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Da “Americana” alle “Conversazioni” illustrate. Foto-testi e scrittura per immagini in Elio Vittorini

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E

LINGUISTICA

Corso di Laurea magistrale in Italianistica

Tesi di Laurea

Da Americana alle Conversazioni illustrate.

Foto - testi e scrittura per immagini in

Elio Vittorini.

RELATORE CANDIDATA

Chiar.mo Prof. Marcello Ciccuto Viola Perullo

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Alberto Casadei

(2)

INDICE

Introduzione

Capitolo I. Elio Vittorini e i primi esperimenti foto – testuali

I. 1. Americana: un’antologia illustrata……….

8

I. 2. Il progetto Politecnico : cultura e immagine………..

19

Capitolo II. Conversazione in Sicilia

II. 1. Premesse alla stesura e genesi del romanzo……….

32

II. 2. L’opera: storia di una conversazione………..

38

II. 3. Un romanzo cinematografico………

46

Capitolo III. Conversazione illustrata

III. 1. L’edizione fotografica del 1953………..

53

III. 2.

L’edizione con illustrazioni di Renato Guttuso del 1986….

70

III. 3. L’edizione con fotografie di Enzo Ragazzini del 1973……

76

Appendice illustrata

I. Campione di fotografie tratte dall’edizione di Conversazione del 1953

con la collaborazione di Luigi Crocenzi ……….

79

II. Campione di fotografie tratte dall’edizione di Conversazione con

illustrazioni di Renato Guttuso ……….…

86

III. Campione di fotografie tratte dall’edizione di Conversazione illustrata

con fotografie di Enzo Ragazzini ………..

92

(3)

Introduzione

Nel secolo scorso si è assistito per la prima volta alla compresenza e all’ibridazione di letteratura e nuove forme di comunicazione visiva da cui le espressioni letterarie tradizionali sono state contaminate e modificate, talvolta anche profondamente.

Il linguaggio dell’immagine è in effetti la forma d’espressione che meglio di altre ha rilevato la cifra fortemente visiva del Novecento: dal disegno alla pittura, dalla fotografia al cinema.

La tradizione letteraria novecentesca ha quindi dovuto confrontarsi con la dimensione aliena dell’immagine come linguaggio iconico e complementare ad essa.

Inoltre le nuove forme di comunicazione visiva, oltre a convivere con le forme artistiche tradizionali, diedero un forte impulso all’industria culturale di massa che proprio in quegli anni andò affermandosi sempre più.

In effetti esemplificativi di questo impulso a nuove forme espressive sono l’invenzione della fotografia prima e del cinema dopo che hanno avuto un forte impatto sull’esperienza culturale dell’uomo moderno.

Queste innovative forme di comunicazione tuttavia vennero recepite come una minaccia dal ceto intellettuale che provava una diffusa avversione alle innovazioni che potessero mettere a repentaglio il primato della letteratura.

Inizialmente la maggior parte degli scrittori italiani diffidarono dei nuovi media e delle loro svariate forme di comunicazione come radio, cinema, televisione, fotografia, fumetti, fotoromanzi, in quanto sostenevano che esse avrebbero potuto involgarire il primato della letteratura nei processi di produzione delle forme estetiche.

In pratica l’atteggiamento generale dei letterati italiani era da una parte un evidente rifiuto alla cooperazione e all’innovazione in nome della tradizione, dall’altra una supposta superiorità della loro arte come elemento intangibile.

Tuttavia dobbiamo tener presente che proprio la fotografia ed il cinema hanno avuto, dal Novecento fino ad’oggi, un ruolo fondamentale nell’affrontare anche teoricamente la problematica natura del rapporto che intercorre tra realtà e la sua riproduzione e rappresentazione.

(4)

Non a caso i filosofi del linguaggio definiscono immaginazione il processo di produzione delle immagini, ovvero quell’attività in cui avviene la trasformazione di un corpo o di un segno in un altro segno che contenga in sé un alto grado di iconicità. Questa breve premessa serve a sottolineare come il cinema, la fotografia e la letteratura invece trovarono una sistemazione all’interno della teoria artistica di uno degli autori più impegnati ed eclettici della letteratura italiana novecentesca: Elio Vittorini.

Convinto assertore che l’arte debba colpire l’immaginazione, Vittorini si pose il problema di quale relazione intercorresse tra il racconto per immagini e il racconto letterario, sollecitato anche da una propria convinzione filosofica.

Elio Vittorini era convinto, come affermerà nel 1948 nel suo intervento ai Recontres

Internationales de Genève, che l’arte non consiste scontatamente nella rappresentazione

fotografica della realtà ma che fosse l’artista, con qualsiasi tecnica si esprimesse, a dare significato al movimento reale; un significato che corrisponde alla conoscenza.

Ecco allora che il cinema, la fotografia, la letteratura, il disegno, dovettero essere per Elio Vittorini delle risposte diversificate dello stesso problema.1

La fotografia, nuova disciplina della visione, ha in comune con la pittura una sostanziale fissità, ma allo stesso tempo cambia la concezione dello sguardo che si trasforma da interno ad esterno. Inoltre a Vittorini principalmente interessa il movimento perciò il singolo fotogramma in sé non è da considerarsi necessariamente artistico mentre una sequenza di fotogrammi, come nei film, aveva possibilità di esprimere qualcosa d’artistico.

La fotografia è infatti intesa come parte morfologica del linguaggio cinematografico e quindi ha in sé le potenzialità della scrittura filmica.

Più che nella fotografia, quindi è nel cinema che Vittorini scorge la possibilità di poter riunire le varie tecniche, dalla letteratura alla musica, in quanto esso rappresenta una vera e propria disciplina politecnica che unifica in sé in vari linguaggi.

È proprio la sua carriera come segretario di redazione a Solaria e la collaborazione con

Bargello il primo tassello per comprendere le soluzione espressive adottate da Vittorini

successivamente a livello letterario in quanto in queste riviste si registra una completa apertura al nuovo, in tutte le attività artistiche, fra cui fascicoli dedicati al cinema.

1 E.Vittorini, Rencontres Internationales de Genève, in Diario in pubblico, Bompiani, Milano, 1999,

(5)

Sebbene non siano molti gli scritti vittoriniani a proposito della Decima Musa, soprattutto recensioni di film concernenti l’aspetto teorico – critico, essi sottolineano l’interesse per la possibilità di nuovi codici espressivi che in effetti influenzeranno Vittorini sia in ambito letterario che personale.

Anche l’apertura di un Cine Club a Firenze nel 1932 di cui Vittorini fu assiduo frequentatore sicuramente ebbe un influsso sul suo approccio d’apertura verso queste forme comunicative e visive nuove.

Il fascino della sintassi cinematografica e del montaggio filmico o fotografico sono elementi fondamentali che contaminano la stile della narrativa di Vittorini; tracce evidenti si individuano nell’esperienze di Americana e del Politecnico, nonché nella stessa scrittura letteraria di Conversazione in Sicilia.

Infine un ulteriore passo verso la presenza predominante del cinema e della fotografia si avrà nella rielaborazione di Conversazione in Sicilia in un’edizione illustrata.

Il romanzo infatti si presenta, come scrive Falaschi nella nota introduzione, attraverso una scrittura bicromatica tutta resa nelle sfumature del bianco e del nero.

Ulteriori riferimenti cinematografici, citando Sebastiano Gesù, si individuano nella :

Predominanza di forme e di volumi rintracciabili lungo il corpo del testo. Paesaggio e persone, prima ancora di assumere la connotazione di ambienti e di esseri umani, si presentano sotto forma di volumetrie, di silhouette o di masse amorfe che emergono dalla luce o dal buio.2

Il rapporto parole e immagini che Vittorini desidera trasporre nel suo romanzo è un criterio cinematografico applicato alla fotografia come ribadisce lui stesso, dopo gli esiti convincenti dell’edizione fotografica di Conversazione, in un articolo intitolato “La foto

strizza l’occhio alla pagina” su << Cinema nuovo >> del 15 aprile 1954:

Qualunque libro, di narrativa o di poesia, come di storia o di critica o addirittura di teoria, potrebbe venire illustrato da foto e sarebbe anzi desiderabile che venisse illustrato subito per arricchirsi di efficacia divulgativa […] a condizione, però, che la fotografia sia introdotta nel libro con criterio cinematografico e non solo fotografico, non già

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vignettistico, e che dunque si arrivi ad avere accanto al testo uno specie di film immobile.3

Il concetto di film immobile riunifica fotografia e cinema a livello sia formale che espressivo e rappresenta la chiave di lettura che lo stesso Vittorini fornisce al lettore per leggere l’edizione illustrata di Conversazione in Sicilia del 1953 costruita attraverso una regia a priori, attraverso il montaggio di immagini selezionate che hanno un valore artistico – letterario nel loro insieme e nel raccordo col testo scritto.

