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EFFETTI DELLE VARIAZIONI TERMICHE SUL REGIME DI SPINTA PASSIVA NEI PONTI INTEGRALI

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

SCUOLA DI INGEGNERIA

Corso di Laurea Magistrale in

Ingegneria Edile e delle Costruzioni Civili

Tesi di Laurea

EFFETTI DELLE VARIAZIONI TERMICHE SUL REGIME

DI SPINTA PASSIVA NEI PONTI INTEGRALI

Relatore: Candidato:

Prof. Ing. Pietro Croce Alessandro Cignoni

Correlatore:

Prof. Ing. Giovanni Buratti

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Sommario

Sommario

Introduzione ... 1

1 Stato dell’arte ... 5

1.1 Cenni storici ... 5

1.2 Ponti integrali negli Stati Uniti ... 9

1.3 Ponti integrali nel Regno Unito ... 12

1.4 Germania ... 13 1.5 Finlandia ... 14 1.6 Svezia... 14 1.7 Giappone ... 15 1.8 Italia ... 15 1.9 Confronto ... 16 1.9.1 Fondazioni ... 16 1.9.2 Terrapieno ... 16 1.9.3 Soletta di avvicinamento ... 17 1.9.4 Tipologia di impalcato ... 17 2 Classificazione ... 19 2.1 Strutture a portale ... 19

2.1.1 Portale su fondazioni dirette (A1) ... 20

2.1.2 Portale su fondazioni a setto (A2) ... 20

2.1.3 Impalcato con traversi di testa su pali con retrospalle in terra armata (A3) ... 21

2.1.4 Impalcato su due appoggi e con velette di estremità a sbalzo (A4) ... 22

2.1.5 Impalcato con traversi di testa in appoggio diretto (A5) ... 23

2.1.6 Impalcato con traversi di testa innestati su pali (A6) ... 24

2.1.7 Impalcato su fondazioni profonde a cavalletto (A7) ... 25

2.2 Viadotti ... 26

2.2.1 Connessioni ad altezza piena (B1) ... 27

2.2.2 Connessioni ad altezza parziale (B2) ... 29

2.2.3 Connessioni totali (B3) ... 29

2.3 Ponti esistenti resi integrali ... 30

2.3.1 Evoluzione semplice (C1) ... 31

2.3.2 Evoluzione con cavi di precompressione (C2) ... 31

3 Aspetti statici dei ponti... 33

3.1 Schema di un ponte tradizionale ... 33

3.2 Schema di un ponte integrale ... 34

3.3 Schema di un ponte semi-integrale ... 35

3.4 Dettagli costruttivi ... 37

(6)

Sommario

4.1 Ponti convenzionali ... 42

4.2 Ponti integrali ... 43

4.3 Parametri progettuali dei ponti integrali ... 45

4.3.1 Variabili che influenzano la pressione laterale ... 47

4.3.2 Variabili che influenzano i cedimenti ... 59

4.3.3 Variabili che interessano strutture su fondazioni profonde ... 68

5 Modalità di analisi consigliate in letteratura ... 73

5.1 Lehane, Keogh, O’Brien, 1999 ... 73

5.1.1 Caratterizzazione del terreno ... 73

5.1.2 Determinazione della matrice di rigidezza spalla-terreno ... 77

5.1.3 Sviluppo del modello ... 79

5.2 Modelli agli elementi finiti... 81

5.3 Feldmann et al., 2010 ... 81

5.3.1 Analisi separata di sovrastruttura e sottostruttura ... 82

6 Descrizione generale del sito di progetto ... 87

7 Riferimenti normativi ... 89 8 Materiali ... 91 8.1 Acciaio S355... 91 8.2 Acciaio B450C ... 92 8.3 Calcestruzzo C45/55 ... 92 8.4 Calcestruzzo C28/35 ... 93

9 Analisi dei carichi, schemi di carico ed effetti sul terrapieno ... 95

9.1 Azioni permanenti ... 95

9.1.1 Carichi permanenti strutturali G1 ... 96

9.1.2 Carichi permanenti portati G2 ... 96

9.1.3 Altre azioni permanenti ... 97

9.2 Distorsioni ... 99

9.2.1 Temperatura ... 99

9.2.2 Viscosità ... 106

9.2.3 Ritiro ... 107

9.3 Azioni variabili da traffico ... 113

9.3.1 Carichi variabili da traffico ... 113

9.3.2 Azione longitudinale di frenamento o accelerazione (q3) ... 123

9.3.3 Azione centrifuga (q4) ... 125

9.4 Azioni variabili di vento e neve ... 125

9.4.1 Azione della neve ... 125

9.4.2 Azione del vento ... 127

9.5 Azioni sui parapetti, urto dei veicoli in svio ... 138

9.6 Azioni sulla sottostruttura ... 138

9.6.1 Peso proprio ... 139

9.6.2 Spinta del terreno a tergo ... 139

10 Combinazioni di calcolo ... 143

11 Predimensionamento ... 149

(7)

Sommario

11.2 Dimensionamento dell’impalcato ... 151

11.2.1 Comportamento a flessione ... 151

11.2.2 Comportamento a torsione ... 156

11.3 Caratterizzazione del terreno ... 161

11.4 Costruzione della matrice di rigidezza ... 163

11.5 Progetto e verifica della soletta ... 166

11.5.1 Analisi dei carichi ... 167

11.5.2 Combinazioni di calcolo ... 168

11.5.3 Sollecitazioni di calcolo SLU ... 169

11.5.4 Sollecitazioni di calcolo SLE ... 170

11.5.5 Progetto e verifica della soletta allo SLU ... 173

11.5.6 Verifica della soletta agli SLE ... 178

12 Modelli di calcolo... 183

12.1 Modello locale della soletta ... 185

12.2 Modello globale per l’analisi degli effetti del ritiro ... 185

12.2.1 Sovrastruttura ... 185

12.2.2 Sottostruttura ... 186

12.3 Modelli globali per analisi statica ... 186

12.3.1 Sovrastruttura ... 186

12.3.2 Sottostruttura ... 188

12.3.3 Terrapieno dietro le spalle ... 188

12.3.4 Terreno di fondazione ... 195

13 Verifiche della sovrastruttura ... 207

13.1 Classificazione delle sezioni ... 208

13.1.1 Cassone metallico ... 208

13.1.2 Verifica di instabilità di colonna... 212

13.1.3 Traversi e controventi di falda ... 214

13.2 Proprietà meccaniche della sezione metallica ... 214

13.3 Proprietà meccaniche della sezione composta acciaio-calcestruzzo ... 219

13.3.1 Determinazione della larghezza efficace delle flange ... 219

13.3.2 Determinazione delle caratteristiche resistenti ... 220

13.4 Proprietà meccaniche dei profili angolari ... 224

13.5 Verifiche di resistenza dell’impalcato (fase 2) ... 226

13.5.1 Resistenza della sezione composta ... 233

13.5.2 Resistenza dei traversi ... 240

13.5.3 Resistenza dei controventi di falda ... 241

13.6 Verifiche di stabilità (fase 2) ... 242

13.6.1 Imbozzamento dei pannelli d’anima ... 242

13.6.2 Stabilità a taglio dei pannelli d’anima ... 246

13.6.3 Stabilità a compressione dei profili angolari ... 249

13.7 Resistenza delle unioni (fase 2) ... 253

13.7.1 Collegamenti trave-trave ... 254

13.7.2 Unione dei traversi e dei controventi di falda ... 255

13.7.3 Connessione trave-soletta ... 258

13.8 Verifiche SLE (fase 2) ... 263

13.8.1 Tensioni in esercizio ... 263

13.8.2 Verifica a fessurazione ... 270

(8)

