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La fidelizzazione del personale ed i fattori da cui essa dipende: Il caso Ferrero SpA.

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Comunicazione

d’Impresa e Politica delle Risorse Umane

Tesi di laurea

La fidelizzazione del personale ed i fattori da cui essa dipende: il caso

Ferrero SpA

Il Candidato

Gianluca Migliorino

Il relatore

Prof. Marco Giannini

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Sommario

INTRODUZIONE. ... 1

I Capitolo: Approcci per aumentare la Retention ... 3

1.1.1 L’avvento del Toyotismo ... 6

1.1.2 Il valore differenziale dato dal fattore umano ... 7

1.2 Le risorse aziendali ... 9

1.3 Reclutamento ... 10

1.4 Employer branding ... 12

1.4.1 Employer value proposition o EVP ... 14

1.5 Il ruolo della formazione ... 16

1.6.1 soddisfazione ... 20

1.6.2 Un approccio psicologico al problema ... 20

1.7 Engagement ... 23

1.7.1 Misurazione engagement ... 24

1.8 Conseguenze di un cattivo ambiente lavorativo ... 25

1.9 La qualità in ambienti lavorativi che promuovono le idee dei singoli ... 26

1.10 Comunicazione interna ... 27

1.10.1 Comunicazione all’interno del gruppo ... 30

II Capitolo: L’importanza del ruolo del manager ... 32

2.1 Il ruolo del manager ... 32

2.2 Sviluppo dei proprio subordinati ... 34

2.3 Aspetti organizzativi della leadership ed effetti sulla forza lavoro ... 35

2.4 Il ruolo del manager in un contesto lavorativo ad alta specializzazione ... 35

2.5 Il manager ideale ... 36

2.6 Aiutarli a crescere professionalmente ... 39

2.7 Rispetto per i propri subordinati ... 41

2.8 Costo turnover ... 43

2.9 Fattori motivanti: ... 46

2.9.1 Maslow ... 47

2.9.2 Teoria dei fattori igienici-motivanti di Herzberg ... 50

2.9.3 Applicabilità ... 51

2.10 Valorizzazione della risorsa umana ... 51

2.11 Senso di appartenenza all’organizzazione. ... 52

2.12 Il lavoro è vissuto come stimolante ... 53

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ii

III SISTEMA RETRIBUTIVO ... 55

3.1 Barnard ... 55

3.2 La parabola del masso ... 56

3.3 Incentivi materiali e non materiali ... 57

3.4 Economia degli incentivi e della persuasione ... 58

3.5 Il concetto di Total Reward System ... 61

3.6 Struttura ed elementi del Total System reward ... 62

3.7 Cosa retribuire? ... 64

3.7 Retribuzione fissa ... 66

3.8 Retribuzione variabile ... 67

3.9 Valutazione della performance ... 69

3.10 Modelli di incentivazione breve termine ... 72

3.10.1 Profit sharing ... 73

3.10.2 Gain-Sharing ... 74

3.10.3 L’incentivazione per obiettivi. Il management by Objectives ... 75

3.11 Incentivazione a medio-lungo termine ... 79

3.11.1 I Phantom stock plans ... 81

3.11.2 Gli Stock-option plans ... 81

3.12 L’incentivazione vista dai lavoratori ... 83

3.13 Le strategie di Retention e di Work life balance ... 85

3.14 Benefit ... 88

IV capitolo: il caso Ferrero... 92

4 La storia della Ferrero ... 92

4.1 Implementazione dell’employer branding in Ferrero International ... 95

4.2 Creazione d’identità e l’EVP aziendale... 96

4.3 Strategia di employer branding ... 101

4.4 Recruiting in Ferrero International ... 105

BIBLIOGRAFIA ... 113

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1

Introduzione

Questo mio lavoro sancisce il passaggio dalla vita da studente a quella da lavoratore. Auspicandomi un’eccellente carriera, non posso che confrontarmi con quello che è il quadro economico attuale del paese. Seppur la crisi economica è alle spalle, le condizioni lavorative per noi giovani non sono delle migliori. Mi chiedo: Trattenere ed investire su una risorsa non è molto più produttivo che assumere e licenziare continuamente? Formazione, crescita professionale, benessere lavorativo non sono tutti fattori sui quali investire? Come viene affrontato il problema del turnover? Su quali elementi un’azienda dovrebbe puntare per attirare e trattenere a se i migliori talenti? È da qui che sono partito per andar ad analizzare quelli che sono i modelli seguiti dalle aziende italiane per curare la vita lavorativa dei propri dipendenti, renderli sempre più parte strategica dell’azienda.

Il mio obiettivo è quello di offrire un quadro generale su quello che i lavoratori vogliono e si aspettano dall’organizzazione. La soddisfazione di un lavoratore è in grado di apportare un vantaggio in termini economici di tutto rilievo.

Per comprendere il problema dall’origine ritengo sia utile fare un breve excursus storico sui vari modelli di organizzazione aziendale applicati dall’inizio dell’industrializzazione ad oggi. In particolar modo mi focalizzerò su quelli che sono stati i due modelli che hanno creduto al trattamento dei lavoratori in maniera totalmente differente: Fordismo e Toyotismo. Nel primo capitolo quindi tratterò argomenti come il reclutamento, la formazione e la comunicazione come fattori di base affiche un’azienda possa puntare a fidelizzare i propri dipendenti. Si affronterà la questione Employer Value Proposition e quindi: «Tutto ciò che le

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2

cioè la soddisfazione per il lavoro, l’ambiente, la leadership, i colleghi, la retribuzione, etc»1.

Nel secondo capitolo andrò ad analizzare i comportamenti che un buon manager dovrebbe, o non, mettere in atto se vuole valorizzare, far crescere e trattenere una risorsa potenzialmente interessante. Ho ritenuto interessante inserire in questo capitolo anche alcune teorie psicologiche sulla motivazione. Credo che esse rappresentino una conoscenza di base per ogni buon manager. Comprendere tali teorie significa capire le azioni dei propri subordinati e cogliere le loro esigenze. Inoltre, ritengo che i costi del turnover debbano essere attribuiti proprio alle azioni dei manager. La maggior parte dei licenziamenti dipendono da una cattiva comunicazione all’interno del gruppo di lavoro, dovuta ad un’incapacità del manager di implementare un buon sistema di comunicazione.

Nel terzo capitolo cercherò di affrontare il problema della retribuzione, monetaria e non, e degli incentivi su cui una buon organizzazione deve puntare per trattenere i propri dipendenti. Partirò da quelli che sono stati gli studi fatti da Barnard in merito alla cooperazione e all’incentivazione per poi arrivare a dare una definizione del concetto di Total Reward System. Analizzerò nei dettagli le varie forme di incentivazione più usate nelle azienda di oggi. Concluderò tale capitolo parlando del ruolo che occupano tutti quei fattori non monetari, come i benefit, il welfare aziendale e la work life balance, ai fini di una completa fidelizzazione del personale.

Nel quarto ed ultimo capitolo sarà invece preso in analisi il caso Ferrero international spa. L’azienda, a seguito di investimenti e avvii di produzione all’estero, trova difficoltà ad attrarre potenziali candidati. La risposta al problema ed il successivo succeso viene data dall’implementazione di una valida politica di Employer Branding ed Employer Value Proposition.

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3

I Capitolo: Approcci per aumentare la Retention

1.1 L’importanza del fattore umano nelle aziende: evoluzione

In questo paragrafo vorrei approfondire come è nato il bisogno, da parte delle imprese, di attirare a se lavoratori sempre più esperti e istruiti. Possiamo affrontare il problema individuando due epoche storico-economiche che sono il “Fordismo” e il “Toyotismo”. Il Fordismo prende appunto il nome dall’azienda in cui nasce, grazie a colui che è stato il pioniere di questo stile di produzione e controllo ovvero Taylor.

