Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana
SUPSI
Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale
Corso di laurea in Cure Infermieristiche
Migrazione e nursing: ruolo infermieristico e promozione della
salute nell’accoglienza e assistenza dell’utente con trascorso
migratorio.
L’incontro con il rifugiato
UNA RICERCA QUALITATIVA
Lavoro di Tesi
(Bachelor Thesis)
Véronique Borcic
Direttore di tesi: Vincenzo D’Angelo
Manno, 15/01/2019
Anno Accademico 2018/2019
Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana
SUPSI
Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale
Corso di laurea in Cure Infermieristiche
Migrazione e nursing: ruolo infermieristico e promozione della
salute nell’accoglienza e assistenza dell’utente con trascorso
migratorio.
L’incontro con il rifugiato
UNA RICERCA QUALITATIVA
Lavoro di Tesi
(Bachelor Thesis)
Véronique Borcic
Direttore di tesi: Vincenzo D’Angelo
Manno, 15/01/2019
Anno Accademico 2018/2019
ABSTRACT
BACKGROUND
I flussi migratori e la realtà di soggetti che vivono con uno statuto di rifugiato portano l’infermiere a trovarsi inevitabilmente confrontato con differenti vulnerabilità, nuovi limiti e crescenti sfide. Tentare di entrare in rapporto con la storia di un soggetto migrante possessore di un bagaglio di vita traumatico caratterizzato da sofferenze e violenze, significa attuare delle cure individualizzate e interculturali in considerazione anche dell’unicità esperienziale di malattia.
SCOPO
Lo scopo della mia ricerca è indagare gli aspetti del ruolo infermieristico che più emergono nell’incontro con il paziente rifugiato, in che modo l’infermiere si avvicina alla casistica in analisi: quali sono le attitudini, la presa a carico, i bisogni a cui deve rispondere e come vi risponde, quali sono le difficoltà e i limiti incontrati e quali i miglioramenti ancora necessari.
Gli obiettivi sono di conoscere e riconoscere le problematiche che più frequentemente l’operatore riscontra nell’incontro con il rifugiato in ospedale, individuare strategie e interventi efficaci per la presa a carico, sviluppare una capacità critica rispetto a un tema di rilevanza etica con risvolto pratico e sviluppare competenze per la presa a carico olistica del paziente con trascorso migratorio.
METODOLOGIA
Il cuore della Tesi è strutturato secondo un approccio qualitativo-induttivo (interviste semi- strutturate): delle ipotesi orientative hanno permesso di rispondere alla domanda di ricerca. Il campione preso in analisi ha coinvolto 4 infermiere operative in un reparto di medicina dell’EOC. I dati sono stati raccolti in aree tematiche al fine di poter essere analizzati e descritti. Fin da principio è stato condotto un percorso di revisione di letteratura che ha permesso la formulazione della domanda di ricerca e la stesura del quadro teorico. Il background di ricerca è stato realizzato mediante l’utilizzo di articoli scientifici, letteratura, materiale scolastico e siti internet.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Il tema che riguarda i rifugiati pone la popolazione curante di fronte alla necessità di ampliare le conoscenze e le competenze. I risultati ottenuti attribuiscono importanza al ruolo dell’infermiere nella presa a carico del paziente rifugiato: l’infermiere si trova in prima linea nel contatto con il paziente ma è anche il primo a risentire dei limiti imposti dal sistema. È emerso che le problematiche linguistiche e di comprensione culturale sono vissute come ostacoli alla creazione di relazioni di fiducia, allo sviluppo dell’autoefficacia del paziente, al rafforzamento dell’aderenza terapeutica e della compliance. L’introduzione della figura del mediatore culturale ha permesso di creare un ponte comunicativo fondamentale alla realizzazione di cure olistiche, individualizzate e salutogeniche. La cura e l’assistenza infermieristica ai rifugiati richiedono abilità che non possono essere limitate in linee guida predefinite: la complessità del fenomeno pone i sanitari di fronte alla necessità di apprendere e attuare competenze interculturali che considerino una moltitudine di buone pratiche di cura e che permettano un lavoro interdisciplinare. La creazione e la presenza a ogni turno di una figura quale infermiere specializzato in questo ambito permetterebbe di applicare in maniera esemplare, tra le altre competenze, i ruoli SUP.
KEY WORDS: “Refugees”;; “Transcultural nursing”;; “Migration”;; “Trauma disease”;; “Human rights”;; “Migrant”;; “Nurse”;; “Nursing”.
SOMMARIO
ABSTRACT ... BACKGROUND ... SCOPO ... METODOLOGIA ... RISULTATI E CONCLUSIONI ... KEY WORDS ...
INTRODUZIONE ... 1
Tema e contesto di ricerca ... 1
Motivazione ... 1
Domanda di ricerca e obiettivi di studio ... 2
Sintesi delle tematiche ... 3
METODOLOGIA ... 4
QUADRO TEORICO ... 6
Fenomeno: migrazione come esperienza di frontiera ... 6
Principi etico-giuridici ... 9
Cultura: salute, malattia e trauma ... 10
Le competenze transculturali ... 17
La comunicazione interculturale ... 19
Nursing transculturale ... 20
Mediazione interculturale ... 22
ANALISI DELLE INTERVISTE ... 23
Conoscenza della persona ... 23
Accoglienza e assistenza infermieristica ... 25
Problematiche ... 27
Strategie di risoluzione dei problemi ... 30
DISCUSSIONE ... 33
LIMITI E OSTACOLI RELATIVI ALLO STUDIO ... 37
CORRELAZIONI CON IL FUTURO RUOLO PROFESSIONALE ... 38
CONCLUSIONE E CONSIDERAZIONI PERSONALI ... 39
BIBLIOGRAFIA, SITOGRAFIA E MATERIALE GRIGIO ... 43
RINGRAZIAMENTI ... 50
ALLEGATI ... 51
Quadro teorico di approfondimento ... 51
Allegato immagine 1 ... 52
Allegato immagine 2 ... 53
Allegato immagine 3 ... 54
Metodologia di approfondimento ... 58
Consenso informato ... 61
Griglia di intervista ... 62
Interviste integrali ... 64
Intervista n°1 ... 64
Intervista n°2 ... 70
Intervista n°3 ... 73
A mio fratello Danijel, cuore delicato, cittadino del mondo, che questo lavoro sia per te una testimonianza,
traccia che ti lascio del senso di una vita.
A voi, viaggiatori.
Non tutto finisce. Qualcosa rimane.
Io intanto credo di essermi persa. Sempre che sia possibile perdersi quando non si sa dove andare.
