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Collegio Regionale dei Costruttori Edili Siciliani

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Bonus mobilità, click day il 4 novembre per l'assalto ai 140 milioni disponibili

di Massimo Frontera

Fornitori, iscrizione dal 20 ottobre. Acquisto valido se fatto presso un fornitore accreditato

Si prepara la corsa alla conquista del bonus mobilità. Le date importanti sono le seguenti: dal 20 ottobre prossimo i fornitori (cioè venditori di biciclette e altri mezzi, ed erogatori si servizi sharing) possono chiedere l'iscrizione nell'apposito elenco consultabile dai potenziali acquirenti/beneficiari; dal 4 novembre i beneficiari dovranno chiedere l'iscrizione a una apposita app del ministero dell'Ambiente e fare richiesta del bonus: sia per scontare l'acquisto già effettuato, sia per ottenere il bonus da spendere. Entro il 31 dicembre vanno effettuati gli acquisti.

La possibilità di ottenere l'agevolazione prevista dal Dl Clima (n.111/2019), valida per gli acquisti effettuati a partire dallo scorso 4 maggio ed entro il 31 dicembre di quest'anno, si apre appunto il 4 novembre prossimo, cioè a partire dal 60° giorno della pubblicazione in Gazzetta, lo scorso 5 settembre, del Dm Ambiente 14 agosto 2020 che regola la concessione del contributo e che ha definito le varie scadenze.

«I buoni mobilità - si legge all'articolo 4 del Dm - sono emessi secondo l'ordine temporale di arrivo delle istanze fino ad esaurimento delle risorse disponibili per l'anno 2020». Sembra di capire che non si fanno distinzioni tra chi chiede il rimborso di un acquisto già fatto e chi invece chiede il bonus da spendere. Ci sarà quindi la solita corsa al massacro per posizionari in graduatoria. Il bonus copre il 60% della spesa effettuata e comunque fino a 500 euro, a valere sul plafond di 140 milioni di euro. Peraltro, dal fondo occorre detrarre una quota del 2%, destinata a compensare alcune attività previste dalla procedura e richieste a Sogei, Consap e società in house del ministero dell'Ambiente. Finiti i soldi, il meccanismo si ferma. Il Dm precisa infatti che «in caso di esaurimento delle risorse disponibili il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso l'applicazione web, non procede a ulteriori attribuzioni del beneficio».

L'app in arrivo per acquirenti e venditori

Per accedere all'app occorrerà autenticarsi fornendo la propria identità digitale - attraverso Spid -, sia attraverso la stessa app che attraverso il sito del ministero dell'Ambiente. L'agevolazione si può chiedere una sola volta ed è rivolta ai soli residenti maggiorenni nei capoluoghi di regione, nelle città metropolitane, nei capoluoghi di provincia o comunque nelle città di oltre 50mila abitanti. Il bonus, secondo quanto prevede la norma istitutiva, potrà coprire parte della spesa per acquisto di biciclette, anche elettriche, monopattini e altri «veicoli per la mobilità personale a propulsione prevalentemente elettrica» e servizi di mobilità condivisa, con esclusione delle auto.

Chi non ha ancora effettuato l'acquisto, dovrà spendere il buono entro 30 giorni dal rilascio. Chi ha già effettuato l'acquisto dovrà allegare alla richiesta una copia della fattura e indicare l'Iban per l'accredito del bonifico.

L'elenco dei fornitori

Analoga registrazione sull'app è richiesta anche ai fornitori di beni e servizi oggetto del bonus statale. Cioè a tutti coloro che vendono biciclette e altri veicoli per la mobilità individuale, a propulsione elettrica o in prevalenza elettriche e fornitori di servizi di sharing. L'accreditamento - a partire dal 20 ottobre (cioè 45 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta del Dm) - avviene attraverso le credenziali dell'Entrate e indicando partita Iva, codice Ateco e specificando inoltre

«denominazione e i luoghi dove viene svolta l'attività, la tipologia di servizi offerti e di beni venduti e qualsiasi altra informazione necessaria a qualificarli come effettivi fornitori dei beni e dei servizi (...) nonché la dichiarazione che i buoni saranno accettati esclusivamente per gli acquisti consentiti» dalla norma. Ne risulterà un elenco di fornitori consultabile dai beneficiari, attraverso l'applicazione.