Il Fordismo si inserisce in un contesto di nascita industriale primordiale, i studi di Taylor avvengono nei primi decenni del novecento. In quegli anni, soprattutto in Europa, sorgevano grandi imprese, provocando così quello che è stato il più grande fenomeno migratorio dalle campagne alle città verificatosi nel nostro paese. Queste persone che venivano dalle campagne non erano affatto formate nel lavoro che avrebbero dovuto svolgere nelle fabbriche, nonostante ciò la fabbrica aveva bisogno di loro, e al contrario di oggi la loro scarsa formazione non era un problema. Questo per almeno due punti: 1) le grande impresa aveva bisogno di un numero elevato di lavoratori, e non poteva pretendere che questi fossero già istruiti dato il fatto che il lavoro nella grande fabbrica era una novità per tutti. 2) il paradigma di base sulla quale si fondava la grande impresa era la catena di montaggio2. Quest’ultima aveva il vantaggio e lo svantaggio di frammentare

l’intera operazione di creazione di un bene a singole operazioni basilari svolte da diversi operatori. Queste mansioni così semplici e ripetitive potevano essere assegnate anche ad operatori non specializzati. Inoltre nel sistema tayloristico il

2 Nell’intendo di ridurre i costi di produzione, Ford si accorse che un punto nodale era rappresentato dal

montaggio finale dei diversi componenti e in tal senso introdusse la catena di montaggio. MARCO GIANNINI, Evoluzione delle forme di organizzazione della produzione, lezioni di organizzazione delle aziende industriali, Dipartimento di Economia e Management, Università di Pisa 2014-2015, inedito, p.21.

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concetto di qualità era un qualcosa che avveniva soltanto a lavoro compiuto e quindi nella decisione finale di revisione del prodotto finito.

Il risultato di questo approccio portava a una netta separazione tra produzione e collaudo. Il prodotto veniva collaudato una volta uscito dai reparti produttivi. L’ispezione era affidata ad un organo di controllo, un vero e proprio ente con una precisa collocazione all’interno della struttura organizzativa. L’ispettore interveniva per verificare eventuali scostamenti dei standard prefissati in sede progettuale.

Questa mancata formazione produceva degli errori nel prodotto finale e dato che l’organo di controllo era tenuto a collaudare solo alla fine del processo e quindi ad oggetto compiuto, quest’ultimo risultava non più recuperabile3. Andare a

controllare soltanto alla fine del processo significava anche controllare le operazioni svolte dai collaboratori a processo produttivo concluso e quindi comprendere l’operazione sbagliata diventava di una certa difficoltà. Il concetto di qualità inteso in questo senso è presente fino agli anni ’50. La crisi di questo modello è arrivata anche per il malcontento dei lavoratori che nella grande impresa non avevano alcun potere decisionale sulle mansioni da loro svolte. Subivano un’alienazione che sfociava in una crisi d’identità che nei peggiori casi ha portato al suicidio. Vi era un malessere avvertito da tutti.

Nel sistema tayloristico nascono figure professionali come il “cronometrista”. Era la persona che doveva cronometrare una singola operazione che doveva essere svolta nel minor tempo possibile all’interno della catena di montaggio. Nascevano cosi battaglie tra chi cronometrava e chi lavorava in catena di montaggio. Quest’ ultimi, quando capivano di essere sotto visione del cronometrista, inventavano movimenti inutili ai fini della produzione, ma che facevano rallentare il processo produttivo in modo tale da non lavorare costantemente ad alti ritmi. È chiaro che

3 Cfr. MARCO GIANNINI, Evoluzione delle forme di organizzazione della produzione, lezioni di

organizzazione delle aziende industriali, Dipartimento di Economia e Management, Università di Pisa 2014-2015, inedito, p.32.

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5

un contesto lavorativo fatto da gruppi di lavoratori in lotta tra loro non poteva funzionare e produrre vantaggio economico per l’impresa.

Il coinvolgimento del personale è un processo che attraversa tutte le fasi della vita di una risorsa all’interno di un’organizzazione. Se l’intenzione della direzione risorse umane è coinvolgere il più possibile le proprie risorse, allora dovrà prendere coscienza del fatto che essa giocherà un ruolo fondamentale nell’offrire tutti i mezzi necessari ad ogni singola risorsa, affinché questa possa avere la possibilità di acquisire conoscenze che possano farla sentire professionale, responsabile e motivata. Di fatti il processo di coinvolgimento del personale agisce attraverso due leve importantissime che sono: “la motivazione” e “la responsabilizzazione”. In un era economica dove il concetto di qualità totale prevale, dove il concetto di “kaizen”4 introdotto con il Toyotismo pone le basi di

un nuovo modo di lavorare, la finalità dei manager delle risorse umane è quella di coinvolgere i dipendenti facendoli sentire parte del processo di crescita qualitativa dell’azienda5. In questo nuovo contesto lavorativo, come si è già visto, il fattore

economico non va ad essere sostanziale nel coinvolgimento della risorsa. La direzione del personale deve quindi concentrarsi molto sulla formazione, sui programmi di addestramento, su come trasmettere conoscenze in maniera costante durante tutto il periodo lavorativo della singola risorsa, seguendo quello che è il modello del life long Learning. Il ruolo svolto dalla direzione delle risorse umane sembra tutt’altro che semplice in quest’ottica. Offrire un pari trattamento a tutti i dipendenti e altri organi aziendali in maniera affidabile ai giorni nostri è una sfida per tutti gli addetti alle risorse umane.

4 Il Kaizen è la composizione di due termini giapponesi, KAI (cambiamento, miglioramento) e ZEN

(buono, migliore), e significa cambiare in meglio, miglioramento continuo; il metodo Kaizen è l’insieme delle tecniche che ci permettono di pensare, analizzare e di migliorare, attraverso le persone, l’efficacia operativa. È stato coniato da Masaaki Imai, manager della Toyota.

http://alyante.teamsystem.com/blog/lean-production/metodo-kaizen visitato 06/05/2017

5 MARCO GIANNINI, politiche della qualità, coinvolgimento del personale e dinamica organizzativa.

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1.1.1 L’avvento del Toyotismo

Il modello scientifico di Taylor arriva al fallimento totale con l’arrivo di nuove teorie che promuovevano i valori dei singoli lavoratori. Elton Mayo, esponente delle “human relation”, ha rivoluzionato un po’ il modo di pensare e ha dato valore ai singoli lavoratori di quella che era la grande azienda. Durante i suoi studi negli stabilimenti di Hawthorne della Western Eletric Company, attraverso degli esperimenti fu il primo a capire che la spinta motivazionale a lavorare in un’impresa non era solo data dal fattore economico. I lavoratori volevano sentirsi partecipi nelle scelte e dire la propria su come raggiungere un obiettivo. È il primo a capire che lo spirito di gruppo, le norme sociali, i rapporti interpersonali sono tutti fattori che possono portare al raggiungimento di obiettivi produttivi. Attraverso gli studi fatti da quella branca della psicologia del lavoro ovvero la “human relation” si è capito che specializzare un lavoratore in una singola operazione elementare è un qualcosa che porta all’apatia e alla completa passività del lavoratore alla vita aziendale. Mayo e i suoi collaboratori erano in una fase inziale degli studi, ma sicuramente erano sulla strada giusta per comprendere che questa passività portava a tutta una serie di conseguenze negative sia per il lavoratore che per l’organizzazione. Il lavoratore, abilissimo nell’operazione a cui era predisposto, risultava incapace di sostituire un suo collega sulla catena di montaggio. Questo era solo uno dei tanti problemi che portava il modello fordista. Il lavoratore non si sentiva capace di poter costruire un determinato bene dalla A alla Z, non sviluppava quindi un senso di identità, che lo faceva sentire soddisfatto e realizzato per il lavoro che svolgeva. L’apatia nell’ambiente di lavoro è uno dei mali che deve essere continuamente sconfitto. Esso porta con se tutte conseguenze che possono dimostrarsi fatali sia per il collaboratore che per il futuro dell’organizzazione.

