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Implementazione di una strategia "CRM" nella distribuzione Beverage & Food: L'app "Hi Client" di PRINZ B & F srl

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ingegneria, dell’Energia, dei Sistemi, del

Territorio e delle Costruzioni

RELAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA LAUREA

MAGISTRALE IN INGEGNERIA GESTIONALE

Implementazione di una strategia “CRM” nella

distribuzione Beverage & Food: L’app “Hi

Client” di PRINZ B & F srl

RELATORI IL CANDIDATO

Prof.ssa Luisa Pellegrini Giovanni Amorosi Dipartimento di Ingegneria, dell’Energia, amorosi.giovanni8@gmail.com Sistemi, del Territorio e delle

Costruzioni

Prof. Ing. Davide Aloini

Dipartimento di Ingegneria, dell’Energia, Sistemi, del Territorio e delle

Costruzioni Mirko Barbacci PRINZ B & F

Sessione di Laurea del 19/07/2017 Anno Accademico 2016/2017 Consultazione NON consentita

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Giovanni Amorosi

SOMMARIO

Questa tesi ha come obiettivo la progettazione a livello concettuale di un’applicazione mobile, con lo scopo di garantire alla clientela business un canale diretto con l’impresa, che non preveda necessariamente l’intermediazione di un agente nella fase di ordinazione dei prodotti all’interno di un’azienda che opera nel settore di distribuzione Beverage & Food. L’analisi è stata eseguita in collaborazione con l’azienda di distribuzione PRINZ B&F di Campi Bisenzio (Firenze), leader nel suo settore, in cui ho svolto il tirocinio, sulla base di un’applicazione mobile già esistente, utilizzata dalla forza vendita della PRINZ. Grazie allo sviluppo di questa applicazione, infatti, gli agenti possono iniziare a rivestire il ruolo di consulenti. Attraverso interviste e osservazioni del personale commerciale dell’azienda, ho individuato una serie di requisiti funzionali che sono stati poi divisi in tre gruppi, ciascuno relativo a 3 macro “blocchi” pensati per contenere tutte le funzionalità dell’applicazione. Ciascun requisito funzionale è stato spiegato con maggiore dettaglio, attraverso le specifiche testuali, al fine di rendere la progettazione dell’app di comune comprensione a tutti i futuri utilizzatori. Il team del reparto marketing, di cui facevo parte, ha manifestato sin da subito la priorità di concretizzare tale novità che avrebbe comportato sicuramente un aumento nelle vendite dei prodotti con un conseguente innalzamento del fatturato.

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This study has as its objective the conceptual design of a mobile application, with the aim of providing customers with a direct channel with the enterprise, which does not necessarily require the intermediary of an agent when ordering products within a company that works in the Beverage & Food distribution sector. The analysis was carried out in collaboration with the PRINZ B & F distribution company of Campi Bisenzio (Florence), a leader in its field, where I did the internship, based on an existing mobile application, used by the sales force of PRINZ. With the development of this application, in fact, agents can begin to play the role of consultants. Through the interviews and remarks of the company's sales staff, I identified a number of functional requirements that were then divided into three groups, each relating to 3 "macro" blocks designed to contain all the functionality of the application. Each functional requirement has been explained with greater detail, through the textual specifications, in order to render the app design of common understanding to all future users. The marketing department team, which I was part of, has immediately demonstrated the priority to realize this innovation, which would certainly have led to an increase in sales of products with a consequent increase in sales.

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INTRODUZIONE

9

CAPITOLO 1: LA DIVISIONE DEL BEVERAGE &

FOOD

12

1.1 LA STORIA DEL SETTORE DAL DOPOGUERRA A OGGI 12 1.1.1 IL GAZZOSAIO DEL SECONDO DOPOGUERRA (ANNI 70-80) 13 1.1.2 IL MERCATO DEL “PORTA A PORTA” 16

1.1.3 IL GAZZOSAIO SPECIALIZZATO 17

1.1.4 IL PERIODO D’ORO 18

1.2 LO STATO ATTUALE 20

1.3 OBIETTIVI FUTURI 21

1.3.1 IL DISTRIBUTORE 22

1.3.2 ATTEGGIAMENTO INDUSTRIA - DISTRIBUTORI 23 1.4 LA DISTRIBUZIONE DI BEVANDE - PRODOTTI 23 1.4.1 ACQUA E ANALCOLICI (BRAND ANALCOLICI) 23

1.4.2 BEVANDE ALCOLICHE 24

1.5 IL DISTRIBUTORE DI BEVANDE IN ITALIA 25 1.6 IL DISTRIBUTORE DI BEVANDE IN TOSCANA 28

CAPITOLO 2 - MARKETING E RELATIONSHIP

MARKETING

30

2.1 SVILUPPO DI UN PROCESSO DI MARKETING 30

2.1.1 PROCESSO DI MARKETING 30

(5)

CAPITOLO 3: CRM, S-CRM & E-COMMERCE

46

3.1 FIDELIZZAZIONE DEL CLIENTE TRAMITE IL MARKETING RELAZIONALE 48

3.2 E-COMMERCE 49

3.2.1 L’E-COMMERCE IN ITALIA: DATI STATISTICI 50 3.2.3 RICEZIONE DA PARTE DEI CONSUMATORI 54 3.3 RUOLO DEI SISTEMI CRM NELLE AZIENDE 56

3.3.1 STORIA DEL CRM 57

3.3.2 TIPI DI CRM 58

3.4 FUNZIONI PRESENTI IN UN CRM 59

3.4.1. FRONT-OFFICE E DATA WAREHOUSE 60 3.4.2 GESTIONE DELLA BUSINESS INTELLIGENCE 60 3.4.3 GESTIONE COLLABORATIVA SIA VERSO L'INTERNO CHE VERSO L’ESTERNO 61 3.5 FATTORI CHE INFLUENZANO L'IMPORTANZA DEI SISTEMI CRM 61 3.5.1 INTENSITÀ DELLA RELAZIONE CON LA CLIENTELA 61

3.5.2 NUMEROSITÀ DELLA CLIENTELA 62

3.5.3 MULTICANALITÀ DEL RAPPORTO CON IL CLIENTE 62

3.6 ARCHITETTURA CRM 63

3.7 BENEFICI APPORTATI DA UN SISTEMA CRM 65

3.8 COME SCEGLIERE UN SISTEMA CRM 66

3.8.1 CONTATTI E TRACCIAMENTO DATI 67 3.8.2 MULTICHANNEL-MARKETING E ANALISI DEL CARICO DI LAVORO 68

(6)

3.8.4 SUPPORTO DELLE APPLICAZIONI 69

3.8.5 DATA INTEGRATION 69

3.8.6 SMALL BUSINESS-FRIENDLY, CARATTERISTICHE SALES-FOCUSED 70

3.9 NUOVE TENDENZE CRM 70

3.10 Il “Social CRM” 73

3.10.1 SCOPI E FUNZIONI DI UN SOCIAL CRM 75 3.11 I BENEFICI E PERCHÉ UNA AZIENDA HA BISOGNO DEL S-CRM 76

CAPITOLO 4 - IL BUSINESS DELLE APP & L’ERA

DIGITALE

81

4.1 APP: DEFINIZIONE ED OBIETTIVI 82

4.1.1 IL MOBILE MARKETING 83

.4.2 TIPOLOGIE DI APP 84

4.2.2 UTILITÀ DEL BRAND DELLE APP 86

4.2.3 APP ECONOMY 86

4.3 NUOVI MODELLI DI BUSINESS PER LE APP 87 4.4 PROCESSO DI IMPLEMENTAZIONE DI UN’APPLICAZIONE 89

4.4.1 I FASE: PRE-LANCIO 92

4.4.2 II FASE: LANCIO 95

4.4.3 III FASE: POST LANCIO 96

4.5 MODELLI DI MONETIZZAZIONE 98

4.5.1 PUBBLICAZIONE IN UN MARKET 99

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4.6 MODELLO A MATRICE DELLA STRATEGIA DI MARKETING DI UNA MOBILE APP 101 4.7 POSIZIONAMENTO DELLE APPLICAZIONI NEL MODELLO A MATRICE 105 4.7.1 I QUADRANTE: GRATUITA E INNOVATIVA 105 4.7.2 II QUADRANTE: GRATUITA E COMPETITIVA 107 4.7.3 III QUADRANTE: A PAGAMENTO E COMPETITIVA 108 4.7.4 IV QUADRANTE: A PAGAMENTO E INNOVATIVA 109 4.8 EVOLUZIONE DELLE APP NEL MODELLO A MATRICE 110

