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Proteggere il mare - Organizzazione e gestione delle Aree Marine Protette

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione………..2

Cap. I – Le Aree Protette e il patrimonio culturale e ambientale………...4

I.1 L’Area Marina Protetta (MPA)………..19

I.2 L’heritage e le sue interpretazioni…………...………....31

I.3 Le Aree Protette e le MPAs italiane………....36

Cap. II – L’organizzazione e la gestione delle MPA: la complessità delle dinamiche interne ed esterne………...………...48

II.1 L’importanza del network e del coinvolgimento delle comunità...……...………...54

II.2 La lezione delle organizzazioni non-profit: vision e mission propulsori dell’attività………...69

Cap. III – I modelli organizzativi e le Aree Marine Protette...79

III.1 Il modello statunitense………...…….…...86

III.2 Il modello australiano……….….…………...104

III.3 Il modello della Tanzania...………...…...114

III.4 Lessons learned – Imparare dalle esperienze…...120

Cap. IV – La ricerca………...………....…...125

IV.1 Ipotesi preliminari………..…...……...…...…...126

IV.2 Descrizione dello strumento di analisi………...…...127

IV.3 Metodo di campionamento………...…....129

IV.4 Questionari………..130

IV.5 Problematiche riscontrate nella ricerca………….……...132

IV.6 Il campione………...…...…...…...133

IV.7 L’analisi dei questionari………...………...…...136

IV.8 Verifica delle ipotesi preliminari………....156

Spunti di riflessione……….161

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Introduzione

Uno dei problemi fondamentali della nostra epoca è la questione della protezione dell’ambiente e, in particolare, la salvaguardia dell’ambiente marino. A questo proposito, si osserva un incremento del numero di Aree Marine Protette istituite ormai quasi in ogni paese, con un aumento della superficie del mare sottoposta a regime conservazione. Di conseguenza, si nota anche, in proporzione, una crescita del numero di sistemi di

management adottati per gestire queste Aree.

Venendo a un contesto particolare come quello italiano, dove le Aree Marine sono ancora alla ricerca di un proprio spazio normativo e soprattutto culturale, è fondamentale sviluppare un effettivo sistema di Aree Marine Protette che si adatti alla complessa struttura socio-economica.

Per fare questo, è possibile passare attraverso un’analisi di vari sistemi di Aree Marine già esistenti nel mondo. Queste hanno già trovato una propria risposta alla complessità delle realtà in cui sono inserite e si rileva, quindi, l’utilità di trarre importanti esempi che possono fungere da linee guida per la costruzione di un efficace sistema di management.

Alcuni elementi derivati da questa analisi sono stati individuati come utili per guidare lo sviluppo di un sistema di Aree Marine Protette (MPAs) che risponda attivamente ai cambiamenti verificantisi in un arco di tempo molto breve. Fra essi si ritrovano l’individuazione e la diffusione all’interno

dell’organizzazione di una vision e di una mission organizzative, la capacità di un’organizzazione di “apprendere” e di adattarsi in continuazione al

cambiamento, la creazione di veri e propri network, fra Aree e fra Area Protetta e comunità, per aiutare l’attività di gestione e garantire all’organo di management la sopravvivenza e la capacità di raggiungere i propri obiettivi.

La guida per giungere all’organizzazione e gestione dell’Area Protetta è lasciata, soprattutto in ambito anglosassone, ad una vision ed una mission organizzative, che tracciano la rotta da seguire, proprio come avviene nelle non-profit. Queste ultime forniscono un importante esempio su come sia

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possibile perseguire l’obiettivo bilanciandosi fra gli interessi espressi dagli stakeholders.

Date le differenze ambientali entro le quali le organizzazioni per la gestione delle Aree Marine si sviluppano ed operano, risulta utile ai fini della ricerca, condurre un confronto fra diverse strutture di management.

L’individuazione delle caratteristiche peculiari di ciascun sistema e delle issues principali cui è stato necessario far fronte potrà fornire utili spunti per un’ottimale e funzionale strutturazione delle MPAs italiane.

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Cap. I - Le aree protette e il patrimonio culturale-ambientale

When man tries to fight nature, he invariably loses. Nature invariably wins. It is only when man is wise enough

to live with nature that he really gets anywhere.

Elmer T. Peterson, Cities Are Abnormal (1946)

La conservazione della natura e del patrimonio biologico e

paesaggistico del pianeta è un tema quanto mai di primo piano: il ritmo in costante accelerazione dell’enorme progresso tecnico degli ultimi decenni si è rivelato sin da subito troppo veloce perché la natura riesca a sostenerlo, ammortizzarlo e compensarlo; la stessa difficoltà la mostrano gli interventi di tutela, che non riusciranno a svilupparsi e a crescere con la velocità del mondo globalizzato se non si interviene con decisione a favore dello sviluppo di tecnologie di green energy, ecosostenibilità, piani di monitoraggio

ambientale.

Il concetto di area protetta si è sviluppato in un’epoca relativamente recente, di pari passo con i grandi processi di industrializzazione che hanno segnato la storia moderna e contemporanea, ma tracce di conservazione di determinate zone sono da sempre reperibili nella storia dell’uomo. Nonostante la scomparsa di specie animali e vegetali sia parte di un ciclo naturale di evoluzione, la presenza dell’uomo è stata un fattore determinante per

l’estinzione e la perdita di interi ecosistemi, soprattutto nell’ultimo secolo in cui i tassi di estinzione di specie vegetali ed animali sono sensibilmente

aumentati rispetto a quelli naturali.

Anche se l’uomo sembra rappresentare un fattore distruttivo nei

confronti degli ecosistemi, si ritrovano dappertutto nella sua storia interventi di protezione a favore di determinate zone, specie animali o vegetali, sin dalle civiltà antiche: nell’Antica Roma, ad esempio, esistevano rudimentali riserve, istituite sia per la protezione di animali selvatici che per la conservazione di interi boschi considerati sacri; ad Oriente, in Cina si ritrovano tracce di foreste preservate addirittura risalenti al 1120 A.C., mentre per quanto riguarda il territorio italiano le prime riserve rintracciabili sono certamente quelle istituite

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intorno alla laguna di Venezia nell’VIII secolo, agli albori della Serenissima, per la protezione di cervi e cinghiali. Alcuni paesi europei emanarono durante il XI secolo Codici di protezione delle foreste, soprattutto nel nord, come in Gran Bretagna sotto l’egida di Guglielmo il Conquistatore e in Boemia con il sovrano Carlo IV1. Solo alla fine del 1800, però, le Aree Protette ricevettero i primi riconoscimenti istituzionali: mentre in Francia venivano istituite le

Riserve Artistiche a Fontainebleau nei pressi della capitale per salvaguardare lo scenario paesaggistico come avveniva in altre parti d’Europa anche sotto le spinte della corrente Romantica che ricercava la fuga dalle claustrofobiche città industrializzate, oltreoceano il 1° marzo 1872 durante il quarantaduesimo Congresso degli Stati Uniti d’America si assistette alla nascita del primo vero Parco Nazionale di tutto il mondo ad opera del Presidente Grant, il Parco Nazionale di Yellowstone “a beneficio e godimento delle persone”2.

I concetti moderni di Area Protetta e di Parco Nazionale hanno perciò origini americane: dato il processo di conquista e sfruttamento sregolato delle risorse del territorio potrebbero aver influenzato la decisione di proteggere ciò che restava di autentico per poter mostrare alle future generazioni quale fosse il panorama che i primi pionieri si erano trovati davanti, un ambiente selvaggio e “spietato” come l’antica cultura greca lo avrebbe identificato, in opposizione al mondo controllato, ordinato e civilizzato3, che conteneva però in sé tutta la bellezza e la maestosità di cui solo la natura è capace.

