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La Magistratura italiana. Formazione professionale e valutazioni di professionalita

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Academic year: 2021

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A chi ci crede, a chi ci spera, a chi non molla, a chi non si avvilisce, a chi non si scoraggia, e a chi, come me, non si è mai arreso.

(2)

2

I

NDICE

S

OMMARIO

I

L’ORIGINE E LA TRASFORMAZIONE DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO ITALIANO E I PRINCIPI COSTITUZIONALI COINVOLTI

1. Le origini del sistema ...8

1.1 L’antefatto francese ... 10

1.2 L’ordinamento giudiziario italiano alla fine dell’800 ... 13

1.3 Il periodo Fascista ... 15

1.4 Il periodo Liberale ... 18

1.5 Il dibattito dell’Assemblea costituente ... 19

2. L’Ordinamento giudiziario ...22

2.1 La riforma del Ministro della Giustizia Castelli ... 23

2.2 … e quella del Ministro della Giustizia Mastella ... 25

3. I principi costituzionali di riferimento...27

3.1. La magistratura come “potere diffuso” ... 27

3.2. La soggezione del giudice soltanto alla legge ... 28

3.3. Un’autorità giudiziaria unica e precostituita ... 29

3.4. La magistratura come ordine autonomo e indipendente ... 31

3.4.1 L’indipendenza esterna: un sistema di “autogoverno” dell’ordine giudiziario ... 34

Segue: il Ministro della giustizia ... 37

3.4.2 L’indipendenza interna: la distinzione funzionale dei giudici ... 38

Segue: l’inamovibilità ... 38

3.5. Il buon andamento dei pubblici uffici ... 40

(3)

3 II

L’ACCESSO IN MAGISTRATURA

1. Le “assunzioni in magistratura” ...44

1.1. Le origini ... 44

1.2. La disciplina dell’accesso in Costituzione ... 46

2. La disciplina odierna dell’accesso alla magistratura ordinaria ...48

2.1. L’accesso per meriti insigni ... 48

2.2. L’accesso per concorso pubblico ... 49

2.2.1. La riforma Castelli e il concorso per uditore giudiziario ... 49

2.2.2. Requisiti per l'ammissione al concorso ... 50

2.2.3. La nomina e il tirocinio ... 51

3. Le principali modifiche della riforma Mastella ...52

3.1. I requisiti di ammissione al concorso ... 55

3.2. Le modalità di svolgimento delle prove concorsuali ... 56

3.3. La commissione di concorso ... 57

3.4. La nomina ... 58

3.5. Il tirocinio ... 59

3.6. L’assegnazione delle funzioni di prima destinazione ... 62

4. Tirocini formativi e formazione professionale ...64

4.1. Tempi e modalità di presentazione della domanda di ammissione ... 64

4.2. I magistrati formatori e lo svolgimento del tirocinio ... 65

4.3. Obblighi e vantaggi del tirocinante ... 66

5. Ufficio per il processo ...67

5.1. L’importanza dei tirocini nella risoluzione del Consiglio superiore della magistratura ... 71

(4)

4 III

LA FORMAZIONE DEL MAGISTRATO ORDINARIO

1. Le origini della formazione professionale ...73

1.1. Il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura ... 75

1.2. La Convenzione del 1993 ... 77

1.3. La Nona Commissione ... 78

1.4. La formazione decentrata ... 79

1.4.1. I limiti ... 81

2. La Scuola Superiore della Magistratura nella riforma Castelli ...82

2.1. Profili generali ... 82

2.2. Il sistema di formazione-valutazione ... 84

2.2.1. Il tirocinio ... 86

3. La Scuola Superiore della Magistratura a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n.111 del 2007 ...87

3.1. Profili generali ... 87

3.2. L’attuale organizzazione della Scuola ... 88

3.3. I corsi di formazione ... 89

3.4. La soppressione della Nona Commissione ... 91

3.4.1. Le competenze residue del CSM ... 92

4. La formazione dei magistrati alla luce dei principi internazionali e dei profili di diritto comparato ...93

5. Una cultura giuridica europea comune ...95

5.1. La Rete europea per la formazione giudiziaria ... 97

6. Le principali esperienze europee di formazione dei magistrati ...99

6.1. Il modello francese ... 99

(5)

5

6.1.2. Cenni sull’ENM ... 102

6.1.3. Lo status giuridico degli auditeurs de justice ... 104

6.1.4. L’ENM e la formazione dei magistrati francesi ... 106

6.2. La formazione dei magistrati in Germania ... 107

6.2.1. La formazione continua ... 109

6.3. Il modello spagnolo ... 110

6.3.1. L’accesso dei magistrati ... 111

6.3.2. La formazione e la carriera ... 113

IV LE VALUTAZIONI DI PROFESSIONALITA’ E LA CARRIERA DEI MAGISTRATI ORDINARI 1. Valutazioni di professionalità e progressione in carriera: premessa ...115

2. Evoluzione normativa: due modelli a confronto ...116

2.1. La disciplina previgente ... 117

2.2. Qualifiche a “ruolo aperto” e funzioni ... 120

2.3. Il potere paranormativo antecedente alle riforme del 2005/2007 ... 124

2.4. La riforma del 2005/2006 ... 125

2.5. La successiva riforma Mastella ... 128

3. Le valutazioni di professionalità quadriennali ...128

3.1. Le valutazioni e i “prerequisiti” di indipendenza, imparzialità ed equilibrio ... 129

3.2. I requisiti professionali: quattro parametri di valutazione ... 131

3.3. Gli indicatori della professionalità e la regolamentazione consiliare .. 134

3.3.1. Il rischio di un sindacato sul merito ... 138

(6)

6

4.1. Criteri per il conferimento delle funzioni ... 141

4.2. I trasferimenti d’ufficio e i passaggi di funzione ... 144

4.3. Il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi ... 147

5. Le fonti di conoscenza ...149

5.1. La redazione dei rapporti informativi: il ruolo del capo ufficio ... 152

5.2. La valutazione del Consiglio giudiziario ... 155

5.2.1. Giudizi positivi e redazione “sintetica” dei pareri dei CG ... 158

6. Il giudizio del CSM ...160

6.1. Il rilievo delle valutazioni negative e la procedura “garantita” ... 161

7. Il rapporto tra le fonti di conoscenza e le informazioni acquisite dal dirigente dell’ufficio: un caso emblematico ...164

7.1. Il quesito del Consiglio giudiziario di Milano ... 166

7.2. La risposta del CSM ... 168

Osservazioni conclusive ...173

RIFERIMENTI NORMATIVI ...175

BIBLIOGRAFIA ...179

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7

“Per trovar la giustizia bisogna esserle fedeli: essa, come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede” [P. Calamandrei, Elogio dei giudici. Scritto da un avvocato. 1935]

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8

I

L’ORIGINE E LA TRASFORMAZIONE

DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO ITALIANO E I

PRINCIPI COSTITUZIONALI COINVOLTI

1. Le origini del sistema

L’organizzazione giudiziaria attualmente vigente deriva da quella che fu istituita nel Regno di Sardegna nel periodo che seguì l’emanazione dello Statuto Albertino, quattro marzo 1848. Si arrivò a realizzare questa forma di governo perché le vicende svoltesi in Francia nell’ultima fase dell’ancien

régime hanno influenzato gli altri paesi dell’Europa continentale1. In virtù di questi sviluppi, infatti, il sistema giudiziario di questo paese è tradizionalmente considerato come il modello tipico dell'area della civil law, anche se in tale ambito troviamo alcune varianti di questo sistema che presentano un certo rilievo.2

Essendo lo Statuto Albertino una Carta ottriata, riveste una particolare importanza il suo preambolo. L'assolutismo illuminato, ultima evoluzione dello Stato di polizia, è molto evidente: «con lealtà di Re e con affetto di padre Noi

veniamo a compiere quanto avevamo annunziato ai nostri amatissimi Sudditi»,

1 v. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, Einaudi, Torino 1982, p. 28 e ss.

