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Capitolo 1: Introduzione
Per anni lo studio dei porti antichi e delle loro strutture sono stati poco considerati dagli archeologi, che spesso concentravano le loro ricerche su manufatti o imbarcazioni ritrovate in questi siti. Solo a partire dagli anni Ottanta studi interdisciplinari eseguiti nei siti archeologici di Caesarea Marittima (Israele) e Marsiglia (Francia) hanno permesso di analizzare le zone portuali antiche sotto un nuovo punto di vista, quello geoarcheologico (Raban 1985; Raban 1988; Hesnard 1994; Raban & Holum, 1996; Hermany et al., 1999; Rothè & Trèziny, 2005, citati da Marriner & Morhange, 2007). L’interazione di diverse discipline, come l’archeologia, la geomorfologia, la sedimentologia, la geofisica e la biologia ha permesso a Marriner & Morhange (2006, 2007) di elaborare un modello deposizionale-stratigrafico (Ancient Harbour Parasequence-AHP) valido per i porti antichi del Mediterraneo. Tale modello mette in evidenza la presenza di brusche variazioni di facies, incompatibili con una successione naturale costiera progradante, nel sottosuolo delle aree interessate dallo sviluppo di strutture portuali. L’esistenza di un bacino protetto artificiale (si diffusero nel Mediterraneo con la scoperta da parte dei romani del cemento idraulico) infatti, provoca la sedimentazione di limi e argille a causa del brusco abbassamento dell’energia. La presenza di tali depositi a granulometria fine e ricchi in materia organica posti “fuori sequenza” rappresenta il primo parametro stratigrafico utile per l’identificazione di un ambiente portuale antico. Inoltre, in questi depocentri artificiali si assisteva a tassi di sedimentazione molto elevati (anche 10 volte maggiori rispetto alle condizioni naturali), rendendo questi bacini estremamente adatti alla preservazione di resti, sia organici (frammenti ossei, vegetali, pollini ecc), che antropici (monete, vasellame ecc). Per questo motivo i sedimenti corrispondenti alla “facies di porto” costituiscono un record molto importante per lo studio archeologico, pollinico e micropaleontologico. L’articolo di Sarti et al. (2013) rappresenta il primo studio geoarcheologico che mira a verificare l’applicabilità del modello elaborato da Marriner & Morhange (2006, 2007), per i porti del Mediterraneo, ad un porto lacustre. Sarti et al. (2013) hanno cercato di ricostruire le geometrie dei corpi sedimentari che si sono formati sotto l’influenza antropica, a partire dal periodo ellenistico antico (332-167 a.C.), utilizzando i dati provenienti da tre trincee scavate a ridosso dei due moli scoperti a Magdala nel 2008 nel contesto del Magdala Project (http://www.magdalaproject.org/WP/; De Luca S., 2009b). Attraverso
l’integrazione di analisi granulometriche, micropaleontologiche, geochimiche e datazioni al 14C,
sono state riconosciute tre associazioni di litofacies, rappresentative delle tre “fasi di vita” del porto di Magdala. Alla base della successione in esame sono presenti sabbie di spiaggia, che rappresentano la condizione naturale, tipica della fase pre - porto. A queste sabbie seguono sedimenti a granulometria più fine, sabbie fini limose e limi sabbiosi, che corrispondono
Capitolo 1: Introduzione
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all’ambiente a minore energia idrodinamica del bacino protetto portuale (fase sin-porto). Al top della successione sono presenti sabbie e ghiaie di spiaggia, indicative dell’abbandono da parte dell’uomo delle strutture portuali, della colmatazione del bacino protetto e del progressivo ripristino delle condizioni naturali.
La scoperta di queste opere portuali e la ricostruzione delle fasi di vita del porto è in contrasto con la prima ipotesi elaborata da Nun (1989) che prevedeva un sito portuale più a valle, circa 3 m al di sotto delle strutture studiate da De Luca (2009b). E’ quindi evidente che la conoscenza del sito di Magdala non è ancora completa e che numerosi aspetti evolutivi riguardanti l’area portuale sono tutt’oggi sconosciuti.
Una questione ancora aperta riguarda, in particolare, il posizionamento del frangiflutti: la presenza di depositi fini è, infatti, un forte indizio dell’esistenza di questa struttura o di strutture simili, ma la sua posizione e la sua attuale esistenza non sono ancora stati confermati.
Una ulteriore criticità riguarda le variazioni del livello del lago dal periodo tardo ellenistico ad oggi, per il quale non è ancora disponibile una ricostruzione di dettaglio anche a causa della mancanza di organismi litodomi nelle acque dolci, le cui tracce vengono frequentemente adoperate da Marriner e Morhange nei loro lavori riguardanti i porti di mare. Un indizio chiarificante al riguardo può essere ottenuto interpretando i siti archeologici e le testimonianze storiche che si ritrovano lungo tutta la costa del Mar di Galilea.
Con questi interrogativi ben chiari, il seguente lavoro di tesi mira all’ampliamento delle conoscenze riguardanti la zona portuale del sito archeologico di Magdala, ampliando l’area di studio e cercando di contribuire alla risoluzione di alcuni dei punti critici riguardanti la sua evoluzione.