperte al contenzioso, in ragione dell’enorme spettro di situazioni mediche e chirurgiche, generali e specialistiche, che la medicina si trova quotidianamente ad affrontare nei casi concreti. L’urgenza può indubbiamente essere assoluta (in situazioni di vera emergenza), ma può sfumare un una serie graduata di situazioni nelle quali la prevedibilità del danno, in concreto e non in astratto, che può conseguire all’astensione del medico dal fornire la propria prestazione in carenza di consenso, può essere oggettivamente difficile. In molte di queste evenienze, la “prudenza” professionale richiesta può prospettarsi nei due opposti versanti della prudente astensione dal trattamento di cui potrebbe essere discutibile l’urgenza in senso stretto, ovvero della prudente esecuzione del trattamento per evitare conseguenze dannose anche non immediate.

Quanto alla possibilità di esprimersi in merito a futuri trattamenti sanitari, la Convenzione di Oviedo, all’art. 9 stabilisce che: “I desideri precedentemente

espressi a proposito di un intervento medico da parte del paziente che, al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione”.

E’ dunque riconosciuta al soggetto la libertà di esprimersi ed alla sua volontà di essere tenuta in considerazione relativamente alla scelte manifestate sui futuri trattamenti sanitari cui dovrà eventualmente essere sottoposto.

Appare interessante considerare come sia stato interpretata tale locuzione (essere tenuta in considerazione) nel nostro ordinamento giuridico.

4.1. segue. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea è stata solennemente proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta, in una

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versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo da Parlamento, Consiglio e Commissione.

Con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, la Carta di Nizza ha il medesimo valore giuridico dei trattati, ai sensi dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, e si pone dunque come pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri e, allo stesso livello di trattati e protocolli ad essi allegati, come vertice dell'ordinamento dell'Unione europea. Essa risponde alla necessità emersa durante il Consiglio europeo di Colonia (3 e 4 giugno 1999) di definire un gruppo di diritti e di libertà di eccezionale rilevanza che fossero garantiti a tutti i cittadini dell’Unione30 .

È ben noto che i trattati istitutivi delle Comunità prevedevano sì una serie di libertà, ma strumentali alla realizzazione del mercato comune. Dai primi anni Settanta la Corte, però, riconobbe che i diritti fondamentali, quali risultano dalle tradizioni costituzionali dei paesi membri e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), fanno parte dei principi generali di cui essa garantisce l'osservanza (nelle situazioni in cui rileva la disciplina comunitaria) 31.

Gli articoli che vanno da 1 a 5 si occupano proprio della “Dignità umana” e, più precisamente, l’art. 1 sancisce l’inviolabilità della vita umana; l’art. 2, rubricata

“Diritto alla vita” stabilisce che : << Ogni persona ha diritto alla vita. Nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato>>.

Tuttavia, certamente la norma che merita in questa sede più attenzione è l’art. 3 della Carta, che si occupa di: “Diritto all’integrità della persona”. Tale norma sancisce che: <<Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.

Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: 1. il consenso libero ed informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge […]>>

30

I diritti contenuti nella Carta sono classificabili in quattro categorie: 1) le libertà fondamentali comuni, presenti nelle costituzioni di tutti gli stati membri; 2) i diritti riservati ai cittadini dell'Unione, in particolare riguardo alla facoltà di eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo e di godere della protezione diplomatica comune; 3) i diritti economici e sociali, quelli che sono riconducibili al diritto del lavoro; 4) i diritti moderni, quelli che derivano da alcuni sviluppi della tecnologia, come la tutela dei dati personali o il divieto all'eugenetica. Cfr. G. TESUARO, Diritto

dell’unione Europea, Padova, 2010; E. FRIBERGH – M. KJAERUM, Manuale di diritto europeo della

non discriminazione, Lussemburgo, 2011, p. 33 ss.

31 Dal 1977 le istituzioni hanno seguito l'orientamento della Corte e nel 1992, con il Trattato di

Maastricht, all'art. 6, si è formalizzata la giurisprudenza della Corte in materia. La comunità ha riconosciuto la CEDU, pur non aderendovi, ma bisogna constatare che comunque la tutela dei diritti fondamentali è sempre stata adeguata al di là di quanto espressamente stabilito dalla base giuridica principale, il Trattato, fino a Maastricht.