2 v. F. Galgano, Atlante di diritto privato comparato, Zanichelli, Bologna 1999 - espressamente “Per area di civil law si intende quella comprendente i paesi le cui tradizioni giuridiche si sono sviluppate sulla base del diritto romano, in contrapposizione all'area di common law, che comprende l'Inghilterra e gli altri paesi che non hanno subito tale influenza”.

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9

così come è palese la riserva mentale con cui lo Statuto viene concesso, laddove - celando le forti motivazioni sociali che hanno indotto Carlo Alberto ad emanare questo atto - si afferma «di Nostra certa scienza, Regia autorità,

avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue».

Lo Statuto corrisponde a ciò che si definisce una costituzione breve: si limita ad enunciare i diritti (che sono per lo più libertà dallo Stato) e ad individuare la forma di governo; non si pone il fine di raggiungere obiettivi di convivenza, né di prefigurare i rapporti dei consociati (Stato - comunità) tra di loro e tra questi e lo Stato - apparato.

Riconosce il principio di eguaglianza (art. 24: «tutti i regnicoli,

qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla Legge. [...] Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessi alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi»), ma si limita ad affermare

un'eguaglianza formale.

Riconosce formalmente la libertà individuale (art. 26), l'inviolabilità del domicilio (art. 27), la libertà di stampa (art. 28), la libertà di riunione (art. 32), ma le riserve di legge ivi previste si risolvono nel ben più blando e meno garantista principio di legalità, mentre è sconosciuto l'istituto della riserva di giurisdizione: in definitiva, il vero cardine del sistema dei diritti statutari è costituito dal diritto di proprietà (art. 29).

Il Re manteneva una certa preminenza ed esercitava il potere esecutivo attraverso i ministri; convocava e scioglieva le Camere e aveva il potere di sanzione delle leggi, istituto diverso dalla promulgazione presidenziale, attualmente prevista dalla Costituzione italiana del 1948, perché con essa il Re valutava il merito dell'atto e poteva rifiutarlo se riteneva la legge non rispondente all'indirizzo politico perseguito dalla Corona. La sovranità non apparteneva alla Nazione (sebbene all'art. 41 si faccia espresso riferimento ai deputati come "rappresentanti della Nazione") ma al Re, Sovrano assoluto.

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Gli articoli contenuti nello Statuto, che si occupavano del c.d. “Ordine giudiziario”, ripresi quasi letteralmente dalla Charte francese de 1814, erano pochi, generici e ricalcavano il carattere flessibile di tale Costituzione3.

In particolare, l’art. 68, stabiliva che «la Giustizia emana dal Re, ed è

amministrata in suo Nome dai Giudici ch’Egli istituisce». Si aveva una

magistratura composta di funzionari nominati dall’esecutivo e questo sistema di nomine politiche rimase in piedi fino al 1890 con la Riforma Zanardelli.

L’art. 69 stabiliva poi la garanzia dell’inamovibilità enunciando che «I

Giudici nominati dal Re, ad eccezione di quelli di mandamento, sono inamovibili dopo tre anni di esercizio»; tale garanzia fu però intesa solo in

riferimento al grado e non anche alla sede ed inoltre non ne beneficiavano i pretori, i magistrati del pubblico ministero ed i giudici che non avessero raggiunto i tre anni di anzianità.

L’art. 73 sottolineava il carattere di subordinazione del giudice alla legge: «L'interpretazione delle leggi, in modo per tutti obbligatorio, spetta

esclusivamente al potere legislativo». Questo in chiara polemica con la prassi

che durante l’ancien régime aveva visto i giudici assumere potestà normative. Orientamento ripreso poi dall’art. 82 che aboliva i poteri di “interinazione” e di “registrazione” degli atti del sovrano da parte delle corti.

Dopo una serie di provvedimenti parziali, come il decreto Rattazzi del 1859, una disciplina esatta in materia si trova nel r.d. 6 dicembre 1865, n. 2626, il c.d. “ordinamento giudiziario Cortese” in base al quale le funzioni giudiziarie erano affidate a un corpo di magistrati di carriera nominati per concorso dall’esecutivo oppure scelti tra avvocati o professori universitari e dotati di uno status che non ne garantiva assolutamente l’indipendenza. Indipendenza, peraltro, relativa, perché accordata solo ai magistrati che esercitavano la funzione giudicante e non a quelli del pubblico ministero, posti invece alle dipendenze dirette del ministro della Giustizia.

1.1 L’antefatto francese

Nell’ambito dello Stato assoluto, il potere di rendere giustizia spettava al monarca che lo esercitava sia personalmente ma soprattutto delegando ad

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organi a lui sottoposti4. Questo portò alla formazione di autorità giurisdizionali sempre più autonome, nonostante che il monarca continuasse a rappresentare la fonte del loro potere. La giustizia delegata fu così quella amministrata dall’antica curia regis, che nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, a partire dal XIII secolo, assunse la denominazione di Parlement e che divenne gradualmente un organo giudiziario permanente formato da giuristi di professione.

A partire dal XV secolo, parlamenti provinciali vennero ad aggiungersi a quello di Parigi e la loro struttura si assestò secondo precise regole organizzative, le quali contemplavano anche la vendita delle cariche e la corresponsione ai magistrati di compensi gravanti sulle parti. Questi parlamenti, avevano la funzione di “registrare” gli atti del sovrano e, in tale occasione, controllavano se tali atti fossero compatibili o meno con le leggi fondamentali della monarchia onde rivolgere al sovrano delle lamentele che potevano portare, se non accolte, al diniego della registrazione.

Quest’attività può assimilarsi a quella che oggi svolge la Corte dei Conti riguardo agli atti del Governo, oppure al controllo di costituzionalità normativo esercitato dai giudizi costituzionali.

L’attività di questi parlamenti francesi determinò forti contrasti con la monarchia, soprattutto nella seconda metà del XVIII secolo quanto il re cercò di ricondurli all’ordine attuando provvedimenti repressivi, censure e adottando progetti di riforma della giustizia5.

L’ispirazione reazionaria, l’ostinata difesa dei privilegi dei loro membri e la presa di posizione favorevole alle tesi della nobiltà in occasione della convocazione degli Stati generali, determinò conflitti anche con i liberali e ciò comportò, oltre alla loro soppressione, la diffidenza totale nei confronti del potere giudiziario. Motivo di discussione fu in particolare l'esercizio da parte

4

v. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, cit. p. 28. Il potere di rendere giustizia spettava la monarca al pari, del resto, di ogni altro potere pubblico (c.d. “giustizia delegata”).

5 v. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, cit. p. 31, in particolare “il Re cercò di ricondurre i parlamenti francesi all’ordine mediante provvedimenti repressivi diretti contro singoli magistrati o contro tutti i componenti di un parlamento (spesso colpiti da letters de cachet che li esiliavano in sperdute località di provincia o addirittura ne ordinavano la carcerazione), oppure anche mediante l’adozione di progetti di riforma rivolti a realizzare un più generale riordinamento della giustizia”.

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dei parlamenti di poteri sostanzialmente normativi, attraverso l'emanazione di atti, gli arrêts de règlement6, con i quali i parlamenti enunciavano norme generali e astratte cui si sarebbero attenuti in avvenire nella decisione delle controversie concrete.

Alla fine del XVIII secolo furono emanate delle leggi che si posero alla base di un sistema giudiziario completamente nuovo il quale, ispirandosi agli insegnamenti di Montesquieu, affidava la funzione giurisdizionale a giudici elettivi con mandato a termine vietando qualunque forma di attività normativa ed anche la stessa interpretazione della legge. Esisteva un Tribunal de

cassation che controllava il rispetto di questi limiti.

Nella successiva evoluzione dell’ordinamento costituzionale francese, questa impostazione subì ulteriori importanti modifiche e l’ordinamento che ne derivò ebbe come suo criterio fondamentale la configurazione dei magistrati come funzionari statali, dotati di formazione giuridica ma nominati dall’esecutivo e inquadrati in una carriera analoga a quella degli altri pubblici dipendenti7. Si ebbe anche un’evoluzione della Cassazione, che da organo del potere legislativo destinato a controllare i giudici divenne un organo giurisdizionale, la Cour de cassation, avente il compito fondamentale di unificare l’interpretazione giudiziaria.