Le fotografie sono da considerarsi un apparato non frammentario e singolo bensì unitario e dinamico che può trasmettere contemporaneamente valori estetici, illustrativi, concettuali e documentari.

Infatti ciò che più interessa Vittorini a livello cinematografico, e che cercherà di trasporre in letteratura, è l’aspetto del movimento, della successione di immagini, che avviene attraverso un montaggio.

Il valore della fotografia in sé è quindi un valore, sempre citando Sebastiano Gesù, di materiale grezzo mentre il contenuto fotografico che deve interessare l’artista è la successione di esso piegato alla sua fantasia artistica4.

Oltre alla sua carriera di critico, sia artistico che cinematografico, vi sono state altre due esperienze fondamentali nella vita di Vittorini che hanno fatto maturare e consolidare il suo innovativo approccio alla nuovi arte visive come elementi da poter utilizzare in letteratura.

La prima esperienza personale è quella dell’antologia di testi Americana edita del 1942 corredata di un ricco corpus fotografico di cui Vittorini fu il curatore e dove per la prima volta si videro fotografie che si riferivano alla realtà elaborata dalle pagine.

Quest’opera quindi rappresenta probabilmente la genesi ideativa e il primo esperimento vittoriniano del binomio fotografie – testi narrativi con scopo integrativo.

Lo stesso Vittorini, sempre nell’articolo sopracitato su <<Cinema Nuovo>>, ammette che per Americana l’origine è da rintracciarsi nel cinematografo e non nei libri e nei giornali.

3 E. Vittorini, La foto strizza l’occhio alla pagina, Cinema Nuovo, III, 33, 15 aprile 1954. 4 S. Gesù e N. Genovese, Vittorini e il cinema, Romeo editore, p.28.

(7)

La scelta di inserire fotografie è assolutamente originale e completamente nuova per il panorama letterario italiano ma sicuramente deve molto alla conoscenza che Vittorini aveva della fotografia americana, compresa quella di Walker Evans5 e di altri autori del periodo della Grande Depressione, e di un libro quale American Photograph6.

L’antologia, secondo Vittorini, vanta di essere in Italia il primo libro corredato da illustrazioni fotografiche che accompagnano le pagine narrative riferendosi al testo in sé e non agli autori.

Cosa fondamentale è che, anche per quanto concerne questa antologia, Vittorini è interessato non tanto al valore della singolo fotografia ma piuttosto all’effetto che esse potevano dare insieme nella loro successione, scelta grazie ad un precedente montaggio e ai rapporti di rimando e riverbero che intercorrono fra i vari fotogrammi che formano una vera e propria narrazione.

In sintesi devono prevalere i criteri dell’accostamento e dell’assemblaggio: << il

valore, il tipo, la qualità [ delle fotografie ] in rapporto al testo considerato unitariamente, tutto intero il libro l’Americana7>>.

Il linguaggio visivo si accavalla a quello verbale in un continuo gioco di rimandi e perciò supera i limiti intrinseci del suo esser figurativo.

Vittorini trasformando pagine narrative anche in figura rende la stessa opera in un certo universale ed espressiva per tutti gli uomini.

Questa visione universale viene resa grazie al procedimento dell’iterazione che si realizza attraverso l’uso di immagini in serie e ricorrendo a soggetti sovrapponibili fra loro.

La seconda esperienza personale e professionale che aiuta a comprendere questa volontà estetica di Vittorini è il progetto Politecnico ed il lavoro illustrativo e grafico ad esso collegato. Nelle pagine di questa rivista vengono proposte immagini e storie della nuova Italia del dopoguerra attraverso la formula delle inchieste illustrate come i famosi reportage dedicati ad alcune regioni italiane o dei cosiddetti foto – racconti a cura di Luigi Crocenzi, con cui stabilirà un rapporto professionale e artistico che maturerà fino a sfociare nella collaborazione all’edizione di Conversazione illustrata.

5 Walker Evans ( 1903 – 1975 ) fotografo statunitense, divenuto celebre per aver immortalato gli Stati

Uniti della crisi economica degli anni trenta del Novecento.

6 Libro di fotografie di W. Evans uscito nel 1938.

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Per la realizzazione del Politecnico altra assoluta novità, e spia dell’interesse sempre più forte delle forme visive, è la grafica. Vittorini si avvale dell’importante e fondamentale collaborazione di Albe Steiner, che aveva precedentemente collaborato alla rivista

Domus8, che mira a proporre un nuovo originale rapporto fra testo e pagina nel giornalismo.

Tutto è riconducibile alla convinzione del grande bagaglio di possibilità espressive offerte dai materiali figurativi: dall’uso del colore, ai fumetti, alle fotografie.

Questi elementi non sono puramente decorativi o un surplus ma sono da considerarsi elementi funzionali e indispensabili del settimanale. Nel Politecnico la costruzione del testo è sempre in dialogo con la parola e l’immagine, la grafica e il discorso.

In conclusione possiamo affermare che Elio Vittorini, nell’intero suo percorso artistico, continuamente si confrontò con i nuovi mezzi espressivi tanto da coniugare cinema e fotografia col testo letterario, non con un fine puramente decorativo, bensì concettuale.

8 Rivista fondata nel 1928 che si occupa di architettura, arti applicate, urbanistica, design, grafica

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I. Elio Vittorini e i primi esperimenti foto – testuali

I. 1. Americana: un’antologia illustrata

La genesi ideativa e il primo esperimento vittoriniano del binomio fotografie – testi è sicuramente individuabile in Americana, antologia edita nel 1942 sebbene la sua realizzazione risalisse all’anno precedente, il 1941.

L’antologia introduce in Italia, per la primissima volta, un foto - testo progettato e voluto da Vittorini, caratterizzato da uno strettissimo rapporto dialettico tra testo letterario e testo fotografico.

L’interesse di Vittorini per la letteratura americana è precoce ed è collocabile a partire dagli anni ’30 del Novecento, periodo in cui l’autore iniziò a lavorare a molte recensioni e articoli, soprattutto in riviste come Letteratura ed Omnibus, a proposito di autori del calibro di Defoe, Hawthorne, Melville, Faulkener, Saroyan e Caldwell9.

Sicuramente proprio questo studio della narrativa d’oltreoceano fu uno dei motivi che spinsero Vittorini a progettare la sua antologia americana: un’eccezionale raccolta di scritti di grandi autori americani tradotti in lingua italiana.

Tuttavia la genesi vera e propria di questo progetto antologico è rintracciabile in un gruppo di lettere che segnano l’inizio del rapporto fra Elio Vittorini e l’editore Valentino Bompiani.

A partire dell’aprile 1938 si rintraccia una fitta corrispondenza fra i due che si sviluppa in un dialogo fatto di richieste, consigli, chiarimenti; situazione analoga a quella che avverrà successivamente per la genesi dell’edizione di Conversazione illustrata.

In effetti la corrispondenza fra i due si sostanzia di una comunicazione attiva dato che oltre ad uno scambio epistolare vi è anche una scambio vero e proprio di materiale letterario, romanzi e racconti, da vagliare per il progetto di Americana e selezionato quindi dal consenso di entrambi.

Da questo corpo di lettere quindi emerge tutto l’impegno e la ricerca di Vittorini che ha come fine quello di un’antologia progettata e costruita, un progetto di ricognizione quasi totale della narrativa americana.

