• Non ci sono risultati.

Strategie di internazionalizzazione nel settore agroalimentare: specificita ed aspetti critici

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Strategie di internazionalizzazione nel settore agroalimentare: specificita ed aspetti critici"

Copied!
139
0
0

Testo completo

(1)

Indice

Introduzione

Capitolo I Il concetto di Internazionalizzazione e le basi teoriche

1.1 Definizione di internazionalizzazione

1.2 La nascita degli studi

1.3 La teoria di Hymer

1.4 La teoria di Vernon

1.5 Il paradigma eclettico dell’attività internazionale

Capitolo II Strategie e processi di internazionalizzazione

2.1 Il processo di formazione della scelta di internazionalizzazione

2.2 Fasi di un processo di internazionalizzazione

2.3 Strategie e modalità di espansione internazionale

2.4 Modalità di entrata nel mercato estero 2.4.1 Alleanze e accordi strategici

2.4.2 L' esportazione indiretta e diretta 2.4.3 L'investimento diretto estero (IDE)

Capitolo III Caratteri distintivi del settore agro-alimentare

3.1 Il settore agro-alimentare: definizione ed evoluzione 3.2 I prodotti alimentari a livello mondiale

(2)

3.3 L’analisi dei consumi alimentari 3.4 L’analisi del sistema agro-alimentare 3.5 Tendenze del settore agro-alimentare

Capitolo IV Analisi del mercato vitivinicolo italiano

4.1 Strategie e rischi del settore

4.2 Struttura del mercato italiano

4.3 Analisi SWOT del mercato italiano

4.4 Tendenze e dinamiche del settore vitivinicolo

Capitolo V Case study Marchesi Antinori

5.1 La Storia della famiglia Antinori

5.2 Mission aziendale

5.3 Strategia di internazionalizzazione

5.4 L'analisi dei dati a supporto della strategia

Conclusioni

Bibliografia

Sitografia

(3)

Introduzione

Solitamente quando si pensa all’internazionalizzazione nel settore vitivinicolo l'aspetto che risalta maggiormente è quello di pensare all'esportazione. Il motivo di ciò è facile da dedurre in quanto le caratteristiche del prodotto e del mercato di riferimento non lasciano pensare altro. A differenza di altre tipologie di prodotto, infatti, la produzione di vino e di molti beni agricoli è fortemente caratterizzata dal territorio d’origine e da elementi naturali strettamente legati a esso, dalla cultura e dalla tradizione delle pratiche vitivinicole e di vinificazione messe in atto dall’uomo e dalle condizioni climatiche del luogo nel quale queste avvengono. Lo stretto legame che vi è tra tali caratteristiche, fa sì che il vino sia da sempre considerato un bene di produzione difficilmente internazionalizzabile. E' evidente che trovare simili condizioni in territori diversi da quello d’origine, siano praticamente irriproducibili infatti, Paesi come Italia e Francia sono riusciti a preservare la propria posizione dominante grazie al clima e all’ambiente particolarmente favorevole alla realizzazione di un vino di qualità. Difficilmente, ad esempio, la produzione del Chianti Classico possa trovare in un territorio diverso da quello toscano le condizioni favorevoli per la produzione di un vino dello stesso pregio. Detto ciò difficilmente si può pensare che un’impresa vitivinicola decida di delocalizzare l’intera catena del valore in un paese straniero. Ma allo stesso tempo, i cambiamenti imposti delle condizioni del mercato, negli ultimi anni, imputabili anzitutto al fenomeno della

(4)

globalizzazione, hanno permesso a molte fasi della catena del valore delle aziende di ridurre le barriere, entrando così a far parte del sistema economico globale. I mutamenti conseguenti a tale evoluzione del mercato riguardano, ad esempio, le sperimentazioni di nuove pratiche di viticoltura e la ricerca di nuovi terreni e aree geografiche conformi alla coltivazione delle proprie viti. Sono nate così nuove varietà d’uva, inedite attività di viticoltura, anche grazie alla modernizzazione della fase produttiva e allo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni; il campo d’azione dell’internazionalizzazione delle aziende vinicole acquisisce quindi maggiore ampiezza, coinvolgendo tutte le fasi della filiera. I fattori di successo del processo internazionale del vino possono essere ricondotti quindi alla capacità di adattarsi alle nuove tendenze, alla capacità di scoprire e introdurre nuove forme di produzione e di promozione all'estero. In questo periodo, caratterizzato da forti variazioni di natura economica e sociale, i paesi contraddistinti da un clima favorevole alla coltivazione d’uva qualitativamente elevata, da bassi costi di produzione, e da vantaggi competitivi naturali, cercano di attrarre investimenti stranieri e promuovere al meglio il proprio prodotto, al fine di essere competitivi a livello mondiale. L'obiettivo posto a tale analisi infatti è quello di descrivere il processo d’internazionalizzazione del sistema vinicolo, partendo da un’indagine sul mercato domestico ed inquadrando gli aspetti principali su cui basare le strategie all’estero e i mercati di sbocco.

L'elaborato è incentrato allo studio nella prima parte su gli aspetti teorici riguardante il concetto di internazionalizzazione e i principali interventi che sono stati apportati a tali teorie; successivamente si è esposto il processo di

(5)

internazionalizzazione analizzando le motivazioni, le fasi e le modalità di entrata in un mercato estero; proseguendo poi ad una analisi in generale del settore agro-alimentare per poi passare nello specifico ad un'analisi del mercato vitivinicolo italiano evidenziandone le caratteristiche strutturali e attraverso la swot analysis mettere in luce punti di forza e di debolezza dell’industria vinicola italiana e le principali minacce e opportunità del settore. Infine attraverso l'analisi del case study si è voluto evidenziare quali sono le possibili strategie vincenti che le aziende possono attuare nel processo d'internazionalizzazione

(6)
(7)

Capitolo I

Il concetto di Internazionalizzazione e le basi teoriche

1.1 Definizione di internazionalizzazione

Per dare una definizione del termine, con “internazionalizzazione” si intende un insieme di processi tramite i quali le imprese investono nei mercati esteri e, nello stesso tempo, da essi attingono per l’approvvigionamento di materie prime, impianti, tecnologie e risorse finanziarie, fondamentali per lo sviluppo della propria attività1. L’obiettivo principale è quello quindi di intraprendere nuove attività produttive in mercati sviluppati o emergenti, che presentano le maggiori potenzialità di sviluppo economico e commerciale, permettendo così di conquistare progressivamente quote di mercato nei paesi nei quali si è scelto di investire. Bisogna fare molta attenzione però a non confondere il concetto di internazionalizzazione con quello di “delocalizzazione”, in quanto quest’ultimo comporta il trasferimento delle principali unità produttive dal proprio mercato di riferimento verso mercati caratterizzati da bassi costi dei fattori produttivi, con l’obiettivo di ottenere una riduzione dei costi di produzione dell’impresa, generando così la possibilità di implementare una strategia di leadership di costo nella vendita dei prodotti. In questo caso il mercato in cui l’impresa opera rimane quello originario, mentre il mercato in cui si è trasferita la produzione risulta essere una leva per poter offrire quello stesso prodotto a prezzi più competitivi.

(8)

Invece, quando si prende in considerazione il concetto d'internazionalizzazione, l’intento principale è quello di insediare la produzione in nuove aree geografiche al fine di presidiare i nuovi mercati e ottenere una posizione dominante, attuando vere e proprie strategie che hanno come fine ultimo quello di conseguire un reale vantaggio competitivo capace di trasformare il mercato oggetto di internazionalizzazione in un nuovo mercato d’azione per l’impresa. Quest'ultimo ingloba un insieme di procedimenti evolutivi, di carattere quantitativo e qualitativo, che le imprese prendono in considerazione nel momento in cui decidono di incrementare l’estensione geografica della loro attività. Vista la costante influenza delle imprese nella competizione globale, ciò fa sì che il processo di internazionalizzazione venga collegato al fenomeno ancora più pervasivo della globalizzazione, che ha occupato e continua ad occupare una posizione centrale all'interno non solo del dibattito economico, ma anche della politica, sociologia, antropologia, filosofia e delle discipline tecnico-scientifiche.