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Si parla tecnicamente di “diritto all’autodeterminazione”, cioè del diritto del soggetto di essere protagonista ed unico artefice delle scelte riguardanti la propria salute, sia che le stesse comportino un rifiuto dell’intervento medico, sia che si risolvano in una sua accettazione 32.

Autodeterminazione significa che “le decisioni riguardanti i trattamenti sanitari spettano alla persona che vi è destinata o, in negativo, che nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario senza il suo consenso”33 .

Il riconoscimento della piena operatività di tale principio è, insieme, un punto di arrivo ed un punto di partenza. E’ un punto di arrivo perché comporta l’affermazione che sia generalmente diffuso un principio di disponibilità del diritto alla propria vita, e che anche in materia di salute le norme fondamentali considerano prevalente, nel conflitto tra libertà e coercizione, la libertà dell’individuo. Punto di partenza poiché dovrà ora procedersi all’individuazione del contenuto di tale diritto e dei limiti alla sua operatività34 .

La concezione alla base di tale diritto è, dunque, quella per cui il soggetto realizza meglio di chiunque altro i propri interessi scegliendo personalmente la maniera e le modalità di cura o di disposizione a lui più congeniali. In questa logica l’autodeterminazione diventa valore se e nella misura in cui risponda ad interessi meritevoli di tutela35.

Taluno ha ritenuto di dover scorgere in una simile valorizzazione dell’autodeterminazione individuale un passo significativo verso la realizzazione del c.d. “diritto leggero”, ossia verso l’accoglimento dell’esigenza, da più parti avvertita, di una sorta di deregulation nelle materie più strettamente legate alla sfera personale, fine vita compreso36 .

Occorre, dunque, porsi seriamente la domanda in ordine a quale sia attualmente il riconoscimento che l’autodeterminazione ha nel nostro sistema giuridico, ed in che misura esso consente alla persona di disporre di beni di natura strettamente personale, quali l’integrità psico-fisica ovvero la vita.

32 M. D’ARRIGO, Autonomia privata ed integrità fisica, Milano, 1999, p. 151 ss. 33

G. C. TURRI, Autodeterminazione, trattamenti sanitari e minorenni, in Quest. giust., 2000, p. 1104 ss.

34 G. PAGLIANI, Trattamenti sanitari, fine vita ed amministrazione di sostegno, in Giur. merito, 2009,

7-8, p. 1776 ss.

35 M. D’ARRIGO, op.cit., p. 163 ss. 36

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4.2. Segue. Il Comitato Nazionale per la Biomedicina ed il Codice di deontologia medica.

L’ indirizzo di massima è ricavabile – pur nella differente ratio – da due documenti, uno presentato dal Comitato Nazionale per la Biomedicina37 , l’altro è il Codice di deontologia medica38.

Il Comitato Nazionale per la Biomedica si è più volte espresso sulle tematiche relative al fine-vita, svolgendo un ruolo determinante nella definizione di alcuni principi39.

Il Comitato, poco tempo dopo la sua nascita, nei primi mesi del 1991, ha attivato un gruppo di studio sul problema del consenso informato, che ha lavorato intensamente alla elaborazione di un documento che, dopo l’esame collegiale nelle sedute plenarie del 26 gennaio, del 15 febbraio e del 22 maggio 1992 ha potuto essere approvato il 20 giugno di quell’anno.

Il documento è intitolato Informazione e consenso all’atto medico e contiene sia trattazioni di bioetica generale sia di bioetica clinica. Le conclusioni sinteticamente espresse, raggiunte dal C.N.B., stabiliscono, da un lato, che il consenso libero ed informato costituisce legittimazione e fondamento dell’atto