4.8.1 APPLICAZIONI DI GIOCO 110

4.8.2 APPLICAZIONI INNOVATIVE 111

4.8.3 APPLICAZIONI COMPETITIVE 114

4.9 RITORNO GRATUITO 115

CAPITOLO 5 - LO SVILUPPO DEL SISTEMA CRM

TRAMITE UN’APP IN UN AZIENDA DI

DISTRIBUZIONE: LA PRINZ

118

5.1 L’ESIGENZA DI UN’APP NEL CONTESTO DEL MERCATO MODERNO 118 5.2 LA PRINZ B&F: ANALISI DEL PRESENTE DELL’AZIENDA 119 5.2.1 IL PROCESSO DI VENDITA IN PRINZ 123 5.3 DA COSA NASCE L’IDEA DI PROGETTARE UN’APP PER I CLIENTI 127 5.4 ANALISI DEL PRESENTE DEI SISTEMI “IT” E “ICT” DELLA PRINZ 128

5.4.1 OBIETTIVI E MODALITA’ 129

(8)

5.4.4 APPLICAZIONE “ORDER ENTRY” (APP AGENTI) 133 5.4.4 PROPOSTA APPLICAZIONE PER I CLIENTI 135 5.5 METODOLOGIA: LE FASI PER LO SVILUPPO DELL’APP CLIENTI 136

CAPITOLO 6 - L’“HI CLIENT” DI PRINZ B&F

139

6.1 COMMITMENT AZIENDALE 139

6.2 PIANO DI SVILUPPO DELL’APPLICAZIONE “HI CLIENT” 140

6.3 CONCEPT DESIGN 141

6.4 PROGETTAZIONE DI DETTAGLIO: ANALISI DEI CASI D’USO 144 6.4.1 MODELLAZIONE DI ALCUNI REQUISITI 171 6.5 DEFINIZIONE DEI REQUISITI TECNICI 172 6.5.1 CARATTERISTICHE TECNOLOGICHE DELL’APP 174 6.6 FASE DI TESTING SU CLIENTE PER COLLAUDO 176 6.7 IMPLEMENTAZIONE DI “HI CLIENT” 178 6.7.1 POSIZIONAMENTO DI “HI CLIENT” NEL MODELLO A MATRICE 178 6.7.2 STRATEGIE DI PROMOZIONE DELL’”HI CLIENT” PER LA SUA DIFFUSIONE/CONSEGNA 178

6.7.3 AZIONE DI MARKETING 180

6.8 I VANTAGGI DELL’APP “HI CLIENT” 181 6.9 CONSIDERAZIONI SULL’APP CLIENTI PRINZ 183

6.10 PROGETTI PER IL FUTURO 184

CONCLUSIONI

188

(9)

Il mio tirocinio si è svolto presso PRINZ, azienda di distribuzione che opera nel settore del Beverage & Food e che vanta un portafoglio di tremila clienti equamente divisi fra i trenta agenti della forza vendita. Il settore Beverage si caratterizza per un alto livello di concorrenza interno e quindi per il forte impatto che azioni di marketing aggressive quali offerte, sconti e promozioni da parte delle aziende che operano in questo contesto possono giocare.

Per quando riguarda nello specifico PRINZ, ad oggi l’andamento delle sue vendite e la gestione dei possibili errori o di richieste peculiari da parte dell'acquirente sono regolati dalla velocità con cui il commerciale riesce a comprendere le specifiche esigenze del cliente. Infatti la mancata risposta da parte degli agenti della forza vendita alle chiamate dei clienti (per motivi di natura variabile), ha costituito la necessità impellente dell’impresa di ricorrere ai nuovi mezzi presenti sul mercato. Il successo dell’azienda, fino ad oggi, è dipeso in gran parte dalle risorse umane messe a disposizione dalla stessa ma in un mondo che sempre più bada al risparmio di tempo, la sola manodopera non può bastare.

Lo svolgimento del tirocinio ha quindi permesso di mettere in evidenza due criticità che influenzano la competitività di PRINZ: da una parte, la necessità sempre più pressante di erogare servizi che, a prescindere da sconti o offerte da parte della concorrenza, possano fidelizzare il cliente e, dall’altra, la necessità di far fronte celermente alle richieste di ciascun cliente, evitando che ritardi nella risposta alle sue esigenze comportino un pregiudizio nella competitività di PRINZ. Queste due criticità quindi richiedono in sostanza il passaggio da un orientamento alla vendita ad un orientamento al marketing, volto cioè al soddisfacimento pieno del cliente e sull’esatta comprensione dei suoi bisogni.

Per questo motivo si è pensato alla sperimentazione di una “app” CLIENTI, meglio spiegata nel capitolo sei di questo elaborato; in aggiunta ad un'altra già a disposizione della forza vendita, che permetta al consumatore di trovare le risposte alle domande più frequenti con tempi immediati, senza necessariamente dover aspettare la disponibilità dell'agente di riferimento. Le applicazioni mobili sono un importante strumento di CRM, come vedremo nel capitolo quattro. Se usate adeguatamente sono in grado di aumentare la fedeltà del cliente nei 


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Più esattamente la “app” dovrà essere in grado di assicurare la copertura nelle 24 h del servizio d’ordinazione, in maniera tale che il cliente non debba più essere obbligato al colloquio con l’agente per effettuare l’ordine, se questi, per una qualsiasi motivazione, non dovesse essere reperibile.

Tale innovazione porrebbe al centro il cliente, il quale avrebbe la possibilità di contare, da un lato, sulle risorse umane fondamentali per la vendita e la consulenza sui prodotti e, dall'altro, su quelle tecnologiche progettate nell'app, come la possibilità di scorgere le promozioni del giorno, di emettere ordini anche in assenza di copertura internet e di disporre di un promemoria in grado di aiutarlo nella gestione degli ordini seguenti. L’App garantisce ancora una riduzione significativa degli errori di codice prodotto che anteriormente alla sua realizzazione si traduceva nella ricezione di un ordine spesso errato. Inoltre è fondamentale l’aumento nella velocità di trasmissione ed elaborazione degli ordini e quindi il netto miglioramento dei tempi di risposta.

La prima parte di questo elaborato è quindi incentrata sulla nascita e l’evoluzione del settore B&F, per comprendere al meglio le necessità che possano derivare dalle aziende di questo settore e come espletare al meglio tali bisogni.

Il secondo capitolo definisce il marketing e ne spiega alcune forme fondamentali al fine di erogare i propri servizi con qualità e competenza nei confronti di un consumatore che diviene parte integrante dello stesso processo di marketing.

Si parlerà inoltre dei processi di CRM, E-CRM & eCOMMERCE che stanno prendendo il sopravvento nel mercato mondiale mediante strategie che mirano alla fidelizzazione della vecchia clientela e alla creazione di quella nuova, grazie ai rapidi canali di comunicazione.

Da una recente intervista a Nolan Greene è emersa infatti l’importanza di affrontare ad occhi aperti la realtà digitale anche per le piccole e medie imprese (PMI), così da garantire un servizio d’élite e di qualità sul territorio. I dispositivi mobili hanno apportato miglioramenti sostanziali in quasi tutti gli aspetti della vita odierna e hanno avuto effetti rivoluzionari sulle aziende, in tutti i settori. Tuttavia, gli effetti positivi derivanti dalla mobilità e dall'adozione di

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un'infrastruttura di enterprise mobility. Spesso queste aziende si ritrovano a dover fare dei compromessi tra le notevoli funzionalità e le risorse effettivamente disponibili. Le applicazioni basate su cloud pubblico promettono maggiori efficienze nelle operazioni quotidiane, i dipendenti all'interno dell'azienda vogliono utilizzare i propri dispositivi mobili per lavoro e le PMI stanno iniziando a vedere il potenziale di CRM che deriva dalla possibilità di coinvolgere i clienti tramite applicazioni mobili. Siamo ormai lontani dal periodo in cui le PMI, non erano molto sofisticate e in grado di eseguire e supportare un'infrastruttura mobile ben distribuita. Il passaggio al digitale sarà uno strumento estremamente importante poiché consentirà alle PMI di competere concretamente con aziende più grandi e permetterà di sviluppare rapidamente le piattaforme digitali al fine di ottimizzare le efficienze operative e aumentare il coinvolgimento di dipendenti e clienti. Le PMI che intendono competere soltanto sul fronte "fisico" avranno grandi difficoltà a mantenere un posto di rilevanza sul mercato. Il coinvolgimento digitale dei clienti, offre nuove possibilità di migliorare l'esperienza dei suddetti attraverso un sistema di comunicazione mirata che può generare una maggiore fidelizzazione. Inoltre, l'adozione di sistemi digitali consente di attirare e trattenere il talento della "generazione mobile", ossia individui che preferiscono utilizzare i dispositivi mobili per eseguire le attività quotidiane e che valutano le offerte di lavoro in base alla possibilità di poter fare esattamente questo. In sostanza, una rete aziendale moderna, mobile e wireless crea nuove efficienze che permettono di risparmiare tempo, ridurre gli sprechi e ottenere risultati positivi a livello globale.