Sommario

13.9.1 Resistenza della sezione composta ... 274

13.9.2 Resistenza dei traversi ... 280

13.9.3 Resistenza dei controventi di falda ... 280

13.10 Verifiche di stabilità (fase 3) ... 281

13.10.1 Imbozzamento dei pannelli d’anima ... 281

13.10.2 Stabilità a taglio dei pannelli d’anima ... 285

13.10.3 Stabilità a compressione dei profili angolari ... 289

13.11 Resistenza delle unioni (fase 3) ... 292

13.11.1 Collegamenti trave-trave ... 293

13.11.2 Unione dei traversi e dei controventi di falda... 294

13.11.3 Connessione trave-soletta ... 297

13.11.4 Tensioni in esercizio ... 302

13.11.5 Verifica a fessurazione ... 308

14 Verifiche della sottostruttura ... 313

14.1 Verifiche di resistenza della spalla ... 313

14.1.1 Pressoflessione biassiale... 320

14.1.2 Taglio ... 322

14.2 Verifiche di resistenza della platea di fondazione ... 324

14.2.1 Pressoflessione biassiale... 325

14.3 Pali di fondazione ... 328

14.3.1 Calcolo del carico limite verticale di un palo ... 331

14.3.2 Calcolo del carico limite orizzontale di un palo ... 336

14.3.3 Verifiche di resistenza del singolo palo ... 338

15 Progetto e verifica del collegamento impalcato-spalla ... 341

15.1 Meccanismo resistente 1 ... 341

15.2 Meccanismo resistente 2 ... 344

15.3 Meccanismo resistente 3 ... 346

15.4 Meccanismo resistente 4 ... 347

15.5 Verifica della connessione barra-calcestruzzo ... 352

16 Analisi del regime di spinta nel terrapieno ... 353

16.1 Analisi elastiche lineari ... 353

16.1.1 Sabbia (e = 0,8) ... 354

16.1.2 Sabbia (e = 0,4) ... 358

16.1.3 Sabbia e ghiaia (e = 0,35) ... 362

16.1.4 Commenti ... 366

16.2 Analisi elastiche non lineari ... 367

16.2.1 Commenti ... 385

17 Tecniche di intervento ... 387

17.1.1 Pressione orizzontale del terreno ... 387

17.1.2 Cedimenti del terreno ... 388

18 Conclusioni ... 391

Indice delle figure ... 397

Bibliografia ... 407

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Introduzione

Introduzione

I ponti sono strutture dotate di uno schema statico semplice che ne consente una chiara definizione del flusso di forze dall’impalcato al sistema di fondazione. La maggior parte di questi schemi prevede l’utilizzo di dispositivi di vincolo (apparecchio con cui si realizza la condizione cinematica del vincolo) che dovrebbero garantire un comportamento duale tale da:

• permettere spostamenti senza forze parassite; • trasmettere le forze senza spostamenti parassiti.

Nonostante i grandi sviluppi tecnologici raggiunti nella produzione, la realtà si scontra con la difficoltà di realizzare dispositivi perfetti a causa di:

• impossibilità di eliminare totalmente le forze di attrito; • impossibilità di realizzare elementi infinitamente rigidi; • errori e tolleranze di fabbricazione e montaggio.

Al fine di permettere gli spostamenti della sovrastruttura senza recare danni alla sottostruttura, i dispositivi di vincolo sono sempre accoppiati all’utilizzo di giunti stradali e spesso a sistemi di attenuazione sismica.

Questa impostazione progettuale e tecnologica non è tuttavia priva di inconvenienti. Gli elementi più vulnerabili sono i giunti, la cui durata (circa 10 anni) è inferiore alla vita nominale prevista dell’opera per una serie di motivi come:

• l’errata valutazione degli spostamenti massimi del giunto; • errori di installazione;

• i difetti di complanarità;

• l’inefficacia dei sistemi di convogliamento acque; • la vulnerabilità delle parti emergenti.

L’insieme di questi fattori è causa di discontinuità del piano viabile con riduzione del comfort di guida, di amplificazione dinamica dei carichi insistenti sui giunti e sulle zone adiacenti della soletta, di sovrasollecitazioni sulle sospensioni dei mezzi in transito, ma soprattutto di degrado e malfunzionamento del giunto stesso, portando alla necessaria manutenzione, riparazione o sostituzione del dispositivo. Molto spesso, l’onere finanziario richiesto per questi interventi è tale da superare la disponibilità di fondi attribuiti ai diversi enti di gestione.

Poiché questa tipologia di ponti rappresenta la quasi totalità di quelli esistenti (circa il 70-80%), è chiaro che i vari problemi di:

• sicurezza;

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Introduzione

• sostenibilità dei costi di manutenzione;

hanno indotto gli ingegneri a cercare nuove soluzioni. Al fine di eliminare le discontinuità del piano viabile si è affermato progressivamente il concetto di “ponte integrale”; ovvero di una tipologia strutturale priva di giunti che prevede l’utilizzo di schemi a portale. Questa classe di ponti ha dimostrato un buon comportamento in termini di funzionalità, costi iniziali, durata (allungamento sensibile della vita utile della struttura) e ridotta necessità di manutenzione. Nonostante sia stato provato che la costruzione di un ponte integrale sia economicamente vantaggiosa rispetto alla soluzione tradizionale per un vasto range di lunghezze, non è altrettanto vero che questa soluzione sia priva di problemi durante la sua vita utile. Questo è dovuto al fatto che staticamente lo schema di un ponte integrale non induce alcun miglioramento nei confronti degli allungamenti o accorciamenti della sovrastruttura. Infatti ciò che cambia è solo il modo in cui questi movimenti vengono assorbiti e pertanto il problema passa dall’ambito strutturale a quello geotecnico.

Attualmente, a seguito della diffusione dei ponti integrali, c’è maggior attenzione e interesse nello studio dei problemi di servizio e post costruzione. Le maggiori criticità riguardano l’interazione struttura-terreno. Le cause fondamentali sono le variazioni di temperatura stagionali:

• le basse temperature invernali inducono la sovrastruttura ad accorciarsi. Di conseguenza le spalle subiscono una traslazione e un’inflessione tali da provocare lo scivolamento del terreno verso il muro;

• viceversa le alte temperature estive inducono la sovrastruttura ad allungarsi. Pertanto le spalle si spostano verso l’esterno e il terreno ceduto in inverno viene compattato.

Naturalmente i movimenti totali risultano maggiori in cima alla spalla e inferiori alla sua base, con valori massimi dell’ordine di decine di millimetri. Questi movimenti hanno due conseguenze fondamentali:

1. lo sviluppo di elevate pressioni orizzontali lungo la superficie di contatto tra spalla e terrapieno. L’allungamento della sovrastruttura e il conseguente movimento della spalla verso il terreno provocato dalle dilatazioni termiche estive induce un aumento della pressione orizzontale nel terreno fino al raggiungimento dello stato limite di spinta passiva. Ciò significa che lo stato di sforzo agente sulla spalla raggiunge valori di un ordine più grandi della grandezza per cui è stata progettata, provocando:

• il superamento dei fattori di sicurezza minimi necessari e quindi danni strutturali;

• aumento del costo delle spalle affinché siano progettate per sostenere sforzi maggiori.

In letteratura questo fenomeno di crescita della pressione laterale a causa di cicli termici è detto “ratcheting” e rappresenta una potenziale e seria causa di collasso a lungo termine per le spalle dei ponti integrali;

2. la seconda conseguenza è stata scoperta solo negli anni ’90. Si tratta della formazione di un cedimento del terreno adiacente ai sostegni.

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Introduzione

avviene nei mesi invernali quando la spalla si distacca dal terrapieno. Nonostante i ponti integrali si siano diffusi a partire dalla metà del ‘900, ad oggi non esistono ancora delle norme o delle linee guida da seguire per il progetto e la verifica di queste strutture.

Per questo motivo, la seconda parte dell’elaborato si concentra sul progetto, la verifica e l’analisi degli effetti delle variazioni termiche sul regime di spinta in un ponte a campata unica di luce pari a 150,00 m. In particolare, questa ricerca nasce in risposta alla “procedura aperta per appalto di progettazione ed esecuzione dei lavori di ricostruzione del ponte sul fiume Aso in località Montefiore dell’Aso (AP) e Monterubbiano (FM)”. La struttura esistente risale ai primi anni del ‘900 ed è realizzata con uno schema statico costituito da 7 archi in muratura. Da qui nasce l’idea di analizzare il comportamento dei ponti integrali.

L'impalcato rettilineo è realizzato con una sezione mista in acciaio-calcestruzzo torsionalmente rigida. L'altezza della sezione metallica varia da 6,50 m (nelle sezioni d'incastro) fino a 4,00 m in mezzeria. La soletta di calcestruzzo ha uno spessore di 25 cm ed è gettata in opera su lastre predalles di 5 cm utilizzate come casseri a perdere.

Dal punto di vista teorico il problema fondamentale risiede nella scelta dei parametri meccanici del terrapieno. Infatti i depositi di terreno, se assimilati a mezzi continui, sono contraddistinti da:

• eterogeneità (parametri variabili nello spazio); • anisotropia (parametri variabili con la direzione); • legame costitutivo non lineare di tipo elasto-plastico; • legame costitutivo di tipo viscoso.

Modellando il terreno come una trave su suolo elastico le pareti di sostegno sono schematizzate con elementi finiti di rigidezza flessionale EJ, mentre il terreno con elementi monodimensionali (aste) connessi ai nodi del muro.