(10)

Il lavoro procede in maniera fruttuosa anche grazie all’adesione di numerosi scrittori italiani che collaborarono alle traduzioni in italiano dei testi in lingua originale come si evince dalla lettera inviata a Cesare Pavese il 21 maggio 1940:

Collaboreranno per le traduzioni Montale, Landolfi, Moravia, Linati, Ferrata, Morra e Piero Gadda. Io sarei felice di avere anche la tua collaborazione per esempio per Gertrude Stein e Dos Passos.10

Pavese aderirà in effetti alla richiesta di Vittorini traducendo le Storie di Melanctha della Stein come molti altri letterati italiani apporteranno il loro contributo alla traduzione dei testi americani.

Tuttavia questo progetto così fortemente voluto e costruito fin dal principio con

“furore” fu destinato a lasciare deluse le aspirazioni di Vittorini dato che venne

bloccata la pubblicazione a causa della censura fascista, operata dall’allora ministro della cultura popolare Alessandro Pavolini.

Il motivo del veto di pubblicazione viene esplicitato proprio in una missiva dello stesso Pavolini a Valentino Bompiani: il blocco della censura è legato a questioni politiche, e non culturali, dato che in quel frangente gli Stati Uniti vengono definiti potenzialmente

nostri nemici e l’uscita di tale libro quindi avrebbe potuto solamente alimentare

entusiasmo per la letteratura d’oltreoceano, cosa assai invisa al partito fascista11.

Al fine di meglio comprendere questa vicenda editoriale è doveroso sottolineare che l’interesse di Vittorini nei confronti della letteratura americana non può prescindere dalle contingenze storiche e personali che l’autore aveva vissuto in quegli anni.

Gli ideali fascisti, dapprima sostenuti, crollano infatti inevitabilmente allo scoppio della guerra civile in Spagna e l’inasprirsi della situazione italiana, sia politica che culturale, fa maturare in Vittorini la consapevolezza di far parte di quell’umanità offesa, così come scriverà successivamente in Conversazione in Sicilia.

L’avvicinamento all’America, al “mondo nuovo per l’uomo nuovo12”, una sorta di

mitologica nazione, quindi è dovuto al risveglio della coscienza politica e storica.

10 R.Crovi, Il lungo viaggio di Vittorini, Venezia, Marsilio, 1988, cit. , p.189.

11 G. D’ina e G. Zaccaria, Caro Bompiani. Lettere con l’editore, Milano, Bompiani, 1988, pp.39-40. 12 N. Carducci, Il mondo nuovo per l’uomo nuovo di Vittorini, in Gli intellettuali e l’ideologia americana,

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La letteratura americana, col suo linguaggio di ampio respiro, poteva considerarsi una letteratura universale e l’essere americano viene a coincidere con il sentirsi svincolato da tradizioni e retaggi culturali passati.

La realtà americana per Elio Vittorini offre perciò una possibilità di vita diversa come sottolinea Edoardo Esposito:

[…] prima che pagine di libri e immagine di una libertà che il regime fascista invece conculcava, essa è stata nel tempo, per tanti siciliani, ciò che ci propongono proprio le prime pagine di Conversazione: la possibilità di un riscatto, la prospettiva di una vita non più legata alla catena di un bisogno incolmabile, un mito non intellettuale ma connesso a esigenze elementari e concrete.13

Spia di questo atteggiamento è naturalmente l’introduzione di Vittorini per Americana, parte ovviamente condannata dalla censura, in cui si esalta la vitalità del Nuovo Continente, una terra di liberazione degli uomini pieni di delusione e di stanchezza14, in cui è possibile esser vivi e liberi.

La celebrazione del mito americano era considerata pericolosa quindi dal regime fascista in quanto l’America poteva diventare il simbolo dell’evasione intellettuale e produrre una ribellione contro le gerarchie imposte in quel momento politico.

Grazie anche all’intervento di Bompiani, che scrisse varie lettere al ministro, il libro infine poté esser edito a condizione però che le note critiche, i cosiddetti “corsivi”, scritti dallo stesso Vittorini, per introdurre le varie sezioni dell’antologia, venissero eliminate.

In effetti sono individuabili proprio in queste note e nella prefazione vittoriniana gli elementi più eversivi e quindi pericolosi per il pensiero fascista: l’America come mondo dove si vorrebbe vivere, in cui rilanciare un nuovo umanesimo, un progetto quasi mitico in cui l’uomo può trovar salvezza ed allontanarsi da una tradizione opprimente.

Alla chiusura del regime fascista si controbatte con una tensione alla fuga dalla propria patria, imbarbarita e oppressiva, per una patria nuova in cui ci si può sentire svincolati dai retaggi del passato tradizionale.

13 E. Esposito, Elio Vittorini, Scrittura e Utopia, Roma, Donzelli, 2011,cit. , p.81. 14 E. Vittorini, Americana, Milano, Bompiani, 2002, p.2.

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Vittorini inizialmente non si rassegnò a questa scelta editoriale forzata, tuttavia alla fine

Americana uscì nelle librerie nel 1942, senza le sue note, e con una prefazione stesa

appositamente dallo scrittore fiorentino Emilio Cecchi, distante dalla volontà e dai contenuti di Vittorini.

Naturalmente la scelta di Emilio Cecchi non fu casuale. L’autore in effetti l’anno precedente aveva pubblicato America amara, una sorta di diario di viaggio nel quale l’autore aveva registrato le impressioni riguardanti i suoi soggiorni negli Stati Uniti, che mostra le contraddizioni ed i limiti dell’America e perciò si allontana da quella visione più entusiastica ed eversiva di Vittorini.

Appare evidente infatti come:

Cecchi ripercorreva con distacco professionale l’itinerario vittoriniano, segnalandone le sbrigative scorciatoie e corroggendone gli entusiasmi più accesi, ma soprattutto si impegnava a distruggere il “mito”, riducendolo a moda superficiale e infettiva epidemia.15

In pratica Americana venne stravolta nella sua veste critica originale sebbene, cosa assai importante, rimasero in gran parte, per questioni economiche riguardanti la stampa, gli apparati iconografici16 di corredo al testo scritto, altro elemento assolutamente nuovo e rivoluzionario per l’epoca.

Vittorini inoltre non era estraneo agli incidenti della censura, che già precedentemente aveva bloccato sulla rivista Solaria, nel 1934, la pubblicazione del suo romanzo Il

Garofano rosso.

Infine il testo antologico subirà un ulteriore arresto nel 1943 quando il successore del ministro Pavolini, Gaetano Polverelli, assunse posizioni ben più severe nei confronti dell’antologia dando ordini di ritirarla dal mercato e bloccandone quindi la sua circolazione.

Americana rivide la luce nella ristampa di Bompiani del 1968 nella sua versione

integrale con gli originali testi critici vittoriniani e l’intero apparato illustrativo iniziale.

15 C. De Michelis, Il Progetto di una nuova letteratura. I Gettoni, in Elio Vittorini. Il sogno di una nuova

letteratura, in <<Le lettere>>, 2008, p.222.

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A livello di contenuto il criterio di scelta degli autori da inserire nell’antologia segue due strade: la prima porta alla selezioni di testi di facile comprensione per il lettore, la seconda è quella di non voler pubblicare estratti di romanzi prediligendo la forma del racconto.

Inoltre, tranne per O’Neill e Wilder, non sono presenti né poeti né autori di teatro ed eclatante risulta quindi la mancata presenza di autori quali T.S. Eliot e Ezra Pound. I testi inoltre seguono un percorso di tipo cronologico; infatti la volontà di Vittorini era quella di rappresentare la letteratura americana dalle origini fino agli anni contemporanei. L’ulteriore scelta di suddividere l’antologia in sezioni permette in effetti di raggruppare i testi all’interno di ogni divisione attraverso le note introduttive in cui Vittorini opera una personale analisi critica letteraria sugli stili, i movimenti e gli stessi autori.

In ogni caso, dopo questa breve digressione, è mia volontà soffermarmi sull’elemento iconografico di Americana, aspetto innovativo e fondamentale per comprendere la posizione di Vittorini rispetto alle nuove arti figurative e al loro impiego in letteratura nel Novecento.

Come scriveva Sergio Pautasso:

E si aggiunga che il nucleo letterario, di per è già abbastanza sconvolgente, era corredato da una sequenza iconografica che da sola avrebbe potuto costituire un discorso rivoluzionario.17

Nell’antologia uscita nel 1942 erano presenti ben 147 immagini, in parte tratte da riviste e giornali dell’epoca, all’interno del testo.

