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La vittima e il carnefice: The Portage to San Cristόbal of A.H. di George Steiner e Christopher Hampton

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Academic year: 2021

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Capitolo primo

_________________________________________________

1.1 George Steiner: formazione e opere

George Steiner nasce a Parigi il 23 Aprile 1929 da padre di origine ceca, ma cresciuto a Vienna, e da madre viennese. Nel 1924 il padre decide di lasciare Vienna e di trasferirsi con la famiglia a Parigi, convinto che una forma di Nazismo si stava lentamente insediando in città. Banchiere d’investimento, non vuole che il figlio segua le sue stesse orme, anzi, secondo un punto di vista “deeply Judaic”1

, come afferma Steiner, desidera per lui una carriera da filologo e da insegnante. Il padre trasmette a George gli insegnamenti storici e filosofici dell’ebraismo, ma da un punto di vista agnostico. In effetti, la famiglia Steiner osservava le ricorrenze religiose ebraiche, come il Giorno del Perdono, e si rendeva partecipe della vita della comunità ebraica, ma lo faceva più per richiamare la propria identità culturale, che per motivi spirituali o teologici. Per quanto riguarda gli insegnamenti della madre, brillante linguista, Steiner ricorda che “the only prayer she taught me was ‘I am bad, I could be better, but it really doesn't matter’”2; frase che l’ha guidato nel corso della sua intera vita.

Una volta a Parigi, Steiner, frequenta il lycée francese e, per un breve periodo, anche una American school dove fa pratica d’inglese che, come aveva intuito il padre, sarebbe diventata la lingua della comunicazione mondiale. Cresciuto, come lui stesso afferma, “at home in three languages”3, acquisisce una perfetta padronanza di inglese, francese e tedesco, grazie anche all’aiuto della madre che era solita iniziare una frase in una lingua per poi terminarla in un’altra.

1George Steiner interviewed by Alan Macfarlane, 16th July 2007 http://downloads.sms.cam.ac.uk/1130599/1130606.mp4, (ultima consultazione del 17/05/2015).

2Ibidem.

3J. Parini, “The Question of George Steiner”, in The Hudson Review, Inc, XXXVIII, 3, 1985, p. 497.

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Nel 1940 Steiner lascia la Francia assieme alla famiglia e si trasferisce negli Stati Uniti, dove prende la cittadinanza americana. A New York frequenta un altro lycée francese, nel quale conosce studiosi di fama internazionale, tra cui Levi-Strauss, cui si interessa solo successivamente, quando viene a conoscenza che è un lontano cugino di Proust; e Simone de Beauvoir, già allora impegnata a far comprendere agli studenti l’importanza della filosofia.

Nel 1948 intraprende gli studi scientifici all’Università di Chicago, dove conosce due grandi scienziati, Fermi e Urey, che insegnano fisica e chimica. In seguito, però, decide di cambiare strada e di studiare filosofia e letteratura, anche se era consapevole del fatto che “le maggiori energie mentali del dopoguerra sarebbero state spese nella scienza: non solo per le scoperte, ma per il senso dei problemi del futuro”4

.

Consegue il Bachelor of Arts all’Università di Chicago, il Master of Arts ad Harvard ed il Doctor of Philosophy ad Oxford. Negli anni ‘50 diventa membro dello staff editoriale dell’ Economist a Londra, prima di intraprendere la carriera accademica come borsista all’Institute for Advanced Study dell’Università di Princeton, dove nel 1959 viene nominato Gauss Lecturer. Nel 1961 diventa membro del Churchill College di Cambridge, dove mantiene tuttora la nomina permanente di membro straordinario.

Il contributo di Steiner alle discipline umanistiche è massiccio e vario; i suoi interessi riguardano diversi ambiti di studio: da quello linguistico, a quello filosofico e critico-letterario, ma scrive anche opere di genere differente. Si presenta spesso come critico della cultura, ma Moshe Idel lo reputa più un filosofo della cultura. Come lui stesso sostiene, alcuni elementi critici sono comunque certamente centrali nella sua intera produzione letteraria:

[…] His criticism of European Christian culture for containing elements that served as the religious background for the Holocaust and his analysis of the crisis of modern culture or what he describes as “postculture”. He is also known for his harsh criticism of Zionism and the State of Israel as a

4

P. Odifreddi, “Quando studiavo con Enrico Fermi, un famoso letterato e le discipline scientifiche, le passioni matematiche di George Steiner”, 22/07/2009, [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/07/22/quando-studiavo-con-enrico-fermi.html], (accesso del 31/05/2015).

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movement and nation-state carrying all the dangers inherent in such entities. Less pronounced is his critique of Jewish orthodoxy. Last but not least is his occasional sharp criticism of communism5.

Nel suo primo libro, Tolstoy e Dostoevsky: An Essay in Contrast (1959), Steiner studia la massima espressione della scuola russa, il momento in cui essa raggiunge l’acme della propria espressione e si pone al di sopra delle diverse scuole europee. Il fatto di non conoscere la lingua russa non sembra essere un ostacolo per l’autore; in effetti, Jay Parini afferma:

The fact that he didn't know a word of Russian did not stand in Steiner's way, trilingual as he was, in starting off his career with a study of the two greatest Russian writers: Hubris? Probably6.

In The Death of Tragedy (1961), scritto agli inizi della sua carriera, Steiner descrive la condizione dell’artista moderno, che non ha il vantaggio d’aver ricevuto un’educazione classica, fonte di ricchezza per la creazione e la ricezione dei premoderni. Questa è, dunque, la ragione della crisi della tragedia nei tempi moderni:

But where the artist must be the architect of his own mythology, time is against him. He cannot live long enough to impose his special vision and the symbols he has devised for it on the habits of language and the feelings of his society. The Christian mythology in Dante had behind it centuries of elaboration and precedent to which the reader could naturally refer when placing the particular approach of the poet […] The great myths are elaborated as slowly as language itself7.

L’artista moderno è considerato un architetto che ha bisogno di solide fondamenta per costruire qualcosa di grande e duraturo nel tempo. Lo stesso Steiner, infatti, si è avvicinato sin dall’età di sei anni allo studio dei classici, primi fra tutti l’Iliade e l’Odissea, grazie agli insegnamenti del padre che, giorno dopo giorno, lo educava alla lettura e al commento dei greci, facendolo così appassionare all’arte letteraria,

5M. Idel, “George Steiner: A Prophet of Abstraction, on the Breakdown of Traditional Myths”, in Modern Judaism: A Journal of Jewish Ideas and Experience, Oxford, Oxford University Press, 2005, p. 109.

6 J. Parini, op. cit, p. 499.

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ma non solo. Gli fu insegnato anche ad apprezzare la musica, in particolare quella di Richard Wagner.

Con Language and Silence: Essays on Language, Literature and the

Inhuman (1967), Steiner raggiunge uno dei più alti successi della sua ricerca. Il

tema che sta alla base del libro è il linguaggio e la sua interdipendenza con la società e la cultura contemporanea. I saggi e gli articoli di questa raccolta sono stati scritti in periodi differenti. Essi si propongono di analizzare il rapporto del linguaggio con la politica, con il futuro della letteratura, con la musica, la traduzione e la matematica, le pressioni esercitate sul linguaggio dalle menzogne totalitaristiche e della decadenza culturale, e infine, il silenzio. Pubblicherà in seguito altri saggi sul linguaggio, come In Bluebeard’s Castel: Some Notes

Towards the Redefinition of Culture (1971), Extraterritorial: Papers on Literature and the Language Revolution (1972).

After Babel: Aspects of Language and Translation (1975) riceve scarsa

attenzione dalla comunità di linguisti, filosofi e storici della cultura. Chistopher Norris crede che le ragioni principali di questo scarso interesse possano essere principalmente due:

One reason for this lack of attention is doubtless the academic narrowness which regards such mixing of disciplines as a kind of professional affront. Another is probably the feeling induced by Steiner's immoderate show of learning, the feeling that one man could not possibly have read so much, or could only have covered it by hunting selectively through footnotes and abstracts8.

