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LA TUTELA DELLA SALUTE NEGLI STATI UNITI D'AMERICA: EVOLUZIONE E PROSPETTIVE.

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A Nonno M. che è stato con me in ogni istante di questo percorso,

ai miei genitori, incommensurabile gioia del cuore, ai quali devo

tutto, a Lorenzo, amico e compagno per il quale nessuna parola di

ringraziamento sarà mai abbastanza e a tutte le persone che mi

vogliono un bene sincero e che, ogni giorno, mi insegnano ad

essere una persona migliore.

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"Of all the forms of inequality, injustice in health care is the most

shocking and inhumane."

Martin Luther King Jr.

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3

Indice

Introduzione……….……..….………...5

1.La tutela della salute nella Costituzione americana e nelle fonti

internazionali………..…………...8 1.1.La genesi della Carta costituzionale americana………….….………..8 1.2.I Framers a Philadelphia……….………….…...15 1.3.E il diritto alla salute? Una svista o una singolare

stranezza?………...………....……...22 1.4.Definizioni di diritto alla salute nelle fonti

internazionali………….……….……...36 1.4.1.WHO (World Health Organization)………...……...38 1.4.2.DUDU (Dichiarazione Universale dei Diritti dell'

Uomo)……….……….……..….43 2.Nascita ed evoluzione del welfare state e della tutela della salute da Roosevelt a Johnson………..…………...48 2.1.I primi passi verso il welfare state americano: il New Deal di F. D. Roosevelt………..………….….………...48 2.2.Verso il riconoscimento del diritto alla salute: da Truman a

Kennedy……….…………..…..70 2.3.La Great Society di Lyndon Johnson: Medicare &

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3.Nascita ed evoluzione del welfare state e della tutela della salute da Nixon a Bush………..…………...102 3.1.Il New Federalism di

Nixon………..………….…………..……102 3.2.Tagli al welfare state: la Reaganeconomics

……….………..126 3.3.La Health Care Reform di Bill Clinton

………...………...……….……139

4.La riforma sanitaria di Barack H.

Obama………..…………...151 4.1.Riformare il sistema sanitario americano: un lungo e farraginoso dibattito prima della proposta di legge

………..………….…………..…………...151 4.2.Il difficile iter legislativo dell' ObamaCare

……….…………..….184 4.3.I contenuti del Patient Protection and Affordable Care Act……….…202 4.4 La riforma del Presidente Obama di fronte alla Corte

Suprema………..220

Bibliografia……….237 Ringraziamenti………..…..253

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5

Introduzione.

Il tema della salute è, da circa due secoli, l’argomento più ostico e controverso che puntualmente si presenta, insieme alle numerose controversie e polemiche, ad ogni amministrazione quando si trova ad accettare l’incarico per guidare le sorti degli Stati Uniti d’America.

Il presente lavoro si propone di tracciare l’evoluzione in chiave politico-giuridica di un valore fondamentale come la tutela della salute umana, valore che, ancora oggi in America, non è considerato un vero e proprio diritto. Dopo un breve excursus storico ed una ricostruzione dei fatti finalizzata ad enunciare i motivi per i quali un valore fondamentale non trova riconoscimento all’interno della Carta costituzionale, nei successivi capitoli si delineano le origini e le prospettive di un welfare state che ha impiegato molti anni, prima di trovare un adeguato spazio, all’interno della grande nazione americana.

In primis si analizza la difficile sorte che hanno avuto i cosiddetti positive rights, ossia i diritti sociali, diritti che rischiano ogni giorno di essere fagocitati da mire capitalistiche e da interessi economici maggiori che, da sempre, in’ un ottica competitiva di massimizzazione dei profitti, governano qualsiasi settore.

Il punto di partenza è, senza dubbio, il New Deal del Presidente Franklin Delano Roosevelt e l’approvazione del Social Security Act del 1935, conquista che raggiunge la sua massima espansione prima con il Presidente Kennedy e, successivamente, durante la Great Society di Lyndon B. Johnson. Un’analisi accurata verrà dedicata all’esame degli unici due programmi sanitari pubblici (Medicare e Medicaid) che, nel 1965, videro nel Congresso, a maggioranza democratica, un potente alleato.

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Particolare attenzione sarà poi dedicata alla giurisprudenza dell’organo giudiziario americano e, soprattutto, verrà evidenziato lo scetticismo e la scelta di non assumere scomode posizioni in merito ad un tema così discusso e osteggiato quale quello della tutela della salute e, in generale, di ogni diritto sociale che preveda un intervento e una ingerenza da parte del Governo federale.

Dopo un peculiare esame dei punti di debolezza e delle contraddizioni del sistema sanitario americano, verranno accuratamente argomentate i principali disegni riformatori proposti in primis dal Presidente Clinton agli inizi degli anni novanta e, successivamente, dal quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti, Barack H. Obama.

Un’attenta indagine sarà dedicata allo studio del modus operandi delle compagnie assicuratrici e delle case farmaceutiche, verrà analizzato il farraginoso iter parlamentare che ha connotato la ObamaCare, i peculiari assetti istituzionali del sistema federale statunitense e l’influenza di molteplici attori, sconosciuti nell’ordinamento italiano, ma tanto influenti in quello americano.

Verranno, in seguito, esaminate le manovre finanziarie, le misure transitorie approvate e i disegni di legge proposti alla Camera dei Rappresentanti e al Senato, al fine di arrivare ad una proposta di legge organica in grado di disciplinare il “non-sistema sanitario” americano.

Esamineremo, infine, la decisione pronunciata alla fine di giugno 2012 dalla Suprema Corte, pronuncia che ha in parte salvato e riconosciuto la legittimità costituzionale del Patient and Affordable Care Act di Obama.

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CAPITOLO 1: LA TUTELA DELLA SALUTE

NELLA COSTITUZIONE AMERICANA E NELLE

FONTI INTERNAZIONALI.

Sommario: 1.1 La genesi della Carta costituzionale americana. – 1.2 I framers a Philadelphia. – 1.3 Ed il diritto alla salute? Una svista o una singolare stranezza? – 1.4 Definizioni di diritto alla salute nelle fonti internazionali. – 1.4.1 WHO (World Health Organization) – 1.4.2 DUDU (La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani)

1.1 La genesi della Carta costituzionale americana.

Scritta all’alba della Rivoluzione francese, la Carta Costituzionale degli Stati Uniti d’America nasce nel 1787 ed è rimasta fino ad oggi quasi inalterata superando sia la guerra di secessione sia i due conflitti mondiali1; da allora, infatti, sono stati apportati al suo testo originale solo ventisette emendamenti. I primi dieci emendamenti, in verità, sono stati aggiunti nel 1791 e pertanto sono considerati parte integrante di essa sia perché coevi sia perché la completano e la integrano introducendo il “bill of rights”, ossia la dichiarazione dei diritti che era assente nel testo originario.

A fronte degli innumerevoli e sempre più fragili equilibri che coinvolgono il costituzionalismo postmoderno, caratterizzato da brevissime e tortuose stagioni, come si spiega questa inusuale longevità della Legge Fondamentale

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statunitense? Come e perché il costituzionalista Walter Berns sostiene che “ciò che maggiormente colpisce riguardo la Costituzione americana è quanto poco essa abbia dovuto essere modificata o adattata”?2

Forse dobbiamo ricercare questa singolare ed inusuale stabilità nelle radici storiche e negli eventi che hanno condotto l’America alla sua adozione, tenendo ben presente che il termine longevità non deve essere accolto nella sua accezione negativa poiché, la costante opera di interpretazione giudiziale svolta dalla Corte suprema e le modifiche legislative operate dal Congresso, hanno fatto sì che - “attraverso un continuo processo di osmosi tra costituzione formale e costituzione materiale”3- la Carta costituzionale si adattasse progressivamente ai mutamenti storici, sociali e politici.