1 Migliozzi M., Le Aree Naturali Protette tra storia e filosofia di tutela, Corpo Forestale dello

Stato,

http://www.corpoforestale.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/3%252F0%252F8%2 52FD.ed968bc3f284233aaa86/P/BLOB%3AID%3D2336/E/pdf , ultima visita effettuata in data 4 febbraio 2016

2 Act Establishing Yellowstone National Park (1872),

http://www.ourdocuments.gov/doc.php?flash=true&doc=45 , ultima visita effettuata in data 16 gennaio 2016

3 Colchester M., Salvaging Nature – Indigenous People, Protected Areas and Biodiversity

Conservation, United Nations Research Institute for Social Development (UNRISD), World Rainforest Movement and WWF, France, 1994

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È dunque dagli Stati Uniti che cominciarono a fiorire le prime Aree Protette che presero corpo anche in altri angoli del mondo, dall’Australia con quello che poi verrà rinominato Royal National Park (1879) alla Nuova

Zelanda con il Parco Nazionale di Tongariro (1887) creato dai territori che alcuni capi maori donarono alla Regina Vittoria d’Inghilterra perché li proteggesse per sempre, fino ad arrivare al Sud Africa con la Riserva della Selvaggina Sabie (1898), diventata poi Parco Nazionale Krüger, creata per proteggere le specie animali di grandi dimensioni che abitavano in quei luoghi dalla caccia e dalle stragi che subivano4.

L’Europa sviluppò questa nuova sensibilità per le Aree Protette molto più tardi e grazie all’influenza determinante dei parchi americani che

cominciarono ad essere conosciuti nel Vecchio Continente. Agli inizi del ‘900 si assiste alla creazione dei primi Parchi Nazionali in Germania, Svezia e Francia, mentre ritardano ancora le spinte conservazionistiche nell’Europa Meridionale; è solo nel 1918 che in Spagna vengono creati i Parchi di Covadonga e Ortesa, seguiti un anno dopo dalla Polonia; in Italia si deve aspettare il 1922 che vide l’istituzione dei Parchi Nazionali di Abruzzo e Gran Paradiso.

A livello internazionale si dovrà attendere la fine della Seconda Guerra Mondiale perché si sviluppi una nuova consapevolezza per la questione ambientale e una rinnovata sensibilità nei confronti della tutela della natura e degli ecosistemi. Nel 1948 a Fontainebleau sotto la spinta dell’UNESCO e del suo allora direttore generale Julian Huxley venne creata la IUPN (International Union for Protection of Nature), progenitrice della moderna International

Union for Conservation of Nature (IUCN). Gli obiettivi di questa nuova associazione erano quelli di favorire una cooperazione internazionale per la protezione e la salvaguardia del patrimonio naturale, promuovere l’azione all’interno delle singole nazioni e a livello internazionale e analizzare e

4 Eagles F. J., McCool S. F., Haynes C. D., Sustainable Tourism in Protected Areas -

Guidelines for Planning and Management, Adrian Phillips Series Editor, Best Practice Protected Area Guidelines Series No. 8, IUCN and WCPA, Gland, Switzerland, 2002

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distribuire informazioni. A sua volta negli anni sessanta la IUCN la creazione del World Wildlife Fund (WWF, oggi World Wide Fund for Nature) che

avrebbe dovuto svolgere una funzione di fundraiser, pubbliche relazioni e incremento della partecipazione del grande pubblico a favore della

conservazione della natura.

Il dibattito sulla tutela del patrimonio naturale e la gestione delle Aree Protette è stato portato avanti anche in occasione di alcuni summit delle Nazioni Unite. La prima conferenza che vide l’apertura di un confronto fra i paesi per quanto riguardava la tematica ambientale fu quella di Stoccolma (1972) che produsse la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente

Umano, documento che aveva il ruolo di “ispirare e guidare i popoli del mondo verso una conservazione e miglioramento dell'ambiente umano”. In queste pagine veniva per la prima volta riconosciuto il valore inestimabile del

patrimonio naturale e la sua strettissima connessione con l’uomo e la sua vita e la necessità di un’azione coordinata e condivisa di tutti per la salvaguardia di ciò che si rischia di perdere per sempre a danno delle presenti e future generazioni:

“[…] Siamo arrivati ad un punto della storia in cui dobbiamo regolare le nostre azioni verso il mondo intero, tenendo conto innanzitutto delle loro ripercussioni sull'ambiente. Per ignoranza o per negligenza possiamo causare danni considerevoli ed irreparabili all'ambiente terrestre da cui dipendono la nostra vita ed il nostro benessere. Viceversa, approfondendo le nostre

conoscenze ed agendo più̀ saggiamente, possiamo assicurare a noi stessi ed alla nostra posterità̀, condizioni di vita migliori in un ambiente più̀ adatto ai bisogni ed alle aspirazioni dell'umanità̀. Esistono ampie prospettive per il miglioramento della qualità̀ dell'ambiente e la creazione di una vita più̀ felice. Quello che occorre è un'entusiastica, ma calma disposizione d'animo ed un intenso ma ordinato lavoro […]”5.

5 Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'ambiente umano, Conferenza delle Nazioni Unite

sull’Ambiente Umano (United Nations Conference on Human Environment, UNCHE), 5-15 giugno 1972, http://www.arpal.gov.it/images/stories/Dichiarazione_di_Stoccolma.pdf, ultima visita effettuata in data 13 gennaio 2016

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Da quel momento in poi gli sforzi conservazionistici internazionali hanno cercato vie sempre nuove per coniugare e armonizzare il più possibile la protezione del patrimonio naturale con il progresso dei paesi.

I passi compiuti nella direzione della conservazione della natura e del paesaggio hanno quindi seguito l’andamento dello sviluppo umano. Proprio per questa ragione il concetto di Area Protetta ha cambiato forma nel tempo, adattandosi e assumendo connotati diversi.

Riprendendo la definizione che la stessa IUCN fornisce per Area Protetta, sia essa terreste o marina, definiamo quest’ultima come “uno spazio geografico ben definito, riconosciuto, dedicato e gestito, attraverso strumenti giuridici o altri mezzi efficaci, per conseguire nel lungo periodo la

conservazione della natura”.

Parlando di Area Protetta si intende quindi un’area delimitata da confini precisi che, una volta ottenuto riconoscimento, deve avere una piano di

protezione del territorio in questione a lungo termine e deve essere messa nelle condizioni di godere di un’organizzazione efficace ed efficiente, oltre che di un sostegno a livello governativo e giuridico.

La missione emerge chiara: conservare le caratteristiche naturali di quel particolare ambiente in tutte le sue componenti. La dimensione della parola “natura” infatti deve essere intesa come la biodiversità, l’ecosistema e gli elementi paesaggistici e geologici. Il management dell’Area presuppone un’azione di governo del territorio e un processo decisionale attivo a favore della conservazione, anche quando questo significa decidere di lasciare intoccato l’ambiente. La gestione deve risultare efficace per il perseguimento degli obiettivi di conservazione. Questi ultimi sono individuati dalla IUCN come obiettivi comuni a tutte le AP e obiettivi comuni verso cui tutte le AP dovrebbero tendere dove possibile (Tab.1).

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Tabella 1 - fonte IUCN.org

Tutte le PAs dovrebbero mirare a: Tutte le PAs dovrebbero mirare, quando opportuno, a:

§ Conservare la composizione, struttura, funzione e il

potenziale evolutivo della biodiversità

§ Conservare significanti elementi paesaggistici, geomorfologici e geologici § Contribuire alla gestione

strategica dei programmi di conservazione regionale (delle core reserves, zone cuscinetto, corridoi, punti focali per le migrazioni ecc…)

§ Fornire un servizio regolatore dell’ecosistema, compreso l’attenuamento degli effetti dei cambiamenti climatici

§ Mantenere la diversità del paesaggio o dell’habitat con le specie ad esso associate e degli ecosistemi

§ Conservare le aree naturali e paesaggistiche di importanza nazionale e internazionale per fini culturali, scientifici e

spirituali § Essere di dimensioni adeguate

a garantire l’integrità e il

mantenimento a lungo termine dei target individuati o avere la capacità di aumentarle per raggiungere lo scopo

§ Apportare benefici alle

popolazioni locali e ai residenti compatibilmente con gli altri obiettivi prefissati dal

management § Mantenere sempre i valori

fondanti

§ Facilitare la ricerca scientifica a basso impatto e il

monitoraggio ambientale in funzione e compatibilmente con i valori dell’Area Protetta § Operare sotto la guida di un § Utilizzare strategie di

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piano di management, un programma di monitoraggio e di valutazione che supporti una gestione adattiva

management adattivo per migliorare l’efficacia e la qualità della gestione nel tempo

§ Possedere un equo e chiaro sistema di governance

§ Aiutare ad offrire opportunità educative (anche per quanto riguarda gli approcci di management)

