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UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Biologia
Corso di laurea in Biologia Applicata alla Biomedicina
Tesi di Laurea
“Ricerca di biomarcatori nella Sclerosi Laterale Amiotrofica”
Candidata: Relatori:
Ilaria Da Prato Dott.
ssaRenata Del Carratore
Dott. Paolo Bongioanni
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Indice
Riassunto
Abbreviazioni
1.Introduzione
1.1 La Sclerosi Laterale Amiotrofica
1.2 Clinica e diagnosi
1.2.1 I motoneuroni
1.2.2 Diagnosi
1.3 Epidemiologia
1.4 Esordio della malattia
1.5 Eziologia
1.6 Terapia
1.7 Progressione della malattia
1.8 ALS Functional Rating Scale
1.9 I microRNA
1.9.1 Biogenesi dei microRNA
1.9.2 Ruolo dei miRNA nella neurodegenerazione
1.9.3 I miRNA circolanti
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1.9.5 I miRNA come biomarcatori
1.10 Le vescicole extracellulari
1.10.1 Classificazione delle EVs
1.10.2 Gli Esosomi
1.10.2.1 Pathway di formazione e rilascio degli esosomi
1.10.2.2 Esosomi e neurodegenerazione
1.10.2.3 Esosomi come biomarcatori per la malattia
1.10.2.4 Esosomi e funzione neuroimmune
1.11 Neuroinfiammazione
1.11.1 I meccanismi della neuroinfiammazione
1.11.2 Contributo della neuroinfiammazione alla degenerazione
neuronale
2. Scopo della tesi
3. Materiali e metodi
3.1 Analisi dei microRNA
3.1.1 Pazienti
3.1.2 Separazione del plasma da sangue periferico
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3.1.4 Estrazione esosomi da siero
3.1.5 Estrazione RNA da esosomi o plasma
3.1.6 Retrotrascrizione
3.1.7 Reazione a catena della polimerasi
3.1.8 Elettroforesi su gel d’agarosio
3.1.9 Visualizzazione risultati
3.2 Analisi degli esosomi
3.2.1 Separazione del plasma da sangue periferico
3.2.2 Estrazione esosomi per microscopia elettronica
3.2.3 Identificazione esosomi al microscopio elettronico
3.3 Analisi statistica
4. Risultati
5. Discussione
6. Conclusioni
Bibliografia
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Riassunto
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa spesso con esito infausto, caratterizzata da progressiva paralisi muscolare determinata dalla degenerazione dei motoneuroni nella corteccia motoria, nel tronco encefalico e nel midollo spinale. Nonostante molti studi dimostrino il coinvolgimento di pathway metabolici alterati, i meccanismi molecolari alla base dell’insorgenza e della progressione della SLA sono per la maggior parte sconosciuti. Recenti lavori suggeriscono che alla base delle malattie neurodegenerative ci sia anche un coinvolgimento di meccanismi epigenetici, e quindi di una alterata regolazione post-trascrizionale. I miRNA sono implicati nel controllo dell’espressione genica perché svolgono un’azione di silenziamento genico: pertanto, l'alterazione dell'espressione di miRNA può provocare una deregolazione di geni chiave e dei pathway che contribuiscono allo sviluppo della malattia.
A partire da queste considerazioni, attraverso un’analisi dei principali miRNA riportati in letteratura, abbiamo indagato principalmente miRNA-155 collegato ad un aspetto fondamentale della patologia, l’infiammazione, in modo da correlarlo con i dati ottenuti dalle indagini ematochimiche e biochimico-cliniche di routine.
A partire da prelievo venoso di sangue, abbiamo isolato plasma, siero e linfociti da pazienti e controlli sani. Inoltre, abbiamo preso in considerazione gli esosomi che sono le più piccole vescicole (30-100nm) che derivano dal sistema endosomiale. Queste vescicole vengono rilasciate da molti tipi cellulari diversi, tra cui le cellule neuronali, e sono coinvolte nelle principali funzioni del sistema nervoso. Attraverso il trasferimento di molecole bioattive quali i miRNA, svolgono un ruolo importante sia per il mantenimento delle condizioni fisiologiche (tra cui la regolazione della comunicazione sinaptica e la rigenerazione nervosa) sia in condizioni patologiche. Gli esosomi potrebbero essere i carrier di potenziali biomarcatori utili per la valutazione della progressione della malattia e per applicazioni terapeutiche. Gli esosomi estratti sono stati osservati al microscopio elettronico per identificare eventuali differenze di forma dimensioni e numero tra pazienti affetti da SLA e controlli sani.
6 Studi recenti stanno dimostrando il coinvolgimento degli esosomi nelle risposte infiammatorie-immunitarie e che la neurodegenerazione è accompagnata da reazioni neuroinfiammatorie, inclusa l’attivazione della microglia nel sistema nervoso centrale con un’ulteriore attivazione del sistema immunitario periferico, associata ad alterazione dell’espressione di citochine quali diverse interleuchine (IL) e chemochine, interferoni (IFN), chemochine, tumor necrosis factor (TNF) e vari fattori di crescita. Abbiamo studiato l’espressione dell’interferone, che è una delle principali citochine coinvolte nella morte dei motoneuroni e quindi nella patogenesi della malattia. Abbiamo quindi cercato, mediante un’analisi statistica, di mettere in relazione i dati ottenuti dalle analisi ematochimiche con i parametri clinici di routine cercando di individuare le molecole significativamente alterat. Inoltre, dato il crescente interesse intorno al sistema infiammatorio e sui linfociti come modello di malattia abbiamo effettuato analisi del livello di espressione di miR-155 in linfociti di pazienti e controlli.
Dai nostri risultati emergono differenze sia morfologiche sia dei potenziali target di controllo tra esosomi di pazienti rispetto a quelli dei controlli. Dal momento che nessuna terapia efficace è attualmente conosciuta per la SLA riteniamo che gli studi sui biomarcatori possano dare un contributo importante in questa direzione.
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Abbreviazioni
AD Alzheimer Disease
Ago 2 Proteina argonauta 2
ALS-FRS ALS Functional Rating Scale
AMX Myxovirus-resistance protein A
BBB Barriera emato encefalica (Blood-Brain Barrier)
CCL2 C-C motif Chemokine Ligand 2
CSF Liquido cerebrospinale (CerebroSpinal Fluid)
CTR Controllo (Control)
EAAT Trasportatori amminoacidi eccitatori
(Excitatory Amino Acid Transporters)
ESCRT Endosomal Sorting Complex Required for Transport
EV Vescicole extracellulari (Extracellular
Vesicles)
FALS SLA familiare (Familiar ALS)
GAPDH Gliceraldeide-3-Fosfato Deidrogenasi
(GlycerAldehyde 3-Phosphate Dehydrogenase) hnRNPs Heterogeneous Nuclear Ribonucleoproteins IFN Interferone IL Interleuchina
ILV Vescicole intraluminali (IntraLuminal
Vesicles)
LMN Lower Motor Neuron
MiRNA MicroRNA
MND Malattia del motoneurone (Motor Neuron
Disease)
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MVB Corpo multivescicolare (MultiVescicular
Body)
nSMase2 Sfingomielinasi nucleare 2 (Neutral
sphingomyelinase 2)
PD Parkinson Disease
ROS Radicali liberi dell’ossigeno (Reactive
oxygen species)
SALS SLA sporadica (Sporadic ALS)
SEC Size Exclusion Chromatography
SLA Sclerosi Laterale Amiotrofica
SOD Superossido dismutasi
TDP 43 TAR DNA-binding protein 43
TEM Microscopio Elettronico a trasmissione (Transmission Electron Microscope)
TLR Toll-Like Receptor TNF Tumor Necrosis Factor
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1.Introduzione
1.1 La Sclerosi Laterale Amiotrofica
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa tipica dell’età adulta, ad eziologia sconosciuta, che fa parte del gruppo delle Malattie del motoneurone (MND), caratterizzata dalla progressiva atrofia dei muscoli scheletrici e paralisi dei movimenti volontari, causata dalla degenerazione progressiva dei motoneuroni del Sistema Nervoso Centrale (SNC) a livello della corteccia cerebrale motoria, del tronco encefalico e delle corna anteriori del midollo spinale (Brooks et al.,2000) (Wijesekera et al.,2009).
I motoneuroni sono le cellule responsabili della contrazione della muscolatura volontaria preposta in primo luogo al movimento somatico, ma che presiede anche a funzioni vitali come deglutizione, fonazione e respirazione: la loro degenerazione comporta la paralisi progressiva dei muscoli da loro innervati, risparmiando le funzioni sensoriali, sessuali, sfinteriali e, nella maggior parte dei casi, quelle cognitive.