Ma ci incontreremo e insieme danzeremo sotto le stelle. Perderci e ritrovarci sarà il nostro divenire.
“È un’evidenza assoluta: se il cuore si ferma, la vita muore. Ma il cuore che ciascuno di noi porta
al centro del proprio petto e dal quale dipende la sua vita, batte senza che la nostra ragione o la nostra volontà possano comandarne il ritmo. È un paradosso elementare che si iscrive al centro della vita: il cuore che la mantiene viva, è il nostro cuore, ma è, al tempo stesso, una pompa che agisce a prescindere da ogni istanza di controllo. La vita del cuore trascende la nostra vita pur essendo al centro della nostra vita. Non dovremmo allora vedere nel carattere autonomo di questo battito un primo volto, il più prossimo, dello straniero? (…) La potenza autonoma della vita non è forse sempre in parte straniera a sé stessa?” L’eccesso della vita può far paura, non si riesce a governare.
lo straniero non è dunque altro che un battito che non contempla padroni (Recalcati, 2017).
E mentre “il viaggiare per profitto viene incoraggiato;; il viaggiare per sopravvivenza viene
condannato, con grande gioia dei trafficanti di ‘immigrati illegali’ e a dispetto di occasionali ed effimere ondate di orrore e indignazione provocate dalla vista di ‘migranti economici’ finiti soffocati o annegati nel vano tentativo di raggiungere la terra in grado di sfamarli” (Bauman, 2011).
INTRODUZIONE
Tema e contesto di ricerca
“Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non
fate nulla per cambiarla” (Luther King, n.d.).
Il tema che intendo trattare nel mio lavoro di Bachelor per il corso di Laurea in Cure Infermieristiche (SUPSI) riguarda l’approccio infermieristico al rifugiato e al richiedente l’Asilo in ospedale, attraverso una messa a fuoco dell’accoglienza dell’utente adulto con passato migratorio (volontario o obbligato). Sarà mio compito, in questo lavoro di ricerca qualitativa, approfondire e indagare dati statistici, fenomenologici, strategie e interventi (interviste) per far fronte alle situazioni quotidiane, e dati oggettivi inerenti questa tematica, oggi molto presente e in continua espansione. Mio intento è quello di comprendere le dinamiche relazionali e assistenziali che si creano durante il ricovero di un paziente rifugiato attraverso lo sguardo dei curanti: i limiti e le barriere interculturali, le difficoltà incontrare, le risorse, i mezzi utilizzati e le competenze applicate, i miglioramenti necessari, i bisogni dei curanti e i bisogni dei pazienti rifugiati secondo l’opinione dei curanti. Questo lavoro mostrerà da una parte una visione delle problematiche che si riscontrano nell’accoglienza del rifugiato in uno degli ospedali del territorio (interviste a 4 infermieri) e dall’altra illustrerà, nel quadro teorico, strumenti e strategie per favorire la relazione di cura tra curante e curato migrante, indagando anche aspetti teorici paralleli ma importanti inerenti la tematica. Riflettere sui bisogni e doveri assistenziali significa per me dare importanza al percorso migratorio svolto dai soggetti rifugiati: dare spazio alle esperienze, alle emozioni, alle culture, alle storie e alle diversità. La realtà complessa contemporanea pone inevitabilmente il curante a confrontarsi con contesti interculturali caratterizzati da diversità e cambiamenti, allontanandosi dalla standardizzazione clinica di azioni pratiche. Il mio lavoro si rivolge agli infermieri che per professione si prendono cura e che quotidianamente si trovano confrontati con situazioni che interessano utenti migranti, più particolarmente rifugiati. La fascia d’età che ho deciso di trattare riguarda l’adulto che viene a trovarsi ricoverato in un ospedale ticinese dopo aver intrapreso un percorso migratorio.
Motivazione
“Io parlo ai muri. Né a voi, né al grande Altro. Io parlo da solo. È precisamente quello che vi
interessa. A voi di interpretarmi” (Lacan, n.d.).
Le tematiche inerenti la migrazione, i richiedenti l’Asilo e i rifugiati sono da sempre questioni che mi toccano nel profondo. L’attualità caratterizzata da guerre e violenze non può lasciare indifferente l’essere umano. La migrazione è un evento complesso e diversificato, è un’esperienza che da sempre abita la storia umana. Sono convinta che il carattere di ogni persona venga influenzato dal cambiamento che il soggetto vive e tramite le proprie usanze, valori e abitudini, egli può trovare conforto. Con questo lavoro desidero approfondire la tematica focalizzandomi sulla presa a carico infermieristica e sulla prima accoglienza di persone che compiono un viaggio (obbligato o scelto) come metafora di vita nuova: “un po’ curanti, un po’
narratori;; curanti anche perché narratori, chiamati ad essere, volenti o nolenti, co-narratori della storia altrui” (SUPSI, 2016). È infatti “questo stare presenti come soggetti pensanti rispetto agli eventi in cui siamo coinvolti che consente di guadagnare sapere dall’esperienza” (Luigina Mortari,
s.d.). Con la stesura di questa tesi il mio intento non è solamente quello di arricchire il mio bagaglio personale, bensì anche quello di accrescere le mie conoscenze professionali in vista del lavoro che mi sto accingendo a intraprendere.
Uno dei miei progetti sarebbe quello di lavorare in ambito di accoglienza (favorire un luogo dei legami, dell’incontro e dell’apertura, uno spazio della relazione e della compassione): luogo della cura e spazio privilegiato dell’agire e del soffrire, segnato dalla relazione.
Diversi sono i valori personali e professionali che entrano in gioco nel momento d’incontro con “l’altro” (nient’altro che un “io” varcato un confine), con il “diverso”. La rilevanza infermieristica morale e umana è sicuramente grande: ognuno di noi comprende davvero sé stesso, diventa dunque davvero soggetto, quando intraprende l’esperienza con l’altro nella sua specifica alterità (Bondolfi, 2008): “La narrazione diviene nell’incontro dia-logoi, apertura, passaggio, quel parlare
attraverso le cose visibili e misurabili per aprirsi all’inatteso, a ciò che il visibile nasconde e a ciò che può ancora avvenire e accadere a volte con clamore, altre sommessamente al di qua e anche al di là dello stesso morire. Narrazione condivisa come tessitura a più mani del tappeto della nostra storia, tesa sulle ali del tempo, come diritto ad avere, a recuperare, a reinventare, proprio nel dolore o sulla soglia della perdita del sé, l’ineludibile unicità, che è depositata nella propria storia di vita” (Martignoni, n.d.).