Il limite di questo schema sta nell’ammettere che ogni strato di terreno abbia un comportamento del tutto indipendente da quelle adiacenti. In pratica l’interazione fra i vari strati è affidata alla sola rigidezza flessionale della parete. Ne consegue che:

• non possono essere valutati cedimenti o innalzamenti verticali del terreno in prossimità delle spalle;

• gli sforzi verticali del terreno non sono influenzati dalle tensioni orizzontali, ma sono una variabile del tutto indipendente calcolata secondo una normale distribuzione geostatica.

Tuttavia, diversi autori hanno verificato sperimentalmente che i depositi di materiale granulare soggetti a piccole deformazioni presentano un comportamento trasversalmente isotropo, ovvero indipendente lungo le due direzioni di carico orizzontale e verticale. Questa ipotesi, rende lo schema di terreno alla Winkler meno approssimato.

Per condurre un’analisi sufficientemente varia sono stati diversificati i seguenti parametri:

(16)

Introduzione

• tipologia del materiale costituente il terrapieno. Si adottano 3 diverse tipologie di terreno granulare:

• sabbia con indice dei vuoti e = 0,8, peso specifico  = 17,5 kN/m2,

angolo di attrito  = 30°, coesione c = 0;

• sabbia con indice dei vuoti e = 0,4, peso specifico  = 17,5 kN/m2,

angolo di attrito  = 30°, coesione c = 0;

• materiale misto sabbia e ghiaia con indice dei vuoti e = 0,35, peso specifico  = 18,5 kN/m2, angolo di attrito  = 38,3°, coesione c = 0;

• spessore della spalla: Si assumono due spessori pari a 4,00 m e 2,00 m; • legge costitutiva del materiale: per livelli di deformazione di taglio  ( =

/H, rapporto tra spostamento in testa alla spalla e altezza della stessa) compresi tra lo 0,01% e lo 0,1%, si può ipotizzare che il terreno abbia un comportamento elastico, con rapporto sforzi-deformazioni proporzionale alla radice quadrata di p’ (tensione principale agente a una determinata profondità). Poiché questa legge costitutiva è funzione della tensione principale, quindi della tensione geostatica verticale e orizzontale, si decide di valutare in che modo vari il regime delle pressioni a seconda che si assuma una rigidità uguale per tutte le aste o crescente con la profondità.

Con riferimento alle attuali Normative Tecniche Italiane e agli Eurocodici sono stati studiati la sicurezza strutturale, il comportamento in fase di esercizio e gli aspetti geotecnici maggiormente rilevanti.

In definitiva si vuole analizzare il comportamento delle strutture integrali e il regime delle pressioni che nascono nel terrapieno dietro le spalle, valutando l’influenza dei parametri più importanti:

• caratteristiche meccaniche del terreno; • rigidezza della spalla;

• legame costitutivo adottato per il terreno; • livello di approssimazione dell’analisi; verificando altresì:

• la possibilità di schematizzare il terreno con molle alla Winkler.

L’ipotesi di legame costitutivo elastico lineare implica che le molle reagiscano anche a sforzi di trazione. Questo comportamento non solo è evidentemente incongruente con la natura di un terreno, ma sovrastima la rigidezza della struttura, determinando quindi una sottostima delle azioni indotte dal terreno. Per ovviare sono state impiegate aste tipo frame incernierate alle estremità soggette a dilatazioni termiche tali da annullare gli eventuali sforzi di trazione provocati dai carichi permanenti e variabili.

Per controllare la validità del metodo utilizzato sono state effettuate ulteriori analisi in campo non lineare con molle reagenti solo a compressione.

In totale sono stati realizzati e analizzati 17 modelli dai quali sono stati i diagrammi inviluppo delle pressioni agenti sul terreno.

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1. Stato dell’arte

1 Stato dell’arte

Nel seguente capitolo si effettua una rassegna storica e tipologica che ha caratterizzato i ponti integrali, con riferimento ai processi di evoluzione tecnologica e ai miglioramenti introdotti.

1.1 Cenni storici

In base alla definizione di “ponte integrale” fornita nel capitolo precedente, è possibile classificare tutti i ponti del passato realizzati fino agli inizi del XIX secolo come ponti integrali, poiché realizzati prevalentemente con murature in pietra o mattoni solidali alle sponde e privi di giunti.

Un esempio di quanto detto sono due strutture diverse, realizzate a distanza di 1500 anni e accomunate dall’esser classificate come ponti integrali:

• Ponte di Alcantara sul fiume Tago (II secolo d.C.): costruzione a sei campate, di cui le due centrali di lunghezza pari a 30,00 m e altezza 52,00 m, realizzato in muratura a secco;

• Iron Bridge sul fiume Severn (1775-1779): costruzione a quattro campate in ghisa, due principali e due di avvicinamento per una lunghezza totale di 60,00 m, le cui estremità delle centine sono in continuità con pile e spalle.

Figura 1.1: Ponte romano di Alcantara 1.

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1. Stato dell’arte

Figura 1.2: Iron Bridge, Coalbrookdale2.

Anche costruzioni più recenti come il Ponte di Veurdre sur l’Allier (1911), uno dei primi ponti di Eugène Freyssinet, tre campate da 70,00 m ciascuna in calcestruzzo, è privo di sistemi meccanici di appoggio e di giunto, pertanto associabile a questa categoria.

Figura 1.3: Ponte di Veurdre sull'Allier (Chiorino, 2006).

Gli sviluppi tecnologici ottenuti nel XIX e XX secolo portarono alla soluzione dei problemi dovuti alle variazioni di lunghezza conseguenti a escursioni termiche (giornaliere e stagionali) e ai fenomeni differiti del calcestruzzo di ritiro e viscosità con l’utilizzo dei dispositivi di vincolo fissi o mobili (a seconda del vincolo desiderato), modificando completamente le tipologie costruttive e i relativi schemi statici e cinematici.

Lo sviluppo di dispositivi di vincolo di alta qualità e durata (sempre più vicini al concetto di vincolo perfetto) hanno ulteriormente concentrato gli sforzi sullo studio di schemi statici svincolati dalla sottostruttura. Solo negli ultimi anni, gli inconvenienti dovuti a questa impostazione progettuale e tecnologica quali:

• errata valutazione dell’escursione del giunto con conseguente apertura di

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1. Stato dell’arte

varchi nel piano stradale o martellamento tra le interfacce del giunto; • non corretta installazione dei dispositivi di giunto e di fissaggio dei bulloni

alla struttura di soletta;

• difetti di complanarità tra le superfici adiacenti collegate dal giunto; • inefficacia del sistema di convogliamento delle acque al di sotto del giunto

con relativi problemi di corrosione nel caso di utilizzo di sali disgelanti; • vulnerabilità delle parti emergenti dei giunti nei riguardi dell’azione dei

mezzi di sgombero della neve;

hanno spinto gli ingegneri a cercare altre soluzioni e a riabbracciare i concetti passati di struttura integrale.

Figura 1.4: Rottura di un dispositivo di giunto stradale3.

Tutti questi problemi necessitano elevati costi di manutenzione spesso non sostenibili dalle amministrazioni. Pertanto è frequente riscontrare riparazioni di giunti con semplice intasamento di asfalto, senza alcuna preoccupazione di conservare le funzioni cinematiche per le quali i giunti erano stati concepiti e impiegati. Questo problema si presenta soprattutto su ponti a campata singola o su viadotti a più campate di luce compresa tra 15,00 e 30,00 m, per i quali il malfunzionamento dei giunti è impropriamente considerato come un disagio accettabile.

(20)

1. Stato dell’arte

Figura 1.5: Esempio di intasamento di un giunto con asfalto bituminoso4.

Per dare un’idea dell’entità dei costi di manutenzione di un ponte si riporta nelle seguenti tabelle un confronto tra i piani di manutenzione di un ponte tradizionale in calcestruzzo e uno integrale a struttura mista:

Attività unitario (€) Costo Anno di inizio attività (rispetto all’anno di costruzione)

Anno di fine attività (rispetto all’anno di costruzione) Frequenza (anni) Ispezione 320 6 96 6 Verniciatura delle parti in acciaio 37800 30 90 30 Sostituzione delle travi di bordo 51320 30 90 30

Tabella 1.1: Piano di manutenzione di un ponte integrale a struttura mista5.

Attività unitario (€) Costo Anno di inizio attività (rispetto all’anno di costruzione)

Anno di fine attività (rispetto all’anno di

costruzione)

Frequenza (anni)

Ispezione 375 6 96 6

Sostituzione delle travi

di bordo 60710 30 90 30

Verniciatura dei

dispositivi di vincolo 1260 30 90 30 Giunti di espansione

Pulizia del giunto 100 1 99 1 Cambio della guaina 2625 10 90 10

Cambio dei profili

metallici 11025 20 80 20

Tabella 1.2: Piano di manutenzione di un ponte tradizionale in calcestruzzo6.