Con lo sviluppo economico culturale, l’evoluzione delle tecnologie e gli assetti geopolitici e istituzionali vengono rappresentate le principali ragioni che hanno reso necessaria l’assunzione per le imprese di una configurazione internazionale sul piano strategico-organizzativo, produttivo e commerciale, nonché sul piano finanziario. Da ciò scaturisce un complesso insieme di relazioni in una catena del valore che coinvolge diversi paesi a livello mondiale portando, sia le grandi che le piccole imprese, a mutare i loro comportamenti mediante l’adozione di nuovi orientamenti strategici che risultano necessari per far fronte alla “nuova competizione allargata”.

(9)

Avendo un fine comune, spesso si confonde il significato profondo del concetto di globalizzazione con quello di internazionalizzazione; infatti entrambi i fenomeni, presentano caratteristiche differenti e incidono sul comportamento delle imprese in modo diverso.

La globalizzazione possiamo definirla come la costellazione dei processi attraverso i quali le nazioni, le imprese e le persone instaurano sempre più rapporti frequenti tra loro e interdipendenti in tutto il mondo attraverso una maggiore integrazione economica e un grande scambio di comunicazioni e diffusioni culturali, che tende a ridurre, e in alcuni casi ad eliminare, i vincoli e le barriere alla libera circolazione di beni e servizi, di capitali, di risorse e di conoscenze. Svolgendo un'analisi sotto l'aspetto imprenditoriale, la globalizzazione ha comportato una forte evoluzione dei mercati, sia sul piano dimensionale sia su quello competitivo, offrendo così alle imprese nuove opportunità di mercato. Certamente l’apertura dei mercati geografici al commercio internazionale ha offerto alle imprese la possibilità di espandere il proprio volume di affari e, allo stesso tempo, le ha esposte a una concorrenza più intensa. Un altro aspetto che bisogna tenere in considerazione riguarda la produzione, infatti le imprese, di fronte a un processo di espansione internazionale, sono costrette a riorganizzare la propria catena del valore, disperdendo le attività produttive nei diversi paesi in cui si è deciso di operare, permettendo all’azienda di trarre vantaggio dalle differenze che il contesto geografico offre, in modo da avere un rapporto ravvicinato con quel mercato.

(10)

Infine, è doveroso ribadire l’importanza che lo sviluppo tecnologico ha rivestito e riveste nel processo di globalizzazione, apportando modifiche rapide e sostanziali alla società. Non vi è alcun dubbio, infatti, che i progressi scientifici e i cambiamenti tecnologici siano stati, sono e rimarranno nei prossimi anni importanti driver, poiché risultano favorevoli alla creazione e alla distribuzione di conoscenza, come fonte principale di vantaggio competitivo e creazione di ricchezza.

Nel corso del tempo, attraverso tali processi di globalizzazione, il termine internazionalizzazione ha assunto sempre più la visione di localizzazione su più mercati esteri delle stesse attività produttive o di parte di esse, generando un coinvolgimento attivo del sistema organizzativo e strategico dell’impresa nelle operazioni all’estero.

Stando a quanto detto, il processo di internazionalizzazione rappresenta, nell’attuale contesto economico, un’opportunità di sviluppo grazie alla quale l‘azienda può creare valore, remunerare le risorse investite, estendere il proprio vantaggio competitivo, accedere a nuove opportunità e mezzi per la propria crescita. L’esperienza della competizione sul mercato internazionale, accuratamente progettata e gestita, consente alle aziende di costruirsi i mezzi finanziari e le capacità manageriali per competere con i concorrenti stranieri anche sul mercato domestico. Per far ciò le dimensioni assumono un importante ruolo nell'economia globale, legato alle maggiori possibilità di interfacciarsi con realtà europee ed internazionali, caratterizzate dalla presenza di grandi multinazionali.

(11)

1.2 La nascita degli studi

La nascita dal punto di vista teorico dell'internazionalizzazione si deve al contributo dell'economista canadese Stephen Hymer nel 19602. Prima di allora il fenomeno dell'internazionalizzazione veniva ricondotto ai flussi inter-nazionali di beni e di capitali riconducibile all'attività di impresa, che si legano ad approcci teorici che pongono al centro delle loro riflessioni le nazioni e le differenze tra nazioni. Tali approcci infatti sono riconducibili a due filoni distinti, per i flussi di beni (esportazioni/importazioni) si prendono in riferimento le teorie del commercio internazionale e, per i flussi di capitali (investimenti diretti esteri), le teorie della bilancia dei pagamenti. Le prime si riconducono ai modelli del vantaggio assoluto e del vantaggio comparato. Secondo il primo, attribuito ad Adam Smith (1776), due paesi hanno interesse a scambiare quando ciascuno di essi possiede un vantaggio assoluto nella produzione di un bene, cioè quando ciascun paese produrrà un bene con un costo del lavoro inferiore a quello sostenuto dall’altro paese per produrre lo stesso bene; ogni paese perciò si specializzerà nel produrre il bene che richiede il costo del lavoro inferiore. Secondo il modello del vantaggio comparato, nella versione classica attribuita a David Ricardo (1871), una nazione ha convenienza ad esportare quei prodotti che realizza ad un costo relativamente inferiore rispetto agli altri. Tale modello, basandosi sul alcune ipotesi restrittive in riferimento alla caratteristiche dell'offerta, della domanda e del mercato dei beni e dei fattori produttivi, dimostra che la condizione necessaria e sufficiente per spiegare l'esistenza di

(12)

costi comparati diversi, e quindi del commercio internazionale, risiede nelle differenti dotazioni di fattori di ciascun paese. Quindi ogni nazione gode di un vantaggio comparato nella produzione/esportazione di quei beni per i quali ha una maggiore disponibilità di risorse produttive. Successivamente la versione a più fattori produttivi di Heckscher e Ohlin (1933) completò il modello sviluppato da Ricardo. Esso prevede che i paesi con una dotazione relativamente più ricca di capitale si specializzino nella produzione ed esportazione di prodotti ad alta intensità di tale fattore (prodotti ad alta tecnologia) ed importino prodotti ad alta intensità di lavoro da paesi relativamente più dotati di una abbondante manodopera.

Gli investimenti diretti esteri in tale periodo furono inizialmente considerati come semplici flussi di capitale e, come tali, interpretati all'interno della teoria della bilancia dei pagamenti e valutati tramite i tassi di rendimento fra i vari paesi.

Ciò che risalta da tali filoni è che la problematica principale era dovuta al fatto che la decisione di divenire internazionali non era ricondotta all’attività d’impresa nello specifico, bensì a semplici flussi di beni e capitali totalmente indipendenti da questa.

1.3 La teoria di Hymer

A partire dal secondo dopoguerra gli economisti cominciarono a capire che il commercio estero e gli investimenti diretti esteri non potessero essere

(13)

esclusivamente legati a variabili macroeconomiche, ma fossero comunque legati all’attività imprenditoriale. Il primo economista che elaborò una teoria dell'internazionalizzazione delle imprese fu Stephan Hymer3 (1960) che, con il suo lavoro, confutò la teoria del trasferimento indiretto di capitali ritenendola insufficiente a spiegare l’internazionalizzazione produttiva delle imprese per tre ragioni. La prima era che tale teoria non considerava le imperfezioni di mercato, quindi introducendo variabili quali il rischio, l’incertezza, l’instabilità dei tassi di cambio e i costi relativi alla ricerca di informazioni e al completamento delle transazioni, la maggior parte delle sue previsioni viene invalidata. Tutte queste imperfezioni infatti, alterano i parametri comportamentali delle imprese e si riflettono particolarmente sulla loro strategia internazionale. Secondo lui, poi, gli investimenti diretti esteri non comportavano esclusivamente il mero flusso di capitale finanziario, ma anche il trasferimento di un pacchetto di risorse comprendente know-how tecnologico, routine relative all’organizzazione aziendale e capacità imprenditoriali. Hymer pensava che il motivo che spinge una impresa ad investire all’estero fosse l’aspettativa di ottenere una rendita economica sulla totalità delle risorse impiegate, anche attraverso il modo in cui queste venivano organizzate. L’ultima e forse la più importante delle sue intuizioni riguardava un’altra caratteristica fondamentale degli investimenti diretti, ossia il fatto che questi non comportavano alcun cambio nella proprietà dei diritti e delle risorse trasferite, al contrario degli investimenti di portafoglio, che avvenivano attraverso transazioni di mercato. È importante sottolineare che Hymer era interessato agli investimenti diretti perché li considerava uno

