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Consenso viziato e tutela dell’autodeterminazione L’autodeterminazione come diritto strumentale.

Il principio di autodeterminazione in ambito medico-sanitario

6. Consenso viziato e tutela dell’autodeterminazione L’autodeterminazione come diritto strumentale.

Altro profilo critico proprio della fattispecie in cui alla violazione delle regole sul consenso si accompagna la verificazione di un danno all’integrità fisica del malato è quello legato all’accertamento delle condizioni che legittimano il risarcimento del danno.

Generalmente lo scema prevalente è quello modellato sul principio della

conditio sine qua non: poiché, si osserva, solo ove il paziente non avesse

acconsentito all’atto terapeutico, l’evento di danno non si sarebbe verificato, allora la mancanza di prova del fatto che, ove correntemente informato, il paziente avrebbe rifiutato l’atto, impedisce la saldatura di una catena causale tra fatto e danno e, con ciò, il presupposto del risarcimento.

È onere, dunque, per il paziente che invoca il risarcimento dimostrare che non avrebbe autorizzato l’intervento causativo del danno.

Questo schema trova ragion d’essere in un processo argomentativo che connette strettamente la lesione dell’autodeterminazione terapeutica alla tangibilità del danno, sub specie di lesione della salute, come appena osservato.

326 P. ZATTI, Il diritto a scegliere la propria salute (in margina al caso S. Raffaele), in Nuova giur. Civ.

comm., 2000, II, p. 1 ss. , ora anche in Maschere del diritto volti della vita, Milano, 2009, p. 243 ss.

327 La giurisprudenza civile non si pone, di norma, il problema se l’atto medico eseguito in assenza

di adeguato consenso o informazione possa dirsi lesivo della salute in sé, vale a dire atto in sé invasivo del corpo altrui e, dunque, di per ciò stesso, aggressivo del ben salute; tanto è vero che di risarcimento si discute solo se, all’atto che intacca l’integrità fisica altrui, consegue l’ulteriore effetto rappresentato da un pregiudizio alla salute biologica che possa essere oggetto di accertamento medico- legale. Diversa è invece la prospettiva del diritto penale; qui l’intervento sul corpo eseguito in assenza di valido consenso integra (o può integrare)fattispecie tipiche di reato (violenza privata, lesioni colpose, omicidio) la cui ricorrenza, a differenza che nell’ottica del diritto civile, può essere condizionata dall’esito, fausto o infausto, dell’intervento stesso.

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Il rifiuto dell’atto medico avrebbe impedito il consolidarsi della lesione biologica; ma poiché tale premessa è stata vanificata, a monte, dall’impossibilità per il paziente di esercitare validamente il diritto all’autodeterminazione, per fatto imputabile al sanitario, la condotta di quest’ultimo va posta all’estremo di una sequenza causale al cui capo opposto si colloca l’evento pregiudizievole per la salute.

Trasferito al di fuori di uno schema argomentativo che fonda il danno nella lesione della salute, altrimenti evitabile, il ragionamento perde di risolutezza.

In particolare, se si abbandona l’idea che il danno sia rappresentato dalla lesione del bene salute, si comprende, allora, come la dimensione dannosa della condotta medica ben possa contemplarsi anche qualora si sostenga che il paziente avrebbe, comunque, acconsentito al trattamento somministratogli.

Non è, infatti, la prestazione terapeutica il problema, quanto l’effetto dannoso che l’offesa al diritto dell’autodeterminazione può aver prodotto.

Tale offesa è concepibile indipendentemente dall’esecuzione della prestazione terapeutica, nella sua dimensione curativa.

Vien da pensare, anzitutto, ai casi nei quali il difetto di informazione abbia precluso al malato scelte di vita condizionate dalla prestazione medica ma comunque non interferenti con la decisione del paziente di sottoporvisi328.

In nessuno di questi casi, a ben vedere, la tutela risarcitoria implica necessariamente la prova che il danneggiato, se correttamente informato, avrebbe di necessità optato per una scelta diversa quanto all’esecuzione dell’atto medico; e ciò perché, l’evento dannoso non coincide con l’esito terapeutico, ma con il pregiudizio conseguente alla lesione del diritto di autodeterminarsi329.