§ Aiutare lo sviluppo di un supporto pubblico a favore della protezione

Per quanto riguarda gli strumenti giuridici, essi sono identificati come la ratifica a livello statale e internazionale dell’esistenza del funzionamento e del management dell’Area, ma si riconosce anche la possibilità che queste

funzioni possano essere svolte da organizzazioni non governative. La IUCN più di un decennio dopo ha ritoccato questa definizione, aggiungendo che, sì, l’obiettivo dell’Area Protetta è quello di conservare la natura, ma anche i “valori culturali associati e i servizi forniti dagli ecosistemi”. Questa aggiunta è di cruciale importanza per comprendere come il pensiero sulle Aree Protette si sia evoluto nel tempo. Innanzi tutto, è importante notare come l’uomo rientri in questa definizione non più come protettore e gestore incaricato di una certa area geografica, ma come beneficiario del sistema stesso di protezione: è a suo vantaggio che l’area protetta “lavora”. L’Area Protetta viene così inquadrata da una nuova prospettiva: la conservazione della natura e del patrimonio paesaggistico non è fine a sé stessa, ma porta dei vantaggi. Entrano in gioco i valori culturali, necessari per fornire identità a un territorio, e i servizi che l’ecosistema fornisce, cioè gli output positivi collaterali che l’area protetta emette verso l’esterno. La missione delle AP ha

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adesso uno spettro più ampio di azione, che richiede un’organizzazione ancora più efficace e ricettiva, che si ponga da tramite fra i bisogni dell’uomo e della natura. Questi due nuovi concetti rappresentano quindi soprattutto le sfide che le Aree Protette devono affrontare non solo per sopravvivere, ma anche progredire verso un sempre più efficace approccio di conservazione.

Per quanto riguarda i valori culturali, essi sono inscindibilmente collegati al patrimonio naturale e biologico; i valori presi in considerazione dalla definizione sono quelli che si trovano già incorporati e compresi

nell’Area Protetta e che quindi non interferiscono, ma anzi possono costituirne il fondamento, con l’obiettivo di conservazione.

Numerosi studi condotti incrociando le discipline sociali con quelle biologico-conservazioniste hanno evidenziato come esista una sorta di correlazione fra la scomparsa di tradizioni, lingue e dialetti, cammini, vie di pellegrinaggio e villaggi e la riduzione della biodiversità, di popolazioni ed ecosistemi. L’uomo e le attività umane si trovano al centro di questo

processo, poiché nell’era della globalizzazione ha abbattuto le barriere che prima isolavano e proteggevano nicchie culturali e biologiche, riducendo gli spazi e dando il via a un nuovo tipo di adattamento a favore di specie invasive in grado di adattarsi alla vita nei diversi angoli della Terra e cultura di facile consumo globale. A questo effetto di sparizione comune della diversità sia naturale che antropologica e una conseguente omogeneizzazione delle popolazioni è stato dato il nome di Homogocene, concetto derivato da quello di Anthropocene, che sta ad indicare questa era in cui sono le attività

dell’uomo la forza trainante delle modificazioni a cui sta andando incontro il pianeta terra e delle spinte evolutive. Contrastare questo effetto diventa più che mai di primaria importanza in termini di creazione e soprattutto gestione delle aree protette, anche se in taluni contesti sono proprio i contrasti con le popolazioni locali e le culture indigene che rendono difficile la conservazione della biodiversità. Per coniugare le esigenze conservazioniste con quelle delle popolazioni diventa chiaro come trovare un compromesso e un dialogo fra le due parti sia cruciale: osservando la gestione delle aree protette in tutto il mondo, la necessità appare quella di educare le persone a sentirsi parte

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dell’Area Protetta, coinvolgerle nella gestione e nel management del territorio in questione, poiché sono quelle persone che nella maggior parte dei casi vengono private dei loro possedimenti a causa dell’identificazione di quel territorio come zona di conservazione. La sfida appare ancora più ardua e critica nei paesi in via di sviluppo, dove gli equilibri degli ecosistemi sono messi a dura prova dall’industrializzazione e dalla crescita esponenziale della popolazione che preme sui confini delle Aree Protette o ne impedisce la creazione o il funzionamento, aprendo dibattiti e generando contrasti. Il bilanciamento fra interessi e necessità di conservazione deve tener conto anche delle questioni poste dalla giustizia sociale: si tratta, infatti, in alcuni casi di tagliare fuori interi villaggi da aree che fino a quel momento hanno fornito loro il sostentamento, attraverso la caccia, la pesca, l’agricoltura, l’allevamento. L’attenzione deve quindi essere rivolta non solo all’urgenza della conservazione, ma anche a quelle fasce di popolazione più deboli e povere sulle quali si ripercuoterebbero maggiormente le limitazioni imposte all’utilizzo delle risorse6. La presa di coscienza che le attività umane di sfruttamento incontrollato delle risorse di un determinato territorio possono portare all’esaurimento delle risorse stesse e ad un conseguente

snaturamento del territorio e delle popolazioni che vi abitano è il primo importante traguardo da raggiungere per assicurare un futuro alle Aree Protette sia marine che terrestri di tutto il globo, un futuro in cui siano le

popolazioni stesse a farsi promotrici delle aree in cui vivono e ne richiedano la protezione agli organi competenti nazionali e sovranazionali. Già durante la conferenza IUCN di Perth (1990) uno studio sulle popolazioni indigene australiane aveva evidenziato come queste ultime fossero favorevoli alle AP in particolare per la conservazione delle risorse naturali della terra e in particolare della diversità biologica, riconosciuti come valori fondanti della natura umana, al fine di

• Assicurare la conservazione delle risorse naturali rinnovabili • Assicurare uno sfruttamento saggio e sostenibile di queste risorse

6 Blaustein R. J., Protected Areas and Equity Concerns, Bioscience, Vol. 57, n°.3, marzo

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• Guidare le comunità umane attraverso lo sviluppo di uno giusto stile di vita che sia in un duraturo stato di armonia con la natura7.

Questo è possibile attraverso uno scambio di informazioni fra gli organi deputati alla protezione e l’ambiente esterno, un’educazione alla

conservazione della natura ma anche della propria identità culturale, poiché le Aree Protette sono il primo fattore che argina la commercializzazione delle risorse alle grandi multinazionali, come le compagnie petrolifere, senza un controllo ai danni collaterali che da essa irrimediabilmente derivano.

Spostando l’attenzione sui servizi di cui l’Area Protetta si fa portatrice, essi sono stati più e più volte evidenziati da numerosi studi condotti non solo all’interno del confine preservato, ma anche sulle zone limitrofe alle aree protette. Questi servizi sono prodotti naturalmente dall’Area, senza un intervento di sfruttamento dell’uomo. Gli output emessi verso l’esterno, in particolare, non sono sempre misurabili in termini numerici né sono sempre in rapporto diretto di causa-effetto con i cambiamenti che vengono registrati, e sono per questo difficili da osservare se non si conoscono le caratteristiche di un territorio e non si scava nella sua storia, ma la loro esistenza è indubbia. Fra i vantaggi più evidenti e più comuni possiamo riscontrare, ad esempio, la possibilità di un utilizzo turistico della riserva naturale, che, se saggiamente gestito, è in grado di aumentare i flussi di visitatori verso l’Area Protetta e verso le zone confinanti, oppure il miglioramento della qualità dell’aria e delle risorse idriche. Altri servizi forniti sono ad esempio la prevenzione dei collassi ed erosioni geologiche e il ripopolamento di specie sia animali sia vegetali che fuoriescono anche dai confini dell’AP e possono essere sfruttate dagli abitanti, come nel caso dei banchi di pesci in migrazione. Andando ancora più ad

7 18th Session of the General Assembly of IUCN, The World Conservation Union, Perth

(AUS), 28 novembre - 5 dicembre 1990, p.189

https://portals.iucn.org/library/efiles/documents/GA-18th-014.pdf , ultima visita effettuata in data 10 febbraio 2016

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addentrarsi nel campo del difficilmente misurabile, negli Stati Uniti si è vista una correlazione fra il miglioramento dello stato d’animo e la riduzione dello stress negli abitanti con la vicinanza con un’Area Protetta8. Tutti questi elementi sembrano portare ad una sola conclusione: quali che siano i servizi che un’Area Protetta emette al di fuori dei suoi confini, è evidente che vanno a colpire in modo positivo la qualità della vita che si registra al di fuori dei suoi confini.