(14)

strumento di fondamentale importanza, attraverso il quale le società potevano controllare l’uso dei diritti di proprietà trasferiti alle loro sussidiarie estere. Secondo lui però, per utilizzare questo strumento e possedere attività internazionali in grado di produrre valore aggiunto, le aziende investitrici dovevano possedere qualche tipo di vantaggio (finanziario, manageriale o di marketing) che permettesse loro di superare la situazione di handicap nei confronti delle concorrenti locali nello stato scelto per l’insediamento produttivo. Questi vantaggi, che sono assunti come esclusivi dell’impresa che li possiede (firm specific), traggono ovviamente origine dall’esistenza di fallimenti strutturali del mercato. Per spiegare queste imperfezioni Hymer estese la teoria di Bain4 sulle barriere alla concorrenza nei mercati domestici alle operazioni internazionali, argomentando che le imprese coinvolte in questo genere di attività devono godere di un vantaggio monopolistico. È importante però notare che, in alcune situazioni, questo vantaggio non deriva da una situazione di monopolio, ma dalla capacità dell’impresa di migliorare l’allocazione delle risorse e di organizzare le transazioni in modo più efficiente rispetto a quanto fatto dal mercato. Hymer era inoltre interessato all’espansione territoriale delle aziende come mezzo di sfruttamento del loro potere monopolistico e, nonostante il riconoscimento delle molte imperfezioni che portano al fallimento strutturale del

4 Nella sua teoria Bain sosteneva che le imprese non sono uguali nella loro capacità di operare in un

settore ed alcune possiedono alcuni vantaggi nello svolgimento di qualche attività. Tali vantaggi sono riconducibili a:

vantaggi di costo (controllo delle tecniche di produzione; imperfezioni dei mercati dei fattori di

produzione; condizioni di favore sui mercati finanziari che permettono l'ottenimento di tassi di interesse inferiori).

vantaggi di differenziazione ( preferenza dei consumatori nei confronti di specifici marchi e

della reputazione di particolari imprese; controllo di design di prodotto superiori, attraverso brevetti; proprietà o controllo contrattuale di punti strategici).

(15)

mercato, cercò sempre di comparare le conseguenze dell’allocazione di risorse realizzata attraverso le gerarchie internazionali, sotto il profilo del welfare, con quelle che invece si otterrebbero, almeno in teoria, in una situazione di concorrenza perfetta. Una delle critiche principali a tale modelloè data dal fatto che la decisione di divenire internazionali non era ricondotta all’attività d’impresa nello specifico, bensì a semplici flussi di beni e capitali totalmente indipendenti da questa. È importante considerare che il contributo di Hymer ha rappresentato un punto di svolta fondamentale nello studio degli investimenti diretti con l'estero perché ha gettato le fondamenta delle imprese multinazionali operando un incisivo cambiamento di prospettiva rispetto alle teorie dominanti dei processi di internazionalizzazione come vedremo di seguito.

1.4 La teoria di Vernon

L'economista statunitense Raymond Vernon, prendendo in considerazione il modello del divario tecnologico di Posner (1961)5 e il modello sull'importanza della domanda interna di Linder (1961)6, basa la propria teoria sul noto concetto del“ciclo di vita del prodotto”7. L’idea di fondo di tale teoria è che esista una stretta relazione tra ciclo di vita del prodotto, caratteristiche dei paesi e

5 il quale sostiene che i vantaggi comparati dipendono da un vantaggio monopolistico di cui gode il

paese innovatore, il quale è in grado di esportare nuovi prodotti, fino a quando gli altri paesi non abbiano imparato a produrli.

6 La teoria di Linder afferma che il commercio potenziale (inteso come insieme di esportazioni potenziali

ed importazioni potenziali) di un paese dipende dalla sua domanda interna. Linder afferma che quanto più simili sono le strutture della domanda dei due paesi tanto più intenso è il commercio potenziale che si sviluppa tra di essi. Il commercio effettivo sarà minore o uguale rispetto al commercio potenziale a seconda che esistano o meno delle forze frenanti, quale il fattore distanza, tariffe o di altro tipo.

7

Vernon R.,International investment and international trade in the product cycle,Quarterly journal of Economics,1966

(16)

l’espansione internazionale delle imprese. In sintesi, il modello propone una dinamica articolata su quattro fasi.

Nella prima fase (introduzione del prodotto sul mercato) il prodotto, introdotto nel paese dal mercato più avanzato, è nuovo e non standardizzato. Il suo disegno è ancora incerto, le tecniche di produzione sono in uno stato fluido e l'ottimizzazione dei costi è un problema che ancora non sussiste. C'è molta incertezza sulle dimensioni finali del mercato, sugli sforzi che faranno i rivali per accaparrarselo, sulle specifiche del prodotto che prevarranno. E' più importante per l'impresa la capacità di essere flessibile, di sperimentare vari modelli e materie prime e di apprendere, che non di ottimizzare. L'elasticità al prezzo del prodotto è bassa e le differenze di costo contano ancora poco. E' invece importante una localizzazione che favorisca un'immediata comunicazione col mercato e quindi l'impresa first comer sarà in esso localizzata, presto seguita da imitatori locali. Successivamente, nella seconda fase (sviluppo), si afferma uno standard di base, anche se ciò non implica uniformità in quanto si possono moltiplicare le tipologie e le varianti di prodotto. La domanda cresce rapidamente. Diminuisce il bisogno di flessibilità. Si ricercano e si affermano economie di scala. Il problema dei costi diventa significativo. Si riducono le incertezze anche se non c'è ancora una vera concorrenza di prezzo, inizia a manifestarsi una domanda del prodotto anche in altri paesi. Si comincia quindi ad esportare, in teoria fino a che, supponendo che le capacità produttive non siano pienamente utilizzate per l’offerta domestica e la somma dei costi di trasporto più i costi marginali di produzione siano inferiori al costo medio di produzione nei

(17)

mercati ove si esporta. Quando diventano superiori, diventa conveniente investire all'estero. Se le capacità produttive domestiche sono pienamente occupate, il confronto è tra costi medi più costi di trasporto per la produzione interna e costi medi per la produzione estera, in quanto anche nel paese d’origine per esportare sarebbe necessario costruire un nuovo impianto. La convenienza o meno a moltiplicare i siti produttivi dipende in buona misura dall'importanza dell' economia di scala (in rapporto all'ampiezza del mercato). Anche la forza della protezione brevettuale per il first comer entra in gioco. Se è debole e c'è minaccia di entrata da parte di investitori esteri, ciò può spingere a varcare i confini con investimenti diretti. Va infine ricordato che quanto più la tecnologia è soggetta a vantaggi cumulativi ed a curve di apprendimento, tanto più il vantaggio dell’impresa innovativa si accresce e si perpetua relativamente ai potenziali concorrenti ed imitatori, la cui entrata conviene cercare di ritardare.

Nella terza fase (maturità) le vendite sul mercato interno si stabilizzano, mentre le dimensioni dei mercati esteri continuano a crescere fino a permettere produzioni in loco efficienti, sfruttando le economie di scala. I costi diventano di primaria importanza e cresce l'intensità capitalistica dei processi. Inoltre i processi imitativi si rafforzano anche nei paesi esteri, rendendo possibile l’ingresso nel settore di produttori locali. In complesso, crescono quindi in modo significativo gli incentivi e le ragioni per investire all'estero. L’impresa innovatrice, per mantenere la propria quota di mercato e difendersi dai potenziali entranti, investirà nelle fasi a valle della filiera (commercializzazione, assistenza e manutenzione) e sostituirà le esportazioni con la produzione nei mercati esteri,

(18)

trasferendovi le proprie tecnologie di processo. Poiché tuttavia le nuove entrate di produttori locali avvengono comunque, si creano flussi di esportazioni anche dai paesi second comer verso altri paesi terzi.