Questo è il motivo per cui l’azienda Prinz ha pensato ad una soluzione digitale per i suoi problemi, con l’intento di continuare in futuro ad investire nell’eCommerce ed espandersi sul territorio in maniera competitiva.

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CAPITOLO 1: LA DIVISIONE DEL BEVERAGE & FOOD

Il sociologo americano Ray Oldenburg identificò con il termine “Terzo Luogo” quello spazio pubblico in cui le persone possono incontrarsi e interagire al di fuori della propria abitazione o del proprio luogo di lavoro, uno spazio dove scaturisce un senso di appartenenza, di riconoscimento, di identificazione: una sorta di “casa fuori casa”. In tale contesto, grazie ad una generazione di imprenditori, sono cresciuti i bar, i caffè, i ristoranti, le discoteche, attività che ancora oggi costituiscono un pezzo fondamentale del tessuto sociale nazionale. Il settore della distribuzione di bevande nel segmento “Ho.Re.Ca” (Hotel, Restaurant, Café) è rimasto da sempre in ombra negli studi sui modelli imprenditoriali. L’analisi della sua evoluzione, invece, costituisce uno spaccato fedele del percorso dell’economia e dei modelli di consumo italiani dal dopoguerra ad oggi, e pone sfide rilevanti per i futuri sviluppi del sistema Paese.

Fig 1: Hotel, Restaurant, Cafe

1.1 LA STORIA DEL SETTORE DAL DOPOGUERRA A OGGI

L’evoluzione storica del modello imprenditoriale nel settore della distribuzione delle bevande per il segmento Ho.Re.Ca prende le mosse nell’immediato dopoguerra. Lo scenario Italiano presentava, da un lato, una società logorata dal conflitto, con una produzione industriale minima, limitata dalla scarsa reperibilità delle materie prime e dalla difficoltà di effettuare i trasporti e, da un altro, una popolazione che cominciava a nutrire la necessità non solo di beni essenziali ma anche di comfort e servizio. È proprio in tale contesto che un

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soddisfare la sete dell’Italia post bellica. Nel corso degli anni ’50, oltre 20.000 piccole aziende di produzione e distribuzione di bevande si materializzarono spontaneamente. I padri dei nostri distributori di bevande fiutarono il business e iniziarono a perseguirlo con la determinazione di chi vuole inventare il proprio futuro, anche se inizialmente erano scarsamente forniti di risorse economiche e mancava una vera e propria cultura d’impresa. Fu in quegli anni che il mercato delle bevande rifiorì, alle gazzose e al seltz artigianale si affiancarono le prime acque minerali. Seguirono le birre e le bevande monodose delle riattivate industrie nazionali.

1.1.1 IL GAZZOSAIO DEL SECONDO DOPOGUERRA (ANNI 70-80)

L’arco temporale che intercorre tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il boom economico vide gli imprenditori di prima generazione del settore della distribuzione, i così detti “Padri Distributori”, proporsi di collaborare con la rinascente borghesia industriale orientata al prodotto; questa, impegnata a sua volta a ricostruire la base industriale del Paese, trovò in loro i partner ideali. Tra queste due categorie di soggetti vi fu, per lo meno inizialmente, l’interesse di trovare un accordo comune. Da un lato l’Industria aveva già abbastanza problemi da risolvere in fabbrica senza aprire anche il fronte del Mercato, dall’altro la distribuzione trovò in questa alleanza la possibilità di regolamentare il Mercato. In questo primo periodo storico presero piede i cosiddetti “Patti di Rispetto” che consistevano, per le acque minerali e le birre, in vere e proprie concessioni territoriali esclusive assegnate dall’Industria ad un unico Distributore di zona. Il rapporto quasi paritetico tra imprenditori industriali e Distributori aveva anche dei riflessi sociali importanti: era frequente, infatti, incontrare nello stesso contesto sociale il proprietario di una fabbrica e il suo distributore in un clima di totale confidenza. Il ruolo del Distributore di allora era duplice: di presidio logistico del territorio e di copertura relazionale con i sub-concessionari e i gestori dei PoS (“Point of Sale”, ovvero punti di vendita). Il passaggio dalla ricostruzione al boom economico fu un processo rapido. In questo passaggio velocissimo maturarono alcuni cambiamenti che sancirono l’inizio dell’era moderna per il settore della distribuzione. Nacquero i primi negozi associati e la DO (Distribuzione Organizzata) assunse contorni professionali anche se sempre

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arrembanti. In questo periodo, si attuò la divaricazione netta dei percorsi imprenditoriali tra distributori alimentari e distributori di bevande. Per quanto concerne il distributore di bevande, esso si trovò a competere con un nuovo player di Mercato: il supermercato, qui inteso con un’accezione generica. Tutto il patrimonio relazionale intessuto dai gazzosai nobili sembrò destinato a cessare con loro, essendo minacciato dai primi buyer che realizzarono fatturati da capogiro. L’Industria, con la sua struttura, si trovò impreparata a gestire direttamente questi nuovi Mercati, e affidò al Distributore l’onere di supplire alle sue mancanze. In tale contesto avvenne un fatto determinante: i Patti di Rispetto saltarono a causa dell’ambizione delle nuove industrie nascenti che spinsero per avere un posto in primo piano. Da un punto di vista commerciale nacquero nuove aziende di distribuzione, che, all’apparenza, non entrarono in competizione diretta con i precedenti datori di lavoro. In realtà ci fu una fiera concorrenza. E’ importante sottolineare che all’epoca non esistevano le odierne tecniche sofisticate di segmentazione di Mercato, e i confini tra dettaglio moderno e tradizionale e tra quest’ultimo e l’”Ho.Re.Ca” erano talmente sfumati da non poter essere definiti con precisione. Per la prima volta si confrontarono logiche di Mercato completamente diverse, in un contesto competitivo che, in brevissimo tempo, era passato dalla tutela completa alla più sregolata concorrenza, per effetto di una crescita dei consumi spropositata. Le neo-nate aziende sotto il profilo economico si caratterizzarono per una forte compressione dei margini, un’attenzione costante ma che risultò spesso insufficiente a far fronte alla struttura dei costi, seppur accompagnata da una dilatazione notevole del fatturato. Il patrimonio delle aziende storiche fu messo fortemente in discussione dalle nuove realtà emergenti che puntavano sul prezzo competitivo, godevano della liberalizzazione della circolazione delle merci e, dal punto di vista relazionale, erano in grado di ricostruire le reti interpersonali perché impersonanti un nuovo tipo di figura: più umile, meno irraggiungibile e più consona al nuovo tessuto sociale. Questo almeno fino alla metà degli anni ’70.


Infine anche le caratteristiche sociali del Distributore subirono un cambiamento che portò alla rottura del connubio tra industriali e commercianti, per effetto di quanto descritto finora. Ai primi la società, intesa come insieme di poteri, continuerà a riconoscere uno status di primo piano; i secondi, a causa del nuovo modello di business adottato, saranno progressivamente dequalificati. Con il venir meno dei “Patti” e la nascita del dettaglio alimentare moderno, anche l’Industria si trovò a dover affrontare direttamente il Mercato. È in questo periodo che iniziò la coscienza industriale del Brand. Questo momento di passaggio ebbe delle

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Se infatti prima esisteva un terreno di confronto paritetico, sostenuto da una sostanziale equivalenza, sia di ruolo, sia di status, che, infine, economica, ora questo “luogo comune” iniziò sempre più a venir meno. L’Industria cominciò a considerare il Distributore solo per le funzioni logistiche e il Distributore, sempre più abbagliato dai volumi e incapace di strutturare un suo ruolo diverso nel nuovo Mercato, si adagiò su questo nuovo paradigma relazionale e con questa perdita di patrimonio relazionale si conclusero gli anni ’70. In questo periodo l’avviamento commerciale di un’azienda di Distribuzione non superava il 3-5% del fatturato. La logica reddituale alla base di questo modello di azienda si fondava su tre presupposti:

1. Costi del personale ridotti all’osso;

2. Incasso sicuro e velocissimo;

3. Pagamento della merce a breve termine;

Il servizio offerto ai clienti da questo tipo di struttura era, evidentemente, solo di tipo logistico. In un’azienda commerciale il margine lordo è funzione del servizio offerto. In presenza di un bene di largo consumo alimentare, infatti, il valore del bene in sé non è tale da consentire un margine di sopravvivenza e, pertanto, la redditività deve essere garantita dai servizi accessori. Nel modello di business che si sta analizzando l’unico servizio accessorio era quello logistico. Questo servizio era remunerato, negli anni ’70, in ragione del 17/18% del fatturato. A proposito di quanto appena detto, è utile sapere che un’azienda che commercia prodotti di largo e generale consumo perdona molti errori gestionali e sopporta ritardi decisionali che in altri settori sarebbero fatali. Il motivo di questa “pazienza” deriva dal fatto che il fondamento del business si basa su tante transazioni d’importo modesto e, quindi, è molto difficile che una di queste abbia una forza tale da squilibrare l’intera struttura. Altrettanto, però, una volta squilibrata l’azienda è molto difficile risistemarla senza una politica di capitalizzazione perché il percorso di recupero ha tempi molto lunghi, spesso incompatibili con le necessità cogenti. Stante la snellezza strutturale del business, le perdite di gestione divengono quasi istantaneamente ammanchi finanziari. Questa circolarità di effetti ebbe conseguenze devastanti negli anni ’70 e fino alla metà degli anni ’80 tra i Distributori vocati al dettaglio. In costanza di perdite strutturali di gestione, o di utilizzo di fonti a breve per finanziare immobilizzi, queste aziende, viste le difficoltà incessanti, furono costrette a sfruttare l’anticipazione in conto corrente degli importi facciali dei titoli di credito emessi a carico dei clienti per pagare debiti commerciali pregressi, o rate di finanziamenti a medio

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termine. Con questo sistema le perdite aumentarono costantemente, trasformandosi immediatamente in deficit finanziario per coprire il quale era necessario aumentare il volume delle vendite, anche a costo di aumentare la perdita, fino al collasso. Questo meccanismo fu alla base del dissesto di aziende importanti del Settore.


Fig 2: immagine del primo mezzo italiano utilizzato per la consegna del latte;

1.1.2 IL MERCATO DEL “PORTA A PORTA”

Tuttavia, nonostante un primo periodo di crisi avvenuto con il termine del boom economico che comportò una flessione dei consumi, una crisi energetica senza precedenti e la ricomparsa di una sorta di mercato nero, l’Italia divenne un Paese con un benessere diffuso pronta ad affrontare quello che sarà il suo decennio d’oro: gli anni ‘80. L’industria iniziò a parlare diffusamente di marketing e tentò di utilizzare le prime tecniche di segmentazione. È in questi anni che si attuò il passaggio concettuale da “cliente” a “consumatore”. Questo nuovo modo di intendere il “cliente”, che lo riduce a semplice “macchina da consumo” più o meno razionale, spogliandolo di ogni caratteristica individuale, resse le sorti di intere divisioni commerciali dell’Industria dall’inizio del ’70 fino alla fine del ’90. Tra le tante conseguenze

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raggiungerlo direttamente con i propri prodotti. Affrontare direttamente il Mercato nascente del “Porta a Porta” era, già allora, molto oneroso. Negli anni ’70 nacquero molte aziende di distribuzione specializzate nel “porta a porta”. Si trattava di aziende, alcune anche di notevoli dimensioni, nascenti da ex dipendenti messisi in proprio che, almeno in apparenza, richiedevano poco immobilizzo di capitale e non incontravano alcuna barriera all’ingresso. È importante segnalare che, in questo periodo, si costituirono i primi consorzi di bevande, primo tra tutti l’Hobby. Anche in questo passaggio l’Industria giocò un ruolo chiave finanziando i neo imprenditori della distribuzione dietro la firma di impegni commerciali di lunga durata. È quello che si definì una “industrializzazione dello sfruttamento” e che vide l’Industria utilizzare il Distributore come una propria propaggine logistica e commerciale, lasciando sulle spalle del secondo, ovviamente, tutti i rischi d’impresa.

1.1.3 IL GAZZOSAIO SPECIALIZZATO

Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 avviene un cambiamento epocale in termini sia operativi che patrimoniali: il Distributore scoprì l’impianto di spillatura, e, con esso, le bevande in fusto. Come descritto, il patrimonio di relazioni del Distributore, impoveritosi nel corso del tempo, negli ’80 venne pian piano recuperato grazie alla concomitanza di tre fattori: industriali, distributivi e di consumo. Il fattore industriale, sostanzialmente, si riassume nel fatto che le maggiori Industrie del settore terminarono gli anni ’70, stremate dalla guerra concorrenziale descritta in precedenza. L’inseguimento dei volumi, il mito della quota di Mercato, la conta delle perdite degli altri e non delle proprie, avevano portato sull’orlo del baratro i più bei nomi imprenditoriali italiani del settore. È in questa posizione di debolezza finanziaria ed economica che iniziò a farsi strada la birra alla spina. Con l’inizio degli anni ’80 le aziende di distribuzione più strutturate iniziarono a trasformarsi in Società di capitali dando così inizio a quella separazione e tutela patrimoniali che diventerà uno degli elementi con cui la generazione successiva dovrà confrontarsi. Lo sviluppo di questo percorso di progressiva chiarezza e rigore gestionale ebbe varie cause: la sparizione delle Società di Fatto, la necessità di adeguarsi a norme sempre più vincolanti, l’allargarsi delle dimensioni aziendali, con il conseguente aumento delle responsabilità sia

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sociali che patrimoniali, la necessità di una maggiore chiarezza nella rilevazione dei fatti e degli atti di gestione. Anche per questa progressiva trasparenza aziendale, alla fine degli anni ’80 l’avviamento di un’azienda di distribuzione oscillava tra il 9 e il 12% del fatturato. Gli elementi propriamente della Domanda, invece, furono legati al sempre maggior interesse da parte dei consumatori per la birra alla spina, che diventò una delle variabili critiche in base alle quali scegliere il PoS. I gestori più avveduti si attrezzarono e cercarono di stringere i rapporti con i Distributori migliori e più attenti alle novità che il Mercato offriva. Gli anni ’80 rappresentarono l’inizio della “Jazz Age”: è in questo periodo che le più importanti aziende del settore si consolidarono, investendo in immobilizzazioni e struttura organizzativa, e crearono i presupposti per godere di quasi trent’anni di successi. Le Società assunsero una personalità giuridica, adeguandosi nel contempo alle esigenze di chiarezza contabile ed amministrativa che la trasformazione imponeva; investirono in impianti di spillatura e, un po’ ingenuamente e con pochi mezzi, in immagine aziendale attraverso depliants illustrativi dei prodotti e dei servizi offerti; cercarono di uscire dai problemi strutturali di redditività agendo sui prezzi di vendita e sulla valorizzazione di un nuovo servizio: la gestione e manutenzione degli impianti di spillatura. È da questo humus imprenditoriale che nasceranno le aziende di distribuzione così come oggi si presentano. È grazie a questa visione imprenditoriale che si sviluppò e si consolidò una grandezza prima del tutto aleatoria: l’avviamento commerciale. L’oggettività di questa grandezza “metacontabile”, ovvero il fatto che sia inserita tra le voci dello Stato patrimoniale, fu il risultato tangibile degli sforzi fatti ma, soprattutto, dell’apertura mentale che contraddistinse un periodo di profonda innovazione.

1.1.4 IL PERIODO D’ORO

Il decennio che va dalla fine degli anni ’80 alla fine degli anni ’90 rappresenta anche il momento d’oro della gazzosa. Alla fine degli anni ’90 l’avviamento di un’azienda di distribuzione oscillava tra il 30 e il 35% del fatturato. È tuttavia necessario chiarire da che cosa sia costituito il cosiddetto “avviamento” di una azienda di distribuzione di bevande. Nonostante le formule ed i relativi correttivi, in un business di relazione quale è quello

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direttamente riferibile alla figura dell’imprenditore. Nel caso delle aziende di distribuzione di bevande, però, nel tempo, l’importanza di questa variabile è aumentata a tal punto da essere allargata anche ad una parte considerevole del personale subordinato o assimilato. In questo periodo storico avvennero anche alcuni fatti importanti.


Anzitutto si assistette alla nascita di micro aziende nate per coprire nicchie di Mercato molto particolari. Il fenomeno di maggior rilievo fu, però, l’acquisto di aziende di Distribuzione direttamente da parte dell’Industria. L’unica organizzazione che si mosse, in tutti gli anni ’90, in modo strutturato, con obiettivi chiari, con mezzi formidabili e con razionalità, fu Partesa, la struttura distributiva diretta del gruppo Heineken. In molti casi le aziende cedute all’Industria erano in condizioni economiche e patrimoniali difficili. Spesso l’Industria supplì, a modo suo e pagandone fino in fondo lo scotto, alle deficienze del precedente imprenditore. Da ultimo vale la pena di analizzare le cause della ritardata, e mai compiuta, specializzazione del Distributore nel comparto dei vini. Se si analizza la composizione del Settore fino agli ’80 si possono individuare due grandi categorie di operatori: i “vinai” che avevano già una specializzazione sul segmento, riconosciuta dal Mercato, e i “gazzosai”, che erano visti come fornitori generalisti nel vino. Mentre per i primi, il boom del Mercato della birra e delle bevande, intervenuto negli anni ’80, fu un facilitatore, per i secondi lo scandalo del vino al metanolo del 1986 bloccò un percorso di qualificazione in fase iniziale, ritardando di almeno 15 anni il compimento del processo. L’incremento della redditività primaria, il consolidamento del reddito operativo, la gestione appropriata dei mezzi di terzi e degli investimenti, portarono ad una vera e propria rinascita del settore. La capacità di creare piattaforme di negoziazione condivise (Consorzi), il riappropriarsi dei mezzi di produzione (impianti di spillatura), il consolidarsi delle strutture logistiche (chiusura dei finanziamenti ottenuti dall’Industria) e la proposizione di un nuovo sistema di relazioni che, partendo dal presidio logistico, diventa parte integrante del momento di consumo, e quindi del tessuto sociale, consentirono il consolidamento patrimoniale dei valori intangibili dell’impresa. In questo percorso l’ingresso diretto dell’Industria nella Distribuzione contribuì a sottolineare l’importanza strategica dell’avviamento, elevandone il controvalore. Ma sarebbe un errore ridurre questo percorso ad un banale processo di trading up.