After Babel, un denso studio sul linguaggio e sulla traduzione, si propone di creare

una grammatica della traduzione. Steiner sostiene che le teorie universaliste del linguaggio, come quelle di Noam Chomsky, non siano valide nel momento in cui esse sono applicate al linguaggio letterario, poetico ed ermeneutico.

In Martin Heidegger (1978), interpretato come “’a language mystic’, a ‘meta-theologian’, an ominous symptom of the moral and intellectual disarray of

8 C. Norris, “After Babel: Aspects of Language and Translation (review), in Philosophy

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5 our time”9

, Steiner mostra ai lettori come la conoscenza dello stesso sia indispensabile per comprendere la cultura contemporanea. Per questo si preoccupa di analizzare il rapporto uomo-Stato, l’importanza della traduzione sia all’interno della lingua stessa, sia tra due lingue diverse, nonché il nesso tra le opere artistiche, filosofiche e scientifiche e il totalitarismo del XX secolo.

Steiner è da considerarsi uno dei critici più popolari e controversi del nostro tempo, amato e criticato: “In all Steiner remains an impressive – if uneven – critic. He has written well and badly, often within the same piece of criticism”10

. Anche The Portage to San Cristóbal (1981) ha suscitato nei lettori una scissione fra coloro che la considerano un’opera illeggibile e coloro che, invece, pensano che Steiner abbia realizzato un romanzo unico e prezioso. Il testo compare per la prima volta in The Kenyon Review nella primavera del 1979 e, nel Maggio 1981, viene pubblicato come volume autonomo dalla casa editrice Faber & Faber. L’opera fu considerata “an extraordinary novel which soars into one tour-de-force after another”11

, e “extraordinarily powerful novel ... a litany of remembrance ... which … achieves a kind of poetry”12

.

In un’intervista Steiner sostiene di prendere in prestito alcune metafore scientifiche, come i concetti di “antimateria” o di “materia oscura”, per scrivere

The Portage to San Cristóbal: “poiché l'antimateria distrugge la materia, ho

immaginato che Hitler ne fosse l'incarnazione. Nella tradizione ebraica Dio ha creato l'universo pronunciando una parola segreta: ora, se c' è una parola che potrebbe distruggerlo, quella è ‘antimateria’ o ‘antivita’, e Hitler certamente era uno che la conosceva”13

.

Steiner pubblica poi alter opere critiche, quali Antigones (1984), George

Steiner: A Reader (1984), Real Presences: Is There Anything in What We Say?

9 G. Steiner, “Martin Heidegger, with a new introduction”, Chicago, University of Chicago Press, 1991, p. 4.

10

J. Parini, op. cit, p. 502.

11 M. Bragg, “Fun with Adolph”, in Punch, 17 June 1981, p. 981.

12 P. Lively, “Wisdoms of Hindsight”, in Encounter, LVII, No. 5 (November 1981), pp. 84–85.

13

P. Odifreddi, “Quando studiavo con Enrico Fermi, un famoso letterato e le discipline scientifiche, le passioni matematiche di George Steiner”, cit. [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/07/22/quando-studiavo-con-enrico-fermi.html].

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(1989), un’opera di fiction: Proofs and Three Parables (1992), e, ancora, i saggi

What is Comparative Literature? (1995), Homer in English (1996).

In No Passion Spent (1996), un titolo che ribalta l’ultimo verso del Samson

Agonistes di Milton, “ogni passione spenta”, si occupa di analizzare il testo, fonte

di infinite interpretazioni, in una società in cui l’elettronica e la cultura di massa stanno trasformando la produzione, diffusione e conservazione del testo stesso.

Nel 1997 pubblica Errata: An Examined Life, un’autobiografia intellettuale, non convenzionale, dove l’autore racconta le sue esperienze di vita e alcuni aneddoti significativi. Affronta inoltre i grandi temi del dibattito contemporaneo: il rapporto tra cultura e democrazia, gli scopi dell’educazione, il significato che hanno parole come arte, scienza, ragione, ateismo e religione nel nuovo millennio.

Grammars of Creation (2001) è una riflessione sul declino della civiltà

occidentale minata dai progressi delle invenzioni, a scapito delle grandi creazioni artistiche. In Lessons of the Masters (2004), analizza il tema dell’istruzione partendo da due grandi filoni d’insegnamento che hanno caratterizzato la civiltà occidentale: Socrate e Gesù di Nazareth. Nello stesso anno pubblica Nostalgia for

the Absolute, che parla del declino dei sistemi religiosi e il conseguente vuoto

emozionale lasciato, e Paroles et silence e The Idea of Europe: Essay (2004). Nel 2008 pubblica My Unwritten Books, dove allude a tematiche che non affronterà mai nei suoi scritti e che sono oramai rimaste potenzialità inespresse.

Come si vede, Steiner, intellettuale e scrittore eclettico, non appartiene ad una specifica corrente letteraria. In effetti, Ronald A. Sharp, evidenzia che:

Has never fit neatly into any of the current literary, intellectual or cultural categories. Translation, which has occupied him throughout his career, provides the best metaphor for his work: translation in the sense of moving across boundaries and borders, of moving from one field to another.14

14 R.A. Sharp, George Steiner, The Art of Criticism N° 2, (interview) [http://www.theparisreview.org/interviews/1506/the-art-of-criticism-no-2-george-steiner], (accesso 31/05/2015).

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7

1.2

George Steiner: la crisi della società occidentale

George Steiner fa parte di quella cerchia di pensatori che criticano la decadenza dei valori tradizionali della società e della cultura occidentale, fatto che coincide con la fine del mondo moderno15. Il termine “postmoderno”, nonostante non indichi una fine vera e propria dell’epoca moderna, è legato a discorsi pessimisti e apocalittici, frequenti a partire dagli anni sessanta, sulla fine dell’arte, della storia, della filosofia, della politica ecc. Fatto cruciale di questa crisi storico-culturale fu la tragedia nazista, da cui dipartono numerosi interrogativi da parte di critici e scrittori sul senso dell’esistenza umana e sul ruolo che l’arte e la letteratura possano avere in essa.

Agli inizi degli anni settanta, Steiner elabora una concezione tragica della cultura partendo dall’osservazione che, dopo la seconda guerra mondiale e l’Olocausto, non è possibile accettare l’ottimismo illuminista secondo cui la ragione può insegnarci a capire i lati oscuri della nostra storia. Argomento trattato, ad esempio, nel saggio In Bluebeard’s Castle del 197116, in cui la “postcultura” degli anni sessanta è appunto considerata colpevole di aver contrapposto la cultura di massa alla grande tradizione dell’umanesimo classico. Catherine Chatterley17 dimostra come l’Olocausto costituisca il tema centrale del discorso critico di Steiner. Egli stesso si definisce un “remembrancer”18 quando dice:

At the centre of my work is an attempt to come after the Shoah, culturally, philosophically, in a literary sense: to be somewhere around with all the shadows and the ghosts and the ash, which are so enormous here. […]19

A proposito delle disastrose conseguenze della seconda guerra mondiale, si chiede: “[…] are humanities humane and, if so, why did they fail before the

15

R. CESERANI, Raccontare il postmoderno, Torino, Bollati Boringhieri editore, 1997, pp. 64-65.

16 G. STEINER, La Nostalgia dell’assoluto, traduzione di Lucia Cornalba , Milano, Bruno Mondadori, 2000, p. IX.

17 C. D. CHATTERLEY,Disenchantment: George Steiner and the Meaning of Western

Civilization after Auschwitz, Syracuse, NY: Syracuse University Press, 2011.

18 M. SPIERING, M. WINTLE, European Identity and the Second World War, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2011, p. 237.