Il dialogo fra l’area protetta e l’ambiente circostante, quindi, è di

primaria importanza: non è più possibile pensare a piccole zone delimitate da confini netti che si chiudono in se stesse per preservarsi, è necessaria

un’apertura verso l’esterno che permetta all’Area Protetta di amplificare i suoi effetti e allo stesso tempo creare una rete interrelazionale che moltiplichi i benefici per entrambe le parti.

La volontà di conciliare il progresso e lo sviluppo dei territori con la conservazione ha creato diversi tipi di Aree Protette in tutto il mondo; tutte le Aree condividono la missione di salvaguardare il patrimonio naturale, ma ognuna ha caratteristiche differenti per dimensione, numero di specie protette, numero di specie protette a rischio di estinzione, presenza di risorse

indispensabili alla vita delle popolazioni locali, organi a gestione statale, non governativi o non-profit, e ognuna cerca di adeguarsi al contesto in cui si trova ad operare per poter svolgere al meglio il compito per la quale è stata istituita. Si parla di aree di stretta protezione o stretta riserva naturale, aree preservate al fine di conservarne l’ecosistema, conservazione delle caratteristiche

naturali, conservazione attraverso azioni di management attivo,

conservazione mirata alla protezione del paesaggio terrestre e marino e management di aree con presenza di risorse naturali al fine di un loro utilizzo

8 Thomsen J. M., Powell R. B., Allen D., Designing Parks for Human Health Benefits - Park

health resources: Benefits, values, and implications, ParkScience, Volume 30, n.°2, autunno 2013

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sostenibile9.

Per questo sono nate negli anni differenti tipologie di Aree Protette che la IUCN ha cercato di raggruppare in categorie che sono riconosciute a livello internazionale, per quanto in alcuni casi la definizione dell’Unione risulti troppo generica o inesatta, al fine di facilitare una pianificazione e un

networking, il riconoscimento di nuove Aree e l’attività di management a livello internazionale. Le categorie di Aree Protette individuate sono le seguenti:

Tipologia di Area Protetta

Caratteristiche Obiettivi Attività Difficoltà nella gestione Ia. Riserva

Naturale Integrale

Area protetta da tutte le attività umane al di fuori di quelle di impatto nullo, ambiente incontaminato Conservazione della biodiversità Ricerca e monitoraggio ambientale Inquinamento di acqua e aria che va comunque ad influenzare l’area

Ib. Area Selvaggia

Generalmente più ampia delle aree di cat.Ia e con restrizioni meno rigide per quanto riguarda le attività umane Conservazione della biodiversità e dell’ecosistema e ricreazione di processi biologici interrotti da un’eventuale attività umana. Protezione di specie a rischio e di comunità biologiche Visite limitate, in genere a poche persone e con mezzi propri Ricerca scientifica, monitoraggio e attività di education Attività di popolazioni indigene residenti nell’area Possono essere classificate come Aree Selvagge solo le aree dotate di infrastrutture altamente moderne o in grado di ridurre al minimo l’impatto ambientale, data l’attività umana permessa nell’area II. Parco Nazionale

Grandezza simile a quella delle Aree Selvagge, ma

Protezione della funzionalità degli Visite consentite e a volte organizzate Le zone limitrofe possono essere

9 S. Stolton, P. Shadie, N. Dudley, Guidelines for Applying Protected Area Management

Categories including IUCN WCPA Best Practice Guidance on Recognising Protected Areas and Assigning Management Categories and Governance Types, Best Practice Protected Area Guidelines Series n°21, IUCN, Gland (Switzerland), 2013

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più tolleranti per la presenza umana

ecosistemi dallo stesso PN Turismo ricreativo ed educativo sostenibile e non in contrasto con l’attività di protezione, con vantaggio per

l’economia delle aree limitrofe

dedicate allo sfruttamento delle risorse naturali ed è necessario che non siano limitanti per la salvaguardia delle specie all’interno del PN III. Monumento Naturale

Area più piccola deputata alla protezione di un monumento naturale, che può essere totalmente naturale o creatosi attraverso l’interazione con l’attività umana Può avere una doppia classificazione 1. monumento naturale la cui esistenza è necessaria per la biodiversità del luogo 2. monumento naturale strettamente connesso alla biodiversità del luogo in modo unico Protezione di una conformazione geologica di elevato valore per la sua rarità, la sua rappresentanza estetica o la sua significanza culturale (monumento naturale) e dell’ambiente circostante

Visto l’alto valore spirituale/culturale del sito, è aperto ai visitatori e alle gite organizzate. L’importanza nella promozione della conservazione della natura di questi monumenti gioca un ruolo fondamentale nella ricerca di sovvenzionatori per l’alta visibilità del sito

Per ricadere sotto la categoria di monumento naturale deve avere un’interazione con la biodiversità del luogo, altrimenti rischia di essere classificato come monumento storico o spirituale. La AP nonostante l’apertura verso il pubblico deve garantire la protezione delle specie al suo interno

IV. Area per la Gestione di habitat/specie Simile in dimensioni al monumento naturale, solitamente piccola e circoscritta Il focus ricade su una specifica area di conservazione, come una specie animale o vegetale o un Visite e attività educative fortemente incoraggiate anche a livello di management; prevenzione del bracconaggio e se Devono essere fortemente controllate al fine di non mancare l’obiettivo prefissato

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habitat che necessita di continua protezione necessario ricreazione di habitat e nutrimento artificiale a favore della sopravvivenza protetta V. Paesaggi terrestri e marini Intera estensione di un territorio o di oceano che viene gestita tramite l’interazione con le attività umane delle comunità limitrofe Salvaguardia di territorio che si distingue per la sua componente biologica, paesaggistica, ecologica o culturale Permesse vere e proprie attività ricreative e di ecoturismo Interazione dell’uomo con le risorse del luogo che non influisca sull’equilibrio ambientale (attività di caccia o pesca con metodi non intensivi p.e.) o che aiuti a mantenere l’agrobiodiversità e la biodiversità acquatica, al fine di creare esempi di sviluppo di attività ecosostenibili Gestione delle attività umane all’interno del territorio in questione, senza andare per questo a turbare gli equilibri

dell’ecosistema

VI. Area per la Gestione sostenibile delle risorse

Aree particolari in cui si trovano risorse sfruttabili e commercializzabili dall’uomo.

Le caratteristiche di queste aree possono variare in base ai fattori locali, regionali, nazionali che entrano in gioco in tema di sfruttamento ecosostenibile, sia favorevoli che sfavorevoli. La IUCN stabilisce che

Protezione dell’area e sfruttamento delle risorse in un’ottica ecocompatibile che crei mutuali benefici ad entrambe le parti. Arginamento allo sfruttamento incontrollato di multinazionali e grandi compagnie Attività ricreative. Sviluppo di modelli di sfruttamento delle risorse ecocompatibili e a basso impatto Bilanciamento degli interessi economici delle attività commerciali operanti sul territorio e la loro ecocompatibilità

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una parte del territorio deve obbligatoriamente rimanere nelle sue condizioni naturali. A differenza della cat.V, queste zone sono quasi sempre semi disabitate o abitate da popolazioni che vivono in armonia con la natura che li circonda

commerciali

In merito alla gestione a livello territoriale della regione che ospita l’AP, la IUCN suggerisce di coniugare gli sforzi per la conservazione del Parco Nazionale, della Riserva, del monumento naturale con la creazione di una rete di protezione che vada al di là dei confini dell’Area Protetta, sempre tenendo obbligatoriamente in considerazione le circostanze in cui manager si trovano ad agire per quanto riguarda la situazione politica, economica e culturale locale. La stessa Unione si propone di sostenere sforzi in tal senso. È quindi riconosciuta l’importanza di un adattamento attivo

dell’organizzazione all’interno del suo habitat, oltre che ad una sua

espansione al di fuori dei suoi tradizionali confini di competenza; l’interazione emerge di nuovo come uno dei fattori di maggior importanza per

l’avanzamento del sistema di protezione della natura.