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Il Dm afferma il fornitore che viene iscritto nell'elenco ha l'obbligo di accettare il buono. Chi ha già effettuato l'acquisto dovrà esibire la fattura. Nelle fac del ministero dell'Ambiente aggiornate a giugno si specifica che il bonus vale anche per gli acquisti on line. Con una distinzione: per chi ha già fatto l'acquisto basterà produrre la fattura. Per chi invece deve ancora farlo, è necessario rivolgersi a un negozio accreditato. Sembra pertanto di capire che chi intende acquistare una bicicletta attraverso una piattaforma commerciale (Amazon, e-bay) che si rifornisce da un negozio, per esempio cinese, non presente nella lista dei fornitori accreditati, non potrà lucrare il bonus. Se invece l'acquisto con le stesse modalità è stato già fatto, con emissione di fattura, si ha diritto al rimborso.

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Illecito professionale, la stazione appaltante deve motivare anche la non esclusione

di Massimo Frontera

Lo afferma l'Anac in un parere di precontenzioso: opportuno farlo per «trasparenza e par condicio»

Anche se la legge non lo dice espressamente «si ritiene che risponda a principi di trasparenza e di par condicio che, a fronte di una pluralità di dichiarazioni rese da un operatore economico concernenti circostanze che potrebbero rilevare ai fini della causa di esclusione dell'illecito professionale grave, l'amministrazione aggiudicatrice motivi sulla ritenuta inidoneità delle circostanze dichiarate dal concorrente a compromettere l'affidabilità ed integrità del concorrente, per quanto l'onere motivazionale non sarebbe stringente e puntuale come quello espressamente richiesto per il provvedimento di esclusione».

Ad affermarlo è l'Anac, nel parere di precontenzioso pubblicato oggi e riferito a un caso esaminato dal Consiglio (uscente) lo scorso 29 luglio. L'autorità, si è pronunciata su un parere congiunto proposto da un operatore economico classificatosi secondo nella gara una gara lanciata da Roma Capitale (per realizzare la Piazza e Giardino della Rambla, valore 3,8 milioni di euro circa). nei confronti dell'aggiudicatario vengono fatti diversi rilievi, soprattutto in ordine a presunte cause di esclusione che la stazione appaltante avrebbe mancato di valutare adeguatamente. Il principale rilievo verte su una presunta violazione del patto di integrità. In realtà, l'Anac conclude che alcune dichiarazioni dell'operatore «non erano dovute in quanto concernenti soggetti estranei alla procedura di gara e circostanze non imputabili, sotto il profilo della affidabilità e integrità professionale, poiché risalenti nel tempo e non più rilevabili ai fini della valutazione dell'illecito professionale grave sulla base di quanto previsto dall'art. 10-bis dell'art. 80 del Codice».

C'è poi un altro rilievo: «la commissione di gara - sostiene l'impresa interpellante - avrebbe omesso la disamina delle plurime dichiarazioni rese dall'aggiudicatario ai fini dell'art. 80, comma 5, lett. c), c-bis) e c-ter), proponendo l'aggiudicazione sulla base di un esame sommario e parziale di una sola delle dichiarazioni rese, vale a dire quella sulla violazione del Patto di integrità, con la conseguenza che il provvedimento sarebbe carente di istruttoria e di motivazione sotto tale profilo». In altre parole l'interpellante «ritiene illegittima l'aggiudicazione per mancata valutazione da parte del seggio di gara delle plurime dichiarazioni rese dall'aggiudicatario che

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avrebbe proposto l'aggiudicazione sulla base di un esame sommario e parziale di una sola delle dichiarazioni (quella eventualmente impattante sul Patto di integrità), senza riportare nel verbale alcuna valutazione in merito alle altre dichiarazioni rese» relativamente alle fattispecie richiamate, e cioè grave illecito professionale (lettera c), omissioni o informazioni false e fuorvianti (c-bis) e rescissione di contratto per significative e persistenti carenze esecutive (c-ter).

