Università degli Studi di Pisa
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche
e Naturali
Laurea Magistrale in Fisica
Studio delle prestazioni temporali di uno scanner
PET per la verifica del percorso nel paziente delle
particelle in adroterapia
Candidato:
Giulia Pazzi
Relatore:
Prof.ssa Maria Giuseppina
Bisogni
Indice
Introduzione 8
1 L’adroterapia 11
1.1 Terapie oncologiche . . . 11
1.2 Interazione delle particelle cariche pesanti con la materia . . . 12
1.2.1 Interazioni coulombiane e potere frenante . . . 12
1.2.2 Scattering di Coulomb Multiplo . . . 14
1.2.3 Frammentazione nucleare . . . 15
1.3 Grandezze dosimetriche e radiobiologiche di interesse in adroterapia . 17 1.3.1 Dose . . . 17
1.3.2 Linear Energy Transfer . . . 18
1.3.3 Effetti biologici delle particelle cariche . . . 18
1.4 Implementazione clinica dell’adroterapia . . . 20
1.4.1 Acceleratori e beam delivery . . . 20
1.4.2 Piani di trattamento . . . 23
1.4.3 Adroterapia: vantaggi e limiti . . . 25
1.5 Adroterapia nel mondo e in Italia . . . 27
1.5.1 CNAO: Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica . . . 27
2 Verifica del range delle particelle in adroterapia 31 2.1 Radiografia/tomografia a protoni . . . 32
2.2 Prompt Gamma Imaging . . . 32
2.3 Risonanza Magnetica . . . 33
2.4 Positron Emission Tomography . . . 34
2.4.1 Basi fisiche della PET . . . 34
3 II progetto INSIDE per la verifica del range delle particelle in
adroterapia 43
3.1 Il dose profiler . . . 44
3.2 Lo scanner PET . . . 45
3.2.1 Gli ASIC TOF-PET . . . 47
3.2.2 Sistema di acquisizione dati . . . 50
3.3 Ricostruzione delle immagini PET . . . 50
4 Ricostruzioni TOF per applicazioni in-beam PET in adroterapia 53 4.1 Artefatti nella ricostruzione delle immagini in INSIDE . . . 53
4.2 Time-of-Flight PET . . . 55
4.3 L’implementazione dell’algoritmo TOF in INSIDE . . . 57
5 Ottimizzazione della risoluzione temporale del prototipo di INSI-DE 60 5.1 Il prototipo . . . 60
5.2 Calibrazione del TDC . . . 61
5.2.1 Calibrazione lineare . . . 63
5.2.2 Metodo della distribuzione cumulativa . . . 63
5.3 Studio del tempo morto del sistema . . . 65
6 Risultati sperimentali 73 6.1 Studio della risoluzione temporale . . . 73
6.1.1 Selezione della finestra energetica . . . 74
6.1.2 Calcolo delle coincidenze . . . 74
6.1.3 Sincronizzazione degli ASIC . . . 75
6.1.4 Misura della CTR del sistema . . . 78
6.1.5 Confronto dei due metodi di calibrazione . . . 78
6.2 Test alla linea di fascio del CNAO . . . 79
6.2.1 Setup sperimentale . . . 80
6.2.2 Analisi dati . . . 81
6.2.3 Analisi delle immagini . . . 83
6.2.4 Confronto tra i due algoritmi di ricostruzione . . . 88
Conclusioni 91
Elenco delle figure
1.1 Picco di Bragg. . . 14
1.2 Allargamento del fascio . . . 16
1.3 Singola e doppia rottura dell’elica del DNA . . . 19
1.4 LET . . . 20
1.5 Dipendenza RBE-LET . . . 21
1.6 Curve di sopravvivenza celluare . . . 22
1.7 Delivery system: passivo . . . 23
1.8 Delivery system: attivo . . . 24
1.9 Perdita di energia per fotoni e ioni. . . 26
1.10 Confronto tra adroterapia e radioterapia . . . 27
1.11 Organi a rischio . . . 28
1.12 Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica . . . 29
1.13 Sincrotrone e sala di trattamento del CNAO . . . 29
2.1 Annichilazione del positrone. . . 35
2.2 Spettro di emissione dei β+. . . 35
2.3 Scanner PET . . . 37
2.4 Rumore in PET . . . 38
2.5 Profilo di dose e attività . . . 39
2.6 Scanner PET in-beam . . . 41
2.7 Artefatti da copertura angolare parziale . . . 42
3.1 Scanner PET e dose profiler di INSIDE . . . 44
3.2 Schema del dose profiler . . . 45
3.3 Scanner PET di INSIDE . . . 46
3.4 Modulo Hamamatsu LFS+SiPM . . . 47
3.5 Sistema a due soglie . . . 48
4.1 Ricostruzione con algoritmo MLEM di fantoccio di PMMA . . . 54
4.2 Profilo attività . . . 55
4.3 TOF-PET . . . 56
4.4 Geometria del sistema simulato . . . 58
4.5 Simulazioni . . . 59
5.1 Setup sperimentale. . . 61
5.2 Distribuzione dei valori a 10 bit del fine time. . . 62
5.3 Curva di calibrazione. . . 65
5.4 Fine time calibrato. . . 66
5.5 Schema di funzionamento di rivelatori paralizzabili e non . . . 67
5.6 Rate attesi per rivelatori paralizzabili e non. . . 68
5.7 Setup sperimentale con planare . . . 69
5.8 Rate di eventi rivelati in funzione del tempo . . . 70
5.9 Fit esponenziale delle curve di attività . . . 71
5.10 Rate rivelato in funzione del rate atteso . . . 72
6.1 Setup sperimentale . . . 74
6.2 Spettro energetico . . . 75
6.3 CTR tra due chip. . . 76
6.4 Ritardi tra i chip . . . 77
6.5 CTR del sistema. . . 78
6.6 Confronto CTR. . . 79
6.7 Setup alla linea di fascio al CNAO . . . 80
6.8 Rate di singole . . . 82
6.9 Spettro inter-spill . . . 83
6.10 Immagini inter-spill . . . 84
6.11 Profili di attività . . . 86
6.12 Equazione di Bortfeld: fit . . . 87
6.13 Profilo di attivazione - 12C . . . 88
Acronimi
SOBP: Spread-Out Bragg Peak, allargamento del picco di Bragg LET: Linear Energy Transfer, trasferimento lineare di energia RBE: Relative Bilogical Effectivness, efficacia biologica relativa PTV: Planned Target Volume, volume bersaglio
CT: Computed Tomography, tomografia computerizzata
PET: Positron Emission Tomography, tomografia a emissione di positroni MRI:Magnetic Resonance Imaging, Risonanza Magnetica Nucleare
TPS: Treatment Planning System
FWHM: Full Width at Half Maximum, altezza a metà ampiezza FOV: Field of View, campo di vista
LOR: Line of Response, linea di risposta TOF: Time of Flight, tempo di volo
SNR: Signal-to-Noise Ratio, rapporto segnale-rumore PMMA: polimetilmetacrilato
SiPM: Silicon PhotoMultiplier, fotomoltiplicatori al silicio ASIC: Applications Specific Integrated Circuits
LYSO: Lutetium-yttrium oxyorthosilicate
PMT: PhotoMultiplier Tube, tubo fotomoltiplicatore LFS: Lutetium Fine Silicate
FPGA: Field Programmable Gate Arrays ToT: Time-over-Threshold, tempo sopra-soglia TDC: Time-to-Digital Converter
TAC: Time-to-Analogue Converter SoC: Start of Conversion
EoC: End of Conversion
MLEM: Maximum Likelihood-Expectation Maximization FDG: fluorodesossiglucosio
Introduzione
L’adroterapia è una terapia oncologica che mira all’eradicazione delle cellule tumo-rali tramite il danneggiamento indotto da particelle cariche pesanti, generalmente protoni e ioni12C. Il vantaggio nell’utilizzo dell’adroterapia rispetto alla radioterapia
convenzionale, che utilizza fasci di elettroni o di fotoni, sta nella caratteristica curva di perdita di energia degli ioni nei tessuti attraversati. Questa curva presenta un andamento iniziale quasi piatto con un picco alla fine del percorso della particella, detto picco di Bragg. Tale picco, la cui profondità nel tessuto dipende dall’energia e dalla carica delle particelle, assicura un rilascio di dose più mirato rispetto ad esem-pio ai fotoni, la cui perdita di energia è esponenziale. Questo è di grande interesse per trattare tumori nelle vicinanze di organi a rischio, ossia organi particolarmente sensibili alle radiazioni e che devono pertanto essere preservati dall’irraggiamento. Tuttavia la determinazione del reale percorso delle particelle (chiamato range) in trattamenti di adroterapia è affetta da incertezze quali errori nel calcolo del piano di trattamento oppure variazioni nell’anatomia del paziente durante l’intero ciclo di trattamenti. A causa di tali incertezze si rende necessario definire degli ampi mar-gini di sicurezza attorno al volume tumorale da trattare, per assicurarne la totale copertura durante la terapia. Per poter ridurre tali margini di sicurezza e sfruttare al meglio il vantaggio offerto in adroterapia dalle proprietà balistiche delle parti-celle cariche è quindi auspicabile un monitoraggio dell’effettivo percorso degli ioni all’interno del corpo del paziente. La Tomografia a Emissione dei Positroni (PET) è uno dei metodi più utilizzati per verificare il percorso delle particelle durante i trattamenti di adroterapia. Infatti, a seguito dell’interazione del fascio con il cor-po del paziente, sono prodotti nel corcor-po isotopi instabili che decadono emettendo β+. I positroni annichilano con gli elettroni atomici e vengono emessi due fotoni da
511 keV. I fotoni, emessi in coincidenza in quanto provenienti dallo stesso evento di annichilazione, vengono rivelati e processati dal sistema PET. Poiché la produzione di emettitori β+ è concentrata lungo tutta la traccia della particella all’interno del
tenuta è possibile ottenere informazioni relative all’effettivo percorso degli ioni nel tessuto.