Ad oggi, il sistema internazionale di Aree Protette copre circa il 15,4% di tutte le terre emerse e il 3,4% degli oceani e dei mari, con un incremento registrato fra il 1990 e il 2014 di 13,4 milioni di chilometri quadrati10. Anche se il dato sembra indicare un incremento sostanzioso nella protezione e

salvaguardia della natura, è opportuno fare adeguate considerazioni:

• il dato riguarda un periodo di tempo molto vasto in relazione alle accelerazioni che hanno subito tutti gli aspetti della vita umana:

10 World Conservation Monitoring Centre, Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente,

http://www.unep-wcmc.org/featured-projects/mapping-the-worlds-special-places , ultima visita effettuata in data 24 febbraio 2016

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la tecnologia, le comunicazioni, gli spostamenti sono cresciuti ad un ritmo vertiginoso negli ultimi 20 anni;

• si deve prendere in considerazione l’esiguo numero di aree protette che esistevano prima, quando la coscienza ambientale delle nazioni era ancora ad uno stato pressoché embrionale; • per quanto l’incremento sembri confortante, si deve considerare

che ad oggi la quantità di Aree Marine Protette istituite è davvero esigua. La conformazione del pianeta Terra ci indica che circa il 71% della superficie è coperto dagli oceani, mentre solo il restante 29% è composto di terre emerse.

Soffermandoci su quest’ultimo punto, sembra chiaro che la sfida globale per il futuro sia rappresentata dalla conservazione degli ecosistemi delle coste, dei mari e degli oceani, che subiscono le stesse pressioni, gli stessi effetti collaterali dovuti all’inquinamento e lo stesso grado di

sfruttamento incontrollato e di distruzione delle aree terrestri. La questione marina è stata per anni rimandata e sottovalutata da quasi tutti i paesi del mondo, ma è diventata più che mai una questione urgente da risolvere.

1. L’Area Marina Protetta (MPA)

Le Aree Marine Protette sono la tipologia di Aree Protette (qui di seguito anche PA) che identifica quelle aree destinate alla protezione e

salvaguardia di territori marini e costieri e di tutte le risorse ad essi connesse. L’identificazione di un’Area Marina Protetta parte dalla stessa

descrizione generica di Area Protetta della IUCN: un territorio ben delimitato, riconosciuto e gestito in modo da essere messo nelle condizioni di portare avanti nel lungo periodo la sua missione di protezione della natura, dei valori culturali associati e dei servizi di cui la PA si fa portatrice. È quindi necessario un adeguato impianto legislativo a supporto dell’Area, un’accettazione e una collaborazione da parte delle popolazioni locali che favoriscano l’attività della MPA e un’adeguata struttura di management che porti avanti il lavoro. Anche

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la suddivisione in categorie della IUCN applicata alle Aree Protette viene mantenuta: si parte quindi dalle Riserve Integrali, nelle quali molto spesso anche l’accesso è proibito, per arrivare alle Aree per la Gestione Sostenibile delle Risorse, nelle quali si cerca di coniugare sfruttamento e salvaguardia. In seno al National Oceanic Atmospheric Administration (NOAA), negli Stati Uniti, è stata creata anche una speciale categoria, quella dei santuari marini: sono identificati come tali MPAs che “cercano di preservare le bellezze paesaggistiche, la biodiversità, le connessioni storiche e produttività economica” dei siti “[…]agendo come amministratori responsabili di questi luoghi speciali”11. Il concetto di santuario marino è stato poi esportato in tutto il mondo; ne è un esempio il Santuario Pelagos, istituito fra le coste dell’Italia, della Francia e della Corsica, anche se è rimasto fino ad oggi soltanto un paper park, come detto più avanti.

Figura 1- fonte: FAO, Techical Guidelines for Responsible Fisheries, 2011

11 Sito ufficiale del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) per i Santuari

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Per le MPA si possono fare delle considerazioni aggiuntive rispetto alle aree protette terrestri. L’importanza delle MPA risiede nella particolare

conformazione dei territori che sono chiamate a proteggere: le zone marine e costiere, come abbiamo detto, coprono porzioni molto maggiori del globo rispetto alla terraferma, ed ospitano milioni di specie viventi. All’interno di questi particolari ecosistemi, un ruolo fondamentale è ricoperto dalle barriere coralline: queste formazioni calcaree fungono da rifugio per numerosi

organismi viventi, oltre a fornire protezione alle coste, richiamare flussi turistici ed essere fonte preziosa per la ricerca farmaceutica, più degli altri tipi di ecosistemi marini. In termini percentuali, la loro estensione compone soltanto lo 0,15% delle aree marine globali, ma sono l’habitat del 33% delle specie ittiche che vanno a comporre il 10% del pesce pescato globalmente. Sempre parlando di numeri, c’è però da aggiungere che è stato calcolato che circa il 75% dei reef è sottoposto a stress continui e pressioni dovute alla pesca, all’inquinamento costiero, sbiancamento dei coralli dovuto all’innalzamento delle temperature globali; ad oggi solo il 16% risulta far parte di una MPA12.

Similmente alle altre Aree Protette (qui di seguito anche PAs), vengono istituite per ragioni sempre diverse; l’istituzione di una MPA ha un certo

impatto sia sul piano biologico che sul piano culturale e sociale di un’area. Si possono individuare due categorie di obiettivi della conservazione:

“materiale”, che riguarda la protezione mirata all’utilizzo sostenibile delle risorse, e “spirituale”, che riguarda invece la protezione della biodiversità, delle specie e degli elementi paesaggistici. Il più delle volte la loro istituzione è dovuta alla necessità di un controllo per quanto concerne lo sfruttamento altrimenti incontrollato delle risorse, con uno scopo dunque “materiale” che ponga dei limiti ad un futuro sfruttamento di risorse scoperte in un territorio, o

12 Kvamsdal S. F., Sandal L. K., The premium of Marine Protected Areas: a Simple Valuation

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che tenti di porre rimedio ad un passato sovrasfruttamento dell’area13. Gli obiettivi possono essere molteplici, quindi. Si può istituire una MPA per ricostruire gli stock ittici, garantirne la sostenibilità dello sfruttamento, proteggere habitat, siti culturali/archeologici e specie a rischio, oppure per agire direttamente sulle popolazioni, supportando stili di vita basati sull’utilizzo tradizionale e sostenibile di risorse marine o facilitando, con la protezione, la risoluzione di conflitti fra più parti interessate alle risorse; si può istituire in risposta ad un appello globale per la salvaguardia del clima e quindi per ostacolare i cambiamenti ambientali, oppure per incentivare e facilitare la ricerca scientifica, l’istruzione e le attività ricreative14.

In ogni caso, quale che sia la ragione per la quale la MPA viene istituita, l’obiettivo di preservare il territorio dallo sfruttamento non esclude la protezione delle specie di fauna e flora presenti né la conservazione degli elementi paesaggistici, e viceversa.

Quando si è individuato che il target della protezione è

prevalentemente di tipo “materiale”, si possono analizzare gli interventi dell’uomo nell’ecosistema. Si possono identificare tre diversi tipi di sfruttamento delle risorse a seconda degli elementi che vengono alterati dall’azione umana:

• alterazione permanentemente l’ecosistema: l’industrializzazione urbana e l’agricoltura estensiva e intensiva;

• alterazione della quantità di risorse dell’ecosistema: prevede l’estrazione delle risorse e la raccolta di prodotti edibili o di altra natura, come la pesca, la raccolta di spugne per utilizzo

domestico, la maricoltura delle ostriche e dei molluschi per la vendita, la ricerca di perle e coralli ornamentali;

13 R. V. Salm, J. R. Clark, E. Siirila, Marine and Coastal Protected Areas: A Guide for

Planners and Managers, IUCN, Gland (Switzerland) e Cambridge (UK), 2000

14 Cochrane K., Gréboval D., Pomeroy R., Sanders J., Sissenwine M. and Westlund L., FAO

Technical Guidelines for Responsible Fisheries – Marine Protected Areas and Fisheries, Food and Agricolture Organization of the United Nations (FAO), No. 4, Suppl. 4. Roma (IT), 2011

(23)

• alterazione minima delle risorse dell’ecosistema: preveda l’utilizzo delle risorse non estrattive, come la ricerca,

l’educazione, l’utilizzo ricreativo delle acque per visite turistiche e transito di natanti15.

Dato che le risorse di un ecosistema non sono inesauribili, l’istituzione di un sistema di protezione aiuta a far sì che le stesse risorse abbiano la possibilità di rinnovarsi e di essere utilizzabili a lungo termine anche dalle future generazioni.