L'Anac ritiene infondata l'accusa in quanto «la disamina del verbale, per quanto sintetica sul punto, induce a ritenere che le dichiarazioni siano state invece verificate». Ma il punto è un altro:

«ciò che manca - riconosce l'Anticorruzione - è una motivazione per quanto sintetica sulle ragioni per le quali le stesse (dichiarazioni, ndr) non siano state ritenute rilevanti ai fini di un illecito professionale grave». Nella sua argomentazione l'Anac ricorda che «la normativa prescrive uno stringente obbligo di motivazione della stazione appaltante per l'ipotesi in cui decida di escludere il concorrente per illecito professionale grave ); e inoltre «richiama l'onere di motivare sulle circostanze "anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa"».

Invece, rispetto alle misure di self cleaning indicate dall'operatore economico, il comma 8 dell'articolo 80 «sembrerebbe escludere una motivazione puntuale ove la stazione appaltante le ritenga sufficienti, ma prevede che "viceversa dell'esclusione viene data motivata comunicazione all'operatore economico"».

E si arriva al punto: «la normativa non prescrive alcunché per l'ipotesi contraria, vale a dire l'ipotesi in cui la stazione appaltante ritenga non rilevanti le dichiarazioni acquisite dall'operatore economico al fine di configurare un illecito professionale grave». Qui l'Anac aggiunge la sua interpretazione innovativa citata all'inizio: «Nel silenzio delle norme, tuttavia, si ritiene che risponda a principi di trasparenza e di par condicio che, a fronte di una pluralità di dichiarazioni rese da un operatore economico concernenti circostanze che potrebbero rilevare ai fini della causa di esclusione dell'illecito professionale grave, l'amministrazione aggiudicatrice motivi sulla ritenuta inidoneità delle circostanze dichiarate dal concorrente a compromettere l'affidabilità ed integrità del concorrente, per quanto l'onere motivazionale non sarebbe stringente e puntuale come quello espressamente richiesto per il provvedimento di esclusione».

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Superbonus, architetti: il progettista va scelto dal committente non dall'impresa o dalla banca

di El&E

Il pacchetto di proposte che saranno presentate al governo nel convegno pubblico del 14 settembre a Roma

Il superbonus del 110% è un'«ottima idea in grado di generare plusvalore all'edificio e al contesto», ma «servono procedure per una effettiva terzietà dei professionisti a garanzia di un corretto utilizzo dei fondi pubblici». La pensano così gli architetti italiani che il prossimo lunedì 14 settembre formuleranno alcune precise richieste per introdurre alcune correttivi alla procedura appena definita. Più esattamente le proposte saranno illustrate nel convegno "Superbonus 110%

: una nuova opportunità per professionisti e imprese" che si svolgerà contemporaneamente in presenza a Roma (al Crowne Plaza Rome St.Peter's, Via Aurelia Antica, 415) e on line (sulla piattaforma architettiperilfuturo.it) dalle 16:00 alle 19:00.

«Proponiamo - spiega il presidente degli architetti Giuseppe Cappochin (che introdurrà i lavori de convegno) - che il professionista sia scelto dal committente e non dall'impresa o dall'ente finanziatore proprio per garantirne la terzietà: vediamo, infatti, con preoccupazione le offerte, già in corso, di pacchetti chiavi in mano offerti ai committenti comprensivi di impresa di costruzione e professionista».

Secondo gli architetti, tale «commistione di ruoli non può assolutamente garantire l'indispensabile indipendenza del professionista chiamato a liquidare le spettanze dell'impresa utilizzando risorse pubbliche e con la quale costituirebbe, di fatto, un sodalizio professionale».