1.2 Clinica e diagnosi
1.2.1 Motoneuroni
La principale caratteristica clinica della SLA è il coinvolgimento dei motoneuroni superiori (o corticali o I motoneuroni) e inferiori (o tronco-encefalici/spinali o II motoneuroni) in più regioni del tronco encefalico e del midollo spinale. I primi si trovano nella corteccia cerebrale, si prolungano verso la periferia e raggiungono il tronco encefalico o il midollo spinale (cosiddetta via piramidale o cortico-bulbare/cortico-spinale), dove stabiliscono sinapsi con i motoneuroni inferiori. Questi ultimi, si prolungano a loro volta verso la periferia, raggiungendo i muscoli con i quali prendono contatto nella cosiddetta placca neuromuscolare. Dal punto di vista clinico, il
10 coinvolgimento dei motoneuroni superiori conduce specificatamente alla spasticità ed all’iperreflessia; il coinvolgimento dei motoneuroni inferiori causa specificatamente fascicolazioni e grave atrofia muscolare; in entrambi i casi si genera ipostenia muscolare ingravescente fino alla plegia. Inoltre, si evidenziano anche difficoltà deglutitorie e fono-articolatorie, fino alla perdita della capacità di deglutire e/o comunicare verbalmente.
1.2.2 Diagnosi
La diagnosi di SLA si basa sulla presenza di reperti clinici molto caratteristici in combinazione con indagini per escludere sindromi che la mimino (Wijesekela et al., 2009). Essa richiede la presenza di:
o evidenza di degenerazione del motoneurone inferiore (LMN) mediante esame clinico, elettrofisiologico o neuropatologico;
o evidenza di degenerazione del motoneurone superiore (UMN) mediante esame clinico;
o diffusione progressiva di sintomi o segni all’interno di una regione o di altre regioni, come determinato dalla storia clinica o dall’esame neurologico;
insieme con:
o l’assenza di prove elettrofisiologiche o patologiche di altri processi morbosi che potrebbero spiegare i segni di degenerazione di LMN e / o di UMN e
o evidenza mediante neuroimaging di altri processi morbosi che potrebbero spiegare gli aspetti clinici osservati ed i segni elettrofisiologici. (Brooks et al.,2000)
Un’anamnesi attenta ed uno scrupoloso esame neurologico devono cercare prove cliniche dell’interessamento di UMN e LMN in quattro regioni del SNC (tronco cerebrale, midollo spinale, cervicale, toracico o lombosacrale) (Brooks et al.,2000).
La localizzazione topografica dei segni di degenerazione di UMN e LMN nelle quattro regioni del SNC e la progressione di questi segni determina la certezza diagnostica di SLA e permette l’identificazione di quattro classi:
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o SLA clinicamente definita - definita dalla presenza di segni di UMN e LMN nella regione bulbare ed in almeno 2 delle altre regioni spinali, o dalla presenza di segni di UMN e LMN in 3 regioni spinali;
o SLA clinicamente probabile - definita dai segni di UMN e LMN in almeno 2 regioni; mentre le regioni possono essere diverse, i segni di UMN devono essere rostrali ai segni di LMN;
o SLA clinicamente possibile - definita dalla presenza di segni di UMN e LMN in una sola regione, o i soli segni di UMN sono presenti in 2 o più regioni o i segni di LMN sono rostrali ai segni UMN.
o SLA clinicamente sospetta - si repertano solo i segni di LMN in 2 o più regioni, anche se le lesioni a carico di UMN potrebbe essere dimostrata all’autopsia. (The ALS Association,1994,1998,2006)
La perdita dei motoneuroni inizia ben prima dell’esordio clinico: esiste infatti una fase preclinica in cui i pazienti mantengono una normale forza muscolare grazie al fenomeno della reinnervazione collaterale, fino a che la perdita delle unità motorie non ha superato il 30% (Swash et al.,2000). Questo e l’intermittenza ed aspecificità dei sintomi che spesso vengono sottovalutati dal paziente, determinano un ritardo diagnostico di 9-12 mesi.
La SLA può presentarsi in due forme:
• Sporadica (90/95% dei casi) - ossia non legata a trasmissibilità familiare: nell’85% dei casi sporadici non è stata ancora identificata alcuna causa genetica.
• Familiare (5/10% dei casi) - il 20% di questi è legata ad una mutazione del gene SOD1, circa il 2-5% ha mutazioni del gene TARDBP (TDP-43) e circa il 25% di essi presenta un’espansione nucleotidica del gene C9ORF72. Le mutazioni di questi ultimi due geni hanno dimostrato una correlazione anche con alcune forme di demenza fronto-temporale, creando un continuum tra le due malattie.
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1.3 Epidemiologia
L’età media di insorgenza della SLA sporadica è di circa 60 anni, con esordio più precoce nei casi familiari. In generale vi è una leggera prevalenza maschile (rapporto M: F ~ 1.5: 1). L’incidenza, ossia il numero di nuovi casi diagnosticati in un anno, è di 1,5-2,4 su 100.000 abitanti, con 3 nuove diagnosi ogni giorno; la prevalenza, cioè il numero dei pazienti che convive con la SLA, è in media 4- 8 casi ogni 100.000 abitanti, in aumento soprattutto grazie ai miglioramenti diagnostici. L’aspettativa di vita dopo la diagnosi è mediamente di 3-5 anni, anche se il decorso è peculiare di ogni paziente. L’incidenza tende ad aumentare con l’età, con un picco tra i 58 e i 63 anni nelle forme sporadiche e 47-52 anni nelle forme familiari. L’incidenza decresce rapidamente dopo gli 80 anni (Chiò et al.,2009); ciò suggerisce una riduzione del numero di soggetti suscettibili allo sviluppo della malattia dopo una certa soglia di età (O’Toole et al.,2007). La SLA sembra quindi essere età-correlata. Tuttavia, una sottostima dei casi di SLA nelle età più avanzate non può essere esclusa come causa di questo andamento.
1.4 Esordio della malattia
La SLA, così come molte altre malattie anche di origine non neurologica, si presenta spesso con sintomi aspecifici. Questo processo può avvenire anche nell’arco di diversi anni e - a tutt’oggi - non si può arrestare. La malattia avanza silenziosamente e si manifesta quando la perdita progressiva dei motoneuroni supera la capacità di compenso dei motoneuroni superstiti: iniziano così la lentezza e la difficoltà nei movimenti, le difficoltà respiratorie e nella deglutizione, i problemi nel parlare, fino alla paralisi della muscolatura volontaria. Rimangono intatte le funzioni sensoriali, sessuali, sfinteriali e, nella maggior parte dei casi, le funzioni cognitive. La SLA può avere un esordio di tipo:
13 • SPINALE - nella quale vengono compromessi i motoneuroni del midollo spinale; tale forma interessa circa i due terzi dei pazienti e si presenta con sintomi legati alla debolezza muscolare ed all’ atrofia focale: inizialmente possono essere distali o prossimali a carico degli arti superiori e/o inferiori; a poco a poco gli arti atrofici possono sviluppare spasticità che colpisce l’abilità manuale e/o l’andatura;
• BULBARE - nei casi in cui la lesione concerne i motoneuroni del tronco cerebrale (in un terzo dei pazienti); in tal caso il paziente presenta disartria e disfagia. Tuttavia, questa distinzione di carattere clinico non appare sempre così netta nell’evoluzione della malattia, in quanto le due forme possono sovrapporsi.
1.5 Eziologia
Le cause ed i meccanismi patogenetici della SLA sono in larga parte ignoti; le attuali conoscenze derivano soprattutto da studi effettuati su topi transgenici SOD1. È auspicabile che, facendo luce su di essi, si possano individuare potenziali target terapeutici.
È noto che la SLA sia una malattia complessa, in cui fattori ambientali e genetici interagiscono tra loro influenzando sia l’insorgenza sia la modalità di presentazione clinica.
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Figura 1. I molteplici meccanismi potenzialmente responsabili della patogenesi della SLA. (Ilieva et al., JCB 2009). (A) L'eccitotossicità è l'iperattivazione dei motoneuroni dovuta alla
mancata rimozione rapida del neurotrasmettitore glutammato dalle sinapsi a causa della carenza nel trasportatore di glutammato EAAT2 negli astrociti vicini. (B) Lo stress ER è indotto da interazioni anormali di SOD1 mutante con proteine ER. (C) L'inibizione del proteasoma a causa di un "sovraccarico"
del percorso di degradazione del proteasoma con aggregati proteici mischiati ubiquitinati può danneggiare gli astrociti ed i motoneuroni. (D) La disfunzione mitocondriale mediata dalla deposizione di SOD1 mutante sulla membrana mitocondriale provoca il rilascio di citocromo c nei motoneuroni, mentre
negli astrociti porta a stress nitrossidativo. (F) La produzione di superossido dalla microglia o dagli astrociti può danneggiare i motoneuroni vicini. (G) Nei motoneuroni mutanti che esprimono SOD1 è
stato riscontrato un trasporto assonale alterato, con un aumento delle proteine legate allo stress trasportate per via retrograda. (H) I difetti della vescicola sinaptica come la perdita dalla sinapsi distale
nei motoneuroni vulnerabili sono un evento precoce nella SLA. (I) La perdita di proteine a giunzione stretta all'interno delle cellule endoteliali capillari provoca l'interruzione della barriera ematico-spinale e
l'insorgenza di microemorragie all'interno del midollo spinale ben prima dell'insorgenza della malattia.