Quest’ultimo sviluppo – cui corrispose anche l’eliminazione della norma che imponeva al giudice di ricorrere al legislatore per ottenere l’interpretazione autentica della legge in un caso dubbio8

– fu favorito dall’opera di codificazione svoltasi durante il periodo napoleonico la quale tendeva a realizzare un maggior grado di “certezza” del diritto vigente.

La sopravalutazione del ruolo della legge come unica possibile espressione della volontà popolare, e la diffidenza nei confronti dei giudici continuò chiaramente a manifestarsi in Francia e nei paesi da questa influenzati

6

v. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, cit. p.30. Gli arrêts de règlement erano dei veri e propri testi normativi, mediante i quali i parlamenti dettavano la disciplina di materie spesso connesse soltanto alla lontana con l’esercizio delle loro funzioni giudiziarie.

7 v. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, cit. p. 32: La Costituzione dell’anno VIII, sostituì il sistema dell’elezione a termine di giudici non professionali con giudici di carriera aventi uno status simile a quello degli altri funzionari.

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intorno all’ammissibilità di un controllo giudiziario della costituzionalità delle leggi. Tale controllo fu per molto tempo ritenuto inconcepibile da parte dei giuristi francesi, ritenendo che esso portasse ad una pericolosa forma di “governo dei giudici”, e quando in epoca più tarda si fece qualche passo in questa direzione9, tali organi e le funzioni da essi esercitate furono configurati in modo tale da dar luogo ad una forma di controllo politico, più che giudiziario, della costituzionalità delle leggi.

L’organizzazione della giustizia, nell’ordinamento francese, presenta ancor oggi le caratteristiche fondamentali assunte in virtù della legge napoleonica, compresa la dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo.

1.2 L’ordinamento giudiziario italiano alla fine dell’800

Il sistema che fu realizzato in Piemonte e poi in tutta Italia con l’ordinamento giudiziario del 1865, era un sistema d’imitazione francese che subì, tuttavia, una serie di modifiche che lo differenziarono da quello francese e che ebbero come carattere fondamentale quello di valorizzare la professionalità del giudice e di conseguenza la sua indipendenza.

Con il regio decreto 6 dicembre 1865 n. 2626 Vittorio Emanuele II pose infatti il nuovo ordinamento giudiziario del regno d’Italia. Tale legge prevedeva che alla carriera giudiziaria si accedesse con il titolo di uditore, da conseguire con una laurea in legge e il superamento di un concorso. I giudici, pertanto, venivano nominati dal re, ma ciò non avveniva a sua discrezione, bensì sulla base di una selezione per meriti effettuata da una apposita commissione, con un criterio non molto diverso da quello attuale.

In base alla legislazione vigente, la magistratura esercitava le più importanti funzioni giudiziarie civili e penali (ad eccezione di quelle demandate a giudici speciali).

A partire dal 1889 venne inoltre sviluppandosi un sistema di giudici amministrativi del tutto separati dalla magistratura ordinaria, abbandonando l’indirizzo unitario introdotto con la legge n. 2248 del 1865.

9 Istituzione del Comité costitutionnel previsto dalla Costituzione della IV Repubblica (1946) e del Conseil constitutionnel previsto dalla Costituzione della V Repubblica (1958).

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Nel periodo che seguì, fino all’avvento del fascismo, l’assetto dell’organizzazione giudiziaria subì varie modifiche che ampliarono le garanzie d’indipendenza del giudice e portarono, in particolare, all’istituzione presso il Ministero della giustizia, di “commissioni consultive” composte di magistrati ed, in particolare, del Consiglio Superiore della Magistratura.

L’art. 4 della legge n.511 del 1907 (c.d. riforma Orlando) ha introdotto il Consiglio, presso il Ministero della giustizia, sostanzialmente come organo consultivo – amministrativo (nomina di alcune cariche all’interno della magistratura).

Pochi mesi dopo, il terzo governo Giolitti firma la legge n.689 dello stesso anno nel quale definisce e inquadra il nuovo organo, anche se ovviamente, agendo la magistratura in nome del Re, i suoi componenti si configuravano come dipendenti del governo. Le sue funzioni rimasero grossomodo invariate fino alla Costituzione Repubblicana, che ne trasformava radicalmente i poteri da organo consultivo – amministrativo presso un ministero, ad organo di auto-governo della Magistratura.

Anche se i criteri di formazione di questi organi erano tali da escludere ogni rappresentanza dei magistrati di grado inferiore ed i loro poteri consultivi non potevano influenzare in modo sensibile la politica giudiziaria del ministro, queste riforme rappresentarono comunque un’affermazione del principio d’indipendenza della magistratura che quindi rappresentò una funzione di stimolo per i giudici in relazione alla valorizzazione delle proprie funzioni.

Espressione di questo indirizzo furono soprattutto il decreto Vigliani del 3 ottobre 1873, n. 1595, che adottò garanzie in materia di trasferimenti, il decreto Villa del 4 gennaio 1880, n. 5230, che istituì la Commissione consultiva centrale per esprimere pareri sulle nomine e le promozioni, la legge Zanardelli dell’8 giugno 1890, n. 6878, che disciplino l’accesso alla magistratura generalizzando il principio del concorso e, soprattutto, le leggi Orlando del 14 luglio 1907, n. 511, e del 24 luglio 1908, n. 438. Questo ciclo fu compiuto col decreto Rodinò del 14 dicembre 1921, n. 1978, che introdusse ulteriori miglioramenti, estendendo l’inamovibilità ai pretori e prevedendo

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l’elettività del Consiglio superiore, del quale erano adesso chiamati a far parte quattro professori della facoltà di giurisprudenza di Roma10.

1.3 Il periodo Fascista

Questa tendenza politica fu subito annientata dal fascismo, che a partire dalla prima metà degli anni venti cominciò un'opera di rinnovamento della legislazione italiana.

Per ricostruire i rapporti tra governo e magistratura costituiscono elemento fondamentale le circolari inviate dal Ministro di Giustizia ai procuratori generali del re, gerarchicamente dipendenti dal Guardasigilli per imporre precisi atteggiamenti o scelte politiche nell’applicazione di determinate categorie di norme, un maggior rigore nella repressione di certi reati, nell’uso del procedimento direttissimo o nel proporre appello contro le sentenze assolutorie11. Un intervento del potere esecutivo che inviti ad usare il massimo rigore in un processo contro imputati antifascisti oppure una certa benevolenza nei confronti di personalità del regime costituisce un sintomo molto più forte e incisivo di una norma che regoli in via generale i rapporti di dipendenza dell’ordine giudiziario. Il primo codice a essere riformato fu quello penale del 1889, detto codice Zanardelli.

Il nuovo codice Rocco dal nome del Ministro Alfredo Rocco che promosse la riforma nel 1930, fu redatto dal giurista Vincenzo Manzini, seguace del tecnicismo giuridico. Questa scuola di pensiero teorizzava l'applicazione dei principi del giuspositivismo al diritto penale, affermandone il primato e l'autonomia rispetto alle scienze sociali. Il tecnicismo giuridico, mettendo da parte ogni valutazione estranea allo studio dell'ordinamento vigente, favoriva un'interpretazione conservatrice del diritto penale, con una certa tendenza all'autoritarismo, sintomatica della profonda crisi che lo Stato liberale stava affrontando all'inizio del XX secolo a causa dell'avanzata dei movimenti socialisti.

10 v. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, cit. p. 34. 11 v. G. Quazza, Fascismo e società italiana, Einaudi, Torino 1973

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Tra le principali innovazioni portate dal nuovo codice ci fu la reintroduzione della pena di morte per i delitti comuni, che era stata abolita quarant'anni prima con l'entrata in vigore del codice Zanardelli.