Proprio per questo scopo nasce il progetto INnovative Solution for In-beam Do-simEtry in hadrontherapy (INSIDE), in collaborazione con il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO). Il sistema realizzato da INSIDE è composto da uno scanner PET a due teste piane di 25×10 cm2 poste in opposizione e formate da
matrici di cristalli scintillatori accoppiati a uno a uno con fotomoltiplicatori al silicio (SiPM). I segnali provenienti dai SiPM vengono letti dai canali di schede elettroni-che dedicate. Uno dei limiti dei sistemi PET planari è la bassa risoluzione spaziale nella direzione perpendicolare alle due teste. Questo perché la non totale copertu-ra angolare fa sì che parte delle informazioni siano perse e le immagini ricostruite presentino un allungamento nella direzione ortogonale ai rivelatori. Un migliora-mento delle immagini può essere ottenuto inserendo nell’algoritmo di ricostruzione l’informazione sul tempo di volo dei fotoni (Time of Flight, TOF). Idealmente, gra-zie alla conoscenza esatta del tempo di volo, sarebbe possibile determinare il punto di annichilazione del positrone, ma nella pratica questo è limitato dalla risoluzione temporale finita del rivelatore. Tuttavia anche un’informazione temporale affetta da incertezza può comunque ridurre il margine di indeterminazione sulla posizione dell’evento di annichilazione. Questa informazione, inserita nell’algoritmo di rico-struzione, migliora il rumore e la risoluzione spaziale dell’immagine, compensando in parte la parziale copertura angolare. Affinché l’informazione TOF porti a un miglioramento nelle immagini PET, la risoluzione temporale deve essere inferiore al nanosecondo.
Questo lavoro di tesi si pone come obiettivo lo studio e l’ottimizzazione della risoluzione temporale del rivelatore al fine di ottenere una risoluzione temporale tale da permettere la ricostruzione TOF e verificare, da un confronto tra i due algoritmi di ricostruzione, gli eventuali benefici portati dal TOF rispetto alla ricostruzione con il metodo standard MLEM. Tale studio è stato affrontato utilizzando un prototipo PET analogo allo scanner progettato da INSIDE ma di dimensioni ridotte.
Inizialmente è stato sviluppato un metodo di calibrazione di una delle compo-nenti hardware del sistema atta alla determinazione del tempo di arrivo dei fotoni sul rivelatore. Il sistema di acquisizione sfrutta per il campionamento del tempo dei Time-to-Digital Converter (TDC) che devono essere calibrati e il metodo standard prevede una calibrazione lineare. Tuttavia si è osservato che la distribuzione del tempo presenta un andamento non lineare. In questo lavoro di tesi è stato quindi proposto un metodo alternativo di calibrazione che sfrutta la distribuzione
cumu-lativa e che tiene conto delle irregolarità della distribuzione. Tale metodo è stato confrontato con quello precedentemente utilizzato, ed ha permesso di migliorare la risoluzione temporale di 250 ps, passando dal valore iniziale di 1180 ps a 930 ps. Questo risultato è molto significativo in quanto una riduzione della risoluzione tem-porale introduce la possibilità di utilizzare il TOF nella ricostruzione delle immagini. Inoltre questa calibrazione viene eseguita a seguito dell’acquisizione, non comporta modifiche a nessuna componente del sistema ed offre quindi la possibilità di essere utilizzata nelle procedure di analisi dati del sistema INSIDE che si trova al CNAO. Il metodo è anche autoconsistente in quanto applicato a ogni set di dati a partire dai dati stessi.
Il sistema, calibrato e ottimizzato in termini di risoluzione temporale, è stato installato presso una delle sale di trattamento del CNAO dove è stato testato in condizioni simili a quelle cliniche. Sono stati irraggiati fantocci di polimetilmetacri-lato (PMMA) con fasci di protoni e ioni carbonio di diverse energie e i dati sono stati analizzati applicando la procedura descritta sopra. Sono state poi ricostruite le immagini utilizzando due diversi algoritmi di ricostruzione, uno standard basato sul metodo Maximum Likelihood Estimation Maximization (MLEM) e uno che sfrutta l’informazione TOF. Le prestazioni dei due algoritmi sono state messe a confronto calcolando il rapporto segnale-rumore delle immagini ricostruite con i due metodi.
Nel primo capitolo di questa tesi viene introdotta l’adroterapia, le quantità fi-siche di interesse per comprenderne il funzionamento ed i vantaggi rispetto alla radioterapia convenzionale, gli acceleratori utilizzati e l’attuale panorama italiano. Nel secondo capitolo saranno invece descritti alcuni metodi per la verifica del range delle particelle in adroterapia con particolare riferimento alla PET, su cui questo lavoro è incentrato. Nel terzo capitolo viene descritto il progetto INSIDE ed il si-stema PET sviluppato in tale ambito. Nel quarto capitolo è introdotto il metodo di ricostruzione TOF e i vantaggi attesi nelle applicazioni PET in adroterapia. Nel quinto capitolo è descritto il prototipo utilizzato in questo lavoro di tesi e il metodo di calibrazione sviluppato. Viene anche riportato uno studio sul tempo morto del rivelatore. Nell’ultimo capitolo vengono infine illustrati i risultati sperimentali ot-tenuti: si riporta un confronto della risoluzione temporale del sistema ottenuta con i due diversi metodi di calibrazione del TDC e l’analisi dei dati acquisiti al CNAO con la ricostruzione delle immagini e il confronto tra i due algoritmi di ricostruzione. Lo studio effettuato e i risultati ottenuti in questo lavoro di tesi sono stati effettuati come studi preliminari in previsione dell’implementazione dell’algoritmo TOF sul
Capitolo 1
L’adroterapia
L’adroterpia è una terapia oncologica che sfrutta particelle cariche pesanti (gene-ralmente protoni e ioni carbonio) per l’eradicazione dei tumori. In questo capitolo vengono introdotte le principali terapie oncologiche con particolare attenzione a radioterapia e adroterapia. Verranno inoltre discusse le grandezze fisiche e radiobio-logiche su cui si basa l’adroterapia e che sono necessarie per comprendere i vantaggi di quest’ultima.
1.1
Terapie oncologiche
Nel panorama attuale, le terapie oncologiche più diffuse oltre alla chirurgia sono la chemioterapia e la radioterapia, utilizzate sia come supporto ad interventi chi-rurgici sia come alternativa ad essi. La chemioterapia sfrutta l’utilizzo di farmaci che agiscono eliminando le cellule durante la loro replicazione ed ha perciò mag-gior impatto su tumori a rapida crescita. Tuttavia la non selettività del farmaco provoca sostanziosi danni collaterali anche a cellule sane che presentano, come le neoplasie, un ciclo riproduttivo molto rapido (cellule dei bulbi piliferi, del sangue, dell’apparato digerente) [1]. Nella tradizionale radioterapia a fasci esterni il pazien-te viene invece trattato con fasci di fotoni o elettroni di energia compresa tra 4 e 25 MeV [2] che ionizzano gli atomi del corpo del paziente provocando danni che pos-sono essere tali da portare alla morte della cellula. Lo scopo è quindi l’eradicazione delle cellule tumorali tramite il loro danneggiamento causato dall’energia rilasciata dalla radiazione. Questa terapia è utilizzata per il trattamento di masse tumora-li sotumora-lide e locatumora-lizzate e contribuisce al 40% dei trattamenti oncologici, come unica terapia o come supporto a chirurgia o chemioterapia [3]. Uno degli svantaggi della
radioterapia è legato alla non specificità del danno, per cui i tessuti sani circostan-ti al volume tumorale risultano danneggiacircostan-ti. Nella sua evoluzione la radioterapia ha quindi avuto come obiettivo la diminuzione della dose somministrata ai tessuti sani a parità di dose rilasciata nel volume tumorale [3]. É in questo scenario che si inserisce l’adroterapia che sfrutta, anziché fotoni o elettroni, fasci di particelle cariche pesanti, principalmente protoni e ioni carbonio, con energie comprese tra 10 e 250 MeV per i protoni e 70 e 430 MeV/u per gli ioni [4]. Grazie alla caratteristica curva di rilascio di dose delle particelle cariche pesanti (par. 1.2.1), l’adroterapia riesce a concentrare maggiormente la dose nel volume tumorale e permette quindi di trattare tumori in zone critiche, come tumori adiacenti a organi a rischio (ossia organi estremamente sensibili alle radiazioni), che non sarebbero trattabili con la radioterapia convenzionale. A fine 2016, 174512 pazienti in tutto il mondo sono stati trattati con adroterapia, di cui 169345 con protoni, 21580 con ioni carbonio e il restante con altri ioni [5]. Per capire l’importanza dell’adroterapia nello scenario attuale di terapie oncologiche e per comprendere i motivi che portano, in certi casi, a preferirla alla radioterapia convenzionale, è necessario accennare alle interazioni delle particelle cariche pesanti con la materia e agli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti.