37

In Italia il Comitato Nazionale per la Bioetica (spesso abbreviato in CNB) è stato istituito con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il 28 marzo 1990. È un organo consultivo della Presidenza del Consiglio dei ministri, che svolge sia funzioni di consulenza presso il Governo, il Parlamento e le altre Istituzioni, sia funzioni di informazione nei confronti dell’opinione pubblica sui problemi etici emergenti. In effetti, con il progredire delle ricerche e con le nuove applicazioni tecnologiche nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute, si è sentita la necessità di approfondire le implicazioni bioetiche delle scienze biomediche applicate alla vita umana nonché alle problematiche bioetiche relative alla vita non umana. Al Comitato è affidata la funzione di supportare l’orientamento degli operatori normativi sia che agiscono in veste di legislatori sia che siano investiti di tali problematiche in qualità di amministratori. Il CNB, dunque, con il proprio operato contribuisce a definire i criteri da utilizzare nella pratica medica e biologica per tutelare i diritti umani ed evitare eventuali abusi e discriminazioni che possano, anche involontariamente, discendere dalla rapida implementazione dei risultati delle tecno-scienze. Il CNB esprime le proprie indicazioni attraverso pareri e mozioni che vengono pubblicati, non appena approvati, sul proprio sito. L’azione del Comitato si svolge anche in un ambito sovra nazionale con regolari incontri con i Comitati etici europei e internazionali, essendo anche collegato ad analoghi organismi di altri Paesi, dell'Unione Europea e del Consiglio d'Europa.

38 Il codice di deontologia medica è un insieme di regole che definiscono i comportamenti "etici" a

cui i medici e gli operatori sanitari in genere devono attenersi. Il codice deontologico è elaborato dalla FNOMCeO, Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, la quale si impegna anche a farlo rispettare esercitando i propri poteri disciplinari (si va dal richiamo alla radiazione dall'Albo).

39

Per un exursus sull’attività del C.N.B. con riguardo ai suoi principali documenti, v. Il comitato

nazionale di bioetica: 1990-2005 quindici anni di impegno, Atti del convegno di Studi, Roma 30

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medico e, dall’altro lato, che proprio il consenso costituisce lo strumento che rende possibile la realizzazione della c.d. “alleanza terapeutica”40.

Fondamentale è il documento elaborato all’esito della seduta del 18 dicembre 2003, avente ad oggetto: Dichiarazioni anticipate di trattamento

sanitario.

Il C.N.B. ha precisato anzitutto che le dichiarazioni anticipate “non possono

essere intese soltanto come un’estensione della cultura che ha introdotto, nel rapporto medico-paziente, il modello del consenso informato, ma hanno anche il compito, molto più delicato e complesso, di rendere ancora possibile un rapporto personale tra il medico e il paziente proprio in quelle situazioni estreme in cui non sembra poter sussistere alcun legame tra la solitudine di chi non può esprimersi e la solitudine di chi deve decidere. La finalità fondamentale delle dichiarazioni è, quindi, quella di fornire uno strumento per recuperare al meglio, nelle situazioni di incapacità decisionale, il ruolo che ordinariamente viene svolto dal dialogo