Per capire le ragioni di questo peculiare fenomeno è opportuno delineare brevemente gli accadimenti che hanno portato alla ratifica di questa Carta; per usare le parole di Fabrizio Tonello, docente della facoltà di Scienze Politiche presso l’Università degli studi di Padova, si tratta del documento che raccoglie un consenso tale che non ha “eguali in alcun altro paese” e i sondaggi confermano costantemente una straordinaria fiducia del popolo americano nella loro Legge Suprema.4

Edward Corwin, lo studioso più insigne della Costituzione americana, già lo scorso secolo nel libro “L’idea di legge Superiore”, anticipò questa percezione usando addirittura la parola “venerazione” (ripresa dal “Jubilee Discourse in the Constitution” di John Adams) per indicare il forte sentimento che lega, senza mai oscillare, il popolo statunitense a questo testo.

2S. M. GRIFFIN, Il costituzionalismo americano. Dalla teoria alla politica, Bologna, Il

Mulino, 2003, p. 34 – W.Berns, Taking the Constitution Seriously, New York, Simon and Schuster, 1987, p. 238

3

P. TESAURO, Lezioni di diritto pubblico americano, Napoli, Liguori Ed, 1976, p.14

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Come è nata e come è rimasta inalterata nel tempo questa straordinaria e mai latente fiducia nei confronti dei Padri costituenti?

La vita sociale delle tredici ex colonie britanniche era regolata secondo le leggi e i principi della madrepatria e la Common Law inglese veniva corretta ed integrata solo marginalmente dalle singole legislazioni locali.5

I coloni, sebbene fossero molto orgogliosi e rivendicassero fortemente la immensa portata dei loro “diritti inglesi” quali l’ habeas corpus, la partecipazione alla vita pubblica e la protezione giuridica contro gli abusi del potere, avvertivano sempre più il bisogno di gestire indipendentemente il loro destino e, soprattutto, di distaccarsi da una sempre più invadente legislazione proveniente da Westminster in materia di tributi e dazi; la maggioranza delle élites coloniali era, infatti, ferma nel ritenere che il parlamento britannico non avesse né la legittimazione né la competenza di emanare normative inerenti alla loro vita locale.

Ecco che si possono facilmente capire le resistenze e le ostilità a cui dettero voce intellettuali e patrioti quali Hopkins, Adams e Otis6 che, grazie alla loro formazione e alla ottima conoscenza delle opere di Locke e dei Commentaries di Blackstone, sostennero in documenti costituzionali l’ incompetenza del parlamento britannico a legiferare in materia fiscale senza il consenso delle assemblee locali.

Le autorità britanniche dal canto loro non rinunciavano facilmente all’ambito obiettivo di uniformare il regime delle colonie per ricondurlo all’interno degli schemi del diritto inglese (prova ne sono il “Board of Trade” del 1703 e la

5G. BOGNETTI, Lo spirito del costituzionalismo americano, vol. I, La costituzione liberale,

Torino, Giappichelli, 1998, p.19

6G. SACERDOTI MARIANI – A. REPOSO – M. PATRONO, La costituzione degli Stati

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“Carta delle libertà e dei privilegi di New York” del 1683 all’interno dei quali si colgono i tratti principali di una Corona sempre più incalzante che cercava in ogni modo di controllare l’amministrazione coloniale attraverso una penetrante politica economica e un influente potere di veto capace di paralizzare ed annullare ex tunc delibere locali approvate in seno alle assemblee coloniali).

Nel “Declaratory Act” del 1766 si può leggere la presa di posizione di Lord Grenville tesa ad argomentare come anche le colonie americane, in quanto suddite della corona inglese, dovessero osservare le leggi nate all’interno della camera dei Lords e la opprimente tassazione stabilita dal parlamento britannico sotto Re Giorgio III.7

Il parlamento inglese aveva la legittimazione per farlo?

I tumulti e le resistenze americane, divenute più aspre dopo l’emanazione di provvedimenti stringenti quali quello che sancì il monopolio del commercio del tè alla British East Company8, sfociarono nella Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776 che proclamò sia la definitiva rottura da ogni vincolo di obbedienza e fedeltà nei confronti del Commonwealth britannico sia il riscatto e la richiesta di quei diritti fondamentali che la Gran Bretagna aveva calpestato e ignorato a danno dei coloni per lungo tempo.9

A tal proposito James Otis nel suo “The Rights of the British Colonies Asserted and Proved” (1764) e John Adams nella sua dissertazione “The Canon and the Feudal Law” sostengono la portata universale10 di questi diritti, diritti che non possono essere revocati né sospesi da nessuna legge

7

R. ASTRALDI, Op.Cit., p. 15

8 G. SACERDOTI MARIANI – A. REPOSO – M. PATRONO, Op. Cit., p. 27 9 G. BOGNETTI, Op. Cit., p. 22

10

Il termine “universale” non è propriamente corretto in quanto i diritti sanciti nella Dichiarazione di Indipendenza non valgono erga omnes in quanto sono esclusi gli indiani, gli schiavi neri e le donne.

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umana né tanto meno concessi dal parlamento inglese in quanto inalienabili ed appartenenti all’uomo per il solo fatto di essere nato.11

James White, ordinario della facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Michigan, ha definito la Dichiarazione di indipendenza “un grido di speranza, un tentativo di giustificare una rivoluzione, rivolta al Re di Inghilterra, e ancor più alla coscienza dell’Europa. E’ una richiesta di assistenza e di aiuto.”12

Emblematiche, a tal proposito, sono le parole usate a Philadelphia dai delegati rappresentanti del Massachusetts: “rinunciamo sdegnosamente al nostro legame con un regno di schiavi; diamo l’ultimo addio alla Gran Bretagna.”13

La inevitabile conseguenza di tali dissapori fu lo scioglimento di ogni vincolo politico ed economico tra le colonie e la madrepatria, conquista che consentì alle comunità locali di dotarsi sia di un autonomo ordinamento costituzionale capace di soddisfare le peculiari esigenze di questa nuova realtà sia di proprie costituzioni riproducenti quelle parti della Magna Charta (concessa da Re Giovanni senza Terra nel 1215) che si adattavano maggiormente alla loro struttura.

Terminata la guerra di indipendenza ed ottenuta la tanto desiderata autonomia, si presentò un compito impegnativo e complesso per le tredici colonie : costruire gli Stati Uniti.

11

E.S. CORWIN, L’idea di legge superiore e il diritto costituzionale americano, Harvard law review association, 1929 p. 115

12 L. H. TRIBE – M. C. DORF, Leggere la Costituzione. Una lezione americana. Bologna, Il

mulino, 2005, p.16

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Esse, infatti, non rispondevano ad un governo unitario, mancavano di una precisa suddivisione delle competenze e, soprattutto, non avevano abitudini ed usi comuni; per usare le parole di George Washington “il legame ed il rapporto che vi è tra le élites coloniali è pari ad una corda di sabbia, ad un’ombra senza sostanza.”

Queste, ben presto, si trasformarono in stati indipendenti capaci di sostituire i loro vecchi statuti regi in vere e proprie carte costituzionali rigide dotate di una carta di diritti e votate in seno ad assemblee popolari.

Iniziò, dunque, un periodo di straordinario interesse nello sviluppo del costituzionalismo grazie ad un’emergente fioritura di documenti scritti e non modificabili che, per la prima volta, contenevano un elenco di diritti ed una ben articolata organizzazione dello stato, basata sul pilastro fondamentale della separazione dei poteri.