Come la maggior parte dei migranti, i rifugiati non devono solamente confrontarsi e “adottare” una nuova cultura, bensì devono anche confrontarsi con discriminazione e spesso razzismo. Il rifugiato deve inoltre affrontare una perdita a lungo termine dei legami con il Paese di origine;; i membri della famiglia sono spesso assenti e questo causa un’ulteriore perdita del supporto sociale. Da ultimo, i richiedenti l’Asilo spesso si trovano a vivere (per periodi più o meno lunghi) in strutture lontane dai centri urbani e l’assenza di un lavoro porta al sentimento di inutilità (Rohlof, Kleber, & et al., 2009).
Cosa possiamo fare? Cosa dovremmo fare? Cosa dobbiamo fare?
Abbiamo l’obbligo di aprire i nostri cuori ai bisogni dei rifugiati. Non fare nulla va contro la natura e la filosofia di professionista (Zoucha, 2015).
Domanda di ricerca e obiettivi di studio
Per poter svolgere un’accurata ricerca scientifica è stato mio compito chiarire quello che avrei voluto ricercare e approfondire. In questo lavoro il punto focale è traducibile nella seguente domanda di ricerca: In che modo l’infermiere si approccia al rifugiato in ospedale? Quali le
attitudini, quale la presa a carico, quali i bisogni a cui deve rispondere e come vi risponde, quali le difficoltà e i limiti incontrati e quali i miglioramenti ancora necessari?
Per questo lavoro sono stati inoltre prefissati i seguenti obiettivi:
• conoscere e riconoscere le problematiche che più frequentemente l’operatore riscontra nell’incontro con il rifugiato in ospedale. Conoscenza anche, dunque, della persona curante: dai contenuti emotivi ai contenuti pratici.
• Individuare delle strategie e degli interventi efficaci per la presa a carico del paziente che si trova a vivere una nuova realtà culturale.
• Sviluppare la capacità critica nell’affrontare un tema di rilevanza etica con risvolto pratico (pregiudizi, stereotipi, ecc.).
• Sviluppare competenze per la presa a carico olistica del paziente con percorso migratorio. Per la redazione del quadro teorico sono stati utilizzati libri, materiale accademico e sono state consultate alcune banche dati tra cui: PubMed, Google Scholar e Cochrane Library.
Alcune Keywords utilizzate: “Refugees”, “Transcultural nursing”, “Migration”, “Trauma disease”, “Human rights”, “Migrant”, “Nurse”, “Nursing”.
Al termine della ricerca di materiale è stato necessario rimuovere la documentazione non pertinente o eccessiva, limitando così il rischio di accumulare dati che di per sé non parlano.
Sintesi delle tematiche
Fenomeno: migrazione come esperienza di frontiera
La Svizzera è divenuta una società pluralista (principio del pluralismo culturale inteso come mezzo concreto per vivere l’integrazione, per riconoscere a ciascuno il proprio posto e per promuovere la corresponsabilità di tutti) e la diversità delle popolazioni ne è la prova.
Principi etico-giuridici
Nell’Art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e nell’Art.11 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, viene riconosciuto il diritto di ogni individuo a un livello di vita adeguato (diritto a un minimo esistenziale che soddisfi i bisogni materiali elementari dell’essere umano: alimentazione, vestiario, alloggio e cure mediche di base) (DFAE, 2016). Il bene del paziente (beneficenza) rimane il principio cardine dell’azione e relazione medica. L’opinione del paziente assume uno statuto imprescindibile, riconoscendogli così il principio di autonomia decisionale (Bernardo & Malacrida, 2011).
Cultura: salute e malattia e trauma
La migrazione può essere considerata già di per sé come un evento critico rispetto allo stato di salute poiché rappresenta una rottura biografica radicale di tutte le sfere della vita;; vi è un necessario ri-orientamento sociale e culturale che presuppone l’esistenza di numerose conoscenze pratiche. Il flusso migratorio internazionale è un fenomeno in continua evoluzione e la mobilità mondiale subirà molto probabilmente un’intensificazione importante nei prossimi decenni: un fattore di attenzione particolare per l’operatore sanitario diventa quindi lo stato di salute delle persone di origine straniera che risulta essere inferiore rispetto agli svizzeri (F. Althaus, S. Paroz, et al., 2010).
Le Competenze transculturali
Queste competenze possono essere considerate modelli mentali, rappresentazioni della realtà, costrutti storici, sociali e culturali. Sviluppare delle competenze significa anche mettersi in un processo reciproco di narrazione con l’altro (portatore di un’esperienza culturale), favorendo l’emergere di un sapere (Soldati & Crescini, 2006).
La comunicazione interculturale
La comunicazione interculturale permette di vedere oltre al “già atteso”, oltre al familiare. Attraverso lo scambio possono avvenire conoscenze e diversità di sguardi. In considerazione del fenomeno migratorio in costante aumento questo tipo di comunicazione permette una presa a carico olistica della persona.
Nursing transculturale
Tramite un approccio olistico (atteggiamenti pratici e mentali) il transcultural Nursing, promosso da Leininger, prevede che gli infermieri riconoscano e accettino la presenza di differenti culture: ogni individuo pone un proprio significato ai termini di salute e malattia anche tramite l’influenza che la propria cultura ha sul pensiero soggettivo di ognuno di noi (Esposito & Vezzarini, 2011). Le conoscenze transculturali permettono di acquisire abilità capaci di portare al riconoscimento dei bisogni dei pazienti provenienti da altri culture (Maieri-Lorentz, 2008).
Mediazione interculturale
La mediazione interculturale rappresenta e costituisce un dispositivo operativo reale nel quale viene elaborata una risposta a una domanda di aiuto (del curante e/o del curato). Permette di limitare il rischio di ridurre i comportamenti e le parole dell’ ”altro culturale” ai nostri modelli di pensiero: “creare uno spazio di mediazione permette di considerare altre parole, altre eziologie,
altre genesi del malessere” (Soldati & Crescini, 2006).