Una MPA, nella visione della IUCN, dovrebbe essere fondata e gestita per soddisfare contemporaneamente quanti più obiettivi di conservazione possibili, rivolti a combinazioni di elementi quali risorse, specie diverse di animali acquatici o vegetali, elementi paesaggistici e culturali. La

combinazione di più elementi, infatti, crea benefici crescenti che vanno ad inserirsi nella categoria di servizi offerti dall’Area Protetta: è il caso della MPA istituita a Tanga, in Tanzania, dove l’azione di salvaguardia della barriera corallina e delle specie vegetali presenti lungo il litorale ha aiutato a

proteggere la costa dall’erosione, garantendo la stessa protezione anche a beneficio delle popolazioni locali che abitano la zona. Effetti positivi si sono riscontrati anche nella protezione combinata di diversi reef: l’aumento, ad esempio, delle dimensioni delle popolazioni di flora e di banchi di pesci, porta ad un proporzionale aumento delle quantità di pescato delle popolazioni, oltre che spesso a un incremento dei flussi di visitatori verso le barriere coralline. Questo consente alle popolazioni di beneficiare di un successivo incremento economico attraverso la gestione di strutture di ospitalità e organizzazione di visite guidate all’interno dell’Area Protetta, come ad esempio la MPA di St.Anne nelle isole Seychelles16.

15 R. V. Salm, J. R. Clark, E. Siirila, Marine and Coastal Protected Areas: A Guide for

Planners and Managers, (cit. nota 13)

16 R. V. Salm, J. R. Clark, E. Siirila, Marine and Coastal Protected Areas: A Guide for

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Osservando i dati (figura 2), possiamo notare come sia per entrambe le tipologie di AP si sia registrata una crescita del fenomeno della

conservazione in tutto il mondo, ma anche come l’innalzamento della curva che segna il numero di Aree Marine istituite abbia tardato fino agli anni 2000. Questo per diverse ragioni, una delle quali individuabile all’interno degli interessi economici degli stati e dei privati: lo sfruttamento immediato e incontrollato delle risorse costiere e marine apportava guadagni e benefici immediati; la grande vastità del territorio oceanico (e in alcune nazioni l’estensione della costa) davano la possibilità, inoltre, di spostare le attività una volta esaurite le risorse, sfruttando nuove aree. Questo approccio è in netto contrasto con quello odierno promosso dalle organizzazioni per la salvaguardia della natura, che promuove uno sfruttamento controllato che garantisca il rinnovamento delle risorse stesse nel tempo: si può parlare quindi di un rinnovato approccio di responsabilità, non solo verso la natura, ma verso noi stessi. È dunque il difficile bilanciamento in questo contrasto di interessi economici che ha portato un ritardo nell’istituzione delle MPA, ancora al giorno d’oggi di gran lunga numericamente inferiori alle Aree Protette terrestri, nonostante la vastità degli oceani.

Fra i progetti lanciati dalla comunità internazionale per la promozione del movimento di conservazione e protezione della natura, degno di nota è lo Aichi Biodiversity Target 11, lanciato dalla IUCN nel 2010 e monitorato ogni Figura 2 – fonte Secretariat of the Convention on Biological Diversity (2014), Global Biodiversity Outlook 4

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anno dal 2012 attraverso un report sullo stato delle attività delle Aree Protette in tutto il mondo. L’obiettivo individuato è di allargare la protezione dei territori del network di paesi aderenti alla Convention on Biological Diversity fino al 17% del totale delle zone terrestri e fino al 10% delle zone costiere e marine entro il 2020. Come abbiamo visto, la percentuale di PAs terrestri è vicina al 16%, mentre quella delle MPAs tocca appena il 3%: questo dato ci mostra che lo sforzo in direzione della salvaguardia del mare e delle zone costiere che la IUCN e le organizzazioni internazionali richiedono agli affiliati è di ampia portata.

Molti fra i responsabili dei progetti internazionali, la comunità scientifica e i ricercatori si sono interrogati su quanto territorio si debba proteggere prima che questo venga considerato sufficiente per garantire la protezione efficace della biodiversità terrestre e marina. Convenzionalmente, per misurare l’efficacia dell’azione di protezione globale si prende in esame il numero di specie che effettivamente le PAs riescono a proteggere17; considerata l’elevata biodiversità che normalmente si registra nei mari e negli oceani, è evidente come questo indicatore potrebbe facilmente raggiungere livelli più elevati solo con l’allargamento dell’area coperta dalle MPAs. Basti pensare che delle oltre 43000 specie di animali vertebrati conosciuti e classificati finora, più di 22000 sono pesci; le specie ittiche, inoltre, superano anche in termini di numerosità quelle terrestri. “[...]La densità dei pesci era da sei a dieci volte superiore rispetto a quella delle specie al di fuori della riserva[...]” (Roberts and Hawkins 1997)18; un maggior numero di Aree Marine Protette

17 T. M. Brooks, M. I. Bakarr, T. Boucher, G. A. B. Da Fonseca, C. Hilton-Taylor, J. Hoekstra,

T. Moritz, S. Olivieri, J. Parrish, R. L. Pressey, A. S. L. Rodrigues, W: Sechrest, A. Stattersfield, W. Strahm, S. N. Stuart, Coverage Provided by the Global Protected-Area System: Is It Enough?, BioScience Vol. 54, No. 12, (December 2004), pp. 1081-1091

18 Laffoley D., White A. T., Kilarski S., Gleason M., Smith S., Llewellyn G., Day J., Hillary A.,

Wedell V., Establishing Resilient Marine Protected Area Networks - Making It Happen - Full Technical Version, including Ecological, Social and Governance Considerations, as well as Case Studies, IUCN-WCPA, National Oceanic and Atmospheric Administration and The Nature Conservancy, Washington DC (USA), 2008

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significherebbe in definitiva un più ampio patrimonio biogenetico conservato che contrasti l’effetto di appiattimento e omologazione a cui stanno andando incontro le specie viventi di tutto il pianeta di cui abbiamo parlato in

precedenza. Per raggiungere questo obiettivo è necessario comprendere che la conservazione del DNA in banche genetiche non è sufficiente, ma devono queste essere mantenute in vita nel loro habitat e portare avanti un controllo della pesca, della caccia e della raccolta in modo che la natura abbia il tempo e il modo di ammortizzare le perdite, perché la diversità genetica è quella caratteristica che permette e determina l’evoluzione e l’adattamento ai cambiamenti, compresi quelli climatici.

La conservazione dell’ambiente marino e costiero, però, presenta delle difficoltà: esso interagisce con gli ambienti circostanti più delle PAs terrestri ed è arduo mantenere un equilibrio nell’ecosistema; inoltre, la velocità della risposta agli interventi umani è quasi sempre più lenta rispetto a quella delle aree terrestri e valutare quindi gli effetti di un qualsiasi intervento richiede un’attenta osservazione e un monitoraggio costante nel medio e nel lungo periodo.

La protezione di una zona non può prescindere dalla protezione di zone limitrofe, perché l’inquinamento di un fiume, ad esempio, porta automaticamente ad un inquinamento dell’acqua della sua foce e un

conseguente avvelenamento delle specie marine che abitano in quella zona. La comunicazione chimica fra tutte queste ultime e l’ambiente è molto più stretta rispetto a quella delle specie terrestri, quindi lo scambio di

informazioni, il flusso di microrganismi e anche quello degli inquinanti è costante. Esistono anche altri esempi non così ovvi nella relazione causa-effetto che mostrano quanto sia importante proteggere anche l’entroterra insieme al mare, come ad esempio nel caso della costruzione di una diga lungo il corso di un fiume che può impedire ad alcuni pesci, come i salmoni, di risalire la corrente dal mare per raggiungere le zone di riproduzione.

Non è possibile, perciò, applicare uno schema di protezione di piccole zone, soprattutto quando si parla di ambienti marini, ma nella protezione

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efficace di un sistema è necessario ricorrere ad un network che garantisca una continuità in termini spaziali di conservazione, poiché la vita delle specie acquatiche non è circoscrivibile ad aree ben delimitate. Questa interrelazione diretta fra specie risulta amplificata in aree “chiuse”, delimitate, che non si trovano in mare aperto, come golfi e mari aventi confini geologici. In queste particolari condizioni le relazioni strette creano microclimi e habitat del tutto unici, perfettamente adattati a quel particolare luogo. In quest’ultima categoria ricade, ad esempio, il Mar Mediterraneo che conta una propria varietà di specie endemiche ed ha un clima così particolare (Mediterraneo appunto) che è stato riconosciuto come ecoregione a sé. Questo significa che la

correlazione fra gli elementi che compongono questo particolare ecosistema è unica, e ogni modificazione per quanto piccola che sia rende difficile la

restaurazione di una situazione di equilibrio.