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8 holocaust?”20

. Il brutale paradosso dei campi di concentramento in giustapposizione con la cultura alta della Germania, centro economico, spirituale e culturale dell’occidente, perseguitò lo studioso nel corso della sua intera carriera professionale. Nonostante evidenzi il decadimento e il crollo dei valori della società occidentale, Steiner, crede che sia proprio l’ingiustizia sociale il prezzo da pagare affinché possa nascere una cultura alta o d’elite21. Fortemente convinto che questo concetto valga anche per la creazione delle grandi opere d’arte, afferma: “great works of artistic creation that give life some excuse are inevitably produced at a cost of considerable social injustice and oppression”22.

La crisi della civiltà occidentale, secondo lo scrittore, riguarda anche il decadimento della cultura letteraria o della parola stessa. Citando Kafka: “A book must be an ice-axe to break the sea frozen inside us”23, ci invita a riflettere sull’importanza della lettura. L’atto classico della lettura che necessita di silenzio, di intimità e di concentrazione, è una pratica che si sta perdendo in una società di massa ormai troppo frenetica e minacciata dalle tecnologie.

Steiner interpreta la storia della cultura occidentale anche da un punto di vista religioso. Esamina la figura dell’ebreo, bersaglio dello sterminio nella tragica era post-culturale, considerato la cattiva coscienza della storia occidentale; coscienza che peraltro “is a Jewish invention”24. Ritiene che l’inconscio odio

provato per gli ebrei nasca da un ideale che loro stessi hanno creato, ossia la conduzione di una vita di sacrificio finalizzata ad ottenere la salvezza eterna, una pretesa intollerabile per Steiner poiché essa richiede la repressione dell’istinto dell’uomo. Quando sostiene che: “Three times, Judaism produced a summon to perfection and sought to impose it on the current and currency of Western life”25

, Steiner si riferisce all’invenzione del monoteismo, del cristianesimo primitivo ed

20 G. STEINER, George Steiner: A Reader, New York, Oxford University Press, 1984, p. 35.

21

C. J. KARIER, ‘Humanizing the Humanities: Some Reflections on George Steiner’s “Brutal Paradox”’, in Journal of Aesthetic Education, Vol. 24, n. 2 (Summer, 1990), p. 51.

22 R. BOYERS, ed., Salmagundi nos. 50-51 (Fall 1980/ Winter 1981, Saratoga Springs, N.Y., Skidmore College): 73, p. 65.

23 G. STEINER, Language and Silence: Essays on Language, Literature, and the

Inhuman, New York, Atheneum, 1967, p. 67.

24 G. STEINER, In Bluebeard’s Castle: Some Notes towards the Redefinition of Culture, New Haven, Conn., Yale University Press, 1971, p. 36.

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infine del socialismo messianico. Secondo Steiner, in questi tre momenti la cultura occidentale viene posta di fronte alla tirannia dell’ideale.

Steiner, dunque, ha fondato il suo pensiero letterario e filosofico partendo dal concetto che l’Europa ha subìto, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, una profonda crisi dalla quale non si è più ripresa. Quindi, la tematica della decadenza della società occidentale moderna diviene per il critico argomento centrale dei suoi scritti, che viene affrontato attraverso l’analisi di diversi campi d’indagine: il linguaggio, la musica, la religione ecc..

1.3

Christopher Hampton: formazione e opere

Christopher Hampton è il più cosmopolita dei drammaturghi inglesi contemporanei, oltre che uno sceneggiatore e regista cinematografico di successo. Nasce il 26 Gennaio del 1946 a Faial, nelle Azzorre, e trascorre la sua infanzia tra Aden, Zanzibar e l’Egitto. Nel 1951 si trasferisce con la famiglia ad Alessandria, città che considera meravigliosa, anche se dopo soli cinque anni, a causa della Crisi di Suez, sarà costretto a lasciarla e a trasferirsi con la famiglia in Inghilterra. Hampton ricorda Alessandria come una città rumorosa e multiculturale dove “everyone spoke several languages, even the beggars”26

. Da questo ambiente poliglotta, nasce il suo profondo interesse per le lingue straniere.

Il padre lavorava per Cable & Wireless, compagnia di comunicazione britannica, e lo incoraggiava ad intraprendere la carriera di scrittore, nonostante la sua famiglia non fosse incline alla lettura. Descrive la madre, invece, come una donna misteriosa, autonoma e molto devota alla famiglia.

Una volta in Inghilterra, all’età di dieci anni, Hampton viene mandato alla

preparatory school, che considera brutale e che odia. In effetti, nonostante la sua

giovane età, fu convocato dal preside della scuola per chiarire da dove derivasse il suo punto di vista antipatriottico riguardo alla nazione che lo aveva accolto a braccia aperte. Come lui stesso nota, i compagni di scuola lo facevano sempre

26 J. RIX, Christopher Hampton: My Egyptian Paradise, 24/07/2010, [http://www.theguardian.com/lifeandstyle/2010/jul/24/christopher-hampton-egypt-suez-crisis], (accesso 13/07/2015).

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sentire inadatto, sia in Egitto dove “I had been too English”27

, sia in Inghilterra dove “I was quasi-Egyptian”28

.

Studia poi francese e tedesco all’Università di Oxford ed inizia la sua carriera teatrale proprio ai tempi dell’università, quando il laboratorio teatrale degli studenti di Oxford (OUDS) mette in scena la sua prima opera: When Did

You Last See My Mother? (1966). Scritta all’età di diciotto anni, la commedia è

recensita dal The Guardian come “a stupendous performance: never pretty, but always riveting, like watching a boa constrictor swallow its prey whole and then complain bitterly about self-inflicted indigestion”29. Quest’opera d’esordio, inscenata al Royal Court, gli conferisce un enorme successo.

La sua seconda opera, Total Eclipse (1968) rappresenta la complicata relazione sentimentale tra due scrittori: Arthur Rimbaud e Paul Verlaine. Hampton, al proposito, dichiara: “I was interested in the tremendous contrast between the two men, in the way they looked at life, and their attitudes to their art.”30

The Philanthrophist (1970) è una commedia ironica scritta in risposta

all’opera di Molière Le Misanthrope. Il protagonista è Philiph, un insegnante che, a differenza del misantropo di Molière, non ha il coraggio di dichiarare la sua mancanza di convinzioni: “I’m a man of no convictions […] At least I think I am”31

, e per questo decide di dare ragione a tutti, finendo comunque per rovinare ogni rapporto umano.

Savages (1973), quarto dramma dell’autore, si ispira al famoso articolo

intitolato Genocide di Norman Lewis, pubblicato nel 1969 sul Sunday Times inglese. La vicenda dello sterminio di migliaia di Indios in Amazzonia di fronte all’indifferenza o, nei casi peggiori, alla complicità del governo brasiliano è stata inscenata per la prima volta dalla English Stage Company al Royal Court

27

Ibidem. 28

Ibidem.

29 L. GARDNER, When Did You Last See My Mother- review, 20/09/2011 [http://www.theguardian.com/stage/2011/sep/20/when-did-you-last-see-my-mother-review], (accesso 02/06/15).

30

Christopher Hampton interviewed by Brendan Hennessy, Transatlantic Review, 31, (Winter 1968-9), p. 92.

31 C. MCGINN, Christopher Hampton: Critical Perspective, 2007, [http://literature.britishcouncil.org/christopher-hampton] (accesso 23/06/2015).

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nell’Aprile 1973. Lo stesso Hampton ci tiene a precisare che “Most of the characters in this play are fictitious: most of the events are not”32

.

In realtà, secondo Bertinetti, Hampton si rivelò un bluff del teatro inglese contemporaneo del dopoguerra, dopo l’uscita del disastroso Treats (1976). Ciò che gli riconosce, comunque, sono le sue abilità nel lavorare con i meccanismi teatrali, ma la costruzione dei suoi drammi è abbastanza carente e il ricorso alle tematiche attuali sembra essere frutto di un calcolo, in cui ripropone dei modelli teatrali già rappresentati e verificati, che attirano sicuramente il pubblico33. Quando in un’intervista rilasciata al Transatlantic Review gli viene chiesto “Are you bothered by critics, or do you learn anything from them?”, Hampton risponde:

I don’t see how one can learn from someone who spends twenty minutes evaluating six months’ work, but I must say I have every sympathy for them, since they’re asked to do the impossible. Even a weekly critic doesn’t have time to do justice to a serious play. I know, because I did some reviewing for a while on Queen Magazine34.