Il governo fascista arrivò a contestare lo stesso principio della divisione dei poteri e tese ad attribuire ad organi riconducibili alla pubblica amministrazione funzioni tipicamente giurisdizionali. Esso stravolge ogni rapporto tra l’esecutivo e il giudiziario, rendendo la magistratura un mero apparato amministrativo. La stessa relazione del Guardasigilli spiegava cosa dovesse intendersi per indipendenza della magistratura: “Questa indipendenza

nel pensiero giuridico moderno non importa già che la giurisdizione costituisca un potere autonomo dello Stato, dovendo anch’essa informare la sua attività alle direttive generali segnate dal governo per l’esercizio di ogni pubblica funzione; ma significa soltanto che la giurisdizione non deve subire influenze perturbatrici dei suoi giudizi, da qualsiasi parte provengano”12.

Il magistrato era un semplice impiegato, al quale venivano inviate circolari, anche contrarie alla legge, contenenti direttive di cui si pretendeva la rigorosa applicazione ed ogni principio illuminista e/o liberale sui rapporti tra potere esecutivo e giudiziario fu fatto venire meno; la magistratura era assoggettata, nel modo più assoluto e umiliante, al volere della pubblica amministrazione.

Le Leggi fascistissime identificano una serie di norme giuridiche, emanate tra il 1925 e il 1926 (nel ‘25 inizia infatti la c.d. fascistizzazione dello Stato), che iniziarono la trasformazione di fatto dell'ordinamento giuridico del Regno d'Italia, ossia di uno Stato autoritario di tipo nazionalista, centralista, statalista, corporativista ed imperialista. Vi fu l’abolizione della libertà di stampa, di riunione e di associazione13, l’eliminazione del controllo del parlamento sull’attività del governo ed inoltre ci fu l’attribuzione al governo

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v. G. Quazza, Fascismo e società italiana, cit.

13 Con l’affermarsi del fascismo e lo scioglimento di tutte le libere associazioni, anche la Associazione generale fra i Magistrati d’Italia, nel 1924, terminò ogni attività. Gli allora dirigenti dell’associazione si rifiutarono di trasformare l’associazione in un sindacato fascista e ne deliberarono quindi la chiusura con l’assemblea generale tenutasi il 21 dicembre 1925.

Con la fine della seconda guerra mondiale l’associazionismo giudiziario ovviamente si ricostituì.

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del potere di emanare norme giuridiche. Il compimento, ancorché parziale, di tale processo sarebbe avvenuto, però, soltanto nel 1939 quando, pur senza mutare direttamente gli articoli interessati dello Statuto del Regno, la Camera dei deputati sarà soppressa e sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, la cui composizione e la portata reale dei poteri ne escluderanno i caratteri di effettiva titolarità della rappresentanza nazionale e di cotitolarità - condivisa con il Capo dello Stato e con il Senato - del potere legislativo.

Il successivo consolidamento del regime fascista non richiese ulteriori riforme dell’ordinamento giudiziario14. Attraverso il ricorso all’istituto delle circolari ministeriali, inviate con sempre maggiore frequenza, il governo fascista è infatti riuscito ad ottenere un controllo pressoché totale su tutti i settori dell’ordine giudiziario.

Sino al 1941 non vengono toccate le strutture dell’ordinamento ereditate dallo Stato liberale e tantomeno il sistema di rapporti tra magistratura e potere esecutivo.

Lo stesso regio decreto Grandi non introdusse innovazioni di rilievo. Per realizzare i propri fini bastò infatti al fascismo selezionare gli uomini da destinare alle cariche più importanti e accrescere i poteri della polizia mediante la modifica delle leggi processuali e di pubblica sicurezza oltre che, di fatto, creando organizzazioni di partito praticamente onnipotenti.

I capi degli uffici assegnavano insindacabilmente i processi ai giudici che dessero il maggiore affidamento di fedeltà al regime o semplicemente di conformismo e ben poco spazio rimase alla magistratura per operare libere scelte o per operare decisioni sgradite al regime15.

14 v. P. Calamandrei, capitolo ottavo “Delle relazioni (buone o cattive) tra la giustizia e la politica, come furono ieri e come sono oggi.” in Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Ponte alle grazie, Milano 1999. “…per diventare luminare fascista non occorreva conoscere il diritto (di qualcuno di essi si dubitava perfino se avesse una laurea regolare). A questa celebrità si arrivava per due titoli: o come alto gerarca del partito o come congiunto di ministri in carica, preferibilmente del guardasigilli”.

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v. G. Quazza, Fascismo e società italiana, cit. Vi sono comunque testimonianze numerose che contraddicono questo quadro e che parlano di sentenze e di magistrati coraggiosi, pronti a pagare con la vita la propria opposizione al regime.

v. anche P. Calamandrei, capitolo ottavo “Delle relazioni (buone o cattive) tra la giustizia e la politica, come furono ieri e come sono oggi.” in Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Ponte alle grazie, Milano 1999. “…durante il fascismo vi sono stati, più che non si pensi, magistrati eroici, disposti a perdere il posto e magari ad affrontare il confino, pur di difendere la loro indipendenza; vi sono anche stati purtroppo alcuni magistrati indegni, che, per

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Per capire meglio la situazione, basterà leggere i discorsi che i procuratori generali pronunciavano in occasione delle inaugurazioni dell’anno giudiziario, stante il diretto rapporto di dipendenza tra ministro e procuratori stessi16.

1.4 Il periodo Liberale

Dopo la liberazione d’Italia, la ricostituita Associazione Nazionale dei magistrati, ripropose le rivendicazioni che avevano portato alla riforma Orlando e con il R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511 rubricato “Guarentigie della

magistratura”(c.d. decreto Togliatti) – furono introdotte una serie di modifiche

dell’ordinamento Grandi che ripristinavano le garanzie del giudice, abolite dal fascismo, perfezionandole ed estendendole ai magistrati del pubblico ministero (sottratti per la prima volta alla dipendenza gerarchica del Ministro della giustizia).

Viene affermato il principio dell’inamovibilità dei magistrati di grado non inferiore a giudice, sostituto procuratore e pretore, ma si conserva la pericolosa facoltà, ora demandata al Consiglio superiore della magistratura, di trasferire i magistrati “quando, per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa, non possono, nella sede che occupano, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario” (art. 2); il Guardasigilli viene privato del potere di direzione sugli uffici del pubblico arrivare rapidamente ai più alti posti direttivi, hanno asservito senza scrupoli la loro coscienza”.

16 v. G. Quazza, Fascismo e società italiana, cit. Valga, a titolo di esempio, il discorso tenutosi nel 1940 a palazzo Venezia per l’inizio del nuovo anno giudiziario, cui parteciparono i più alti gradi della magistratura. Il Ministro Grandi lesse il seguente indirizzo: “…La Magistratura fascista vuole dichiararVi, Duce, che essa si sente consapevole della missione che Voi le avete affidata di «custode severa delle leggi della Rivoluzione» e di questa missione essa sente tutti i doveri e la responsabilità”. “…Il magistrato attua il comando del legislatore, e la sua sensibilità politica deve portarlo talvolta oltre i limiti formali della norma giuridica per obbedire allo spirito e alla sostanza rinnovatrice della legge… E’ la Magistratura che, penetrando nella sostanza politica della Carta del Lavoro, ha dichiarato che i principi in essa consacrati dal Gran Consiglio attengono all’ordine pubblico dello Stato e costituiscono la base di interpretazione di tutto il diritto positivo italiano. E’ la Magistratura che ha affermato che il Partito Nazionale Fascista deve essere considerato come organo di diritto pubblico e che tutti i suoi Gerarchi sono investiti di pubbliche funzioni e assumono la qualità di pubblici ufficiali”. Interviene poi il Duce esponendo le sue concezioni sulla posizione della magistratura nell’ambito dei poteri dello Stato: “…non esiste una divisione dei poteri nell’ambito dello Stato. Ma nella nostra concezione il potere è unitario: non c’è più divisione dei poteri, c’è divisione di funzioni. La vostra è, tra le preminenti e fondamentali dello Stato, la fondamentale”.