1.2
Interazione delle particelle cariche pesanti con
la materia
Le particelle cariche pesanti utilizzate in adroterapia interagiscono con la materia principalmente tramite forze di natura Coulombiana che si esercitano tra la loro carica e quella degli elettroni orbitali degli atomi del mezzo. Anche se più raramente, possono verificarsi anche interazioni con i nuclei atomici. Sono descritti in questo paragrafo i tre principali meccanismi di interazione degli ioni con la materia, al fine di comprendere i vantaggi dell’adroterapia e i problemi che ne derivano.
1.2.1
Interazioni coulombiane e potere frenante
Appena penetrata in un mezzo, la particella carica interagisce simultaneamente con più elettroni i quali, a seconda della distanza di interazione, possono essere eccitati e passare ad uno stato energetico superiore oppure essere rimossi dall’atomo di appartenenza, che viene quindi ionizzato. Poiché la perdita di energia per ogni
progressivamente la sua velocità, prima di essere totalmente fermata nel mezzo. Si può quindi definire il potere frenante lineare (S) come il rapporto tra la perdita media di energia dE della particella nell’attraversare uno certo mezzo e lo spessore dx del mezzo :
S = −dE
dx (1.1)
Per particelle con una data carica, il valore di S aumenta al diminuire dell’ener-gia della particella. L’espressione classica che descrive la perdita di enerdell’ener-gia per le particelle cariche pesanti, chiamata formula di Bethe-Bloch, è data da [6]:
dE dx = 4πNAr 2 emec2ρ Zp2 β2 Zt At h1 2ln( smec2β2γ2Tmax I2 e ) − β2− δ 2 − C Zt i (1.2) dove: • NA: numero di Avogadro • re: raggio dell’elettrone • me: massa dell’elettrone
• ρ: densità del mezzo
• β: velocità relativistica della particella (β=v/c, v velocità della particella) • Zp: numero atomico della particella
• Zt: numero atomico del mezzo
• At: massa molare del mezzo
• γ=√1 1−β2
• Ie: potenziale medio di ionizzazione del mezzo
• δ e C: termini di correzione
Dall’equazione 1.2 si ricava che, a parità di velocità, particelle con Zp maggiore hanno
una perdita di energia maggiore essendo questa proporzionale a z2. Inoltre, per
particelle non relativistiche, solo il primo dei quattro termini nelle parentesi quadre porta un contributo significativo e, poiché esso varia lentamente con l’energia delle particelle, il comportamento generale di dE/dx può essere determinato studiando il
fattore moltiplicativo. In particolare, per una particella non relativistica, la perdita di energia dE/dx varia come 1/v2, ossia inversamente alla velocità della particella.
Questo porta alla caratteristica curva di perdita di energia di una particella carica in funzione della distanza di penetrazione all’interno del mezzo, chiamata curva di Bragg e rappresentata in figura 1.1 per i protoni. La curva mostra una lenta crescita iniziale, seguita da un picco, chiamato picco di Bragg, e da una rapida caduta distale. La profondità di tale picco dipende dall’energia dei protoni.
Figura 1.1: Picchi di Bragg per protoni di diverse energie. Sulle ascisse è rappresentata la profondità di penetrazione in acqua e sulle ordinate la dose, ossia l’energia depositata per unità di percorso.
1.2.2
Scattering di Coulomb Multiplo
Oltre alla perdita di energia descritta dall’equazione 1.2, il fascio di particelle cari-che pesanti subisce ancari-che un allargamento laterale, ossia sul piano ortogonale alla direzione del fascio. Questo è causato dallo Scattering Coulombiano Multiplo, cioè dalle interazioni elettromagnetiche tra le particelle del fascio ed i nuclei atomici del mezzo che attraversano. Nel passare vicino ai nuclei, le particelle cariche risentono della forza elettrostatica generata dalla carica positiva del nucleo e vengono respinte, subendo pertanto una dispersione che viene descritta nella teoria di Molière [7],[8]. Nel caso di angoli piccoli per cui valga l’approssimazione sin θ ' θ la distribuzione angolare può essere approssimata come una gaussiana dove l’angolo medio ¯θ0 è dato
da [4]: ¯ θ ≈ z · 21.2 M eV r 1 (1.3)
dove z e Mp sono il numero atomico e la massa delle particelle del fascio, v la loro
velocità e Lrad la lunghezza di radiazione. Questa dipende dal materiale e varia
approssimativamente come A/NAZ(Z + 1), dove NA è il numero di Avogadro e Z
e A sono il numero atomico e il peso atomico del mezzo attraversato. L’allarga-mento laterale può essere causato sia dall’interazione con i materiali che si trovano tra la finestra di estrazione del fascio e il paziente (aria, strumenti per il controllo del fascio, la stessa finestra di estrazione, etc.) sia dai processi di diffusione che avvengono all’interno del corpo del paziente prima che il fascio abbia perso tutta la sua energia [8]. Come si evince dall’equazione 1.3, la rilevanza di tale contributo dipende dal tipo di particella e dall’energia: a basse energie il contributo dominan-te è rappresentato dall’allargamento subito in aria prima di entrare nel corpo del paziente ed è particolarmente critico per i protoni. É quindi opportuno cercare di ridurre al minimo eventuali spessori che si interpongono tra finestra di estrazione del fascio e paziente. Per alte energie invece tale contributo diventa trascurabile, mentre aumenta la dispersione nel corpo del paziente a causa della maggior profondità di penetrazione del fascio. In figura 1.2 viene mostrato l’allargamento del fascio per protoni (blu) e ioni 12C (rossi) a varie energie in funzione della distanza per una
tipica linea di fascio: è stato simulato un fascio con larghezza iniziale di 5 mm che viene estratto in aria ed entra in un fantoccio di acqua posto a 1 m. Si nota che per basse energie il contributo dominante all’allargamento laterale del fascio è dato dal percorso in aria, mentre ad alte energie diventa più rilevante lo scattering all’interno del bersaglio. Si può anche notare che, per una stessa profondità di penetrazione, l’allargamento laterale del carbonio è minore rispetto a quello di un fascio di protoni.
1.2.3
Frammentazione nucleare
Lungo il percorso nel corpo del paziente, le particelle cariche pesanti possono subire interazioni nucleari con i nuclei atomici del mezzo attraversato. Sebbene queste interazioni contribuiscano molto poco alla perdita di energia delle particelle del fascio rispetto alle interazioni di tipo elettromagnetico, è tuttavia necessario tenerne conto per altri effetti discussi in seguito [6]. Tra le particelle del fascio e gli atomi del corpo del paziente possono verificarsi collisioni anelastiche nelle quali l’energia cinetica non è conservata e dal nucleo vengono espulsi frammenti secondari (protoni, neutroni, particelle α...). Inoltre, se il proiettile è uno ione, anch’esso può subire frammentazione. La probabilità che un nucleo non subisca un’interazione nucleare
Figura 1.2: Allargamento del fascio calcolato per protoni e ioni12C a varie energie. Si considera il
percorso in aria e all’interno del bersaglio (acqua). Le distanze si riferiscono ad una tipica linea di estrazione di fascio. Si nota che per i protoni l’allargamento in aria è maggiore rispetto agli ioni
12C. Figura da [8].
dopo aver attraversato uno spessore x di materiale è [6]: P (x) = N (x)
N (0) = e
− x
λint (1.4)
dove N(0) è il numero di particelle incidenti, N(x) il numero di particelle incidenti dopo una distanza x e λint la lunghezza di interazione (o libero cammino medio).
Questa è data da λint = NAt
Aσρ, dove Atè la massa molare del materiale, NAil numero di avogadro, ρ la densità del materiale e σ la sezione d’urto.