Tales from Hollywood (1983) è una commedia che fa continuamente

riferimento ad altri testi: film, commedie, romanzi e ai loro autori. Hampton introduce la figura di un promettente scrittore austriaco (Ödön von Horváth), la cui carriera fu stroncata da una morte improvvisa avvenuta a causa di un incidente. Si narrano le vicende di questo personaggio che vola in America per sfuggire al Nazismo, approda ad Hollywood e stringe amicizia con il drammaturgo Bertolt Brecht e lo scrittore Thomas Mann.

The Portage to San Cristóbal of A.H. (1983), trasposizione dell’omonimo

romanzo di George Steiner, è stata rappresentata per la prima volta al Mermaid di Londra il 17 Febbraio 1982. Hampton decide di adattare il testo alla scena con vero piacere poiché trova che il romanzo sia “very bold”35

. L’opera, però, riceve molte critiche negative; viene considerata “a dramatic fraud and a dubious

32 R. SKLOOT, “Theatrical Images of Genocide”, in Human Rights Quarterly, Vol. 12, No. 2 (May, 1990), p. 193.

33 P. BERTINETTI, “Teatro inglese contemporaneo”, Roma, Savelli, 1979. 34

Christopher Hampton interviewed by Brendan Hennessy, Transatlantic Review, 31, (Winter 1968-9), p. 92.

35 N. WHITE, The Ventriloquial Paradox: George Steiner's ‘The Portage to San Cristobal of A. H.’, in New Theatre Quarterly, 18, 2002, p. 67.

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exhibition of cool logic”36, e un lavoro “entirely lacking in moral judgement,

leaving the play thematically and imaginatively…unresolved”37

.

Nel 1985 scrive Les Liaisons Dangereuses, adattato e tradotto dall’omonimo romanzo francese di Pierre Choderlos de Laclos del 1782. Nel 1988 Hampton collabora a una trasposizione televisiva della medesima opera teatrale sotto la regia di Stephen Frears. Il film fu un successo internazionale e vinse numerosi premi.

White Chameleon (1991) è l’unica opera autobiografica che Hampton

scrive: narra la storia della sua famiglia durante gli anni vissuti in Egitto. Nonostante sia stato un periodo difficile per il drammaturgo, questa esperienza lo ha aiutato a far scaturire in lui una sorta di scetticismo e di sfiducia nei confronti di alcune certezze morali e ideologiche, quali il patriottismo e le questioni di razza e di classe sociale.

Scrive per il teatro prevalentemente negli anni settanta, comincia ad

occuparsi di televisione dagli anni ottanta, per poi passare al cinema. Esordisce, come regista e sceneggiatore, con Carrington (1995), seguito poi da The Secret

Agent (1996), trasposizione del romanzo di Joseph Conrad, The Moon and Sixpence (2003), adattamento filmico del romanzo di William Somerset

Maugham, e Imagining Argentina (2003), che ricorda la tragica vicenda delle persone scomparse durante il regime militare. Scrive la sceneggiatura di altri film, quali Atonement (2007) tratto dall’omonimo best seller di Iac McEvan, A

Dangerous Method (2011), Ali and Nino (2015).

In un’intervista Hampton, artista poliedrico, spiega cosa intende comunicare al pubblico con i suoi scritti:

I want to write different kinds of plays, though like the work of most writers, everything may turn out to have the same theme. I try to produce a sense of realism, I mean I want audiences to see the thing as it is, no sentimentality […]38

36 Ibidem, p. 70. 37 Ibidem, p. 70.

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13

1.4

Christopher Hampton: teatro realistico e sperimentale

Una delle caratteristiche del teatro inglese contemporaneo, e più in generale della cultura contemporanea, è quella di confrontarsi con la storia culturale, drammaturgico-teatrale e letteraria, quindi con testi preesistenti.

Il teatro di Christopher Hampton è stato definito come una sorta di “gioco speculare dove si riflettono oggetti testuali diversi”39. Le relazioni intertestuali e intratestuali variano da un’opera all’altra a seconda dei tipi di relazione che l’autore vuole stabilire con il testo fonte. In primo luogo Hampton cerca di ricreare un mondo drammatico che abbia legami con quello reale; spesso gli eventi drammatici si basano su fatti realmente accaduti, e si fondano su un lavoro di ricerca storica e letteraria dei protagonisti. Ciò avviene, ad esempio, in Total

Eclipse (1968) dove si confronta con i “poeti maledetti” o in Tales from Hollywood (1983) dove i protagonisti sono alcune figure letterarie importanti:

Bertolt Bretch, Thomas e Heinrich Mann, Ödön von Horváth40.

Un’ulteriore strategia drammaturgica utilizzata da Hampton è quella dell’adattamento. Spesso si tratta di riscritture per la scena di classici (Laclos, Molière), e adattamenti di contemporanei (George Steiner). In un periodo di grande fermento storico e culturale, in cui si avverte la necessità di ripensare e ricostruire i grandi modelli su cui si fonda la società occidentale dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, il fenomeno della riscrittura dei classici non poteva non essere influenzato dal contesto storico con il quale si relaziona. E’ interessante notare come, dalla seconda metà del novecento, questa forma di manipolazione testuale sia stata una pratica adottata da numerosi artisti, allo scopo di sovvertire il canone letterario e/o di far sentire la voce delle minoranze etniche, culturali, gender determined. I testi classici, dunque, sono sottoposti a una rilettura e rivisitazione da parte degli scrittori che desiderano sfidare le convenzioni e contestare una certa idea di cultura e di tradizione.

39 F. CIONI, “Textual Liaisons: Intertestualità e intratestualità in ‘The Philanthrophist’ e

‘Les Liaisons Dangereuses’ di Christopher Hampton”, Pisa, Edizioni ETS, 1995, p. 15.

40 F. CIONI, “Tales from Hollywood: ovvero che cosa sarebbe successo se ci fossi stato”, in Teatro inglese contemporaneo, a cura di Carla Dente Baschiera, Pisa, Edizioni ETS, 1995, pp. 129-57.

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Non mancano forme di adattamento di opere contemporanee come l’adattamento di The Portage to San Cristóbal of A.H. operato da Hampton sul romanzo di Steiner. Questa volta Hampton si avvicina ad un’opera che nasce dall’intreccio tra realismo e fantasia. Realistica è la vicenda dell’Olocausto e la figura di Adolf Hitler; fantastica è, invece, la vicenda narrata in cui il dittatore viene ritrovato vivo nella giungla amazzonica trent’anni dopo la fine della guerra. La tematica dell’Olocausto alimenta l’interesse di molti drammaturghi, soprattutto negli anni ottanta, definiti da Hampton come la “decade of exploding outlets”41

. Gli anni ottanta, infatti, hanno segnato un momento importante in cui l’Olocausto ha assunto lo status di grande narrazione, in seguito allo sviluppo di teorie critiche sull’argomento. Alcuni studiosi pensano che scrivere sull’Olocausto sia oltraggioso e irrispettoso nei confronti delle vittime. Altri, invece, preservando la memoria storica per le generazioni future, raccontano i fatti più pregnanti della vicenda umana, quand’anche orribile, e pensano che rimanere in silenzio sia una scelta inconcepibile. Anche Hampton, infatti, attraverso realismo e sperimentazione, propone a teatro nuovi modelli per avvicinare il pubblico alla realtà storica. Appare evidente che, come sostiene Robert Skloot, i drammaturghi contemporanei scrivono sullo sterminio nazista spinti da motivazioni di tipo morale, quali:

to pay homage to the victims; to educate audiences; to provoke emotional responses; to raise moral questions; to draw conclusions about the possibilities of human behavior42.