Nell’impostazione di questo esperimento foto - testuale probabilmente Vittorini aveva in mente un genere che aveva iniziato a svilupparsi in America proprio tra l’Ottocento ed il Novecento, il documentary book, e che andava aumentando per popolarità e numero di pubblicazioni.

I documentary book degli anni Trenta statunitensi sono da considerarsi dei veri e propri documentari multimediali poiché sfruttano i tre mezzi di rappresentazione: quello

17 S. Pautasso, Guida a Vittorini, Un’avventura esemplare di intellettuale e scrittore, Milano, Rizzoli,

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testuale, quello visivo per immagini e quello sonoro rappresentato indirettamente attraverso le didascalie.

Le didascalie inoltre, in Americana, richiamano allusivamente anche a titoli di giornali, libri, film e testi teatrali americani e perciò hanno una funzione autonoma di veicolo di messaggi e di ampliamento di senso dell’apparato iconografico stesso.18

Esso perciò come genere unisce il testo letterario, il testo fotografico e il testo sonoro in uno stretto rapporto dialettico creando così una forma artistica innovativa al quale spesso è sotteso un intento sociale, politico raramente semplicemente descrittivo.

Tale struttura è sicuramente un modello da cui Vittorini prese spunto per l’impostazione di Americana in cui sono equilibrate le parti in prosa, il materiale iconografico e le didascalie presenti in ogni foto che riproducono l’effetto sonoro del commentatore o riportano, come già detto, riferimenti al mondo americano.

In pratica il risultato di tale progetto può esser accostato per similitudine alle operazioni che ruotano intorno alla creazione di un film con le dovute scelte registiche.

Altra cosa fondamentale è sottolineare il fatto che questo genere d’opera, il

documentary book, era fruibile da un vasto pubblico, non per forza di livello culturale

alto, in quanto le immagini hanno il potere di coinvolgere emotivamente il lettore meno esperto trasmettendo messaggi universali.

In pratica il fine di Vittorini fu quello di creare un’opera che attraverso i vari linguaggi potesse trasmettere più facilmente dei messaggi ai lettori e in primis a quella generazione di giovani che aspirava ad un cambiamento.

A questo proposito vorrei citare l’opinione di Umberto Eco che nel 1990, in occasione di una conferenza alla Columbia University, così riflette sulle fotografie di Americana:

Il libro era multimediale. Non solo libro di brani letterari e raccordi critici, ma anche superba antologia fotografica. Immagini prese dai fotografi del New Deal che lavoravano per la Work Press Administration.

Insisto sulla documentazione fotografica perché ho saputo di giovani che all’epoca furono culturalmente e politicamente rigenerati proprio dall’impatto con quelle immagini, di fronte alle quali provarono il

18 G. Ungarelli, Elio Vittorini: la parola e l’immagine, in <<Belfagor>>, anno LXIII, n 5, 30 settembre

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sentimento di una realtà diversa, e di una diversa retorica, ovvero di una antiretorica.19

In realtà non abbiamo tuttavia testi o altri elementi scritti in cui Vittorini fa riferimento a questa influenza diretta dei foto - testi americani per le sue opere, anzi, nel 1954 su

Cinema Nuovo scriveva che il suo punto di partenza per Americana era stato <<il cinematografo fuori dai libri e dai giornali>>.20

In ogni caso mi trovo concorde con l’opinione di Riccardo Paterlini che sostiene che:

quella dello scrittore credo si possa inquadrare come un’operazione, quanto mai consapevole, di import e rebranding di un “prodotto editoriale” che negli Stati Uniti aveva avuto grande successo.21

In effetti sappiamo con certezza che Vittorini ebbe la possibilità di leggere e vedere alcuni di questi cosiddetti documentary book americani nati all’interno dei progetti della Work Progress Administration.

Nel 1938 nella rubrica “Corriere americano” di Omnibus Vittorini parla dell’esperienza di American Stuff come di un’antologia << illustrata da disegni e stampe degli Artisti

federali, che contiene racconti, poesie, brani di romanzo, eccetera>>.22

Questa soluzione sarà sicuramente apparsa suggestiva per l’idea di accostare opere a testi letterari; struttura simile a quella che Vittorini proporrà nella collana Pantheon. Nella collana Pantheon vi è solitamente la riproduzione di opere d’arte, soprattutto della tradizione pittorica italiana mentre in Americana si tratta di fotografie.

Inoltre, cosa assai più determinante, lo scrittore siciliano fu redattore di recensioni di libri statunitensi con apparati fotografici come Land of the free di MacLeish, You have

seen their faces e North of the Danube di Caldweel e Santuario di Faulkener.

Le opere di Caldweel, autore di importanti inchieste, spiccano per la presenza del corredo illustrativo fotografato dalla moglie Margaret Bourke - White mentre Land of

the free di MacLeish viene stimato da Vittorini per esser un:

19 U. Eco, Il mito americano di tre generazioni antiamericane, in Sulla letteratura, Milano, Bompiani,

2002, pp.284-285.

20 E. Vittorini, La foto strizza l’occhio alla pagina, Cinema Nuovo, III, 33, 15 aprile 1954, p.200. 21 R. Paterlini, Conversazione illustrata. Contrabbando foto testuale in Elio Vittorini, in <<Arabeschi>>,

2014, p.133

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libro curioso composto di fotografie con a fronte il testo in versi, e libro di polemica sociale che denuncia l’inganno di essere liberi in quanto si possiede, a nome d’una urgente necessità di essere liberi in quanto si esiste.23

Sicuramente valida è la posizione di Maria Marras che sostiene che vi sia un filo rosso che unisce Americana, Conversazione in Sicilia e proprio Land of the free da un punto di vista estetico - progettuale. In tutte queste opere infatti le immagini si somigliano a livello di taglio fotografico: dai ritratti dei personaggi, ai gruppi di persone, agli elementi paesaggistici naturali24.

Inoltre è comune sia a Vittorini che a MacLeish l’intento di denuncia politica – sociale che le fotografie possono comunicare.

Vittorini, oltre a Land of the free, segue anche gli altri lavori del poeta statunitense che comparirà ben più di una volta nel Politecnico.

Inoltre altro punto in comune fra Vittorini e MacLeish è l’intento di giocare sulla centralità e sul primato delle immagini inscritti in un preciso progetto letterario.

Americana quindi è da considerarsi il primo esperimento, di questo atteggiamento verso

il figurativo, di un lungo percorso che farà maturare nella mente di Vittorini il desiderio di illustrare il suo romanzo Conversazione con fotografie della sua Sicilia.

Questi richiami naturalmente nulla tolgono all’ innovativa operazione di Vittorini in quanto fu lui per primo in Italia a sperimentare e a introdurre un’antologia del genere.

L’antologia vanta in effetti il primato nell’uso delle fotografie volte ad <<accompagnare delle pagine narrative riferendosi alla realtà rielaborata in quelle

pagine anziché agli autori loro e alla vita degli autori loro>>.25

Le fotografie e le immagini introdotte perciò non sono puramente descrittive ed illustrative ma diventano parte integrante dell’opera nel suo insieme, cooperando in maniera egualitaria col testo narrativo. Importante risulta l’effetto prodotto dall’insieme del testo e delle fotografie, montate con un procedimento narrativo come se esse stesse fossero la storia scritta.

23 E. Vittorini, America, in Letteratura arte società, Torino, Einaudi, 2008, p.9.

24 M. Marras, La fotografia in Americana. Suggestioni dagli States: da Archibald MacLeish ai

documentary book, in <<Il Giannone >>, gennaio – giugno 2003

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In pratica Vittorini << non ama le belle immagini compiute, vuole delle immagini che

siano racconto26>> in cui a prevalere sono i criteri dell’accostamento e

dell’assemblaggio.

Quindi il riconoscimento che va accreditato ad Americana consiste nel fatto che questa antologia è la base sperimentale da cui Vittorini svilupperà il cosiddetto concetto di

“film immobile”, espressione concettualmente ossimorica che unisce alla fissità delle

fotografia il dinamismo del cinema.