Varianti della fattispecie ora illustrate possono rivelarsi i casi nei quali il consenso all’atto terapeutico sarebbe comunque stato dato, ma in un momento temporale diverso o sarebbe stato espresso a condizioni diverse330.

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Per fare alcuni esempi: il malato, ove informato del rischio di perdere la capacità riproduttiva, si sarebbe sottoposto prima dell’atto medico a prelievo di gameti; la cantante lirica, se avvertita della possibilità che l’intervento alle corde vocali la privasse per sempre della voce, avrebbe portato a compimento l’incisione dell’opera in preparazione da anni; il paziente reso edotto del fatto che l’operazione alla spina dorsale implicava un concreto rischio di paralisi, avrebbe potuto ricorrere ad un adeguato supporto psicologico, così da mitigare l’immane carico di sofferenza e di dolore provocato dal drammatico sconvolgimento di vita; e così via.

329 P. CENDON, I malati terminali ed i loro diritti, op. cit., p. 76 ss.

330 Penso al caso del soggetto che, bisognoso di terapia antalgica, avrebbe comunque espresso il

consenso alla somministrazione di farmaci antidolorifici, ma non tali da limitare la sua capacità di comprendere ciò che accade intorno a lui; cfr. S. WODOS, Respect for persons, autonomy and

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La questione connessa alla diversa scelta che il paziente avrebbe assunto in mancanza di vizi nel processo informativo si propone in un’interessante variante, ove la si esamini dalla prospettiva della scelta che il paziente, non in condizione di manifestare un efficace consenso, avrebbe espresso, ove ne fosse stato in grado.

Il problema si pone non solo nelle vicende, di grande attualità, dei soggetti privi della capacità di intendere o volere ma anche in quelle relative ad individui che, pur non incapaci, non sono in grado di maturare un convincimento.

La risposta, per lungo tempo orientata verso l’applicato di un modello di best

interest standard improntato a regole standard, sembra sempre più privilegiare

una soluzione orientata al rispetto dell’identità e della dignità del paziente331. L’approdo ad una tutela piena dei valori di una persona, che si discosti dalla necessità di rinvenire un’affezione nel corpo che la legittimi e la sostenga, implica perciò il riconoscimento di beni non coincidenti con la salute, innalzando l’autodeterminazione a valore meritevole di autonoma tutela.

Una certa tendenza alla semplificazione al contenuto del diritto di autodeterminazione si coglie per il suo contenuto: l’attribuzione di una facoltà di scelta; così che, accertatane la violazione, ogni effetto ritenuto pregiudizievole che ne consegua può assurgere alla stregua di danno risarcibile332.

Questo ragionamento è sovente all’origine delle perplessità che insorgono quando vi è lesione del diritto all’autodeterminazione terapeutica e che si sostanziano nel dubbio che, pur leso il diritto, sussista un danno da risarcire.

Che, d’altronde, possa sostanziarsi un danno per il solo fatto che al paziente non sia stato consentito di esercitare nel giusto modo, il suo diritto di scegliere è assunto, in linea di principio, discutibile.

Il mancato consenso apre infatti le porte ad un possibile contenzioso che altrimenti, non avrebbe avuto forza per radicarsi.

Si determina in tal modo uno spettro di alternative che spaziano dalla rilevanza tout court della violazione del diritto sino alla necessità che essa si traduca nella lesione dell’integrità corporea del soggetto, con fluttuazioni intermedie che danno, soprattutto, risalto alle fattispecie nelle quali più evidente

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Il rinvio, nel nostro sistema, è anzitutto al caso Englaro: anche in altri sistemi, come quell’ nord- americano, ove lo strumento utilizzato è il c.d. SJS (substituted judgment standard), il tema appare al centro dell’attenzione; qui si evidenziano come problematiche le questioni attinenti al rapposrto tra ciò che il paziente avrebbe ritenuto, ove fosse stato in grado di scegliere e ciò che egli avrebbe concretamente deciso: cfr. L.BROSTOM, M. JOHANSSON, M.K. NIELSEN, “What the patient would

have decided”: A fundamental problem with the substituted judgment standard, in Medicine, Health, Care and Philosophy, 2007, 10, p. 265 ss.