41

M. MIDDEKE et al, The Methuen Drama Guide to Contemporary British Playwrights, London, Methuen Drama, 2011, p. x.

42 R. SLOOT, The Theatre of the Holocaust, volume 2: Six Plays, Madison, University of Wisconsin Press, 1999, p. 8.

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15

Capitolo secondo

_________________________________________________

2.1 La semiotica teatrale

La messa in scena di un’opera costituisce una delle più interessanti e variegate forme di comunicazione grazie al continuo intreccio di messaggi linguistici, iconici, gestuali e prossemici presenti in essa. Gli studi di semiotica teatrale, il cui oggetto di studio è, appunto, lo spettacolo, affrontano i problemi teorici e metodologici suscitati dal teatro come fenomeno significativo-comunicativo43. Le prime ricerche in questo ambito sono apparse nel Novecento e si soffermano sull’interazione fra testo scritto e recitazione: un rapporto che genera una densissima intertestualità44.

Il primo studio di semiotica teatrale si deve al Circolo linguistico di Praga, il cui scopo era quello di analizzare e descrivere il funzionamento del fatto teatrale come fenomeno di significazione e comunicazione. Le indagini di questi studiosi spaziano nei più svariati campi, che vanno dal folklore dell’Europa orientale al teatro cinese, dal teatro dei burattini al cinema, dalla drammaturgia scritta all’attore. Essi pubblicarono una serie di lavori, principalmente nel decennio 1931-1941, periodo in cui identificarono tre principi semiotici che possono essere riassunti nel modo seguente:

1. Principio di artificializzazione (o semiotizzazione). Fanno parte di questo principio tutte le procedure mediante le quali la scena artificializza (o semiotizza) ogni genere di elemento, anche reale o non prodotto intenzionalmente dotandolo di una funzione significativa;

2. Principio di funzionamento connotativo. Gli studiosi praghesi credono nel

carattere connotativo del segno teatrale mettendo in risalto il fatto che anche nella rappresentazione più letterale o naturalistica gli elementi

43 G. BETTETINI, M. DE MARINIS, Teatro e comunicazione, Firenze, Guaraldi Editore, 1977.

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16

espressivi, le azioni e gli oggetti, per il solo fatto di essere mostrati a qualcun altro così come sono, vengono dotati di una serie di significati aggiuntivi, di secondo, di terzo grado e così via, i quali contribuiscono a determinare il senso globale dello spettacolo;

3. Principio della mobilità. Questo principio fa riferimento al fenomeno

semiotico generale che si basa sulla reciproca indipendenza esistente tra le funzioni di un segno. Ci si riferisce in particolar modo a due funzioni specifiche: l’intercambiabilità funzionale fra segni di sistemi significanti diversi e la polivalenza di uno stesso elemento espressivo45.

La lezione degli studiosi praghesi sembra quasi venire dimenticata nel ventennio che segue lo strepitoso esordio della semiotica teatrale e bisognerà attendere fino agli anni Settanta per vedere citati ancora i loro nomi.

Negli anni Cinquanta e Sessanta l’attenzione si sposta decisamente sul testo drammatico, considerato l’unico depositario di significati e di valori artistici che la rappresentazione si limiterebbe semplicemente a riportare sulla scena. Questa convinzione è stata certamente influenzata dall’ideologia testocentrica46 che continua a dominare la cultura teatrale europea in quel periodo.

Nella seconda metà degli anni Sessanta e nei primi anni Settanta si assiste a una sostanziale rinascita degli studi sulla semiotica teatrale. Questa rinascita risale soprattutto al 1968 grazie al saggio Il segno a teatro: introduzione alla

semiologia dell’arte dello spettacolo dello studioso polacco Kowzan (1968). Egli

sostiene che il teatro rappresenta un insieme di linguaggi eterogenei e che il suo funzionamento può essere spiegato solo grazie all’analisi di una pluralità di codici che spesso non sono omogenei tra loro.

Sulla scia di Kowzan cominciano ad essere affrontati altri problemi posti dall’analisi dell’evento teatrale come fenomeno significativo e comunicativo. Alcuni studiosi, fra cui Eco (1972), Bettetini (1975), De Marinis (1975), Pavis (1976), Ruffini (1974), incominciano ad analizzare i rapporti fra testo e messa in scena, le tipologie di codici e segni teatrali, le gerarchie che costituiscono la

45 M. DE MARINIS, Capire il teatro, lineamenti di una nuova teatralogia, Roma, Bulzoni, 2008.

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struttura teatrale della messa in scena, i meccanismi teatrali di produzione e stabilizzazione del senso. De Marinis, per esempio, considera anche l’importanza che ha lo spettatore come fruitore ed interprete dell’evento teatrale.

2.2

L’ interpretazione dell’esperienza teatrale

L’esperienza teatrale è definita da De Marinis (1984)47

come un insieme complesso di attività percettive, intellettive, affettive, valutative che interferiscono e interagiscono fra loro. Egli sostiene che ogni esperienza teatrale sia costituita da un determinato numero di processi ricettivi che rappresentano la messa in opera personale, in un certo qual modo irripetibile, di regole e principi generali. I livelli individuati dallo studioso destinati alla comprensione del fatto teatrale sono principalmente i seguenti:

1. Percezione. Questo primo livello comprende le operazioni che permettono l’identificazione e il riconoscimento degli elementi espressivi, verbali e non-verbali, dello spettacolo. Come afferma Eco (1975)48, la percezione dello spettatore viene concepita come un’operazione cognitiva. Due elementi in particolare meritano di essere trattati all’interno di questo livello: l’attenzione dello spettatore e la lingua.

L’attenzione intesa come una motivata e seria visione selettiva e organizzante, che si oppone ad un disattento guardare49 è uno degli elementi indispensabili che permettono allo spettatore una buona analisi percettiva dello spettacolo. I processi attentivi sono presenti in ogni attività umana, ma rivestono un ruolo necessario ed intenso quando si ha a che fare con l’insieme delle informazioni rappresentate nello spettacolo50.

47 M. DE MARINIS, L’esperienza dello spettatore: fondamenti per una semiotica della

ricezione teatrale, Urbino, Arti Grafiche Editoriali Srl, 1984.

48 U. ECO, Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975. 49

M. DE MARINIS, L’esperienza dello spettatore: fondamenti per una semiotica della

ricezione teatrale, cit., p. 4.

50 R. BARTHES, "Littérature et signification", Tel Quel (trad. it. in Saggi critici, Torino, Einaudi, 1966), 1963, pp. 343-344.

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La lingua e la percezione sono strettamente collegate nel loro ruolo di filtraggio delle espressioni teatrali e delle espressioni visive dando luogo a delle vere e proprie strategie percettive51.

2. Interpretazione. Questo secondo livello comprende altri tre sotto-livelli di

procedure teatrali interpretative: Interpretazione pragmatica, semantica e

semiotica.

L’interpretazione pragmatica è costituita dalla capacità dello spettatore di

considerare l’evento alla quale partecipa come appartenente alla classe dei testi estetici o comunemente denominato spettacolo teatrale; mentre, dall’altra parte egli lo ritiene appartenente ad una determinata sottoclasse di spettacoli teatrali, ad un genere teatrale.

L’interpretazione semantica verte sui significati dello spettacolo, permette,

quindi, allo spettatore di costruire (in base alle sue conoscenze e alle informazioni desunte dallo spettacolo e dal suo contesto comunicativo) uno o più significati globali (macrotopic) per lo spettacolo e di assegnargli anche una o più macrostrutture semantiche tra loro omogenee. L’interpretazione semantica macro-strutturale cambia a seconda del tipo di spettacolo teatrale a cui lo spettatore assiste. Generalmente, nel caso della rappresentazione di un testo drammatico dovrebbe risultare molto più semplice individuare una coerenza semantica profonda (grazie alla presenza di un testo scritto che la messa in scena illustra). In caso, invece, di mancanza di un testo scritto o un nucleo semantico coerente e unitario di partenza, lo spettatore dovrà analizzare la funzione illocutoria del MACRO-SPEECH ACT che caratterizza lo spettacolo in questione. Si tratta, in sostanza, della comprensione degli atti linguistici di vario genere (anche quelli veicolati da linguaggi non verbali o misti) eseguiti sulla scena e in grado di produrre determinati effetti sui sentimenti, pensieri e azioni dell’uditorio52

. In effetti, in un’opera realizzata prevalentemente

51 M.COLIN, “Propositions pour una recherche expérimentale en sémiologie du cinéma”,

Communications, 38, 1983, p. 246.