«La nostra proposta - aggiunge il presidente de Consiglio nazionale degli architetti - è che tutte le parcelle dei professionisti vengano liquidate dall'Ordine o dal Collegio territoriale di riferimento per poter in tal modo verificarne la congruità rispetto alle prestazioni effettivamente svolte e scongiurare quanto già accade, ad esempio, con gli "Attestati Prestazione Energetica" (Ace), rilasciati non infrequentemente con il "ciclostile" al prezzo di 40 euro».

«In una logica di trasparenza - conclude - non possiamo che esprimere il nostro apprezzamento per l'impegno assunto dal sottosegretario Fraccaro volto a definire un protocollo con i principali istituti di credito che vada a limitare al 10% eccedente il 100% il corrispettivo per le loro prestazioni». Il sottosegretario Riccardo Fraccaro parteciperà ai lavori, insieme, tra gli altri, a rappresentanti di Ance, Enea, Agenzia delle Entrate, Intesa San Paolo. I professionisti auspicano inoltre che «l'importante annuncio del ministro Patuanelli di rendere strutturale il superbonus si concretizzi al più presto».

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Superbonus 110%, ancora poche le

assemblee condominiali per deliberare i lavori

di Annarita D'Ambrosio

Gli amministratori di condominio vivono questa ripresa settembrina con difficoltà ulteriori legate al dover soprattutto rispondere alle tante domande che i condòmini pongono loro sull’iter

Da un lato le preoccupazioni relative alle delibere dei lavori del superbonus 110%, dall’altra la consapevolezza di un patrimonio immobiliare da rivalutare, soprattutto adesso che la pandemia ci ha costretti di più nelle nostre case.

Gli amministratori di condominio, che neppure nei giorni di lockdown hanno smesso di lavorare, vivono questa ripresa settembrina con difficoltà ulteriori legate al dover soprattutto rispondere alle tante domande che i condòmini pongono loro sull’iter che li porterà a godere del beneficio previsto dal governo. «Nulla è cambiato da febbraio scorso. Nonostante le sollecitazioni di Anaci non ci sono stati chiarimenti da parte del governo sulle convocazioni assembleari» sostiene Francesco Burrelli, presidente della maggiore associazione di categoria a livello nazionale.

L’ultimo riferimento è la Faq governativa del 1° giugno secondo la quale «le assemblee di qualunque tipo, condominiali o societarie, possono svolgersi in presenza fisica dei soggetti convocati, a condizione che siano organizzate in locali o spazi adeguati, eventualmente anche all’aperto, che assicurino il mantenimento continuativo della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro fra tutti i partecipanti, evitando ogni forma di assembramento, nel rispetto delle norme sanitarie di contenimento della diffusione del contagio da Covid-19. Resta ferma la possibilità di svolgimento delle medesime assemblee da remoto, in quanto compatibile con le specifiche normative vigenti in materia di convocazioni e deliberazioni». «Una Faq non obbliga nessuno, però» precisa Burrelli, riconoscendo che pochi amministratori si sono assunti il rischio.

«Non c’è paura di convocare le assemblee – sottolinea il presidente Anaci – ma ci sono da rispettare tutti i parametri di sicurezza. Convocarle in luoghi molto grandi ha un costo elevato tra sala e sanificazioni. Convocarle all’aperto? Sì, ma come rispettare la privacy se ci si riunisce ad esempio in un luogo di passaggio?». Dopo aver sollecitato per iscritto più volte il presidente del Consiglio su norme chiare in materia, consci dell’attuale previsione normativa che sembra fare

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attuative Codice civile e articolo 1136 Codice civile) Anaci e Confassociazioni hanno predisposto emendamenti al Dl Agosto (si veda in basso). Chiarezza normativa priorità assoluta dunque. E su questo concordano tutte le associazioni legate al mondo condominiale.

Rosario Calabrese, presidente Unai, anche a nome di Alac e Ap, non nasconde lo sconforto. Poche le riunioni effettuate sinora, molte le domande inevase, tanto che agli amministratori che aderiscono alla Consulta delle associazioni degli amministratori di condomini da lui coordinata consiglia di deliberare i lavori, lasciando la gestione della cessione del credito d’imposta ai singoli condòmini.