Spinte dalla necessità di agire insieme per un fine comune, le tredici colonie si unirono e dettero vita ad un’ unione permanete suggellata dagli Articoli di Confederazione (ratificati alla fine del 1782) ai quali seguì la convocazione di un’assemblea formata dai rappresentanti di tutti gli stati per elaborare una bozza di Costituzione capace di regolare le esigenze di questa nuova entità.14 Ed è proprio alla convenzione di Philadelphia che il popolo nordamericano (e non più i singoli stati), per mezzo dei suoi delegati, costruì le fondamenta di un nuovo ordinamento articolato in una pari ed indipendente divisione dei poteri tra due sistemi di autorità coabitanti: lo stato centrale competente per una serie di “enumerated powers” (al fine di evitare i soprusi e le angherie che avevano fatto scaturire la guerra d’indipendenza15) ed i singoli stati membri per le restanti materie.

14

G. BOGNETTI, Op. Cit., p. 24

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13

Grazie alla penna di Madison possiamo comprendere la particolarità di questo nuovo assetto ordinamentale, vale a dire una “repubblica composita” alla quale il popolo ha conferito al governo centrale un limitato numero di poteri e le restanti prerogative residuali ai singoli stati; per la prima volta nella storia uno stato era riuscito nell’impresa di far coabitare un governo repubblicano con i vantaggi di un sistema misto come quello inglese.

Non a caso Gladstone, per quattro volte Primo Ministro del Regno Unito, definì la Legge Fondamentale americana “una delle opere più meravigliose che sia mai uscita ad un tempo dal cervello e dalla volontà dell’uomo”.16 Non fu certamente una ratifica facile bensì dominata da compromessi e rinunce ma, le avversità e le reticenze delle forze antifederaliste sostenitrici degli state’s rights, furono parzialmente arginate grazie ad una serie di prestigiosi articoli di giornale, poi pubblicati nel libro “The Federalist”, nei quali Jay, Hamilton e Madison (sotto lo pseudonimo “Publius”17) mostrarono gli ideali e le ragioni giustificatrici di questo documento, accompagnandolo da un autorevole commentario.

Nel 1787 fu così firmata la Carta costituzionale americana (nel 1788 fu ratificata da undici stati, la Carolina del Nord vi aderì nel 1789 e il Rhode Island nel 1790) e, ancora oggi, essa è considerata un “capolavoro di ingegneria costituzionale”18 o, per usare le parole di Madison, “una novità nel mondo politico, senza uguali sulla faccia delle terra”.

16

R.ASTRALDI, Op. Cit., p.10

17

F. TONELLO, Op, Cit., p. 18

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1.2 I Framers a Philadelphia.

Se da un lato la Carta costituzionale statunitense è originale e innovativa, dall’altro essa si inserisce nel solco della tradizione; gli Stati Uniti infatti sono debitori della cultura inglese19 e “l’origine comune delle due nazioni si vede nella common law, nell’equity e nelle tradizioni di libertà dell’organismo sociale”.20

Del resto Dickinson, uno dei più autorevoli conoscitori della storia tra i Padri costituenti, non fece che guardare agli insegnamenti della storia inglese durante i lavori preparatori alla stesura della Costituzione e citò la lunga esperienza della House of Commons, esperienza intesa quale sinonimo di saggezza e sapienza politica ottenuta grazie alla partecipazione alla cosa pubblica.

La saggezza, l’esperienza storica e non, dunque, la ragione furono i principi ispiratori, le linee guida dei delegati a Philadelphia, valori riconosciuti anche da John Adam nel suo “Defence of the Consitututions of the United States”, testo nel quale definisce la Costituzione inglese “la costruzione più straordinaria dell’invenzione umana”.21

“Da molti anni è stato il mio passatempo favorito (…) lo studio dei sistemi di governo propugnati dai vari legislatori antichi e moderni e come risultato si è profondamente radicata in me la convinzione che la libertà, gli inalienabili e imprescrittibili diritti dell’uomo, la dignità (…) e la universale felicità dei singoli non furono mai tenuti presenti con tanta perizia e successo come in

19

Cfr. GRANT GILMORE, Le grandi epoche del diritto americano, Milano, Giuffrè, 1991.

20 C. ADAMS, Op. Cit., p. 6

21 G. SACERDOTI MARIANI – A. REPOSO – M. PATRONO, Op. Cit., p. 34

John Dickinson, delegato del Delaware, sostenne fortemente durante i lavori preparatori alla Costituzione che la ragione avrebbe portato fuori strada in quanto solo l’esperienza sarebbe stata un’ottima guida capace di dare autorevolezza al documento costituzionale.

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quel preclaro monumento dell’umana capacità che è il diritto comune inglese.” 22

Così parlava il giovane avvocato John Adams all’alba della Convention di Philadelphia.

I framers del resto consideravano la Magna Charta il baluardo delle libertà e, in seguito al rinnovato interesse e prestigio che nel diciassettesimo secolo gli conferì Sir Edward Coke, il capitolo ventinovesimo23 di essa assunse un ruolo centrale nel pensiero degli studiosi e dei costituzionalisti americani.24

Anche lo storico Gordon Wood conferma questa interpretazione sostenendo che la Costituzione americana è il risultato di “sviluppi incrementali manifestatisi nel corso del tempo” ossia il frutto dell’esperienza storica. 25 Tuttavia i Padri fondatori non guardarono solo all’esperienza britannica giacché alla Convention di Philadelphia erano presenti molti tra i più illustri uomini d’America i quali avevano una preparazione giuridica, filosofica e politica non trascurabile.

I principi del giusnaturalismo erano ben radicati nella loro formazione, conoscevano molto bene le opere di Grozio, i “Due Trattati sul governo” di Locke, “Lo spirito delle leggi” di Montesquieu, Hume, Pufendorf e Blackstone.

Tuttavia essi non conoscevano Rousseau.

22 E.S. CORWIN, Op. Cit., p. 45

23“Nullus liber homo capiatur vel imprisonetur aut disseinsiatur de libero tenemento suo vel

libertatibus vel liberis consuetudinibus suis aut utlagetur aut exuletur aut aliquo modo destruatur nes super eum ibimus nes super eum mittemus, nisi per legale judicium parium suorum vel per legem terrae”

24

E.S. CORWIN, Op. Cit., p. 55.

25

S. M. GRIFFIN, Op. Cit., p. 34. Vedi anche G. Wood, The Fundamentalist and the Constitution, in “New York Review of Books”, 1988, pp. 39 e ss.

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I verbali e gli scritti post Convenzione sono una testimonianza diretta di questo vasto background culturale e del costante richiamo al passato; i delegati del resto non avevano la storia inglese come unico punto di riferimento bensì erano ugualmente interessati alle esperienze confederali dell’Olanda e della Svizzera senza trascurare i riferimenti alla storia antica di Roma e Atene.

I framers, per giunta, avevano anche recepito i consigli di Adams che, nel 1786, citava l’esperienza delle repubbliche greche come esempio per non ripetere gli errori passati dalle quali attingere per risolvere le problematiche attuali.26

La qualità delle persone presenti in seno alla Convenzione di Philadelphia è da molti studiosi ritenuta uno dei principali motivi del successo della Costituzione americana ed, indubbiamente, si era riunito un gruppo di facoltosi intellettuali dotati di un forte e serio senso dello stato: oltre ai conosciuti Franklin (autore della Costituzione della Pennsylvania), Madison e Hamilton dobbiamo ricordare Morris (“la penna più elegante della convenzione”27) e Dickinson, gran conoscitore ed estimatore di autori latini quali Stobeo. 28

Louis Otto nel suo “Chargè d’affaires” scriveva: “se tutti i delegati parteciperanno non si sarà mai vista un’assemblea più degna di rispetto per il talento, le conoscenze, il disinteresse e il patriottismo di coloro che la comporranno.”

I riferimenti al passato furono dunque una costante, l’esperienza è stata indubitabilmente il punto di partenza e la linea direttrice dell’intera Convenzione e si dice, anche, che Madison fosse solito raccontare la sorte

26

G. SACERDOTI MARIANI – A. REPOSO – M. PATRONO, Op. Cit., pp 46 e ss

27

F. TONELLO, Op. Cit, p.5

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17

delle repubbliche delle antichità, quali le discordie della lega achea o delle tribù germaniche, per non ricadere negli errori commessi in passato.