L’istituzione di una PA e il conseguente miglioramento delle condizioni dell’ecosistema, come indicato in precedenza, ha delle ripercussioni anche sulla qualità della vita delle comunità umane, animali e vegetali limitrofe. Il valore prodotto dall’Area Marina Protetta come per le Aree terrestri non è facilmente misurabile, ma possono essere considerati elementi come benefits che, a cascata, generano altri effetti più “misurabili”, anche in termini

monetari. Si distingue fra valori diretti creati, come la produzione di cibo, la disponibilità di materiali e di prodotti commerciabili, la creazione di flussi turistici verso la zona, il miglioramento della rete dei trasporti, e i valori indiretti, come la protezione delle coste dai fenomeni di erosione e dalle tempeste. Ci sono poi altri benefici o valori opzionali che si potranno manifestare nel futuro, a seguito dell’azione di protezione, come la

conservazione delle risorse estrattive o la creazione di strutture ricettive. Fra i valori creati indirettamente possiamo inserire anche la willingness to pay che può trovare applicazione in vari contesti: per quanto riguarda il prezzo che i visitatori sono disposti a pagare per accedere alla PA e per usufruire di eventuali servizi aggiunti come le visite guidate; per i prezzi che gli alberghi e le strutture ricettive possono applicare in virtù della loro vicinanza con la zona

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protetta; per la quantità di denaro che i clienti sono disposti a spendere per prodotti e risorse provenienti dal Parco Marino, siano essi ittici, ornamentali o di uso comune. Inoltre, si può sviluppare una rete di attività alternative, come gite organizzate nell’Area Protetta o pesca sportiva19.

Un’altra forma di benefit, questa volta di tipo diretto, presa in considerazione e riscontrata dai ricercatori della Norwegian School of Economics and Business Administration è il cosiddetto “premium”, ovvero il valore aggiunto creato dalle MPAs in virtù della riduzione del rischio per coloro che esercitano l’attività di pesca a fini commerciali nelle zone consentite in prossimità di quelle interdette; il rischio, in questo caso, è identificato nella fluttuazione delle quantità di pesce, nelle variazioni delle presenze dei banchi di pesci in determinate aree, nella quantità di pesci che riescono a riprodursi, nella variabilità delle specie pescate, nel collasso delle comunità ittiche dovuto alla pesca incontrollata. La presenza di una MPA riduce, in generale, lo stress che grava sugli stock di pesce di una

determinata zona. Ogni rischio che può portare ad una riduzione del valore del pescato, osservano i ricercatori, viene compensato dalla presenza della MPA, poiché il pesce attraversa i confini dell’Area Protetta diventando disponibile nelle zone deputate alla pesca, tanto che il valore rete da pesca piena/valore della pesca risulta sempre a favore dei pescatori se è stata istituita un’Area Marina Protetta20. Se uno degli obiettivi primari individuati dalla MPA è proprio la protezione degli stock di pesce a favore delle attività di pesca, la scelta del tipo di MPA da istituire può dipendere dal tipo di specie che si vogliono proteggere. Esistono, infatti, specie più sedentarie, che svolgono quasi tutte le attività del loro ciclo biologico all’interno di un’area circoscritta, a differenza di specie che migrano e attraversano varie zone per riprodursi e alimentarsi. Per i primi si può prendere in considerazione una

19 Salm R. V., Clark J. R., Siirila E., Marine and Coastal Protected Areas: A Guide for

Planners and Managers, (cit. nota 13)

20 Cochrane K., Gréboval D., Pomeroy R., Sanders J., Sissenwine M. and Westlund L., FAO

Technical Guidelines for Responsible Fisheries – Marine Protected Areas and Fisheries, (cit. nota 14)

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protezione ciclica, riservata, cioè, solo ad alcuni periodi dell’anno, quelli dedicati alla riproduzione e alla crescita; per i secondi la protezione può essere riservata ai cosiddetti hot spot.

All'interno della MPA è probabile che vi siano animali di dimensioni maggiori appartenenti ad alcune specie, una più alta percentuale di riuscita riproduttiva con un potenziale sostegno delle popolazioni di pesci; questo comporta quindi una migliore conservazione della diversità genetica e della protezione degli habitat, aumenti nella biodiversità e, quindi, è ipotizzabile anche una riduzione delle catture di specie accessorie, di quelle specie, cioè, che non sono l’obiettivo di pesca in quella zona21.

La gestione equilibrata di una MPA può, inoltre, fungere da esempio positivo per altri territori che potrebbero essere individuati come possibili Aree Protette: la sfida di ogni PA è quella di riuscire a soddisfare le esigenze degli stakeholder e mantenere il focus dell’organizzazione sull’obiettivo.22

Si deve però fare attenzione a non sovrasfruttare i cosiddetti servizi prodotti dalla MPA, né a farne un uso sconsiderato; uno studio effettuato in seno al Millennium Ecosystem Assessment (2005) e pubblicato poi dall’UNEP (United Nations Environment Programme) evidenzia come “la maggior parte dei servizi derivati dagli ecosistemi marini e costieri risultano degradati e utilizzati senza seguire criteri di sostenibilità, e per questo sono soggetti ad un deterioramento più rapido di altri ecosistemi23”. Questa rapidità del declino di tali ecosistemi è rintracciabile nella loro stretta interconnessione: non si parla più solo del sovrasfruttamento di un’area con i conseguenti impatti negativi sulle zone vicine, ma anche dell’inquinamento, del consumo e riduzione degli

21 Cochrane K., Gréboval D., Pomeroy R., Sanders J., Sissenwine M. and Westlund L., FAO

Technical Guidelines for Responsible Fisheries – Marine Protected Areas and Fisheries, (cit. nota 14)

22 Salm R. V., Clark J. R., Siirila E., Marine and Coastal Protected Areas: A Guide for

Planners and Managers, (cit. nota 13)

23 Jones P. J. S., Governing Marine Protected Areas – Resilience through diversity, Earthscan

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habitat costieri a favore di nuovi insediamenti umani. Data la facilità con la quale gli effetti negativi si diffondono, è facile immaginare anche che altrettanto veloci saranno le ripercussioni sulle attività umane e sulle

condizioni di vita delle popolazioni. In alcuni casi è importante comprendere che impedire o limitare lo sfruttamento delle risorse dà la possibilità

all’ecosistema di risanarsi. A tal proposito è significativo il caso dell’Area Marina Protetta di Cabo Pulmo in situata nella Baja California (Messico): gli abitanti della costa, una volta che la MPA è stata creata chiesero

esplicitamente che in questa venisse proibita ogni attività di pesca e prelievo di risorse, trasformandola in un’area no-take. Il risultato è stato una crescita impressionante della biomassa24 in un decennio, a fronte di un calo generico di pesci, mammiferi e flora oceanica che ha colpito tutto il resto della penisola messicana. L’area, anche se è la più piccola MPA di tutte quelle presenti nella regione, è stata in grado di invertire la tendenza con l’aiuto e la partecipazione attiva della collettività: il numero delle specie registrate dagli studiosi è

raddoppiato, con il ritorno di specie fino ad allora considerate scomparse nella zona, compresi i grandi predatori come gli squali, le dimensioni dei pesci e dei banchi di pesci sono aumentate, così come le comunità di alghe e coralli25.

Con un adeguato sistema di gestione, la MPA può ambire anche ad auto-finanziare almeno parzialmente la sua attività, attraverso lo sfruttamento delle risorse sia con metodi estrattivi (pesca, raccolta, ecc…) sia attraverso la gestione dei flussi e dei trasporti di visitatori26. Questo è importante in

24 Con biomassa (Demoll) si indica la quantità di sostanza costituita da organismi viventi per

unità di superficie o di volume. Aleksandrovich Zenkevich L., Fish-food in the Barents Sea. (Introduction). Reports of the first Session of the State Oceanographical Institute, Mosca, 14-22 aprile 1931

25 Fonte: discorso di Octavio Aburto-Oropeza per Scripps Insitution of Oceanography Center

for Marine Biodiversity and Conservation, Marine Protected Areas: A Success Story - Perspectives on Ocean Science, University of California Television (UCTV),

https://www.youtube.com/watch?v=zu8fSi9dpII

26 Marino D., Gusmerotti N., Nasti A., Autofinanziamento e Aree Marine Protette, CURSA

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un’ottica anche di svolgimento della propria attività conservativa, poiché permetterebbe alla MPA di non dover bilanciare e coordinare la propria azione con quella di altre organizzazioni e altri soggetti con finalità diversa, rischiando di far passare in secondo piano la mission. Per poter raggiungere questo auspicabile obiettivo, però, è necessario che venga costruita

un’immagine identificativa della MPA, un’identità riconosciuta all’interno del territorio nel quale si trova, acquistando ulteriore legittimità all’interno della società. In questo modo, la MPA agisce come un vero e proprio attore attivo sulla scena locale e nazionale, non più soltanto ai margini.