METODOLOGIA
Al fine di pianificare il progetto di ricerca si è reso necessario definire un metodo di ricerca che permettesse di guidare l’approfondimento e la stesura di questo elaborato. Ho scelto di utilizzare il metodo qualitativo (esplorare, descrivere, spiegare e approfondire un fenomeno) poiché ritenuto più idoneo ad indagare esperienze soggettive (Polit & Beck, 2014) seppur in riferimento a dati concreti: mi sono occupata di creare e definire lo strumento di raccolta dati, raccogliere i dati, analizzarli e derivarne delle conclusioni. Le interviste sono state effettuate facendo riferimento a una griglia (allegata) basata su tematiche principali e approfondite tramite sotto-domande che hanno costituito delle ipotesi orientative (interviste non standardizzate). La documentazione riguardante questa tematica nella realtà ospedaliera ticinese è limitata, trattandosi di un fenomeno ancora poco conosciuto e complesso è risultato difficile porre domande precise (ho utilizzato sia di domande strutturate ma soprattutto domande aperte finalizzate al tema di indagine: predisposizione migliore dell’intervistato che non si sente costretto in logiche costruite). Le domande sono state strettamente funzionali agli obiettivi di indagine consentendo una triangolazione della complessità culturale, cognitiva, valoriale dell’intervistato (Palumbo & Garbarino, 2004). L’indagine retrospettiva basata su narrazioni mi ha permesso di esplorare, descrivere e approfondire i vissuti del campione. All’interno della mia indagine discorsiva vi è stata una riformulazione, una esplicitazione e una teorizzazione di testimonianze (Paillé & Mucchielli, 2005).
L’intervista di ricerca è stata intesa come tecnica avente l’obiettivo di ottenere informazioni (opinioni, comportamenti, ecc.) rilevanti rispetto agli obiettivi di ricerca;; scopo non è stato quello di valutare o modificare le posizioni degli intervistati. L’intervista è stata utilizzata come processo di comunicazione interpersonale inscritto in un determinato contesto storico, sociale e culturale (inizialmente tramite creazione di un canovaccio/ schema dell’intervista) (Gianturco, 2005). Nigris ha proposto uno schema concettuale evocativo utile per costruire il disegno di ricerca: utilizzo di una logica emic (rispettosa dei punti di vista dell’attore sociale intervistato) con risultati anche etic (matriciale) (Nigris, 2001). Ha fatto seguito un approccio critico-costruttivista: un approccio critico (influenze reciproche) e interattivo (al centro l’intervistato ed il fenomeno intervista) hanno fatto da filo conduttore al mio operato (Nigris, 2001).
La mia tesi è stata guidata parallelamente da un’analisi di letteratura e questo mi ha permesso di basarmi sia su dati (ricerca) che su teoria (in sede di ricerca empirica). Il mio lavoro ha interrogato l’esperienza degli infermieri nell’accoglienza del rifugiato (attività, presa a carico, interazioni, processi e fattori costituenti determinate situazioni, ecc.), cercando di guardare attraverso gli occhi delle persone oggetto di studio e dando ampio spazio alla prospettiva dei soggetti (exotopia1). Ho tenuto conto, durante la stesura del lavoro, del relativismo culturale2 che
caratterizza (più o meno) ognuno di noi, il pensiero che assume la possibilità di conoscere il punto di vista altrui sospendendo il giudizio nei confronti di altre culture. Nelle epoche la società ha definito in modo particolare l’altro: il modello interculturale si occupa di fare un passo verso l’altro per comprendere il nostro modo di guardare (Soldati & Crescini, 2006). Partendo da domande sulla realtà ho ricercato risposte a domande di tipo conoscitivo (Gianturco, 2005).
1 Comprendere, accettare e valorizzare il fatto che “l’altro“ non è uguale a noi (Schultz & Lavenda, 2010). 2 Ciò che il relativismo culturale scoraggia è la facile soluzione di respingere fin dal principio le alternative
L’approccio che ha accompagnato la redazione del mio elaborato è stato di tipo induttivo, seguito successivamente da un’analisi in cui sono stati organizzati, analizzati e interpretati i dati delle interviste, in maniera tale da poter arrivare a stendere il rapporto di ricerca (trasformazione delle informazioni in dati: legame tra teoria e obiettivi cognitivi del ricercatore) (Burnard, Gill, & et al., 2008).
Perché l’intervista. “È uno strumento che consente la raccolta di informazioni direttamente dall’oggetto di indagine attivando un processo di interazione fra un soggetto e un altro. L’intervistato, sottoposto a determinati stimoli (domande), fornisce determinate dichiarazioni in parte su schemi programmati, in parte libere, da cui l’intervistatore trae informazioni necessarie per la ricerca” (Palumbo & Garbarino, 2004).
Disegno di ricerca. 5 fasi di lavoro: definizione del problema, piano del lavoro (parallelamente alla
raccolta dati), analisi dei dati, validazione e rapporto finale di ricerca. Il piano di indagine non è stato stabilito completamente prima dell’inizio dello studio, ma è emerso e si è sviluppato di pari passo con la raccolta dei dati. Vi è stato un disegno di massima che ha tenuto in considerazione le questioni che sono state risolte in ogni circostanza concreta della ricerca (Gianturco, 2005). La tipologia di intervista è stata di tipo semi-strutturata/ standardizzata non programmata e
focalizzata (due soggetti in relazione). Tutte le interviste (svolte in due giornate separate) sono
state da me registrate (previa autorizzazione dell’intervistato) mediante registratore portatile e sono state successivamente trascritte (completamente o in parte).
Contesto di ricerca. Medicina 1 OBV, ufficio della capo reparto, durata approssimativa
dell’intervista di 30 minuti.
Partecipanti e campionamento. Il campione costituito da 4 infermiere donne (con durata di
esperienza lavorativa differente) è stato randomizzato e scelto mediante autoselezione, identificato mediante sigle per mantenere l’anonimato: infermiere scelte nel momento in cui mi sono trovata in reparto (nessun preavviso, due rifiuti).
Bias. Un alto livello di generalità di un item aperto significa scarsa significatività delle risposte,
con conseguente pericolo di multidimensionalità (Palumbo & Garbarino, 2004).
Svantaggi. Tra i vari limiti è importante considerare che l’informazione prodotta nella relazione tra
intervistatore e intervistato dipende molto dalle caratteristiche e dal modo di porsi dei soggetti che sono in interazione. Inoltre l’intervista può risentire dell’assenza di osservazione diretta degli scenari in cui si sviluppa l’azione che viene ricordata e trasmessa dall’intervistato (Gianturco, 2005).
QUADRO TEORICO
Fenomeno: migrazione come esperienza di frontiera
L’immigrato nel momento in cui arriva nel paese ospitante viene lasciato spesso in balia di sé stesso a gestire le contraddizioni e gli interrogativi che gli si presentano. Giunge con speranze e fiducia, si ritrova tuttavia ben presto a dover combattere contro una realtà che non conosce. È al momento dell’arrivo nella terra ospitante che prende avvio il fenomeno dell’acculturazione, che non è da confondere con quello di assimilazione o idealizzazione: si tratta di un processo che richiede sforzi da entrambe le culture (Nigris, 2001), una nuova configurazione psico-socio- culturale (interculturalismo), un accento sulla relazione dialogica, uno scambio, un dialogo senza esclusione del conflitto (in termini di confronto autentico e aperto). L’integrazione non suppone un’adesione completa delle popolazioni migranti alle norme e ai costumi della società di accoglienza, bensì riconosce il posto che il migrante occupa nell’economia, nel quadro sociale e/o culturale, conservando l’identità di origine, il modo di vivere e le peculiarità di ogni soggetto (FIMM, n.d.). La migrazione è un fenomeno che presuppone la necessità, da parte della comunità locale, di orientare il futuro della convivenza fra culture differenti;; è un fenomeno che sconvolge i paradigmi ponendo gli individui di fronte a diversità irriducibili.