Questo criterio sarà poi fondamentale per meglio comprendere le scelte estetiche ed editoriali di Conversazione illustrata, punto d’arrivo di questa lunga vocazione al visivo dello scrittore.

Vittorini non concepisce infatti il singolo fotogramma come artistico poiché mira ad ottenere:

Nuovi valori complessivi tutti investiti di un unico e nuovo significato grazie al quale la realtà rilevata dalle foto non appaia più frammentaria e passiva, ma unitaria, dinamica e trasformabile, come se contenga […] dei progetti di rinnovamento.27

L’apparato fotografico ha un doppio compito: quello di concretizzare idee e situazioni, facendole apparire meno eteree, più reali e rendendole, in tal modo, in qualche misura incontrabili, prestandosi ad un’immedesimazione; e quello di rappresentare condizioni specifiche attraverso immagini che risultino sovrapponibili e coincidenti, accomunando uomini e culture28.

In sintesi le fotografie in Americana, insieme alle didascalie che le accompagnano, costituiscono un ulteriore livello di significazione rispetto al testo, e hanno la funzione di commento e contrappunto simbolico dei passi narrativi.

L’universalità visiva di Americana è resa possibile grazie al procedimento dell’iterazione ovvero attraverso immagini in serie o sovrapponibili mentre dal punto di vista linguistico è creata da una modalità di scrittura tipica del periodare dei narratori statunitensi.

26 G. Ungarelli, Elio Vittorini: la parola e l’immagine, Belfagora, LXIII, 5, 2008, p.506. 27 E. Vittorini, La foto strizza l’occhio alla pagina, in LAS, II, p.702.

28 M. Marras, La fotografia in Americana. Suggestioni dagli States: da Archibald MacLeish ai

(18)

Oltre a marcare l’innovazione nella scelta di inserire fotografie in un’antologia è sicuramente fondamentale individuare da dove esse provengano e come esse siano state selezionate dallo stesso Vittorini.

È appurato che i due canali principali attraverso i quali l’autore individua le immagini da selezionare siano le fotografie di Walker Evans e dei fotografi della Farm Security

Administration.

Lo stesso Ungarelli sostiene che l’arrivo delle fotografie in Italia sia stato attraverso un

“ libro venuto dall’America29” ovvero il volume American Photographs di Walker

Evans e Lincoln Kirstein uscito negli Stati Uniti nel settembre 1938.

Si ipotizza che Vittorini venne a contatto per la prima volta con questo documentary

book attraverso la recensione di quest’ultimo a firma di Giulia Veronesi sulla rivista Corrente. In effetti il 31 Ottobre 1939 compare sulla rivista sia l’articolo dedicato ad

Evans sia il poemetto Nome e lagrime di cui Vittorini è l’autore; quindi è indubbio che costui abbia letto la recensione della collega con sicuro interesse.

In effetti Walker Evans è il fotografo più presente in Americana con venticinque fotografie, ventitré tratte proprio da American Photographs.

Per quanto riguarda invece le altre foto della FSA il tramite presumibilmente è sempre una rivista, in questo caso Panorama, in cui Giansiro Ferrata, amico e collaboratore di Vittorini, scrisse un articolo intitolato “America ultima jungla30” in cui sono presenti numerosi scatti provenienti sia da American Photographs sia dalla Farm Security

Administration.

La fonte da cui sono tratte le foto è la rivista americana U.S Camera Annual e proprio da essa Vittorini trasse trentatré scatti.

Il restante materiale, soprattutto per quanto riguarda le fotografie della guerra civile americana, viene selezionato in archivi del tempo o tratto dal Photographic Sketch of

the Civil War del 1866 di Alexander Gardner mentre il resto deriva da foto

pubblicitarie, film e immagini tratte dai giornali.

Tuttavia è doveroso dire che in Americana non vi sono riferimenti di provenienza rispetto al materiale illustrativo rappresentato e perciò tutto è stato ricostruito a posteriori.

29 G. Ungarelli, Elio Vittorini: la parola e l’immagine, in <<Belfagor>>, anno LXIII, n 5, 30 settembre

2008, p.512.

(19)

Inoltre è da sottolineare come l’apparato fotografico sia stato, rispetto all’introduzione ed ai corsivi di Vittorini, salvato dalla censura e quindi inserito nell’edizione con prefazione a cura di Emilio Cecchi.

È importante perché queste immagine selezionate che corredano e scandiscono i testi narrativi sono da considerarsi il baluardo resistenziale della volontà di Vittorini nel suo progetto antologico.

Anna Panicali così parla del conflitto tra l’uso della fotografia e l’attitudine di Emilio Cecchi nella sua prefazione:

La seconda edizione ( la prima per il pubblico), introdotta da Emilio Cecchi, accademico d’Italia, venne mutilata dei raccordi critici. Al loro posto apparvero, prima di ciascuna sezione in cui l’antologia era divisa, dei collages tratti da diversi autori. Erano rimaste tuttavia le immagini che corredavano e scandivano i testi narrativi; le illustrazioni che Vittorini aveva impaginato per realizzare la sua biografia del mondo nuovo. […] I corsivi furono soppressi, ma le illustrazioni restarono. E certamente fecero a pugni con la prefazione di Emilio Cecchi, per il quale l’America non fu che una risposta avida e disordinata allo spaesamento e all’eccesso delle emozioni.31

Il valore di questa scelta artistica non passa inosservato agli intellettuali del tempo tanto che sia Ezra Pound in una recensione sul “Meridiano di Roma32” e lo stesso Cesare

Pavese in una lettera a Vittorini si complimentano per l’uso suggestivo delle illustrazioni presenti nell’antologia.

Complessivamente quindi Americana può esser, a ben ragione, considerata come il primo tassello per capire il ruolo decisivo che ha il linguaggio visivo nell’intera produzione artistica di Vittorini.

31 A. Panicali, Elio Vittorini. La narrativa, la saggistica, le traduzioni, le riviste, l’attività editoriale,

Milano, Mursia, 1994, pp.182-183.

(20)

I.2. Il progetto Politecnico : cultura e immagine

Il progetto di una pubblicazione culturale, diversa da quelle già presenti e tradizionali, destinata a tutte le classi sociali, è rintracciabile già dal 1943.

In effetti il critico Franco Fortini, collaboratore di Vittorini ai tempi, così ricorda l’incontro avvenuto con l’autore siciliano in quello stesso anno:

(21)

Rammento benissimo che Elio mi parlò della possibilità, una volta finita la guerra ( e la fine sembrava imminente ) di creare una rivista, una pubblicazione culturale destinata ai giovani di tutte le classi sociali ma che si rivolgesse anche e soprattutto ai giovani lavoratori […] Era il primo germe del politecnico.33

In pratica il progetto fiorisce nella mente di Vittorini a Milano tra il 1943 e il 1944 e si carica subito di connotati politici in quanto lo stesso autore afferma in una lettera34 la necessità di scegliere un editore che si schieri politicamente, naturalmente antifascista, e la scelta ricadrà in effetti su Giulio Einaudi.

Alla progettazione de Il Politecnico iniziano a lavorare a Milano, a partire dall’autunno 1944, Eugenio Curiel, a cui era stata affidata la sua realizzazione, e Antonio Banfi, presidente del comitato di liberazione universitario, insieme ad altri collaboratori. Nulla sappiamo dell’impostazione che Curiel aveva dato a questa rivista, e dopo il suo assassinio per mano dei fascisti nel 1945, il progetto passa nella mani proprio di Vittorini stesso.

Tra il 29 settembre del 1945, data dell’uscita del primo numero, e il 6 aprile del 1946, la rivista viene stampata settimanalmente a Milano con il sottotitolo di Settimanale di

cultura contemporanea.

Nei 28 numeri de Il Politecnico settimanale come scrive Edoardo Esposito :

Il discorso letterario procede, a me pare, in gran parte integrato ad altri linguaggi, nella prospettiva appunto, di costruire una nuova cultura sul modo di prospettare i problemi del paese, in quadro nazionale e insieme internazionale.35

In seguito, a partire dal 1° maggio 1946, Il Politecnico inizia ad uscire mensilmente, soprattutto a causa di motivi economici, con il sottotitolo Mensile di cultura

contemporanea.