Come accennato sopra, sebbene queste interazioni non contribuiscano signifi-cativamente alla perdita totale di energia del fascio, hanno comunque conseguenze importanti di cui tenere conto in adroterapia. Le reazioni nucleari causano una dimi-nuzione dell’intensità del fascio. Il numero di particelle perse dal fascio ad una certa profondità x dipende dalla sezione d’urto del processo (eq. 1.4). Ad esempio per protoni da 160 MeV che colpiscono un bersaglio d’acqua, alla posizione del picco di Bragg (∼16 cm) circa il 20% di protoni è andato perso. Per ioni carbonio tale valore è maggiore: per ioni da 290 MeV/u incidenti in acqua, al picco di Bragg (∼16 cm) circa il 50% viene perso a causa di reazioni nucleari [6]. A causa dei frammenti secondari prodotti dalle interazioni anelastiche, viene modificata la distribuzione di dose e, nel caso di irraggiamento con ioni, vi è un rilascio di dose anche dopo il picco
Le interazioni nucleari producono particelle secondarie utili per la verifica del range delle particelle nel corpo del paziente (cap. 2). Tre di questi prodotti sono i frammenti carichi, i prompt gamma (prodotti dalla diseccitazione dei nuclei e con energie comprese tra 0 e 10 MeV) ed alcuni isotopi instabili che decadono emettendo β+. Nel capitolo 2 verrà data accurata descrizione di come essi permettano di
verificare l’effettivo range di protoni e ioni durante trattamenti di adroterapia. In tabella 1.1 sono riportati i più comuni emettitori β+ risultanti dalle interazioni
nucleari tra particelle del fascio e nuclei atomici del corpo del paziente; sono riportati i relativi meccanismi di produzione, i tempi di dimezzamento e le energia di soglia [6].
emettitore β+ T
1
2 (min) reazione Energia di soglia (MeV)
15O 2.037 16O (p,pn) 15O 16.79 11C 20.385 12C (p,pn) 11C 20.61 14N (p,2p2n) 11C 3.22 16O (p,3p3n) 11C 59.64 16O (p,αd) 11C 27.50 13N 9.965 16O (p,2p2n)13N 5.66 14N (p,pn)13N 11.44
Tabella 1.1: I più comuni emettitori β+ prodotti in adroterapia dalle interazioni nucleari tra particelle del fascio e nuclei atomici del corpo del paziente. Per ogni isotopo è riportato il tempo di dimezzamento T1
2, la reazione di produzione e l’energia di soglia [6].
1.3
Grandezze dosimetriche e radiobiologiche di
in-teresse in adroterapia
In questo paragrafo verranno definite le principali grandezze dosimetriche utili per comprendere l’utilizzo delle radiazioni ionizzanti per le terapie oncologiche.
1.3.1
Dose
La dose assorbita D è definita [9] come l’energia media depositata dalle radiazioni ionizzanti, E, nell’unità di massa dm:
e la sua unità di misura è il Gray, Gy, dove 1Gy=1J/kg.
1.3.2
Linear Energy Transfer
Il Linear Energy Transfer (LET), ossia il trasferimento lineare di energia, è definito come l’energia depositata localmente dalla radiazione carica per unità di percorso [2]:
LET = dE
dx (1.6)
dove dE è l’energia media rilasciata dalla radiazione nel cammino dx.
1.3.3
Effetti biologici delle particelle cariche
L’effetto dell’interazione delle radiazioni ionizzanti con un mezzo è la ionizzazione, diretta o indiretta, degli atomi di tale mezzo che possono quindi creare nuovi legami chimici all’interno della molecola di appartenenza. Se il mezzo attraversato dalle radiazioni è un organismo vivente, la creazione di nuovi legami può portare a danni biologici nella cellula in cui si verificano e, a seconda dell’entità di tali danni, le funzioni vitali cellulari possono essere compromesse. Il bersaglio più sensibile alle radiazioni è il DNA, in quanto esso contiene l’informazione genetica (fig 1.3). Il danneggiamento di una singola base di un ramo dell’elica del DNA viene detto rottura singola, mentre il danneggiamento di entrambi le basi che formano una coppia viene detto rottura doppia (fig. 1.3). In caso di una rottura singola o di più rotture singole sufficientemente distanti tra loro, il danno viene riparato e la cellula continua il suo ciclo vitale. Se invece la radiazione provoca una o più doppie rotture dell’elica parte dell’informazione genetica viene persa. Questo può portare o alla morte cellulare o a mutazioni genetiche del DNA che possono condurre all’insorgenza di neoplasie [8]. La probabilità di insorgenza di effetti biologici rilevabili in un organismo vivente a causa dell’esposizione a radiazioni ionizzanti non dipende soltanto dalla dose as-sorbita ma anche dal tipo e dall’energia della radiazione. Ad esempio, come si può notare in figura 1.4, all’aumentare del LET aumenta la densità di ionizzazione attor-no alle tracce delle particelle cariche responsabili del rilascio di energia e diminuisce quindi la probabilità che l’organismo riesca a riparare i danni indotti [2].
Per quantificare il danno prodotto da un certo tipo di radiazione su un organi-smo viene introdotta una quantità chiamata Relative Biological Effectiveness (RBE, Efficacia Biologica Relativa) che è definita come il rapporto tra la dose rilasciata
Figura 1.3: Singola e doppia rottura dell’elica del DNA. A sinistra è visibile una rottura singola, ossia in cui solo una delle due basi che formano una coppia è stata danneggiata mentre a destra entrambe le basi sono state danneggiate. Questo secondo danno è più grave in quanto l’informazione genetica legata alla coppia di basi danneggiate viene perduta e ciò può portare alla morte cellulare o all’insorgenza di tumori.
da una radiazione di riferimento e quella rilasciata da un altro tipo di radiazione affinché si abbia lo stesso effetto biologico [8]:
RBE = Drif Drad X (1.7)
dove Drad è la dose rilasciata dalla radiazione osservata, Drif quella rilasciata
dalla radiazione di riferimento e X l’effetto che si osserva, ad esempio la sopravvi-venza di una certa popolazione di cellule. La radiazione di riferimento generalmente utilizzata è costituita da raggi X da qualche centinaio di keV [2].
In figura 1.5 è mostrata la relazione tra LET e RBE: inizialmente all’aumen-tare del LET aumenta anche la RBE. Infatti, all’aumenall’aumen-tare del LET, aumenta la densità di ionizzazione lungo la traccia delle particelle ed aumenta quindi il dan-no che tale radiazione può compiere. Tuttavia, per radiazioni con LET superiore a ∼100 keV/µm (in tessuto), ad un aumento del LET corrisponde una diminu-zione della RBE. Questo è dovuto ad un effetto chiamato overkill, ossia quando la radiazione deposita più dose di quanta necessaria per produrre il massimo effetto biologico [10].
Come accennato prima, un effetto che è stato indagato per studiare la RBE per vari tipi di radiazione è la sopravvivenza S di una popolazione di cellule biologiche in funzione della dose assorbita, definendo la morte cellulare come la completa perdita da parte della cellula della capacità di replicarsi [8]. In figura 1.6 sono riportate, in scala logaritmica, le curve di sopravvivenza cellulare in funzione della dose per
Figura 1.4: Aumento della densità di ionizzazione attorno alle tracce delle particelle cariche al-l’aumentare del LET. A sinstra: radiazione a basso LET, i danni causati da tale radiazione sono sparsi, le cellule hanno maggior probabilità di riparare il danno. A destra: radiazione ad alto LET, la densità di ionizzazione è maggiore e i danni sono concentrati lungo la traccia della particella; le cellule hanno più possibilità di subire doppie rotture del DNA e danni irreparabili.
raggi X da 250 keV (x), neutroni da 15 MeV (n) e particelle α da 4 MeV (α). A parità di dose, la sopravvivenza cellulare varia sensibilmente a seconda del tipo di radiazione a cui tale dose è dovuta. L’andamento di queste curve può essere descritto dall’equazione lineare-quadratica:
S = e−(αD+βD2) (1.8)
dove i termini α e β sono costanti che dipendono dal tipo di tessuto. La costante α, che descrive la dipendenza lineare dalla dose, rappresenta i danni letali prodotti da un singolo evento ionizzante, ossia da una particella che, lungo il suo percorso, produce una doppia rottura dell’elica. Il termine quadratico β invece è la probabilità che la cellula muoia a causa di due o più danni sub-letali, ossia singole rotture del-l’elica dovute a eventi ionizzanti differenti che siano temporalmente e spazialmente vicini, tanto da combinarsi provocando un danno letale [10].
1.4
Implementazione clinica dell’adroterapia
1.4.1
Acceleratori e beam delivery
Figura 1.5: RBE al variare del LET. Il valore di RBE aumenta all’aumentare del LET fino a ∼100 keV/µm (in tessuto). Dopo tale valore di LET, la RBE inizia a diminuire a causa dell’effetto di overkill, ossia quando la radiazione deposita più dose di quanta sia necessaria per produrre il massimo effetto biologico [10].
In particolare per i protoni sono richieste energie fino a 250 MeV mentre per ioni
12C fino a 430 MeV/u [8]. Gli acceleratori maggiormente utilizzati sono i ciclotroni,
acceleratori circolari che sfruttano una corrente alternata ad alta frequenza ed alta tensione associata ad un campo magnetico. Questi sono considerati relativamente semplici da utilizzare, molto affidabili e compatti (pochi metri di diametro), ma permettono di accelerare solo protoni e consentono variazioni di energia solamente tramite l’utilizzo di degraders passivi, ossia materiali posti sulla linea di fascio che ne attenuano l’energia. I sincrotroni, acceleratori composti da una cavità a radiofre-quenza dove le particelle vengono accelerate e da magneti disposti lungo la linea di fascio per curvare e focheggiare il fascio, invece, vengono utilizzati anche per acce-lerare ioni e consentono una rapida variazione dell’energia. Sono però più complessi e di dimensioni maggiori (∼20 m di diametro) [8].