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ministero, che continuano però ad essere sottoposti alla “vigilanza” del Ministro di grazia e giustizia (art. 39); al Ministro viene ancora attribuita l’alta sorveglianza su tutti gli uffici giudiziari (art. 13) ed analoghi poteri di sorveglianza vengono mantenuti in capo ai dirigenti degli uffici su tutti i giudici loro subordinati (art. 14), in ciò modificando l’art. 231 del r.d. del 194117, che attribuiva al Procuratore generale presso la Corte d’appello la sorveglianza anche sui giudici istruttori dei tribunali del distretto, sui pretori e sui conciliatori; la titolarità dell’azione disciplinare continua a spettare al Guardasigilli, cui viene ora affiancato il Procuratore generale presso la Corte di cassazione (art. 27); il procedimento disciplinare si svolge con ampie garanzie per l’imputato ma l’art. 18 riproduce la troppo generica formulazione delle infrazioni prevista dall’art. 232 del regio decreto Grandi del 194118

; per quanto riguarda l’ammonimento, che è la più lieve tra le sanzioni, viene “rivolto oralmente dal capo gerarchico immediato” (art. 20, III comma); vengono infine istituiti i Consigli giudiziari ed il Consiglio superiore della magistratura.

Nulla invece si dice sulla carriera, le promozioni e la designazione dei capi degli uffici.

1.5 Il dibattito dell’Assemblea costituente

La convocazione dell’Assemblea costituente, il 2 giugno del 1946, offrì l’occasione per realizzare un riesame dei problemi dell’organizzazione della

17 Articolo 231: Poteri di sorveglianza sui magistrati del pubblico ministero: “Il ministro di grazia e giustizia esercita l’alta sorveglianza su tutti i magistrati del pubblico ministero. Il procuratore generale del re imperatore presso la corte suprema di cassazione esercita la sorveglianza sui magistrati del suo ufficio. Il procuratore generale del re imperatore presso la corte di appello esercita la sorveglianza su tutti i magistrati del pubblico ministero del distretto, compresi quelli addetti alle dipendenti procure generali presso le sezioni distaccate ed alle procure del re imperatore esistenti nella circoscrizione di tali sezioni, nonché su tutti i pretori e i giudici conciliatori del distretto. Esercita pure la sorveglianza sulla sezione istruttoria della corte e sui giudici istruttori dei tribunali del distretto. L’avvocato generale presso la sezione distaccata di corte di appello esercita la sorveglianza sui magistrati del pubblico ministero, sui pretori, sui giudici istruttori e sui giudici conciliatori nella circoscrizione della sezione. Il procuratore del re imperatore esercita la sorveglianza su tutti i magistrati del pubblico ministero e su tutti i pretori e i giudici conciliatori nella circoscrizione del tribunale”.

Il presente articolo è stato abrogato dall’art. 43, R.D.Lgs. 31.05.1946, n. 511. 18

Articolo 232: Responsabilità disciplinare dei magistrati: “Il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga in ufficio o fuori una condotta tale, che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell’ordine giudiziario, è soggetto a sanzioni disciplinari secondo le disposizioni degli articoli seguenti”.

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giustizia. Nonostante che le istituzioni repubblicane delineate dalla nuova costituzione fossero ispirate a principi diversi da quelli monarchici, le disposizioni che furono incluse nel titolo IV della parte II della Costituzione, dedicato alla magistratura, danno infatti per lo più scontata la conservazione delle istituzioni giudiziarie preesistenti (quanto meno nelle loro linee fondamentali)19.

Questo risultato fu dovuto soprattutto al fatto che la preparazione della parte organizzativa della Costituzione si sviluppò separatamente dall’elaborazione dei suoi principi fondamentali ed alla circostanza che sulla formazione delle disposizioni contenute nel titolo IV esercitarono una determinante influenza gli operatori giudiziari.

Le fasi principali della preparazione di questi articoli della Costituzione risultarono dalla discussione della relazione che il deputato Piero Calamandrei20 presentò alla Seconda Commissione Forti, cui era affidato il compito di effettuare studi preliminari in vista dei lavori dell’Assemblea costituente che stava per essere eletta.

19 Anche la riforma dell’ordinamento giudiziario non determinò specifici interventi che ne sottolineino la portata ed il significato di rottura con la normativa del ’41. Le spinte innovatrici del primo periodo dopo la Liberazione, che avrebbero dovuto importare una sostanziale rottura con la disciplina giuridica e le prassi amministrative e di governo della macchia giudiziaria, sembrano così spegnersi prima ancora che le sinistre vengano estromesse dalle responsabilità di governo.

V. anche P. Calamandrei, capitolo ottavo “Delle relazioni (buone o cattive) tra la giustizia e la politica, come furono ieri e come sono oggi.” in Elogio dei giudici scritto da un avvocato. “…non vale dire che la funzione dei magistrati è quella di applicar la legge, e che quindi, se cambiamento di regime vuol dire cambiamento di leggi, l’ufficio dei magistrati rimane sempre lo stesso, compendiato nel dovere di essere fedeli alle leggi in vigore, chi ragiona così non vuole accorgersi che le leggi son formule vuote, che il giudice volta volta riempie non solo colla sua logica ma anche col suo sentimento. Prima di applicare una legge, il giudice come uomo è portato a giudicarla. L’interpretazione delle leggi lascia al giudice un certo margine di scelta: entro questo margine chi comanda non è legge inesorabile, ma il mutevole cuore del giudice. Questo spiega perché, durante il primo decennio della repubblica, si sia potuto sospettare talvolta che, sotto l’ossequio meramente formale alle nuove leggi democratiche, continuasse a circolare, in certe sentenze, lo spirito autoritario del regime precedente. I giudici nel sistema della legalità devono essere per forza legalitari: una volta assuefatti a un sistema di legalità, rimangono affezionati a questo anche quando esso è caduto; e ci vogliono molti anni prima che si accorgano che quel sistema è stato rovesciato e che la legalità di allora è diventata la legalità d’oggi”.

20 Calamandrei propose una Repubblica presidenziale con "pesi e contrappesi", come negli Stati Uniti, o un sistema di premierato sul modello Westminster britannico, per evitare la debolezza dei governi, come si verificò poi puntualmente durante la storia della repubblica, e, allo stesso tempo, impedire la deriva autoritaria insita sia nel troppo potere, sia nel disordine delle istituzioni, come era avvenuto col fascismo. Nonostante ciò, difese sempre la repubblica parlamentare e la Costituzione, così come erano uscite dal dibattito democratico nella Costituente.

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A questa seguì la predisposizione della parte interna alla relazione della Commissione stessa riguardante l’ordinamento giudiziario, dalla discussione delle ulteriori relazioni che lo stesso Calamandrei, Leone e Patricolo presentarono alla competente Sottocommissione dell’Assemblea costituente ed alla quale fece seguito la formazione degli articoli del progetto di costituzione, e dal dibattito svoltosi dinanzi all’Assemblea stessa, in modo assai affrettato all’urgenza di concludere i lavori, dal 20 al 27 novembre 1947, nel corso del quale furono apportati lievi ritocchi al progetto elaborato dalla Commissione Settantacinque21.

Esaminando tali lavori risulta che nel corso di essi fu dato per scontato che il sistema vigente prima del fascismo dovesse essere conservato, salvo sviluppare quelle garanzie di indipendenza e professionalità dei giudici che avevano ricevuto qualche attuazione durante l’ultima fase del regime liberale.

Scarsa attenzione fu invece dedicata al problema di valutare quali riflessi determinassero sull’ordinamento della magistratura i nuovi principi costituzionali, adottati del corso della preparazione della prima parte della Costituzione, i quali comportavano la realizzazione di una forma di stato e di governo assai diversa da quella vigente durante il periodo prefascista.

Anche alcune innovazioni proposte da Calamandrei furono lasciate cadere, come ad esempio le rivendicazioni dell’unità della giurisdizione, dell’intangibilità del giudicato anche da parte del legislatore, della gratuità della giustizia e dell’autonomia finanziaria del potere giudiziario.