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1.1.2 Il valore differenziale dato dal fattore umano

Il valore delle risorse umane nelle aziende è rafforzato da un cambio di cultura sociale che ha modificato le esigenze dei clienti. Se nel periodo del boom economico i beni prodotti seguivano una sola progettazione, un solo design, una sola tecnologia, oggi è richiesta la personalizzazione dell’oggetto. Se quindi nella vecchia società industriale l’unica caratteristica presa in considerazione era “l’affidabilità tecnica”, oggi le esigenze e le caratteristiche prese in considerazione dal cliente sono ben altre. Le richieste di oggi, seppur sullo stesso bene, differenziano nei dettagli ed è qui che il ruolo delle risorse umane gioca un ruolo fondamentale. Le macchine producono in serie e non sono capaci di modificare le loro funzioni o quanto meno non lo sono a costi contenuti per le aziende, l’uomo invece, è capace di agire in maniera razionale e di differenziare le operazioni di creazione di un oggetto o di una prestazione di servizio. L’uomo è capace di accumulare conoscenza, esperienza, l’uomo può essere definito, in questo senso, come un contenitore di “risorse invisibili”. Il Professor M. Giannini nei suoi studi a tal proposito dice:

«Cosi i prodotti di oggi, in modo sempre crescente non hanno più nella componente tecnologica e materiale la loro centralità rispetto alla quale servizio e comunicazione erano considerati accessori o comunque elementi periferici, ma proprio in questi ultimi ritrovano la loro capacità distintiva e competitiva. Molti prodotti poi, non hanno più un solo elemento critico, […] ma sono come un intreccio inscindibile di risorse “visibili” ed “invisibili” dal quale nasce il valore per il consumatore. Sono e saranno proprio le risorse invisibili la fonte della vera forza competitiva dell’impresa e il fattore chiave nel percorso evolutivo dell’azienda. Esse sono molto difficili da accumulare, non sono acquistabili solo con il denaro e richiedono tempo per essere

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sviluppate ed è infatti attraverso tutte le operazioni giornaliere che si possono immagazzinare»6.

Con queste parole si può comprendere che oggi viviamo in epoca industriale dove “l’affidabilità tecnica” di un bene o servizio che si vende al cliente, rappresenta il fattore di base per l’entrata nel mercato di competenza e che questo non sarà l’unico requisito richiesto dal cliente. Nella società economica di oggi, a fare la differenza è il servizio offerto che ruota intorno al core business aziendale. Offrire ai clienti un buon sistema di comunicazione, gentilezza e cordialità è chiaramente indice di qualità complessiva del bene o servizio venduto. Ciò quindi significa concentrare le forze aziendali su quello che è il fulcro aziendale ma investire continuamente su quei fattori come la formazione che vanno a valorizzare le persone che offrono un bene o servizio. La società occidentale di oggi devo liberarsi pienamente da quella concezione taylorista che si ha del singolo lavoratore aziendale, da sempre considerato un prestatore d’opera. I giapponesi hanno inteso l’importanza di stimolare ogni singolo lavoratore a produrre idee innovative molto prima di noi ed è probabilmente per tale motivo che oggi loro godono di un’economia ricca e stimolante. La critica che si potrebbe fare all’occidente è che nonostante il Toyotismo abbia dimostrato sin da subito i suoi benefici sia sul benessere umano che economico siamo comunque rimasti troppo attaccati al modello Fordista. Il sistema scientifico di Taylor ha fallito dal punto di vista umano. La divisione del lavoro, come noto, ha condotto all’alienazione dell’uomo e al suo asservimento alla macchina.

6 MARCO GIANNINI, politiche della qualità, coinvolgimento del personale e dinamica organizzativa.

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1.2 Le risorse aziendali

Il punto di partenza è che qualsiasi impresa al momento della sua nascita ha bisogno di risorse. Le risorse possono essere di diversi tipi e a seconda del tipo di impresa si ricorre a quelle più opportune. Sono proprie le risorse di cui si serve l’impresa a fare la differenza sul mercato, a differenziare l’impresa dalle altre concorrenti. È pertanto di fondamentale importanza essere rigorosi nella scelta se appunto si vuole che esse diano un vantaggio competitivo.

Le risorse vengono definite come fattori produttivi singolarmente individuabili, disponibili o controllati dall’azienda e da questa utilizzati strumentalmente per lo svolgimento delle varie attività (produttive, commerciali, organizzative, ecc.)7.

Le risorse possono essere distinte e classificate nelle tre seguenti categorie: - Tangibili.

- Intangibili. - Umane.

Le risorse tangibili sono quello più facilmente individuabili e misurabili e vanno a costituire il patrimonio fisico e finanziario dell’organizzazione. Stabilimenti, macchinari, materie prime e così via.

Le seconde, dette intangibili, sono rappresentate dalla tecnologia, dalla reputazione e dalla cultura aziendale. Marchi, relazioni con clienti o stakeholder, diritti di proprietà sono tutti fattori intangibili.

Infine, parlando di risorse umane, si fa riferimento all’insieme delle persone che offrono una loro prestazione in cambio di un salariato e altri vantaggi di vario genere. Il capitale umano può quindi essere definito con queste parole.

Human capital represents the human factor in the organization; the combined intelligence, skills and expertise that give the organization its

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10

distinctive character. The human elements of the organization are those that are capable of learning, changing, innovating and providing the creative thrust which if properly motivated can ensure the long-term survival of the organization8.

Nei prossimi paragrafi sarà approfondita l’importanza di avere un capitale umano altamente qualificato. Esso infatti è l’unico fattore capace di differenziare un’organizzazione dalle sue dirette concorrenti.

1.3 Reclutamento

È chiaro che il vantaggio competitivo dato dalle competenze dei lavoratori può essere fondamentale per guadagnare spazi di mercato, in questo paragrafo infatti si va ad analizzare come lavoratori interni possono dare un ottimo vantaggio competitivo proprio perché sono cresciuti in quell’azienda ed hanno acquisito quella specifica cultura aziendale. Altri lavoratori esterni, che con attenta valutazione, dimostrano di avere qualità per un determinato lavoro possono risultare appetibili agli occhi dei manager. Negli anni passati si è data poca importanza alla necessità di trattenere i propri dipendenti. Ogni qualvolta un dipendente va via apporta un costo elevato per l’organizzazione. Quest’ultima infatti è costretta a sostituire lo stesso lavoratore, con una nuova persona che ha bisogno di un tempo per ambientarsi ed entrare a pieno regime di carico di lavoro, e un costo di formazione che varia a seconda del grado di istruzione su quello che va a svolgere. Il turnover, per l’impresa, può costare dalle 50 alle 70 volte lo stipendio di chi è andato via. In più, l’azienda subirà il valore aggiunto che il vecchio dipendente può dare ad un’azienda concorrente.

Essere orientati al recruiting significa avere una forte cultura orientata all’esterno, sempre alla ricerca di persone competenti e professionali, ma significa anche

8 MICHAEL ARMSTRONG, a handbook of human resource management practice, (tenth edition 2006),

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impegnarsi nella costruzione di un employer brand9 forte, capace di attrare un

numero consistente di professionisti. Il recruiting inteso in questo senso è un vero e proprio stile di comportamento mantenuto dall’organizzazione in maniera costante. L’importanza della funzione di reclutamento aumenta col diminuire dei candidati, e con l’aumentare dei requisiti richiesti, ma diventa del tutto indispensabile quando l’immagine dell’organizzazione verso l’esterno non è del tutto positiva10.

Il monitoraggio dei possibili nuovi dipendenti è sempre attivo e non solo quando si ha una carenza di personale. Questa politica permette all’organizzazione di avere a disposizione un “vivaio” di talenti pronti a scendere in campo in caso di turnover. Il reclutamento però non avviene solo attraverso le richieste di assunzione che vanno dal lavoratore al datore di lavoro, e che molto spesso questi non sono nemmeno impiegati in nessuna azienda. Il reclutamento deve avvenire anche viceversa, anzi, quando avviene è perché bisogna sottrare pedine fondamentali ai maggiori competitors. Questo lo si può fare andando a pescare lavoratori validi di altre organizzazione e attirare la loro attenzione attraverso offerte di lavoro. L’ufficio recruiting in questo caso deve essere particolarmente abile a cogliere quelli che sono i fattori che possano spingere un lavoratore altamente qualificato a spostarsi da un’azienda all’altra. È chiaro che in questo senso avviene una vera e propria battaglia che vede scendere in campo i reparti di recruiting di due o più aziende che si contendono una risorsa umana altamente specializzata. È proprio per questo motivo che molte aziende investono in un recruiting interno che guarda ai propri interessi meglio di un’organizzazione a cui il processo stesso viene esternalizzato. Inoltre c’è da dire che quando si ha una forte employer brand, le aziende concorrenti vedono appetibili i propri dipendenti e quindi possono attuare politiche di attrazione. In questo caso devono essere subito individuate le aziende che possono attaccare i propri dipendenti ed attuare politiche di blocco. Risulta

9 Cfr. EUGENIO AMENDOLA, corporate recruiting, Anthea Consulting, Bologna 2008, p. 21. 10 ARGENTERO PIERGIORGIO, L’intervista di selezione, Franco Angeli 2000,p.75

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quindi essere di particolare importanza dare valore al lavoratore e a quello che fa. Farlo sentire una pedina fondamentale all’interno dell’organizzazione. Solo in questo modo egli può non cadere alle tentazioni che vengono dall’esterno.