I primi tentativi di costruzione di ponti integrali si trovano negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, tuttavia le esperienze su queste realizzazioni sono documentate in quasi tutti i paesi del mondo.

A tal proposito si può notare come nel II dopoguerra, mentre in Europa continentale la progettazione di ponti su luci medio-piccole si concentrava sulla realizzazione di manufatti prefabbricati molto raffinati caratterizzati da grande libertà di forme, in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna la stessa classe di ponti era impostata sulla base di esperienze pregresse e di soluzioni

4 (Zoom 24, dentro la Calabria). 5 (Feldmann, et al., 2010). 6 (Feldmann, et al., 2010).

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1. Stato dell’arte

empiriche che, alla prova dei fatti, hanno dimostrato un buon comportamento in termini di funzionalità, costi iniziali, durata e necessità di manutenzione. È in questo ambio che si sono sviluppate le soluzioni tecniche che ormai fanno parte dei dettagli tipologici propri dei Ponti Integrali.

1.2 Ponti integrali negli Stati Uniti

Nella loro accezione moderna, i primi ponti integrali furono costruiti negli Stati Uniti intorno agli anni ’30. Da questa data si sono susseguite numerose ricerche sperimentali, mentre sono molto inferiori le ricerche teoriche a riguardo.

Il primo Dipartimento ad adottare questa tipologia di costruzione come pratica comune fu il Bureau of Bridges of the Ohio Highway Department, il quale, già nei primi anni ’30, testò e adottò Ponti Integrali su più campate, sia in acciaio che in calcestruzzo. La tipologia messa appunto venne utilizzata successivamente per migliaia di ponti di luce medio-piccola.

Tuttavia fu dagli anni ’60 che i Ponti Integrali ebbero reale diffusione anche negli altri paesi dell’Unione. In questo periodo fu possibile analizzare i primi risultati riguardanti le prestazioni effettive e lo sviluppo di dettagli costruttivi sempre più efficaci. L’esito di queste valutazioni è riassunto da Burke, 1973 nel National Co-operative Highway Research Program Report.

Secondo un’indagine riportata nello stesso Report, a gli inizi degli anni ’70, in 20 stati americani il 67% di essi era orientato verso costruzioni di tipo integrale. Tale fortuna aumentò negli anni ’80.

La mappa di Figura 1.6 indica con un’ombreggiatura gli stati che nel 1993 avevano già installato sul proprio territorio ponti di tipo Integrale.

Figura 1.6: Mappa di diffusione dei ponti integrali negli USA7.

In termini cronologici nella seguente tabella si riporta l’anno di costruzione del primo ponte integrale in trenta stati americani:

(22)

1. Stato dell’arte

Stato Anno di costruzione

Arkansas 1996 California 1959 Georgia 1975 Illinois 1963 Iowa 1962 Kansas 1935 Kentucky 1970 Louisiana 1989 Maine 1983 Michigan 1990 Massachusetts 1930 North Dakota 1960 Nevada 1980 New York 1980 Ohio 1930 Oklahoma 1980 Oregon 1946 Pennsylvania 1940 South Dakota 1948 Tennessee 1965 Virginia 1982 Wyoming 1957 Washington 1965

Tabella 1.3: Anno di costruzione dei primi ponti integrali negli USA in ordine alfabetico8.

Nel 1996 due terzi degli stati americani (22 su 33) stavano realizzando almeno un ponte integrale.

Ad oggi almeno 40 stati utilizzano strutture integrali o semi e il loro numero supera le 10000 unità9.

Alcuni degli stati che hanno prestato maggiore attenzione e che hanno sviluppato proprie versioni di tipologie o particolari costruttivi riguardanti i ponti integrali sono:

Stato Superficie (km2)

Abitanti

(milioni) Aspetti costruttivi CALIFORNIA 410000 35,89

• Dagli anni ’80 ha dato un contributo notevole nella ricerca e sperimentazione dei ponti integrali in calcestruzzo, sia di tipo integrale che semi-integrale, preferendo la seconda 10.

COLORADO 269837 4,86

• Ha sperimentato l’utilizzo di prodotti geosintetici dietro le spalle al fine di ridurre i cedimenti 11.

• pone rispettivamente a 91,5 e a 152 m i limiti per le lunghezze dei ponti integrali in acciaio e

calcestruzzo;

• hanno realizzato i ponti integrali più lunghi sia in acciaio (318,4 m) che in calcestruzzo gettato in opera (290,4 m).

KANSAS 213096 2,78

• quarto stato della Confederazione per numero di ponti realizzati (> 25000);

• più dell’80% di essi è a luce inferiore ai 55 m (diffusione di sovrappassi autostradali in ambiente rurale);

• secondo i dati della FHWA vi sono più di 1000 ponti

8 (Gherardi, 2009/2010).

9 (Burke, Integral and Semi-Integral Bridges, 2009). 10 (Vasant, 1997).

(23)

1. Stato dell’arte

integrali;

• è diffusa la tendenza a trasformare ponti a schema tradizionale in ponti integrali 12.

MASSACHUSETTS 27390 6,45

• dagli anni ’60 ha iniziato a trasformare le strutture tradizionali in ponti integrali;

• attualmente si costruiscono spalle integrali esternamente a quelle esistenti, che vengono successivamente utilizzate solo come sostegno del terreno 13-

• hanno studiato su un modello in scala reale la distribuzione delle pressioni dietro le spalle. MISSOURI 180693 5,88 • è lo stato che vanta il maggior numero di ponti integrali realizzati: circa 4000.

OHIO 116096 11,47

• ha costruito il primo ponte integrale nell’accezione moderna del termine: il Teens Run Bridge nel 1938, nelle vicinanze di Eureka 14;

• preferisce la tipologia completamente integrale; • dagli anni ’90 la maggior parte dei nuovi ponti è

costruita con schema integrale.

TENNESSEE 109247 6,16

• già nel 1995 i ponti integrali erano più di 2000; • fissa l’allungamento massimo possibile per la

sovrastruttura di un ponte integrale al valore di 2 pollici = 5,12 cm;

hanno realizzato il Long Island Bridge di Kingsport; costruito nel 1980 con 29 campate continue senza alcun giunto mobile intermedio sull’impalcato, per una lunghezza totale di 823 m. I giunti e gli appoggi mobili sono stati installati solo alle spalle. Da cui il nome “the Champ” 15.

WASHINGTON

STATE 184824 6,66

• a oggi conta più di 1000 strutture integrali; • la maggior parte delle nuove costruzioni viene

realizzata secondo schema semi-integrale.

Tabella 1.4: Riassunto dei principali stati americani in cui si è sviluppato l'utilizzo di ponti semi o totalmente integrali.

In sintesi si riportano le lunghezze massime effettive dei ponti realizzati in ogni stato suddivisi a seconda del materiale di costruzione:

Stato Acciaio (m) C.a.p. (m) Calcestruzzo in opera (m)

Alaska - 41,2 - Arkansas 90,9 - - California - - 122,0 Colorado 318,4 339,2 290,4 Georgia 91,5 - 125,1 Illinois 61,0 91,5 36,6 Iowa 82,4 152,5 41,2 Kansas 136,8 126,4 177,6 Kentucky 89,1 122,0 31,7 Maine 57,3 45,8 29,3 Maryland - 15,9 - Massachusetts 106,8 84,8 43,9 Michigan - 147,9 - Minnesota 53,4 53,4 30,5 Nevada 77,8 33,6 84,2 New Hampshire 45,8 24,4 - New York 93,3 68,3 -

12 (Burke, Integral and Semi-Integral Bridges, 2009) 13 (Kunin & Alampalli, 1999).

14 (Burke, Integral and Semi-Integral Bridges, 2009). 15 (Burke, Integral and Semi-Integral Bridges, 2009).

(24)

1. Stato dell’arte North Dakota 122,0 122,0 48,8 Nova Scotia - 38,0 - Oklahoma - 91,5 - Oregon - 335,5 - Pennsylvania 122,2 183,0 - Quebec - 78,1 - South Dakota 112,9 209,2 106,8 Tennessee 175,4 358,4 189,1 Vermont 24,4 - - Virginia 97,6 235,5 - Washington - 183,0 61,0 West Virginia 97,6 137,3 33,6 Wyoming 100,0 127,0 99,0

Tabella 1.5: Lunghezze massime di ponti integrali a fine anni '90 negli USA per ogni materiale costruttivo 16.

La tipologia strutturale prevalente rimane quella tradizionale, i ponti integrali rappresentano ancora una seconda opzione. Da questi studi si riscontra tuttavia una crescente diffusione.