Infine, nella quarta ed ultima fase (declino), la domanda del prodotto ha esaurito la crescita ed è ovunque stabile o in calo; i processi imitativi sono ormai completi, sia nel paese d’origine che nei paesi esteri, la tecnologia è del tutto matura,standardizzata e perfettamente accessibile agli imitatori locali. In questa fase le imprese decentreranno la produzione (almeno per quanto riguarda le fasi maggiormente labour-intensive) nei paesi ove i fattori produttivi hanno costo inferiore. Pertanto, se nelle prime tre fasi il target è rappresentato da paesi caratterizzati da modelli di consumo analoghi a quelli del paese di origine dell’impresa multinazionale, ora l’IDE si rivolge prevalentemente verso paesi poco sviluppati e/o in via di sviluppo. In questa fase il paese first comer diventa importatore netto; in alternativa, può accadere che l’impresa abbandoni del tutto il mercato del prodotto in questione. Quello del ciclo di vita del prodotto è stato per lungo tempo il modello interpretativo degli investimenti diretti esteri più noto e generalmente accettato, analizzando congiuntamente l'evoluzione temporale dei flussi di commercio e investimento internazionale. Ma tale modello presenta anche dei limiti, quali l'aver focalizzato l'attenzione sul prodotto e non sull'impresa, escludendo dall'analisi il fenomeno delle imprese multi product; di tenere in considerazione solo l'innovazione tecnologica di tipo demand-pull e non l'impatto dell'innovazione tecnology-push; il privilegiare le innovazioni di prodotto trascurando quelle di processo. Tali limiti teorici hanno portato ad una

(19)

capacità interpretativa limitata al contesto storico di riferimento e ad una specifica tipologia di internazionalizzazione.

1.5 Il paradigma eclettico dell’attività internazionale

Il Paradigma Eclettico è stato elaborato da Dunning (1977,1980,2000) con l'obiettivo di integrare e conciliare diversi concetti, nel dibattito sui processi di internazionalizzazione, al fine di fornire un'interpretazione generale delle attività dell'impresa multinazionale e spiegare sia le operazioni internazionali realizzate dalle imprese originarie di un determinato paese che le attività possedute o controllate al suo interno da società straniere. Da un punto di vista concettuale viene classificato come un paradigma che si colloca tra la teoria macroeconomica del commercio internazionale e quella microeconomica dell’impresa, racchiudendo diverse spiegazioni delle iniziative transnazionali intraprese dalle aziende. Nonostante l’accettazione delle maggior parte dei principi contenuti nei modelli neoclassici sul commercio internazionale, infatti, il paradigma sostiene che per spiegare la distribuzione spaziale di quegli output che richiedono l’uso di risorse, capacità e istituzioni che non sono ugualmente accessibili a tutte le imprese, è necessaria l’esistenza di due tipi di imperfezioni del mercato: il fallimento strutturale che diversifica la capacità delle aziende di gestire i diritti di proprietà e di controllare attività produttive geograficamente disperse e, il fallimento intrinseco che impedisce al mercato dei beni intermedi di regolare le transazioni ad un costo inferiore di quello presentato da un sistema gerarchico. Il

(20)

modello ritiene poi che per spiegare in maniera soddisfacente l’attività economica internazionale sia necessario integrare l’analisi delle caratteristiche strutturali del mercato con lo studio delle singole imprese. Queste infatti differiscono per sistema organizzativo, capacità innovativa e attitudine al rischio, quindi presentano strategie di espansione oltre confine fortemente diversificate e in base a gli obiettivi perseguibili attraverso gli investimenti diretti all'estero il modello classifica le imprese in8:

 imprese rivolte ai mercati degli input (natural resources seekers), il cui obiettivo è acquisire a livello internazionale risorse ad un costo inferiore rispetto a quello ottenibile nella nazione di origine o risorse non disponibili sul mercato domestico.

 imprese rivolte ai mercati di sbocco (market seekers), il cui obiettivo è penetrare nei mercati internazionali per fornire beni o servizi ai clienti locali.

 imprese rivolte all'efficienza (efficiency seekers), il cui obiettivo e razionalizzare la struttura degli investimenti sui mercati delle risorse o sui mercati di sbocco al fine di ottenere economie di scala, di scopo o la diversificazione del rischio.

 imprese rivolte allo sviluppo di asset strategici (strategic asset seekers), il cui obiettivo è acquisire imprese straniere non tanto per penetrare sui mercati degli input o sui mercati di sbocco stranieri, ma per rafforzare la

(21)

propria posizione competitiva o indebolire la posizione dei propri concorrenti.

In base al paradigma eclettico l'internazionalizzazione prevede infatti che la capacità delle imprese di internazionalizzare la produzione in un paese straniero dipenda dal possesso, o dalla capacità di acquisire determinati assets che non sono invece disponibili per le aziende indigene. Come visto in precedenza, questi assets prendono il nome di vantaggi competitivi ownership specific perché sono considerati tipici delle imprese di una particolare nazionalità o di una data proprietà. È importante sottolineare che con il termine O-specific non si intendono soltanto gli assets tangibili, come la dotazione di risorse naturali, la manodopera e il capitale, ma anche quelli intangibili, come la tecnologia, le capacità organizzative e manageriali, l’accesso privilegiato alle informazioni oppure al mercato dei beni intermedi. In alcuni casi tali vantaggi possono essere legati ad una particolare localizzazione (L-specific) e al suo specifico ambiente politico, finanziario, culturale ed istituzionale, quindi disponibili per tutte le imprese. In altre situazioni invece tali assets sono di proprietà di determinate imprese del paese d’origine, ma possono essere utilizzati anche in connessione ad altre risorse e capabilities sia in patria che all’estero, prendendo la forma di diritti di proprietà legalmente protetti o di monopoli commerciali. Questi derivano soprattutto dalle caratteristiche dell’impresa: la forza economico-finanziaria legata alla dimensione, il livello tecnologico, la visione imprenditoriale, la capacità di marketing, l’abilità di coordinare molteplici attività. Per alcuni tipi di commercio, invece, in particolare quelli che avvengono tra i paesi avanzati e

(22)

quelli in via di sviluppo, è sufficiente che lo stato esportatore possieda un vantaggio L-specific nei confronti dell’importatore, quindi non è necessario che le sue imprese detengano assets O-specific non disponibili ai loro concorrenti stranieri. Viceversa, i flussi commerciali intra-industriali, che di solito comportano lo scambio di beni innovativi tra i paesi sviluppati, si basano maggiormente sui vantaggi O-specific delle imprese esportatrici. Chiaramente, questi vantaggi si rafforzano se esistono assets L-specific legati al paese esportatore, mentre se questi ultimi favoriscono l’importatore, le imprese saranno incentivate a sostituire il commercio con investimenti finalizzati al controllo di attività produttive. Se i mercati fossero perfetti non ci sarebbe quindi bisogno di un paradigma sulla produzione internazionale, in quanto basterebbe una rivisitazione delle teorie neoclassiche sul commercio che tenga in considerazione i flussi di prodotti intermedi. Sfortunatamente, però, tutti i mercati sono caratterizzati dalla presenza di imperfezioni che influenzano il comportamento delle imprese spingendole all’adozione di differenti strategie di sfruttamento dei vantaggi Ownership e Location-specific di cui dispongono. Come visto in precedenza, Dunning pensava che i fallimenti del mercato capaci di influenzare l'attività economica internazionale delle aziende fossero essenzialmente di due tipi: strutturale ed intrinseco.