Questo può provocare la perdita dell’identità tradizionale e un conseguente sentimento di insicurezza, fattore che potrebbe limitare una comunicazione interculturale (Soldati & Crescini, 2006).
Varie possono essere le conseguenze delle migrazioni (Guerci & et al., n.d.):
- Demografiche: spopolamento di alcune regioni e sovrappopolamento di altre (es. bidonville).
- Economiche: la presenza di immigrati influenza il livello di salari, la disponibilità di alloggi, i prezzi dei prodotti sul mercato, ecc.
- Sociali e culturali: confronto tra usi e costumi diversi, possibili conflitti, fenomeni di discriminazione e di razzismo.
- Politiche: la gestione di una località, di una regione, di un Paese dipende dall’integrazione degli immigrati e dal rispetto reciproco delle differenze.
- Ecologiche: presenza massiccia temporanea di turismo.
La Svizzera è stata, fino alla fine del XIX, un Paese d’emigrazione. La caratteristica del nostro Stato federale di essere composto da una comunità di persone di lingue e culture diverse, le ha permesso di diventare un Paese di accoglienza dei flussi migratori. Oggi si assiste a un calo della domanda di Asilo rispetto agli anni passati (prevalenza della domanda da parte di: Eritrea, Somalia, Afghanistan, Siria, Sri Lanka, Iraq e Turchia). Questo fenomeno è conseguente, prevalentemente, agli interventi attuati dall’UE sulle tratte migratorie (diminuzione delle tratte dalla Libia a Lampedusa, sostegno fornito alla Libia, Niger e Ciad per un miglior controllo alle frontiere) (DFGP, 2016). Più di 214 milioni di persone vivono oggi fuori dal loro Paese d’origine;; i motivi dell’abbandono possono essere differenti: conflitti, catastrofi naturali, persecuzioni politiche, povertà, discriminazioni, ecc. (DFGP, 2016).
Nel mondo 65.6 milioni di persone (a fine 2016) hanno forzatamente dovuto abbandonare la loro casa a causa di conflitti e persecuzioni (UNHCR, 2018).
Fattore da tenere in considerazione è che con l’arrivo di individui giovani il processo di invecchiamento della popolazione rallenta, mentre si eleva il tasso di natalità. Inoltre, secondo il “Bureau international du travail” (BIT), il numero di migranti attivi economicamente rappresenta il 90% del numero totale di migranti internazionali (Alexis Gabadinho, Philippe Wanner, & Janine Dahinden, 2007).
Secondo il rapporto sulla migrazione (2016) la popolazione è aumentata di 60’262 persone (immigrate): 27'207 persone hanno presentato domanda d’Asilo in Svizzera, 5’985 persone hanno ottenuto l’Asilo, 7’369 sono state ammesse provvisoriamente. La Svizzera ha accolto 662 rifugiati (UFSP, 2017a). In Ticino, nel 2016, su un totale di 354'375 persone, 99'547 (28.1%) erano stranieri (di cui 46.9% donne). Quattro permessi su cinque sono stati rilasciati a persone provenienti da Stati europei (DFE, 2016).
Secondo i sociologi due sono le forze emerse che interagiscono tra loro e che sono alla base della migrazione (pull and push factors): i fattori di espulsione/repulsione da un Paese (povertà, guerre, carestie, miseria, mancanza di lavoro, salari bassi, deportazioni, esilio, epidemie, mortalità infantile, problemi igienici, analfabetismo, disgregazione familiare) e i fattori di attrazione (società dei consumi, offerte di lavoro, terapie moderne, formazione, ricongiungimento familiare). La comprensione di questi fattori permette di ipotizzare il vissuto eterogeneo che caratterizza il soggetto che intraprende un viaggio migratorio (DFE, 2016).
Il regolamento di Dublino stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di Asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide. Il principio di base è che lo Stato competente è quello di arrivo / primo ingresso del richiedente (Medici Senza Frontiere, 2018). Pur non essendo Stato membro UE, la Svizzera ha concluso accordi per applicare le disposizioni della Convenzione del suo territorio.
Come spesso avviene in presenza di diversità inscritte in unità3 vi possono essere tensioni sul
piano politico e sociale: vivere insieme significa essere cittadini insieme. È necessaria una nuova concezione della cittadinanza che associ lo Stato sociale a una democrazia integrativa, senza che la concessione dei diritti collettivi (comunitari) limiti il rafforzamento dei diritti individuali (parità dei diritti e dei doveri delle persone) (FIMM, n.d.).
Due sono le concezioni estreme che si possono presentare (che limitano la crescita del Paese) e che conducono inevitabilmente alla negazione dell’altro. La prima considera il Paese d’accoglienza come pagina già scritta e stampata. Leggi, convinzioni e valori fissati e stereotipati, necessaria conformazione dei migranti (“inter nos” minacciato dalla presenza degli stranieri). La seconda vede il Paese d’accoglienza come pagina bianca, territorio selvaggio sul quale chiunque può insediarsi senza nulla cambiare delle proprie abitudini, con il conseguente rischio di una reazione di difesa da parte del Paese d’accoglienza (FIMM, n.d.).
Lo stato di salute risulta essere determinante nel processo di integrazione, mentre fattori quali l’isolamento, la precarietà e l’insicurezza economica, le barriere linguistiche e culturali, possono provocare problemi di salute (IOM, 2015). L’isolamento e l’assenza di una rete amicale o familiare, lo stile di vita differente, il mutare delle abitudini alimentari, l’assenza di luoghi privati in cui intrattenere rapporti affettivi o sessuali, la nostalgia del proprio Paese e dei propri affetti, lo spostamento, l’incertezza del futuro e la precarietà, sono tutti fattori che originano indeterminatezza, mancanza di identità, senso di inutilità e mancanza di senso del proprio esistere (Favaro & Tognetti-Bordogna, 1989). Secondo quanto proposto dall’associazione
Appartenances (1992) i migranti sono, per natura e per circostanze, esseri vulnerabili;; nella
maggior parte dei casi la migrazione rappresenta una crisi nella vita individuale e la sofferenza che ne deriva non dovrebbe essere considerata come malattia o come condizione patologica (Jonckhere & Bercher, 2003).