La ricerca ha identificato alcuni dei processi cellulari tipici della patogenesi della malattia:
• alterata regolazione post-trascrizionale;
• aberrante attivazione della microglia, ossia infiammazione del sistema
nervoso;
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• alterazione dei processi di trasporto assonale, ossia il trasporto di molecole lungo la cellula motoneuronale;
• carenza dei fattori di crescita, cioè la mancanza delle sostanze preposte alla crescita e alla funzione dei motoneuroni;
• aggregazione proteica; • generazione di radicali liberi; • eccitotossicità;
• apoptosi;
ma per la maggior parte dei pazienti la causa sottostante alla loro malattia è sconosciuta. Anche se la SLA è considerata una complessa malattia genetica in cui più geni in combinazione con esposizioni ambientali interagiscono per rendere una persona suscettibile, pochi rischi genetici o ambientali sono stati scoperti fino ad oggi. (Gordon et al.,2012)
Eccitotossicità da glutammato
Il glutammato, principale neurotrasmettitore eccitatorio nel SNC, viene sintetizzato nel terminale presinaptico e si diffonde attraverso la fessura sinaptica, attivando specifici recettori postsinaptici ed innescando potenziali d'azione. Questo neurotrasmettitore agisce su diversi recettori sui dendriti del motoneurone postsinaptico, come i recettori α-ammino-3-idrossil-5-metil-4-isossazolo-propionato (AMPA) e N-metil-D-aspartato (NMDA). La depolarizzazione delle membrane neuronali dopo l'attivazione dei recettori del glutammato neuronale attiva i canali del calcio voltaggio-dipendenti, permettendo al calcio di entrare nella cellula. Dopo il rilascio dal neurone presinaptico, il glutammato viene rimosso dalla fessura sinaptica da diverse proteine di trasportatore di cellule gliali e neuronali, trasportatori di aminoacidi eccitatori (EAAT, Sundaram et al., 2012). La concentrazione di glutammato nella fessura sinaptica è quindi finemente regolata, evitando l'eccitotossicità: un'eccessiva o prolungata attivazione dei recettori del glutammato provoca la degenerazione ed infine la morte dei neuroni coinvolti. Un aumento prolungato dei livelli di calcio intracellulare innesca danni enzimatici e mitocondriali che portano alla formazione di ROS ed attiva diversi processi biochimici distruttivi, determinando danni eccitatori e degenerazione neuronale (Ilieva et al., 2009;
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Vucic et al., 2014). Pertanto, è necessaria la rapida rimozione del glutammato per prevenire la tossicità neuronale. In particolare, l'isoforma 2 del trasportatore del glutammato astrogliale (EAAT2) è coinvolta nel mantenere la quantità di glutammato al di sotto del livello eccitotossico nel SNC. Prima dell'identificazione dei legami genetici del fALS, l'eccitotossicità del glutammato è stata una delle prime ipotesi proposte come meccanismo patogenetico della SLA (Carrì et al., 2004). La corteccia motoria ed il midollo spinale di pazienti affetti da SLA e modelli di topi transgenici mutanti SOD1 sembrano avere ridotti livelli di EAAT2, probabilmente per alla presenza di mRNA aberrante di EAAT2 o per la scissione del trasportatore EAAT2. Questo genera un aumento della concentrazione di glutammato sinaptico ed una sovrastimolazione dei recettori postsinaptici glutammatergici, determinando la degenerazione neuronale eccitotossica (Lin et al., 2009; Zarei et al., 2015). La perdita di EAAT2 funzionale è stata osservata anche in regioni cerebrali affette da altre malattie neurodegenerative, come la demenza di Alzheimer e la corea di Huntington (Guo et al., 2003). Per stabilire se la perdita di EAAT2 funzionale nella SLA fosse una causa primaria della degenerazione neuronale o una conseguenza del danno cellulare, sono stati generati topi transgenici mutanti SOD1 che sovraesprimono EAAT2 (topi transgenici EAAT2 / G93A) per indagare se l'integrazione della perdita EAAT2 avesse ritardato o risolto la malattia. I topi con un'espressione EAAT2 aumentata hanno mostrato un ritardo nella degenerazione motoneuronale e nella progressione della malattia. Poiché non è stato trovato alcun cambiamento nella durata della vita confrontando topi EAAT2 / G93A con topi SOD1-G93A, si è concluso che la perdita di EAAT2 può contribuire alla degenerazione del
motoneurone nella SLA, ma non ne è la causa principale (Guo et al., 2003). Inoltre, la vulnerabilità selettiva dei motoneuroni nella SLA può essere dovuta ad una
maggiore permeabilità al calcio di queste cellule rispetto ad altri neuroni, probabilmente causata da un difetto nell'editing di RNA della subunità GluR2 dell'AMPA, che rende questo recettore più permeabile al calcio (Guo et al., 2003).
Lo stress ossidativo
I ROS sono prodotti naturali del metabolismo dell'ossigeno. Il termine stress ossidativo viene utilizzato quando la produzione di ROS è superiore alla capacità delle cellule di rimuoverli. Ciò porta al loro accumulo, che causa danni irreversibili alle strutture cellulari
17 ed alle macromolecole, come proteine, DNA e RNA. SOD1 è l'enzima principale per prevenire il danno ossidativo e per ridurre la perdita di superossido dai mitocondri. Mutazioni geniche possono causare alterazioni nell'attività della proteina che portano alla citotossicità. I primi studi hanno suggerito che le mutazioni nel gene SOD1 causano una perdita completa della funzione proteica (Grad et al., 2013). Successivamente, esperimenti in vitro hanno dimostrato che le proteine umane SOD1 mutanti (come la mutazione G37R) sono attive e stabili, promuovendo l'apoptosi neuronale in modo dominante (Grad et al., 2013). Questi studi suggeriscono che la patogenesi della SLA può coinvolgere non solo una diminuzione / perdita nella funzione enzimatica della SOD1, ma è probabilmente anche dovuta ad un guadagno di funzione dell'enzima. È stato proposto che la SOD1 mutante possa ripristinare la sua normale attività antiossidante producendo superossido tossico: la proteina mutata potrebbe prendere gli elettroni da altri antiossidanti cellulari e donarli all'ossigeno molecolare, producendo superossido e rendendo SOD1 la fonte dello stress ossidativo. Aumentati livelli di ROS e di danno ossidativo sono stati riscontrati nel liquido cerebrospinale (CSF), nei campioni di siero e nelle urine di pazienti con SLA (Zarei et al., 2015).
Disfunzione mitocondriale
Il danno mitocondriale è una caratteristica comune di molte malattie neurodegenerative. I mitocondri sono gli organelli più importanti per la produzione di energia, la respirazione cellulare e l'omeostasi del calcio. Inoltre, producono un alto livello di ROS e svolgono un ruolo chiave nell'apoptosi, aprendo il poro di transizione della permeabilità e consentendo il rilascio del citocromo c, che porta all'attivazione della cascata della caspasi. Per queste ragioni, le alterazioni strutturali e biochimiche dei mitocondri possono essere collegate a molti aspetti della patogenesi della SLA. Alterazioni morfologiche nei mitocondri, come organuli vacuolati e dilatati con creste e membrane disorganizzate, rete frammentata ed edema, sono stati osservati nei motoneuroni spinali e nei muscoli scheletrici dei pazienti SLA e nel modello murino della malattia (topi SOD1-G93A) (Boillée et al., 2006). La formazione di vacuoli è dovuta all'espansione dello spazio intermembrana mitocondriale ed alla conseguente distensione delle membrane (Higgins et al., 2003). Nei topi transgenici e nei pazienti SLA
18 sono stati osservati un’anormale produzione anormale di ATP e ROS, disfunzioni nell'omeostasi energetica e nell’omeostasi del calcio, alterazioni dell'attivazione dell'apoptosi e del trasporto mitocondriale lungo gli assoni. Un'altra funzione chiave dei mitocondri riguarda la regolazione dei livelli di calcio citosolico: diversi studi hanno riportato una perdita di proteine leganti Ca2+ in motoneuroni di pazienti affetti da SLA in correlazione con la presenza di SOD1 mutata (Higgins., 2003), che porta ad una riduzione dell'assorbimento di calcio dal citoplasma, aumentando così la sensibilità all'eccitotossicità. Inoltre, i mitocondri sono richiesti in aree con elevata richiesta di ATP e di omeostasi del calcio, come i terminali sinaptici. Pertanto, il trasporto dei mitocondri verso queste aree è di primaria importanza, ed i difetti nel trasporto assonale mitocondriale portano ad alterazioni metaboliche neuronali.