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È recente, ad esempio, la decisione (Cass., 4 gennaio 2010, n.13 cit.) che ha risarcito, come esistenziale, il danno da “rovesciamenti dell’agenda” subiti dalla madre a seguito della nascita, non consapevolmente scelta, del figlio malformato.

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si dimostra l’impatto della violazione del diritto ad autodeterminarsi su valori estranei alla salute in sé; si pensi tra tutte, all’ipotesi del consenso viziato che incida sulle scelte religiose dell’individuo333.

È necessario chiedersi se dell’autodeterminazione non debba essere evidenziata la funzione strumentale di diritto al servizio di altri diritti.

Ciò vale anzitutto, proprio con riferimento alla salute, oggetto di protezione attraverso l’atto volitivo del malato che, grazie alla gestione delle opzioni terapeutiche, ne persegue la miglior tutela334; cosicché nel mentre la giurisprudenza ne predica, oggi, l’autonomia rispetto al diritto alla salute (perché valore meritevole di protezione anche quando l’integrità psico-fisica non risulti intaccata), l’autodeterminazione diviene del pari strumento di protezione della salute nella dimensione di status della persona, comprensivo ed espressivo di una condizione di benessere che consente all’individuo di manifestare sé all’esterno.

Questa prospettiva risulta adeguata sul piano del sentire sociale perché proprio muovendo dalla premessa per cui la scelta terapeutica individualmente esercitata, tutela valori della persona propri di ciascun individuo si può ammettere che essa non debba di necessità essere volta alla tutela dell’integrità corporea del paziente, cui il medico, in assenza di diversa scelta, deve altrimenti orientare il proprio agire335.

Nel contempo essa risulta appropriata anche sul piano del rapporto tra violazione e danno, non implicando la lesione del diritto di autodeterminarsi di per sé un pregiudizio se non ove ne sia dimostrata la concreta capacità di offendere uno tra i valori della persona umana.

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È il caso, non infrequente, della somministrazione di sangue al testimone di Geova senza il suo consenso o contro la sua volontà: cfr. Cass., 15 settembre 2008. N. 23676, in Resp. Civ. e prev., 2009, p.122, con nota in M. GORGONI ed in Giust. Civ., 2009, p. 2403, con nota in M. ROSSETTI; Cass., 23 febbraio 2007, n. 4211, in Resp. Civ. e prev., 2007, p. 1881, con nota in G.FACCI.

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La questione assume peculiare rilevanza nell’ambito del diritto pubblico ove si osserva che l’appartenenza della salute al novero dei diritti sociali determina l’esigenza di stabilire un equilibrio tra autodeterminazione del malato “e le decisioni pubbliche che delimitano e condizionano le scelte

dei singoli…; appare di conseguenza un terzo implicito protagonista della scelta terapeutica, nei termini di un decisore pubblico, di un apparato cui sono affidati compiti relativi alle funzioni pubbliche in materia di sanità e di cura” , in tal senso B. PEZZINI, Soggetti, contenuto e responsabilità della scelta terapeutica nel servizio Sanitario, in Il diritto alla salute alle soglie del terzo millennio, a cura di L.CHIEFFI, Torino, 2003, p. 42 ss.; ID. (Principi costituzionali e politica della sanità: il contributo della giurisprudenza costituzionale alla definizione del diritto sociale alla salute,

in Profili attuali del diritto alla salute, a cura di C.E. GALLO e B. PEZZINI, Milano, 1998, p.9 ss.

335 R. PUCCELLA, Autodeterminazione e responsabilità nella relazione di cura, Milano, 2010 , p. 117

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Il diritto di autodeterminarsi si impregna di ciò che protegge ed il senso che la sua violazione acquista sul piano del danno è pari al senso che il diritto assume per colui che ne fa esercizio.

Se si muove da questa prospettiva, l’individuazione del danno che consegua alla lesione del diritto non può fondarsi (solamente) sulla consecuzione temporale tra violazione ed evento pregiudizievole, ma necessita di un collegamento qualificato che spieghi il danno in ragione del disvalore che la violazione acquisisce per il soggetto leso.

7. L’astratta configurabilità di un risarcimento per lesione del diritto

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