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Fig 3: l’immagine evidenzia una prima visione diacronica di cosa accadde nelle aziende di distribuzione in quasi vent’anni, ma soprattutto ha il merito di dare un ordine di grandezza quantitativo

dei progressi fatti nel settore;


1.2 LO STATO ATTUALE

L’impossibilità di fare “sistema” in Italia ha informato l’intero percorso storico, politico ed economico del Paese. Questa caratteristica ha, ovviamente, interessato anche il settore della distribuzione di bevande. Su un modello ad imitazione della DO alimentare, nella seconda metà degli anni ’80, si sono costituiti i primi Consorzi moderni di Distributori di bevande, anche se, in pochi anni, il peso di queste organizzazioni iniziò a farsi sentire. I Consorzi si compongono di Distributori che, sfruttando la possibilità di proporsi all’Industria come un’unica entità, hanno come obbiettivo l’ottenimento di condizioni di acquisto migliori. In tutti i Consorzi, però, il comportamento degli associati è caratterizzato dal free riding opportunistico e, quindi, il Consorzio non può mai avere la certezza che gli impegni presi a monte saranno effettivamente rispettati a valle. Questo tipo di associazionismo ha svolto due funzioni fondamentali per tutti gli anni ’90: hanno garantito la sopravvivenza di parecchie aziende e, soprattutto hanno riaffermato il ruolo del Distributore nella filiera. D’altro canto, però, non sono riusciti a fare sistema spesso a causa della poca professionalità. Se da un lato le aziende di distribuzione, dopo l’ennesima consistente riduzione di numero, si sono

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rafforzate, ingrandite e organizzate, dall’altro l’Industria si è organizzata per delegittimare sempre di più le Centrali consortili aumentando le possibilità della contrattazione periferica.

1.3 OBIETTIVI FUTURI

Con l’avvento della suddetta contrattazione periferica, la ricostruzione delle reti relazionali è forse la prima delle sfide da affrontare per il futuro. Reti relazionali intese non solo in termini di contatti personali con i clienti ma, in senso lato, con i consumatori, con tutte le forze politiche, economiche e sociali che operano nel territorio. Se non è possibile creare un vero e proprio “sistema”, è però ipotizzabile la nascita di un “polo” in cui imprenditorialità, attenzione alla collettività e rappresentatività riescano a diventare elementi di propulsione. Immergersi nelle relazioni di territorio significa anche farsi parte attiva nel coordinamento degli sforzi competitivi così da avere ripercussioni positive sulla redditività aziendale, perché un’azienda è parte integrante del territorio in cui opera con il suo sistema esteso di relazioni. È in questa nuova impostazione che i Consorzi, possono avere un nuovo ruolo propulsivo fondamentale che li vede coinvolti nell’affiancamento alle organizzazioni pubbliche, alle associazioni dei residenti e alle forze dell’ordine per dare un contributo allo sviluppo del territorio in cui opera il Distributore. Relazione, però, non vuol dire fermarsi solo a questo, ma significa anche aprire una finestra diretta di dialogo con i consumatori. Questa apertura ha finalità diverse da quelle dell’Industria: serve a supportare i PoS nelle funzioni di marketing che, per frammentazione e limiti culturali, sono oggi trascurate o fatte male. Prendere consapevolezza che la Distribuzione Ho.Re.Ca del futuro non potrà disinteressarsi di ciò che accade a valle dei propri clienti è la vera sfida per gli imprenditori del settore. I modelli di consumo di oggi sono rappresentati da tutti coloro che, devono essere ascoltati non con supponenza correttiva, dettata da un passato esperienziale spesso inadeguato, ma con la volontà di comprenderne le dinamiche comportamentali. Il Distributore, direttamente e attraverso le sue aggregazioni di rappresentanza, è chiamato a svolgere un ruolo attivo anche al di fuori del suo contesto d’azione per ricalibrare l’importanza dell’impresa nel tessuto economico di riferimento.

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1.3.1 IL DISTRIBUTORE

Dopo aver esplicato l’evoluzione storica della figura del Distributore di bevande e del relativo settore di riferimento, in questo paragrafo verrà definita L’Ho.Re.Ca e identificato il Distributore moderno. L’ Ho.Re.Ca. è l’acronimo di Hotellerie-Restaurant-Café, (la terza parola viene a volte identificata con Catering, o altre similari). Nonostante sia il termine di riferimento comunemente usato nel settore, questo non è utilizzato dagli istituti statistici e quindi non costituisce una categoria rigorosamente definita. Principalmente è legato al settore dei consumi alimentari extradomestici e spesso utilizzato dai produttori di beni alimentari e bevande per suddividere il fatturato in due categorie, quella del canale Ho.Re.Ca e quella della distribuzione organizzata e commercio all’ingrosso (retailers). Gli attuali distributori, che hanno ereditato l’attività dei padri, sono una generazione, definita dai sociologi, “Generazione X”. Schiacciata tra l’esuberante personalità imprenditoriale dei padri e la partecipazione, più imitativa che convinta, alle grandi trasformazioni avvenute nell’ultimo trentennio nel mondo della Distribuzione. È una generazione che ha assistito alle grandi battaglie che hanno segnato un’epoca e condotto ad un benessere economico e patrimoniale prima sconosciuto. La Generazione X è la prima generazione di Distributori che si è trovata nella condizione di avere un patrimonio personale ed aziendale da tutelare; ma è anche l’ultima generazione di Distributori a ricordare le tribolazioni dei padri per far funzionare un’impresa tra cambiali rilasciate e scadenze da onorare. Bloccati tra la riconoscenza dovuta ai padri e la voglia di affermare il proprio ruolo non riescono a comporre la contraddizione di un’esistenza che oscilla tra legittima voglia di protagonismo e necessità di procura. In uno scenario economico e sociale che rimane critico, fino a che punto è ragionevole pensare di riuscire a scaricare sul Mercato l’aumento dei costi della struttura operativa? Ciò che sta avvenendo nella “GDO” sta dimostrando l’esatto contrario: tutte le Industrie sono state costrette a snellire le proprie procedure e a rendere sempre più efficienti i loro processi per rimanere in un Mercato che chiede una sempre maggiore pressione promozionale.

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1.3.2 ATTEGGIAMENTO INDUSTRIA - DISTRIBUTORI

L’Industria sta passando un momento strategicamente difficile. Abbiamo descritto i diversi atteggiamenti assunti dall’Industria nei confronti della Distribuzione di bevande: da operatore paritetico, ai tempi della “gazzosa nobile”, a sfruttatore paterno, nel momento dei “gazzosai alimentaristi” e “porta a portisti”, per arrivare oggi ad essere predone e falso profeta. Predone perché, capitalizzando la Brand Equity, ruba tutta la marginalità della filiera; falso profeta perché ha il coraggio di dire e, purtroppo, in molti casi convincere il Distributore che lo fa per il suo bene. Lo sviluppo delle PL, poi, ha come conseguenza che il “Brand” cessa di essere driver dell’esperienza di consumo per divenirne, al massimo, il garante non riuscendo più a polarizzare la fedeltà del consumatore. Il danno per il Brand, a questo punto, è duplice e, soprattutto, molto serio: dal punto di vista economico, per effetto della maggior pressione promozionale, i margini si comprimono; dal punto di vista patrimoniale, per effetto dello sviluppo delle PL, perde loyalty e, quindi, “valore”. Con l’avvento delle nuove tecnologie e la diffusione, incontrollata e pervasiva, delle informazioni, anche le tradizionali tecniche di marketing non sembrano in grado di invertire queste pericolose derive. La richiesta che i consumatori stanno segnalando all’Industria con sempre maggiore intensità è di essere coinvolti in alcuni processi decisionali che li riguardano. In altre parole chiedono di tornare ad essere considerati “clienti” e non più solo “consumatori”. In presenza di una sperequazione di forze così elevata è evidente che ridurre il rapporto con l’Industria alla sola dinamica negoziale è, per il Distributore, una strategia perdente.