Aggregati proteici
Gli aggregati proteici sono un segno patologico di molte malattie neurodegenerative come l'Alzheimer, il Parkinson, la corea di Huntington e la SLA. Questi aggregati derivano dall'accumulo di proteine mal assemblate, che oligomerizzano e si aggregano, acquisendo proprietà tossiche (Boillèe et al., 2006). Inclusioni ricche di proteine SOD1 mutate sono state riscontrate nei tessuti di pazienti SLA, così come nei topi transgenici per SOD1 mutata (Boillée et al., 2006). La struttura della SOD1 negli aggregati non è chiara, ma sembra che la proteina sia ridotta al disolfuro e manchi sia di rame sia di zinco. L'accumulo aberrante di proteine mutate è anche correlato alla mancanza della loro degradazione, risultante in aggregati costituiti da SOD1 mutata e altre proteine mutate correlate alla SLA, come TDP43 o FUS. TDP43, una proteina legante l'RNA, si trova normalmente nel nucleo, dove regola trascrizione, splicing e trasporto dell'mRNA. Questa proteina è necessaria per la prevenzione del danno al DNA (Hill et al., 2016). Inclusioni di proteine TDP43 aberranti sono state riportate nell'80% dei casi di SLA e sembra che l'accumulo citoplasmatico sia dovuto a mutazioni nella regione UTR 3 'dei geni, che portano alla sovraespressione (Hill et al., 2016). Come TDP43, il FUS è una proteina nucleare. L'accumulo di TDP43 e FUS nel citoplasma è probabilmente dovuto a mutazioni che impediscono il loro trasporto al nucleo. Le inclusioni di proteine nella SLA contengono anche altri componenti, come chaperone, proteine mitocondriali,
19 ubiquitina e neurofilamenti (NF). Inoltre, l'aberrante accumulo di ubiquitina e di proteine ubiquinate e malriposte potrebbe influenzare la normale funzione del proteasoma, compromettere il normale degrado proteico e portare ad un ulteriore accumulo proteico, degenerazione e morte motoneuronale (Hill et al., 2016).
1.6 Terapia
Non esiste alcuna terapia in grado di guarire i pazienti affetti da SLA. L’unico farmaco approvato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per il trattamento della SLA è il riluzolo. Si tratta di un derivato benzotiazolico che contrasta l’effetto neurotossico dell’eccesso di glutammato, riducendo l’accumulo extracellulare del neurotrasmettitore tramite l’inibizione del rilascio presinaptico.
Oltre agli interventi a scopo curativo, sono disponibili le cosiddette cure palliative, che hanno l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dei pazienti.
1.7 Progressione della malattia
La progressione clinica, così come i sintomi di esordio e la gravità possono variare notevolmente da un paziente all’altro, perché diversi possono essere i muscoli colpiti, la velocità del peggioramento e l’entità della paralisi: in ogni paziente l’evoluzione può essere valutata solo attraverso il controllo neurologico periodico (ogni 2-3 mesi), poiché non esiste un esame specifico con elevata accuratezza diagnostica e prognostica. In genere si osserva una progressiva perdita delle capacità di movimento, che può arrivare nel tempo alla completa immobilità. Gradualmente si può manifestare insufficienza respiratoria, cui si può ovviare solo ricorrendo alla ventilazione meccanica. Anche nelle fasi più avanzate la malattia colpisce soltanto il sistema motorio e risparmia tutte le altre funzioni neurologiche. La SLA non compromette gli organi interni (il cuore, il fegato, i reni), né i cinque sensi (vista, udito, olfatto, gusto, tatto). Raramente sono interessati i muscoli che controllano i movimenti oculari e quelli degli sfinteri urofecali; le funzioni
20 sessuali sono preservate e, nella maggior parte dei casi, non vengono coinvolti il pensiero e le attività mentali.
1.8 ALS Functional Rating Scale
L'ALS Functional Rating Scale (ALSFRS) è uno strumento di valutazione validato per monitorare la progressione della disabilità nei pazienti con SLA. Un limite dell'ALSFRS - come originariamente progettato - era che non consentiva un’adeguata valutazione della funzione respiratoria: è stata poi convalidata una versione riveduta dell'ALSFRS (ALSFRS-R), che ne incorpora ulteriori valutazioni (presenza di dispnea, ortopnea e necessità di supporto ventilatorio). I punteggi ALSFRS-R si correlano significativamente con la qualità della vita misurata dal profilo di impatto della malattia, indicando che la qualità della funzione è un forte fattore determinante della qualità della vita nella SLA (Cedarbaum et al., 1999). L'ALSFRS fornisce una valutazione clini metrica del grado di compromissione funzionale del paziente, utile per monitorare la risposta al trattamento o la storia naturale della malattia. L'ALSFRS-R include dodici voci, relative alle funzioni bulbari (eloquio, salivazione, deglutizione), a quelle degli arti superiori e di quelli inferiori, nonché alla funzione respiratoria. Ogni attività è valutata su una scala a cinque punti da 0 = ineseguibile, a 4 = eseguibile normalmente. I punteggi delle singole voci sono sommati per produrre un punteggio totale tra 0 (peggiore) e 40 (migliore). L'ALSFR include solo 10 voci: il punteggio totale va da 0 a 40.
1.9 I microRNA
I microRNA (miRNA) sono piccole molecole di RNA a singolo filamento, di lunghezza compresa tra i 20 e i 24 nucleotidi, che svolgono un ruolo di regolazione dell’espressione genica a livello post-trascrizionale (Masashi Abe et al., 2012). I miRNA sono coinvolti in
21 tutti i processi cellulari, quali l’omeostasi, la proliferazione, il differenziamento, l’apoptosi e la risposta allo stress, ed anche in quelli più complessi come lo sviluppo embrionale, la crescita e l’insorgenza di malattie. In particolare, diversi studi hanno dimostrato il ruolo chiave di queste molecole nel regolare la proliferazione e la differenziazione delle cellule staminali ematopoietiche. (Bhaskaran et al., 2014) e nella neurodegenerazione (Masashi Abe et al., 2012).
I miRNA sono stati descritti per la prima volta nel nematode C. Elegans (Lee et al.1993). Essi agiscono legandosi a sequenze bersaglio complementari di RNA messaggero
(mRNA) interferendo con il meccanismo traduzionale, impedendo o alterando la produzione della proteina. Numerosi studi hanno dimostrato che, oltre alla repressione della traduzione, i miRNA, legandosi al loro mRNA target, sono in grado di attivare il reclutamento e l’associazione di fattori che provocano la destabilizzazione e la successiva degradazione del mRNA, con conseguente diminuzione dei suoi livelli di espressione (Bhaskaran et al., 2014).
La conferma dell’esistenza di questi piccoli RNA ha portato alla scoperta di molteplici miRNA in diverse specie di piante e animali. Attualmente i miRNA identificati nel genoma umano ammontano a 2588 (Pasquinelli et al.,2000), ma purtroppo il significato biologico di molti di loro rimane sconosciuto e richiede ulteriori ricerche.
1.9.1 Biogenesi dei microRNA
Una visione generale dei passaggi coinvolti nella biogenesi dei miRNA è illustrata nella Figura 2.
I trascritti che codificano i miRNA vengono inizialmente trascritti dalla RNA-polimerasi II come miRNA primari (pri-miRNA) con una struttura steem-loop lunga diverse centinaia di nucleotidi, con un cappuccio di guanosina in posizione 5’ ed una coda poliadenilata in posizione 3’.
I pri-miRNA vengono tagliati dal microprocessore, un grande complesso che include Drosha e DGCR8, in pre-miRNA della lunghezza di 70-120nucleotidi (A). I pre-miRNA vengono poi esportati in citoplasma da exportin-5 (B), dove vengono ulteriormente
22 tagliati da Dicer in miRNA maturi di 18-23 nucleotidi (C). Una proteina cellulare chiamata TRBP (D), facilita l’ingresso del complesso Dicer-miRNA nel complesso (RISC) che contiene Argonaute-2 (Ago-2), TNRC6A, e altre proteine leganti l’RNA (E). Dopo l’incorporazione del miRNA in RISC, i due filamenti del miRNA vengono quindi separati, grazie all’asimmetria termodinamica del duplex e la stabilità di appaiamento delle basi all’estremità 5’ e
il filamento guida insieme con le proteine leganti l’RNA citate precedentemente, la proteina TNRC6A, e le proteine catalitiche Argonaute, formano un complesso proteico micro-ribonucleare (miRNP) chiamato RISC (Figura 2E) (Schwarz et al., 2003), che si lega all’mRNA target per degradarlo o per inibirne la traduzione (F).