Dubbi che condivide Vittorio Fusco, coordinatore della Consulta delle associazioni degli amministratori di condominio, composta da Abiconf, Aiac, Anammi, Anapi, Apac, Arai e Mapi.

Fusco conferma che si sono svolte poche assemblee. «Chi si è riunito lo ha fatto per l’approvazione del rendiconto – ci ha detto – o per affrontare il tema dei mancati pagamenti delle quote condominiali, problema che si è acuito in questa fase di emergenza sanitaria».

Da Luca Ruffino, general manager di Sif Italia, società milanese che amministra oltre 75mila unità immobiliari, numeri più promettenti quanto alle riunioni tenute: «Da giugno a fine luglio ci sono state 75 assemblee; le abbiamo tenute in grandi locali, persino in una balera, oppure in spazi aperti». Ordine del giorno però l’approvazione del rendiconto annuale e lavori non differibili, non il superbonus. Su quest’ultimo punto Ruffino conferma le perplessità relative ai tempi già espresse in passato, precisando che le richieste di lavori non hanno riguardato condomìni situati nei centri storici ma in zone semicentrali: il quadro degli adempimenti per ottenere il 110% ora è chiaro ma complesso, per questo «rendere strutturale la misura, come il ministro Patuanelli ha annunciato nei giorni scorsi, diventa una necessità».

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Dl Semplificazioni, il passaggio

parlamentare non scioglie il nodo della dislocazione territoriale degli appaltatori

di Stefano Usai

Sul punto, la stessa Anac ha evidenziato le perplessità destate da un richiamo che non precisa se si tratti di base regionale, provinciale o altro

Dal testo del maxiemendamento (a.s. n. 1883) approvato dal Senato - nei lavori di conversione in legge, con ampie modifiche, del Dl 76/2020 - emergono importanti modifiche in relazione alla modalità pratico/operative di conduzione delle procedure negoziate. Per servizi e forniture (e per servizi tecnici) la procedura negoziata risulterà esperibile per importi pari o superiori ai 75mila euro fino all'intero sottosoglia mentre per la lavori per importi pari o superiori ai 150mila euro fino a importi inferiori alle soglie comunitarie.

L'esperimento concreto

Con gli emendamenti approvati viene meglio chiarito come si dovrà strutturare la procedura negoziata in deroga. Indicazioni che, forse, si potevano ritenere scontate ma il chiarimento deve essere considerato positivamente perché elimina molte incertezze. Più nel dettaglio, la lettera b) comma 2 dell'articolo 1 (interamente dedicato alle procedure negoziate) nella legge di conversione chiarirà che la procedura dovrà prendere avvio con uno specifico avviso pubblico. Inoltre, si puntualizzano gli obblighi di trasparenza. In questo senso si ribadisce l'obbligo – tranne nel caso di affidamento diretto entro i 40mila euro – di pubblicare l'avviso sui risultati con anche l'indicazione dei soggetti invitati.

Si implementa quindi l'obbligo di assicurare la trasparenza con la precisazione secondo cui «Le stazioni appaltanti danno evidenza dell'avvio delle procedure negoziate di cui alla presente lettera tramite pubblicazione di un avviso nei rispettivi siti internet istituzionali».

L'aspetto che invece non viene preso in considerazione, e su cui è opportuno soffermarsi, attiene

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pubblico, deve tener conto di precisi vincoli istruttori: in primo luogo, il tradizionale riferimento alla rotazione e in secondo luogo, la novità, nella fase degli inviti il Rup deve tener «conto anche di una diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate».

Si tratta di un vincolo istruttorio indeterminato e di difficile applicazione. Sul punto, la stessa Anac – con il documento di commento del 3 agosto - ha evidenziato le perplessità destate da un richiamo che «non precisa su che base, regionale, provinciale o altro, vada considerata diversa la dislocazione territoriale» con il rischio di causare «disomogeneità in fase applicativa» e «di essere produttiva di quegli stessi effetti discriminatori ratione loci che (…) la giurisprudenza (e la stessa Autorità) censurano in quanto lesivi dei principi di uguaglianza, non discriminazione, parità di trattamento e concorrenza». A tal proposito, ha invitato il legislatore a «rivalutare l'attuale formulazione, al fine di maggiore chiarezza». Segnalazione che per il momento è rimasta inascolata.