I framers erano realmente consapevoli dell’arduo compito che avevano intrapreso ed è nota la posizione dell’ anziano Washington, presidente della commissione, che non mancò mai di sottolineare le sue esitazioni e titubanze di fronte a quella bozza di documento che doveva essere il risultato di un precario compromesso ma al tempo stesso un punto di partenza innovativo e straordinario, capace di dotare il nuovo grande paese di una guida sicura. I Padri costituenti avevano, inoltre, dei precisi punti di riferimento quali le Carte coloniali, il bill of rights anglosassone e gli Articles of Confederation e, di ognuno di questi testi, conoscevano gli usi e gli abusi, gli aspetti critici e gli aspetti positivi, i limiti e i punti di forza; le reminiscenze e il guardare all’esperienza sono stati, pertanto, una delle principali ragioni della longevità della Legge Suprema degli Stati Uniti, documento che non ha precedenti nell’epoca moderna.

Ma i primi dubbi e, le non poi così velate titubanze, non tardarono a manifestarsi.

Una gran parte della diffidenza popolare e della sfiducia manifestata dalle forze antifederaliste nei confronti della Costituzione si creò a causa della mancata previsione del bill of rights; infatti, la difficile stagione della ratifica, fu dominata dalla richiesta dei dieci emendamenti tesi a scongiurare il timore e il pericolo di un federal government capace di fagocitare le sovranità periferiche.29

Lo stesso scetticismo fu mostrato a Philadelphia in primis dallo stesso Mason e poi, con una mozione, da Elbridge Gerry, delegato del Massachusetts;

29 G. BOGNETTI, Op. Cit., p. 69

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entrambi non sottoscrissero il testo finale della Carta fondamentale perché, a fronte della maggior parte delle costituzioni statuali dotate di una carta di diritti (la Pennsylvania per esempio aveva già dal 1776 la sua Dichiarazione dei diritti degli abitanti), ritennero insoddisfacente una Costituzione priva di una esplicita previsione dei diritti fondamentali.30

Il dibattito su questa questione non fu mai accantonato e, in seguito alle incalzanti pressioni dei delegati antifederalisti quali Patrick Henry, Richard Lee e Mercy Warren, esso riprese nel primo Congresso riunito per arrivare al 25 settembre 1789, data in cui furono ratificati i dieci emendamenti.31

Questo legame inscindibile tra Costituzione e diritti fondamentali è stato ulteriormente confermato nella sentenza della Corte Suprema West Virginia v. Barnette32;“(…)Government of limited power need not be anemic government. Assurance that rights are secure tends to diminish fear and jealousy of strong government, and by making us feel safe to live under it makes for its better support. Without promise of a limiting Bill of Rights it is doubtful if our Constitution could have mustered enough strength to enable its ratification. To enforce those rights today is not to choose weak government over strong government. It is only to adhere as a means of strength to individual freedom of mind in preference to officially disciplined uniformity for which history indicates a disappointing and disastrous end (…) ”33.

Con queste parole, il giudice Jackson, chiarì che lo scopo della Carta costituzionale era quello di salvaguardare i diritti al fine porli al riparo da

30

F. TONELLO, Op. Cit., p.122

31A. PIERINI, Federalismo e welfare state nell’esperienza giuridica degli Stati Uniti.

Evoluzione e tensioni di un modello neo-liberale di assistenza sociale, Torino, Giappichelli, 2003, p.42

32

West Virginia v. Barnette, 319 U.S. 624 (1943)

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19

maggioranze occasionali, da “intemperie” politiche e da logiche governative; per usare le parole del professor Tonello, docente di American Political System, la Carta Costituzionale “deve disarmare maggioranze temporanee e mal ispirate affinché non feriscano o sopprimano il contenuto morale della democrazia”.34

Per placare le dilaganti apprensioni di coloro che temevano che il Federal Government avrebbe potuto calpestare quei diritti ritenuti inalienabili fin dalla Dichiarazione di indipendenza, fu immediatamente proclamato un elenco di diritti che avrebbe ricevuto la più alta consacrazione e protezione per volere dell’Assemblea Costituente.

Ai fini del presente lavoro non è utile analizzare singolarmente i dieci emendamenti bensì è opportuno anticipare la totale assenza di un diritto fondamentale quale quello della salute, mancanza che, così come fu notata nel 1789, continua tristemente a farsi sentire ai giorni nostri.

La tanto bramata eguaglianza, la auspicata democrazia e le ambite libertà dei Padri costituenti si sono dunque realizzate grazie al bill of rights o si sono amaramente tradotte in una velleitaria eguaglianza formale accompagnata da una concreta esasperazione sociale?

Nel prossimo capitolo approfondiremo l’argomento e vedremo cosa ne è stato dei diritti fondamentali, in primis i diritti sociali, durante il XX secolo; per adesso è sufficiente anticipare ciò che Charles Austin Beard, lo storico americano più illustre della prima metà del Novecento e docente della

Columbia University, ha sostenuto nel suo An Economic Intepretation of the Constitution of the United States”,ossia che i delegati di Philadelphia, con i

dieci emendamenti, hanno travisato le conquiste ottenute con la guerra

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20

d’indipendenza, con la conseguenza che i diritti umani sono stati fagocitati dal capitale monetario e dagli interessi commerciali degli strati sociali più elevati. 35

35 C. A. BEARD, An Economic Intepretation of the Constitution of the United States, New

York, Dover Publications, Inc., 1913 ( trad. it. Interpretazione economica della Costituzione degli Stati Uniti d'America, Milano, Feltrinelli, 1959)

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21

1.3 Ed il diritto alla salute? Una svista o una singolare

stranezza?

Se leggiamo attentamente i dieci emendamenti della Carta costituzionale americana possiamo notare che non vi è traccia della parola “health” e, purtroppo, non si tratta di una semplice svista lessicale.

Agli occhi di un qualsiasi cittadino europeo questo aspetto è totalmente singolare e anomalo perché, se guardiamo “a casa nostra”, ci sembra assurdo ed insensato che un diritto fondamentale come la salute non abbia un ufficiale riconoscimento costituzionale.

Per la nostra esperienza, non solo la salute in generale, ma anche l’assistenza sanitaria, sono diritti costituzionalmente garantiti che trovano spazio e si dispiegano attraverso uno stato che interviene con una progressiva redistribuzione del reddito al fine di diminuire le disuguaglianze economiche e sociali.36

36 Art. 32 Costituzione italiana: “ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto

dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” A tal proposito si veda il punto di vista di G. BERLINGUER in Storia e politica della salute, Milano, Franco Angeli, 1991.

Cfr. Nicola Aicardi, La sanità, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale. Tomo I, II ed., Milano, 2003.