Diversi meccanismi sono stati proposti sul modus operandi dei miRNA, che si traducono nella repressione post-trascrizionale di mRNA target. Questa repressione può essere il risultato di una ridotta efficienza traduzionale o di una diminuzione reale dei livelli di mRNA. Il grado di complementarità tra il miRNA e le regioni target del mRNA è essenziale in questa scelta, in quanto è sufficiente che ci sia complementarietà tra i due trascritti per avere degradazione del mRNA, mentre meno complementarità porta all’inibizione della traduzione.
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Figura 2. Biogenesi dei microRNA: i miRNA sono inizialmente codificati come trascritti di lunghezza variabile denominati pri-miRNA dalla RNA-polimerasi II nel nucleo.
(Bhaskaran et al., 2014)
Previsioni basate su analisi bioinformatiche indicano che, nei mammiferi, i miRNA possono regolare fino al 30% di tutti i geni codificanti proteine (Lewis et al., 2005).
1.9.2 Ruolo dei miRNA nella neurodegenerazione
Recenti studi suggeriscono che alla base delle malattie neurodegenerative ci sia un coinvolgimento di meccanismi epigenetici e quindi di una alterata regolazione post-trascrizionale. Pertanto, l’alterazione dell’espressione di miRNA può provocare una deregolazione di geni chiave e dei pathway che contribuiscono allo sviluppo della malattia (Figueroa-Romero et al., 2016). Molti miRNA risultano deregolamentati nelle malattie neurodegenerative: in particolare, miRNA-29 e miRNA-206 risultano sovraregolati nella SLA.
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L’apoptosi è un aspetto necessario dello sviluppo neuronale ed il meccanismo sottostante con cui le malattie neurodegenerative si manifestano. L’espressione appropriata di elementi regolatori come i miRNA mantengono l’equilibrio tra sopravvivenza e apoptosi (Roshan et al., 2009). Un eccellente miRNA candidato che potrebbe svolgere un ruolo nella neurodegenerazione e nella sopravvivenza neuronale è miRNA-29, che riveste un’importanza anche neuroprotettiva.
Gene Descrizione
NAV3 neuron navigator 3
VEGFA vascular endothelial growth factor A
TNFRSF1A tumor necrosis factor receptor superfamily, member 1A
MAP6 microtubule-associated protein 6
NAV2 neuron navigator 2
TRAF4 TNF receptor-associated factor 4
BMF Bcl2 modifying factor
MAPK10 mitogen-activated protein kinase 10
PDGFRA platelet-derived growth factor receptor, alpha polypeptide
IL1RAP interleukin 1 receptor accessory protein
NAV1 neuron navigator 1
Tabella 1. Target miRNA 29
Diversi target di miRNA-29 sono stati identificati e convalidati in vitro. Tra di essi si annoverano anche membri della famiglia di proteine Bcl-2 che includono proteine pro-apoptotiche BH3-only ed inibisce la traduzione di proteine anti- pro-apoptotiche. Questi ruoli contraddittori nell’apoptosi non sono ancora ben compresi nel sistema neuronale. È stato anche mostrato che miRNA-29 ha come bersaglio Cdc42 e p85α, agendo quindi come un regolatore positivo di p53 (Park et al., 2009).
Un altro miRNA che potrebbe essere un buon candidato come biomarcatore diagnostico per la SLA è il miRNA-206, la cui disregolazione è coinvolta in molti disturbi muscolari scheletrici. È stato infatti dimostrato un incremento nei livelli di espressione di
miRNA-206 circolante in pazienti affetti da SLA (Toivonen et al., 2014). Il miRNA-miRNA-206 è richiesto
per una rigenerazione muscolare efficiente ed una diminuzione di tale miRNA può accelerare la progressione della malattia. Il miRNA-206 rileva danni nei motoneuroni e promuove meccanismi compensatori che portano alla rigenerazione delle giunzioni neuromuscolari, la sua espressione è aumentata per contrastare la progressione della
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malattia, ma è stato dimostrato nei topi che non riesce a invertire completamente la malattia. La sovraespressione di miRNA-206 nei muscoli scheletrici potrebbe ritardare la debolezza muscolare osservata nei pazienti con SLA: i suoi livelli in un paziente potrebbero indicare il grado di potenziale rigenerazione muscolare.
Tra le migliaia di target di miRNA-206 identificati tramite vari strumenti bioinformatici (Witkos et al., 2011), oltre 50 sono validati sperimentalmente (Tabella 2). Questi includono un gran numero di fattori coinvolti nella regolazione trascrizionale (fattori di trascrizione e quelli coinvolti nelle modificazioni della cromatina), ciclo cellulare e segnalazione intracellulare, fattori e recettori secreti, così come proteine nelle giunzioni sinaptiche o cellulari.
Gene Descrizione
PAX 3 Paired box transcription factor PAX 7 Paired box transcription factor MAP4K3 MAP Protein kinasi
CDC42 GTPase of the Rho-subfamily BDNF Growth factor
IGF1 Growth factor VEGFA Growyh factor
HDAC4 Histone deacetylase 4
Tabella 2. Target miRNA-206
Essendo miRNA-29 coinvolto nell'equilibrio tra sopravvivenza e apoptosi neuronale ed essendo NAV3 uno dei suoi principali target, un suo incremento nel plasma di pazienti SLA potrebbe andare ad influenzare la stabilità e la traduzione degli mRNA di NAV3, proteina nucleare legata alla rigenerazione nucleare. Inoltre, una sovraregolazione di
miRNA-29 è associata ad una inibizione dell'antiapoptotico Mcl-1, che aumenta la
sensibilità dei neuroni all'apoptosi indotta dallo stress del reticolo endoplasmatico (Nolan et al., 2016). Quindi un'upregolazione di miRNA-29 potrebbe influenzare la degenerazione neuronale andando ad agire sui componenti molecolari coinvolti nell'apoptosi. miRNA-206 sembra, invece, svolgere un ruolo essenziale durante la patogenesi della compromissione e della rigenerazione del muscolo scheletrico. Esso
26 gioca un ruolo protettivo nella rigenerazione delle giunzioni neuromuscolari nella SLA (Hawley et al., 2017). I suoi livelli aumentano ma non in modo sufficiente da ripristinare l’integrità dei motoneuroni. Questa alterazione dei suoi livelli può derivare dalla denervazione e degenerazione muscolare; pertanto la misurazione di questi livelli nel corso della malattia di un paziente potrebbe rivelarsi utile nel monitoraggio della
progressione della malattia e delle risposte terapeutiche.
Un altro miRNA interessante da indagare è il miRNA-155, uno dei più importanti miRNA coinvolto nei processi infiammatori. Si ritiene che il miRNA- abbia una funzione proinfiammatoria ed è possibile che i livelli di miRNA-155 elevati nella SLA riflettano la neuroinfiammazione in atto. Sembra essere necessario per la progressione della risposta immune mediante la modulazione di SOCS-1, suggerendo che, in un contesto di infiammazione cronica, la sua inibizione possa avere un effetto neuroprotettivo (Seddiki et al., 2014).
È stato dimostrato che i maggiori target di miRNA-155 sono geni della microglia riportati nella tabella sottostante. Tramite studi effettuati su roditori affetti da SLA, è stato riscontrato che l’ablazione genetica di miRNA-155 ripristina l’espressione dei geni microgliali ed attenua l’espressione dell’apolipoproteine Apo-e, che risulta essere il maggiore mediatore pro-infiammatorio nella progressione della malattia. (Butovski et al., 2015)
Gene Descrizione
WEE1 WEE1 G2 checkpoint kinase
IRF2BP2 interferon regulatory factor 2 binding protein 2 TP53INP1 tumor protein p53 inducible nuclear protein 1
SOCS5 suppressor of cytokine signaling 5
TAB2 TGF-beta activated kinase 1/MAP3K7 binding protein 2 MAP3K14 mitogen-activated protein kinase kinase kinase 14
IL17RB interleukin 17 receptor B
PAXBP1 PAX3 and PAX7 binding protein 1 BARD1 BRCA1 associated RING domain 1
IL6R Interleukina 6 Receptor
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1.9.3 I miRNA circolanti
Mentre la maggior parte dei miRNA si trovano a livello intracellulare, un numero significativo di miRNA è stato osservato al di fuori delle cellule, tra cui vari fluidi corporei. (Hanson et al., 2009)
È stata dimostrata infatti la presenza di miRNA endogeni circolanti nel plasma umano. (Mitchel et al., 2008). In diversi studi è stata valutata l’espressione di diversi miRNA eed è stato notato che, a differenza dei mRNA, i miRNA circolanti esprimevano una notevole stabilità e resistenza alla degradazione da parte delle RNAsi endogene. Questo suggerisce che probabilmente i miRNA che si trovano in circolo sono protetti e resistono all’attività delle Rnasi.