33 F. Fortini, Omaggio a Elio Vittorini, in Vittorini Autore, in <<Terzo Programma>>, ERI, n. 3, 1966,

p.147.

34 La frase compare nella lettera che Vittorini invia a Giulio Einaudi il 6 luglio 1945, in E.Vittorini, Gli

anni del Politecnico, a cura di C. Minoia, p.11.

35 E.Esposito, Il demone dell’anticipazione. Cultura, letteratura, editoria in Elio Vittorini,Milano, il

(22)

La rivista mantenne questa periodicità fino al dicembre del 1947, mese dell’uscita dell’ultimo numero, il trentanovesimo.

Il titolo fu scelto dallo stesso Vittorini e Giansiro Ferrata in omaggio a Carlo Cattaneo poiché lo scopo della pubblicazione era quello di proporre un programma ampio, una cultura politecnica, in cui potessero coesistere letteratura, scienza, politica, arte, economia e storia.

Il modello Cattaneo ne orientò in effetti la ricerca culturale sui criteri dell’inclusività e degli incroci tra linguaggi36.

Sebbene fondamentale sia l’importanza di tale progetto editoriale sia a livello politico sia culturale ciò che in questo lavoro voglio analizzare è la fondamentale novità degli aspetti iconografici di questa rivista giornalistica. Tuttavia è imprescindibile non soffermarsi su uno dei punti fondamentali del progetto che lo resero, insieme all’apparato illustrativo, assolutamente innovativo sullo scenario italiano, ovvero la riflessione della classe intellettuale sulla storia, in primis italiana, e sui rapporti da intrattenere con le masse proletarie. Da ciò conseguono gli articoli di storia, politica, cultura, economia e arte collocabili all’interno del periodo della ricostruzione post- bellica.

Il Politecnico quindi rappresenta una proposta editoriale e culturale di rilievo nel clima

scaturito dalla Resistenza, clima che ha come scopo quello di una sorta di rigenerazione e rinnovamento della società italiana.

Vittorini affida a questo progetto la possibilità di ristabilire una nuova espressione pubblica della parola, per tanti anni repressa dal clima politico instaurato dal regime, e di rimettere in pratica la libertà intellettuale.

Quindi sì un progetto politico molto determinato, ma ancora di più un progetto di politica culturale.

Lo scopo degli intellettuali è quello di proporre una cultura nuova che si occupi del “pane”, perché << occuparsi del pane e del lavoro è ancora occuparsi dell’anima>>37. Quindi uno degli obiettivi principali degli intellettuali era quello di arrivare ad un pubblico più ampio, alle cosiddette masse lavoratrici, ed uno degli stratagemmi per riuscirci sicuramente è individuabile proprio nell’uso abbondante di illustrazioni capaci di trasmettere messaggi universali anche a coloro che non erano lettori abituali.

36 G. Lupo, Vittorini Politecnico, Milano, Franco Angeli, 2016, p.7.

(23)

Come scrive Vittorini sul primo numero de Il Politecnico :

Questo settimanale intende realizzare un’opera di divulgazione culturale più popolare e immediata. […] Esso si propone di portare la cultura ad interessarsi di tutti i concreti problemi sociali in modo da giovare all’opera di rigenerazione della società italiana.38

Vittorini colse immediatamente l’importanza del dato visivo come possibile amplificatore del messaggio scritto: immagini, fotografie, fumetti e grafica sono parte integrante del testo scritto.

Nella rivista furono pubblicate circa mille illustrazioni, di cui settecento sono fotografie, oltre cento fra disegni e strisce, e circa duecento sono le riproduzioni di dipinti e incisioni39.

In pratica Il Politecnico si presentò sul panorama italiano come una rivista nuova sia per il programma proposto sia per la sua immagine editoriale.

La grafica del settimanale, elemento fondamentale per comprendere la carica innovativa apportata dal dato visivo, fu curata da Albe Steiner mentre quella del mensile fu seguita da Giuseppe Trevisani che continuò a portare avanti le novità rivoluzionarie apportate dal suo predecessore alla rivista fin dagli esordi.

Steiner cominciò in effetti la sua attività professionale come grafico lavorando per rilevanti ditte italiane, poi fu redattore artistico, pubblicitario, designer e allestitore di mostre. Inoltre si occupò anche della grafica di importanti case editrici come la Feltrinelli, l’Einaudi e la Zanichelli.

Con un bagaglio lavorativo del genere si mostrò fin da subito un ottimo collaboratore di Vittorini ed insieme proposero nel Politecnico una grafica ed un’impaginazione che facessero coesistere ed integrare il testo con l’immagine.

Le scelte visive più immediate agli occhi del lettore sono sicuramente l’uso cromatico del rosso e del nero che rimanda a talune soluzioni delle avanguardie russe e l’uso abbondante di fotografie per raccontare, insieme al testo scritto o talora solo a didascalie, una storia.

38 Il Politecnico, n.1, 29 settembre 1945.

39 A. Rella, Elio Vittorini e la seduzione delle immagini : dal Politecnico a Conversazione illustrata,

(24)

L’uso e l’alternanza di nero, bianco e rosso, colori elementari, è il segno di marca del

Politecnico e crea una grafica che avrà lunga storia nei quotidiani e nelle copertine dei

periodici successivi.

Uno dei fini delle scelte estetiche è la dinamicità visiva e di impatto della rivista creata non solo dall’uso del colore e dalle abbondanti illustrazioni ma anche da invenzioni strutturali che trasformano il periodico in un testo assolutamente innovativo rispetto alla tradizione. In effetti il settimanale è strutturalmente formato da paginoni in cui si compongono delle sorte di mosaici di testo, spazi, illustrazioni e colori.

Anche gli stessi caratteri tipografici hanno caratteri e corpo diverso; la fisionomia del

Politecnico è tutta improntata alla novità.

Il Politecnico quindi appare assolutamente moderno anche agli stessi intellettuali del

tempo per essere una rivista dell’immediato dopo guerra:

Non si è mai fatto un giornale così vivo e così moderno. Ciò che colpisce guardando adesso Politecnico, è vedere come le idee, il contenuto degli articoli, le fotografie, le didascalie e l’immaginazione fossero una cosa sola. Non c’era un grafico che metteva in bella forma delle colonne di piombo, dei titoli, delle illustrazioni, ma c’era un giornale che nasceva tutto insieme.40

Ogni elemento innovativo apportato alla rivista era frutto del rapporto collaborativo tra il progetto intellettuale – culturale di Vittorini e l’impostazione grafica – illustrativa steineriana; ciò creava un dinamismo interno di raccordo tra temi giornalistici e organizzazione visiva.

Come già precedentemente accennato uno degli elementi visivi di maggior impatto al primo sguardo è sicuramente il gioco cromatico tra il rosso ed il nero sia dei titoli sia delle bande che creano percorsi di lettura.

Lo stesso nome della testata, Il Politecnico, in prima pagina in stampatello maiuscolo e in negativo su banda rossa, produce << un’immagine indeterminata e di prospettiva41>>

assolutamente nuova.

40 R. Leydi, L’uomo che cambiò i giornali, intervista a M. Huber in << L’Europeo >>, 5 settembre 1974,

p.36.

(25)

La variazione cromatica nell’impaginazione metteva in risalto le variazione dei toni in funzione del testo stesso ovvero l’illustrazione non aveva valori puramente decorativi ma guidava il lettore nella lettura, apportando qualcosa in più rispetto alla parte scritta. Una grafica d’impatto ma semplice, lineare, immediata, che fosse strumento di lettura per il fruitore.

In pratica l’impostazione grafica era la stessa dei contenuti che Vittorini proponeva :

amore per un dibattismo tutto positivo, senza oscurità, una sorta di gaiezza pedagogica della linea retta, di polemica della pulizia intellettuale contro il caos ripugnante di frantumi, liquami, rifiuti, scarti – reali e simbolici – che la guerra ci aveva lasciato.42

Altro elemento, oltre la parte puramente grafica, assolutamente di portata rivoluzionaria è l’introduzione massiccia di fotografie. Era dai tempi di Omnibus che la fotografia in Italia non aveva più autonomia espressiva, ed ora, grazie alla rivoluzione grafica-progettuale del Politecnico, poteva tornare a fare sentire tutta la sua espressività di linguaggio43.