L’Italia, già nel 1948, dedica un articolo della Carta costituzionale al tema della salute, a fronte di altri paesi europei che hanno dovuto attendere gli anni settanta prima di assistere al riconoscimento costituzionale generalizzato del diritto alla salute (per fare alcuni esempi la Costituzione greca è del 1975, quella portoghese del 1976 e del 1978 quella spagnola). La tutela della salute come “interesse della collettività”, come diritto né degradabile né comprimibile, è stata confermata anche dalla giurisprudenza costituzionale (Corte. Cost., 2 giugno 1994, n. 218) fermo restando che l’art. 32 non si traduce immediatamente in situazioni fruibili e gratuite per tutti gli individui poiché è indispensabile e imprescindibile il rispetto degli altri valori costituzionali e della finanza pubblica. La Corte Costituzionale aveva precedentemente annunciato questa linea di pensiero (Corte. Cost. sent.45/1990) affermando che “ il diritto ad ottenere trattamenti sanitari è sì garantito ad ogni individuo, ma trattandosi di un diritto a prestazioni positive, risulta condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato con gli altri interessi costituzionalmente protetti e tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso

(22)

22

Ma non necessariamente dobbiamo essere campanilisti e citare l’esperienza italiana perché basta guardare all’ Inghilterra per notare che la vecchia madrepatria degli Stati Uniti, la nazione che l’America ha preso come modello per forgiare i suoi diritti, è colei che per prima ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale con l’approvazione del National Health Service Act del 1946.37

Non si può certo annoverare l’Inghilterra nella lista dei paesi “rossi” e tanto meno si può sostenere che questa nazione abbia posto l’ideologia socialista alla base della sua Costituzione ma, nonostante ciò, grazie al primordiale impulso fornito dalle forze conservatrici ed accolto dal primo ministro Thatcher nel 1980 conquistando, successivamente, un forte incrementato per volere dell’amministrazione Blair, la Gran Bretagna è oggi il paese che presenta la spesa sanitaria più bassa in percentuale sul Pil e una esile spesa pro capite; le assicurazioni private, del resto, in Inghilterra esistono solo marginalmente e a scopo integrativo perché i migliori e più efficienti servizi sono garantiti ed erogati dalle strutture pubbliche.

Se poi consideriamo “che il modello europeo di assistenza sanitaria si fa risalire all’esempio tedesco di assistenza sociale obbligatoria, fondato nel 1883 dal “Cancelliere di ferro” Otto von Bismarck, il modello americano si

legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento”.

Vedi, a tal proposito, il contributo offerto da N. DIRINDIN in Chi paga per la salute degli italiani?, Bologna, Il Mulino, 1996.

Con la L. n. 833/1978 il legislatore italiano dà attuazione definitiva al precetto costituzionale prefigurando un servizio pubblico sanitario (SSN) informato a principi di solidarietà, universalità e uguaglianza; con questa legge viene sancito il principio dell’accentramento delle entrate , ossia tutte le risorse destinate alla sanità pubblica sono concentrate in un unico fondo (fondo sanitario nazionale) e, successivamente, in un’ottica distributiva, vengono ripartire fra le regioni e le unità sanitarie locali (USL). Il SSN italiano, pertanto, è finanziato sia da ritenute a carico dei lavoratori e dei contribuenti sia da risorse statali.

37

M. CRIVELLINI, Sanità e salute: un conflitto di interesse. I sistemi sanitari dei maggiori paesi europei e degli Stati Uniti, Milano, Franco Angeli, 2004,p.132

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caratterizza per l’origine recente”38, sempre che di modello sanitario americano si possa parlare.

Lo stato sociale non sarà il miglior sistema possibile e, indubbiamente, è affetto da molti mali ma il livello di assistenza, di cure e di sostegno ai bisognosi è di gran lunga peggiore in un paese dove le regole di mercato e i modelli competitivi predominano fino a calpestare un diritto incommensurabile come la salute.39

Come è allora possibile che la più grande democrazia moderna e uno dei membri più influenti dell’ ONU non collochi il diritto alla salute tra i diritti costituzionalmente garantiti? Perché lo stato sociale è molto più generoso e presente in Europa? Ed infine, non è forse terrificante dare un valore economico al proprio corpo?

Ebbene, di fatto la Carta costituzionale e la Corte Suprema americana sono da sempre rimaste in silenzio e, esclusi i due programmi assistenziali pubblici quali il Medicare e il Medicaid introdotti durante la presidenza Johnson, ancora oggi il paese è privo di una copertura sanitaria universale; “da ciò si produce la frattura prospettica tra il vecchio ed il nuovo continente: da una parte vi è la concezione europea di un diritto alla salute considerato come pilastro dell’architettura delle prerogative individuali fondamentali, la cui garanzia è considerata oggetto di tutela imprescindibile in uno Stato costituzionale liberale e sociale e, dall’altro, l’assistenza sanitaria viene concepita come un benefit, accessibile agli individui in ragione della propria

38

C. BASSU, La riforma sanitaria negli Stati Uniti d’America: un modello federale di tutela della salute? in http://www.federalismi.it/

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condizione sociale (…),e l’assistenza sanitaria diventa dunque un privilegio.”40

Il sistema sanitario statunitense, nonostante questa importanza precisazione, è però di gran lunga quello più costoso al mondo sia in termini di spesa pro capite sia in percentuale del Pil e, malgrado le cifre sbalorditive, nella classifica stilata dall’ OMS esso si colloca solo al trentasettesimo posto.41 Il filosofo nordamericano Tom Beauchamp, ordinario di filosofia morale e bioetica alla Georgetown University utilizza queste parole nel libro “Principles of Biomedical Ethics” scritto a quattro mani con il teologo James Childress : “gli Stati Uniti hanno accettato l’ideale del libero mercato per cui la migliore distribuzione dei servizi e dei beni sanitari è quella lasciata al mercato (…) l’assistenza sanitaria non è un diritto e la privatizzazione del sistema sanitario è un valore tutelato.”

In poche e concise parole – citando Micheal Moore, regista del documentario statunitense Sicko - negare le cure equivale ad un risparmio ergo “il principio di fondo è che la salute non è un diritto universale, ma un bene che va conquistato, che i pazienti non sono, appunto, pazienti, ma agenti in un mercato. La speranza è che la mano invisibile del mercato trovi il migliore equilibrio tra costi (tra gli enormi costi della sanità) e benefici (la salute dei cittadini).”42

Per rispondere ai precedenti interrogativi dobbiamo però prima esaminare alcuni altri singolari aspetti del sistema americano.

In primis si deve ricordare che la Costituzione è stata concepita da intellettuali benestanti che avevano come principale obiettivo il minare in

40C. BASSU, La riforma sanitaria negli Stati Uniti d’America: un modello federale di tutela

della salute? in http://www.federalismi.it/

41

http://www.who.int

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toto l’ambizione dello stato centrale di espropriare i loro beni; il loro ideale di stato era infatti quello dotato di un governo centrale in possesso di un limitato numero di poteri e con una marginale ed effimera capacità di intervento nella vita privata delle persone.

Lo storico Charles Beard nel libro “An economic intrepretation of the Constitution” evidenzia che i cinquanta framers erano per lo più avvocati facoltosi provenienti da famiglie abbienti, le quali possedevano schiavi, titoli di stato e fabbriche; appare allora evidente che il loro preminente obiettivo era creare uno stato a tutela dei loro profitti ed interessi economici.43

L’idea di libertà che i Padri fondatori misero nero su bianco nel 1787 era connotata dalla richiesta allo stato centrale di farsi difensore dei diritti personali della popolazione e non, certamente, erogatore e garante di servizi per la collettività.

Prima di analizzare il secondo punto è necessario aprire una breve parentesi e soffermarci su quanto appena affermato.

Per quale ragione oggi, dopo più di duecento anni dalla ratifica, negli Stati Uniti si continua ad avvertire il vincolo di un’ideale e di un complesso di valori vigenti in un’epoca totalmente dominata da esigenze e tematiche diverse da quelle contemporanee, quali per esempio il fenomeno della schiavitù?

Perché un documento costituzionale elaborato da un gruppo di cinquantacinque uomini44e ratificato da solo tredici stati nel 1789 deve oggi pesare a tal punto da erigere imponenti mura e tortuosi freni allo sviluppo dei positive rights?