Il primo si verifica quando il mercato consente la creazione di monopoli naturali e porta l’impresa che ne beneficia a fare di tutto per creare o innalzare le barriere all’entrata del mercato, anche attraverso l’acquisizione dei competitors potenzialmente più pericolosi a livello internazionale. Per fallimento intrinseco,

(23)

invece, si intende l’incapacità del mercato di organizzare le transazioni in maniera ottimale ed è dovuto principalmente a tre ragioni. La prima è data dal fatto che gli attori economici non entrano sul mercato con informazioni complete e simmetriche e non possono conoscere con certezza le conseguenze delle transazioni che effettuano. Tale situazione si verifica soprattutto nei mercati transfrontalieri e porta a problemi di razionalità limitata, selezione inversa, opportunismo e azzardo morale. La seconda deriva dall’impossibilità per il mercato di tener conto dei costi e benefici che nascono come risultato di una transazione, pur rimanendone esterni. Quando i prodotti sono forniti congiuntamente con altri o vengono originati da un set di inputs condivisi, si crea quindi un incentivo a coordinare sotto una singola governance i diversi stadi della filiera produttiva, o lo stesso stadio di filiere diverse. I benefici derivanti dalla governance proprietaria possono inoltre aumentare nel caso delle transazioni internazionali attraverso lo sfruttamento delle imperfezioni presenti sul mercato finanziario, dei tassi di cambio e delle politiche fiscali dei singoli stati. L’ultima causa di fallimento intrinseco si verifica quando la domanda di un particolare prodotto non è abbastanza grande da permettere alle aziende produttrici di catturare completamente le economie di scala, scopo e diversificazione geografica, quindi crea un trade-off tra i costi totali delle attività produttive e le opportunità che queste offrono per la realizzazione di economie sinergiche.

Le imperfezioni esaminate influenzano profondamente le strategie competitive delle imprese spingendole a diversificare le proprie attività produttive estere e a

(24)

mutare la loro organizzazione proprietaria. Lo scopo di questo comportamento è duplice: da una parte minimizzare i costi di transazione internalizzando le transazioni di mercato (Internalisation Advantages), dall’altra ottenere la massima rendita possibile dagli assets O-specific che detengono. Sintetizzando quanto visto finora, si può concludere che, secondo il paradigma eclettico, il livello e la struttura delle attività produttive internazionali di un’impresa dipendono dal soddisfacimento di quattro condizioni:

I. Il possedimento di vantaggi Ownership-specific (O) nei confronti delle imprese di altre nazionalità nel servire particolari mercati. Tali vantaggi derivano dal possesso o dall’accesso privilegiato ad assets tangibili e intangibili che aumentano la capacità dell’impresa di creare valore aggiunto.

II. Assumendo che la prima condizione sia soddisfatta, il fatto che l’impresa percepisca che sia meglio sfruttare direttamente i suoi vantaggi O-specific piuttosto che vendere questi assets, o i loro diritti di sfruttamento, ad aziende estere indipendenti. I vantaggi derivanti dalla scelta di internalizzare le transazioni di mercato (I) spesso riflettono la superiore efficacia gestionale che l’impresa realizza attraverso il controllo gerarchico.

III. Assumendo che le condizioni I e II siano entrambe soddisfatte, il modo in cui l’impresa migliora la sua performance internazionale attraverso la creazione, l’accesso o l’utilizzo dei suoi vantaggi O-specific in un paese estero. La distribuzione spaziale di risorse, capabilities e istituzioni

(25)

L-specific viene assunta come fortemente irregolare, quindi conferirà un vantaggio competitivo ai paesi che le detengono in abbondanza.

IV. Data la configurazione dei vantaggi relativi ad Ownership, Location e Internalisation (OLI) posseduti da un’impresa, il modo in cui essa utilizza strategie di investimento estero per realizzare i suoi obiettivi di lungo periodo.

Le previsioni del paradigma sono immediate: maggiori sono i vantaggi O-specific posseduti dalle imprese di un determinato paese, maggiore è l’incentivo a internalizzare piuttosto che ad esternalizzare il loro utilizzo, inoltre, maggiore è lo stimolo a sfruttare tali vantaggi oltre confine, maggiore sarà la propensione a realizzare investimenti diretti esteri. Allo stesso modo, quando si verificano le condizioni opposte, il paese considerato sarà maggiormente propenso ad attrarre investimenti produttivi dall’estero. Il paradigma può anche essere espresso in forma dinamica in modo da spiegare i mutamenti delle attività internazionali delle imprese nel tempo. Così le variazioni degli investimenti esteri, in uscita o in entrata, di un determinato paese possono essere spiegati con il cambiamento dei vantaggi O-specific delle sue imprese relativamente a quelle di altri paesi, dei suoi assets L-specific rispetto a quelli di altri stati e della percezione diffusa tra le aziende riguardo ai vantaggi derivanti dall’internalizzazione del mercato. In conclusione il paradigma eclettico non presenta novità dirompenti rispetto alle altre teorie esaminate, ma riesce ad organizzarne efficacemente le principali intuizioni fornendo un modello che permette di spiegare l’attività internazionale delle imprese. Inoltre, combinando i principali tipi di investimento diretto

(26)

(resource, market, efficiency and strategic-asset seeking) con la presenza o l’assenza dei vantaggi OLI (Ownership, Location, Internalisation) può essere utilizzato come punto di partenza per l’analisi della composizione industriale e geografica di tali operazioni internazionali.

Fig.1.1 Alcune determinanti delle attività internazionale

(27)

Capitolo II

Strategie e processi di internazionalizzazione

2.1

Il

processo

di

formazione

della

scelta

di

internazionalizzazione

In questi anni alcuni studiosi hanno manifestato una crescente attenzione al tema delle scelte strategiche dell'internazionalizzazione che costituiscono un tema fondamentale per assicurare alle imprese la ricerca e il conseguimento di certi vantaggi in un contesto tecnologico e di mercato, quale quello attuale, caratterizzato da profonde e imprevedibili discontinuità.

L’avvio di un processo d’internazionalizzazione comporta diverse decisioni e problematiche di carattere strategico e organizzativo da parte dell’impresa, la quale non si trova a dover affrontare uno sviluppo rapido e immediato, bensì una progressiva espansione spaziale della catena del valore oltre i confini nazionali. Capita spesso che gli imprenditori intraprendano attività internazionali senza avere un obiettivo preciso, ottenendo un’internazionalizzazione "non pianificata"; quest’ultima non comporta necessariamente decisioni non logiche, ma è preferibile che gli imprenditori seguano un percorso efficace e ragionato piuttosto che una logica casuale, basando le proprie decisioni sul principio della perdita conveniente piuttosto che sulla massimizzazione dei rendimenti attesi.

(28)

Nel processo decisionale per superare tali confini, l'impresa deve tenere in considerazione determinate problematiche che potranno influire nelle decisioni9:

 L'ostacolo dei confini e delle dogane. I confini segnano normalmente una barriera doganale che funge da freno o da impedimento al libero movimento dei beni, dei servizi e dei capitali. L'esistenza di tali ostacoli conferisce all'internazionalizzazione elementi di rischio addizionale rispetto alle strategie di espansione geografica interna; fanno eccezione a questa regola i confini fra paesi che partecipano ad un unione doganale, come il mercato unico europeo.

 I confini valutari. Quasi sempre i confini sono segnati anche fra aree valutarie diverse. In questo caso entrano in gioco i tassi di cambio che determinano in controvalore in valuta locale dei costi per le importazioni o dei ricavi per le esportazioni; essi costituiscono un potenziale fattore di rischio capace di alterare i punti di convenienza delle scelte spaziali e spesso in forme ed intensità difficili da prevedere. Sono condizionate quindi a questo fattore sia le scelte di approvvigionamento, sia quelle di sbocco, sia a maggior ragione quelle di localizzazione produttiva.

 La discontinuità normativa e giurisdizionale. Nel passaggio da uno stato all'altro cambiano le norme e le autorità giurisdizionali. Ciò comporta difficoltà e, quindi, costi di adeguamento alle nuove condizioni operative e rischi nel livello di protezione dei diritti rispetto all'attività svolta nel paese di origine. La diversità del contesto normativo crea anche una

9

(29)

rilevante barriera informativa che aumenta i costi di transazione, di conseguenza l'impresa deve attrezzarsi per conoscere e rispettare le norme.

