TAGETE 2 – 1999 Associazione M. Gioia
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BREVI OSSERVAZIONI SULLA POSSIBILITÀ DI CONFIGURARE IL DANNO ESISTENZIALE
Avv. Marco Bona
Nel corso del convegno, che si è svolto a Torino il 26 marzo 1999 sul danno al bambino, alcuni relatori hanno fatto menzione del danno esistenziale. Per la prima volta a trattare di tale nuova e discussa categoria sono stati dei pratici: ciò, senza dubbio, è un dato importante, poiché questi ultimi, più degli accademici, sono in grado di portare la discussione sul danno esistenziale nelle aule di giustizia e sperimentare in concreto la validità di tale soluzione, soluzione fino ad oggi discussa nelle Università ed emersa solo raramente nella giurisprudenza.
Ciò premesso, ritengo opportuno, riprendendo quanto già espresso succintamente dal sottoscritto durante il convegno, richiamare brevemente l’attenzione su alcuni dati, che sono emersi in questi anni nel campo del danno alla persona e che permettono oggi di sostenere la necessità del danno esistenziale.
1) Il danno biologico, successivamente ad una sua applicazione ben al di fuori della sua originale matrice medico-legale (la c.d. “fase dell’anarchia post-principio”, come è stata definita in più scritti dal Busnelli), è stato ricondotto in tale matrice, cosicché oggi per danno biologico si intende la menomazione dell’integrità psico-fisica, menomazione che deve trovare riscontro sul piano medico-legale.
2) Il danno morale viene inteso sostanzialmente come patema d’animo transeunte, quindi passeggero (si vedano sul punto le ultime due pronuncie della Corte costituzionale nel 1994 e nel 1996).
3) Il danno morale continua ad essere soggetto ai limiti imposti dall'art. 2059 c.c. (una dimostrazione recente della tagliola costituita dall'art. 2059 c.c. ce la offre la recente ordinanza del Tribunale di Pisa in Preturi c. Cappelli e Toro Ass., in cui è stato affermato che il danno da uccisione spettante ai congiunti non comprende il danno morale, allorquando si versi nel caso di responsabilità soltanto presunta del danneggiante, Trib. Pisa (ord.), 13 maggio 1998, in Danno e responsabilità, 1998, 1013, con nota di Amato).
4) E’ pertanto evidente che non sempre le categorie del danno biologico e del danno morale permettono che la lesione, che la vittima subisce, venga risarcita nei suoi vari risvolti sulla vita quotidiana della stessa: la prima categoria è limitata dalla sua matrice medico-legale; la seconda è circoscritta nei suoi contenuti ed è soggetta al vistoso limite delineato nell’art. 2059 c.c.
L’insoddisfazione dello schema risarcitorio tripartito (danno biologico, danno morale, danno patrimoniale) è stata rilevata dal Tribunale di Torino in Parasole c. Beltramo (Trib. Torino, 8 agosto 1995, in Resp. civ. prev., 1996, 282, con nota di Ziviz), in cui, a sostegno del danno esistenziale, è stato appunto affermato che la tripartizione classica del danno ingiusto è inadeguata e insufficiente a rappresentare la complessità e la rilevanza dei vari aspetti della vita di ciascuno di noi, come ad esempio i legami ed i rapporti che si esplicano nell’ambito del consorzio famigliare.
Si pensi, a titolo esemplificativo, al bambino, che perde in un incidente i suoi genitori: il danno biologico, soprattutto laddove la vittima sia un neonato, potrà anche non ricorrere (a ciò si aggiungano le difficoltà sul piano probatorio: l’Avv. Ambrosio, in occasione del convegno, ha messo bene in luce le difficoltà che sorgono quando si tenti di provare il danno psichico del bambino) e certo il danno morale, soprattutto se inteso come sofferenza transeunte, non potrà da solo, posto comunque che sia soddisfatta la condizione di cui al 2059 c.c., permettere il risarcimento giusto ed integrale.
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5) A quest’ultime considerazioni bisogna poi aggiungere che il bene salute non è l’unico bene, costituzionalmente protetto, che può essere leso in caso di danno alla persona: vi sono infatti delle ipotesi (e giustamente si deve prendere in considerazione la fattispecie in cui la vittima è un bambino), in cui, accanto alla lesione della salute, ricorre una vistosa modificazione in peius della personalità del leso.
In talune ipotesi non è in discussione solo il risarcimento della lesione del bene salute, ma altresì il risarcimento della modificazione dell’esistenza di un soggetto, la cui lesione è da ricondurre nel novero, piuttosto ampio, delle lesioni della personalità.
Orbene, tutte queste considerazioni dovrebbero condurci a riflettere seriamente sul danno esistenziale. Non si può infatti escludere a priori la possibilità di giungere a soluzioni come quella del danno esistenziale: riconoscere tale categoria può invero diventare una vera e propria necessità per evitare che una vittima rimanga senza protezione risarcitoria.
Come sostenere operativamente il danno esistenziale?
La risposta, anche per quanto ho già rilevato sulle lesioni della personalità, risiede essenzialmente nella considerazione che, come si è giunti ad individuare un collegamento tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 32 Cost., parimenti è possibile individuare nell’art. 2043 c.c. il diritto ad ottenere il risarcimento del danno “non patrimoniale” derivante dalla lesione di un diritto della personalità.
Tale danno è appunto il danno esistenziale.
Il bambino, tema del convegno, avrà così diritto, ex 2043 c.c., ad essere risarcito per la privazione della capacità di giocare, di intrattenere rapporti con i suoi coetanei, etc.: tutti diritti della personalità, protetti a livello costituzionale. Tutti aspetti, che, venendo ad essere modificati in peius, incidono sul divenire uomo, sulla formazione del bambino.
Il futuro del danno esistenziale è ancora del tutto aperto e bisognerà superare lo scetticismo che è originato dalle paura di eventuali duplicazioni dei danni e, soprattutto, da un eccessivo allargamento dei confini risarcitori.
Alle eventuali critiche si può rispondere che sostenere il danno esistenziale non significa porsi in favore di un sistema senza regole e privo di controlli: il danno esistenziale dovrà comunque essere provato e bene argomentato. La dimostrazione che anche per questo danno è possibile un controllo ce la offre ad esempio il Tribunale di Torino, nella sentenza citata, il quale ha sì sostenuto la risarcibiità del danno esistenziale, ma ne ha negato il risarcimento nel caso concreto non sussistendo quei dati di fatto che potevano dimostrare la sussistenza di una modificazione in pieus dell’esistenza della vittima.
Per quanto riguarda poi la possibilità di duplicazioni dei danni, il problema si pone soprattutto sul piano della quantifificazione, pur essendo certo che l’ingresso del danno esistenziale impone una revisione chiarificatoria delle categorie esistenti. L’eventualità di duplicazioni potrà essere ovviata applicando il principio, ormai consolidato nel nostro sistema, per cui il giudice deve procedere ad una liquidazione dei vari danni, mirando ad un’allocazione globale delle somme risarcitorie che sia equa, e quindi contemperando eventualmente, a tale fine, le varie somme.
Insomma, bisogna anche avere fiducia nei giudici, i quali, nel liquidare il danno esistenziale, certo non mancheranno di esigere delle prove.
La sfida sul danno esistenziale è apertissima, ma la necessità di un’adeguata protezione dei beni tutelati a livello costituzionale ci indica che questa via vale la pena di essere percorsa.
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