43

H. ZINN, Op. Cit., p.67

44

R. A. DAHL, How democratic is the American Constitution?, Yale University Press, Londra, 2001, p.3

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A ben guardare in uno scambio epistolare del 1816 con Kercheval, Thomas Jefferson (estimatore di Locke che già nel 1690 reputava inaccettabili le obbligazioni e le promesse contratte dai padri in nome e per conto dei propri discendenti) suggeriva di dotare la Carta costituzionale di una data di scadenza sia per evitare la paralizzazione del sistema, sia allo scopo di convocare una nuova assemblea costituente capace di garantire “ad ogni generazione di scegliere per sé la forma di governo che considera più adatta alla propria felicità.”45

In antitesi con questa convinzione si pose Madison che, nel Federalist numero 49, usò queste parole per sottolineare la necessità di garantire l’equilibrio originale e il pensiero supremo dell’assemblea costituente: “The danger of disturbing the public tranquillity by interesting too strongly the public passions, is a still more serious objection against a frequent reference of constitutional questions to the decision of the whole society. Notwithstanding the success which has attended the revisions of our established forms of government, and which does so much honor to the virtue and intelligence of the people of America, it must be confessed that the experiments are of too ticklish a nature to be unnecessarily multiplied.”46 Hobbes, Pufendorf e Rousseau sarebbero stati certamente in disaccordo con lui in quanto, secondo il loro pensiero, niente può impedire ad un popolo democratico di abolire ogni legge fondamentale quando avverta il bisogno di farlo per ristabilire il patto sociale.

Tuttavia Madison, ma anche altri filosofi e politologi quali per esempio Jon Elster e Stephen Holmes, respingevano fortemente la proposta di convocare periodicamente assemblee costituenti sia per evitare la pericolosità di fazioni

45

F. TONELLO, Op. Cit., p.149

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e tumulti sia perché solo la prima assemblea costituente godeva di una connotazione unica e privilegiata tale da renderla la sola attrice politica.47 Quali altri aspetti hanno arginato il nascere del welfare state e, più in particolare, del diritto alla salute?

Senza dubbio ha giocato un ruolo considerevole anche il sistema elettorale da sempre vigente in America ossia il “first past the post”48 (meglio conosciuto come sistema maggioritario) che, a differenza del proporzionale largamente diffuso in tutta Europa, non ha permesso la nascita dei partiti socialisti ed il conseguente diffondersi dello stato sociale.

Come è noto il first past the post favorisce la nascita del bipartitismo e questo sistema elettorale raccoglie da sempre uno straordinario consenso da parte della popolazione statunitense; tale smisurata fiducia e sorprendente benestare si sono ampiamente manifestati nel non lontano 1993 quando, una candidata alla presidenza della sezione dei diritti civili del Dipartimento di Giustizia, sostenne in una rivista giurisprudenziale che le minoranze avrebbero avuto effettiva voce solo passando ad un sistema proporzionale. Questa affermazione sembrò talmente tanto assurda ed inconcepibile che, non solo la sua candidatura fu stroncata sul nascere, ma anche generò nella collettività una tale reazione che - per usare le parole di Dahl - “avresti potuto credere che avesse bruciato la bandiera a stelle e strisce sui gradini della Corte Suprema.”49

Ed infine, uno degli ultimi aspetti da menzionare come esempio di ostacolo nella corsa verso il diritto alla salute, è il ruolo che da sempre ha ricoperto la Corte Suprema; essa, fin dalle origini, ha guardato con acuto scetticismo ogni

47

F. TONELLO, Op. Cit., p.150

48

R. A. DAHL, Op. Cit., p.44.

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tipo di riforma progressista nell’ambito dei diritti sociali e, ad eccezione del periodo garantista registratosi sotto la presidenza del Chief Justice Warren, ha sempre privilegiato una visione imperniata sul laissez faire economico in perfetta sintonia con il dettato dei federalisti di Philadelphia.

Infatti se da un lato la Corte può esser considerata il principale arbitro nella tutela delle libertà e la paladina del bill of rights, dall’altro essa ha da sempre volutamente rimesso alla discrezionalità del legislatore federale la disciplina dei diritti sociali.50

La perequazione sociale, la solidarietà e l’eguaglianza hanno così ceduto il posto, in nome di ideali intoccabili quali la libertà di mercato e la prosperità economica, alle distorsioni socio-economiche indotte dal laissez faire dello stato centrale; del resto l’ideologia liberale predomina da sempre in qualsiasi settore statunitense e il principio solidaristico viene percepito, oltreoceano, come un pesante freno alla libertà individuale e alla libera iniziativa delle persone.

Per dirlo con altre parole, uno stato giusto è quello che non interviene ridistribuendo risorse ma è quello che si astiene lasciando alle persone i loro mezzi e la libertà di usufruirne come meglio ritengono.

Questi molteplici fattori sono andati per lungo tempo di pari passo facendo in modo che si radicasse nella coscienza della popolazione statunitense l’idea e la convinzione che i diritti riconosciuti costituzionalmente fossero quelli che ogni persona può esercitare liberamente in modo autonomo; infatti la vita, la libertà, la ricerca della felicità nascono insieme all’individuo che può esercitarli e goderne singolarmente a differenza di altri valori quali

50

M. COMBA, Gli Stati Uniti d’America in P. Carrozza – A. Di Giovine – G. F. Ferrari, Diritto costituzionale comparato, Roma, La Terza, 2013, p.152

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l’eguaglianza e la solidarietà che sono concepibili solo ed esclusivamente in rapporto con gli altri.

L’assistenza sanitaria è, indubbiamente, un diritto che presuppone e richiede una costruzione sociale di istituzioni e, ovviamente, uno stato solidale e interventista che opera al fine di eliminare tout court le diseguaglianze e le distorsioni sociali; tuttavia, sebbene non sia mai stata accettata l’idea che il Governo risolva questo problema, si potrebbe almeno prendere in considerazione l’ipotesi che esso possa provare a ridimensionarlo, riducendo per esempio programmi governativi superflui in favore di una efficiente ed efficace assistenza medica per le persone più bisognose.51

Lo storico Alessandro Portelli, docente ordinario di letteratura anglo-americana presso La Sapienza di Roma, in un articolo pubblicato nel 2009 sul quotidiano “Il manifesto”52 evidenzia questo insensato paradosso asserendo che negli Stati Uniti da sempre si respinge e si reputa invadente uno stato centrale che interviene nella sfera del singolo per tutelare il valore della salute che altro non è che la condizione essenziale della vita ossia il primo dei diritti sanciti dalla dichiarazione di indipendenza.

Non è questo uno dei più grandi ed anomali controsensi? Il diritto alla salute non è forse una prerogativa essenziale per poter godere di una vita dignitosa? E, soprattutto, non siamo di fronte ad un palese contrasto con la Legge Suprema statunitense posto che al XIV emendamento (I sezione) si leggono queste parole “nor shall any State deprive any person of life, liberty or

51

P. KRUGMAN, L’incanto del benessere, Milano, Garzanti, 1995,p.332

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property, without due process of law, nor deny to any person within its jurisdiction the equal protection of the laws”? 53

Purtroppo i diritti non esistono per il solo fatto di essere proclamati in Costituzione poiché, come scriveva Piero Calamandrei, se non esiste nel popolo “ un senso profondo della libertà….le costruzioni dei costituzionalisti sono illusori castelli di cartapesta.”54

La riflessione del professor Portelli si spinge oltre per andare a rimarcare un altro aspetto fortemente paradossale; se la detenzione di armi negli Stati Uniti è un diritto assoluto, costituzionalmente garantito e fortemente rivendicato con orgoglio dalla maggioranza della popolazione in quanto ritenuto garante della vita e della sicurezza dei cittadini, non dovrebbe forse avere la stessa importanza il diritto alla salute posto che in assenza di essa non si può concepire una vita né sicura né degna di esser vissuta?

Di fatto, però, il diritto di possedere armi è espressamente sancito nel secondo emendamento55 del testo costituzionale e, come sottolinea il docente,

53

XIV emendamento – Sec. 1 – non potrà alcuno Stato privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge [due process of law]; né negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l'eguale protezione delle leggi.

54

P. Calamandrei, L’avvenire dei diritti di libertà, Introduzione alla seconda edizione di F.Ruffini, Diritti di libertà, cit., pp. 10 e ss.