Questi miRNA sono stabili e mostrano profili di espressione distinti tra i diversi tipi di fluidi. Data l’instabilità della maggior parte delle molecole di RNA nell’ambiente extracellulare, la presenza e l’apparente stabilità dei miRNA nell’ambiente extracellulare è sorprendente, poiché il siero - ma anche gli altri fluidi corporei - sono noti per contenere ribonucleasi, il che suggerisce che i miRNA secreti siano probabilmente protetti in qualche modo dall’azione di digestione delle RNAsi.
I miRNA potrebbero essere protetti dalla degradazione mediante l’impacchettamento in vescicole lipidiche o l’associazione con complessi di proteine leganti l’RNA (Gibbings et al., 200; Valadi et al., 2007) (Figura 3). Nonostante ormai ci siamo prove chiare della presenza di miRNA nei fluidi corporei, l’origine - e in particolare la funzione - di questi miRNA circolanti extracellulari rimangono poco comprese. Una delle ipotesi più interessanti è che i miRNA extracellulari vengano utilizzati come mediatori della comunicazione intercellulare (Camussi et al., 2010). In questo caso alcuni miRNA sono presumibilmente indirizzati all’esportazione verso una cellula, dove possono essere riconosciuti, internalizzati ed utilizzati.
Utilizzando linee cellulari in coltura, alcuni studi hanno indagato in dettaglio il fenomeno di esportazione dei miRNA. Gli autori riportano la presenza di miRNA intracellulari ed extracellulari, suggerendo l’esistenza di uno specifico sistema di esportazione dei miRNA, controllato da sfingomielinasi 2 (nSMase2) attraverso un meccanismo secretorio ceramide-dipendente (Kosaka et al., 2010) ed evidenziando la presenza di proteine che possono trasportare selettivamente i miRNA e proteggerli nell’ambiente extracellulare.
28 Recenti studi hanno inoltre identificato sia mRNA sia miRNA in due tipi di vescicole lipidiche derivati da cellule; microvescicole ed esosomi. Le microvescicole sono vescicole relativamente grandi (~100nm-1µm) rilasciate dalla cellula attraverso il blebbing della membrana. Gli esosomi, invece, sono vescicole più piccole (~30-100nm) rilasciate quando i corpi multivescicolari endosomiali si fondono con la membrana plasmatica. I miRNA sono stati identificati sia negli esosomi sia nelle microvescicole derivate da diversi tipi cellulari e fluidi corporei, tra cui mastociti umani e murini (Valadi et al., 2007), cellule di glioblastoma (Skog et al., 2008), plasma (Hunter et al., 2008), saliva (Michael et al., 2010) ed urine (Dimov et al., 2009).
Figura 3. Meccanismi cellulari di rilascio e sistemi di trasporto extracellulari dei miRNA. Nel citoplasma i pre-miRNA possono essere incorporati in piccole vescicole chiamate esosomi
(2) o nelle microvescicole (3). I miRNA si trovano anche in circolo non associati alle vescicole., bensì a lipoproteine ad alta densità o legati a proteine leganti l’RNA, come Ago-2. Non è noto come questi
complessi proteina-miRNA vengano rilasciati dalla cellula. Questi miRNA possono essere rilasciati passivamente, come sottoprodotti della morte cellulare, o attivamente in modo specifico (4) (Creemers
et al., 2012)
Un altro studio ha inoltre proposto che le lipoproteine ad alta densità (HDL), oltre al ruolo classico come veicoli di consegna per il colesterolo cellulare in eccesso, possano
29 fungere anche come trasportatori di miRNA endogeni. Allo stesso modo delle vescicole, le HDL si legano ai miRNA facilitandone il trasporto nel sangue e la consegna alle cellule riceventi (Vickers et al., 2011).
È interessante notare che l’analisi dell’RNA totale estratto da HDL e da esosomi provenienti dal plasma di individui sani ha rivelato che il profilo di miRNA è diverso tra queste due strutture.
Inoltre, sembrerebbe che Ago-2 non sia l’unica proteina capace di legare i miRNA rilasciati nel terreno di coltura cellulare, ma un totale di 12 RNA-binding protein, tra cui nucleofomina (NPM1), sono state identificate mediante spettrometria di massa nel terreno di fibroblasti umani dopo 2 ore dalla privazione del siero (Wang et al., 2010). Questi risultati sfruttano l’ipotesi che almeno alcuni miRNA esportati vengano utilizzati per la comunicazione intercellula, anche se sono necessari più studi per determinare come i miRNA vengano specificamente indirizzati alla secrezione, come poi vengano riconosciuti per essere internalizzati dalla cellula ricevente, e quali informazioni possano essere trasmesse tramite questo processo.
1.9.4 Il meccanismo di sorting dei miRNA all’interno degli
esosomi
Alcuni recenti studi hanno dimostrato che i miRNA non sono impacchettati in modo casuale all’interno degli esosomi. Guduric-Fuchs e collaboratori hanno analizzato i livelli di espressione dei miRNA in varie linee cellulari e negli esosomi secreti, scoprendo che alcuni miRNA entrano preferenzialmente negli esosomi (Guduric-Fuchs et al., 2012). Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che i livelli di espressione dei miRNA esosomiali sono alterati in diverse condizioni fisiologiche. Tutti questi studi dimostrano che le cellule d’origine possiedono un meccanismo di selezione che guida specifici miRNA intracellulari ad entrare negli esosomi.
Sulla base di recenti ricerche, esistono 4 potenziali percorsi per il sorting dei miRNA negli esosomi, anche se i meccanismi alla base rimangono in gran parte poco chiari:
30 1) pathway che dipendono dalla sfingomielinasi neurale 2 (nSMase2). nSMase2 è stata la prima molecola correlata alla secrezione dei miRNA attraverso gli esosomi ad essere indentificata. Kosaka e collaboratori hanno scoperto che l’espressione di nSMase2 aumentava il numero di miRNA exosomali, e al contrario la sua inibizione ne riduceva il numero (Kosaka et al., 2013).
2) pathway dipendenti da hnRNPs (heterogeneous nuclear Ribonucleoproteins). Villarroya-Beltri e collaboratori hanno scoperto che hnRNPA2B1 sumoilata potrebbe essere in grado riconoscere il motivo GGAG in posizione 3’ sulla sequenza del miRNA e causare di conseguenza l’impacchettamento di miRNA specifici negli esosomi. Allo stesso modo, altre due proteine della famiglia hnRNP, hnRNPA1 e hnRNPC, sono in grado di legare i miRNA esosomali, suggerendo che potrebbero essere candidate nel sorting dei miRNA (Villarroya-Beltri et al., 2013).
3) pathway dipendenti dalla sequenza al 3’-terminale del miRNA. Koppers-Lalic e collaboratori hanno scoperto che miRNA con l’estremità 3’ uridilata erano principalmente presentati negli esosomi derivati da cellule B o nelle urine, mentre miRNA con l’estremità 3’ adenilata restavano principalmente all’interno delle cellule B (Koppers-Lalic et al., 2014). Le due modalità di selezione sopra nominate indicano che la porzione terminale in posizione 3’ del miRNA potrebbe contenere una sequenza critica nella scelta dei miRNA che verranno indirizzati agli esosomi.
4) pathway dipendenti da miRISC. È ben noto che i miRNA maturi possono interagire con le proteine di assemblaggio formando un complesso chiamato miRISC. I componenti principali di miRISC includono miRNA, mRNA che può essere represso da miRNA, GW182 (famiglia di proteine che interagisce con le proteine Ago promuovendo il silenziamento del target (Braun et al., 2013) e Ago-2. La proteina Ago-2 nell’uomo preferisce legarsi a U (Uracile) o A (Adenina) all’estremità 5’ dei miRNA, svolgendo un ruolo importante nel destino
31 dell’mRNA: la formazione di miRNA e la conseguente repressione traslazionale o degradazione della molecola dell’mRNA. (Frank et al., 2010)
Figura 4. (Zhang et al., 2015). I miRNA maturi vengono indirizzati agli esosomi con quattro potenziali modalità:
(1) pathway nSMase2-dipendente;
(2) La proteina hnRNP sumoilata riconosce il motivo GGAG al 3’ del miRNA e guida miRNA specifici negli esosomi.
(3) i miRNA che sono preferenzialmente ordinati in esosomi hanno più (U) in posizione 3’. (4) miRISCs è co-localizzato nei siti di biogenesi degli esosomi (Zhang et al., 2015).