Gli effetti protettivi all'interno di un MPA o di un network MPA

dipenderanno da una serie di fattori, quindi, tra cui la posizione geografica, le dimensioni e/o il numero, se si parla di una rete, la tipologia di protezione adottata, la presenza di specie animali e vegetali che si spostano dentro e fuori i confini dell'area protetta, e le attività che si svolgono al di fuori e

all’interno di questa. Equilibrio è la parola chiave per proteggere un patrimonio unico della Terra e consegnarlo nelle mani del futuro.

2. L’heritage e le sue interpretazioni

“The service thus established shall promote and regulate the use of the Federal areas known as national parks, monuments, and reservations

hereinafter specified by such means and measures as conform to the

fundamental purpose of the said parks, monuments, and reservations, which purpose is to conserve the scenery and the natural and historic objects and the wild life therein and to provide for the enjoyment of the same in such manner and by such means as will leave them unimpaired for the enjoyment of future generations.27”

Con queste parole il nascente National Park Service nel 1916 stabiliva che il suo scopo e lo scopo di tutti i parchi nazionali americani da lì in poi

27 The National Park Service Organic Act, titolo 16 del Codice degli Stati Uniti (United States

(32)

sarebbe stato quello di proteggere i beni naturali, paesaggistici e storici “per il godimento degli stessi nel modo e con i mezzi che li lasceranno inalterati per il godimento delle generazioni future.” Si tratta di una delle prime

testimonianze di responsabilità verso un’eredità naturale, culturale,

paesaggistica dei posteri, ma emerge da un’organizzazione di un paese che già qualche decennio prima aveva mostrato di avere a cuore il destino di questi elementi, che, quasi come un dono, avrebbero consegnato ai propri figli. Nel settembre del 1870, ad esempio, durante una spedizione nel west americano presso la Madison Junction, l’avvocato Cornelius Hedges,

estasiato dalla vista della natura che contornava il bacino del Firehole River affermò che di certo Dio stesso aveva voluto creare una tale meraviglia e pensò che tutta la gente del mondo avrebbe dovuto avere la possibilità di godere di tale vista sia nel presente che nel futuro.

Come abbiamo visto in precedenza, la stessa definizione di Area Protetta fornita dalla IUCN porta in primo piano la salvaguardia della natura, ma anche dei valori culturali ad essa associati e i servizi che l’ecosistema fornisce all’ambiente esterno, mostrando di aver appreso la lezione del NPS.

L’heritage, o l’eredità parafrasando il termine in lingua italiana, ha in sé un grande significato: in senso figurato, nella definizione fornita dai dizionari, esso rappresenta la “trasmissione di valori morali, di beni non materiali, ai propri discendenti o anche a discepoli o in genere a quanti ne possono essere i depositari e continuatori” e ancora “più genericamente, ogni patrimonio ideale che si riceve dai propri predecessori, o insieme di compiti, di attività che i successori sono tenuti a svolgere per continuarne l’opera, o, talora, per riparare e correggerne gli errori” 28. Da queste parole emerge come la

responsabilità dei padri verso un certo bene ricada in tutte le sue sfumature sui figli; è perciò dovere se non obbligo di coloro che sono destinati a lasciare qualcosa ai posteri consegnarlo nelle loro mani nelle migliori condizioni

possibili, in modo che essi siano in grado di migliorarlo ulteriormente e non di dover riparare ai danni arrecatigli. “We are committed to our descendants and

28 Definizione del termine “eredità”, http://www.treccani.it/vocabolario/eredita/ , ultima visita

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to other creatures to act prudently. We cannot predict what species may become useful to us” si legge nella guida della IUCN per il management delle Aree Marine e Costiere Protette “We may learn that many apparently

dispensable species can provide important products, like pharmaceuticals, or are vital parts of life support systems on which we depend […]29”. Vi è un enorme atto di presa di coscienza della responsabilità che si deve prendere in carico, verso i nostri discendenti e verso le altre creature: entrambi i soggetti non sono in grado da soli di garantirsi un futuro, perché incapaci di agire nel presente. E non solo, viene anche riconosciuta la possibilità che elementi che sono destinati alla scomparsa nelle attuali condizioni possano un giorno essere rimpianti, per il contributo che avrebbero potuto fornire al progresso umano.

La conservazione della natura e dei suoi elementi, quindi, non

rappresenta solo una questione etica, ma tocca anche l’economia del futuro, la ricerca scientifica in ogni sua parte e la salute delle popolazioni di tutto il mondo, presenti e soprattutto future.

Possiamo senz’altro affermare che il concetto di heritage è quindi strettamente collegato al concetto di responsabilità, una responsabilità che in parte ha già tardato a maturare nelle coscienze degli uomini del presente e del passato, ma che deve necessariamente svilupparsi per garantire la salute di coloro che ci succederanno. Il processo di responsabilizzazione deve toccare tutte le parti della società e passa attraverso una solida politica di informazione ed educazione che deve essere intrapresa in tutte le fasce della popolazione. La responsabilità si ritrova anche nel trattamento che deve essere riservato alle PAs esistenti, senza andare ad intaccare, danneggiare, sfruttare quindi la loro natura nel presente, in modo che tutti possano goderne nel futuro, perché “ci sono diverse cose nella nostra vita che potrebbero diventare rare”30.

29 Salm R. V., Clark J. R., Siirila E., Marine and Coastal Protected Areas: A Guide for

Planners and Managers, (cit. nota 13)

30 Lucas P.H.C., How Protected Areas can help meet society’s evolving needs in Marine and

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A livello interazionale, negli ultimi decenni qualcosa ha iniziato a muoversi e a dare segnali positivi. Nel 1972, a Parigi, la World Heritage Convention, seguendo la linea statunitense e della IUCN, presentò la

proposta di combinare la conservazione del patrimonio culturale a quella del patrimonio naturale dei paesi, “considerato che il deterioramento o la

sparizione di qualsiasi patrimonio culturale o naturale costituisce un dannoso impoverimento dell’eredità di tutte le nazioni del mondo31”. Secondo il

documento, è da considerarsi parte del natural heritage qualsiasi manifestazione fisica o biologica dal valore estetico o scientifico

universalmente riconosciuto; formazioni geologiche o fisiogeografiche e aree precisamente delimitate che fungono da habitat per specie riconosciute come in via di estinzione dal valore scientifico o di conservazione innegabile; siti naturali o aree naturali precisamente delineate con valore riconosciuto per la scienza, la conservazione o la bellezza naturale. Successivamente, nel 2005, l’UNESCO ha lanciato il programma “The World Marine Heritage

Programme”, un programma di salvaguardia e protezione di determinate aree marine che per le loro irripetibili caratteristiche, la combinazione di specie di flora e fauna, la loro funzione irrinunciabile a livello di ecosistema sono state inserite nella lista. I siti marini riconosciuti come patrimonio UNESCO coprono ad oggi circa un quarto di tutte le MPAs del pianeta. Attraverso l’attribuzione di questo status particolare, le Aree Marine in questione sono messe nelle condizioni di influenzare attivamente la gestione a livello globale delle MPAs, oltre che di promuovere l’espansione dei confini dei territori protetti. La

missione del progetto World Marine Heritage Programme è quello di istituire un’efficace sistema di conservazione delle Aree Marine esistenti e potenziali di riconosciuto valore universale per assicurarsi che essi saranno mantenute e protette per il godimento e il bene delle generazioni a venire.

31 Convention concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage 1972,

Parigi, 16 novembre 1972,

http://portal.unesco.org/en/ev.php-URL_ID=13055&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html , ultima visita effettuata in data 16 gennaio 2016

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