I fasci di particelle prodotti da ciclotroni e sincrotroni hanno un profilo trasverso molto stretto (pencil beam) e sono centrati sull’asse del tubo a vuoto in cui vengono generati. Il ruolo del così detto beam delivery system è quello di distribuire il fascio estratto su tutto il volume che contiene il tumore (planned target volume, PTV) in modo accurato e omogeneo e in accordo con la distribuzione di dose prevista. Per
Figura 1.6: Il grafico riporta la percentuale di cellule sopravvissute ad una certa dose in funzione della dose per tre diverse radiazioni: raggi X da 250 keV (x), neutroni da 15 MeV (n) e particelle α da 4 MeV (α). La percentuale di cellule sopravvissute (S) è riportata in scala logaritmica. La dose è espressa in Gy [2]. Si può notare che, a parità di dose, la risposta varia sensibilmente a seconda del tipo di radiazione: per raggi X la sopravvivenza è sensibilmente maggiore rispetto alla stessa dose rilasciata però da particelle α.
far ciò vengono generalmente adottati due approcci [8]:
• passivo: il fascio è conformato al PTV nelle 3 direzioni tramite l’utilizzo di elementi passivi e non variabili. In figura 1.7 è riportato uno schema di funzio-namento di un sistema passivo: il fascio, inizialmente stretto, viene allargato tramite uno scattering system, poi il range modulator consente di ottenere una distribuzione nell’energia delle particelle del fascio così da formare lo spread-out del picco di Bragg (SOBP) e coprire l’intera profondità del PTV; il range shif-ter varia ulteriormente l’energia complessiva del fascio, e quindi la profondità del SOBP. Infine i collimatori e il compensatore sono sistemi specificatamen-te progettati e costruiti per ogni pazienspecificatamen-te: i collimatori definiscono il profilo trasverso del fascio in modo da non irraggiare regioni al di fuori del volume tumorale mentre il compensatore, progettato tenendo conto della composizio-ne dei tessuti, adatta la profondità del picco di Bragg a seconda della forma del volume tumorale.
non previste dal trattamento (ad esempio in fig 1.7 ai margini del tumore). • attivo: il PTV è suddiviso in fette(slices) e un pencil beam scansiona ogni
fetta fino a coprire l’intero volume. In particolare, una slice è definita come una regione raggiunta da particelle della stessa energia [11]. Ogni slice viene interamente scansionata dal fascio grazie ad un sistema di magneti deflettori che indirizzano il pencil beam nella giusta posizione con una precisione mil-limetrica. La posizione viene monitorata in tempo reale dai beam monitor, che controllano anche il numero di particelle effettivamente rilasciate e, quin-di, quando in ogni elemento di volume (voxel) viene raggiunta la dose totale prevista. Per passare ad una fetta successiva il sincrotrone varia l’energia del-le particeldel-le del fascio. Il sistema di rilascio attivo è descritto in figura 1.8. Grazie ai sistemi attivi è possibile adattare la distribuzione di dose anche a volumi dalla forma complessa e adattare tale distribuzione ad ogni paziente senza dover realizzare componenti meccanici specifici.
Figura 1.7: Principio di funzionamento di un delivery system passivo: il fascio viene allargato da uno scattering system; tramite il range modulator si ottiene lo SOPB la cui profondità di penetrazione totale viene variata tramite il range shifter ; infine i collimatori e il compensatore, specificatamente progettati per ogni paziente, conformano il profilo tridimensionale del fascio al PTV. Figura da [8].
1.4.2
Piani di trattamento
Il piano di trattamento in adroterapia è un iter che parte dalla definizione del vo-lume tumorale e della composizione dei tessuti del paziente per determinare poi i parametri fisici che il fascio deve avere per somministrare la dose prevista e termina
Figura 1.8: Principio di funzionamento di un delivery system attivo: i magneti deflettori variano la posizione del fascio lungo x e lungo y per coprire l’intera area di una slice; il beam monitor controlla la posizione e il numero di particelle rilasciate (e quindi la dose); per coprire l’intero volume e passare da una slice all’altra si varia l’energia del fascio direttamente dal sincrotrone. Figura da [8].
con l’irraggiamento del paziente. Il primo passo di un piano di trattamento in adro-terapia è quindi la definizione del PTV grazie all’acquisizione di immagini tramite tomografia computerizzata (computed tomography, CT), tomografia a emissione di positroni (positron emission tomography, PET) e risonanza magnetica (magnetic resonance imaging, MRI). Le immagini PET servono per un’accurata definizione del volume tumorale, quelle MRI per determinare l’anatomia del paziente mentre la CT fornisce informazioni anatomiche e sulla composizione dei tessuti del corpo [8]. Queste sono di fondamentale importanza per calcolare il range delle particelle all’interno del corpo del paziente e per la definizione della distribuzione della do-se. Dalla CT si ottengono infatti i numeri CT (espressi in unità di Hunsfield, HU) che rappresentano il coefficiente di attenuazione dei tessuti. Per poter stabilire la pozione del picco di Bragg delle particelle (e quindi l’energia che esse devono ave-re) è necessario convertire i numeri CT in potere frenante. Questi dati vengono inseriti nel Treatment Planning System (TPS) per il calcolo della dose. Il medio radioterapista definisce il PTV tramite il software del TPS e prescrive la dose to-tale di trattamento, il suo frazionamento giornaliero e le dosi di tolleranza (ossia dosi limite) per gli OAR. Sulla base di tale prescrizione il fisico sanitario effettua il calcolo delle dosi e stabilisce la miglior geometria del fascio (o dei fasci) da utiliz-zare [12]. Prima dell’irraggiamento viene generalmente eseguita una radiografia o
una Cone Beam CT 1 all’interno della sala di trattamento per verificare la corretta
posizione del paziente sul lettino e rispetto alla finestra di estrazione del fascio. Al fine di ridurre i rischi di un errato posizionamento vengono generalmente utilizzati dei supporti rigidi disegnati specificatamente per il paziente a seconda della zona da trattare (ad esempio delle maschere per il trattamento di testa-collo) che, oltre a facilitare le operazioni di posizionamento, riducono anche il rischio di movimenti involontari durante il trattamento.
1.4.3
Adroterapia: vantaggi e limiti
Alla luce di quanto riportato nei precedenti paragrafi, è possibile discutere dei van-taggi dell’adroterapia rispetto alla tradizionale radioterapia a fasci esterni. Innan-zitutto, come discusso nel paragrafo 1.3.3, l’efficacia biologica per fasci di ioni è maggiore rispetto a quella dei raggi X. Trattamenti con ioni carbonio sono quindi particolarmente favorevoli nel caso di tumori radioresistenti che non reagiscono ai normali trattamenti radioterapici. Il vantaggio fondamentale della terapia con fasci di particelle è però legato alla caratteristica curva di deposito di energia. In figura 1.9 si può osservare la differenza tra le curve dose-profondità per raggi X da 120 keV, fotoni da 18 MeV, protoni da 135 MeV e ioni carbonio da 250 MeV/u.
La dose rilasciata dai fotoni decresce esponenzialmente e ciò comporta una mag-giore dose ai tessuti sani in superficie rispetto a quella rilasciata nel volume tumorale. Inoltre le code di attenuazione dei fotoni proseguono anche dopo il volume tumorale. Nei fasci di protoni e ioni, invece, l’andamento iniziale piatto e la presenza del picco di Bragg in profondità forniscono la possibilità di somministrare il massimo della dose al volume desiderato, preservando massimamente i tessuti sani circostanti. Il risparmio di dose ai tessuti sani avviene sia grazie al basso deposito di energia nella regione antecedente il picco di Bragg, sia perché dopo di esso il fascio è totalmente fermato nel corpo del paziente e sono così preservati anche tutti i tessuti situati dietro al picco di Bragg. Tuttavia si può notare che nel caso degli ioni carbonio la dose dopo il picco di Bragg è non nulla. Questo è dovuto al contributo dei fram-menti prodotti dalle interazioni nucleari e rappresenta un problema per il calcolo della dose(par. 1.2.3). In figura 1.10 è possibile osservare il confronto tra due piani di trattamento per un tumore alla base del cranio: in a) è rappresentata la dose per un trattamento con 2 fasci di ioni carbonio mentre in b) quella per un
tratta-1La Cone Beam CT è una CT con fascio conico che prevede l’irraggiamento tramite un’unica
Figura 1.9: Curve della perdita di energia in acqua in funzione della profondità di penetrazione per raggi X da 125 keV, fotoni da 18 MeV, protoni da 135 MeV e ioni carbonio da 250 MeV/u. Nel caso dei fotoni si ha un picco iniziale seguito da una decrescita esponenziale e da code in profondità, mentre per ioni e protoni la dose rilasciata in superficie è minima e viene massimizzata in corrispondenza del picco di Bragg, alla fine del percorso della particella. Si noti che per gli ioni12C la dose dopo il picco di Bragg è non nulla. Questo è dovuto al contributo dei frammenti
prodotti dalle interazioni nucleari (par. 1.2.3). Figura da [13]
.
mento con 10 fasci di raggi X. É evidente come il trattamento col carbonio risparmi notevolmente i tessuti sani rispetto a quello con fotoni [14].