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19

attraverso i discorsi, solo gli atti linguistici hanno il potere di produrre svolte nell’azione53

.

L’interpretazione semiotica verte sui significanti (o espressioni) teatrali, sulla

loro fisicità di segnali e sugli scarti stilistici che li istituiscono. In ogni esperienza teatrale è comprovata la presenza delle operazioni percettivo-cognitive di interpretazione semiotica. Un approccio semiotico al teatro, inoltre, risulta utile quando esso viene considerato anche uno strumento di comunicazione: un sistema complesso di segni (messaggi) che vengono veicolati da un trasmittente a un recettore attraverso un particolare canale54.

I tre livelli interpretativi sopracitati cambiano di volta in volta, a seconda dello spettatore, dello spettacolo, della cultura, ecc.

3. Reazioni emotive e cognitive. Questo terzo livello comprende tutti i

cambiamenti e gli impatti che l’esperienza teatrale provoca nella sfera affettiva e intellettuale dello spettatore. Come sostiene Goodman55 ciò che interferisce e interagisce sono i seguenti elementi: la percezione, la concettualizzazione e il sentimento.

4. Valutazione. Il quarto livello di interpretazione riguarda l’ambito della valutazione e del giudizio che ogni spettatore, attraverso la percezione e la comprensione di un testo estetico, attribuisce ad un’esperienza teatrale. La valutazione non è una conclusione aggiuntiva, ma ha un ruolo fondamentale perché guida e indirizza il nostro comportamento davanti ad un’opera d’arte56

.

5. Memorizzazione e ricordo. L’ultimo livello interpretativo riguarda le operazioni mnestiche, che occupano un ruolo di rilievo nella ricezione teatrale. Questo tipo di esperienza tende ad eliminare quegli elementi a cui non è stato assegnato un significato, o per i quali non si è capaci di

53 A. SERPIERI, “Ipotesi teorica di segmentazione del testo teatrale”, in Strumenti critici, XI, 1977, pp. 90-137.

54 G.BETTETINI, M. DE MARINIS, Teatro e comunicazione, cit., pp. 64-65. 55

N. GOODMAN, Languages of art, New York, Bobbs Merril (trad. it. Milano, Il Saggiatore, 1976), 1968.

56 F. BERARDINELLI et al., “Le due letture. Tesi sull’uso dei testi letterari”, in E. Garroni (a cura di), Estetica e Linguistica, Bologna, Il Mulino, 1983.

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rimembrarlo. In cambio, il ricordo permette di aggiungere all’esperienza teatrale degli elementi che prima non ne facevano parte, ma che sono depositati nella memoria dello spettatore grazie alle sue esperienze precedenti che possono essere di carattere teatrale e non.

2.3 Testo drammatico e testo spettacolare

Nell’ambito degli studi teatrali e drammaturgici si sono spesso riprodotti degli equivoci derivanti dal rapporto tra il testo drammatico e la sua rappresentazione teatrale, cioè la transcodificazione spettacolare di quel testo. Molto diffuse sono, ad esempio, teorie che pongono in posizione di rilievo il testo letterario rispetto alla sua messa in scena. L’affermarsi di queste posizioni nasce da tre motivazioni principali: la prima ritiene che il testo scritto (quando esiste) sia l’unica componente presente e duratura dello spettacolo, mentre le altre, effimere e non durature, scompaiono con la fine dello spettacolo; la seconda nasce tra gli anni Sessanta e Settanta quando un uso indiscriminato del termine “modello linguistico” ha portato a soffermarsi sull’opera letteraria a scapito dello spettacolo teatrale vero e proprio57; la terza ed ultima motivazione vede nel linguaggio verbale un sistema modellizzante in grado di tradurre ogni tipo di contenuto esprimibile per mezzo di artifici semiotici non verbali.

Mi sembra, dunque, opportuno definire cosa si intende per testo drammatico e differenziarlo dal testo spettacolare.

Il testo letterario si definisce drammatico perché tende a diventare spettacolo attraverso un processo di transcodificazione che sancisce la sua trasformazione in altro da sé, il suo annullamento in quanto testo letterario. Esso può essere considerato sotto due diversi punti di vista: 1) come testo per la scena (copione); 2) come testo letterario autonomamente utilizzabile58. Fanno parte della prima classificazione quei testi che sono generalmente destinati solo al teatro, e che quindi possono essere direttamente affidati alle compagnie teatrali59. Al

57 M. DE MARINIS, P. MAGLI, “Materiali bibliografici per una semiotica del teatro”, in

Versus, 11, 1975, pp. 53-128.

58 F. ROSSI-LANDI, “Azione sociale e procedimento dialettico nel teatro”, in Semiotica e

ideologia, Milano, Bompiani, 1972, pp.47-60.

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contrario, i secondi si classificano al di fuori dei canoni drammaturgici e spettacolari per potere e volere essere rappresentati.

Per testo spettacolare, si intende, invece, lo spettacolo teatrale considerato un insieme non ordinato ma coerente di unità testuali, o di espressioni, di varie dimensioni, che rimandano a codici diversi, eterogenei fra loro e attraverso le quali si realizzano le strategie comunicative, che possono dipendere dal contesto produttivo–ricettivo60.

2.4 Dal testo letterario alla scena: la trasposizione

L’adattamento di un testo narrativo per la scena avviene attraverso una trasformazione, la cosiddetta trasposizione. La trasposizione è una pratica ipertestuale che riguarda ogni relazione che unisce qualsiasi testo (ipertesto) derivato da un testo anteriore (ipotesto) tramite una trasformazione61. Si tratta di una pratica intertestuale complessa in cui spesso diversi tipi di trasformazione sono applicati contemporaneamente ad una medesima opera62. In questi casi, però, data la complessità delle singole situazioni risulta assai complesso riuscire ad identificare un’unica tipologia di processo trasformativo. A questo proposito Genette (1997) distingue due principali tipologie di trasformazione ipertestuale: quelle formali e quelle tematiche.

La trasposizione formale riguarda ogni genere di processo trasformativo che incide solo sull’aspetto formale o espressivo dell’ipotesto, senza coinvolgere, se non parzialmente, il contenuto del testo. Si possono così identificare diversi processi di trasposizione, come la versificazione, che consiste nella trasformazione in versi di un testo in prosa, oppure la prosicizzazione che corrisponde al procedimento contrario, o la transtilizzazione che riguarda i cambiamenti o trasformazioni di stile dell’ipotesto più o meno radicali.

Una delle pratiche formali più utilizzate riguarda quei procedimenti di trasformazione quantitativa effettuati sul corpo del testo. Le trasformazioni

60 M. DE MARINIS, Semiotica del teatro. L’analisi testuale dello spettacolo, Milano, Bompiani, 1982.

61 G. GENETTE, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, traduzione di Raffaella Novità, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1997, p. 353.

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quantitative possono operare per aumento (attraverso aggiunte di digressioni e racconti), per espansione di un testo più breve, per riduzione (soppressione o selezione di parti del testo d’origine) oppure attraverso la condensazione (compendio, sommario o riassunto).

La trasposizione tematica riguarda, invece, quelle forme ipertestuali che toccano il senso o il contenuto di un’opera63. I due elementi che compongono ogni tipo di narrazione sono: le azioni o eventi narrati, e lo sfondo o cornice storico-geografica in cui essi si svolgono. Le azioni che sono determinate da specifici principi, motivazioni e valori possono essere oggetto di diverse forme di trasposizione ipertestuale. Analogamente gli sfondi in cui si svolge l’azione dei personaggi può essere cambiata, modificando le figure dei personaggi, il contesto storico delle vicende narrate o la collocazione geografica della storia.