55 Il famigerato secondo emendamento rende difficile vietare il diritto di possedere armi da

fuoco nel territorio statunitense; anche esso, come l’inviolabilità del domicilio, della corrispondenza e il diritto ad essere giudicati da una giuria popolare, trova le sue radici nella tradizione inglese che ha, da sempre, considerato tali valori una pietra angolare del suo sistema. Subito dopo l’indipendenza il diritto di possedere armi fu proclamato in molte costituzioni statali (la Pennsylvania fu una delle prime ad inserirlo nella sua Costituzione usando le parole “people have a right to bear arms for the defence of themselves and the state”) poi Madison nel 1792 fino ad arrivare alla sentenza Cruikshank (United States v. Cruikshank, 92 U.S. 542 - 1876) con la quale la Corte Suprema conferma l’inviolabilità di questo diritto. Nel 1939 la Corte, però, cambia orientamento e convalida il National Firearms Act emanato dal Congresso, stabilendo la legittimità del possesso di armi solo per le milizie e non per qualsiasi cittadino libero. Nel luglio del 2008 il Supremo organo giudiziario modifica nuovamente la sua giurisprudenza e, spinto dalle incessanti pressioni da parte della National Rifle Association (Fondata a New York nel 1871 con il nome di American Rifle Association, è la più potente lobby e la più antica organizzazione per i diritti civili degli Stati Uniti) ha riconosciuto il diritto dei cittadini di possedere armi, dichiarando incostituzionale la

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negli Stati Uniti “i diritti dei cittadini sono stati incisi una volta per tutte in una venerabile Costituzione di due secoli fa, e ogni idea di evoluzione ed estensione della sfera dei diritti è pensata non come allargamento della sfera di libertà, ma come una entrante invasione da parte dello stato-leviatano.” Orbene, se questo modo di pensare si è nel corso del tempo consolidato e si è radicato nelle coscienze dei singoli, viene automatico pensare che negli Stati Uniti d’America non esistano servizi pubblici gestiti dallo stato centrale. Tronchiamo sul nascere questa analogia e smentiamo subito la veridicità di questa asserzione citando solo alcuni degli esempi possibili; infatti i servizi postali, il corpo dei vigili del fuoco, molti istituti scolastici, le biblioteche, la polizia di stato56, i trasporti e, addirittura il 90% delle strutture che distribuiscono l'acqua corrente, sono di proprietà pubblica.57

Sicuramente i costi sarebbero più esili se tutti questi servizi venissero appaltati ad aziende private che non devono obbedire a norme più severe in materia di assunzione, licenziamento, retribuzione ecc.. ma il motivo per cui da sempre si rifiuta all’unanimità un’azienda privata per spegnere un incendio è perché il settore privato, non riuscendo a coprire i numerosi e svariati rischi, “sarebbe sempre costretto a lesinare sugli spiccioli a spese della sicurezza pubblica.”58

“Tendenzialmente, per tradizione, negli Stati Uniti si registra un favor verso i beni e servizi prodotti dal sistema industriale privato, rispetto a quelli forniti dagli apparati pubblici- sia federali che statali- a meno che dal pubblico derivino vantaggi per l’imprenditoria privata. (…) Questa notazione di

legge del Distretto di Columbia che invece ne vietava ai residenti il possesso. E’ stato pertanto riconosciuto e costituzionalizzato il diritto inviolabile di possedere armi al pari della libertà di parola e di espressione.

56Cfr. V. FUCHS, Chi vivrà? Salute, economia e scelte sociali, Milano, Vita e pensiero,

2002, pp. 35 e ss.

57

http://www.michaelmoore.com/books-films/facts/sicko

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carattere generale contribuisce a spiegare l’evidenza del fatto che le politiche sociali e l’apparato di welfare non abbiano occupato certamente una posizione di rilievo nell’assetto di priorità delle amministrazioni presidenziali statunitensi, almeno fino a quando, nel 1960, Kennedy pensò i primi programmi di protezione sociale rivolti agli anziani, ai disabili e agli indigenti”.59

“Noi europei abbiamo sempre considerato poco intellegibile l’anomalia americana di cui anche un liberal della tempra di J.K.Galbraith prendeva atto (…), pur con rammarico, constatando il largo favore, dottrinale e pratico, nei confronti dei beni e servizi prodotti dal sistema industriale privato rispetto a quelli forniti dal sistema pubblico (federale e statale) a meno che questi ultimi non andassero a diretto beneficio del sistema industriale stesso (ad esempio nel settore della difesa e degli armamenti, del sostegno ai settori di ricerca e sviluppo, di crescita del sistema dei trasporti stradali ed aerei, ecc.)60 Perché, dunque, la più grande democrazia del mondo non capisce che i ricavi e i guadagni economici non possono venire prima di un diritto fondamentale quale la salute? Perché il paese più industrializzato non è mai riuscito ad approvare una copertura sanitaria globale? E cosa dire a proposito di circa quarantotto milioni di persone che, ad oggi, si trovano ad essere uninsured ? e “circa (…) quei cittadini che improvvisamente hanno perduto il lavoro? (…) - quel che gli resta è “ l’arte di arrangiarsi, ovvero, alternativamente, di ammalarsi senza avere la possibilità di godere di cuore adeguate e costanti, fino a morire.”61

59 C. BASSU, La riforma sanitaria negli Stati Uniti d’America: un modello federale di tutela

della salute? in http://www.federalismi.it/

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E. BALBONI, U.S.A: la fine della grande anomalia. La riforma sanitaria di Obama guarda all’Europa, in http://forumcostituzionale.it, 22 marzo 2010

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Nel prossimo capitolo daremo una risposta più precisa, per adesso ci basta sapere che da sempre le forze conservatrici, i repubblicani e le potentissime, quanto coese, organizzazioni di lobbies assicurative e farmaceutiche hanno usato la strategia del “terrore” facendo credere che la sanità pubblica fosse il primo passo per imporre lo statalismo ad un popolo; presidenti quali Nixon, Reagan e Bush hanno fatto sì che la popolazione vedesse il servizio sanitario pubblico come un colpo di stato socialista, una spinta al totalitarismo accompagnata da scadenti e inadeguate cure mediche, circostanza che ha originato, quale unico risultato, la presenza marginale e latente degli operatori sanitari e delle strutture assistenziali pubbliche.

Inoltre, facendo una ricostruzione storico-politica del sistema statunitense durante il ventesimo secolo, “si registra una sostanziale compressione dell’apparato di fattispecie giuridiche soggettive riconducibili alla tradizione dello Stato sociale, cui corrisponde il privilegio riservato alla tutela degli ingenti interessi economici delle grandi assicurazioni private. Sono dunque le esigenze dei protagonisti del lucroso settore assicurativo che ostacolano e rendono vane le possibilità di revisione di un modello che per decenni resta sbilanciato a favore dei poteri economicamente forti, a scapito delle classi disagiate.”62

Negli anni, come vedremo, sotto la presidenza Johnson, Clinton ed infine Obama, sono stati fatti alcuni tentativi tesi a far approvare una legge sanitaria globale ma, a causa della pressante opposizione repubblicana e delle influenti lobbies assicurative, questi sono rimasti allo stadio di mere utopie; “il panorama di assistenza sanitaria statunitense è infatti contraddistinto da un

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dominio pressoché egemone dell’imprenditoria assicurativa che offre, a caro prezzo, la proposta migliore dal punto di vista qualitativo.”63

Purtroppo sono ancora attuali le parole che all’inizio degli anni sessanta pronunciò il presidente John Fitzgerald Kennedy: “ If a free society cannot help the many who are poor, it cannot save the few who are rich.” 64

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C. BASSU, La riforma sanitaria negli Stati Uniti d’America: un modello federale di tutela della salute? in http://www.federalismi.it/

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1.4 “Definizioni di diritto alla salute nei documenti ufficiali.”