Un’altra tendenza degli ultimi decenni è quella di trasformare strutture inizialmente convenzionali in ponti integrali al fine di ridurre il numero di giunti di espansione impiegato (Vasant, 1997). Operazioni di questo tipo sono state effettuate anche in Illinois, New Jersey, Oklahoma, South Dakota e Wyoming. Ad oggi le prime strutture integrali realizzate si presentano in buono stato di conservazione e mantengono la loro funzionalità nel tempo.

Non esiste ancora un accordo tra i vari Departments of Transportation (Dipartimenti di Trasporto) dei vari stati riguardo le normative. Ciascuno stato ha sviluppato per conto proprio delle linee guida di progetto e dettagli standard relativamente ai ponti integrali (Connal, 2004).

1.3 Ponti integrali nel Regno Unito

I primi ponti integrali del Regno Unito furono costruiti intorno agli anni ’50. Uno dei primi e principali esempi è costituito dal primo tratto della M1 Motorway, realizzato in 19 mesi negli anni 1958-1959. L’opera era composta da 127 ponti di luce media 41,00 m, di cui ben 88 costituiti da un portale continuo che agisce in modo integrale con il terreno adiacente.

Oltre a rappresentare un’innovazione nel campo delle costruzioni, quest’opera fu un punto di partenza per lo studio del comportamento nel tempo di queste strutture, da cui si ricavarono importanti dati circa la durabilità e l’evoluzione nel tempo delle spinte e dei cedimenti.

Negli anni ’90, l’analisi e il monitoraggio di questa e altre opere americane portò alla scrittura e pubblicazione di due report, entrambi commissionati dalla Bridges Engineering Division della Highway Agency:

1. “TRL Report 146: cyclic loading of sand behind Integral Bridge Abutments”, elaborato da Springman et al. nel 1996. Questo testo è anche alla base delle raccomandazioni poi presenti nella Advise Note, BA42/96;

(25)

1. Stato dell’arte

2. “Integral Bridges: a fundamental approach to the time-temperature loading problem” scritto da England et al. nel 2000; nel quale, riassumendo gli studi di una commissione di ingegneri britannici compiuti su costruzioni nord americane, sono riportati dati importanti relativi ai cedimenti e all’incremento delle spinte sul retro delle spalle, in funzione delle variazioni di lunghezza della sovrastruttura.

Un altro riferimento relativo ai ponti integrali è il Design Manual for Roads and Bridges, volume 1, sezione 3, parte 7 (UK Highway Agency, 2003).

La diffusione dei ponti integrali in Gran Bretagna deve la sua fortuna alle condizioni metereologiche particolarmente sfavorevoli. I danni dovuti alla percolazione delle acque nei giunti di espansione, legati a climi rigidi e quindi all’uso di sali disgelanti, ha portato all’utilizzo sempre più frequente di soluzioni integrali, prive di soluzioni di continuità sulla sovrastruttura 17.

1.4 Germania

In Germania la copertura di grandi luci con ponti integrali è piuttosto povera. Solo il 2,1 % dei ponti delle autostrade della Bavaria è di tipo integrale o semi e il 78% di essi è stato costruito a partire dal 1996 (Schiefer et al., 2006).

Per lo più questa tipologia di struttura è utilizzata per il sovrappasso di piccole strade secondarie. Nel 1999 il German Federal Ministry of Transport, Building and Urban Affairs (BMVBS) pubblicò una lista di dieci prototipi di ponti a unica campata e raccomandò il loro utilizzo alle amministrazioni. Otto di questi dieci prototipi erano ponti integrali di luce massima pari a 45,00 m.

Figura 1.7: Due prototipi integrali degli otto predisposti dal Ministero tedesco.

Nel 2003 molte indicazioni fornite dal BMVBS furono rimpiazzate dagli Eurocodici e dalle norme applicative DIN 101 a 104 (DIN FB 101-102-103-104, 2009). I suddetti codici non presentano indicazioni sui ponti integrali e pertanto ad oggi non esistono linee guida per la loro realizzazione in Germania.

(26)

1. Stato dell’arte

Non avendo una norma di riferimento, gli ingegneri tedeschi fanno dote della loro esperienza; una pratica comune è diventata quella di realizzare ponti a travi rastremate a volta, collegate a fondazioni molto rigide. Il risultato è quello di ponti integrali a singola campata dalla forma accattivante 18.

1.5 Finlandia

In accordo alle linee guida finlandesi per la realizzazione di ponti, la spinta passiva agente su un ponte integrale si sviluppa dopo un piccolo spostamento della spalla, almeno per i terreni densi non coesivi, in accordo alla seguente tabella:

Tipo di terreno Spostamento orizzontale Sabbia densa 0,002 H

Sabbia sciolta 0,006 H Argilla compatta 0,02 H

Argilla soffice 0,04 H

Tabella 1.6: Spostamenti orizzontali della spalla necessari a mobilitare la spinta passiva 19.

Se la spinta passiva è utilizzata per supportare la struttura e il terrapieno è costituito da sabbia densa, si ottiene, per un angolo d’attrito interno del terreno  = 38°, un coefficiente di spinta passiva KP = 4,2.

1.6 Svezia

In Svezia i ponti integrali sono molto diffusi, sia nella variante totalmente integrale (strutture a portale più corte) o semi- integrale per strutture più lunghe. Nonostante la loro diffusione, la Swedish National Road Administration è piuttosto conservativa rispetto alle amministrazioni americane e pertanto è difficile trovare ponti integrali di luce medio-grande (20-60 m). A tal proposito uno dei pochi esempi presenti nel paese è la struttura situata presso Fjällån, realizzata nel 2000 ad opera di Pétursson. Si tratta di una struttura composita di luce pari a 37,15 m e costituita da due travi di acciaio sormontate da una soletta in calcestruzzo.

18 (Feldmann, et al., 2010). 19 (Kerokoski, 2006).

(27)

1. Stato dell’arte

Figura 1.8: Ponte di Leduån 20.

1.7 Giappone

Un articolo datato 2002 dei ricercatori giapponesi Nakamura et al. definisce i ponti integrali come una nuova tecnologia. In data odierna la diffusione di strutture integrali in Giappone appare modesta. La resistenza alla diffusione di questi ponti è da ricercare nelle incertezze sul loro comportamento in presenza di sismi di forte intensità, in particolare nella resistenza a lungo termine nel caso in cui questi risultassero soggetti ad azioni accoppiate di carichi da traffico consistenti e variazioni termiche.

Un esempio interessante di questo tipo di costruzioni è il Nishihama Bridge, struttura mista in acciaio calcestruzzo composta da otto travi metalliche, il quale, trovandosi nei pressi di un’acciaieria, è soggetto al passaggio di veicoli che pesano fino a 90 tonnellate. Gli elevati carichi in combinazione con le variazioni di temperatura potrebbero mettere in difficoltà la struttura. Tuttavia questo ponte è molto corto e soggetto a variazione stagionali di temperatura di solo 30° C che lo rendono ancora oggi ben funzionante e privo di danneggiamenti.

1.8 Italia

Al giorno d’oggi in Italia le strutture integrali sono poco diffuse, a favore di una tendenza che fa ancora uso di schemi tradizionali.

Tra i pochi esempi disponibili, uno molto particolare è costituito dai due ponti del raccordo Sud delle piste principali dell’aeroporto di Milano Malpensa (2008), realizzati per scavalcare la linea ferroviaria Nord Milano posta in trincea e destinati a facilitare la movimentazione terrestre degli aerei 21.

Questi ponti, progettati per sopportare il massimo carico aeronautico, rappresentato dall’Airbus 380, presentano una caratteristica importante: un rapporto tra lunghezza (146 m per il ponte ovest e 134 m per il ponte est) e luce (rispettivamente 22,3 e 20,3 m) molto elevato tale da configurare una particolare segmentazione delle pareti delle spalle.

20 (Petursson, Veljkovic, & Collin, 2007) 21 (Gherardi, 2009/2010)

(28)

1. Stato dell’arte

Figura 1.9: Armatura della soletta del ponte Ovest di Malpensa 22.

1.9 Confronto

Nel 2007 venne commissionata un’inchiesta internazionale per confrontare i risultati ottenuti in sette paesi europei nella realizzazione di strutture integrali. Inghilterra, Finlandia, Svezia, Germania, Irlanda, Lussemburgo e Francia risposero al sondaggio. Le risposte di Francia e Lussemburgo furono escluse dal report in mancanza di esempi completamente integrali o sufficientemente grandi da costituire una fonte per ulteriori studi.