Grazie alla rapida caduta della dose dovuta alla forma del picco di Bragg, l’a-droterapia potrebbe annoverare tra i suoi vantaggi la possibilità di indirizzare il fascio anche su tumori che si trovino adiacenti a zone critiche, come organi a rischio (OAR). Tuttavia, incertezze nella determinazione dell’effettivo range delle particelle complicano questo approccio [7]. In figura 1.12 (a) è mostrato il piano di tratta-mento ideale, con il minimo irraggiatratta-mento dei tessuti sani, poco utilizzato però a causa delle incertezze associate al range delle particelle. A fianco (b) un piano di trattamento standard dove più fasci colpiscono il volume tumorale, evitando fasci in direzione dell’organo a rischio ma dove sono attraversati molti tessuti sani, e il piano di trattamento di compromesso tra i due (c): si cerca il massimo risparmio dei tessuti sani evitando tuttavia irraggiamenti nella direzione dell’organo a rischio. La causa e i problemi di tali incertezze saranno discussi nel prossimo capitolo e sono l’oggetto di interesse di questo lavoro di tesi.
Figura 1.10: Confronto tra due piani di trattamento per un tumore alla base del cranio: a) piano di trattamento con 2 fasci di ioni cabonio; b) piano di trattamento con 10 fasci di raggi X. É evidente come il trattamento col carbonio risparmi notevolmente i tessuti sani rispetto a quello con fotoni [14].
1.5
Adroterapia nel mondo e in Italia
Sono attualmente attivi ad oggi 79 centri in tutto il mondo, tra i quali solo 11 che utilizzano, oltre ai protoni, ioni 12C. Sono inoltre in fase di costruzione o di
programmazione altri 60 centri, con apertura prevista tra la fine del 2018 e il 2022, dato che indica l’importanza di questa terapia nello scenario delle cure oncologiche. In Italia sono ad oggi presenti 3 centri di adroterapia: CATANA presso i Laboratori Nazionali del Sud (sezione INFN di Catania), il Centro di protonterapia di Trento e il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica a Pavia. I centri di Catania e Trento sono forniti di un ciclotrone e somministrano solo protoni. CATANA, dove vengono trattati solo tumori nella regione oculare, è stato il primo centro italiano, con il primo paziente nel 2002 e 304 pazienti in totale. Il centro di Trento invece è stato inaugurato col primo paziente nel 2014 ed ha trattato ad oggi 104 pazienti
Viene a seguito data una descrizione più approfondita della Fondazione CNAO in quanto di maggior rilevanza per questo lavoro di tesi.
1.5.1
CNAO: Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica
La storia del CNAO vede il suo inizio nel 1991, quando Ugo Amaldi e Giampiero Tosi pubblicano un articolo intitolato Per un centro di teleterapia con adroni [15]. Da qui prende vita un progetto che inizia a concretizzarsi nel 2001, anno in cui la fondazione CNAO viene istituita dal Ministero della Salute, con lo scopo di occupar-si della realizzazione di un centro per il trattamento di tumori tramite l’adroterapia.
Figura 1.11: Piano di trattamento in caso di tumore adiacente a organi a rischio. (a): piano di trattamento ideale con adroterapia per minimizzare i danni ai tessuti sani; l’incertezza del range delle particelle impedisce l’utilizzo di questo piano in quanto lungo la direzione del fascio è presente un OAR; (b): piano di trattamento standard con irraggiamento a più fasci: l’organo a rischio è preservato ma si attraversano molti tessuti sani; (c): compromesso tra i piani (a) e (b): i tessuti sani sono solo parzialmente irraggiati e le incertezze sul range non compromettono l’OAR [7].
Ai cinque anni di costruzione, iniziata nel 2005, seguono tre anni di sperimentazione scientifica, dove vengono trattati qualche centinaio di pazienti. Il CNAO, che al contrario degli altri centri italiani utilizza un sincrotrone, è uno dei soli 10 centri al mondo in grado di trattare pazienti con ioni 12C oltre che con protoni. Ad oggi il
CNAO ha trattato circa 1100 pazienti [5] e, da Marzo 2017, l’adroterapia è entrata a far parte del Sistema Sanitario Nazionale, permettendo quindi al CNAO di esten-dere questa terapia a tutti i malati oncologici che soddisfano i requisiti definiti dal decreto sui nuovi Livelli Essenziali di Assistenza. In figura 1.13 sono rappresentati il sincrotrone utilizzato al CNAO per accelerare le particelle e una delle sale di tratta-mento. Nella sala di trattamento è visibile il paziente sul lettino con una maschera per il controllo del posizionamento ed un sistema di puntamento laser. In tabella 1.2 sono riportate alcuni parametri fisici del fascio di protoni/ioni12C del CNAO.
Figura 1.12: Il Centro Nazionale di Adrotearpia Oncologica a Pavia [16].
Range delle particelle da 3 g/cm2 a 27 g/cm2
Energie 60-250 MeV per iprotoni
120-400 MeV/u per ioni 12C
Minima variazione di energia 0.02 MeV
Modulazione del picco di Bragg 0.1 g/cm2
Minima variazione di range 0.1 g/cm2
Rate medio di dose 2 Gy/min (per volumi di 1000 cm3)
Precisione del rilascio di dose ≤ ±2.5%
Profilo trasverso del fascio da 4 a 10 mm
Minima variazione del profilo del fascio 1 mm
Minimo spostamento del fascio 0.1 mm
Massimo (minimo) numero 1010 (108) per protoni
di particelle per spill 4 × 108 (4 × 106) per ioni 12C
Numero di spill e tempo di trattamento 60 spills in 2-3 min
Capitolo 2
Verifica del range delle particelle in
adroterapia
Il fondamentale vantaggio dell’adroterapia rispetto alla radioterapia convenzionale è rappresentato dalla tipica deposizione di energia di protoni e ioni caratterizzata dal picco di Bragg. La precisione con cui la dose può essere rilasciata all’interno del volume tumorale, preservando così i tessuti sani, viene tuttavia ridotta dall’in-certezza del range delle particelle cariche all’interno del corpo del paziente [7]. Tale incertezza, che può portare a differenze anche significative tra il range effettivo e quello atteso, è dovuta a vari fattori, come ad esempio a cambiamenti morfologici nel paziente durante l’intero periodo dei trattamenti o a errori nel posizionamento del paziente nella sala di trattamento [17]. Un altro contributo all’incertezza del range è legato alla conversione dei dati ottenuti tramite tomografia computerizzata nell’equivalente potere frenante (par 1.4.2), indeterminazioni che possono portare a qualche millimetro di differenza dal range previsto [7]. Per tener conto di queste incertezze i trattamenti clinici prevedono un margine di sicurezza attorno al volume tumorale, per trattamento con protoni posto generalmente al 3.5% della dimensione del tumore lungo la direzione del fascio +3 mm [18].
Per poter quindi sfruttare appieno i vantaggi offerti dall’adroterapia è dunque au-spicabile la possibilità di verificare, preferibilmente durante il trattamento, l’effettivo percorso delle particelle all’interno del corpo del paziente. In questo capitolo vengo-no descritte alcune delle tecniche impiegate per la verifica del range delle particelle nei trattamenti di adroterapia con particolare riferimento alla Positron Emission Tomography (PET), oggetto di questo lavoro di tesi. Tutte queste tecniche sono metodi indiretti, ossia non misurano l’effettivo percorso delle particelle nel corpo del
paziente ma che permettono comunque una verifica della correttezza del piano di trattamento utilizzato.
2.1
Radiografia/tomografia a protoni
Grazie alla radiografia o tomografia con fasci di protoni è possibile ridurre l’incertez-za sul range dei protoni durante i trattamenti diminuendo l’errore causato dalla con-versione dei numeri CT in potere frenante.La possibilità di impiegare fasci di protoni a scopi di imaging medico (Proton Transmission Radiography e Proton Computed Tomography) è nota sin dai primi anni ’60, quando Koehler mostrò per primo che, con protoni da 160 MeV, è possibile ottenere lastre radiografiche con un contrasto molto maggiore rispetto a radiografie ottenute con raggi X nelle stesse condizioni di dose [19]. Irraggiando il paziente con un fascio di protoni di energia abbastanza elevata da poter fuoriuscire dal corpo, è possibile ottenere immagini dalla misura della perdita di energia dei protoni, perdita che dipende dalla densità elettronica del mezzo attraversato. É quindi possibile ottenere una mappa della densità elettronica e quindi del potere frenante. Questo permette di inserire direttamente tali dati nel Treatment Planning System (TPS), senza dover utilizzare la conversione tra numeri CT e potere frenante. Un problema non irrilevante di questa tecnica è legato allo scattering colombiano multiplo delle particelle con i nuclei del mezzo attraversato, che limita la risoluzione spaziale a causa dell’incertezza nella ricostruzione delle tra-iettorie dei protoni. Nonostante tali limitazioni, degli studi hanno portato ad una risoluzione spaziale di 1 mm [7]. Questa può inoltre essere utilizzata solo per protoni ma non per ioni.