2.5 The Portage to San Cristóbal of A.H.: la trama

La decisione di suddividere l’argomento del romanzo in specifiche sequenze tematiche deriva dalla necessità di un confronto ravvicinato tra esso e l’opera teatrale che ne deriva. Partendo dalla presentazione dei personaggi principali (Emmanuel Lieber, il gruppo di Mossad ebrei e Adolf Hitler), si passa alla rassegna dei paesi coinvolti in qualche modo nella spietata caccia all’ex dittatore nazista e, quindi, a quella dei personaggi secondari che li rappresentano.

2.5.1 La ricerca di Adolf Hitler

Emmanuel Lieber, sopravvissuto all’Olocausto, dirige da Tel Aviv una squadra di ebrei, cacciatori di nazisti, in cerca di Adolf Hitler in Sudamerica. Lieber crede che l’ex Führer sia ancora vivo e, infatti, dopo svariati mesi di ricerca nelle paludi della giungla amazzonica, il gruppo lo ritrova, ormai novantenne, nella radura in cui aveva trovato rifugio. Lieber decide così di attendere i suoi uomini a San Cristóbal. Tuttavia sarà un’ardua impresa trasportare Hitler fuori dalla palude a causa delle continue piogge torrenziali della zona, che ostacolano il cammino. A tutto ciò si aggiunge anche il mal funzionamento dell’unica radio trasmittente, il

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che causa non pochi problemi. I personaggi principali, quindi, oltre Lieber e Hitler, sono i componenti della squadra di caccia:

1) Simeon, leader del gruppo e “giudice” al processo di Hitler, è colui che si occupa di comunicare con Lieber attraverso la radio trasmittente non sempre funzionante. E’ un personaggio molto riflessivo che, molto spesso, rimugina sull’effettivo significato della missione che lui e i suoi compagni stanno cercando di portare a termine;

2) Gideon Benasseraf, nonostante la recente malattia, è una figura di rassicurante solidità. Ha subito una grave perdita familiare a causa dell’Olocausto, ma nonostante ciò, la vendetta non è per lui il miglior modo per punire Hitler dei crimini commessi. In seguito si ammala nuovamente, e, in preda ad uno dei suoi spasmi febbrili, poco prima di morire, sostiene che Hitler è ebreo e lo confida ad Elie;

3) John Asher, un personaggio calmo ed enigmatico. Lieber lo assume perché è addestrato ed ha una chiara lucidi

4) tà mentale. Al processo assume il ruolo di “avvocato difensore” di Hitler; 5) Elie Barach, un rabbino, capo spirituale del gruppo, sostiene l’accusa al

processo di Hitler. Si lascia convincere da Gideon sul fatto che effettivamente Hitler possa essere il secondo Messia;

6) Isaac Amsel, goffo ed impetuoso, il membro più giovane della squadra, è molto legato a Benasseraf; con lui si confida e si confronta. Il suo ruolo al processo è quello di “testimone”, si unisce al gruppo di Lieber per vendicare la morte del padre;

7) Teku, è un ragazzo indiano che guida i ragazzi durante il viaggio e fa da “testimone” al processo.

2.5.2 I messaggi di Emmanuel Lieber

Lieber, il capo della spedizione, non fa fisicamente parte della squadra di cacciatori, ma li guida radiofonicamente dal suo ufficio a Tel Aviv. Appare come un fanatico, segnato dall’esperienza vissuta in un campo di concentramento, ed esercita una grande pressione psicologica sui membri della spedizione. I messaggi

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di Lieber occupano una parte centrale dell’opera. Come vedremo più avanti, cesseranno una volta che la parola viene concessa ad Adolf Hitler. I due rappresentano mondi antagonisti, ma con un comune denominatore: la necessità di persuadere attraverso la parola. Le comunicazioni di Lieber sono rivolte a Simeon che, a sua volta, provvede a divulgarle ai suoi compagni. Quando Lieber riceve dai suoi uomini la notizia del ritrovamento di Hitler, ordina a Simeon che gli impedisca di parlare perché “let him speak to you and you will think of him as a man” (pag. 45). Inoltre, per evitare che i ragazzi si impietosiscano di fronte ad un Hitler ormai anziano, Lieber elenca loro i crimini più atroci perpetrati da quell’uomo contro il popolo ebreo. Infine, ammettendo che Hitler non fu l’unico colpevole del genocidio, ordina ai ragazzi di tenere ben nascosto il prigioniero e insiste sulla necessità di non rivolgergli parola e di non guardarlo negli occhi: “Do not look too much at him. He wears a human mask […] Look away from his eyes” (p. 46).

2.5.3 Il processo di San Cristóbal

A trent’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale l’autore presenta Hitler come “the very old man” (p. 7) e, più avanti nel testo, in una conversazione con Asher, Benasseraf ci svela l’età del prigioniero “Ninety years old. That’s as old as he is” (p. 23). Ed ancora Lieber afferma che “He is old. Old as the loathing which dogs us since Abraham” (p. 45), mentre Asher lo definisce “old ghost” (p. 24). Durante il trasporto del prigioniero verso un luogo più asciutto, al di fuori della palude, i ragazzi sembrano perdere sempre più le forze; non sono solo stanchi fisicamente, ma provati da tutta una serie di difficoltà che hanno dovuto affrontare nella giungla. Sembra che, man mano proseguano nel viaggio, il prigioniero acquisisca sempre maggiore energia fisica e mentale, contrariamente a ciò che avviene ai suoi sequestratori. Il gruppo, ormai allo stremo delle forze, decide di processare Hitler direttamente sul posto, a San Cristóbal, in Brasile. Ed è proprio a questo punto della storia, nell’ultimo capitolo del romanzo, che Hitler sconvolge i suoi ‘giudici’ con la forza della parola, tanto temuta, lasciando tutti esterrefatti.

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2.5.4 Le potenze mondiali coinvolte

Il racconto di Steiner può essere definito un testo polifonico; i diversi personaggi della storia, attraverso i loro punti di vista, concorrono alla configurazione del racconto. L’autore rappresenta le principali potenze mondiali per mezzo di persone tipo che si vedono coinvolte, in un modo o nell’altro, nella caccia ad Hitler:

1. L’Inghilterra (capitolo 2) è rappresentata dal professor Ryder e dai suoi collaboratori londinesi (Bennett e Hoving), che manifestano la loro incredulità riguardo al ritrovamento dell’ex dittatore: l’ipotesi che in realtà si possa trattare di un sosia sembra più plausibile;

2. La Russia (capitolo 4) è rappresentata dal medico Nikolai Maximovitch, vittima dell’intransigenza ideologica del colonnello Shepilov e della struttura politica sovietica in generale; Maximovitch aveva previsto trent’anni prima che Hitler fosse vivo;

3. La Germania (capitolo 11), incarnata dal dottor Rothling, un ex combattente nazista che considera la guerra un evento passato, che come tale, ebbe effetti positivi per la formazione del carattere nazionale, nonostante il senso di colpa sviluppato dalle nuove generazioni;

4. La Francia (capitolo 13) personificata in Blaise Josquin, sottosegretario di stato, che mescola nel suo diario i dossier personali sul caso Hitler con aspetti della propria vita privata. Come funzionario, ritiene che la Francia debba partecipare al processo contro l’ex dittatore, anche se, a livello personale, la faccenda non gli interessa molto;

5. A seguire troviamo gli Stati Uniti (capitolo 15), rappresentati dal segretario di stato che organizza una conferenza stampa nella quale, rispondendo ad alcune domande poste dai giornalisti, si evidenzia il protagonismo americano nei conflitti internazionali e la manipolazione mediatica che pratica;

6. il Paese che, però, gioca un ruolo fondamentale in questo racconto è

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“dall’alto” le azioni dei suoi uomini: Simeon, Benasseraf, Asher, Amsel, Elie Barach, che rischiano la vita per portare a termine la missione64.