1.9.5 I miRNA come biomarcatori
Dieci anni dopo la scoperta del primo miRNA in C. elegans nel 1993, sono stati trovati a centinaia in organismi evolutivamente lontani come l’uomo, il verme, il moscerino della frutta, persino nella piccola pianta Arabidopsis thaliana, ingenerando una vera e propria rivoluzione nella nostra comprensione dei meccanismi che regolano l’espressione genica. L’identificazione di dozzine di miRNA in tutte le specie ha suggerito che
32 costituiscono effettivamente un enorme gruppo di regolatori molecolari (Denti et al., 2011). Così, cominciando ad indagare su quale fosse la loro funzione, si scoprì che i miRNA sono presenti non soltanto nei tessuti ma anche nei fluidi extratissutali, come sangue, urine e fluido cerebrospinale, e grazie ai cambiamenti nei loro livelli di espressione si sono rivelati essere degli utilissimi biomarcatori, cioè indicatori di specifici stati patologici (Moldovan et al., 2014).
Il vantaggio dell’utilizzo dei miRNA come biomarcatori risiede nella facilità ed accuratezza con le quali possono essere misurati e nella loro estrema specificità (Denti et al., 2011): infatti, i profili dei miRNA nei fluidi corporei di persone malate sono notevolmente diversi dai profili dei soggetti sani, ed alcuni miRNA specifici si ritrovano enormemente aumentati o diminuiti in particolari malattie. Inoltre, i miRNA nei liquidi corporei rimangono stabili in diverse condizioni estreme, come la bollitura, un pH molto basso o alto, il congelamento-scongelamento ripetuto, e la conservazione a temperatura ambiente per un lungo tempo.
Da queste considerazioni consegue che i miRNA nei fluidi corporei potrebbero essere utilizzati come marcatori diagnostici per specifiche malattie, anche perchè è molto più facile studiare il profilo del livello globale di miRNA, piuttosto che quello di proteine o metaboliti, grazie all’alta sensibilità e velocità delle tecniche di profilatura.
1.10 Le vescicole extracellulari
Mentre in precedenza si era pensato che le vescicole extracellulari (EV) fossero solo un meccanismo per scartare componenti cellulari non funzionanti, negli ultimi dieci anni esse sono state riconosciute come potenti mezzi per la comunicazione intercellulare, sia nei procarioti sia negli eucarioti. Ciò è dovuto alla loro capacità di trasferire proteine, lipidi ed acidi nucleici, influenzando così diverse funzioni fisiologiche e patologiche sia delle cellule target (Sybren et al., 2016).
Gli EV possono avere funzioni autocrine e paracrine, controllando processi come sviluppo, proliferazione, migrazione e meccanismi patogenetici.
33
1.10.1 Classificazione delle Vescicole Extracellulari
Le vescicole extracellulari (EV) comprendono un’ampia varietà di vescicole limitate da membrana rilasciate dalle cellule. Possono essere classificate in 3 sottoclassi, in base alla loro origine o dimensione: corpi apoptotici, microvescicole (MV) ed esosomi (Crescitelli
et al., 2013; Abels e Breakefield,2016).
I corpi apoptotici rappresentano le più grandi EV con dimensioni che vanno da 1.000 a
5.000 nm: il nome è dovuto alla loro origine, poiché sono rilasciati come blebs da cellule sottoposte a morte programmata. Le MV variano in dimensioni da 100 a 1.000 nm e sono prodotte da gemmazione esterna della membrana plasmatica. Infine, gli esosomi sono le vescicole più piccole (30-100 nm) e derivano dal sistema endosomiale. Infatti, essi non provengono dalla membrana plasmatica, ma derivano dalla gemmazione interna delle vescicole nel lume dei primi endosomi (Raposo e Stoorvogel, 2013; Yáñez-Mó et al., 2015; Ban et al., 2016; Kalamvoki and Deschamps, 2016).
Le diverse caratteristiche vescicole extracellulari sono riportate nella tabella sottostante:
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Exosomes Microvesicles Apoptotic Bodies
Origin Endocytic pathway Plasma membrane Plasma membrane
Size 30-100 nm 100-1,000 nm 1000-5,000 nm Function Intercellular communication Intercellular communication Facilitate phagocytosis Markers Alix, Tsg101, tetraspanins (CD81, CD63, CD9), flot illin Integrins, selectins, CD40 Annexin V, phosphatidylserine Contents
Proteins and nucleic acids (mRNA, miRNA and other non-coding
RNAs)
Proteins and nucleic acids (mRNA, miRNA and other non-coding
RNAs)
Nuclear fractions, cell organelles
Tabella 4. Classificazione e caratteristiche delle vescicole extracellulari
DIMENSIONI. Le vescicole vengono considerate di forma sferica nel loro stato naturale: quindi la dimensione proposta è di solito il diametro.
Per determinare la dimensione delle vescicole per lo più viene utilizzato il TEM: la misura viene eseguita nel vuoto, fissazione e disidratazione sono step essenziali della preparazione e possono influire sulle dimensioni e la morfologia delle vescicole (van der Pol et al., 2010).
MORFOLOGIA. La morfologia degli esosomi è stata tradizionalmente definita “cup-shaped”, dopo fissazione, adesione, colorazione negativa e visualizzazione mediante TEM. Tuttavia, non è noto se questa caratteristica sia un artefatto dovuto alla preparazione del campione o una caratteristica unica degli esosomi, che in tal caso potrebbe essere utilizzata per distinguere vescicole derivate dalle cellule da altri tipi di particelle con uguali dimensioni.
35 COMPOSIZIONE PROTEICA ED ORIGINE SUB-CELLULARE Gli studi sulle EV riguardo la loro origine intracellulare, rispetto ad un’origine diretta dalla membrana plasmatica, sono spesso basati sulla misurazione della composizione lipidica e proteica (ad es. mediante Western blotting e spettrometria di massa).
Ad oggi, né la dimensione, né la morfologia, né la composizione biologica costituiscono dei validi criteri che permettono di distinguere un tipo di vescicola dal’altro.
Ancora oggi non sono stati identificati degli specifici marcatori delle EV: sarà quindi necessario isolarne e caratterizzarle mediante combinazione di più protocolli, in quanto le proteine non sono marcatori specifici delle EV.
Figura 5. Rappresentazione dei principali tipi di vescicole extracellulari, delle loro caratteristiche e dei meccanismi di biogenesi
1.10.2 Gli esosomi
Gli esosomi sono presenti in quasi tutti i fluidi biologici, tra cui urina, sangue, ascite, e nel liquido cerebrospinale, frazioni di fluidi corporei come siero e plasma, e nei terreni
36 delle colture cellula. Sono rilasciati dalla maggior parte dei tipi cellulari nello spazio extracellulare dopo fusione con la membrana plasmatica (Simons et al., 2009; Mathivanan et al., 2010; Gross et al., 2012). I lipidi e le proteine sono i componenti principali delle membrane esosomiali, con livelli relativamente alti di colesterolo, sfingomielina e ceramide e particolari microdomini di membrana resistenti ai detergenti dette zattere lipidiche (lipid rafts). Oltre alle proteine coinvolte nel trasporto e nella fusione di membrane, come Rab, GTPasi, annexina e flotillina, heat shock protein (HSP), integrine e tetraspanine, tra cui CD63, CD81, CD82 (Cocucci et al., 2009) recentemente sono stati identificati diversi acidi nucleici nel lume esosomiale, inclusi mRNA, miRNA e altri RNA non codificanti (ncRNA) (Sato-Kuwabara et al., 2015). Questi RNA esosomiali possono essere assorbiti da cellule vicine o cellule distanti quando circolano gli esosomi, e successivamente modulano le cellule riceventi. La scoperta della loro funzione nello scambio genetico tra le cellule ha portato ad una crescente attenzione verso gli esosomi.