3 Il concetto di Superdiversity di Vertovec pone l’accento sulla diversità nella diversità: convivere in maniera
Le crisi migratorie possono avere un risvolto favorevole o sfavorevole;; tuttavia si tratta in ogni caso di un’occasione per scoprire nuove possibilità di sviluppo. Diventa indispensabile trovare strategie atte a migliorare la qualità dell’inserimento così da soddisfare meglio le necessità assistenziali.
In questo modo si può ridurre il senso di isolamento sociale che spesso risulta essere causa del grave disagio (Aletto & Di Leo, 2003). Il viaggio è un tassello di realtà da tenere in considerazione se si vuole avere una visione globale e olistica della situazione e se si vuole, in quanto professionisti, attuare una presa a carico competente e transculturale. Sempre più spesso i mass media riportano notizie su gruppi di migranti che, in procinto di attraversare i confini, si trovano accampati alle stazioni ferroviarie o nei centri città. Le condizioni di vita non sono favorevoli: assenza di elettricità, igiene ridotta, sgombri forzati, ostacoli all’accesso alle cure, marginalità sociale. Dati preoccupanti mostrano come dalla fine del 2016, più di 20 persone sono morte nel tentativo di varcare le frontiere per arrivare in Francia, Svizzera o Austria. Programmi di accoglienza sono stati creati per favorire il fenomeno dell’alleggerimento delle frontiere, fornendo anche aiuti psicologici di base (Medici Senza Frontiere, 2018). La creazione di uno spazio di libertà, sicurezza, di uguaglianza e di solidarietà, nonché il rafforzamento dei principi di democrazia e dello stato di diritto, sono fattori che permettono la creazione di un’Europa inclusiva e non refrattaria nei confronti delle popolazioni migranti: un superamento dunque dell’orientamento securitario che ha il solo obiettivo di tutelare le frontiere degli Stati arginando i flussi migratori e rendendo difficili i processi di integrazione (Sabatino, n.d.).
È importante specificare alcuni termini:
Migrante: secondo l’UNESCO, individuo che vive temporaneamente o permanentemente in un
Paese nel quale non è nato ma con il quale ha acquisito importanti legami sociali. In maniera più generale si può definire migrante colui che si trova in un processo di movimento geografico. I problemi psicologici sono spesso legati al fenomeno della transculturazione (dover affrontare paradigmi e significati diversi, dilemma se restare fedeli alla propria cultura o adattarsi a quella nuova): soggetti e individualità all’interno di ogni cultura (Nicolas, Wheatley, & Guillaume, 2015). I motivi dello spostamento possono essere molti. La migrazione può dunque essere (Papadopoulos, Shea, Taylor, Pezzella, & Foley, 2016): forzata, economica, climatica. Le migrazioni sono costruzioni sociali complesse in cui agiscono tre principali attori: le società di origine, i migranti attuali e potenziali, le società riceventi (Bertini, Pezzoli, & Solcà, 2018). Attenzione particolare viene data alle risorse messe in campo: culturali-tradizionali (derivate da processi di apprendimento, utili per l’inserimento), apprese (derivanti da processi di apprendimento collettivi in situazioni di emigrazione), istituzionali (si concretizzano con regole, agenzie più o meno formali) (Nicolas et al., 2015).
Richiedente l’Asilo: individuo che pone una domanda di statuto di rifugiato. In Svizzera beneficia
di una cassa malati di base (i Cantoni sono liberi di limitarne la scelta). Dopo la domanda di Asilo, l’Ufficio federale di migrazione può decidere una “Non Entrata in Materia” (NEM) qualora non esistessero prove sufficienti per giustificare una domanda di Asilo. Rimane comunque la possibilità di accedere alle cure d’urgenza. Respingendo la domanda d’Asilo si costituisce comunque un rischio per la popolazione respinta di entrare nell’illegalità (SEM, 2017).
Rifugiato: secondo la Legge sull’Asilo e in conformità con la Convenzione internazionale relativa
allo statuto di rifugiati adottata dall’ONU il 29 luglio 1951 (e completata dal protocollo del 1967), il rifugiato è colui che nel Paese d’origine è esposto a seri pregiudizi (religione, nazionalità, ecc.), a pericoli per la vita, per l’integrità corporale o per la libertà. È particolarmente importante ricordare il principio di non-respingimento.
In Svizzera il rifugiato beneficia della cassa malati ed è inserito nello stesso sistema degli svizzeri (DFAE, 2016). I rifugiati sono considerati sopravvissuti, spinti dalla forza e dalla resilienza ad andare avanti;; rimangono tuttavia portatori di esperienze di violenza, paura, privazione e perdita (tutti potenziali fattori di rischio per sviluppare problemi di salute mentale) (Mental Health Guide, 2015).
Multiculturalità: visione che implica l’essere consapevoli delle differenze e delle pluralità
dell’identità, e che descrive una situazione già presente, la co-esistenza nella società di diverse culture e gruppi etnici (SUPSI, 2016).
Interculturalità: obiettivo a cui tendere. Visione che implica l’essere consapevoli che l’incontro
delle pluralità cambia i soggetti, le culture, dove le diverse identità e alterità si influenzano. Il prerequisito è quello di riconoscere le differenze tra le persone: non significa però fare proprio il punto di vista dell’altro. L’interculturalità deve essere voluta da entrambe le parti, è un processo co-partecipativo e co-evolutivo (SUPSI, 2016).
Principi etico-giuridici
In considerazione della presenza in Svizzera della Legge sugli stranieri (diritto degli stranieri, 2008) e della Legge sull’Asilo (diritto d’Asilo, 1999) ritengo importante considerare anche i principi di Beneficenza e non Maleficenza: fare il bene del malato affrontando il male che lo colpisce con il divieto di arrecare danno al malato (primum non nocere) (Bertini et al., 2018). Considerando che il bene è sempre relativo a un soggetto capace di valutare che cosa ha più o meno valore all’interno del piano di vita, il bene del paziente (beneficenza) rimane il principio cardine dell’azione e relazione medica. Riconoscendo il principio di autonomia decisionale, l’opinione del paziente assume così uno statuto imprescindibile (Bernardo & Malacrida, 2011).