1.4 Employer branding

L’employer brand si dimostra la base di una buona politica di reclutamento e punto di partenza per la fidelizzazione del personale interno. Rifacendoci alla definizione di Kotler si può dire che con il termine brand si fa, quindi, riferimento: «al nome, termine, segno, simbolo o disegno oppure ad una combinazione di questi al fine di identificare i beni o servizi (product brand) di un’impresa o l’impresa stessa (corporate brand) e di differenziarli da quelli della concorrenza»11. Al centro della

filosofia dell’employer branding c’è la convinzione che l’azienda debba definire e implementare le proprie strategie di marketing e branding per il recruitment e la fidelizzazione della forza lavoro con lo stesso impegno con cui lo fa per il cliente. L’operatività dell’employer brand si colloca in un ambiente di recruiting molto competitivo dove quindi una forte immagine aziendale può determinare il successo. Seppur il tempa dell’employer brand può sembrare distante da quelle che sono le tematiche relative al mondo HR, in realtà sono due campi che se collaborano possono apportare un valore aggiunto non indifferente all’impresa. Gli HR infatti possono servirsi delle tecniche di employer brand per andare ad inculcare determinati valori ai singoli dipendenti. L’immagine che arriva all’esterno di quella organizzazione, o meglio delle condizioni di lavoro di chi ne fa parte gioca un ruolo fondamentale su quella che è l attrazione dei nuovi talenti e il mantenimento di chi già ne fa parte. L’HRM in questo senso può servirsi di queste politiche di employer brand per fidelizzare le proprie risorse. Per tali ragioni le politiche di employer branding devono arrivare per forza di cose ad un pubblico vasto e deve quindi cercare di dire quello che tutti i lavoratori vorrebbero sentir dire dal management di un’azienda ovvero:

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- Presentare l’azienda come luogo di lavoro appetibile e attraente (attraction);

- Minimizzare la conflittualità tra colleghi e massimizzare il senso di appartenenza all’azienda, all’interno (retention).12

Esso significa portare l’organizzazione a partecipare in maniera attiva alla vita socio-economica in cui la stessa è radicata. Eventi, spettacoli, sport, convention sono tutte occasione dove l’organizzazione può uscire allo scoperto e farsi notare, offrendo un immagine di essa limpida e chiara, come un luogo dove ogni lavoratore vorrebbe lavorare. Fattori come: buona condotta, rispetto per l’ambiente, benefits ottenuti dai dipendenti, sono punti di forza per l’employer branding ed è su questi fattori che esso deve spingere. La politica dell’employer brand deve seguire una linea costante durante il corso di vita aziendale. Politiche di comunicazione in questo ambito devono avvenire continuamente in modo tale da ricordare a chi ne fa parte di essere un privilegiato e parte di un élite di lavoratori. Allo stesso tempo la comunicazione esterna deve rimanere costante. In questo, sponsor e altri sistemi di pubblicità giocano un ruolo fondamentale. Anche gli stessi collaboratori interni svolgono attività di pubblicità. Spesso parlano dei contesti lavorativi con amici e familiari. È perciò fondamentale mettere a conoscenza gli stessi dipendenti dei benefici che loro stesso usufruiscono, anche quando loro iniziano a darli per scontati in modo tale da fare una buona pubblicità all’esterno. Un punto di forza su cui spesso l’employer brand si fa forza sono i benefit che l’organizzazione offre.

L’employer brand, fondamentale a creare un immagine aziendale quando più coerente con l’identità della stessa, deve tener conto che negli ultimi anni, soprattutto nella società economica occidentale si fa più attenzione a assets intangibili che tangibili. Se una volta l’obiettivo del lavoratore era quello di avere la possibilità di crescere a livello aziendale in maniera gerarchica e quindi occupare posizione sempre più di maggiore responsabilità e importanza, oggi ci si focalizza

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di più sullo stile o sulle condizioni di lavoro. Molte volte si cerca un giusto equilibrio tra vita lavorativa e tempo libero e che venga data la possibilità di arricchire la conoscenza, sia dal punto di vista professionale che da un punto di vista umano. Nasce il bisogno di entrare a far parte sempre più in maniera attiva nelle scelte decisionali dell’organizzazione. Un concetto pienamente conforme a quella che è stata la fine del taylorismo dove appunto i lavoratori subivano una crisi d’identità perché il loro compito era limitato a piccole operazioni in catena di montaggio. Oggi i collaboratori hanno altre esigenze. Politiche aziendali che permettono job rotation o libertà di prendere iniziative ai fini aziendali danno una soddisfazione tale che può andar ad essere fondamentale nella scelta di lasciare il posto di lavoro o meno da parte del collaboratore. Pertanto, affinché l’organizzazione intende trattenere quanto più possibile i talenti al suo interno, tanto più deve rispecchiare questi valori. Se infatti il lavoratore intravede questi valori aziendali, attraverso l’employer branding, allora esso sarà spinto a farne parte e chi invece ne fa già parte tenderà a restarci più a lungo.

1.4.1 Employer value proposition o EVP

Se quindi l’employer brand cerca di creare un immagine positiva dell’impresa, l’employer value proposition va a rappresentare quello che l’azienda fa per soddisfare i bisogni e le aspettative dei proprio collaboratori. Essa può essere definita come:

«Tutto ciò che le persone vivono e ricevono nell’ambito del rapporto di lavoro con un’azienda e cioè la soddisfazione per il lavoro, l’ambiente, la leadership, i colleghi, la retribuzione, etc.13».

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Figura n 1. Employee Valuee Proposition14.

Il grafico rappresenta chiaramente come l’attuazione di una strategia di employee value proposition sia di estrema difficoltà. La prima difficoltà sta nella scelta della strategia, bisogna infatti impostare una strategia di base che poi riesca a differenziarsi in riferimento ai diversi gruppi di popolazione aziendale. Ci sono bisogni diversi, ci sono culture diverse e aspettative diverse ed è per questo che prima di mettere in campo una strategia di EVP, l’azienda dovrebbe fare un’analisi dei bisogni e delle aspettative su quello che sia l’azienda stessa che i collaboratori sono disposti a dare e a ricevere.

14 Immagine estratta dal sito: http://www.axiomcp.com/services/talent/hr-talent-strategy/employee-value-proposition VISITATO 10/05/2017

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1.5 Il ruolo della formazione

La formazione gioca un ruolo importante affinché le risorse riescano a sentirsi coinvolte ed attratte dall’organizzazione. Andando nel dettaglio è giusto fare una differenza sostanziale tra quello che si intende per “addestramento” e per “formazione”. Il Professor Giannini, all’interno di un suo lavoro definisce l’addestramento come: «un’attività svolta a conferire determinati tipi di abilità, facendo apprendere conoscenze specifiche su un determinato lavoro, fornendo gli strumenti pratici per svolgerlo correttamente»15. Successivamente lo stesso dice:

«il significato di formazione è più ampio, legato alla trasformazione di atteggiamenti, comportamenti, mentalità, in modo tale da interpretare diversamente il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione aziendale»16. Nel

corso dell’evoluzione dell’organizzazione aziendale nei diversi periodi storici il concetto di formazione è andato cambiando man mano, o per meglio dire, ha trovato applicabilità in diversi contesti. Partendo da quella che era la grande impresa più che parlare di formazione si parlava soltanto di addestramento. Gli operai nuovi venivano addestrati su come svolgere la singola operazione che gli era stata assegnata. Il corso di addestramento avveniva al momento dell’inserimento e poi non si verificava più se non con l’arrivo di una nuova macchina. Diverso invece è il concetto di formazione per il modello Toyotista. Grazie a questo modello le cose sono cambiate rispetto alla grande impresa. Il lavoratore non è più un semplice esecutore, a lui infatti è richiesta una capacità di iniziativa, considerato nella sua globalità, con il suo patrimonio di conoscenze e valori. Il Toyotismo ha introdotto concetti come: miglioramento continuo, produzione snella, impresa rete, lavoro in team e soprattutto ha messo fine alla catena di montaggio cosi come nella grande impresa. Questo ha fatto sì che il lavoratore non fosse più limitato a svolgere una sola funzione. Se quindi

15 GIANNINI M., politiche della qualità, coinvolgimento del personale e dinamica organizzativa,

Giappichelli editore, Torino, 1996p.236.