40 Pertanto, sotto il profilo etico: 1) in caso di malattie importanti e di procedimenti diagnostici e

terapeutici prolungati il rapporto curante-paziente non può essere limitato ad un unico, fugace incontro; 2) il curante deve possedere sufficienti doti di psicologia tali da consentirgli di comprendere la personalità del paziente e la sua situazione ambientale, per regolare su tali basi il proprio comportamento nel fornire le informazioni; 3) le informazioni, se rivestono carattere tale da poter procurare preoccupazioni e sofferenze particolari al paziente, dovranno essere fornite con circospezione, usando terminologie non traumatizzanti e sempre corredate da elementi atti a lasciare allo stesso la speranza di una, anche se difficile, possibilità di successo; 4) le informazioni relative al programma diagnostico e terapeutico dovranno essere veritiere e complete, ma limitate a quegli elementi che cultura e condizione psicologica del paziente sono in grado di recepire ed accettare, evitando esasperate precisazioni di dati che interessano gli aspetti scientifici del trattamento. In ogni caso, il paziente dovrà essere messo in grado di esercitare correttamente i suoi diritti, e quindi formarsi una volontà che sia effettivamente tale, rispetto alle svolte ed alle alternative che gli vengono proposte; 5) la responsabilità di informare il paziente grava sul primario, nella struttura pubblica, ed in ogni caso su chi ha il compito di eseguire o di coordinare procedimenti diagnostici e terapeutici; 6) la richiesta dei familiari di fornire al paziente informazioni non veritiere non è vincolante. Il medico ha il dovere di dare al malato le informazioni necessarie per affrontare responsabilmente la realtà, ma attenendosi ai criteri di prudenza, soprattutto nella terminologia, già enunciati; 7) il consenso informato in forma scritta è dovere morale in tutti i casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche si rende opportuna una manifestazione inequivoca e documentata della volontà del paziente; 8) la richiesta di consenso informato in forma scritta è altresì un dovere morale del medico, nel caso di paziente incapace legalmente o di fatto, nelle ipotesi di cui al punto 7), nei confronti di chi eserciti la tutela o abbia con il paziente vincoli familiari (o di comunanza di vita) che giustificano la responsabilità e il potere di conoscere e decidere, fermo restando che tali interventi hanno un significato relativo e il medico posto di fronte a scelte fondamentali per la salute e la vita del paziente non è liberato dalle responsabilità connesse con i poteri che gli spettano. Il C.N.B. ritiene infine che debba essere con impegno perseguito il ravvicinamento (che è già in uno stadio avanzato) delle disposizioni riguardanti informazione e consenso contenute nei codici deontologici dei vari Paesi ed auspica una migliore regolamentazione della cartella clinica”.

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informato del paziente col medico e che porta il primo, attraverso il processo avente per esito l’espressione del consenso (o del dissenso)”41.

Il C.N.B. ha ritenuto legittime queste dichiarazioni che, limitando in linea di principio l’ampiezza dei possibili trattamenti medici, costituiscono un dissenso limitativo basato sul principio dell’autonomia.

Tuttavia viene nel contempo ribadito che le dichiarazioni non devono contenere “disposizioni aventi finalità eutanasiche, che contraddicano il diritto

positivo, le regole di pratica medica, la deontologia”.

Nel contempo, in forza della “posizione di garanzia” del medico che si troverà a curare il paziente in circostanze in cui egli non possa esprimere, per incapacità, la propria libera volontà si è riconosciuto il carattere non vincolante delle dichiarazioni anticipate non potendo il medico essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e la sua coscienza ma dovendo egli, tuttavia, esprimere in forma scritta le ragioni che lo inducono a non rispettare le dichiarazioni anticipate del paziente.

Con tale disposizione il CNB ha posto, dunque, un significativo limite alla libertà di azione del medico, vincolando lo stesso non solo al rispetto della volontà del paziente, ma anche all’obbligo di offrire giustificazioni scritte per le ipotesi di mancato rispetto di tali volontà.

Sulla stessa scia, pare orientarsi anche il documento che più rappresenta l’operatore medico: il Codice di deontologia medica.

Tale codice rappresenta la posizione ufficiale assunta dall’Ordine dei medici chirurghi ed odontoiatri sul comportamento che egli debba assumere nei vari ambiti che lo coinvolgono42.

I medici, che nel lontano passato hanno poco sentita l’esigenza deontologica e giuridica del consenso informato, lo hanno incluso nel proprio Codice di Deontologia Medica già agli inizi del novecento.

Il primo codice italiano che lo menziona è quello dell’Ordine dei Medici di Sassari, emanato nel 1903, il quale all’art. 4, in poche righe essenziali, stabilisce che il consenso deve essere ottenuto dall’ammalato per ogni “atto operativo” ovvero ottenuto da chi esercita la tutela se minore o incapace.

Nel contempo il Codice sassarese prevede la deroga nei casi di urgenza eventualmente chiamando un collega ad assumere “parte della responsabilità” specie in caso di aborto terapeutico.

41

Il comitato nazionale di bioetica: 1990-2005 quindici anni di impegno, op. cit., p. 269 ss.

42 G. A. NORELLI – G. DELL’OSSO, Codice deontologico e deontologia medica, Milano, 1980; nonché

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Successivi codici sono stati emanati nel 1912 a Torino nel 1948, nel 1954, nel 1978, nel 1989, nel 1995 e nel 1998.