 Le barriere linguistiche. Un'altra problematica che l'internazionalizzazione incontra sulla sua strada è la differenza linguistica che normalmente separa i diversi paesi. A prima vista sembra una problematica di poco rilievo, ma invece costituisce un grande ostacolo perché influenza tutto il processo informativo, rendendolo più opaco, più mediato e più costoso.

 La discontinuità nel contesto. Nel momento in cui si valicano i confini in alcuni casi non vi sono cambiamenti, mentre in alcuni contesti potrebbero presentarsene vari come i modi di condurre gli affari, i sistemi distributivi, l'organizzazione della produzione, le regole della concorrenza e la cura dell'ambiente; in questi casi l'espansione territoriale finisce con l'incontrare un contesto così diverso da quello originario da prospettarsi quasi come una vera e propria diversificazione. Proprio perché le caratteristiche della domanda sono così diverse o perché sono diversi i comportamenti di acquisto, si modificano profondamente i fattori critici di successo e l'assetto d'impresa necessario per competere. In questi casi le imprese partono pensando di realizzare un mero allargamento geografico, ma si trovano ben presto di fronte al problema di impostare una nuova formula imprenditoriale. Quindi un efficace processo decisionale ha una grande importanza e forti implicazioni sul processo di

(30)

internazionalizzazione in quanto permette alle imprese di aumentare rapidamente il livello di impegno nel mercato estero riuscendo più facilmente a superare le avversità a cui esse vanno spesso incontro. Per quanto riguarda le principali motivazioni che spingono le aziende ad operare all’estero, vengono identificate diverse possibili ragioni capaci di stimolare l’attività internazionale, da quelle di natura interna all’impresa, quali la presenza di una capacità operativa inattiva o il possesso di competenze organizzative esclusive, a quelle di natura esterna, quali la prevalenza di vincoli nel mercato domestico piuttosto che le pressioni da parte dei concorrenti domestici. Spesso la principale ragione può essere riscontrata nell’identificazione di opportunità di business nei mercati esteri particolarmente attraenti e stimolanti per quelle che sono le caratteristiche e le potenzialità dell’azienda stessa.

I driver interni, o firm-based, portano l’impresa ad avere una visione ottimistica dell’internazionalizzazione spiegata dalla presenza di un vantaggio interno compatibile con le possibilità offerte dal mercato d’interesse, che permette all’impresa di operare da una posizione di forza. Allo stesso tempo, capita spesso che le imprese cerchino l’internazionalizzazione al fine di migliorare o superare difficoltà interne. Al contrario, i driver esterni, o environment-based, generano la risposta necessaria rispetto alle condizioni presenti nei mercati operativi, le quali possono manifestarsi con l’aumento della pressione competitiva piuttosto che con un calo persistente del mercato interno. Andando più in profondità nell’analisi di questi elementi motivazionali, alla categoria delle cause interne fanno riferimento

(31)

quelle spinte legate alla volontà di sfruttare e rafforzare il vantaggio competitivo accumulato nel mercato domestico relativo all’azienda o ai suoi prodotti, estendendolo sui mercati internazionali. Tale vantaggio può essere ricondotto alla capacità dell’impresa di offrire il prodotto a prezzi competitivi, o a particolari elementi percepiti dal cliente che rendono il prodotto o il servizio unico.

Se da un lato gli aspetti interni assumono un importante rilievo, dall’altro anche le condizioni esterne sono tenute in considerazione, poiché celano l’attrattività dei mercati esteri percepita dall’impresa che sarà in seguito spinta ad ampliare il proprio raggio d’azione oltre i confini nazionali. Uno dei fattori esterni può essere evidenziato nel venir meno delle barriere tra Stati, con la creazione di aree di libero scambio o accordi internazionali volti a costruire le basi per un sistema multilaterale di relazioni commerciali, favorendo così la liberalizzazione del commercio mondiale.

La ricerca di nuovi mercati di sbocco è un fattore contingente alla necessità dell’impresa di conquistare nuove quote di mercato, elemento indispensabile per la crescita di ogni azienda. La decisione di espandersi all’estero può anche essere conseguenza della riorganizzazione produttiva su scala internazionale dei principali clienti, aspetto valido specialmente per le aziende che operano come fornitori di grandi clienti e che sono costrette ad adeguare le proprie attività alle loro esigenze. A differenza delle motivazioni interne, quelle esterne hanno una natura meno razionale e meno pianificata per il raggiungimento di obiettivi specifici. Spesso, infatti, l’intensità dell’internazionalizzazione porta il mercato

(32)

originario di un’impresa ad essere particolarmente esposto alle forze competitive internazionali.

2.2 Fasi di un processo di internazionalizzazione

Qualsiasi possa essere la natura della motivazione, difficilmente favorevoli circostanze interne o ambientali sono sufficienti per avviare con successo le attività all’estero; infatti, è necessario, che le imprese abbiano le risorse e gli assetti organizzativi adatti a quel tipo di strategia estera. Come accennato in precedenza il principale motivo di internazionalizzazione, da ricercare nella propria strategia, è quello di acquisire o consolidare un vantaggio competitivo, che permetta quindi all’impresa di occupare e mantenere una posizione favorevole, e a volte maggiormente redditizia, rispetto a quella occupata nel proprio paese d’origine.

Quindi una volta definite le cause rilevanti dell’avvio di un’espansione internazionale, è utile descrivere le fasi che le imprese devono affrontare, evidenziando la natura dinamica ed evolutiva di tale processo. L’internazionalizzazione è un processo di crescita evolutivo per stadi incrementali che, nel corso del tempo, accumula conoscenze relative al mercato e alle attività in esso sviluppate e acquisite attraverso l’esperienza, adattandosi ai cambiamenti interni ed esterni. Le imprese hanno l’obiettivo di gestire in maniera efficiente una serie di fasi aventi caratteristiche e tempistiche differenti.

(33)

La fase di avvio comporta la definizione dell’area geografica in cui l’impresa ha intenzione di insediarsi, scelta cruciale in quanto da essa dipendono le seguenti fasi e il buon raggiungimento degli obiettivi prefissati. Una volta entrata a far parte del nuovo contesto l’azienda ha il compito di gestire le conseguenze del fatto di aver implementato una maggiore dimensione geografica delle proprie attività, generando impatti negativi dal punto di vista economico, strategico e organizzativo. Per ovviare a tale situazione vengono definite delle routines comportamentali necessarie a una corretta gestione del suddetto processo. A tal proposito, si possono individuare i tre fattori rilevanti per la gestione strategica d’impresa. Innanzitutto le risorse con cui l’impresa mira a ottenere un vantaggio competitivo sui mercati internazionali grazie alla combinazione delle risorse distintive già presenti all’interno dell’organizzazione. Essa supporta la crescita tramite un adeguamento coerente dell’organizzazione interna ed investendo nella formazione, per disporre di risorse con competenze adeguate. In secondo luogo le attività: nel processo d’internazionalizzazione l’impresa deve essere in grado di organizzare al meglio l’attività instaurando le modalità di distribuzione migliori a livello geografico. Infine le routines: sviluppo, combinazione e controllo delle routines rappresentano le tre fasi tipiche del processo di apprendimento organizzativo, pertanto maggiore sarà l’efficacia di tali procedure, migliore sarà la qualità dell’organizzazione nel suo complesso. Nel momento in cui emergono nuove ed efficaci procedure prestabilite, l’impresa sarà in grado di generare le sophisticated competences che hanno lo scopo di differenziare positivamente un'azienda sul mercato poiché non possono essere replicate, e le dynamic

(34)

capabilities utili ad estendere, modificare o creare le capacità acquisite, e competere all’interno del proprio contesto. Nella terza fase l’impresa acquisisce una forte autonomia grazie al consolidamento delle relazioni con i maggiori attori del contesto straniero, portando a termine così il processo iniziale di adattamento e iniziando una fase di completa maturazione nella gestione strategica e organizzativa delle attività internazionali, che permette di raggiunge un radicamento competitivo definitivo all’interno della nuova area geografica. L’ultimo passaggio prevede una pianificazione razionale della posizione internazionale acquisita dall’impresa nelle fasi precedenti, volta al rafforzamento dei rapporti interni e alla riorganizzazione del proprio business, facendo in modo che tutte le attività convergano verso una strategia che comprenda diversi mercati geografici, sia quelli già presidiati, sia quelli nuovi nei quali si è deciso di insediarsi.