Fin dal 1945 l’ONU si prefigge di “promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle
libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, sesso o religione” (art.1 n.3). Sviluppo e
diritti umani sono inseparabili: lo sviluppo economico e sociale è durevole se sono date le necessarie condizioni quadro giuridiche e politiche (es.: buona gestione del governo4). Molto
spesso vi è un nesso tra flussi migratori internazionali e diritti umani: la violazione di questi diritti è una delle principali cause delle migrazioni forzate ed è quindi necessario riconoscere che queste persone dipendono dall’aiuto e dalla protezione internazionale (DFAE, 2016). Secondo
l’art. 2 del Codice Deontologico degli infermieri, il curante deve agire tenendo in considerazione i
valori religiosi, ideologici ed etici, la cultura e il sesso dell’individuo. Una fra le figure che ha il primo contatto con il soggetto migrante, l’infermiere si troverà a gestire anche i conflitti culturali (Mental Health Guide, 2015). Secondo l’art.2 della Legge sulla promozione della salute e il
coordinamento sanitario lo Stato deve promuovere la salute di tutti i cittadini senza distinzione di
condizione individuale e sociale;; per fare questo lo Stato si può avvalere della collaborazione di Comuni ed altri Enti, nonché della collaborazione di persone fisiche e giuridiche (in particolare degli operatori sanitari) (Gran Consiglio della Repubblica e Cantone Ticino, 1989). Inoltre, secondo l’art.5 della stessa legge, ogni persona ha il diritto a ricevere prestazioni sanitarie scientificamente riconosciute, secondo i principi di libertà, dignità e integrità.
4 Governance: i diritti umani sono strettamente connessi con le condizioni quadro giuridiche e politiche di
All’interno della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo vengono espressi i principi di Universalità e
Solidarietà secondo i quali “tutti i bambini, tutte le donne e tutti gli uomini che vivono sulla Terra sono uguali e legali” e “nessun essere umano può essere reso illegale da una politica, un regolamento o una legge discriminatori, xenofobi o razziali” (FIMM, n.d.). A livello infermieristico
lo scopo della società di Nursing Transculturale è di impegnarsi per i diritti di tutti i popoli di godere del pieno potenziale umano, al fine di raggiungere il più alto livello di salute. La società, in quanto tale, deve poter salvaguardare i diritti umani e l’assistenza sanitaria istituendo e implementando competenze interculturali. Secondo lo statuto dei diritti umani a livello sanitario vi sono dunque dei diritti universali imprescindibili per l’operatore: accesso a cure di qualità (operatori qualificati, risorse) e a fornitori di servizi culturalmente e linguisticamente competenti, informazione sul proprio stato di salute, partecipazione dei familiari o altri significativi nelle decisioni, possibilità di accettare o rifiutare le cure e di negoziare per ottenere cure culturalmente congruenti, ecc. (Miller & et al., 2008). Da ultimo, esistono oggi dei programmi che hanno come obiettivo quello di proteggere le pari opportunità: ne è esempio il programma migrazione e salute che si occupa di promuovere l’alfabetizzazione sanitaria dei migranti, le pari opportunità di accesso, la comprensione tra professionisti, la formazione5 nell’affrontare la diversità e la ricerca sui gruppi a
rischio (Miller & et al., 2008).
Cultura: salute, malattia e trauma
Vi sono quattro pilastri fondamentali da elaborare per affrontare l’incontro con l’altro: superamento della barriera linguistico-culturale (ricorso e utilizzo dei mediatori-interpreti professionisti), individuazione e superamento dei propri pregiudizi e stereotipi (comunicazione interculturale), comprensione socio-antropologica (contestualizzazione nel tempo e nello spazio) 6, integrazione dal punto di vista del paziente (trasmettere, ricevere e integrare la conoscenza del paziente) (Guerci & et al., n.d.). Il pensiero antropologico ed etnologico ci permette un “saper fare” segnato dalla qualità dell’incontro con l’altro, prevedendo la deterritorializzazione dell’Occidente: sfida a non ridurre le pratiche “altre” a irrazionali o ad arcaicizzare i suddetti fenomeni solo perché incapaci di farli rientrare nelle categorie dell’osservatore (Nicolas et al., 2015). Diventa imprescindibile, per il curante che si trova di fronte un migrante o un individuo di diversa cultura, ricorrere al principio dell’etnomedicina: capacità di relazionarsi con l’altro includendo la deterritorializzazione della propria visione. È compito di chi per mestiere si prende cura soffermarsi e concentrarsi sullo studio delle alterità7, e non delle diversità8, attraverso molteplici percorsi (Rizzi, 2002) a partire dal riconosciemnto dei determinanti della salute, fattori che influenzano lo stato di salute di un individuo o di una popolazione: il modello Europa, che si occupa di esprimere differenti livelli di esperienza mediante una serie di strati concentrici, ne è una rappresentazione (allegato immagine 1) (International Conference on Primary Health Care, Alma-Ata, USSR, 1978).
5 Siti internet permettono di approfondire le tematiche relative alle specifiche culture (EthnoMed, 2017) 6 Antropologia intesa come un’attitudine particolare del pensiero nell’osservazione delle popolazioni, degli
individui, dei comportamenti, delle scelte, degli strumenti;; modo di pensare e di guardare (Guerci & et al., n.d.).
7 Carattere di ciò che è o si presenta come “altro”. Concetto che si oppone a quello di identità (Treccani,
2017).
Il principio dell’etnomedicina permette quindi di comprendere come lo studio delle medicine tradizionali dei popoli si occupi dei procedimenti preventivi, igienici, curativi, magico-religiosi ed empirici. In quanto curanti è importante riconoscere come da sempre l’uomo per curarsi abbia adottato differenti strategie terapeutiche in funzione delle caratteristiche esistenti, nonché delle tipologie peculiari culturali e socio-strutturali (Guerci & et al., n.d.), e come sia facile permettere a stereotipi e pregiudizi di far parte del pensiero soggettivo. Secondo Lippmann (1922) gli stereotipi sono “stampi cognitivi che riproducono le immagini mentali delle persone, o in altre
parole, i quadri mentali che abbiamo in testa”. Si tratta di semplificazioni rigide e grossolane che
l’intelletto usa per ridurre la complessità del mondo esterno (suddivisione in categorie secondo concetti di somiglianza e differenza) (SUPSI, 2016). Il rapporto conoscitivo con la realtà non è diretto, bensì mediato dalle immagini mentali che, di quella realtà, ognuno si forma (identità e alterità nella pratica professionale). Le conseguenze possono riguardare una riduzione delle differenze all’interno di un gruppo (in-group) e un ampliamento delle differenze tra i gruppi (out- groups) (identità e alterità nella pratica professionale). In quanto esseri umani sociali non è possibile non possedere stereotipi poiché essi semplificano l’elaborazione, forniscono informazioni supplementari quando servono, difendono l’identità gruppale, aumentano le probabilità di essere accettati. È dunque necessario riconoscerli (per poi poterli rimuovere mediante distrattori mentali) evitando così di semplificare i fatti quando vanno a rappresentare gruppi e non individui, quando portano a interpretazioni errate sulla persona, distorcono potenzialmente la realtà e portano a stigmatizzazioni (SUPSI, 2016). Il rischio, se non viene elaborato e riconosciuto lo stereotipo, è quello di arrivare al pregiudizio: giudizio precedente all’esperienza o in assenza di dati empirici, tendenza a considerare in modo sfavorevole le persone che appartengono a un determinato gruppo sociale (SUPSI, 2016).