Il codice del 1998 aveva operato alcune modifiche restrittive, in tema di consenso, rispetto ai precetti del codice del 1995.

Mentre l’art. 29 del codice del 1995 stabiliva che si dovesse tenere conto anche del livello di cultura e di emotività e delle “capacità di discernimento” del paziente, l’art. 30 del codice del 1998 si limita a menzionare la “capacità di

comprensione” del paziente, risultandone in tal modo un indubbio indebolimento,

rispetto al precedente codice, dei limiti che in molti casi si presentano al medico che deve informare il paziente.

I nuovi articoli del codice 2005 presentano poche modificazioni.

Si segnalano però gli articoli 33 e 34 perché le modifiche che li connotano accentuano la posizione di garanzia del medico, pur senza menzionarla esplicitamente, affidando il paziente alla “scienza e coscienza” del sanitario nei casi in cui sia a grave rischio la vita e la salute43.

In particolare l’art. 34, stabilisce che: <<Il medico deve attenersi, nel rispetto

della dignità, della libertà e dell’indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestate>>.

In seguito saranno approfonditi significativi aspetti legati alle affermazioni contenute nel Codice di Deontologia Medica.

5. Le fonti costituzionali gli artt. 2, 13 e 32 Cost.

I principi fondamentali attinenti la materia del fine-vita sono quelli posti negli art. 2, 13 e 32 della Costituzione.

Trattasi dei principi generali di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo ed in particolar modo della tutela della libertà personale dell’individuo che deve trovare attuazione anche nelle scelte in ordine alla propria salute. In particolare l’art. 2 presenta, sotto un profilo strutturale e funzionale, natura aperta e contenuto atipico: la funzione di tale disposizione spiegata nell’ordinamento giuridico è quella

43 Per una accurata disamina dell’evoluzione del consenso informato nei codici di deontologia

medica che si sono succeduti sino ad oggi, v. R. CECCHI, Il testamento biologico: perché?, in AA.VV.,

Testamento biologico: riflessione di dieci giuristi, Fondazione Umberto Veronesi, Milano, 2006,

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di clausola generale attraverso cui si è inteso formalizzare il valore unitario della persona

Interessante è il dibattito suscitato dai principi di cui agli art. 2 e 13 della Costituzione, dibattito tutt’ora in corso ed avente ad oggetto la possibilità di configurare una copertura costituzionale al diritto di “lasciarsi morire”44.

L’ammissibilità in ordine alla esistenza di un simile diritto richiama altra

vexata quaestio, ossia se il catalogo dei diritti inviolabili tutelati dalla Costituzione

debba considerarsi chiuso ovvero aperto.

Secondo un primo orientamento dottrinario, attribuire alla clausola dei diritti inviolabili carattere aperto equivarrebbe a rendere estremamente incerta l’esatta estensione della norma, legittimando le più varie ed arbitrarie esegesi interpretative45. Di conseguenza, i diritti inviolabili dovrebbero essere interpretati come un catalogo chiuso riassuntivo delle altre previsioni costituzionali, mentre gli articoli 13 e seguenti potrebbero essere soggetti ad un’interpretazione estensiva ed evolutiva, tali da ricomprendere quelli che vengono comunemente definiti

“nuovi diritti”, purchè ricostruibili come aspetti o sviluppi di diritti tipizzati ed

enumerati nella Costituzione46 .

Un secondo orientamento dottrinario47 , in senso diametralmente opposto, ritiene che una lettura chiusa dell’art. 2 della Costituzione equivarrebbe ad attribuirgli un significato pleonastico e tautologico; sicchè non dovrebbe escludersi l’affermazione di altre posizioni inviolabili oltre a quelle disciplinate dalle disposizioni costituzionali, sia integrando eventuali lacune, sia interpretando le evoluzioni e gli sviluppi del sentimento di giustizia e di coscienza sociale dei cittadini48 .

Trattasi di posizioni meno lontane di quanto appare poiché, la prima impostazione mira principalmente a consentire la “positivizzazione dei nuovi

diritti”, sempre che se ne dimostri la strutturale connessione con i diritti formulati

44 C. TRIPODINA, Il diritto nell’età della tecnica. Il caso dell’eutanasia, Napoli, 2004, p. 118 ss. 45

A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Lezioni (p.g.), Padova, 1985, p. 3 ss.