Quindi l'azienda ha il compito di studiare il proprio settore di appartenenza, i mercati target e acquisire un’approfondita conoscenza dei fattori interni ed esterni, in modo da conoscere i limiti da affrontare ancor prima di iniziare il percorso di espansione e, nello stesso tempo, essere in grado di prevedere nuovi ostacoli e saperne affrontare il loro sopravvenire.

2.3 Strategie e modalità di espansione internazionale

Viste le fasi del processo di internazionalizzazione, nel paragrafo precedente, è importante ampliare la visione su quali sono le scelte e le modalità strategiche che l'impresa deve affrontare.

(35)

La definizione della strategia di internazionalizzazione di un’impresa deve essere caratterizzata da un approccio di medio lungo termine e deve tenere in considerazione una serie di variabili fondamentali in modo che tale strategia risulti operativamente e finanziariamente sostenibile e remunerativa. Affinché la strategia risulti vincente, vi è la necessità di dare un forte radicamento alla presenza sui mercati di sbocco, controllando più funzioni possibile, in modo da rendere molto difficile l'esser scalzati da quel mercato. Lo sviluppo della strategia di entrata tiene in considerazione tre aspetti fondamentali10.

In primis l’azienda stabilisce la tipologia di attività da svolgere nel nuovo contesto estero: commercializzare il prodotto o il servizio realizzato nel contesto nazionale originario, svolgere attività della catena del valore all’estero, acquisire e sviluppare competenze e conoscenze. In seguito è importante definire l’insieme dei soggetti esterni coinvolti nella realizzazione delle attività internazionali. Una volta superate queste due fasi, per il proseguo è fondamentale la scelta dei mercati o, comunque, dell’area geografica che si intende penetrare commercialmente. Per la localizzazione del proprio investimento i primi fattori oggetto di analisi dell’impresa sono le principali variabili macroeconomiche che caratterizzano il mercato in un determinato periodo. Infatti variabili come la crescita del prodotto interno lordo, l’andamento dell’inflazione, il trend del commercio internazionale e il reddito pro-capite medio della popolazione del mercato di riferimento, risultano molto importanti per l’impresa per capire l’attrattività di un paese piuttosto che un altro. Un altro elemento molto importante per capire l’andamento del commercio internazionale riguarda il

(36)

flusso degli investimenti diretti esteri (IDE) che possono rappresentare un importante strumento di sviluppo economico internazionale. Difatti i paesi di sviluppo che hanno fatto registrare tassi di crescita elevati sono gli stessi in grado di attrarre i volumi di investimenti diretti esteri maggiori. Oltre alle variabili macroeconomiche, vi sono altre variabili per lo più di carattere burocratico e giuridico, come i livelli di imposizione fiscale e la presenza di processi di liberazione fiscale e giuridica, che influiscono anch'esse nella scelta del mercato geografico nel quale insediarsi. L’analisi dei mercati oggetto di investimento è fortemente connessa con le finalità che l’impresa si prefigge di raggiungere in un determinato periodo di tempo. Il processo strategico, infatti, determina il continuo sviluppo e cambiamento della società internazionale in termini di portata, affari, idee, orientamento all'azione, principi organizzativi, natura del lavoro manageriale, valori dominanti e norme convergenti, aspetti del processo strategico che incidono sulla dimensione dell’internazionalizzazione. L’assenza di una strategia ben definita può incidere in modo negativo sul risultato finale ponendo l’impresa dinanzi a situazioni nelle quali non è in grado, ad esempio, di reagire ai possibili shock che spesso caratterizzano i mercati emergenti, oppure di portare avanti il processo di espansione a causa di una mancanza di coordinamento tra le attività interne e quelle esterne, che comporta un aumento dei costi e di conseguenza un annullamento dei profitti derivanti dall’internazionalizzazione. L’azienda perciò deve avere una perfetta conoscenza della dinamiche di mercato interne in modo da poter cogliere le opportunità con tempestività, studiando i trend di sviluppo, la potenziale redditività, i trend di

(37)

crescita dei volumi e della struttura distributiva del paese di potenziale destinazione.

Oltre alle caratteristiche del segmento di mercato oggetto dell’internazionalizzazione, la definizione della strategia di entrata necessita di un’attenta analisi relativa alla specificità del business dell’impresa stessa, ai fattori contingenti, quali il livello delle tecnologie e del know-how da essa posseduto, nonché alle caratteristiche dei clienti attuali e di quelli potenziali in modo da poter gestire le eventuali differenze tra i due. Infine Johanson e Vahlne (1977) identificano tre elementi da tenere in considerazione nella determinazione della strategia di entrata, quali il grado di coordinamento tra le varie attività produttive installate nell’area geografica; il grado di flessibilità dell’investimento estero effettuato, infatti tanto maggiore è l’investimento, tanto più la strategia di entrata è caratterizzata da elementi di rigidità, in quanto disinvestire comporterebbe delle perdite insostenibili e difficilmente recuperabili nel breve periodo per l’azienda; il grado di coinvolgimento che essa è disposta ad assumere, le imprese possono decidere se muoversi autonomamente o in collaborazione con terzi.

Alla luce di quanto visto fin ora, si può evincere che un unico sforzo sinergico di azioni inserite in una strategia ben elaborata, gestita e contestualizzata, può permettere all’azienda di raggiungere il successo internazionale e sviluppare una comune visione volta all’internazionalizzazione.

(38)

2.4 Modalità di entrata nel mercato estero

Visto i fattori determinanti nella scelta della strategia di entrata, nel precedente paragrafo, è utile illustrare adesso, le diverse modalità di entrata in un mercato estero. Ogni forma di strategia internazionale infatti comporta una differente assunzione di rischi, un particolare impegno finanziario e organizzativo nonché un potenziale radicamento del mercato estero.

2.4.1 Alleanze e accordi strategici

Una prima forma di entrata nel mercato estero da analizzare riguarda gli accordi strategici. Sono delle intese di medio-lungo termine promosse da quell’impresa che ha l’obiettivo specifico di espandersi a livello internazionale con aziende consolidate nei paesi scelti come target geografici. Nell’attuale contesto di crescente globalizzazione dell’economia, le imprese si avvalgono spesso di forme di collaborazione con altre imprese. In tale schema cooperativo, l’impresa che si espande fornisce capacità produttiva, conoscenze, prodotti e servizi potenzialmente di successo nella nuova area, mentre l’azienda già implementata fornisce il sistema distributivo del prodotto nel territorio insediato. Le alleanze strategiche creano una forte condivisione degli investimenti tra le parti considerate e, di conseguenza, una riduzione dello sforzo finanziario e organizzativo, un accesso immediato alle risorse critiche internazionali che permettono di acquisire maggiori e migliori conoscenze del nuovo mercato e, infine permettono di sviluppare più rapidamente una forte posizione competitiva.

(39)

Un esempio chiaro di questo tipo di strategia è il licensing, con il quale un’impresa, anche detta licensior, cede ad un’altra, detta licensee, il diritto di produrre prodotti conformi ai propri dietro pagamento di un corrispettivo. E’ una forma di espansione internazionale indiretta poiché non necessariamente l’impresa deve entrare in contatto con il mercato di riferimento. Comunque il licensior, tramite tale strategia può iniziare ad assumere importanti informazioni sui mercati che in futuro potrebbero essere insediati direttamente.

Una particolare forma di accordo commerciale è il consorzio, che negli ultimi anni ha rappresentato una soluzione particolare per la valorizzazione del proprio prodotto a livello nazionale e internazionale. “Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”11.