L’uso della fotografia era da considerarsi per Vittorini un mezzo di comunicazione che poteva efficacemente esplicare in maniera più diretta ed immediata quello che vi era riportato nel testo scritto.

Inoltre il valore espressivo della fotografia era accentuato anche dalla stessa impaginazione grafica quindi dalla collocazione all’interno della rivista che naturalmente non era casuale ma era studiata per darne rilievo e produrre quindi un messaggio comunicativo di più largo impatto.

La volontà di Vittorini di fare largo uso di materiale fotografico e illustrativo è rintracciabile fin dagli esordi e ancor prima che il progetto andasse in porto così scrive : <<il nostro giornale sarà per di più largamente illustrato di fotografie e disegni di noti pittori e grafici>>.44

Quindi fin dall’inizio uno dei lavori di cui si occupò Vittorini fu quello di raccogliere materiale illustrativo, principalmente fotografico, da poter poi usare nella rivista,

42 F. Fortini, Albe Steiner. Comunicazione Visiva, Alinari, Milano 1977, p.14.

43 A. Rella, Elio Vittorini e la seduzione delle immagini : dal Politecnico a Conversazione illustrata,

Szczecin, 2011, p.107.

(26)

materiale non solo proveniente dalla realtà italiana ma anche importato da paesi d’oltreoceano.

I disegni e le illustrazioni di riproduzioni pittoriche sono estremamente varie e ricche di nomi tra cui ricordiamo artisti del calibro di Guttuso, Mucchi, Steinberg, Cassinari e moltissimi altri.

Lo stesso padre di Vittorini fu contattato dal figlio alla ricerca di materiale da poter utilizzare nell’editoriale:

Mi occorrerebbe per il Politecnico un libro che vedevo sempre nella tua libreria quando ero bambino: è una storia illustrata della Comune di Parigi, non mi ricordo il nome. Me lo potresti mandare?45

Oltre a questa precisa richiesta Vittorini contattò varie volte suo padre anche per ottenere materiale fotografico sulla situazione agraria siciliana poiché aveva in mente di proporre un articolo riguardante proprio la sua terra natia.

Anche lo stesso Steiner nel 1946, una volta assunta la direzione tecnica della rivista

Costruyamos Escuelas in Messico, continuò a collaborare con Vittorini inviandogli ad

esempio alcune riviste del posto da cui trarne alcuni elementi di spunto per Il

Politecnico.

In pratica il principale pensiero di Vittorini era quello di accumulare materiale visivo in primis fotografico, ma anche riguardante la pittura ed il fumetto.

In effetti è da sottolineare il fatto che l’uso dell’immagine non è da considerarsi solo e semplicemente una parte progettuale dell’aspetto grafico ma essa ha come scopo una sorta di educazione visiva al bello nel tentativo di suscitare nei lettori una coscienza artistica46.

Vittorini infatti si occupava personalmente e accuratamente delle scelta delle fotografie così da dimostrare quanto esse fossero importanti, allo stesso livello degli articoli scritti. Inoltre all’inizio fondamentale fu anche la presenza di Steiner, non solo per la parte puramente grafica, poiché grazie al suo bagaglio di esperienze lavorative precedenti era

45 E. Vittorini, Gli anni del Politecnico. Lettere 1945 – 1951, lettera al padre, Siracusa, 26 ottobre 1945,

p.28.

46 R. Rodondi, Introduzione a Elio Vittorini, Letteratura, arte, società. Articoli e Interventi. 1926 – 1937,

(27)

sicuramente formato per valutare con criterio estetico ciò che poteva valere a livello fotografico e ciò che invece non aveva nessun valore artistico.

La volontà di questo uso massiccio di fotografie ha un motivo intellettuale che è ben esplicato da Vittorini stesso:

Con la rivista Politecnico fu la prima volta che la fotografia venne introdotta nel linguaggio culturale e portata a far corpo con esso in modo da rendere più evidenti i concetti e insieme da caricarsi dei concetti stessi.47

Il punto di partenza, sostiene Vittorini, per la ricerca fotografica del progetto Politecnico è naturalmente individuale in Americana e prima ancora nel cinematografo, fuori dai libri e dai giornali.48

Il valore della fotografia è rintracciabile nella sua espressione d’universalità, nella sua comunicazione immediata di un messaggio che va al di là del singolo oggetto, persona o paesaggio rappresentato. Ad esempio la fotografia del caduto in guerra per la libertà, che appare sul primo numero del Politecnico, è da leggersi nella sua portata universale in quanto corredata dalla seguente didascalia: << I caduti per la libertà di tutto il mondo ci hanno dettato quello che scriviamo49>>.

Così la maggior parte della altre fotografie e didascalie annesse presenti nella pubblicazione sono concepite allo stesso modo ovvero sono portatrici di valori simbolici, non solo in riferimento all’evento particolare che rappresentano.

Importante, come già accennato, è la stessa distribuzione delle illustrazioni all’interno della pagina. Possiamo parlare di una sorta di montaggio non fotografico ma bensì cinematografico in cui il lettore non guarda solamente l’illustrazione ma seguendo un percorso, voluto dal “regista”, legge le immagini e ne trae un significato.

Vittorini stesso, sempre nel famoso articolo su Cinema Nuovo, così afferma:

Era nell’accostamento tra le foto anche più disparate che io riottenevo o tentavo di riottenere un valore più o meno estetico e un valore illustrativo o un documentario: nell’accostamento tra foto; nel

47 E. Vittorini, La foto strizza l’occhio alla pagina, Cinema Nuovo, III, 33, 15 aprile 1954, p.200. 48 Ibidem.

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riverbero di cui una foto si illuminava di un’altra ( modificando perciò il proprio senso e il senso dell’altra, delle altre); nelle frasi narrative cui giungevo ( bene o male ) con ogni gruppo di foto, in correlazione sempre al testo.50

In pratica la collocazione delle illustrazioni nella pagina della rivista segue come detto un percorso, costruito ad hoc da Vittorini, con il fine ultimo di produrre una vera e propria narrazione.

La fotografia non è solo pura immagine ma diventa rappresentazione di qualcosa che deve trasmettere un messaggio storico, culturale, artistico ed in tal caso essa può anche esistere da sola, non per forza corredata alla scrittura.

La volontà progettuale ultima quindi consiste nell’uso di un montaggio fotografico che trascenda la frammentarietà del singolo fotogramma e che produca un’attiva comunicazione globale. La narrazione per immagini, così ottenuta da Vittorini, si presenta come desiderio di una struttura <<unitaria, dinamica e trasformabile, come se contenesse, direi, dei progetti di rinnovamento>>.51

Vittorini è da considerarsi regista perché non applica più la tradizionale composizione che ha come fine il coordinamento classico di immagini e testo ma bensì rifacendosi alla settima arte si dedica ad un montaggio che ha come fine quello di creare una tensione dialettica tra quadri scenici e racconto.

I testi e le immagini del Politecnico, nel loro insieme, raccontano delle storie costruite, a livello grafico, in blocchi verticali così da dare un sequenzialità al tutto.

Così montate infatti le fotografie creavano vere e proprie sequenze narrative che producevano i cosiddetti foto – racconti.

Fin dal primo numero del periodico infatti compare un tipo di reportage che diventerà costante nelle successive pubblicazioni: la descrizione di luoghi, di paesi, di realtà attraverso fotografie che rappresentano le attività produttive, la dimensione sociale e quella culturale del posto geografico di cui si parla.

Tra i reportage più celebri ricordiamo quello di Italo Calvino, nel n.10, che rappresenta una “Liguria magra e ossuta” e quello di Giorgio Caproni, che nel n.11, mette in mostra le baracche delle borgate romane ed il loro squallore.

50 E. Vittorini, La foto strizza l’occhio alla pagina, Cinema Nuovo, III, 33, 15 aprile 1954, p.200. 51 Ibidem.

(29)

Questi articoli sono impaginati insieme con le foto commentate da didascalie di carattere narrativo.

In pratica la fotografia e la conseguente narrazione vengono affidati ad autori e scrittori di un certo spessore che attraverso la visione di una spazio geografico riescono a veicolare una dimensione umana, sociale e culturale.