2.6 The Portage to San Cristóbal of A.H.: dal testo alla scena

L’ipotesto di Steiner, dunque, viene trasformato in performance o evento pragmatico reale. Ne nasce un ipertesto che si poggia sulla transcodificazione intersemiotica dal codice della lingua ad altri codici e prevede l’intervento di canali di comunicazione differenti, come quello visivo, uditivo, olfattivo ecc65.

Il testo narrativo di Steiner subisce anzitutto una trasformazione di tipo quantitativo, definita da Genette “riduzione”, ossia l’abbreviazione o accorciamento dell’ipotesto letterario. Frequentemente, infatti, il testo di un’opera letteraria viene accorciato per la sua rappresentazione teatrale. Il teatro, evitando tempi di rappresentazione molto lunghi e non potendo sviluppare in poco tempo narrazioni troppo estese, preferisce sintetizzare le vicende e ridurne le ridondanze. La pratica dell’abbreviazione è facilmente individuabile nel caso di The Portage

to San Cristóbal of A.H.; si noterà, infatti, che il testo narrativo di 163 pagine si

trasformerà in un testo per la scena di 75 pagine.

Cercherò adesso di individuare le alterazioni presenti nel testo adattato per la scena analizzando gli elementi che restano, quelli che si aggiungono, si trasformano o vengono eliminati, sia pur limitandomi alla versione scritta del testo di Hampton e non facendo riferimento ad alcuna particolare messa in scena del copione teatrale.

2.6.1 Cosa rimane dell’opera narrativa

L’opera teatrale di Christopher Hampton è caratterizzata da una sostanziale fedeltà all’opera narrativa di George Steiner, in termini di trama e di svolgimento delle vicende. I fatti rappresentati sulla scena, intanto, seguono l’ordine cronologico del testo originale, e vanno dal ritrovamento di Adolf Hilter nella giungla amazzonica, fino al processo che si svolgerà a San Cristóbal, nella giungla

65 S. BIGLIAZZI, Sull’esecuzione testuale. Dal testo letterario alla performance, Pisa, Edizioni ETS, 2002, pp. 38-39.

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amazzonica, luogo in cui si fermano a processarlo i membri della squadra di ricerca, troppo stanchi per procedere verso Israele, dove li attende Lieber. E’ chiaro, però, che si assiste anche a fenomeni fisiologici di sfoltitura o sfrondatura del testo, che permettono alla vicenda di svolgersi sul palcoscenico con una velocità superiore rispetto alla lettura del romanzo.

Tutti i personaggi sono stati mantenuti nell’adattamento teatrale anche se, a volte, a causa dei tempi scenici da rispettare, essi interpretano solo piccole parti sulla scena. Le principali voci presenti nel testo narrativo, ossia quella di Lieber e quella di Hitler, considerati i rappresentanti di due mondi antagonisti, non subiscono particolari censure nel passaggio dal testo alla scena. Molte altre voci sono state conservate da Hampton. Procederò ad analizzarle seguendo l’ordine di comparsa nel testo teatrale.

La prima scena riporta in modo fedele le comunicazioni radio in cui Lieber cerca di mettere in guardia i suoi uomini della pericolosità della parola di Hitler:

Ajalon to Nimrud. Listen. You must not let him speak. Gag him if necessary, or stop your ears. If he is allowed speech he will trick you and escape. His tongue is like no other. As it is written in the learned Nathaniel of Mainz: there shall come upon the earth in the time of night a man surpassing eloquent. When God made the Word, He made possible also its contrary. Silence is not the contrary of the Word, but its guardian. No, He created on the night-side of language a speech for hell. Whose words mean hatred and vomit of life. Few men can learn that speech or speak it for long. It burns their mouths. But there shall come a man whose tongue as a sword laying waste. He will know the grammar of hell and teach it to others. He will know the sounds of madness and loathing and make them seem music66.

E, dopo una breve pausa, Lieber prosegue:

Let him speak to you and you will think of him as a man. If he asks for water, fill the cup. If you let him ask twice, he would no longer be a stranger. Give him fresh linen before he needs it. Aman’s smell can break the heart. You

66

C. Hampton, The Portage to San Cristóbal of A.H., adapted for the stage by

Christopher Hampton, London, Faber & Faber, 1983, 1, p. 2. D’ora innanzi indicato come SCH

seguito dal numero sulla scena e dal numero di pagina. Il romanzo di Steiner sarà indicato con SCS.

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will be so close now. You will think him a man and no longer believe what he did. That he almost drove us from the face of the earth. That his words tore up our lives by the root. Can you hear me? Ajalon calling. This i san order. Gag him. Words are warmer than fresh bread; share them with him and your hate will grow to a burden. Do not look too much at him. He wears a human mask. Let him sit apart and move at the end of a long rope. Do not stare at his nakedness. Lest it be like yours. (SCH, 1, p. 2)

La prima scena si apre rappresentando il momento in cui Asher ritrova Hitler nel suo rifugio segreto. Qui Asher, dopo averlo scovato, attacca il dittatore rimproverandolo del suo inconcepibile oltre che assurdo silenzio, proprio lui “whose voice could burn cities […] They say that women, just to hear your voice […] would tear their clothes off” (1, p. 4). Questa parte è stata mantenuta quasi interamente nel testo per la scena, nonostante l’esistenza di alcune minime variazioni stilistiche che non pregiudicano, però, il significato ultimo del dialogo:

SCS Capitolo 1

SCH Scena prima

A) You.

The very old man chewed his lip.

- You. Is it really? […] Look at you […] - It is you. Isn’t it. We

have you. Everyone will know. The whole world. But not yet […] You’re ours. You know that, don’t you. The living God […] Delivered you into our hands […] B) Silent now? Whose voice

could. They say your voice could […]

Burn cities. They say that when you spoke. Leaves turning to ash and men

A) Amsel: You.

(Hitler doesn’t answer. He looks at Amsel, chewing his lip.)

You. Is it really? Look at you. It is you. Isn’t it? We have you. Everyone will know. The whole world. But not yet. You’re ours. You know that, don’t you? The living God. Delivered you into our hands. B) Silent now? Whose voice

could. They say your voice could. Burn cities. They say that when you spoke. Leaves turning to ash and men weeping. They say that women, just to hear your voice, that women. Would tear

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weeping. They say that women, just to hear your voice, that women […] Would tear their clothes off, just to hear your voice […]

Why don’t you speak? […] They’ll make you speak. They’ll tear it out of you. We have you now […] Thirty years hunting. Kaplan dead. And Weiss and Amsel. You’ll talk. We’ll have the skin off you […]

C) Ich? (SCS, pp. 7-8)

their clothes off, just to hear your voice.

Why don’t you speak? They’ll make you speak. They’ll tear it out of you. We have you now. Thirty years hunting. Kaplan dead, and Weiss. And Amsel […] You’ll talk. We’ll have the skin off you.

C) Hitler: Ich? (SCH, 1, p. 4)

Della terza scena permangono i dialoghi nei quali Benasseraf, Asher ed Elie discutono sul modo migliore di trasportare l’anziano prigioniero attraverso le zone acquitrinose della giungla amazzonica:

SCS Capitolo 3

SCH Scena terza

A) We’ll get him out. If we have to carry him. Every stinking mile.

Benasseraf spoke loudly. Just as we said in our oath. With our lives if need be. If he has to ride on our backs to get here.

B) That might be the only way. Asher said it brushing the rust-gray hair out of his eyes. Because I don’t see him

A) Gideon: We’ll get him there. If we have to carry him. Every stinking mile. That’s what we said in our oath. With our lives if need be. If he has to ride on our backs.

B) Asher. He might have to. I can’t see him walking. He’s so old. Born in 1889. That’s what it says on Lieber’s warrant. You

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