L’etnocentrismo è invece la tendenza umana ad avere una concezione per la quale si considera il proprio gruppo al centro di ogni cosa (tutti gli altri gruppi vengono considerati in rapporto a esso), “è un atteggiamento valutativo secondo il quale i criteri, i principi, i valori, le norme della cultura
di un determinato gruppo sociale, etnicamente connotato, sono considerati dai suoi membri come qualitativamente più appropriati e umanamente autentici rispetto ai costumi di altri gruppi sociali”
(Treccani, s.d.). Dall’etnocentrismo culturale prende avvio il fenomeno dell’antropopoiesi che consiste nel processo culturale di costruzione degli individui, affinché diventino consoni a una determinata cultura. Per quanto riguarda la cultura occidentale ritroviamo il principio di “tessuto
sociale”: tanti individui con una medesima funzione ma tante individualità. Per quanto riguarda le
altre culture è possibile rifarsi invece al concetto di “sincizio sociale”: spazio biologico, condiviso (Bertini et al., 2018). Noi siamo portatori della cultura, il mondo che percepiamo e tocchiamo è culturale, il nostro corpo è l’interfaccia tra il noi e il mondo, traduce l’insieme di norme, valori e ruoli socialmente condivisi dalla comunità di appartenenza (incorporazione culturale) (SUPSI, 2016). È dunque fondamentale che i curanti applichino cure interculturali che “evidenziano una
maniera di essere, un riconoscimento e un rispetto dell’altro, un approccio che necessita dialogo e ascolto, fiducia e riconoscimento. Ogni situazione di cura è una situazione antropologica, ovvero che riguarda l’uomo inserito nel suo ambiente, intessuto da ogni tipo di legame simbolico”
(Duilio F. Manara, 2004). Le persone meno integrate, o che si sentono tali, pensano che nel quadro delle loro esperienze con i servizi sanitari i loro bisogni in rapporto alla loro cultura o alla loro religione non siano sufficientemente presi in considerazione (Treccani, s.d.).
Mentre in passato si pensava che la relazione tra migrante e salute fosse accompagnata a priori da un bagaglio patologico, oggi si riconosce la difficoltà di identificare un legame causale tra migrazione e talune patologie;; essere migrante non è più considerato, a prescindere, come fattore di rischio sanitario, mentre viene riconosciuta la complessità del rapporto della combinazione di molti elementi genetici, sociali, economici, amministrativi e legati agli stili di vita (Guerci & et al., n.d.).
Secondo studi condotti sulla salute delle popolazioni migranti in Svizzera, esistono fattori che influenzano lo stato di benessere (Alexis Gabadinho et al., 2007):
-‐ Livello di integrazione: problemi di comunicazione con il personale sanitario e discriminazioni subite inducono a differenze nella qualità della presa a carico con differente impatto sulla salute (le discriminazioni subite sono sistematicamente associate a deterioramento dello stato di salute).
-‐ Stato di salute auto-dichiarato: le variazioni culturali non falsano questo indicatore. -‐ Comportamenti a rischio: alimentazione, tabagismo, alcolismo, assenza di attività fisica. -‐ Quantità e qualità delle relazioni sociali: supporto sociale come risorsa disponibile. Come già visto l’isolamento costituisce un fattore di rischio (allegato immagine 2).
Percezioni erronee che spesso prendono posto all’interno del pensiero collettivo e scarsità di dati oggettivabili alimentano i comportamenti xenofobici portando a ripercussioni negative sulla salute dei migranti: lo straniero è per la comunità una presenza da cui può scaturire il cambiamento, per tanto esso è allo stesso tempo attraente e pericoloso (Favaro & Tognetti-Bordogna, 1989). Rispondere ai bisogni dei migranti permette di: migliorare il loro stato di salute, facilitare l’integrazione, prevenire i costi sanitari a lungo termine, favorire lo sviluppo socio-economico e, soprattutto, proteggere la sanità pubblica e i diritti dell’uomo (Organisation internationale pour les migrations (OIM), 2013).
La salute per l’immigrato è un capitale da difendere poiché rappresenta la chiave di ingresso all’emigrazione ed è una risorsa irrinunciabile per la realizzazione personale che deve perdurare nel tempo (Rizzi, 2002).
Soltanto una mente e un corpo sani possono sostenere l’individuo migrante nella realizzazione degli impegni presi (verso sé stesso e verso il suo gruppo sociale) in seguito all’atto migratorio (Favaro & Tognetti-Bordogna, 1989). Il corpo rappresenta una sorta di confine tra interno ed esterno, attraverso di esso si mostrano e occultano gli stati interni;; nel momento del ricovero il paziente viene tuttavia spogliato dei suoi abiti, diviene così oggetto medico. Mentre si ha sempre più la necessità di definire in modo scientifico l’esperienza di malattia, questo non dovrebbe essere fatto con l’incontro con il malato (sarebbe necessario dunque un superamento della logica cartesiana su cui si fonda il modello biomedico: separazione mente-corpo): “Non si può parlare
del corpo senza parlare del paziente che lo abita” (Visiolo, 2004). L’ermeneutica è il procedimento
conoscitivo che permette di risalire da un segno al suo significato, condizione intrinseca di ogni atto conoscitivo (Treccani, 2017).
“Far entrare il corpo nella sua totalità e complessità nella pratica sanitaria significa farlo entrare
con la sua storia, significa riconoscere uno spazio narrante che richiede competenze di comprensione e di ascolto attraverso le quali creare la condivisione di un’intimità che consenta al paziente di comprendere sé stesso, una volta per tutte, come soggetto nel mondo” (Visiolo, 2004).
Per il rifugiato, l’allarme per il proprio corpo, che nulla ha a che fare con il vissuto ipocondriaco, rappresenta il segnale di una concezione del soma come una macchina per lavorare e produrre in terra estranea (Santipolo, Tosini, & Tucciarone, 2004).