Rimase nel vago se il nuovo ordinamento intendesse recepire il principio della separazione dei poteri oppure no22.

Ne è derivata la commistione di regole ispirate ai nuovi principi costituzionali e disposizioni che presuppongono la conservazione del sistema anteriore e da ciò deriva la possibilità di ravvisare nel testo costituzionale varie

21 v. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, cit. p. 36. 22

v. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, cit. p. 36. Che il nuovo ordinamento intendesse recepire la separazione de poteri si poteva intuire da alcune espressioni incluse nel testo della Costituzione; al contrario, la realizzazione di una forma di governo parlamentare monista, contrapposta a quella dello Statuto Albertino, faceva pensare che il nuovo ordinamento non intendesse recepire tale principio della separazione.

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contraddizioni, superabili con l’interpretazione, ma comunque fonte di incertezze e contrasti23.

Accanto a tali contraddizioni il testo costituzionale conteneva però almeno un’indicazione chiara: quella che prescriveva di adottare un nuovo “ordinamento giudiziario” ispirato ai nuovi principi costituzionali (VII disposizione transitoria, I comma)24.

2. L’Ordinamento giudiziario

Si intende per Ordinamento giudiziario l’insieme delle norme che disciplinano l’organizzazione degli apparati e delle persone preposte al funzionamento della giustizia, ovvero di quel potere dello Stato che viene definito giurisdizionale25.

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v. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, cit. Le principali contraddizioni risultano dalla circostanza che: a) la giustizia è amministrata in nome del popolo (art. 101, I comma) per cui la relativa attività appare riconducibile al principio della sovranità popolare, ma le nomina dei giudici hanno luogo per concorso (art. 106, I comma) cosicché i magistrati risultino politicamente irresponsabili; b) i giudici sono soggetti alla legge (art. 101, II comma) e quindi alla volontà politica del Parlamenti, ma la magistratura costituisce un “ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (art. 104, I comma); c) la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari e non possono essere istituiti giudici straordinari o speciali (art. 102, I e II comma), ma la stessa Costituzione prevede la giurisdizione amministrativa, quella costituzionale, quella disciplinare del Consiglio superiore, quella militare e forse addirittura la conservazione di altre giurisdizioni speciali anteriori purché «revisionate» (art. 13, 105, 107, 108, II comma; 125, II comma; 134, VI disp. trans.) ; d) i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni (art. 107, III comma), ma il Consiglio superiore è competente, tra l’altro, a deliberare le loro “promozioni” (art. 105); e) il pubblico ministero ha uno status differenziato da quello della magistratura giudicante (art. 107, IV comma), ma è però compreso nella nozione di “autorità giudiziaria” della quale normalmente condivide i poteri (art. 13, II e III comma; 15, II comma; 21, III e IV comma; 82, II comma; 104, III comma).

24 La VII disposizione transitoria e finale della Costituzione stabilisce che le norme sull'ordinamento giudiziario vigente (r.d. Grandi come modificato da r.d. 511/46) continuino a osservarsi fino a quando non sia emanata la nuova legge sull'ordinamento giudiziario. Il 5 dicembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente inizia l'esame delle disposizioni finali e transitorie: l'onorevole Grassi propone la seguente disposizione transitoria: “Fino a quando non sarà emanata la nuova legge sull'ordinamento giudiziario, in conformità alle disposizioni della presente Costituzione, continueranno ad osservarsi le norme dell'ordinamento ora vigente”.

v. in merito AA.VV., Ordinamento giudiziario e forense, a cura di S. Panizza – A. Pizzorusso – R. Romboli, Edizioni Plus, Pisa 2002 p.27.

25

v. tra la manualistica L. Pomodoro, Manuale di ordinamento giudiziario, Giappichelli, Torino 2012; AA.VV., Ordinamento giudiziario e forense, a cura di Panizza, Pizzorusso, Romboli, Pisa 2002; M. Fantacchiotti e F. Fiandanese, Il nuovo ordinamento giudiziario, CEDAM, Padova 2008; G. Di Federico, Ordinamento giudiziario:Uffici giudiziari, CSM e governo della magistratura, CEDAM, Padova 2012; AA.VV., Ordinamento

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Quando si parla di ordinamento giudiziario si fa riferimento ad una materia delimitata dal regio decreto Grandi del 1941 (così come modificato dalla legge delega 150/05 e dalla successiva legge 111/07), il quale individua le “autorità alle quali è affidata l’amministrazione della giustizia” e ne disciplina la composizione, le attribuzioni e le modalità di funzionamento; detta norme concernenti i magistrati, dalle modalità d’ingresso in magistratura fino alla conclusione del rapporto di servizio, sviluppo della carriera, diritti e prerogative, doveri e responsabilità, istituisce e regolamenta i Consiglio giudiziari e il Consiglio superiore della magistratura. Esclude espressamente dal proprio ambito, rinviando a leggi speciali, le giurisdizioni amministrative ed ogni altra giurisdizione speciale, amministrate da magistrati che non fanno parte della c.d. magistratura ordinaria e dell’ordine giudiziario26

.

La definizione della materia di ordinamento giudiziario desumibile dalla Costituzione coincide con quella ricavabile dal r.d. Grandi; infatti, l’art. 102, al comma I, prevede che siano le norme dell’ordinamento giudiziario a istituire e regolare i magistrati ordinari che esercitano la funzione giurisdizionale; dagli artt. 105, 106 e 107 si ricava poi che le norme dell’ordinamento giudiziario disciplinano i concorsi, le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni, le garanzie e i provvedimenti disciplinari27.

2.1 La riforma del Ministro della Giustizia Castelli

Una legge di riforma dell’ordinamento giudiziario viene invece presentata dal Ministro della Giustizia Castelli tra il 2001 e il 2002, poiché questi avverte l’esigenza di provvedere ad una riforma radicale del r.d. 12/41, al fine di “modernizzare la magistratura”. Un primo disegno di legge delega in tal senso va così al Senato già in data 29 marzo 2002 al n. 1296.

giudiziario: leggi, regolamenti e procedimenti, a cura di E. Albamonte e P. Filippi, UTET, Torino 2009; G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, Giuffré Editore, Milano 2013.

26 v. M. Fantacchiotti, F. Fiandanese, Il nuovo ordinamento giudiziario, CEDAM, Padova 2008, p. 3.

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A quel disegno, vista l’immediata opposizione delle forze politiche del centro sinistra e dell’intera magistratura28

, seguono nuove integrazioni e modificazioni, e particolare significato hanno in quel contesto il c.d. maxiemendamento del 3 marzo 2003 e l’emendamento di Luigi Bobbio del 25 settembre 2003.

Dopo varie discussioni le Camere approvano un testo congiunto, che tuttavia il Presidente della Repubblica, facendo uso di un potere raramente usato all’inizio della storia repubblicana, non sottoscrive, rinviandolo invece alle Camere con la sottolineatura di ben quattro punti di incostituzionalità29.

Il Parlamento provvede a rimediare alle osservazioni di incostituzionalità dei tre punti specifici indicati dal Presidente, ma non al quarto e, confermando nella sostanza l’intera impostazione della riforma, approva – con la netta opposizione della magistratura, delle forze politiche di centro sinistra, di gran parte dell’avvocatura e della dottrina – la legge delega del 25 luglio 2005 n.150.

L’attuazione della riforma non è possibile se il Governo non provvede anche alla emanazione dei relativi decreti legislativi; il Governo sa che deve fare presto, e deve ultimare la riforma prima delle prossime votazioni30.

Tra il gennaio e l’aprile del 2006 emana così i decreti legislativi di attuazione della riforma31.

A seguito delle elezioni politiche il centro sinistra ottiene la maggioranza e diventa forza di Governo nel paese; le sorti della riforma passano così nelle mani del nuovo Ministro, Clemente Mastella.

28 v. G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, cit. p. 7. 29 v. G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, cit. p. 8.

Punti di incostituzionalità: tre relativi a tematiche specifiche, uno riguardante al contrario l’intelaiatura generale del testo, che indebolisce, a parere della Presidenza della Repubblica, i poteri riconosciuti dalla costituzione al CSM, assegnandoli ad altri e diversi organismi.