1.4 LA DISTRIBUZIONE DI BEVANDE - PRODOTTI

1.4.1 ACQUA E ANALCOLICI (BRAND ANALCOLICI)

Nel mondo si consumano circa 600 miliardi di litri di bevande analcoliche fredde, tra cui acque confezionate, bibite, succhi e altre bevande naturali alla frutta, pari ad un consumo pro-capite di circa 83 litri/anno. Questo dato è ovviamente la media tra situazioni di alto consumo, come per esempio in Nord America e in Europa Occidentale, dove vengono consumati oltre 200 litri/pro-capite, e situazioni di basso consumo delle regioni più povere

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dove si sfiorano appena i 30 litri/anno. Le Bevande Analcoliche sono tutte quelle bibite che non contengono alcool o, più esattamente, le bevande nelle quali l’eventuale presenza di alcool non sia superiore all’1%. Questa qualificazione è normalmente utilizzata con riferimento alle bevande fredde e, nel senso più ampio del termine, comprende le seguenti categorie:

1. Acque confezionate;

2. Bibite carbonate;

3. Bibite dolci frizzanti;

4. Bibite dolci piatte;

5. Succhi e nettari di frutta;

In quanto prive di alcool, le bevande analcoliche godono di una destinazione di consumo più universale sia in termini di consumatori che in termini di occasioni di consumo. Osservando la natura e la composizione dei prodotti, con il termine Bibite Analcoliche ci si riferisce alle bevande analcoliche rinfrescanti, dolci, frizzanti o piatte. In termini più precisi le bibite analcoliche sono bevande rinfrescanti a base di: acqua (in genere oltre l’80 per cento); zuccheri (o dolcificanti); sostanze aromatizzanti; eventuali altre sostanze edibili di origine vegetale (quali succhi e/o puree vegetali, estratti e/o infusi di caffè, tè e altre piante, ecc.) e, talvolta, anche elementi arricchenti di varia natura (quali vitamine, sali minerali, sostanze energizzanti, ecc.).

1.4.2 BEVANDE ALCOLICHE

Prima di approfondire le abitudini degli italiani occorre definire le bevande alcoliche. Esse si dividono in due categorie: bevande fermentate e bevande distillate. Le bevande fermentate sono prodotte dalla trasformazione in alcol degli zuccheri contenuti nell’uva, in altri frutti o nei cereali. Di solito le bevande fermentate non possono avere un grado alcolico

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superiore a 16°, poiché oltre tale gradazione l’alcol blocca l’azione dei lieviti responsabili del processo di fermentazione. Le bevande fermentate più conosciute sono: il vino; la birra; il sidro. Quelle distillate sono ottenute attraverso il processo di distillazione, che consiste nel portare ad ebollizione una bevanda alcolica facendone successivamente raffreddare i vapori, in modo tale da aumentare la concentrazione dell’alcol. Le bevande distillate si distinguono in:

1. Acquaviti o superalcolici, ottenute dalla distillazione di bevande fermentate o di altri prodotti che hanno comunque già subito un processo di fermentazione;

2. Amari o digestivi, ottenuti da miscugli di alcol, più o meno diluito, con essenze o estratti di piante aromatiche e con l’aggiunta di dolcificanti.

1.5 IL DISTRIBUTORE DI BEVANDE IN ITALIA

Oggi più che mai il Food & Beverage è diventato un settore di punta. Nuovi stili di vita che hanno portato gli italiani a mangiare sempre più spesso fuori casa. L’Italia è l’unico grande Paese dove il F&B ha avuto un andamento di quasi il 60% superiore al PIL del Paese. Il fatturato complessivo è aumentato da 119 a 125 miliardi di Euro e i settori si stanno lentamente concentrando. Possiamo osservare come dal 2008 al 2014 il settore del Beverage &Food ha avuto un andamento crescente in termini di fatturato e margine operativo. Concentrandosi per un attimo solo nella divisone Beverage due dati saltano agli occhi. In particolare, il notevole aumento del margine operativo lordo e, in controtendenza, il livello occupazionale che è diminuito di quasi un punto percentuale. L’Iri rileva che, dopo tre anni di calo dei consumi (2012-2014), nel periodo gennaio-agosto 2015 le vendite di succhi e bibite nella GDO sono aumentate. La crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno è dell’1,1% in volume e del 2,2% a valore e si attesta a 2.405 milioni di litri, per 2.382 milioni di euro, contro i 2.378 milioni di litri e 2.330 milioni di euro nei primi otto mesi del 2014. In dettaglio, le bibite crescono dell’1,2% in volume (1.794 milioni di litri contro 1.773) e del 2,4% in valore (1.643 milioni di euro contro 1.604), mentre il consumo di succhi e bevande a base di frutta è cresciuto dell’1% in volume (611 milioni di litri contro 605) e dell’1,8% in

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valore (739 milioni di euro contro 726). A conferma dell’importanza del trend Benessere, il segmento che cresce di più è quello degli Sport&Energy Drink, che segna un +15,5% in volume (da 62 a 71 milioni di litri) e un +11,4% in valore (da 123 a 137 milioni di euro). Stiamo assistendo ad un grande sforzo da parte dei produttori per proporre un’offerta con ingredienti di qualità sempre migliore, con una maggiore scelta e grande attenzione alle esigenze della genuinità e del benessere consapevole di avere di fronte un consumatore più “green” e “smart”, più “clean” e “healty”. Un consumatore più attento e consapevole delle proprie scelte. E’ importante rilevare in questo contesto il guadagno di quote di mercato dei piccoli brand locali, anche questo evidenzia un atteggiamo diverso del consumatore rispetto che preferisce i prodotti artigianali e del territorio. Nel mondo del vino e degli alcolici, la qualità è il passaporto del Made in Italy per l’estero. Il Prosecco è un fenomeno di costume, che rafforza il rito dell’aperitivo. Molto apprezzati, soprattutto all’estero, i grandi rossi, ma anche le grappe ed i liquori. A sancire questo successo, lo storico “sorpasso” che l'anno appena passato ha visto diventare l’Italia primo produttore mondiale di vini davanti alla Francia, grazie a una produzione stimata da Coldiretti nel 2015 in 48,9 milioni di ettolitri. È anche segnalato che in Italia si è prodotto nel 2015 oltre un quarto (il 28%) del vino europeo. La produzione Made in Italy sarà destinata per oltre il 45% ai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), quasi il 30% ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia, e il restante a vini da tavola. Tanto per gli alcolici quanto per le bibite, la cultura del “bere bene” è ormai entrata di fatto nei gusti del consumatore, accanto a quella del “mangiare bene”. Ciò promette di generare nuove opportunità per il settore. Nel 2016 invece protagonisti della crescita sono stati i prodotti a più alto valore, in particolare il vino, che ha registrato il dato migliore, mentre decisamente più modesto è stato l’andamento di bevande come i succhi di frutta. E ciò spiega anche perché l’incremento in termini di valori sia stato di un ordine tre volte superiore a quello dei volumi. Bene anche il bar e i locali serali, sebbene con un andamento più contenuto. A livello geografico è l’area del Nord-Ovest quella con la migliore crescita. Discorso differente per il comparto Food, che invece ha subito una contrazione. A tenere meglio è stato il segmento dell’intrattenimento, ma sono andati bene anche tipologie di locale come pub e pizzerie, mentre decisamente negativa è stata la performance della ristorazione classica. Attualmente il mercato del Beverage è caratterizzato da una forte evoluzione, che richiede alle aziende un costante investimento in ricerca, innovazione e

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contempo sono necessarie approfondite e continue strategie di marketing che spesso si rivelano più importanti del prodotto, inteso come bevanda, riuscendo a soddisfare nuovi bisogni. Il settore del Beverage può dare ancora tanto ai consumatori, soprattutto creando novità che guardino ancor più all’aspetto nutrizionale o funzionale abbinato ad un’attenzione marcata all’eco-sostenibilità di tutta la filiera.