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oggigiorno, al lavoratore, viene richiesto di mettere in atto tutta la sua conoscenza, è giusto che l’impresa offra lui le conoscenze. Nasce quindi il bisogno di diffondere conoscenze attraverso corsi di formazione. I corsi di formazione devono andare a stimolare la persona nel suo complesso, non solo per i compiti che lui svolge. Essa deve spingere su quello che è il sapere, il saper fare ed il voler fare. Deve quindi fornire approcci teorici ai problemi come ad esempio i corsi di formazione orientati alla prevenzione di incidenti lavorativi. Deve offrire le tecniche per poter fare e infine deve trasmettere la cultura aziendale e motivare il personale a fare e fare sempre meglio. In quest’ottica, la formazione non ha più il singolo scopo di andare a istruire tecnicamente il lavoratore, ma va proprio ad educare il dipendente ad una cultura del miglioramento continuo. La formazione quindi con i suoi costi che non sono poi cosi bassi, rappresenta il vero investimento per far fronte alla concorrenza ed ottenere un vantaggio competitivo dato dalla qualità dei dipendenti acquisita grazie a corsi che fanno crescere culturalmente tutta la forza lavoro. Di fatti un’impresa che punta a durare nel tempo investe nelle proprie risorse offrendogli quei mezzi necessari affinché questi possano sviluppare nuove tecniche di lavoro che vadano ad migliorare il prodotto finale mirando all’obiettivo aziendale dello standard di riferimento di “zero difetti”. Questo può avvenire soltanto attraverso il lavoro di professionisti che hanno la costante possibilità di tenersi aggiornati e specializzati in quello che fanno. Per l’azienda evitare un controllo a posteriori significa eliminare ingenti costi e questo è possibile farlo quando ogni lavoratore assume una cultura della prevenzione, immaginando il suo collega come un cliente a cui vendere il proprio prodotto. In questo modo ogni lavoratore tenderà a svolgere il lavoro nel migliore dei modi sapendo che il lavoro dai lui eseguito arriverà nelle mani di un collega attento e vigile. In questo caso quindi la formazione va a rafforzare il concetto di qualità ma allo stesso tempo assume l’importante compito di responsabilizzare ogni lavoratore.

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La formazione assume anche l’importante ruolo di offrire al lavoratore quel senso di appartenenza che stimola e coinvolge il lavoratore al lavoro. Con il fordismo, i lavoratori si trovano ad affrontare una forte crisi d’identità. Persone che lavoravano in catena di montaggio sapevano svolgere soltanto una delle tante mansioni utile al compimento del prodotto finale. Questo risultava tutt’altro che gratificante, mortificati e demotivati si alienavano. Oggi, grazie a quanto avvenuto con la grande impresa si è inteso che la formazione non deve avvenire solo all’ingresso, ma deve accompagnare tutta la vita del lavoratore. Se nel periodo inziale e quindi di addestramento, la formazione tenderà ad offrire al lavoratore le nozioni teoriche per le azioni che lui è tenuto a svolgere, successivamente il ruolo della formazione sarà quello di contestualizzare le mansioni del singolo lavoratore ed orientarle alla mission aziendale. Assumerà, ulteriormente, lo scopo di motivare e responsabilizzare. La prima fase sarà quella di analizzare e valutare l’utilità o meno di un corso di formazione. I formatori dovranno individuare i destinatari di quel determinato corso e quindi fare un corso apposito per l’intera forza lavorativa, parte di un’intera popolazione aziendale oppure singoli lavoratori. Qualunque metodo loro metteranno in atto dovranno seguire lo schema PDCA (Plan-Do-Check-Action). Il quale bisogna per prima cosa pianificare un corso di formazione individuando gli elementi critici da migliorare. Come secondo step, bisognare “fare”, quindi creare un vero e proprio sistema di formazione, individuando le tecniche attraverso il quale diffondere il sapere ed allo stesso tempo individuare gli argomenti che meglio vanno ad ottenere lo scopo del corso. Si passa poi all’ “attuazione” del programma di formazione ed infine, cosa molto importante, si passa alla fase del “controllo”. In quest’ultima fase è possibile fare due analisi. Una è di tipo economico, in questo caso si va ad analizzare il costo del corso, un’operazione che va fatta per chiarezza e trasparenza ai fini del bilancio economico aziendale. Diversa è l’operazione di controllo che va fatta sui risultati ottenuti dal corso di formazione. Un operazione che risulta essere facile quando per oggetto del corso si affrontano temi pratici, come tecniche lavorative. A quel punto è facile confrontare il lavoro a posteriore con il lavoro antecedente al corso.

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Il controllo assume tutt’altra difficoltà quando come oggetto di formazione ci sono temi che possono essere definiti intangibili, come il caso di un corso di formazione teso ad allineare la cultura del personale con quella aziendale. In tal caso dovranno essere presi degli indicatori indiretti, come ad esempio: la soddisfazione del personale o l’assenteismo17. Riassumendo quanto detto finora, quello che gli

addetti alla formazione dovrebbero fare è cercare di invogliare tutti i lavoratori ad informarsi, ad istruirsi ed appassionarsi alle tematiche legate alla loro professione. Questo porta vantaggi di gran lunga maggiori rispetto al metodo tradizionale di formazione che parte dall’azienda e si conclude con un corso di poche ore.

1.6 Necessità di forme di coinvolgimento: motivare.

L’importanza data al coinvolgimento del personale è di recente apparizione. Nell’impresa fordista infatti non vi erano presenti programmi di coinvolgimento. I lavoratori non avendo potere decisionale, non avevano il potere di apportare modifiche alla propria mansione, questo comportava una monotonia che li portava al distacco con l’azienda. Grazie agli studi fatti sulle relazioni umane e quindi sui bisogni di cui il lavoratore necessita, si è inteso l’importanza di dover tenere il lavoratore sempre coinvolto nelle operazioni aziendali. L’alto grado di coinvolgimento è in grado di offrire tutta una serie di vantaggi e per il lavoratore e per l’organizzazione. Tra i vantaggi, quelli più rilevanti, si ricordano: l’aumento della produzione di sevizi o beni di qualità superiore, minor assenteismo e turnover, migliori processi decisionali, corretta soluzione ai problemi ed minor numero di incidenti. Cosa importante è che le politiche di coinvolgimento devono prevedere un buon sistema premiante in modo tale da premiare chi risulta pienamente attivo e coinvolto alla vita aziendale.

17 Cfr. Ivi. p.244.

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1.6.1 soddisfazione

I questionari sulla motivazione sono un modo efficace per comprendere lo stato del lavoratore, purtroppo riescono a dare un quadro non del tutto veritiero. Ci si può approcciare a tale discorso in due diversi modi, uno più generico e l’altro più dettagliato. Nel caso di un questionario con un intenzione più generica comporterà domande del tipo: «tutto sommato sei soddisfatto del tuo lavoro?»18. Nel caso

invece di un questionario più dettagliato si affronteranno, nello specifico, tematiche relativa a: 1) condizioni fisiche del lavoro, 2) la discrezionalità di scelta dei metodi di lavoro, 3) i rapporti con i colleghi, 4) il riconoscimento per il buon lavoro svolto, 5) i rapporti con il diretto responsabile, 6) il grado di responsabilità attribuito, 7) retribuzione economica, 8) opportunità di poter usare capacità personali, 9) relazioni tra management e lavoratori nell’organizzazione, 10) opportunità di carriera, 11) modo in cui viene gestita l’organizzazione, 12) attenzioni ai suggerimenti proposti, 13) orari di lavoro, 14) grado di varietà nel lavoro svolto, 15) sicurezza del posto di lavoro.