Un discorso a parte vorrei dedicarlo agli scatti del giovane fotografo Luigi Crocenzi in quanto è proprio a partire dal Politecnico che si instaurerà una collaborazione con Vittorini che maturerà fino a Conversazione illustrata.

Come sottolinea Maria Rizzarelli :

Tra Vittorini e Crocenzi matura insomma un incontro necessario e proficuo di due vocazioni che convergono nella comune volontà di istituire un dialogo culturale fra parola e immagine, letteratura e fotografia.52

Il primo foto – racconto di Crocenzi appare il 6 aprile 1946 sulla seconda pagina del numero 28 del Politecnico col titolo Italia senza tempo. L’impatto visivo è estremamente audace in quanto le fotografie, e lo stesso titolo, tagliavano in due la pagina della rivista e come scrive Angelo Rella conferivano: <<alla parte scritta, dopo un iniziale senso di squilibrio, tensione e movimento>>.53

Luigi Crocenzi quindi rivela fin dagli esordi una spiccata vocazione al racconto per immagini mostrando una notevole attitudine alla multimedialità dell’assetto redazionale del Politecnico.

Dopo questo primo foto – racconto pubblicato sul settimanale, verranno pubblicati altri tre lavori del Crocenzi una volta che Il Politecnico divenne mensile: Occhio su Milano,

Andiamo in processione e Kafka city.

In Occhio su Milano Crocenzi rappresenta una Milano ancora provata dai segni della guerra, soprattutto a causa dei bombardamenti dell’agosto 1943, attraverso diciannove fotografie stese su tre pagine. Interessante è il fatto che questi scatti sono interrotti da un

52 M. Rizzarelli, Elio Vittorini. Conversazione illustrata. Catalogo della mostra,Roma, Bonanno, 2006,

p.16.

(30)

testo scritto dallo stesso Vittorini che divide quindi le prime tre fotografie dalle restanti sedici.

È come se fosse un espediente cinematografico vero e proprio in cui alle immagini è simultaneamente accostata una narrazione vera e propria, che crea delle pause e infonde un senso in più alla collocazione delle immagini.

Nella rivista numero 35 esce Andiamo in processione, spaccato della vita di ogni giorno di provincia, realizzata attraverso trentaquattro fotografie disposte come i fotogrammi di una pellicola lungo l’arco di sei pagine.

Interessante concettualmente, oltre al valore delle fotografie, è riportare quanto lo stesso Vittorini scrisse dopo il titolo :

il racconto per immagini è antico. Cinematografo e comics (fumetti) non ne sono che le forme più recenti. Una terza forma che sta nascendo è il racconto per fotografie, e ha un principio estetico suo proprio.54

L’ultimo dei lavori su Il Politecnico di Luigi Crocenzi, Una Kafa city, consiste in solo cinque fotografie con annessi una serie di racconti dello stesso Kafka e articoli su di lui. La novità consiste nel fatto che il fotografo rappresenta la società contemporanea dandone frammenti di una realtà vera attraverso foto urbane sia di ambienti sia di persone.

Sugli ultimi numeri del Politecnico invece vennero pubblicati dei foto – racconti di maestri europei ed americani del calibro di Bischof, Weegee ed Evans.

Questo per marcare il fatto che questa rivista fu una novità, oltre per tutti gli elementi già precedentemente citati, anche per la sua attitudine di ampio respiro e non rilegata al solo panorama italiano.

Oltre ad esser presenti foto – racconti, o per meglio dire cine - racconti, ne Il Politecnico si registrano vere e proprie riflessioni teoriche e stilistiche riguardanti il cinema stesso. Già a partire dal secondo numero appare un breve articolo intitolato Il cinematografo

dell’avvenire che descrive un esperimento di film distopico in Unione Sovietica mentre

(31)

nel terzo numero appare l’articolo L’Italia deve avere il suo cinema a firma di Carlo Lizzani.

Il contenuto dell’articolo sopracitato è sicuramente interessante a livello culturale e politico ma la cosa più importante è il valore che in generale assume il cinema, come canale comunicativo nuovo per Vittorini, come ben esplicita Sebastiano Gesù:

il cinema può avere una funzione di conoscenza tra gli uomini, sia che essi vivano entro il territorio nazionale, sia oltre i confini. Non bastano qualche libro e qualche rivista o i quotidiani per raccontare i mutamenti di costume e i rivolgimenti politici, sociali e psicologici di una nazione, perché essi sono dominio di una ristretta elitè.55

Attraverso la miriade di illustrazioni, presenti nel corso dei vari numeri della pubblicazione, Vittorini mette in mostra innumerevoli spaccati di realtà diverse, una sorta di viaggio geografico che tocca in primis l’Italia, ma anche l’Europa, l’America e l’Asia, sempre mettendo al centro l’elemento umano e culturale.

L’elemento umano si concretizza nel luogo principe in quanto la la città e la cultura sono per Vittorini stesso la città. Esemplari di questa visione sono due rubriche presenti in due numeri diversi del Politecnico: Le città del mondo e Il mondo cambia.

Così Vittorini scrive nella prima rubrica sopracitata:

Vi sono nel mondo città che non appartengono solo ai loro cittadini, ma a tutto il mondo. Esse sono nel cuore degli uomini di tutto il mondo. […] Immagini ce ne siamo fatte che si sono accumulate entro di noi da lontanissime a recenti; e quelle che si sono aggiunte dall’esterno riproducendo in qualche modo la realtà, in stampe, in colori, in fotografie, non le hanno cancellate, le hanno piuttosto arricchite, formano con esse un punto o un altro delle rete interiore di città che avvolge di entusiasmo e di angoscia, di incentivi e di esitazione, la nostra coscienza di esistere.56

55 N. Genovese e S. Gesù, Vittorini e il cinema, Romeo editore, p. 36. 56 E.Vittorini, Le città del mondo, in il Politecnico, n.30, giugno 1946, p.9.

(32)

Sul numero quattro della rivista un altro articolo, Fronte popolare e cinema francese a firma di Massimo Mida, è specchio di questo atteggiamento d’apertura verso il cinema come possibile mezzo di comunicazione dei problemi sociali e degli avvenimenti politici di un dato periodo storico.

Nel numero dieci si ha un articolo riguardante il famoso attore Charlie Chaplin mentre a partire dal numero quindici si iniziano a pubblicare racconti filmici illustrati in cui Vittorini cerca di far filtrare sulla pagina l’intensità emotiva che solitamente lo spettatore vive al cinema.

In sintesi Vittorini sostiene che l’uso dell’illustrazione, soprattutto fotografica - cinematografica, sia un elemento che nulla toglie all’immaginazione dell’uomo ma anzi che porti arricchimento nel pensiero del lettore, toccando argomenti che possono spaziare dal puro intrattenimento fino alla possibilità di una conoscenza più profonda del periodo storico, sociale e culturale in cui si vive.

Inoltre le fotografie presenti in rivista sono sempre corredate, oltre che in alcuni casi da veri e propri brani narrativi, da indicazioni puntuali sulla storia, la geografia, la cultura e la politica del luogo, città o paese che rappresentano.

È qui che si individua l’estrema originalità del progetto Il Politecnico, al di là della sua forza politica e culturale, ovvero nella confluenza di materiali diversi e canali comunicativi anche distanti che insieme producono una tensione unitaria tra avanguardia e divulgazione.

Il Politecnico è stato indiscutibilmente un grande e prolifico laboratorio sperimentale in

cui il peso del dato visivo è indiscutibile e da cui Vittorini stesso maturò sempre più l’idea della possibilità di narrare attraverso l’immagine fotografica il suo romanzo

(33)

II.

Conversazione in Sicilia

II. 1. Premesse alla stesura e genesi del romanzo

L’inizio delle stesura del romanzo Conversazione in Sicilia risale sicuramente al biennio 1937 - 1938, nelle pause tra il lavoro editoriale e il lavoro di traduttore, in un clima di ripensamento non solo in termini artistici ma anche personali e politici.

In effetti nell’anno precedente, il 1936, si ha lo scoppio della guerra in Spagna e lo stesso Vittorini in una lettera così scrive:

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