Prima di entrare nel vivo della questione è opportuno aprire una parentesi cercando di vedere se e come, il diritto alla salute, trova riconoscimento all’interno delle più importanti fonti internazionali al fine di verificare, nel proseguo della trattazione, quanto il diritto americano sia conforme a tale prospettiva.

La sanità, sebbene sia il settore più esteso, più costoso e più sintomatico delle condizioni sociali e vitali di un popolo, a differenza di tanti altri campi quali il commercio e la moneta, non ha una sufficiente regolamentazione a livello internazionale; infatti nel corso degli anni non si sono verificate, come forse molti auspicavano, cessioni di potere da parte degli stati sovrani ad enti sovranazionali.65

A livello mondiale la maggiore organizzazione è la World Health Organization (WHO) che, dal 1946, si occupa di redigere programmi di prevenzione, sviluppo e controllo dei sistemi sanitari del mondo e alla quale hanno aderito tutti i paesi membri delle Nazioni Uniti.

Per quanto riguarda invece la raccolta dei dati e delle statistiche in ambito sanitario è competente la OECD (Organization for Economic Cooperation and Development), organizzazione internazionale nata nel 1961 dalla trasformazione della OEEC (Organization for European Economic Cooperation) che aveva il compito di ricostruire l’Europa dopo il secondo conflitto mondiale.

Occorre infine ricordare altre organizzazioni che operano a livello mondiale nei casi estremi di emergenza sanitaria, guerre e disastri quali la Croce Rossa.

65

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A livello europeo non esiste invece una organizzazione di governo specifica in ambito sanitario e, le istituzioni europee quali il Parlamento e la Commissione, si limitano ad esili politiche di coordinamento e cooperazione al fine di favorire semplificazioni burocratiche per assistere i cittadini che si spostano all’interno della Comunità europea.

Ai fini del nostro lavoro ho scelto di esaminare brevemente il diritto alla salute così come concepito e disciplinato da due documenti fondamentali: la Costituzione della World Health Organization (WHO) e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (DUDU).

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1.4.1 WHO (World Health Organization)

Subito dopo il secondo conflitto mondiale e poco prima che venisse emanata la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il valore della salute era già stato riconosciuto dalle Nazioni Unite come uno degli obiettivi principali e preminenti del proprio operato.

La World Health Organization, in italiano Organizzazione Mondiale della Sanità, è un’ agenzia specializzata dell’ONU con sede a Ginevra per la tutela della salute dei popoli.

Nel 1946 a New York fu indetta una Conferenza internazionale sulla salute durante la quale i rappresentanti di sessantuno nazioni decisero di unificare i preesistenti organismi in materia di sanità (per citarne alcuni il Bureau international d’Higyène publique, l’Organisation d’Higiène de la Société des Nations, l’Organizzazione Sanitaria della Lega delle Nazioni ecc..)in un’unica agenzia internazionale direttrice e coordinatrice di tutte le attività in ambito sanitario e, successivamente, firmarono la sua Costituzione.

Il preambolo della Costituzione della WHO sottolinea i caratteri preponderanti e gli obiettivi fondamentali che stanno alla base di questa grande organizzazione.66

“Gli Stati partecipanti alla presente costituzione dichiarano, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, che alla base della felicità dei popoli, delle loro relazioni armoniose e della loro sicurezza, stanno i principi seguenti:

La sanità è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in un assenza di malattia o d’infermità.

66 http://www.who.int

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Il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano, senza distinzione di razza, di religione, d’opinioni politiche, di condizione economica o sociale.

La sanità di tutti i popoli è una condizione fondamentale della pace del mondo e della sicurezza; essa dipende dalla più stretta cooperazione possibile tra i singoli e tra gli Stati.

I risultati raggiunti da ogni Stato nel miglioramento e nella protezione della sanità sono preziosi per tutti.

La disparità nei diversi paesi per quanto concerne il miglioramento della sanità e la lotta contro le malattie, in particolare contro le malattie trasmissibili, costituisce un

pericolo per tutti.

Lo sviluppo sano del fanciullo è d’importanza fondamentale; l’attitudine a vivere in armonia con un ambiente in piena trasformazione è essenziale per questo sviluppo.

Per raggiungere il più alto grado di sanità è indispensabile rendere accessibili a tutti i popoli le cognizioni acquistate dalle scienze mediche, psicologiche ed affini.

Un’opinione pubblica illuminata ed una cooperazione attiva del pubblico sono d’importanza capitale per il miglioramento della sanità dei popoli. I governi sono responsabili della sanità dei loro popoli; essi possono fare fronte a questa responsabilità, unicamente prendendo le misure sanitarie e sociali adeguate.

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Riconoscendo questi principi, ed allo scopo di cooperare tra di loro e con tutti per migliorare e proteggere la sanità di tutti i popoli, le Alte Parti contraenti accettano la presente costituzione ed istituiscono con ciò l’Organizzazione mondiale della sanità, come organizzazione speciale delle Nazioni Unite.”

L’ Organizzazione Mondiale della Sanità, sin dal 1946,fa propria questa ampiezza del concetto di salute adoperando le seguenti parole: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità.”67

Parlare per la prima volta di diritto alla salute e connotarlo alla stregua di un diritto soggettivo fa sì che questa sorprendente definizione apra le porte ad una svolta epocale, ad una innovazione senza precedenti.

Siamo di fronte ad un punto di rottura, ad una vera e propria rivoluzione rispetto al passato caratterizzato dalla presenza di una impostazione secondo la quale, la cooperazione tra gli stati, sarebbe dovuta avvenire solo ed esclusivamente in un’ottica di economicità ed efficienza secondo parametri oggettivi.

Con la nascita della World Health Organization la salute riceve al contrario una connotazione soggettiva, salute intesa come totale stato di benessere da garantire doverosamente ad ogni essere umano in quanto, in sua assenza, saranno volontariamente calpestati valori universali quali il principio di eguaglianza e solidarietà.

La salute intesa quindi come "stato di completo benessere fisico, psichico e sociale " assegna ai singoli stati compiti che vanno ben al di là della semplice

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gestione di un sistema sanitario; essi infatti devono, tramite opportune alleanze e strategie cooperative, modificare quei fattori che influiscono negativamente sulla salute collettiva promuovendo e riqualificando, attraverso una programmatica opera di potenziamento, quei minimi servizi assistenziali operativi.

La definizione di salute proposta dalla WHO è, oltre che utopistica, molto impegnativa ed infatti, la sua traduzione in termini operativi e in azioni strumentali, ha da sempre creato critiche e disquisizioni; del resto tradurre in strategie operative e in assetti funzionali delle dichiarazioni di principio è un processo molto complesso, ma vale la pena intraprenderlo al fine di un progetto solidale ed umanitario.

Attualmente è in corso l’ Undicesimo Programma Generale di Lavoro68 (Engaging for Health 11th General Programme of Work, 2006-2015-A

Global Health Agenda) e, nel relativo documento, vengono illustrate le funzioni principali della Organizzazione Mondiale della Sanità quali l’assistenza e la promozione di linee guida ai governi per migliorare i servizi sanitari, l’attività di stimolo e impulso per una crescente ricerca scientifica e la promozione del progresso in tutte le materie connesse con quella sanitaria; si aggiungono alle suddette finalità, la promozione della cooperazione scientifica, la proposta di convenzioni e regolamenti, raccomandazioni in materia di sanità, la tutela della salute della madre e del bambino, sviluppo di standard internazionali per quanto concerne prodotti alimentari, biologici, farmaceutici e il monitoraggio della salute globale coordinato con un dettagliato supporto nella gestione di epidemie e malattie sconosciute.

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Ebbene, impulso alle attività di prevenzione e di cura e coordinamento delle iniziative in materia sanitaria sono, in sintesi, le funzioni principali della World Health Organization.

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