1.6.2 Un approccio psicologico al problema

Gli autori P: Warr e G. Clapperton, nella loro opera19, affrontando il problema della motivazione individuano sei componenti del lavoro che possono influire significativamente sulla felicità o infelicità che si ha dal contesto lavorativo. Il primo fattore in analisi è il “denaro”. Secondo gli autori ci sono persone che mettono questa componente al primo posto. Tale componente può dare felicità solo in un breve periodo, di fatti si avrà un picco di felicità dovuta al denaro nei primi

18 PETER WARR, GUY CLAPPERTON, The Joy of Work? Jobs, Happiness, and You, London-New

York, Rputledge, 2010.( trad. It.[ a cura di Guido Sarchielli]), Il gusto di lavorare. Soddisfazione, felicità

e lavoro, Il mulino, Bologna 2011, p.44.

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mesi che si guadagna uno stipendio più alto. Successivamente tale stipendio risulterà non più motivazionale dato che il tenore di vita è divenuto più alto e che quindi lo stesso stipendio non permette più la possibilità di ottenere nuove cose. Detto ciò, è chiaro che il denaro resta un indicatore fondamentale per valutare la soddisfazione di un lavoratore, ma di certo esso non è tra le componenti lavorative che riescono a rendere un lavoratore felice. In genere si suggerisce di mantenere lo stipendio in media con quelli nazionali o magari aumentarlo di poco rispetto agli altri20.

Una seconda componente analizzata dagli autori succitati è: “ambiente fisico adeguato”. Nella maggior parte dei casi, condizioni lavorative spiacevoli o non sicure causano insoddisfazione. Per quanto la qualità dell’ambiente fisico possa essere un fattore oggettivamente valutabile, resta comunque soggettiva la valutazione di esso. Per lo stesso ambiente lavorativo, ci sono infatti lavoratori che percepiscono il rischio di pericoli di incidenti e altri invece che non li avvertono. Questo perché ogni persona fa riferimento al suo vissuto, alle conoscenze ed alle esperienze avute in precedenza. Ci sono persone che si dimostrano molto esigenti rispetto la qualità dell’ambiente lavorativo, altri ossessionati dalla sicurezza, altri ancora corrono molti rischi, fino all’imprudenza21.

Terzo fattore motivazionale è il “ruolo di valore”. La felicità al lavoro può dipendere anche dalla considerazione che gli altri hanno su un determinato lavoro. Il giudizio di valore di un lavoro può essere espresso in termini di posizione gerarchica, ma è anche una questione personale connessa con la propria autostima. In entrambi i casi, la motivazione del lavoro svolto è data dall’identità che si crea grazie a quel lavoro. Poter dire “io sono un medico” è motivo di orgoglio per molti nella nostra società. Questo comporta responsabilità e motivazione a mantenere quello status sociale.

20 Ivi, pp.115,116.

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Ulteriore punto preso in analisi dagli autori è: la “supervisione di sostegno”. Questo punto fa riferimento al ruolo che hanno i manager e la leadership in generale. Ad essi è infatti affidato l’importante compito di supervisionare, ma allo stesso tempo di essere il miglior collega per ogni lavoratore. Un buon leader deve essere efficace ed efficiente, deve saper essere molto professionale e allo stesso tempo deve essere “amico” dei suoi dipendenti. Solo cosi il lavoratore si sentirà ben voluto e potrà considerare il ruolo svolto dal manager come un fattore motivante per il suo lavoro.

Il quinto punto riguarda le «prospettive di carriera»22. Avere un piano di carriera

ben sviluppato è molto importante per la serenità del lavoratore e della sua famiglia. Sapere quello che accadrà, sapere che per il suo futuro lavorativo è previsto uno scatto di carriera o che comunque egli potrà continuare a svolgere tale mansione è un fattore che tende a motivare e rasserenare. Tale presa di coscienza permette di mettere da parte tutta una serie di stati d’animo che vanno a rendere la giornata lavorativa stressante. L’individuo in generale ha bisogno di sapere che le cose vanno sempre a migliorare, che il futuro preservi qualcosa di bello, nella vita, come nel lavoro.

Infine il sesto punto analizzato è quello del “trattamento equo”. Molti lavoratori attribuiscono particolare importanza al trattamento degli individui e dell’ambiente in generale da parte dell’azienda. Imparzialità e onestà sono gli elementi che dovrebbero contraddistinguere un manager. Un pari trattamento verso ogni lavoratore, adottando un unico metodo di arbitrarietà va ad eliminare quelle sensazioni di ingiustizia e iniquità. Un contesto lavorativo dove vengono fatti dei favoritismi, dove viene fatta differenza sull’assegnazione dei lavori desiderati e indesiderati, dove vengono fatti favoritismi sugli incentivi monetari e non, si verifica un livello di demotivazione piuttosto alto che porterà il dipendente ad allontanarsi dall’azienda il prima possibile.

22 Cfr. Ivi, pp124, 125.

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1.7 Engagement

Un tema di fondamentale importanza in quello che il problema di come reclutare e fidelizzare talenti è sicuramente quello dell’engagement. Con il termine engagement si fa riferimento alla:

«Motivazione dei dipendenti a dare di più o a profondere un maggior impegno rispetto a quello richiesto dallo svolgimento del proprio compito con il risultato di generare risultati miglior in termini di performance e di produttività23».

È dimostrato che aziende con collaboratori con un forte senso di attaccamento ed entusiasti hanno maggiori probabilità di avere performance di qualità, portando vantaggi economici all’azienda. Oggi, viviamo in un’epoca dove il lavoratore oppure il candidato pone attenzione si sulla retribuzione ma non è quella la vera leva motivazionale. Esso infatti va a considerare la presenza o meno di fattori che possano responsabilizzare e a farli sentire realizzati. C’è il bisogno che questo nuovo lavoro o posizione lavorativa riesca a creare un senso identitario, di fatti è stato proprio questo il fallimento del vecchio fordismo dove appunto i lavoratori non riuscivano a creare un senso d’identità dovuto al fatto che in quel contesto aziendale erano tenuti a svolgere solo parte di un operazione più complessa. Pertanto, il candidato al momento dell’assunzione, oltre che sentirsi dire l’ammontare del proprio salariato ha bisogno di sapere qual è il piano di carriera sviluppato per lui. Molti studi affermano quanto detto, in particolare è utile citare un indagine italiana “Job Satisfaction 2007”24. Questo studio è utile a far

comprendere che spesso fattori come la retribuzione e i benefits sono importanti ma la principale causa per cui un collaboratore sceglie di abbandonare l’azienda è per motivi riconducibili al clima aziendale. Qui si comprende che quando diversi collaboratori tendono a lasciare il proprio posto libero è probabilmente perché si avverte un malessere nel passare il tempo sul luogo di lavoro. Esso può dipendere

23 EUGENIO AMENDOLA, corporate recruiting, Anthea Consulting, Bologna 2008. p.39.

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da contrasti tra collaboratori dello stesso ufficio o ancor peggio tra collaboratori e responsabili. In entrambi i casi quello che viene a mancare è sicuramente la comunicazione. Ascoltare le problematiche e cercare di risolvere quanto più possibile le avversità messe in risalto dai collaboratori è sicuramente una delle strada da intraprendere per far sì che ogni lavoratore possa sentirsi rispettato e stimato nel luogo di lavoro.

1.7.1 Misurazione engagement

In questo paragrafo sarà affrontato il tema della misurazione soltanto da un’ottica descrittiva e quindi non viene lasciato spazio ai tempi di misurazione analitica. Il livello di coinvolgimento e attaccamento all’azienda da parte di tutti i collaboratori andrebbe misurato in maniera periodica. Successivamente a tali misurazioni andrebbero attuate strategie utili a tenere alto il livello di engagement.

Un indicatore base in questo senso è sicuramente “l’identificazione valoriale” tra i valori del singolo lavoratore e i valori dell’organizzazione. Se infatti il lavoratore o candidato non si riconosce con i valori aziendali, allora risulterà impossibile creare una complicità tale da portare il lavoratore o il futuro lavoratore a compiere azioni compatibili con quelle aziendali utili a raggiungere il fine ultimo.