Il confronto tra soluzioni europee e statunitensi viene condotto in base a: 1) tipologia di fondazioni;

2) tipologia di terreno usato;

3) utilizzo della soletta di avvicinamento; 4) tipologia di impalcato

1.9.1 Fondazioni

Nessuno dei paesi europei impone l’obbligo di utilizzare fondazioni profonde su pali. Anzi, l’utilizzo di fondazioni superficiali non ha mai condotto a problemi di nessun genere.

Nella maggior parte dei casi sono stati utilizzati pali in acciaio tubolari riempiti di calcestruzzo armato. Le sezioni in acciaio sono poco utilizzate e nei rari casi sono state utilizzate sezioni simmetriche a “X”. Solo Inghilterra e Irlanda utilizzano sezione ad “H” con asse forte ortogonale alla direzione longitudinale del ponte.

Queste indicazioni sono in forte contrasto con le indicazioni statunitensi, che nel 70% dei casi utilizzano pali con sezione ad “H”.

1.9.2 Terrapieno

In questo caso tutti i paesi dei due continenti sono d’accordo sull’utilizzo di

(29)

1. Stato dell’arte

terreni o sabbie ben compattate. Alcuni paesi americani utilizzano materiali comprimibili sull’interfaccia terreno-spalla per ridurre la spinta orizzontale, altri progettano le spalle per resistere allo stato limite di spinta passiva.

1.9.3 Soletta di avvicinamento

In Europa la maggior parte dei paesi non richiedono l’uso delle solette, ma ne consigliano l’utilizzo. Le lunghezze più comuni vanno da 3 a 7,5 m.

Negli Stati Uniti molti Dipartimenti dei Trasporti ne esigono l’utilizzo per ridurre l’impatto delle forze sul ponte, nonostante gli elevati costi di manutenzione che comportano.

1.9.4 Tipologia di impalcato

Tutti i paesi presenti nel report non impongono restrizioni sui materiali da utilizzare per la realizzazione dell’impalcato. Pertanto è possibile utilizzare travi in acciaio, calcestruzzo gettato in opera o precompresso.

Le lunghezze e l’obliquità massime imposte dai vari paesi sono già state presentate nei precedenti paragrafi in riferimento ad ogni stato.

(30)
(31)

2. Classificazione

2 Classificazione

Nel seguente capitolo di affronta una rapida rassegna delle più importanti tipologie di ponti integrali, delle loro caratteristiche, del loro campo di applicazione, dei vantaggi e degli svantaggi.

STRUTTURE A PORTALE

Portale su fondazioni dirette A1 Portale su fondazioni a setto A2 Impalcato con traversi di testa innestati su pali

con retrospalle in terra armata A3 Impalcato su due appoggi e con velette di

estremità a sbalzo A4 Impalcato con traversi di testa in appoggio diretto A5 Impalcato con traversi di testa innestati su pali A6 Impalcato su due appoggi su fondazioni profonde

a cavalletto e con velette di estremità a sbalzo A7 VIADOTTI

Connessioni a piena altezza su unico appoggio su due appoggi B1.a B1.b Connessioni ad altezza parziale B2

Connessioni totali B3 PONTI ESISTENTI RESI INTEGRALI

Evoluzione semplice C1 Evoluzione con cavi di precompressione C2

Tabella 2.1: Classificazione dei principali tipi di ponte integrale.

2.1 Strutture a portale

Le strutture a portale rappresentano per antonomasia la tipologia più aderente al concetto di ponte integrale. Si tratta di costruzioni ad unica campata costituite da impalcati realizzati in continuità con le spalle e le relative fondazioni secondo uno schema siffatto:

(32)

2. Classificazione

In funzione del tipo di impalcato, di pavimentazione, di spalle, di fondazioni o di solette di transizione è possibile effettuare una sotto-classificazione.

2.1.1 Portale su fondazioni dirette (A1)

Caratteristiche:

la continuità strutturale è realizzata tramite un getto di seconda fase comprendente il muro verticale e l’impalcato.

Campo di applicazione:

sovrappassi urbani e non a singola campata di modesta lunghezza. Vantaggi:

• struttura compatibile con movimenti orizzontali ridotti: in tal modo la spinta dietro le spalle non raggiunge valori elevati;

• costruzione semplice e veloce. Svantaggi:

• difficoltà nell’analizzare l’interazione terreno spalla, in conseguenza del regime flessionale generato sulla spalla dalla continuità strutturale;

• dettagli costruttivi complessi come la disposizione delle armature negli spigoli dell’opera, punti.

Figura 2.2: Schema tipico tipologia A1.

2.1.2 Portale su fondazioni a setto (A2)

Caratteristiche:

(33)

2. Classificazione

un’estremità incastrata nell’impalcato e una nel terreno Campo di applicazione:

utilizzati in ambito urbano o rurale per campate singole di luce relativamente modesta.

Vantaggi:

la lunghezza del muro verticale inserito nel terreno fornisce un vincolo nei confronti della rotazione del muro stesso, riducendone l’entità.

Svantaggi:

presentano un comportamento incerto rispetto a gli spostamenti ciclici imposti in sommità alla paratia.

Figura 2.3: Schema tipico della tipologia A2.

2.1.3 Impalcato con traversi di testa su pali con retrospalle

in terra armata (A3)

Caratteristiche:

La struttura impiega pali di fondazione al posto delle paratie verticali e armature inserite nel terrapieno per formare retrospalle di terra armata.

Campo di applicazione:

utilizzabile sia in campo urbano che rurale Vantaggi:

(34)

2. Classificazione

• evita problemi connessi ai cedimenti del terreno;

• il terreno non ha necessità di essere disposto in pendenza, ma è possibile realizzare anche argini verticali.

Svantaggi:

• difficoltà nell’analizzare l’interazione tra pali di fondazione e terra armata; • incertezza sul comportamento dei pali se soggetti a cicli di spostamento

imposto in sommità 23.

Possibile evoluzione:

realizzazione di una spalla verticale associata a un sistema di terra armata disposta a una distanza di circa 10 cm dal retro della palla stessa. Tale spazio, lasciato vuoto, ha lo scopo di permettere la libera espansione della struttura senza che entri in contatto con il terreno e mobiliti quindi la spinta passiva.

Figura 2.4: Schema tipico di tipologia A3.

2.1.4 Impalcato su due appoggi e con velette di estremità a

sbalzo (A4)

Caratteristiche:

Si tratta di una soluzione semi-integrale che prevede l’utilizzo di dispositivi di appoggio. La sovrastruttura si estende a sbalzo oltre la spalla terminando con un setto che si estende al di sotto dell’intradosso dell’impalcato.

Campo di applicazione: luci medio piccole.

(35)

2. Classificazione

Vantaggi:

la spalla, non essendo solidale alla sovrastruttura, non è soggetta a movimenti longitudinali.

Svantaggi:

• la spinta del terreno di scarica sul traverso di testata, il quale deve essere progettato come un vero e proprio muro di sostegno in grado di trasferire le forze longitudinali;

• è necessario proteggere l’estremità del setto finale, limitare gli spostamenti del terreno e rendere accessibile e ispezionabili gli appoggi. In caso di sostituzione il sollevamento dell’impalcato provocherebbe pericolosi movimenti del terreno adiacente.

Figura 2.5: Schema tipico della tipologia A4.

2.1.5 Impalcato con traversi di testa in appoggio diretto

(A5)

Caratteristiche:

Si tratta di una soluzione provvista di un supporto unito all’impalcato che ha funzione sia di fondazione superficiale che di muro di sostegno per il terreno retrostante. Al di sotto della fondazione sono spesso utilizzati uno strato di terreno granulare a basso angolo di attrito e una membrana in polietilene.

Campo di applicazione:

• utilizzabile solo nel caso in cui vi sia dello spazio libero tra il limite dell’oggetto da valicare e la base del terrapieno su cui poggia;

(36)

2. Classificazione

Vantaggi:

tipologia più semplice ed economica. Svantaggi:

è necessario porre attenzione a eventuali cedimenti del terreno sottostante l’estremità dell’impalcato. Devono essere possibili scorrimenti in direzione longitudinale.

Figura 2.6: Schema tipico della tipologia A5.

2.1.6 Impalcato con traversi di testa innestati su pali (A6)

Caratteristiche:

Si tratta di una soluzione simile alla A3, ma priva dei tiranti di rinforzo nel terrapieno. Si utilizzano sia pali in calcestruzzo (sia prefabbricati che gettati in opera) sia in acciaio (prevalentemente pali ad H disposti in direzione dell’asse debole ortogonale alla linea d’asse del ponte). Generalmente i pali sono disposti su unica fila con plinto di collegamento in calcestruzzo, al fine di garantire la continuità fondazione-impalcato.