2.2
Prompt Gamma Imaging
I protoni o gli ioni utilizzati nella terapia subiscono, durante il loro percorso, in-terazioni di tipo anelastico con i nuclei degli atomi del corpo del paziente, a cui trasferiscono energia [7]. Tali nuclei vengono quindi a trovarsi, dopo l’interazione, in uno stato eccitato e per tornare allo stato fondamentale emettono un fotone γ, chiamato prompt gamma. Poiché tali interazioni avvengono lungo tutto il percorso compiuto dalle particelle nel corpo del paziente fino a 2-3 mm prima del picco di Bragg, è possibile correlare l’emissione dei prompt gammas all’effettivo range delle particelle. Si deve però sottolineare che il profilo distale nella curva di produzione
Lo spettro di emissione dei prompt gammas presenta energie nel range 2-15 MeV ed è dominato da linee discrete dovute a specifiche diseccitazioni, prevalentemente di bassa energia. La determinazione del profilo distale della dose è tuttavia più semplice nel caso di gamma ad alta energia, sia perché questi sono meno soggetti a processi di scattering, sia perché la loro produzione è massima in prossimità della caduta distale. Il principale vantaggio di questa tecnica di verifica del range è la possibilità di verificare in tempo reale il percorso delle particelle. Infatti i prompt gammas, emessi isotropicamente, possono essere rivelati entro pochi ns dall’interazio-ne particella-nucleo. Inoltre, tale verifica viedall’interazio-ne compiuta senza la somministraziodall’interazio-ne di dose aggiuntiva.
Questa tecnica è stata proposta per la prima volta da Min et al [20] nel 2006. I primi risultati sperimentali riportano la verifica della posizione del picco di Bragg per un fascio di protoni da 100MeV in un fantoccio con un’accuratezza di 1-2 mm. Altri gruppi [21] [22] hanno confermato tali risultati tramite misure sperimentali e simulazioni Monte Carlo e nel 2016 è stata pubblicata da Richter et al [23] la prima applicazione clinica.
2.3
Risonanza Magnetica
Le radiazioni ionizzanti inducono cambiamenti nei tessuti, soprattutto nel midollo osseo e nel fegato, causando ad esempio l’insorgenza di edemi e l’aumento di gras-so. Tali variazioni possono essere osservate tramite MRI e permettono quindi di verificare in vivo la conformità tra piano di trattamento previsto e dose effettiva-mente somministrata. In uno studio quantitativo del 2010 [24] sono stati osservati i cambiamenti nelle immagini MRI di 10 pazienti trattati alla colonna vertebrale ed è stata investigata la possibilità di individuare il profilo distale del rilascio di dose a seguito di trattamenti di adroterapia. É stato provato che le sole immagini MRI non sono sufficienti per verificare il range dei protoni, in quanto il maggior gradiente nell’intensità del segnale non corrisponde al maggior gradiente di dose e sono quindi necessarie delle curve di calibrazione dose-risposta. Queste curve sono state costruite per un data set di 10 pazienti trattati al midollo spinale [24] e per 5 pazienti trattati al fegato [25]. I vantaggi forniti da questo metodo sono l’elevata risoluzione spaziale, l’assenza di dose aggiuntiva per il paziente e la generale dispo-nibilità presso i centri di trattamento di scanner MRI. I problemi sono invece dovuti alla non esatta relazione tra dose e segnale e dalle tempistiche in cui un effettivo cambiamento nei tessuti risulta visibile. Alcune pubblicazioni riportano infatti che
cambiamenti nel segnale MRI che possano essere associati alla variazione tessutale radioindotta sono osservabili soltanto a partire da otto giorni dopo l’inizio del trat-tamento e che tali cambiamenti terminano tre mesi dopo[26], [27], impedendo una tempestiva correzione nel piano di trattamento.
2.4
Positron Emission Tomography
Durante l’irraggiamento del paziente le particelle del fascio interagiscono in vari modi con il corpo del paziente, come descritto in 1.2. Uno dei risultati di queste interazioni è rappresentato dalla produzione di isotopi radioattivi, in particolare11C, 13N e 15O, come visto in tabella 1.1. Questi isotopi instabili decadono emettendo
positroni β+che annichilano con gli elettroni del corpo del paziente e, tramite i fotoni
di annichilazione, forniscono informazioni sul percorso delle particelle nel tessuto.
2.4.1
Basi fisiche della PET
La PET è una tecnica di imaging che si bassa sulla rivelazione di due fotoni emessi in coincidenza a seguito dell’annichilazione di un positrone con un elettrone. Al pa-ziente viene somministrato un radiotracciante, ossia una sostanza composta da un tracciante che segue la funzione metabolica che deve essere studiata, a cui vengono legati degli isotopi radioattivi emettitori di positroni [28]. I positroni emessi annichi-lano con un elettrone atomico del corpo del paziente, formando una coppia di fotoni anticollineari di energia E =511 keV. Questi vengono rivelati in coincidenza da una coppia di rivelatori in opposizione. La distribuzione dell’attività del radioisotopo all’interno del paziente è proporzionale alla concentrazione e alla distribuzione della sostanza e fornisce informazioni patologiche o fisiologiche. In figura 2.1 è rappresen-tato il decadimento β+ con l’emissione di un positrone e di un neutrino elettronico
νe e la successiva annichilazione del positrone seguita dall’emissione dei due fotoni
γ a ∼180◦.
Produzione e annichilazione del positrone
I radioisotopi emettitori di positroni sono atomi i cui nuclei presentano un eccesso di protoni rispetto al numero di neutroni e decadono in una configurazione più stabile con un decadimento β+:
Figura 2.1: Un positrone β+e un neutrino elettronico ν
esono emessi dal radioisotopo. Il positrone
si muove all’interno del tessuto fino al raggiungimento dell’equilibrio termico per poi annichilarsi con un elettrone. Dall’annichilazione vengono prodotti due fotoni γ da 511 keV, emessi a ∼180◦. Figura da [28].
.
Il nucleo figlioZ−1Y∗ si trova ad uno stato eccitato e decade allo stato fondamentale
emettendo un γ. Lo spettro del decadimento β+ dei più comuni emettitori utilizzati
in PET è mostrato in figura 2.2.
Figura 2.2: Spettro dei più comuni emettitori β+utilizzati in PET in funzione dell’energia cinetica del positrone. Figura da [30].
I positroni perdono la loro energia all’interno del tessuto sia per collisione che tramite bresmsstrahlung, irrilevante alle energie dei radioisotopi PET [29]. L’anni-chilazione con l’elettrone avviene generalmente quando il positrone si trova a riposo. La distanza tra la posizione in cui è avvenuta l’emissione del β+ e quella in cui esso
annichila dipende dalla densità elettronica del mezzo in cui si muove. In acqua, e quindi in buona approssimazione nei tessuti del corpo umano, il percorso medio
dei positroni emessi dai più comuni isotopi utilizzati in PET è circa 1-2 mm [28]. Poiché si suppone che quando avviene l’annichilazione sia il positrone che l’elettrone si trovino a riposo, per la conservazione dell’impulso e dell’energia il solo prodotto possibile sono due fotoni da 511 keV emessi a 180◦. In realtà, anche se l’energia
termica del positrone può essere trascurata e quindi lo si può effettivamente con-siderare a riposo, va tuttavia considerata l’energia di legame dell’elettrone, per cui la collinearità non è più assicurata. Questo porta ad una distribuzione gaussiana centrata a 180◦ e con Full-Width Half Maximum (FWHM) di 0.5◦ [28]. Un ulteriore
allargamento della distribuzione angolare con cui possono essere emessi i fotoni di annichilazione è dato dal contributo non del tutto trascurabile di quei positroni che annichilano in volo, ossia prima di aver perso tutta la loro energia. Tale contributo dipende dall’energia dei positroni e dal numero atomico Z del mezzo. Per i radioi-sotopi utilizzati in PET e considerando l’acqua come mezzo le annichilazioni in volo sono circa il 2% del contributo totale [28].
Il segnale PET
Lo scopo di uno scanner PET è la misura della distribuzione di densità di attività ρ(x, y, z) del radioisotopo all’interno del corpo. Grazie alla quasi-collinearità dei fotoni emessi dall’annichilazione del positrone, è possibile definire una linea L lungo la quale l’evento è avvenuto. La distribuzione dell’attività è ricostruita a partire dalle proiezioni Nγ lungo le linee di risposta:
Nγ = k
Z
L
ρ(x, y, z)dL
Questa formula in realtà descrive un modello ideale e non tiene conto del percorso che fa il positrone prima di annichilare né della non perfetta collinearità. Nella pratica, la linea L definisce tutte le possibili linee di risposta (LOR, Line Of Response) che si possono ottenere collegando il rivelatore i-esimo al rivelatore j-esimo, ottenendo:
Nij = k
Z
LORij
ρ(x, y, z)dL
Scanner PET clinici
Gli scanner PET clinici sono generalmente formati da un anello di rivelatori che assicura una completa copertura angolare per poter raccogliere la radiazione emessa isotropicamente dal corpo. I rivelatori utilizzati sono solitamente composti da un
cristallo scintillatore che converte i γ in fotoni nello spettro visibile, e da fotorivela-tori che trasformano il segnale luminoso in corrente e lo inviano ad un sistema che processa i segnali. Vengono quindi considerati gli eventi in coincidenza temporale (ossia la cui differenza tra i tempi di arrivo sia minore di una finestra temporale che dipende dalla risoluzione del sistema) e con energia E∼511 keV. Il volume dato dall’intersezione di tutte le possibili LOR tra tutti i rivelatori è chiamato Field of View (FOV, campo di vista). Uno schema di uno scanner PET è rappresentato in figura 2.3
Figura 2.3: Scanner PET composto da un anello di rivelatori. L’annichilazione avviene all’interno del corpo del paziente, i due fotoni collineari vengono rivelati da due dei rivelatori che formano l’anello e il segnale viene inviato all’elettronica e processato. Figura da [30].