Un fattore a cui bisogna porre attenzione è “l’intenzionalità a restare a lungo nell’organizzazione”. Al momento delle selezioni è bene prendere in considerazione quei candidati che hanno maturato esperienze longeve in altre aziende. Questo infatti fa subito capire che essi sono più portati a radicalizzarsi all’interno di un contesto aziendale e meno predisposti a drastici cambiamenti. Il fatto che un lavoratore abbia un forte senso di engagement o meno dipende in maniera concreta dal management aziendale o meglio ancora dalle politiche attuate in questo ambito. Organizzare un’azienda che lasci spazio ai dipendenti di esprimere opinioni o di procedere senza avere regole rigide da seguire può sicuramente aiutare a responsabilizzare e coinvolgere le persone nei fatti d’interesse aziendale. Il collaboratore al momento dell’assunzione deve si sapere

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bene il ruolo che va ad occupare ma allo stesso tempo gli deve essere lasciata libertà a trovare il miglior metodo possibile nel compiere un’operazione. È giusto che al momento dell’inserimento nell’organizzazione il nuovo collaboratore venga sottoposto a corsi di formazione, ma è altrettanto giusto lasciare che quest’ultimo possa sentirsi libero di apportare modifiche innovative. Se infatti le idee o tecniche da lui introdotte sono apprezzate dalla dirigenza, esso si sentirà ben voluto e apprezzato e di conseguenza sarà stimolato ad impegnarsi oltre i limiti del suolo ruolo prefissato. L’importanza del ruolo svolto dalla dirigenza è fondamentale in questo senso, essa infatti deve incentivare i collaboratori a partecipare in maniera attiva, deve offrire loro la possibilità di farlo e quando essi producono qualcosa di buono, deve saperlo riconoscere e ricompensare. Tutti i manager ed in particolare gli HR devono usare la comunicazione per far sentire i collaboratori ben voluti ed importanti per il fine aziendale.

È opportuno fare indagini, interviste, focus Group, ricevere feedback formali e informali utili a comprendere lo stato di engagement di ogni singolo collaboratore.

1.8 Conseguenze di un cattivo ambiente lavorativo

Quello che tutti i datori di lavori e, nel caso delle grandi aziende, tutti i manager dovrebbero sapere è che un ambiente poco piacevole dove passare la propria giornata lavorativa, può comportare conseguenze devastanti sia per l’organizzazione stessa che per i singoli lavoratori. Alla base di tutto vi è ancora una volta la comunicazione. Dove ci sono problemi di vario genere è sempre opportuno parlarne con i propri colleghi o ancor meglio con il manager o datore di lavoro. Molto spesso si tende a non parlare proprio perché dall’altra parte, manager o datore, non sono cosi aperti al dialogo e pronti ad affrontare le problematiche. È chiaro che dove si verificano problemi di comunicazione, nella maggior parte dei casi dipende dalla fascia manageriale. Sono loro che devono inculcare l’idea della comunicazione a tutti i lavoratori. Molto spesso quando questo non avviene, gli

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stessi lavoratori hanno il timore di parlare e mettere in evidenza un problema. Tutto ciò comporta o può comportare danni più o meno seri, sia all’azienda che al lavoratore. La gravità può variare a seconda del tipo di lavoro, ma mettiamo il caso si ha a che fare con lavori manuali e quindi ad alto rischio di incidenti fisici, cosa succede se un lavoratore segnala il mal funzionamento di un macchinario ma a lui non viene dato ascolto? I casi possono essere molti e gli incidenti anche. Molto spesso questa mancata comunicazione porta i lavoratori a chiudersi in se. Il non comunicare conduce ad un alienazione ed apatia che porta appunto ad incidenti. Come già detto nel precedente paragrafo, lavorare in un buon ambiente è sinonimo di qualità. Lavorare in un cattivo ambiente, purtroppo il più delle volte porta a stress che si ripercuote anche nella vita di tutti i giorni dei lavoratori. Se quindi la fascia manageriale non investe nella comunicazione, non investe in iniziative per creare un team unito, non dà fiducia e non inorgoglisce i propri collaboratori, ai giorni nostri non vedrà altro che il fallimento, economico oltre che sociale.

1.9 La qualità in ambienti lavorativi che promuovono le idee dei

singoli

In questo paragrafo voglio approfondire la relazione che c’è tra il concetto di qualità e un ottimo ambiente lavorativo. L’uomo com’è noto è molto attento ai fattori motivazionali messi in atto da parte dell’azienda. Il lavoratore non si sveglia ogni mattina per andare a lavoro con la consapevolezza di ottenere in cambio solo il salariato. Egli ha ben altre aspettative, per le funzioni da lui svolte ha bisogno di sentirsi importante, ha bisogno di sapere che ha fatto un buon lavoro. È per questo che attraverso la comunicazione è importante mettere a conoscenza il lavoratore di aver svolto un buon lavoro. Fare presente l’aver svolto un buon lavoro è un qualcosa che produce vantaggi in termini di qualità sia per il lavoratore che per l’azienda. Se quindi abbiamo detto che l’azienda si costituisce di risorse visibili e invisibili è anche vero che l’uomo può essere considerato un contenitore di quelle

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invisibili. Queste stesse risorse invisibili si generano nella mente dei lavoratori. È pertanto utile, da parte dell’azienda, stimolare i lavoratori a sviluppare idee per le operazioni da loro svolte. Questo arricchirà il bagaglio culturale aziendale e allo stesso tempo darà una spinta motivazionale al lavoratore, orgoglioso della messa in atto di una sua idea. Tutto questo processo è sinonimo di qualità, di maggiore efficienza lavorativa con relativi abbattimenti di costi superflui ed abbassamento di rischio di incedenti. Un buon ambiente lavorativo, in questo senso, tende a sviluppare quella che è definita “life long learning” ovvero “apprendimento durante tutta la vita”. Infatti, se è vero che a fare la differenza sono le risorse invisibili, è altrettanto vero che se a queste persone non viene data possibilità di affacciarsi a nuove conoscenze, queste non potranno arricchire il bagaglio culturale aziendale.

1.10 Comunicazione interna

La comunicazione interna è sempre esistita nelle aziende, per forza di cose, quando si collabora per il raggiungimento di uno scopo finale, è opportuno comunicare per una buona cooperazione.

«La comunicazione può essere considerata come meccanismo di gestione della complessità aziendale e costituisce la leva manageriale più indicata per lo sfruttamento del potenziale innovativo presente nell’azienda stessa. Si tratta allora di concepire la comunicazione aziendale (esterna ed interna) come opportunità di riprogettazione degli assetti organizzativi, delle modalità gestionali del sistema di controllo»25.

Assume però particolare importanza con la fine del fordismo e l’avvento del Toyotismo. Se prima la comunicazione avveniva in modo monodirezionale, con le nuove teorie dell’organizzazione si dà maggiori importanza alla comunicazione

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che può avvenire anche in modo bottom-up. Da quando si è compreso che i fattori motivanti per i lavoratori non erano solo correlati al salariato si è compreso l’utilità di comunicare con loro. La comunicazione porta importantissimi benefici di tipo sociale ed economico. È possibile scindere la comunicazione di un’organizzazione in “comunicazione interna” e “comunicazione esterna”. La comunicazione interna si inserisce nelle contesto relazionale che avviene tra organizzazione e forza lavoro, manager e collaboratori, tra i vari organi aziendali, ma anche le relazioni con le famiglie dei dipendenti, i fornitori e concessionari. Attraverso la comunicazione interna si coinvolgono emotivamente i collaboratori, si diffondono valori che vanno a fondare la base delle azioni intraprese per il raggiungimento del fine aziendale. Oggigiorno, se l’obiettivo del management rimane quello di trattenere i propri dipendenti, allora deve creare un ottimo sistema di comunicazione. Un sistema di comunicazione efficiente è sinonimo di qualità e di un buon ambiente lavorativo. Una buona comunicazione è fondamentale per inculcare quelli che sono i valori aziendali. Se il lavoratore è messo in condizione di entrare a conoscenza con quelli che sono i punti cardini dell’identità aziendale sarà ancora più facile individuare il fine del suo operato. Svolge quindi una funzione motivazionale, se stimolato attraverso la comunicazione, un lavoratore può produrre molto di più rispetto ad un ambiente lavorativo dove la mission aziendale è quasi dimenticata o data per scontata. Il lavoratore ha bisogno di avere sotto i propri occhi i numeri, i risultati del proprio lavoro. È questa la vera spinta motivazionale. Se in epoche precedenti la nostra si è pensato il fattore economico come unica spinta motivazionale oggi si può affermare che a motivare le persone sono ben altri fattori tra cui anche quello economico. Il desiderio di crescita, il riconoscimento da parte dei propri superiori per un lavoro ben svolto, l’approvazione e la messa in atto di una propria idea fa sentire il lavoratore rispettato, ben voluto ed importante per l’intera organizzazione. La comunicazione interna di oggi ha l’importante potere di far sentire sicuri i lavoratori. La sicurezza del posto di lavoro, la stabilità economica, la consapevolezza di poter essere tutelati dall’organizzazione per cui si collabora, rappresenta uno dei fattori

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motivanti. È chiaro che la comunicazione deve avvenire in maniera costante, è un qualcosa che non può e non deve essere trascurata.