46 sempre in tal senso T. MARTINES, Diritto costituzionale, Milano, 1997, p. 746 ss., nonché P.

BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, p. 44 ss.; nonchè , ancora, F. MODUGNO, La tutela dei “nuovi diritti”, in F. Riccobono (a cura di), Nuovi diritti dell’età tecnologica, Atti del convegno tenutosi a Roma, Università Luiss, 5/6 maggio 1989, Milano, 1991.

47 G. AMATO, Libertà: involucro del tornaconto o della responsabilità individuale?, in Politica del

diritto, n. 1, 1990, p. 47 ss.

48

P. GROSSI, Introduzione ad uno studiosi diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Padova, Cedam, 1972, p. 172 ss; nonché A. SCALISI, Il valore della persona nel sistema ed i nuovi diritti della

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dallo stesso costituente; l’altra impostazione vorrebbe invece condurre ad una creazione di diritti “autenticamente nuovi”49 .

Con riguardo all’art. 2 della Costituzione, esso certamente riconosce all’autodeterminazione del soggetto un valore centrale e ciò appare ormai certezza inconfutabile50.

Quanto alla nozione di “libertà personale” di cui all’art. 13 della Costituzione, numerose sono state le sue definizioni che si sono susseguite nel corso del tempo.

Parte della dottrina ha derivato la nozione in negativo, sulla considerazione storica e normativa delle ipotesi di coazione della personalità individuale e dei poteri capaci di produrle51: in tale ottica la libertà personale coincide con la libertà delle restrizioni possibili secondo la legislazione vigente.

Altra impostazione, più tradizionale, individua la libertà personale nella libertà fisica in senso stretto52. A questi è però contrapposta l’opinione di chi individua, invece, quale bene tutelato la dignità della persona(teoria c.d. della degradazione)53: la libertà assumerebbe così una connotazione innanzi tutto morale dovendosi intendere quale libertà da qualsiasi provvedimento che implichi un giudizio di carattere negativo sulla persona del destinatario.

Entrambe le posizioni appaiono imprecise ed astratte54.

La più autorevole dottrina è infatti giunta alla conclusione per cui, pur essendo da condividere lo stretto collegamento stabilito tra libertà e dignità della persona, la libertà personale deve essere distinta dalla libertà personale (art. 13), la libertà di circolazione (art. 16), e la situazione soggettiva garantita dal divieto di imporre prestazioni personali (art. 23); dalla soluzione di tale problema sembra infatti potersi ricavare un contorno più netto della nozione55.

La disposizione che però assume certamente rilievo più significativo, è quella contenuta nell’art. 32 della Carta Costituzionale.

L’interpretazione di tale norma, nel suo assetto complessivo e nel rapporto con l’intero impianto costituzionale, ha subito nel corso degli anni una peculiare

49

C. TRIPODINA, Il diritto nell’età della tecnica. Il caso dell’eutanasia, cit. , p. 119 ss.

50 Su valori e principi, v. A. LONGO, I valori costituzionali come categoria dogmatica. Problemi e

ipotesi, Napoli 2007, p. 136 ss. e 357 ss.; A. MORRONE, Bilanciamento (giustizia costituzionale), in

Enc. dir., Ann., II, t. 2 (2008), p. 198 ss.; G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia, Bologna 2008, p. 205 ss., G. SILVESTRI, Dal potere ai princìpi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo

contemporaneo, Roma-Bari 2009, p. 35 ss.

51

G. AMATO, Art.13, in G. AMATO, A. PACE E F. FINOCCHIARO, Rapporti civili (art. 13-20), p. 1 ss.

52 S. GALEOTTI, La libertà personale, Milano, 1953, pp. 17-18

53 C. MORTATI, Rimpatrio obbligatorio e Costituzione, in Giur. Cost., 1960, I, p. 689 ss. 54

P .PERLINGIERI, Commento alla Costituzione italiana, II, Napoli, 2001, p. 67-69.

55 Per un approfondimento della nozione della libertà personale alla luce della chiave interpretativa

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