. Le fonti di rumore
I fotoni che provengono dallo stesso evento di annichilazione e che vengono rivelati da rivelatori opposti, generando una LOR corretta vengono dette coincidenze vere (T, true). Tuttavia, non tutti i fotoni rivelati consentono la ricostruzione di una corretta LOR e questo comporta il peggioramento della qualità dell’immagine. In-fatti uno dei fotoni prodotti dall’annichilazione di un positrone può essere deviato e la linea di risposta ricostruita non passa dunque per il reale punto di annichilazione. Questi eventi sono chiamati scattered. Un’altra possibilità è che due fotoni vengano rivelati in coincidenza anche se provengono da differenti annichilazioni in cui uno dei fotoni non viene rivelato; in questo caso si parla di coincidenze random. Infine è possibile che più fotoni vengano rivelati in coincidenza; questi eventi sono gene-ralmente scartati dall’elettronica o nel data processing in quanto la ricostruzione di
una LOR è resa impossibile. In fgura 2.4 si osserva una coincidenza vera (T), una scattered S e una random R e le relative ricostruzioni delle linee di risposta.
Figura 2.4: Fonti di rumore in PET. L’evento 1 viene correttamente rivelato (T), uno dei fotoni dell’evento 2 viene deviato e dà origine alla ricostruzione di una LOR errata (S) mentre gli eventi 3 e 4 danno origine ad una coincidenza random R in quanto i loro fotoni anticollineari non vengono rivelati. Figura da [28].
2.4.2
PET in adroterapia
Dalle interazione nucleari tra le particelle del fascio e gli atomi del corpo del paziente vengono prodotti, lungo la traccia delle particelle, isotopi instabili che decadono emettendo positroni (par 1.2.3). Il PET monitoring in adroterapia si basa sulla rivelazione dei fotoni in coincidenza emessi dall’annichilazione dei positroni con gli elettroni atomici del corpo del paziente. Poiché gli emettitori β+ vengono formati
fino a qualche millimetro prima del picco di Bragg, è possibile verificare l’effettivo range delle particelle tramite lo studio dell’attività dei β+. Il profilo di attività che si ricava è tuttavia diverso dal profilo di dose, come si può vedere in figura 2.5, dove sono rappresentati i profili di dose e di attività in funzione della profondità di penetrazione del fascio per un fascio di protoni da 110 MeV (sinistra) e di ioni12C
(destra) da 212 MeV/u in un fantoccio di polimetilmtacrilato (PMMA) [6]. Questo è dovuto al fatto che i processi fisici alla base sono diversi (il profilo di dose dipende da interazioni coulombiane mentre quello di attività da frammentazione nucleare). Per verificare l’effettivo range a partire dal profilo di attività è quindi necessario confrontare quest’ultimo con dei profili di attività simulate.
Figura 2.5: Profilo di dose e di attività in funzione della profondità di penetrazione del fascio per un fascio di protoni da 110 MeV (sinistra) e di ioni12C (destra) da 212 MeV/u in un fantoccio di
polimetilmtacrilato (PMMA) [6].
durante l’intero ciclo di trattamento e di rilevare eventuali differenze tra la dose programmata e la dose effettiva [31].
La verifica del range delle particelle tramite imaging PET può essere fatta: • off-line: lo scanner PET è posto in una stanza adiacente alla sala di
tratta-mento dove il paziente viene trasportato con il lettino una volta terminato l’irraggiamento.
• in-room: lo scanner PET è situato nella sala di trattamento, vicino al letto del paziente.
• in-beam o on-line: uno scanner PET specificatamente sviluppato viene inte-grato alla finestra di estrazione del fascio e opera durante il trattamento. Il problema della verifica off-line e in-room è che lo spostamento del paziente richiede tempo e il segnale diventa più debole a causa sia del wash-out fisiologico (ossia la migrazione delle molecole legate agli isotopi emettitori a causa della diffusione e di processi fisiologici) che del decadimento fisico delle sorgenti (T1
2 ∼2 min per
15O e
20 min per 11C). Questo problema non è trascurabile in quanto la concentrazione
di attività è di ∼2 ordini di grandezza più bassa rispetto a quella normalmente utilizzata per esami clinici [17]. Nonostante questi problemi, questo metodo viene impiegato in vari centri grazie al fatto che gli scanner PET utilizzati sono scanner commerciali e non devono essere specificatamente progettati per lo scopo [32].
Nel caso della verifica in-beam, il problema del wash-out e del decadimento del-le sorgenti è minimizzato. I principali probdel-lemi dell’approccio in-beam sono del-legati all’elevato numero di eventi che vengono rivelati durante la fase di estrazione del
fascio e alla geometria degli scanner PET. Durante l’estrazione del fascio, un gran numero di fotoni contribuiscono all’aumento del rumore nel segnale PET. Questi eventi, dovuti alla diseccitazione dei nuclei atomici del corpo del paziente, possono portare alla paralizzazione del sistema [32]. Inoltre non portano informazioni utili al calcolo della dose e del range delle particelle, in quanto non provengono dall’an-nichilazione dei β+, e contribuiscono al peggioramento dell’immagine aumentando il
numero di coincidenze random. I metodi di soppressione delle coincidenze random proposti [33],[34] ad oggi sono stati sviluppati a partire da dati acquisiti in centri in cui opera un sincrotrone. Nei sincrotroni il fascio estratto non è continuo e le fasi di estrazione, dette spill (solitamente della durata di ∼1 s), si alterano a pause (dette inter-spill, della durata di ∼2-4 s) in cui le particelle vengono accelerate alla giusta energia. All’interno di ogni spill le particelle non sono distribuite uniformemente nel tempo ma sono raggruppate in microstrutture dette bunch. Al sincrotrone utilizzato al CNAO, ad esempio, ogni bunch ha una durata di circa 140 ns e l’intervallo tra un bunch e l’altro è di circa 690 ns [35]. Grazie a questa struttura del fascio caratte-ristica dei sincrotroni è infatti possibile utilizzare i soli dati provenienti dalle pause tra un bunch e l’altro durante la fase di estrazione del fascio, minimizzando così il contributo dovuto alle coincidenze random.
I problemi tecnici sono invece legati alla difficoltà di adattare uno scanner PET alla sala di trattamento a causa dei vincoli posti dalla finestra di estrazione del fascio, dal lettino del paziente e dal meccanismo di rotazione di questo [32]. Vengono generalmente sviluppati specifici scanner formati da due teste in opposizione, come ad esempio quello mostrato in figura 2.6 [36]. Questi si adattano bene alla geometria della sala ma presentano problemi dovuti alla copertura angolare limitata, quali bassa sensibilità e artefatti nella ricostruzione delle immagini [37]. Una tecnica proposta [31] per migliorare tali artefatti è l’utilizzo del time of flight (TOF), che sfrutta la differenza dei tempi di arrivo dei due fotoni sui rivelatori. Il time of flight e il suo utilizzo nella PET per la verifica del range in adroterapia sarà argomento del capitolo 4 di questa tesi. In figura 2.7 [38] sono mostrate due immagini ricostruite con uno scanner composto da due archi di rivelatori. É stato simulato un fantoccio di diametro d=6 cm contenente 4 sfere dal diametro di 5 mm con diverse attività rispetto a quella del cilindro. L’immagine in alto è stata ricostruita con algoritmo che sfrutta l’informazione TOF con una risoluzione temporale di 200 ps, mentre quella in basso senza TOF. É evidente nella seconda immagine l’artefatto dovuto alla perdita di risoluzione in corrispondenza dell’asse ortogonale ai due rivelatori,
Questo artefatto è invece assente nella ricostruzione TOF in quanto la risoluzione spaziale è migliorata grazie all’informazione sul tempo di volo.
Figura 2.6: Scanner PET in-beam situato al GSI (Darmstadt). A causa del lettino che deve poter ruotare per consentire diversi angoli di entrata del fascio nel paziente non può essere utilizzato uno scanner circolare [36].
Figura 2.7: Schema della geometria simulata, con un cilindro nel quale sono presenti 4 punti con diverse attività rispetto a quella del cilindro e immagini ricostruite. L’immagine in alto è stata ricostruita con algoritmo TOF con una risoluzione temporale di 200 ps, mentre quella in basso senza TOF [38].