La comunicazione svolge la sua funzione anche dal punto di vista organizzativo. Attraverso di essa, i diversi livelli dell’organizzazione devono poter scambiare informazioni, verticalmente e orizzontalmente. A tutti i livelli deve essere garantita la possibilità di esprimere le proprie idee, in modo tale da influenzare gli altri attraverso la propria conoscenza o esperienza. Da questo punto di vista i manager hanno il compito di creare un sistema di informazione e comunicazione capace di coinvolgere tutto il personale. Ogni membro deve sapere quali sono state le decisione prese in determinati contesti. Quest’ultimo potrà attuare, ai fini organizzativi, azioni coerenti a tali informazioni.

Nei contesti organizzativi dove è sviluppato un buon sistema di comunicazione, i processi lavorativi avvengono in maniera fluida, gli stessi colleghi riescono a conoscersi meglio l’un l’altro. Si verifica infatti un aumento della percezione della propria dimensione e delle proprie capacità26.Questo permette di creare un

ambiente più collaborativo dove i colleghi tra loro si aiutano a vicenda. In questo modo i conflitti interni diminuiscono e se pur si verificano, con una buona comunicazione si riescono a trasformarli in qualcosa di costruttivo. La comunicazione dal punto di vista del fattore socio-relazionale è davvero importante affinché le persone decidano di restare o andar via da un organizzazione. Si può anche avere un buono stipendio, ma se il clima organizzativo non è dei migliori il lavoratore tenterà ad andare via. È inevitabile la nascita di discussioni quando si lavora fianco a fianco tutti i giorni ed è pertanto utile saper comunicare ed affrontare i problemi volta per volta. Accumulare problematiche senza che queste vengano affrontate può portare il lavoratore in una fase di stress che comporta in maniera negativa l’operato di quest’ultimo.

26 Cfr. http://mercatifinanziari.postlauream.luiss.it/files/2012/03/Lezione-23-novembre-2012-Casalino.pdf VISITATO 15/05/2017

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La comunicazione interna come si è detto ha l’importante capacità di far avvertire un senso di benessere ai dipendenti. È importante quindi implementare un ottimo sistema di comunicazione. Da studi si capisce che le persone più soddisfatte a lavoro sono quelle che hanno la possibilità di comunicare in maniera diretta e face to face con i capi. Un ottimo sistema di comunicazione interno tende ad un’interattività tra tutti i componenti dell’azienda. Comunicazione interna è quindi una conseguenza di quello che è il concetto di qualità totale, ma è anche la base di quella che è la gestione del personale aziendale. È infatti attraverso la comunicazione che si gestiscono e soprattutto si sviluppano le qualità dei singoli. Marco Gianni affrontando la questione afferma che: «ogni innovazione passa quindi attraverso le persone, che devono condividere le ragioni, comprendere i meccanismi di funzionamento, attuarla nei loro comportamenti quotidiani27». In

questa affermazioni è chiaro che le finalità di un intervento di gestione del personale possono essere percepite in modo positivo e quindi essere accettate, ma nel peggiore dei casi, possono essere interpretate in modo differente e che quindi la risorsa possa comportarsi in un modo inaspettato. È per tale motivo che il sistema di comunicazione deve essere implementato nel migliore dei modi cercando di eliminare sistemi di intermediazioni e affrontato le scelte operative con il confronto faccia a faccia. Una scarsa comunicazione può provocare effetti indesiderati, un’ottima comunicazione da i risultati attesi. Detto ciò appare evidente che la comunicazione è un mezzo importantissimo per attrarre nuove risorse e coinvolgere sempre di più chi già fa parte dell’organizzazione.

1.10.1 Comunicazione all’interno del gruppo

Nel corso della nostra vita entriamo ed usciamo continuamente da cerchie, gruppi di persone, con i quali noi interagiamo continuamente. Ciascuno di noi cerca di soddisfare il desiderio di sentirsi valido e importante ricorrendo innanzitutto alle risposte dalle persone a noi vicine. Uno dei gruppi a cui noi teniamo di più è quello

27GIANNINI M., politiche della qualità, coinvolgimento del personale e dinamica organizzativa,

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lavorativo, passando con loro gran parte della giornata. È pertanto importante per ognuno di noi sentirsi dire frasi che ci fanno capire di essere ben voluti ed importanti nel gruppo. Bisogna quindi saper comunicare per ottenere il massimo da un gruppo. Con la creazione di piccoli gruppi i rapporti tendono ad instaurarsi in maniera informale e più amichevole ed per questo che secondo Likert: la direzione industriale dovrebbe proporsi di creare diversi gruppi efficaci collegandoli in una sola organizzazione attraverso persone che partecipano contemporaneamente a diversi gruppi28. Ciò che resta importante nella

comunicazione all’interno di un gruppo è che tutti i membri si sentano liberi di comunicare tutto ciò che ritengono opportuno, al di là della posizione che essi occupano all’interno del gruppo. Allo stesso tempo devono garantire l’ascolto al resto dei membri.

Se viene a mancare un buon sistema di comunicazione non ci saranno tutti i presupposti affinché il lavoratore possa sentirsi pienamente soddisfatto del suo luogo di lavoro. La comunicazione è il mezzo più potente per togliere tutte le ostilità tra collaboratori e rendere un ambiente di lavoro dove per ogni lavoratore svolge le proprie funzioni in maniera del tutto serena.

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II Capitolo: L’importanza del ruolo del manager

2.1 Il ruolo del manager

Il ruolo del manager in questo senso è quello di intermediare tra le parti al fine di riportare la tranquillità. È di fatti il manager che deve stimolare i lavoratori a comportarsi come amici e non solo colleghi. Un ambiente amichevole e un buon spirito di gruppo riesce a far sì che gli obiettivi siano raggiunti in meno tempo e con ottimi risultati. Il manager, risulta essere, sotto gli occhi dei lavoratori, sempre sotto esame. Esso infatti deve porsi sempre in maniera tale da stimolare e motivare il lavoratore a produrre e compiere in sicurezza le proprie operazioni di competenza. Tutti gli studi, infatti, evidenziano che i dipendenti reagiscono positivamente a scelte manageriale che si dimostrano di aiuto. Quando il manager assumerà un atteggiamento di superiorità incutendo timore, oppure farà distinzione di trattamenti, il lavoratore tenderà a reagire negativamente29. Ciascuno di noi

come individuo, come essere umano, vuole essere apprezzato, riconosciuto, realizzato e rispettato nella vita economica e sociale. Il ruolo del manager in molti casi risulta tutt’altro che facile, motivare una persona non è un procedimento omologato per tutti. Le risorse umane sono le risorse più complicate e difficili da gestire che un organizzazione può avere. In quanto uomini fatti di istinti e razionalità, agiamo in maniera differente l’uno dall’altro. Le doti di un manager capace di motivare vengono fuori quando è capace di individuare i fattori di una determinata persona sui quali dover far leva. Il manager deve infatti prevedere come il lavoratore reagirà alle sue parole. Qualsiasi interazione dipende sempre dal modo in cui le parti percepiscono tali parole. Molto spesso, conoscere il passato di un lavoratore, la sua storie e gli avvenimenti che più l’hanno segnato, possono essere di aiuto al manager. Un altro punto cardine per il manager è l’ascolto. Un buon manager deve avere una buona dote di ascolto. Nel periodo industriale che ricade sotto il fordismo, al manager veniva richiesto solo una buona

29https://www.manageritalia.it/content/download/Informazione/Osservatorio_Manageriale/7Rapporto _man_set2012.pdf VISTATO 04/06/2017

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