L'applicazione pratica

Il mantenimento dell'obbligo di evitare la concentrazione territoriale negli inviti (e negli affidamenti) impone al Rup individuare il corretto modus operandi. La giurisprudenza ha già affrontato la questione della cosiddetta clausola di territorialità evidenziandone l'illegittimità solamente nel caso di contingentamento della partecipazione limitata ad «ambiti territoriali infracomunali o comunque significativamente ristretti» (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza n. 2293/2020).

Il problema pratico, però, è determinato dall'assoluta carenza del riferimento territoriale da prendere in considerazione, circostanza che apre a diverse opzioni pratiche.

In primo luogo, non si può escludere che anche per la «dislocazione territoriale» possa valere l'indicazione che Anac e la giurisprudenza oramai consolidata hanno espresso con riferimento all'obbligo della rotazione: se la procedura è "sostanzialmente" aperta un problema di alternanza/rotazione degli inviti/affidamento non si pone.

Per semplificare, così come per la rotazione, la dislocazione territoriale dovrebbe essere un dato istruttorio di cui il Rup deve tenere conto solamente nel momento in cui si cimenta con una scelta discrezionale degli operatori da invitare. Mentre, se l'appalto è aperto a ogni operatore che si sia candidato, un problema di dislocazione territoriale non dovrebbe porsi visto che nessun condizionamento è stato indotto dal Rup.

A pensare diversamente, l'applicazione del vincolo, pur meritevole di considerazione in quanto deterrente per il responsabile del procedimento a evitare di localizzare arbitariamente la partecipazione (e di conseguenza gli affidamenti), diventa complicata.

Si può immaginare, ad esempio, l'esigenza di applicarlo nel caso del secondo affido dello stesso

"tipo" di prestazione (nel senso prospettato dall'Anac, con riferimento alla rotazione, nelle linee guida n. 4), e quindi una scelta di operatori localizzati in un territorio completamente diverso rispetto alla prima competizione. Ma anche questo modus agendi non può sfuggire al fuoco delle censure degli operatori che verrebbero penalizzati solo per trovarsi localizzati nel territorio dei pregressi operatori invitati e/o affidatari.

Il dato istruttorio in commento, pertanto, deve essere oggetto di una più chiara formulazione che faccia emergere come debba essere applicato a vantaggio della stessa speditezza/correttezza del procedimento amministrativo.

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Ricalibrati i criteri di aggiudicazione nel sottosoglia

di Stefano Usai

Il problema applicativo da chiarire è se la soglia (l'importo dell'appalto) condizioni ancora l'utilizzo del criterio

Il maxiemendamento di modifica (e conversione) del Dl 76/2020, approvato dal Senato, interviene anche sui criteri di aggiudicazione degli appalti nel sottosoglia comunitario superando l'impostazione radicale e perentoria voluta dal legislatore del decreto che, sostanzialmente, ha equiordinato i criteri di aggiudicazione, sdoganando, si potrebbe dire, il criterio del minor prezzo.

La questione dei criteri di aggiudicazione

Con la nuova previsione, secondo l'emendamento approvato, il comma 3 dell'articolo 1 del Dl 76/2020 viene modificato con l'innesto secondo cui la libertà di scelta del criterio di aggiudicazione, nel sottosoglia, da parte del Rup dovrà essere temperata da quanto disposto dal

«dall'articolo 95, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50». Modifica, che in modo brutale, consente di affermare che nulla è cambia rispetto alle disposizioni codicistiche ed appare fin strano e singolare che, in fase di conversione, rimanga in vigore un comma che potrebbe essere tranquillamente omesso.

La modifica sembra frutto delle riflessioni dell'Anac espresse nel documento del 3 agosto di commento (con con segnalazioni) del Dl 76/2020.