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In quel momento storico, in vista delle elezioni politiche che si terranno nella prossima primavera, i rilievi degli statistici affermano che il paese è in maggioranza di centro sinistra.

31 Per i vari decreti approvati tra il gennaio e l’aprile 2006 vedi G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, cit. p. 8-9.

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2.2 … e quella del Ministro della Giustizia Mastella

Il nuovo Governo deve risolvere il problema preliminare di azzerare tutto e ricominciare da capo, oppure di salvare il salvabile, e provvedere solo a modificazioni e/o abrogazioni di quelle parti che non possono essere accettate32. Dopo brevi discussioni, l’orientamento è il secondo, e si procede allora a valutare le parti di riforma da confermare, rispetto a quelle da sostituire, oppure abrogare.

Il nuovo Consiglio dei ministri approva un disegno di legge in data 9 giugno 2006, e poi, dopo un ulteriore dibattito, le Camere approvano la legge 24 ottobre 2006, n. 269, rubricata “Sospensione dell’efficacia nonché modifiche

di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario”33.

Probabilmente, al fine di superare questo problema e al fine di realizzare una riforma dell’ordinamento giudiziario che potesse considerarsi ispirata a principi diversi da quelli che avevano animato il centro destra, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Giustizia, approva un disegno di legge di Riforma dell’ordinamento giudiziario al n. 1447/07, poi confluita nella legge 30 luglio 2007 n. 111.

Sfruttando la proroga posta in essere dalla precedente l. 269/06 (per la riscrittura del D.lgs 160/06), il Governo del Ministro Mastella torna in realtà su molti aspetti concernenti l’organizzazione degli apparati e delle persone proposti al funzionamento della giustizia, e non si limita a novellare il decreto relativo all’accesso in magistratura34

; addirittura interviene novellando di

32 v. Pizzorusso, La legge di riforma dell’ordinamento giudiziario: considerazioni generali, Foro it., 2006, v, 6, per il quale la soluzione preferibile era proprio quella di azzerare tutto e ricominciare da capo.

33 v. G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, cit. p. 10.

Ma la realtà è un po’ diversa, e più esattamente: a) dei cinque decreti legislativi, soltanto uno viene rinviato al 31 luglio 2007 con la legge 296/06. Si tratta del D.lgs 160/06 in materia di accesso in magistratura, progressione economica e di funzione dei magistrati. b) la l. 269/09 non dice nulla dei decreti 25/06 e 26/06, dando così ad intendere che la loro disciplina può rimanere in vigore. c) sugli ultimi due decreti, 106/06 e 109/06, la legge interviene con modificazioni irrisorie e inconsistenti.

34 v. G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, cit. p. 11: tale Governo provveda modificare il decreto 26/06 sulla Scuola superiore della magistratura, il decreto 25/06 sul Consiglio direttivo della cassazione e sui Consigli giudiziari, il decreto 240/06 sulla dirigenza degli uffici.

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nuovo anche il r.d. Grandi e pone nuove regole in tema di separazione delle funzioni, o delle carriere35.

La riforma Mastella ha proceduto con la tecnica della novellazione. Conseguentemente oggi non esiste un testo normativo di Ordinamento giudiziario, ma esistono tante diverse fonti della materia, l’una spesso che interviene sull’altra. Non mancano comunque i pregi a tale riforma anche se essa soffre di un difetto.

La riforma Castelli muoveva da una generale sfiducia nella magistratura e aveva il celato ma chiaro intento di ridurre il ruolo del giudice, immaginando un diverso rapporto tra Magistratura e Ministero della giustizia (sotto questo profilo era avversata da ogni spirito democratico – liberale).

La riforma Mastella supera questa visione ma, nel farlo, va forse troppo avanti poiché affida la riforma interamente agli stessi giudici36. E i giudici, evidentemente, non possono che affrontare la materia dal punto di vista della loro professione, così talune volte sovrapponendo i problemi che hanno i giudici nell’amministrare la giustizia37

.

35 v. G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, cit. p. 11. Nuove regole sulla separazione delle funzioni tra magistrati giudicanti e requirenti, sopprimendo l’obbligatorietà dell’indicazione dell’area funzionale cui essere assegnati dopo il concorso, e prevedendo il passaggio a domanda da una funzione all’altra previa verifica della sussistenza di presupposti determinati.

36 E’ quanto riconosce anche la magistratura associata (v. www.magistraturademocratica.it), ove afferma che “nel complesso, della previsione del ddl, emergono i frutti di una elaborazione pluriennale di tutta l’ANM”.

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v. G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, cit. p. 12-13: come è errato procedere all’organizzazione di una scuola dal punto di vista degli insegnanti o all’organizzazione di un ospedale dal punto di vista dei medici, allo stesso modo è errato immaginare le soluzioni in materia di amministrazione della giustizia affidandole al punto di vista del giudice, e non al rapporto che deve porsi tra apparati della giustizia e cittadini che fruiscono del servizio.

L’auspicio e la soluzione ottimale, per il futuro, che da Scarselli, è quella di considerare l’ordinamento giudiziario semplicemente come qualcosa che deve essere conosciuto, studiato e fatto proprio da tutti.

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3. I principi costituzionali di riferimento

3.1. La magistratura come “potere diffuso”

La Costituzione ha inteso rafforzare le garanzie di autonomia e di indipendenza della magistratura38, affermando che essa è un ordine autonomo da ogni altro potere (art. 104, comma I), che il giudice è soggetto soltanto alla

legge (art. 101, comma II), ma soprattutto prevedendo un Consiglio superiore

della magistratura autonomo dal potere politico, a cui riservare tutte le decisioni più significative sulla carriera e lo status professionale dei magistrati (art. 105). Ulteriori aspetti dell’indipendenza sono l’inamovibilità (art. 107) e la nomina per concorso (art. 106, comma I) dei magistrati. Per quanto riguarda quest’ultima, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che, sebbene non sia di per sé una garanzia di indipendenza del titolare di un ufficio, essa concorre a rafforzare e integrare l’indipendenza dei magistrati.

È stata poi definitivamente abbandonata la visione della gerarchia nell’ambito della magistratura, attraverso la disposizione che sancisce la distinzione tra magistrati solo per diversità di funzioni (art. 107,comma III).

Possiamo quindi affermare che la Costituzione ha configurato la magistratura come un potere diffuso39, un potere in cui non vi è alcuna

38 Indipendenza e autonomia costituiscono principi fondamentali e irrinunciabili non soltanto del nostro sistema costituzionale ma di tutte le moderne democrazie.

v. anche F. Morgese, Riforma dell’ordinamento giudiziario, in La riforma dell'ordinamento giudiziario tra indipendenza della magistratura e primato della politica, Giuffrè, Milano 2006, p.91. Espressamente “La dignità e l’indipendenza della magistratura sono il presupposto della dignità del processo, e di conseguenza della pari dignità degli altri soggetti processuali. Una magistratura autorevole ed indipendente, ed una Avvocatura autorevole e indipendente: di questo hanno bisogno non solo il processo, ma anche la società italiana”.

v. inoltre AA.VV., Ordinamento giudiziario e forense, cit. p. 35; v. S. Bartole, Il potere giudiziario, Il Mulino, Bologna 2008 p.19.

39 v. G.M. Berruti, presidente di Sezione della Cassazione, già membro del CSM, I Magistrati nel cambiamento, in Repubblica, 3 novembre 2014. “La Costituzione ebbe un'idea straordinaria. Quella del cosiddetto potere diffuso del giudice. Ogni giudice si collega liberamente e senza intermediazioni alla legge mentre la applica. E cerca il modo di adattarla al tempo in cui la applica. Quest'idea è stata un motore della Storia, la quale chiedeva a un Paese che non aveva avuto la crescita liberale del resto d'Europa, che aveva fermato i suoi motori per venti anni pagando questo ritardo con la distruzione dello Stato, delle città, e della partecipazione alla cultura europea, di inseguire il progresso dei diritti. La Costituzione dovette correre. Per raggiungere la modernità che altri avevano coltivato costruì un patto di vita associata nel quale si rendevano credibili i principi di libertà e di eguaglianza anche con un giudice capace di applicarli nella concretezza dei rapporti. In questo filone di

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soggezione di tipo gerarchico tra gli stessi magistrati: ogni soggetto ne fa parte, ogni giudice ha un potere ma tutti hanno la stessa voce e le differenze derivano solo dalla diversità dei compiti loro assegnati.