1.10.2.1 Pathway di formazione e di rilascio degli esosomi
La biogenesi degli esosomi inizia nel sistema endosomiale con la formazione di vescicole endocitiche da regioni specializzate della membrana plasmatica. Questo processo può essere dipendente, come ad es. per il recettore della transferrina, oppure clatrina-indipendente come per le proteine ancorate a GPI (glicosilfosfatidilinositolo). Queste vescicole si staccano dalla membrana plasmatica e vengono indirizzate verso gli endosomi precoci con cui si fondono. Gli endosomi precoci maturano in endosomi tardivi o MVB: durante questo processo la membrana endosomiale viene invaginata per generare vescicole intraluminali (ILV) nel lume degli organelli (Huotari et al., 2011). La trasformazione nel tardo endosoma può anche essere rilevata osservando un cambiamento nella sua forma e posizione: l’endosoma precoce è di forma tubolare e si trova di solito nella porzione esterna del citoplasma, mentre il tardo endosoma è sferico e si colloca più vicino al nucleo (Keller et al., 2006). L’ultimo endosoma contenente ILV è anche chiamato corpo multivescicolare (MVB) (Niel et al., 2006). Il destino del MVB può variare. Tipicamente, si fonde con il lisosoma ed il suo contenuto, quindi viene degradato dall’idrolisi all’interno del lisosoma. Le proteine contenute nel MVB destinate
37 alla degradazione da parte del lisosoma si trovano negli ILV, mentre le proteine che possono avere un’altra funzione si trovano all’esterno degli ILV dell’MVB. Tuttavia, il meccanismo con cui questo processo si verifica non è ancora completamente compreso. Sono state proposte possibili teorie riguardanti lo smistamento delle proteine (Simons et al., 2009). Come alternativa alla fusione con il lisosoma, l’MVB può fondersi con la membrana plasmatica della cellula rilasciando i suoi ILV nall’ambiente extracellulare sottoforma di esosomi (van Niel et al., 2006). Gli esosomi sono secreti sia in condizioni normali sia patologiche e da una vasta gamma di tipi di cellule (Henderson et al., 2011), tra cui cellule B e T (Zech et al., 2012), cellule dendritiche, cellule staminali mesenchimali (Lai RC et al., 2010), cellule epiteliali (Kapsogeorgou et al., 2005), astrociti (Wang et al., 2012), cellule endoteliali (Zhan et al., 2009) e cellule cancerose (Keryer-Bibens et al., 2006). Gli esosomi sono stati identificati anche nella maggior parte dei fluidi corporei tra cui l’urina ed il liquido amniotico (Keller et al., 2007), il sangue (Li et al., 2008), il siero (Almqvist et al., 2008), la saliva (Gallo et al., 2012) (Ogawa et al., 2008), il latte materno, il liquido cerebrospinale (Saman et al., 2012) e la secrezione nasale (Qiu et al., 2012).
Figura 6. Esosomi: biogenesi, composizione e funzione. Gli esosomi vengono rilasciati dopo fusione con la membrana plasmatica di corpi multivesticolari (MVB), che sono costituiti da vescicole intraluminali (ILV) dalle vie secretorie (ER, Golgi) e / o endocitiche. I carichi esosomici variano da acidi nucleici, citochine ed enzimi, proteine misfolded. Queste molecole possono essere trasportate nel lume
exosomale o incorporate nella sua membrana. La comunicazione intercellulare viene effettivamente raggiunta dall’assorbimento da parte della cellula recettrice.
38
I macchinari ESCRT (endosomal sorting complex required for transport) sono importanti in questo processo. ESCRT consiste di 4 diversi complessi proteici; ESCRT-0, -I, -II, -III ed il complesso associato alla Vps4 ATPasi. ESCRT funziona per ordinare le proteine di carico di ILV. Funziona sulla membrana endosomiale / MVB e riconosce le proteine ubiquitinilate che sono associate a tetraspanine e possibilmente quelle che sono ancorate al GPI, disposte in modo tale sulla membrana che sono destinate a diventare
contenuti di esosomi. (van Niel et al., 2006; Simons et al., 2009) Alcuni studi suggeriscono che la biogenesi del MVB può verificarsi senza ESCRT. Ad es.,
è stato dimostrato che nonostante il silenziamento simultaneo delle subunità chiave di tutti e quattro i complessi ESCRT, le ILV sono ancora formate in MVB, indicando così la presenza di meccanismi indipendenti da ESCRT (Stuffers et al., 2009).
1.10.2.2 Esosomi e neurodegenerazione
Anche se scarsamente studiato, si ritiene che il rilascio di esosomi sia influenzato da altri eventi cellulari ed è stato descritto che i recettori glutammatergici AMPA e NMDA sinaptici modulano il rilascio di esosomi in neuroni differenziati. Numerosi lavori hanno confermato il ruolo degli esosomi nella modulazione dell’attività sinaptica, come ad es. il rilascio polarizzato degli esosomi nelle sinapsi (Mittelbrunn et al., 2015). Gli esosomi possono infatti agire come nuovi meccanismi di comunicazione trans-sinaptica, in cui fattori sinaptogenici come la proteina presinaptica Evi vengono rilasciati nella fessura sinaptica attraverso queste vescicole (Korkut et al., 2009).
Un problema emergente nella ricerca sugli esosomi è che la maggior parte degli studi utilizza scenari in cui una certa biomolecola è sovraespressa, a causa di requisiti tecnici o della specifica malattia che viene studiata. Va sottolineato che le tecniche di sovraespressione possono portare ad un evento di trasmissione “forzata” che altrimenti non si verificherebbe in condizioni fisiologiche. Questa preoccupazione, insieme col fatto che la liberazione di esosomi è raramente la via principale della trasmissione da cellula a cellula, si interroga sul fatto che gli esosomi siano un meccanismo complementare ma non necessario di comunicazione paracrina / endocrina. Una volta rilasciati, gli esosomi vengono assorbiti dalla cellula ricevente, in un processo che
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comporta la fusione con la membrana plasmatica e diversi meccanismi di endocitosi che dipendono dal tipo di cellula (Abels e Breakefield, 2016). Nel SNC, ad es., i neuroni internalizzano gli esosomi attraverso endocitosi o fagocitosi (Feng et al., 2010; Fruhbeis et al., 2013), mentre la microglia interiorizza queste vescicole di membrana attraverso la macropinocitosi (Fitzner et al., 2011). L’assorbimento può dipendere dallo stato cellulare della cellula ricevente, poiché i ligandi di superficie riconoscono i recettori sull’exosoma. Tuttavia, una questione importante sulle vescicole extracellulari che rimane ancora senza risposta sulle vescicole extracellulari è se la cellula ricevente abbia qualche ruolo nella selezione del carico ricevente, o se questo dipenda solo dalla cellula emissaria. Altri fattori che modulano l’assorbimento degli esosomi sono la presenza di proteoglicani eparan solfato (HSPG) sulla membrana plasmatica (Atai et al., 2013; Christianson et al., 2013) o il blocco di specifici recettori sulla membrana plasmatica. La comunicazione intercellulare è una pietra miliare nella ricerca sulle malattie neurodegenerative. Al di là dei complessi eventi molecolari che avvengono all’interno della cellula, gli effetti che questi possono avere sulle cellule vicine o distanti sono oggetto di un’intensa indagine. Ciò è dovuto principalmente al fatto che la comunicazione avviene spesso attraverso lo spazio extracellulare, il compartimento in cui è più facile intervenire, sia utilizzando uno strumento terapeutico per modificare la malattia, sia sondando e campionando per diagnosticare o valutare la progressione della malattia. Durante l’ultimo decennio, tra i diversi meccanismi di comunicazione intercellulare studiati nelle malattie neurodegenerative, gli esosomi e le vescicole extracellulari sono emersi come attori comuni. La clearance e lo smaltimento di sottoprodotti o molecole tossiche, così come la trasmissione intercellulare di acidi nucleici, citochine ed enzimi, ma anche proteine aggregate o mal ripiegate, sono studiati nella fisiopatologia del cervello. In questo momento, la maggior parte dei progressi sono stati raggiunti in vitro, ma i risultati sono di grande interesse.
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1.10.2.3 Esosomi come biomarker per la malattia
Queste vescicole sono state proposte come possibili biomarcatori per monitorare la progressione della malattia (Figura 7). Infatti, gli esosomi possono essere isolati da fluidi multipli tra cui urina, sangue o liquido cerebrospinale (CSF), il che facilita il loro uso clinico come biomarcatori (Street et al., 2012; Cheng et al., 2014).
1.10.2.4 Esosomi e funzione neuroimmune
Èstato proposto che gli esosomi possano avere un effetto immunomodulatore mediando la segnalazione cellulare tra cellule staminali neurali e cellule precursori (NPC) con il microambiente tramite EV. In uno studio di Cossetti e collaboratori gli EV raccolti dagli NPC consistevano principalmente di esosomi che si trovavano a legare l’interferone gamma (IFN-γ) attraverso il recettore 1 per l’interferone gamma (IFNɣR1), portando all’attivazione del fattore di trascrizione (Stat1). Questi risultati hanno suggerito che la segnalazione di citochine mediata da EV è un importante meccanismo attraverso il quale gli NPC possono propagare alcune delle loro funzioni di modulazione immunitaria (David et al., 2011).
1.11 Neuroinfiammazione
La neuroinfiammazione è un processo infiammatorio “citochina-mediato” che può essere provocato da un danno tissutale sistemico, ma che è più spesso associato ad un danno diretto a carico del SNC (Mazzei et al., 2000).
Gli aspetti della neuroinfiammazione variano nel contesto di malattie, lesioni, infezioni o stress. Il contesto, il corso e la durata di queste risposte infiammatorie sono tutti aspetti critici nella comprensione di questi processi e delle relative conseguenze