Secondo l'autorità anticorruzione «non v'è dubbio che, pur nella condivisibile esigenza di semplificare temporaneamente gli affidamenti, consentire alle stazione appalti l'utilizzo del criterio del minor prezzo per l'affidamento di servizi ad alta componente di manodopera o caratterizzati da un notevole contenuto tecnologico o aventi carattere innovativo (…) rischia di dare vita ad affidamenti al ribasso giocati sull'abbattimento del costo del lavoro o di svilire il contenuto tecnologico della commessa».

Problematiche che coinvolgono anche i lavori. Sempre dalla segnalazione appena citata emerge

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l'aspetto qualitativo della prestazione, rischia di favorire ribassi eccessivi che renderebbero difficoltoso il completamento dell'opera al prezzo di aggiudicazione, con il rischio della proliferazione di varianti in corso d'opera».

L'Anac non suggerisce l'eliminazione/abrogazione del comma del DL, ritenendo altresì che una

«lettura della disposizione coordinata con il comma 9-bis dell'art. 36 del Codice, possa già consentire in via interpretativa di ritenere applicabile l'art. 95, comma 3, anche in regime di deroga, al fine di evitare ambiguità e applicazioni non omogenee, si ritiene che la disposizione debba essere rivista nel senso di fare espressamente salvo quanto previsto dalla citata norma».

L'emendamento

Facendo tesoro di quanto, il comma – con il disegno di conversione – dovrebbe arricchirsi del richiamo al comma 3 dell'articolo 95 che chiarisce la prevalenza, nell'affidamento degli appalti, del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa con riferimento ai «contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera».

Il multicriterio, sempre secondo questa norma, deve essere utilizzato per «i contratti relativi all'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale» e per servizi/forniture di importo di «pari o superiore a 40.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo».

Il problema applicativo, che deve essere chiarito, è se la soglia (l'importo dell'appalto) condiziona ancora l'utilizzo del criterio ovvero se la prevalenza del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa cessa per importi pari o superiori ai 40mila euro o alle nuove soglie entro cui, nel periodo emergenziale, è consentito comunque procedere con l'affidamento diretto.

L'opzione operativa, in ogni caso, che il Rup deve privilegiare non può che essere quella di limitare l'utilizzo del criterio del prezzo più basso per importi contenuti ed in relazione a prestazione fortemente standardizzate motivando (comma 5 dell'articolo 95 del Codice), comunque, la decisione. Ciò detto, si palesa chiaramente la non necessità della previsione risultando sufficiente – in tema di criteri di aggiudicazione - un mero rinvio alle norme codicistiche.

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Responsabilità erariale del Rup per ritardata aggiudicazione tutta da dimostrare

di Stefano Usai

La norma, così come scritta, rende necessaria anche da parte della stazione appaltante la prova pratica che il ritardo è colpevole e imputabile al responsabile del procedimento

Il Senato, nei lavori per giungere alla conversione del Dl 76/2020, lascia immutato il riferimento alla (potenziale) responsabilità erariale del Rup per ritardata aggiudicazione – rispetto ai tempi di affidamento fissati dallo stesso legislatore del decreto – sia nel sottosoglia sia, evidentemente, con riferimento agli appalti del soprasoglia.

La previsione, (contenuta nei commi 1 degli articoli 1 e 2), sostanzialmente, prevede che se l'atto di avvio del procedimento (la determina a contrarre o atto equivalente) viene adottato nel range temporale preso in considerazione dal Dl (ovvero nel tempo compreso tra il 17 luglio 2020 e il 31 luglio 2021, con l'emendamento approvato, esteso al 31 dicembre 2021) fatte «salve le ipotesi in cui la procedura sia sospesa per effetto di provvedimenti dell'autorita' giudiziaria», l'aggiudicazione o l'individuazione definitiva del contraente deve avvenire entro il termine di due mesi; 4 mesi in caso di appalto per importi pari o superiori ai 150mila euro (con l'emendamento 75mila euro almeno per servizi/forniture) fino all'intero sottosoglia e nel termine di 6 mesi nel caso di appalto sopra soglia comunitaria.