Diretta conseguenza di ciò è la circostanza che qualunque magistrato possa sollevare un conflitto di attribuzione40 tra poteri dello Stato innanzi alla Corte costituzionale.

3.2. La soggezione del giudice soltanto alla legge

La parte della Costituzione dedicata alla magistratura41 esordisce con una proposizione che riconferma il principio di sovranità popolare; l’art. 101 infatti enuncia che la “giustizia è amministrata in nome del popolo” e al secondo comma che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

Lo stretto collegamento col popolo è ribadito dalla soggezione dei giudici alle leggi: poiché il popolo elegge il Parlamento, che approva le leggi,

ragionamento si inserì lo Statuto dei Lavoratori. Che intervenne quando il datore di lavoro poteva perquisire il lavoratore sospettato di aver rubato. Mentre già la polizia ed il pubblico ministero dovevano attendere l'avvocato per attività investigative invasive della persona. Si trattava, per la Repubblica, di affermare l'effettività dei principi della Costituzione che la realtà ancora non riconosceva. Al momento, un'esigenza di modernità”.

40 v. in proposito la Costituzione esplicata a cura di F. Del Giudice, Edizioni giuridiche Simone, Napoli 2009. Art. 134 , comma II: “La Corte Costituzionale giudica sui conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni stesse”.

I conflitti di attribuzione sono controversie che insorgono tra poteri dello Stato (o tra Stato e Regioni o fra Regioni) sia quando si rivendichino (o si rifiutino) determinate attribuzioni, sia quando, esercitando in maniera non corretta le proprie funzioni, si incide sulle attribuzioni altrui. Si ha conflitto reale quando un atto è stato effettivamente emanato, virtuale quando si afferma la competenza ad emanarlo senza che ciò sia ancora avvenuto.

La Costituzione provvede a distribuire le competenze fra le diverse articolazioni dello Stato e fra i poteri del centro e quelli della periferia. Affinché questa pluralità di centri di potere possa convivere in armonia, è necessario che siano giudicati e risolti i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato. Tali conflitti possono scoppiare non soltanto quando si assume una competenza non propria, ma anche quando, esercitando in modo scorretto i propri poteri, si ostacola o si impedisce l’esercizio di altrui attribuzioni.

Per cadere sotto il giudizio della Corte Costituzionale, i conflitti devono insorgere fra organi di poteri diversi o fra soggetti diversi: quelli interni a ciascun potere (ad es. due ministri) sono sempre conflitti di competenza, ma vengono risolti dall’organo porto al vertice del potere stesso). Legittimato a sollevare il conflitto, poi, è solo l’organo competente a dichiarare in via definitiva la volontà del potere di appartenenza.

Perché un conflitto possa definirsi costituzionale non occorre che la materia oggetto del giudicato sia disciplinata dalla Costituzione, essendo invece sufficiente che alla Costituzione possa farsi risalire la specifica attribuzione del cui concreto esercizio – anche disciplinato da fonti diverse – si converte.

41 Titolo IV “La Magistratura”, Sezione I “Ordinamento giurisdizionale”, artt. 101-110 Cost.

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tale soggezione significa che questi sono indirettamente sottoposti alla volontà popolare, tradotta in legge.

La soggezione del giudice alla legge va intesa in due sensi: anzitutto ha il dovere di applicare la legge anche se non ne condivide il contenuto e gli effetti; inoltre la soggezione “soltanto” alla legge significa che il giudice non deve e non può subire condizionamenti da parte di nessuno (altri giudici, cittadini, partiti politici e così via)42.

Tutto questo ha come conseguenza la certezza che per situazioni che la legge considera uguali l’esito del giudizio sarà il medesimo, a prescindere dal giudice davanti al quale si celebra il processo (“La legge è uguale per tutti”).

La soggezione del giudice alla legge deve essere interpretata in chiave non formalistica: davanti ad una produzione legislativa non coordinata e spesso confusa, il giudice si trova ad essere il principale garante dei diritti dei cittadini. Il giudice non è più la bocca della legge ma, per usare un’espressione di Norberto Bobbio, un suo più o meno cosciente manipolatore; il giudice è quindi un soggetto che è tenuto ad interpretare le norme nel rispetto dei valori fondamentali del nostro ordinamento adattandole al continuo evolversi della società e ricercando un nuovo equilibrio tra il principio di legalità e la fattispecie concreta su cui è chiamato a giudicare.

Poco alla volta la funzione giurisdizionale si è spostata dalla pura e semplice applicazione della legge alla sua interpretazione, con la conseguenza di assumere i connotati della politicità e della creatività.

3.3. Un’autorità giudiziaria unica e precostituita

L’art. 102 della Costituzione enuncia che “La funzione giurisdizionale è

esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolari dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari sezioni specializzate per determinate materie…”.

42 v. in proposito la Costituzione esplicata a cura di F. Del Giudice, cit. p.266. Va sottolineata la differenza rispetto allo Statuto Albertino, secondo il quale la “Giustizia emana dal Re, ed è amministrata in Suo nome dai Giudici che Egli istituisce”. Oggi invece siamo di fronte ad una magistratura che non rappresenta interessi particolari e che non è soggetta ad un controllo politico dell’esecutivo, in ossequio al principio della divisione dei poteri.

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Dalla norma in esame emerge chiara l’aspirazione costituzionale ad unificare la funzione giurisdizionale in un’unica autorità giudiziaria, regolata ed istituita dalla legge sull’ordinamento giudiziario, che ne assicuri l’indipendenza da ogni altro potere. Mentre è consentita l’istituzione di sezioni specializzate presso gli organi giudiziari ordinari, in modo da contemperare l’esigenza di creare giudici specializzati in materie con elevata tecnicità, è vietata dalla Costituzione la creazione di giudici straordinari.

Questi rappresentano infatti una pericolosa deviazione della regola del

giudice naturale43, precostituito in base a criteri certi ed oggettivi (relativi, ad esempio, alla materia del contendere e al territorio sul quale si è svolto il fatto), definiti comunque in precedenza rispetto al fatto portato in giudizio (art. 25 Cost.)44.

Nessuno può scegliersi il giudice da cui venire giudicato, né il giudice può scegliere i soggetti da giudicare. L’esito dei loro giudizi sarebbe praticamente deciso con la loro stessa creazione: infatti lo Stato che decide di istituire un tribunale per un fatto specifico ha già deciso che questo fatto è da condannare45.

Con il principio del giudice naturale precostituito per legge si assicura anche l’imparzialità e l’indipendenza di chi esercita la funzione giurisdizionale, impedendo a soggetti sia interni che esterni di sottrarre arbitrariamente la controversia la giudice competente46.

43 Art. 25 della Costituzione: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” .

Il principio del giudice naturale costituisce un diritto dell'uomo espressamente sancito anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, e dall'art. 6, par. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in cui è espresso dall'inciso «costituito per legge»: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti”.

44

v. AA.VV., Ordinamento giudiziario e forense, cit. p. 141. 45

Di tale anomalia, in Italia, ne abbiamo avuto un esempio in epoca fascista con il Tribunale speciale per la difesa dello Stato contro gli oppositori politici del regime.

46 v. L. Pomodoro, Manuale di ordinamento giudiziario, G. Giappichelli Editore, Torino 2012, p.23: la Corte Costituzionale (n.88/1962) ha affermato che l’art. 25 esprime il concetto di “certezza del giudice” che si concretizza nella determinazione preventiva delle competenze in relazione ad una futura e astratta fattispecie e non ex post in relazione ad una controversia già insorta.

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