Fig. 4: Fonte: Rielaborazione The European house –Ambrosetti su dati Eurostat 2016

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1.6 IL DISTRIBUTORE DI BEVANDE IN TOSCANA

Risulta essenziale, in questo capitolo, presentare il quadro generale della Distribuzione nel territorio di attuazione dell’Azienda, che tratteremo poi nell’elaborato mediante una tabella (Tab. 1) che rappresenta dati rilevanti estrapolati dalle schede geo-potenziali delle province della Toscana, per le scelte strategiche di PRINZ concernenti la possibilità di espansione territoriale. Queste schede sono state fornite dalla “Trade Lab”, che rappresenta la società di consulenza a cui si rivolge l’azienda in oggetto nella seguente tesi. Le schede esaminate al fine di realizzare la suddetta tabella, situate in appendice, sono risalenti all’anno 2011, e sono le ultime disponibili in rete. Le seguenti schede, in sostanza, forniscono alle aziende dati fondamentali che permettono alle stesse di conoscere il territorio, i consumi e le differenze di prodotti da offrire e il tipo di clientela che rappresenta quel territorio. Consentono l’obiettivo di marketing di inquadrare l’andamento generale economico delle varie provincie. Gli indici a mio avviso su cui riporre maggiormente l’attenzione sono due:

1. Il valore di affinità AFH

2. L’indice di valore di Potenziale economico.

Sono entrambe misure di dispersione, dove una volta definito un range di valori, che si calcola analizzando i valori che esso può assumere, si definisce una media e si va a vedere quanto il nostro valore si avvicina o supera il valore medio. Il primo mostra come per le province Toscane tale valore è fortemente al di sopra del 100, che rappresenta il valore medio nelle province italiane, ad eccezione della provincia di Prato, in cui comunque parliamo di un 91. Di conseguenza tale valore molto positivo, indica che il mercato nel settore del Beverage & Food è attrattivo; dunque un’azienda di distribuzione disporrà di un’ampia fetta di mercato con cui potersi relazionare. Il secondo, è un valore ricavato in base alla ricchezza in una determinata provincia e dal quale si evince il maggior o minor stimolo che un’azienda ha nell’investire sul territorio.

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Tab 1: dati estrapolati dalle schede geo- potenziali delle province toscane; (fonte: TradeLab GEO.AFH: Potenziali di mercato per Provincia - ed. 2011).

PROVINCE (TOSCANA)

INDICE AFFINITA’ AFH(media Italia=100)

INDICE DI VALORE DEL

POTENZIALE ECONOMICO(media Italia=100) FIRENZE 120 168 AREZZO 100 55 GROSSETO 181 26 LUCCA 117 130 LIVORNO 172 147 MASSA-CARRARA 103 80 PISA 109 93 PISTOIA 118 153 PRATO 91 374 SIENA 158 38

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CAPITOLO 2 - MARKETING E RELATIONSHIP

MARKETING

2.1 SVILUPPO DI UN PROCESSO DI MARKETING

Dopo aver trattato l’evoluzione storica del settore e definito l’attuale mercato del Beverage, analizzandone i vari prodotti presenti, i principali concorrenti, la concentrazione settoriale ed evidenziatone l’andamento nelle province toscane, è opportuno definire cos’è una strategia di marketing.

2.1.1 PROCESSO DI MARKETING

Nel processo di marketing il primo punto da trattare consiste nel comprendere i bisogni e le richieste del cliente nonché il mercato in cui si opera. Questo è necessario per affrontare il passo successivo, ovvero la definizione di una strategia di marketing orientata al cliente. A questo punto si procede con la realizzazione di un programma di marketing in grado di offrire un valore superiore e ci si concentra sull’importanza di instaurare relazioni profittevoli con il cliente per garantire la massima soddisfazione. Ultimo punto fondamentale, a conclusione del processo, è l’ottenimento di valore dai clienti per generare di ritorno profitti e qualità per il cliente stesso. Nel corso degli ultimi decenni il mercato è profondamente cambiato, spostando l’attenzione da un’economia di offerta a un’economia di domanda. Il graduale cambiamento avvenuto nel corso del tempo ha condotto al centro dell’intero sistema economico non più l’impresa ma il consumatore, concepito come un soggetto attivo dotato di una propria coscienza e volontà. Le cause di questo cambiamento sono riscontrabili nelle circostanze di carattere socio-economico che hanno portato a evidenziare l’importanza assunta dal consumatore.

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In particolare si è assistito:

1. Al cambiamento negli stili di vita della collettività, causata dall’aumento del livello di benessere individuale. La disponibilità di maggiori risorse economiche rispetto al passato, infatti, ha spinto i consumatori a richiedere prodotti e servizi in grado di soddisfare tutti i bisogni che non appartengono alla sfera dei bisogni primari. Si tratta di quelli che Maslowa ha definito bisogni di sicurezza, associativi, di stima e autorealizzazione e che ha posto all’interno di una scala gerarchica (Fig. 1). Per soddisfare questi bisogni il consumatore è spinto a ricercare nei beni non solo la loro funzione d’uso ma anche un significato psicologico e sociologico. L’acquisto di prodotti con un significato simbolico insito in essi funge difatti da strumento di comunicazione volto a segnalare ad esempio uno stile di vita, l’appartenenza a un gruppo sociale;

2. Alla crescita di consapevolezza dei consumatori i quali, dotati di un’educazione al consumo, prima di compiere qualsiasi processo d’acquisto s’impegnano a raccogliere informazioni, fare confronti e valutare razionalmente ogni bene e servizio. Dette informazioni possono provenire da fonti interne e/o da fonti esterne. Le fonti d’informazione interne ovvero quelle che risiedono nella memoria del cliente, sono informazioni acquisite in passato e che all’occorrenza vengono rievocate. Quelle esterne, invece sono tutte le informazioni riconosciute nell’ambiente esterno dopo aver individuato il bisogno. Secondo la teoria economica, un cliente razionale è disposto a raccogliere informazioni fino a quando il beneficio marginale di ottenere informazioni aggiuntive eguaglia i costi marginali. Tuttavia questa teoria non si dimostra molto attendibile, poiché molte informazioni possono essere reperite con costi contenuti. La quantità d’informazioni raccolte è definita dunque da variabili quali la conoscenza della categoria di prodotti in questione, l’arco temporale trascorso dall’ultimo acquisto e l’importanza d’acquisto per il consumatore. La ricerca è più complessa laddove i prodotti e servizi sono più onerosi, vengono acquistati di rado e comportano investimenti a lungo termine. Il tempo necessario per l’acquisizione di tali informazioni tuttavia è sempre più ristretto. Questo a causa della frenesia della vita che spinge a dedicare sempre meno tempo alla fase di raccolta di informazioni sui prodotti e servizi e alla fase d’acquisto;

3. Entrata di nuovi attori in mercati storicamente protetti rendendo più complessa la scelta, da parte del consumatore, dell’azienda a cui affidarsi per compiere l’acquisto. Diretta

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conseguenza della soppressione delle barriere all’ingresso, ovvero i costi addizionali che le imprese nuove entranti devono sostenere rispetto a chi opera già nel settore. La diminuzione dei costi degli impianti, i miglioramenti tecnologici, nella comunicazione, nei trasporti, nel mercato hanno permesso alle aziende di accedere più facilmente a qualsiasi attività, intensificando in questo modo la competitività.

4. L’evoluzione della tecnologia definita con

5. La proliferazione dei personal computer;

6. La digitalizzazione del canale informativo;

7. Lo sviluppo dei sistemi di trasmissione dei dati culminato con l’affermazione di Internet come standard universale;

L’apporto della tecnologia ha consentito un maggior contatto con la clientela attraverso strumenti quali il “Web Conctat Center” che permettono la circolazione delle idee in assoluta assenza di confini fisici, garantendo un rapporto interattivo, multicanale e interpersonale con il cliente. Il Web è diventato uno strumento fondamentale per il marketing. Le applicazioni offerte dalla Rete sono molteplici: essa funge da strumento di comunicazione, distribuzione, trasmissione d’informazioni sui prodotti e servizi e infine funge da supporto tecnico per l’assistenza al cliente.