Il mancato rispetto di questo termine, proseguono le disposizioni, oppure la mancata tempestiva stipula del contratto e il conseguente avvio tardivo dell'esecuzione «possono essere valutati ai fini della responsabilità del responsabile unico del procedimento per danno erariale». Se invece i ritardi sono dovuti a comportamenti ostruzionistici dell'appaltatore portano all'adozione di un provvedimento di esclusione dalla procedura o alla «risoluzione del contratto per inadempimento che viene senza indugio dichiarata dalla stazione appaltante e opera di diritto».

Se il secondo inciso – riferito all'appaltatore – ha un presidio applicativo (più o meno) sicuro che ne consente l'interpretazione/applicazione, la disposizione sulla responsabilità del Rup appare

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che venga quantificato.

Il problema pratico, però, è quello di provare a comprendere quando questa responsabilità può essere individuata anche considerando che il procedimento d'appalto è, e rimane, un procedimento complesso che può essere condizionato (il suo epilogo) anche da fattori esterni del tutto indipendenti dal Rup e per il quale, questo, se ha adottato un comportamento diligente non deve rispondere.

La configurazione della responsabilità

La previsione ha una evidente funzione deterrente nei confronti di comportamenti omissivi e in questo senso può essere intesa anche come una "reazione" alla famigerata inerzia del Rup – secondo una lettura attualissima – che tende a non assumere decisioni per evitare possibili contenziosi e responsabilità. Da ciò, si deve presumere, la forte novità prevista nel decreto di contingentare i tempi di individudazione dell'aggiudicatario.

La formulazione, però, dovrebbe essere arricchita da ulteriori dettagli. In primo luogo, l'inciso impone l'esigenza di aggiudicare o individuare in modo definitivo l'affidatario.

L'assegnazione definitiva, se il riferimento è all'aggiudicazione «efficace», sconta anche il tempo, significativo, sul riscontro dei requisiti.

Per questo, si è indotti a pensare che possa ritenersi sufficiente, per evitare responsabilità, la predisposizione della proposta di aggiudicazione.

É chiaro che se questa venisse predisposta, con ritardo imputabile al Rup, in un tempo spropositato/ingiustificabile, farebbe scaturire sicuramente un forma di responsabilità (poi si tratterebbe di comprendere in che modo «erariale», magari configurandola come danno da disservizio).

In assenza di ulteriori chiarimenti, la responsabilità in commento non può essere considerata una responsabilità oggettiva che scaturisce per il solo effetto del ritardo. Sarà necessaria, anche da parte della stazione appaltante che, eventualmente, volesse rivalersi, la dimostrazione pratica che il ritardo è colpevole e imputabile al responsabile del procedimento. Ciò potrebbe accadere, a mero titolo esemplificativo, nel classico caso di approccio "burocratico" e quindi al voler articolare il procedimento di affidamento in modo "sproporzionato" rispetto all'obiettivo da raggiungere e, soprattutto, senza alcuna adeguata motivazione.

Si può pensare al caso in cui, in luogo dell'affidamento diretto laddove possibile, il Rup proponga (o decida, se ha responsabilità dirigenziali) una procedura a evidenza pubblica che immediatamente appaia inadeguata (nel senso di spropositata) rispetto all'importo e alla tipologia dell'affidamento. Senza, per di più, alcuna adeguata motivazione.

Lo stesso vale per gli altri tipi di procedimento e quindi nel caso di ritardi colpevoli rispetto al tempo di affidamento.

La norma, così come scritta, fa sempre presumere che il Rup sia una sorta di «uomo solo al comando». In reltà, nella maggioranza dei casi, il Rup è un mero propositore/istruttore che suggerisce la procedura (e la connessa dinamica istruttoria) al soggetto decisore (dirigente/responsabile del servizio), pertanto ipotizzare una responsabilità di un unico soggetto

«da ritardo» appare anche circostanza abbastanza complessa.

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Riferimenti

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