Campo di applicazione:

• utilizzabile solo nel caso in cui vi sia la possibilità di disporre argini in pendenza internamente alla luce del ponte;

• difficilmente applicabile in campo urbano. Vantaggi:

non presenta particolari vantaggi. Svantaggi:

(37)

2. Classificazione

in testa.

Figura 2.7: Schema tipico della tipologia A6.

2.1.7 Impalcato su fondazioni profonde a cavalletto (A7)

Caratteristiche:

Si tratta di una soluzione semi-integrale, simile alla A5 ma che prevede l’utilizzo di fondazioni profonde su pali inclinati.

Campo di applicazione:

difficilmente applicabile in campo urbano per la necessità di spazio tra il limite dell’oggetto da valicare e la spalla.

Vantaggi:

• spalle e relative fondazioni non subiscono alcuno spostamento al variare della lunghezza della sovrastruttura;

• analisi di tipo convenzionale delle fondazioni; Svantaggi:

• incertezza sulla valutazione delle spinte esercitate dal terreno sul setto di estremità, soprattutto nel caso di allungamenti termici;

• difficoltà nella sostituzione dei dispositivi di appoggio con rischio di cedimenti nel terreno retrostante.

(38)

2. Classificazione

Figura 2.8: Schema tipico della tipologia A7.

2.2 Viadotti

Il concetto di ponti integrali può essere esteso anche ai viadotti. Queste strutture possono essere realizzate sia in calcestruzzo che a sezione mista acciaio calcestruzzo. Le sezioni maggiormente utilizzate per l’impalcato sono quelle a travata o a cassone.

Le connessioni sovrastruttura-spalla sono identiche a quelle viste al paragrafo precedente. Tuttavia non è da escludere alle estremità la presenza e l’impiego di giunti di espansione qualora gli spostamenti previsti fossero di entità troppo elevata per essere assorbiti. Quando la lunghezza del viadotto è troppo elevata si ricorre solitamente a uno schema semi integrale, con la presenza cioè di appoggi sulla sommità delle pile e delle spalle, semplificando l’analisi dell’impalcato a favore di uno schema di trave continua su più appoggi svincolata dalla sotto struttura.

Lo schema tipico di questo tipo di strutture è il seguente:

Figura 2.9: Schema tipico delle tipologie B.

In base ai diversi metodi utilizzati per realizzare la continuità della sovrastruttura è possibile operare un ulteriore sotto classificazione.

(39)

2. Classificazione

2.2.1 Connessioni ad altezza piena (B1)

Per connessioni ad altezza piena si intende un giunto realizzato a posteriori avente la stessa altezza delle travi adesso adiacenti. Questo tipo di connessioni è utilizzato per ponti semi integrali, ovvero strutture in cui sono presenti degli appoggi al di sotto delle travi.

Per strutture in calcestruzzo è possibile ricorrere a cavi di precompressione di lunghezza limitata posti a cavallo della connessione tra campate.

Per la loro forma questi cavi prendono il nome di cavi 24.

Figura 2.10: Schema tipico della tipologia B1.

A prescindere dalla presenza o meno della precompressione si può operare un ulteriore sotto-classificazione a seconda del numero e della posizione degli appoggi.

2.2.1.1 Connessioni ad altezza piena su due appoggi (B1.a)

Caratteristiche:

Entrambe le estremità di ciascuna trave sono appoggiate su un proprio sostegno, pertanto, detto n il numero delle travi utilizzate nella sezione trasversale del ponte, il numero degli appoggi per ciascuna pila è 2 x n. All’interno del giunto post realizzato devono essere inserite le armature di continuità dei due tratti di impalcato adiacenti.

Vantaggi:

• semplicità di realizzazione;

• buona continuità delle azioni interne;

• nessun problema di resistenza per la soletta o la pavimentazione; • semplicità di riparazione e sostituzione.

(40)

2. Classificazione

Svantaggi:

• il numero degli appoggi fa aumentare notevolmente il bilancio economico in termini di costi iniziali e di manutenzione;

• la larghezza delle pile deve essere calibrata in base alla distanza longitudinale tra appoggi.

Figura 2.11: Schema tipico della tipologia B1.a.

2.2.1.2 Connessioni ad altezza piena su unico appoggio (B1.b)

Caratteristiche:

Le estremità adiacenti di ogni trave sono appoggiate sullo stesso sostegno, pertanto, detto n il numero delle travi utilizzate nella sezione trasversale del ponte, il numero degli appoggi per ciascuna pila è n. All’interno del giunto post realizzato devono essere inserite le armature di continuità dei due tratti di impalcato adiacenti. Generalmente vengono predisposti anche degli appoggi temporanei necessari nella fase di installazione delle travi.

Vantaggi:

• risparmio sul costo totale dei dispositivi e sulla larghezza delle pile; • buona continuità delle azioni interne;

• nessun problema di resistenza per la soletta o la pavimentazione. Svantaggi:

• complessità di installazione;

• difficoltà nella riparazione o sostituzione di un dispositivo di appoggio; • è necessaria particolare attenzione nelle verifiche locali a causa delle

(41)

2. Classificazione

2.2.2 Connessioni ad altezza parziale (B2)

Caratteristiche:

La connessione è costituita unicamente dalla soletta e non viene inserito alcun giunto realizzato in sito tra le estremità delle travi adiacenti. Pertanto detto n il numero delle travi utilizzate per la sezione del ponte, il numero degli appoggi per ciascuna pila è 2 x n. All’interno della soletta di continuità vengono inserite delle armature speciali in corrispondenza delle connessioni.

Vantaggi:

• semplicità di installazione degli appoggi e delle travi;

• le variazioni di lunghezza dell’impalcato sono libere grazie agli spazi vuoti tra travi adiacenti.

Svantaggi:

• modellazione dello schema statico molto complessa;

• lo spazio libero tra le travi deve essere valutato attentamente; • sono necessarie analisi specifiche per la verifica della soletta.

Figura 2.12: Schema tipico della tipologia B2.

2.2.3 Connessioni totali (B3)

Caratteristiche:

La connessione è realizzata mediante un giunto ad altezza piena che include entrambe le estremità delle travi adiacenti e quella superiore della pila. L’unione che ne nasce è totalmente integrale, Infatti non sono utilizzati appoggi per sostenere le travi le quali continuano ad essere sormontate da soletta continua. Alle estremità delle travi e in sommità delle pile vengono inserite armature in grado di assicurare sufficiente resistenza e duttilità.

(42)

2. Classificazione

Vantaggi:

• semplicità di realizzazione data l’assenza di dispositivi di appoggio; • necessita meno controllo e manutenzione;

• nessun problema di resistenza per la soletta o la pavimentazione. Svantaggi:

• momenti flettenti negativi molto elevati;

• le variazioni di lunghezza dei tratti di impalcato tra una pila a l’altra generano azioni elevate anche sulle pile.

Figura 2.13: Schema tipico della tipologia B3.

2.3 Ponti esistenti resi integrali

In questa categoria rientrano tutte quelle strutture originariamente non continue che grazie a un apposito intervento vengono rese integrali.

Il procedimento si applica particolarmente bene ai ponti costruiti per estrusione: ovvero realizzati per conci successivi installati a sbalzo progressivo e simmetrico a partire da una pila. Nel momento in cui tutti i conci sono stati installati sulla destra della pila i-esima e sulla sinistra della pila i +1 esima viene realizzata la cosiddetta chiusura mediante un apposito elemento che vincola le estremità come una cerniera.

La sostituzione ti questa cerniera con connessioni fisse a incastro modifica lo schema strutturale (rimozione di un grado di libertà) e permette di trasformare queste strutture in ponti integrali.

(43)

2. Classificazione

Figura 2.14: Schema tipico della tipologia C.

2.3.1 Evoluzione semplice (C1)

In questo caso per eliminare il grado di libertà in chiave alle campate è sufficiente operare un getto che renda solidali la parte sinistra e la parte destra vincolandole completamente l’una all’altra. In questo caso anche la soletta della pavimentazione risulta continua.

Figura 2.15: Schema tipico della tipologia C1.

2.3.2 Evoluzione con cavi di precompressione (C2)

In questa soluzione, oltre all’intervento già descritto nel paragrafo precedente, si utilizzano anche cavi di post compressione esterni. Il cavo esterno, disposto come una parabola a cavità rivolta verso l’alto, è ulteriormente messo in tensione attraverso cavi di acciaio verticali. Tale soluzione risulta gradevole anche dal punto di vista estetico.

Figura 2.16: Schema tipico della tipologia C2 .

(44)
(45)

3. Aspetti statici dei ponti

3 Aspetti statici dei ponti

Si presentano in via semplificata gli schemi funzionali dei ponti convenzionali, integrali e semi-integrali. A questa breve presentazione segue un’analisi dei dettagli che interessano le zone di transizione tra terrapieno e spalla dei ponti completamente e semi- integrali.