Questa forma d'accordo solitamente nasce con l’obiettivo di realizzare attività congiunte all’estero, ma spesso può capitare che tale strategia non raggiunga i successi sperati, in quanto diverse problematiche sono da tenere in considerazione. Infatti, spesso, la mancanza di obiettivi ben definiti scaturisce nel fatto che il consorzio sia costituito senza essere accompagnato dalle necessarie strategie di entrata e da una struttura solida. Inoltre, l’elevato numero di imprese che vi partecipano, rende molto complesso l’aspetto gestionale e di coordinamento. Nonostante ciò guardare al consorzio come base di partenza per l’internazionalizzazione e l’esportazione dei propri prodotti rimane una strategia interessante e, se ben implementata, può risultare vincente.

(40)

Un'altra forma di alleanza strategica è la costituzione di una joint-venture, tipica strategia attuata da quelle imprese il cui obiettivo è avere una stabile presenza sui mercati esteri. Essa prevede la costituzione di una nuova società grazie agli apporti dei così detti parent companies, società che diviene un soggetto giuridicamente indipendente rispetto alle società che la costituiscono. Tale strategia presenta alcuni vantaggi specifici per le imprese quali: ridurre l’investimento finanziario e la complessità organizzativa richiesti dall’entrata nel mercato estero attraverso un investimento diretto; determinano una netta separazione dalla posizione competitiva nel mercato estero dove opera la joint venture da quella che l’impresa ha negli altri ambiti dove è presente direttamente; consentono all’impresa di entrare in un nuovo Paese con una struttura aziendale dotata di un insieme di risorse e competenze generalmente superiore a quello di cui essa avrebbe potuto disporre da sola. Tale strategia viene implementata anche come unica soluzione per superare le barriere all’entrata di un mercato, o nel caso in cui, non avendo una profonda conoscenza del mercato, essere legato ad un partner locale per consentire di colmare le lacune relative al radicamento sul mercato stesso e ai rapporti istituzionali. Mettere in atto tale strategia richiede un forte coinvolgimento finanziario e operativo, un orizzonte temporale definito in modo abbastanza preciso e di conseguenza un investimento più stabile, oneroso e duraturo; inoltre la costituzione di una joint-venture come strategia di insediamento all’estero, comporta grande attenzione in termini di controllo e coordinamento per il raggiungimento degli obiettivi internazionali. Infatti, nel momento in cui le organizzazioni crescono di dimensioni, si rilevano aumenti

(41)

concomitanti nella complessità e nella differenziazione delle loro strutture, nonché possibili rischi di conflitti, comportamenti opportunistici e contrasto tra obiettivi delle diverse unità operative.

2.4.2 L' esportazione indiretta e diretta

Viste queste due prime modalità di entrata nei mercati esteri, andremo ora ad analizzare quelle che possono essere definite le strategie di internazionalizzazione più tradizionali, come l’esportazione, la quale non necessita da parte dell’impresa nessuna unità produttiva nei mercati esteri in cui opera, e può quindi essere presente in tali mercati attraverso l'esportazione dei propri prodotti tramite due distinte metodologie: indiretta o diretta.

Attraverso il canale indiretto, l’impresa rinuncia ad assumere un “ruolo attivo” nel processo di esportazione: il produttore, infatti, non gestisce direttamente le operazioni commerciali nel mercato estero. Le esportazioni indirette infatti, prevedono la presenza di più soggetti intermediari che si occupano di tali operazioni.

Al fine di ottenere una visione completa ed esaustiva, elencheremo quali sono i principali operatori e le operazioni che pongono in essere. Gli operatori presi in analisi sono:

 Il Buyer è un soggetto che risiede in un determinato Paese e rappresenta un certo numero d’imprese estere interessate ad avere un contatto diretto e continuo con potenziali fornitori operanti nella sua stessa area geografica. Essi identificano sia le offerte più convenienti per soddisfare le esigenze

(42)

congiunturali, sia prodotti e marchi da inserire nel proprio portafoglio per migliorare la differenziazione dell’offerta. Tali soggetti operano in ogni caso per conto degli acquirenti esteri sulla base di una precisa “lettera d’intenti” che indica le condizioni basilari della transazione che essi possono impostare con i fornitori del proprio Paese. Per l’impresa che intende sviluppare una clientela estera in un certo Paese, il Buyer costituisce un veicolo molto efficace;

 Il Broker è un soggetto che svolge la funzione di collocare il produttore con il potenziale compratore estero e di fornire un eventuale supporto consulenziale per favorire la transazione tra i due. Egli opera sia dal lato delle esportazioni sia delle importazioni svolgendo solo un lavoro di selezione delle domande/offerte migliori;

 Export management company è un’impresa commerciale che opera nei mercati internazionali come unità di vendita per un determinato numero di produttori operanti a livelli diversi della stessa filiera. Tale tipologia d’intermediario opera all’estero per conto di ogni produttore, gestendo le relazioni commerciali in un mercato straniero.

Si è visto in precedenza come le esportazioni indirette possono avvenire anche mediante società specializzate; un tipico esempio è rappresentato dalle “trading companies”, ossia società che operano nella vendita con compratori internazionali di prodotti realizzati in un determinato Paese. Le funzioni più rilevanti che esse possono svolgere vanno dalla valutazione della convenienza

(43)

dei mercati esteri alla creazione di pacchetti di finanziamento per le imprese clienti, fino ad arrivare alla ricerca di partner nei mercati esteri per la realizzazione di accordi commerciali. Infine le esportazioni indirette possono essere attuate anche mediante un accordo tra due soggetti, il quale accordo prende il nome di Piggyback e identifica due soggetti un rider e un carrier, dove il primo vende i propri prodotti in un mercato estero attraverso la struttura distributiva del secondo. Il carrier è normalmente un’impresa di grandi dimensioni con una struttura organizzativa internazionale già consolidata, mentre il rider al contrario è solitamente un’azienda di modeste dimensioni, nella fase iniziale del suo processo d’internazionalizzazione. Condizione fondamentale per l’attuazione di quest’accordo è che il prodotto del rider non sia in competizione diretta con quelli del carrier. Dal punto di vista del carrier tale accordo determina tre vantaggi essenziali: estensione della gamma della propria offerta e delle possibili sinergie commerciali che ne conseguono; migliore utilizzazione della capacità distributiva internazionale, con benefici in termini di economie di scopo e di sviluppo organizzativo; opportunità di “attaccare” determinati concorrenti in aree di business per loro rilevanti di distribuzione, ovvero trading companies e agenti, che si pongono come un vero e proprio intermediario tra l’impresa esportatrice e il cliente finale, potenziale acquirente.

Alla luce di ciò possiamo stabilire che l'impresa che sceglie di esportare attraverso la modalità indiretta avrà come vantaggio principale la possibilità di cogliere grandi opportunità offerte dal mercato senza dover sostenere investimenti troppo onerosi e grandi cambiamenti della struttura organizzativa

Riferimenti

Documenti correlati

• In presenza di economie di scala esterne, un paese con un settore di grandi dimensioni avrà bassi costi di produzione di quel bene o servizio. • Le economie esterne possono

parte della strategia globale di produzione e marketing sia difensiva che aggressiva.. I vantaggi dei FDI li possiamo vedere distinguendo 4 tipi diversi di FDI. 3) MOTIVATI

all’interno di un oggetto posso avere movimento di carica conduttori: le cariche possono muoversi.

Comunque mi ricordo che quando ero piccolo ( 6-7 anni fa) l’atmosfera era più “ na- talizia” rispetto ad oggi, che conta- va di più essere felici che ricevere

Estensione della rilevazione (nel solo caso di amministrazioni/enti con uffici periferici) L’ente non dispone di uffici periferici. Procedure e modalità seguite per la rilevazione

• Ammontare delle altre importazioni non soggette all’imposta (art. 68), comprese le operazioni di immissione in libera pratica, con sospensione del pagamento

Alla base del lavoro vi è, quindi, la necessità di individuare approcci e strumenti che concilino sviluppo e sostenibilità, tenendo conto della fragilità

2.3.2 Quali tipi di clienti possono essere coinvolti e i metodi per raccogliere i