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2.2 LA COMUNICAZIONE

Tra le varie attività aziendali la comunicazione rientra nell’ambito delle attività strategiche per l’impresa, questa necessita la stessa cura e attenzione che si dedica ai processi produttivi o agli aspetti commerciali. Nel tempo le modalità di comunicazione sono totalmente cambiate, in particolare possiamo classificare la comunicazione in quattro tipologie, sottolineando che in ognuna di esse le nuove tecnologie e soprattutto Internet ricoprono oggi un ruolo fondamentale:

1. Mercato-Mercato: il dialogo avviene tra i consumatori, questi commentano la qualità dei prodotti e dei servizi, per dare dei suggerimenti sull’acquisto ovvero per ricevere consigli. Questo scambio può avvenire in maniera tradizionale attraverso un dialogo “reale” oppure tramite Internet. Quest’ultimo caso, che rappresenta un nuovo modo di comunicare molto apprezzato da tutti i consumatori fruitori della Rete, permette scrivendo in chat o lasciando dei messaggi all’interno di forum di discussione, la condivisione di informazioni;

2. Azienda-Mercato: l’azienda in determinate circostanze (ad esempio per farsi conoscere al mercato, per sponsorizzare un nuovo prodotto, per annunciare delle promozioni), comunica con i consumatori attraverso diversi canali. Ogni qual volta venditore e acquirente si incontrano per una transazione, viene attivata una comunicazione personale. Questo contatto permette agli addetti alle vendite di personalizzare i messaggi in base alla tipologia di clienti ai quali si rivolgono e rispondere immediatamente alle domande che si presentano durante il colloquio. Oltre a questa forma di comunicazione ci sono: quella che si basa su contatti telefonici (telemarketing), quella che prevede l’invio di lettere o cataloghi per posta ed infine, ultima in ordine cronologico, la comunicazione tramite Web. Creando un sito internet, l’azienda può diffondere un’immagine unitaria di sé, può comunicare in maniera più diretta e tempestiva con i consumatori inviando e-mail personalizzate che consentono di sviluppare una relazione one-to-oneb col singolo individuo. Infine, esporsi tramite “Rete” rende possibile aumentare la qualità e la continuità delle relazioni con i clienti nel tempo;

3. Azienda-Azienda: tutti i soggetti coinvolti nei vari processi all’interno dell’azienda comunicano tra loro scambiandosi informazioni necessarie per avere una visione

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omogenea dell’andamento aziendale. Oggi, grazie all’utilizzo di applicazioni Web basedc

come “data warehouse” che permettono di archiviare e recuperare tutte le informazioni aziendali, i tempi si sono ristretti a tal punto da consentire uno scambio in tempo reale di informazioni a cui adattare le attività operative e gestionali svolte;

4. Mercato-Azienda: i consumatori si rivolgono all’azienda per diversi motivi. Se un tempo questi erano legati quasi esclusivamente a esperienze negative che portavano dunque i consumatori a comunicare con l’azienda solo per dichiarare la loro insoddisfazione verso l’offerta, oggi invece il consumatore comunica per richiedere beni e/o servizi che siano in grado di soddisfare i suoi bisogni. Tali richieste sono sempre più specifiche e le aziende sono disposte ad ascoltarle perché nel mercato di oggi è l’unico modo per essere competitivi. In questa forma di comunicazione, lo strumento che risulta vincente è Internet, perché il consumatore si può rivolgere direttamente al suo interlocutore, ed essere ascoltato e soddisfatto rapidamente.

2.3 INTERNET

Lo sviluppo del World Wide Webd, ha generato dei cambiamenti sull’economia, sulle

imprese e sulla domanda. Le implicazioni economiche sono state:

1. La globalizzazione comunicativa: le distanze e i confini tra i paesi sono diminuiti, è nato un unico grande mercato e quindi il numero dei concorrenti, è notevolmente aumentato;

2. La convergenza tecnologica: la possibilità di trasmettere qualsiasi prodotto audio, video e multimediale via etere, cavo, satellite, cellulare attraverso un linguaggio universale, ha determinato fenomeni di convergenza tecnologica, dando origine a uno scenario dinamico;

3. La convergenza settoriale: l’utilizzo di servizi interattivi ha coinvolto tutte le attività economiche che si basano sulla comunicazione e sulla gestione dell’informazione. Questo ha condotto i vari settori verso il commercio digitale, creando un “meta-mercato

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digitale”, all’interno del quale aziende con competenze e specializzazioni diverse e

complementari si trovano a competere per la propria affermazione.

4. La deregolamentazione: il mercato delle telecomunicazioni, tradizionalmente regolato da posizioni monopolistiche, è inevitabilmente mutato grazie al miglioramento tecnologico che, attraverso un processo di liberalizzazione, ha consentito un miglioramento della qualità dei servizi di telecomunicazione, garantendo agli utenti prezzi più convenienti.

5. Le implicazioni sulle imprese:

La riduzione degli investimenti iniziali: anche le imprese di piccole e medie dimensioni (PMI) e prive di considerevoli capitali iniziali, con Internet hanno potuto accedere a un mercato globale;

Il miglioramento della comunicazione interna: come già accennato nella comunicazione Azienda-Azienda, per mezzo di un sistema “Intranet”, si accorda un agevole accesso alle informazioni aziendali che vengono standardizzate e condivise su una piattaforma comune;

La nascita di nuovi prodotti”Internet based”: la produzione di beni basata sulle informazioni recepite e/o scambiate attraverso Internet permette alle imprese, da un lato, di essere più reattive nei confronti del mercato e di soddisfare maggiormente il cliente, e allo stesso tempo, di ridurre i costi per l’interscambio di informazioni e aumentare la qualità dei prodotti .

La riduzione dei costi di transazione interni ed esterni: Questo avviene perché aumenta la frequenza degli scambi e di conseguenza diminuiscono i costi fissi delle singole transazioni.

6. Mentre le implicazioni sulla domanda:

• L’instaurazione di una comunicazione interattiva con i clienti: utilizzando Internet l’impresa può impostare una comunicazione bidirezionale e continua con la propria clientela, raccogliendo informazioni sui comportamenti dei singoli consumatori, al fine di sviluppare una comunicazione personalizzata sulle esigenze del singolo individuo;

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• La personalizzazione dell’offerta: l’impresa può costruire un’offerta personalizzata in grado di soddisfare specifici bisogni attraverso l’uso delle informazioni sui bisogni dei clienti, raccolte tramite la comunicazione interattiva.

• L’eliminazione d’intermediari commerciali: la Rete mette in comunicazione diretta il produttore con il cliente, senza la necessità di ulteriore mediazione;

• La maggiore efficienza nelle relazioni con i fornitori: lo scambio reciproco di informazioni tra l’impresa e i propri partner e fornitori permette la creazione di un clima di fiducia all’interno del quale si instaurano rapporti di solida collaborazione.

2.4 FASI DEL PROCESSO DI MARKETING

1. Segmentazione del mercato

La segmentazione risponde alla prima domanda del marketing: quali clienti serviamo? La risposta sarà ovviamente diversa per ciascun’impresa, poiché gli acquirenti di qualsiasi mercato hanno potenziali differenze in termini di: bisogni, risorse, posizione geografica, atteggiamenti e abitudini d’acquisto. Con la segmentazione del mercato l’impresa riesce a suddividere i mercati di grandi dimensioni in piccoli segmenti che possono essere raggiunti, da prodotti in grado di soddisfare le richieste specifiche del consumatore, in modo più efficace ed efficiente. Le imprese, in genere, non limitano l’analisi di segmentazione del mercato a una sola variabile, ma adottano criteri multipli nel tentativo di individuare gruppi-obiettivo di dimensioni piccole e meglio definiti. Quest’ultima modalità prende il nome di “segmentazione mista”.

2. Definizione mercato obiettivo

Sicuramente la scelta intelligente dei segmenti-obiettivo, aiuta le imprese a essere più efficaci ed efficienti, permettendogli di concentrarsi solo sui segmenti che possono essere soddisfatti al meglio generando il massimo profitto. In seguito alla valutazione dei segmenti di mercato, l’impresa definisce quanti e quali segmenti rappresentano il proprio mercato

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obiettivo. Questo è definito come l’insieme degli acquirenti che hanno le caratteristiche e i bisogni a cui l’impresa intende rivolgersi.

3. Realizzazione di un programma di marketing in grado di offrire un valore.

Dopo aver definito la strategia di marketing dell’impresa, il passo successivo consiste nell’andare a sviluppare un programma di marketing che sia in grado di trasferire tale valore ai clienti obiettivo e che generi profitto per l’impresa. Questo consiste nel processo di marketing-mix, che racchiude l’insieme degli strumenti adottati dall’impresa per l’implementazione della strategia di marketing. Gli strumenti sono riconducibili a quattro gruppi di variabili, definiti come “le quattro P” del marketing:

1. Product (prodotto): beni e servizi offerti dall’impresa;

2. Price (prezzo): l’importo corrisposto al cliente per acquisire il beneficio;

3. Place (punto-vendita/luogo): le attività dove il cliente può acquistare il bene;

4. Promotion (promozione): attività di comunicazione che evidenzia e accresce il valore del prodotto.

Il modello delle quattro P assume la prospettiva di mercato del venditore e non dell’acquirente. Dal punto di vista del cliente, essendo questo caratterizzato da forti relazioni e interazioni, le “quattro P” potrebbero essere meglio associate a “quattro C”: 1.Cliente (bisogni e desideri); 2. Costi (per cliente); 3. Convenienza; 4. Comunicazione;

È compito dell’impresa combinare al meglio questi strumenti del marketing mix in un programma completo che comunichi e offra il valore desiderato ai clienti selezionati per raggiungere gli obiettivi di mercato.

4. Instaurazione di relazioni profittevoli con il cliente e garantire la massima soddisfazione

Le prime tre fasi descritte in precedenza del processo di marketing, (la comprensione dell’ambiente di mercato e dei bisogni del cliente, la definizione di una strategia di marketing

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