3.1 Schema di un ponte tradizionale

Gli elementi principali che costituiscono un ponte tradizionale sono: • fondazioni;

• spalle;

• dispositivi di vincolo o appoggi collocati sulle spalle;

• sovrastruttura: costituita dall’impalcato e dalla pavimentazione stradale.

Figura 3.1: Schema strutturale di un ponte tradizionale 25.

Lo spazio libero tra l’estremità della sovrastruttura e le spalle è generalmente chiamato giunto di espansione. La sua funzione è quella di consentire e accomodare gli spostamenti relativi longitudinali tra sovrastruttura e spalle. Con questo schema i giunti di espansione e i dispositivi di appoggio sono gli elementi di transizione tra la parte attiva (che si muove) e la parte passiva (che rimane ferma) della struttura.

Diversamente dall’impalcato, le spalle del ponte non subiscono deformazioni rilevanti e non risentono degli spostamenti della sovrastruttura.

Di conseguenza, l’obiettivo è quello di svincolare l’impalcato dalla sottostruttura al fine di condurre due analisi separate.

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3. Aspetti statici dei ponti

I dispositivi di appoggio hanno la funzione fondamentale di permettere gli spostamenti relativi senza trasmettere forze di attrito parassite alle spalle. I giunti di espansione invece hanno la funzione di mantenere la continuità della superficie stradale accomodando gli spostamenti e mantenendo un determinato livello di sicurezza e comfort per i veicoli in transito.

Il compito svolto da questi due elementi deve essere svolto per un arco di tempo minimo pari alla vita utile di progetto dell’opera (in media 100 anni per ponti normali).

Se il ponte è disposto su più campate, il concetto di funzionamento non cambia. I giunti possono essere disposti sia in prossimità delle spalle che in corrispondenza delle pile. A seconda del loro posizionamento varia solo l’entità delle deformazioni della sovrastruttura. All’aumentare del numero dei sostegni intermedi aumentano i punti di debolezza della sovrastruttura.

Figura 3.2: Schema strutturale di un ponte tradizionale a più campate 26.

La sottostruttura è costituita dall’insieme fondazioni-spalle. Queste ultime sono generalmente progettate come muri di sostegno rigidi a gravità o mensola. Solitamente, per la determinazione degli sforzi orizzontali agenti sulla parete si assume:

• una condizione di spinta attiva (nel caso di allontanamento del muro dal terreno);

• uno stato di spinta a riposo, ipotizzando a favore di sicurezza di trascurare qualsiasi movimento fra terreno e spalle.

3.2 Schema di un ponte integrale

Rispetto ai ponti tradizionali, l’aspetto più rilevante è l’assenza di giunti di espansione e dispositivi di appoggio. Di conseguenza gli spostamenti longitudinali vengono assorbiti diversamente. La connessione strutturale che si crea tra spalle e sovrastruttura si diversifica molto a seconda del materiale e della

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3. Aspetti statici dei ponti

tipologia di sovrastruttura impiegati. In tutti i casi si tratta di una connessione completa che rende sottostruttura e sovrastruttura legate come un unico elemento.

Figura 3.3: Schemi tipici di ponti integrali 27.

In questo modo anche le spalle devono essere considerate un elemento attivo del ponte soggette agli spostamenti longitudinali dell’impalcato.

Tuttavia una parte attiva (l’intero telaio) è ancora a contatto con una parte non attiva (il terreno) e pertanto lo studio dell’interazione suolo terreno diventa cruciale nella realizzazione e analisi di questi ponti.

In particolare, tutte le forze che provocano deformazioni longitudinali (variazioni di temperatura, effetti differiti di ritiro e viscosità dei materiali) diventano parametri fondamentali per l’analisi della struttura.

3.3 Schema di un ponte semi-integrale

I ponti semi-integrali costituiscono un compromesso tra la tipologia tradizionale e completamente integrale. Nonostante vengano rimossi i giunti di espansione dallo schema, non si impiega una connessione piena tra sovrastruttura e spalle, ma si sfruttano ancora gli appoggi tipici dei ponti convenzionali. La zona di contatto tra parte attiva e passiva avviene in questo caso, oltre che mediante l’appoggio, anche tra l’estremità della sovrastruttura e il terreno.

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3. Aspetti statici dei ponti

Figura 3.4: Schema strutturale di un ponte semi-integrale 28.

Grazie a questa tipologia di connessione la spalla non modifica la sua posizione iniziale e quindi non risente delle variazioni di lunghezza dell’impalcato. La manutenzione dei dispositivi di vincolo risulta meno complicata rispetto ai ponti tradizionali; infatti, in assenza di giunti di espansione, l’acqua non può entrare in contatto con gli appoggi 29.

Un dettaglio spesso impiegato nelle opere semi-integrali è il cosiddetto “end screen”: cioè un setto verticale paraghiaia collegato a sbalzo con l’estremità dell’impalcato. In questo modo la spinta del terreno dovuta all’allungamento della sovrastruttura viene esercitata su un’area maggiore 30.

Figura 3.5: Esempio del collegamento di un ponte semi-integrale con setto paraghiaia a sbalzo 31.

Un altro modo di realizzare il nodo spalla impalcato prevede la realizzazione di un unico getto per la piastra dell’impalcato e la testa della spalla. La particolare geometria del getto necessita di lasciare uno spazio vuoto tra la testa delle travi e la testa delle spalle; in questo modo il dispositivo di appoggio installato sulle spalle permette rotazioni relative tra sottostruttura e sovrastruttura. Con questo particolare schema il nodo non subisce spostamenti e pertanto il terreno non esercita alcuna spinta sugli elementi strutturali 32.

28 (Horvath, 2000). 29 (Horvath, 2000). 30 (Howard, 2000). 31 (Gherardi, 2009/2010). 32 (Connal, 2004).

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3. Aspetti statici dei ponti

Figura 3.6: Esempio di un possibile giunto di un ponte semi-integrale 33.

Per quanto riguarda le fondazioni, diversamente dalla tecnologia completamente integrale, non è raccomandabile l’utilizzo di un’unica fila di pali. Risultano più appropriati i pali battuti o le fondazioni dirette su strati resistenti.

Anche su queste strutture è possibile riscontrare la formazione di pressioni orizzontali con valori non lontani dal limite di spinta passiva; non è da escludere una deformazione plastica del terreno dietro le spalle 34.

3.4 Dettagli costruttivi

Le zone di transizione corrispondono alla porzione di terreno posta immediatamente dietro alla spalla, in cui avviene il passaggio tra la percorrenza di un tratto stradale in rilevato e la percorrenza del ponte.

Questa posizione risulta particolarmente delicata per la pavimentazione, sia nelle strutture tradizionali che integrali.

• Per i ponti tradizionali il passaggio stradale tra rilevato e impalcato è affidato ai giunti di espansione. In particolare si ha la formazione di un fenomeno noto in letteratura come “growth/pressure phenomenon (G/P)”. A seguito delle variazioni termiche e al ritiro, i tratti di pavimentazione tra due giunti di espansione subiscono delle variazioni di lunghezza assorbite dalle contrazioni o elongazioni dei giunti stessi. Nel momento in cui i giunti sono aperti (cioè quando sono soggetti a un accorciamento della pavimentazione) è possibile l’infiltrazione di detriti al loro interno che causano una parziale chiusura del giunto. Lo stesso fenomeno può avvenire anche in corrispondenza di eventuali fessurazioni presenti nella pavimentazione.

33 (Gherardi, 2009/2010). 34 (Lock, 2002)

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3. Aspetti statici dei ponti

Figura 3.7: Occlusione delle fessure stradali e dei giunti con detriti 35.

Se la resistenza a compressione dei detriti è sufficientemente elevata, nel momento in cui i giunti (o le fessure) si contraggono in seguito a un aumento di temperatura sono impediti di assorbire gli allungamenti della pavimentazione. La nascita di un vincolo provoca sforzi di compressione nella pavimentazione.

Con il ripetersi dei cicli di allungamento/accorciamento, quindi con l’aumentare del deposito dei detriti, queste pressioni assumono valori sempre maggiori fino al raggiungimento del limite di resistenza.

Nella seguente figura si riporta la crescita delle massime pressioni annuali nel tempo:

Figura 3.8: Andamento qualitativo delle pressioni in una pavimentazione stradale 36.

Le pressioni in questione possono arrivare a 7 MPa che, per una pavimentazione di dimensioni comuni, equivale a considerare una forza di

35 (Burke, Integral and Semi-Integral Bridges, 2009) 36 (Burke, Integral and Semi-Integral Bridges, 2009)

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