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Collegio Regionale dei Costruttori Edili Siciliani

90133 Palermo, Via A. Volta, 44 Tel.: 091/333114/324724 Fax: 091/6193528 C.F. 8029280825 - info@ancesicilia.it – www.ancesicilia.it

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«Recovery fund, inaccettabile balletto di cifre: quanto valgono gli investimenti in infrastrutture?»

di Edoardo Bianchi (*)

Come detto più volte per far ripartire il Paese servono, anche nei lavori pubblici, regole e risorse certe. Quanto alle risorse stiamo assistendo nelle ultime settimane ad un balletto che non lascia presagire nulla di buono.

Il primo settembre in audizione presso le Commissioni riunite Bilancio e Politiche della Unione europea di Camera e Senato, il commissario Gentiloni ha fatto chiarezza sulle regole e su i tempi di ingaggio per attivare le risorse del Recovery.

Il 15 settembre in audizione presso le Commissioni riunite Bilancio e Finanze della Camera il ministro Gualtieri, per la prima volta, ha iniziato a prospettare un possibile diverso utilizzo dei 209 miliardi del Recovery.

Nei giorni successivi ha preso sempre più piede una impostazione secondo la quale mentre le risorse a fondo perduto (82 miliardi di euro) potranno essere utilizzate per gli investimenti, le risorse a prestito (127 miliardi di euro), invece, non dovranno contribuire all'indebitamento della Pa.

In sostanza le risorse provenienti dai "prestiti" verranno utilizzate per sostituire l'attuale debito verso il mercato con un debito verso la Comunità europea perché più conveniente in quanto contratto a tassi di miglior favore. In soldoni, solo gli 82 miliardi attiveranno nuovi progetti mentre i 127 miliardi finanzieranno vecchi progetti (già finanziati); meno della metà delle risorse del Recovery fungerà come nuova spinta alla ripartenza!

L'Ufficio parlamentare di bilancio evidenzia che, considerato che l'Italia è un contributore netto al bilancio Ue, il beneficio effettivo per il nostro Paese dovrebbe aggirarsi intorno a 46 miliardi di euro. Come Ance ci chiediamo: siamo certi che questo è quello che serve al Paese?

Da quel momento la messe di progetti presentati dai vari Ministeri per oltre 660 miliardi di euro è passata nell'arco di una notte a circa 100 miliardi.

Il Mit aveva presentato un piano infrastrutturale con 70 miliardi da mettere in conto alla Ue, ieri l'altro il piano sembrerebbe essere stato rimodulato a circa 20 miliardi.

Come Ance vorremmo sapere quale sono i dati reali per gli investimenti in opere pubbliche.

Quando fonti del Governo parlano del 37% destinato ai progetti green, del 20% destinato alla digitalizzazione, del 10% destinato alle infrastrutture, del 5% destinato alla rigenerazione e

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riqualificazione, a quale montante si riferiscono?

Non è di poco conto se il riferimento sono 82 miliardi oppure 127 miliardi.

Come Ance vorremmo conoscere quale è il montante su cui computare i vari investimenti.

Le considerazioni che precedono, peraltro, devono essere lette di pari passo con la cronica (in)capacità di spendere i fondi europei; anche nel periodo 2014/2020 le risorse provenienti dai fondi ordinari sono state spese in ragione di un deludente 39 per cento.

Nel rammentare che, per il rilancio del Paese, ci sono pure le risorse europee del Fondo di coesione e sviluppo 2021/2027 pari a circa 37 miliardi di euro (con un volano di oltre 74 miliardi) dobbiamo solo auspicare che la Ue non decida di penalizzare i Paesi che non hanno speso le risorse del programma 2014/2020, sarebbe drammatico.

Una volta determinato il quantum di investimenti per le infrastrutture si dovrà privilegiare una spesa ed attuazione rapida dei programmi nel rispetto del crono programma concordato con la Ue.

Le preoccupazioni non sono finite.

Per l'impiego delle risorse del Recovery prende sempre più concretezza la necessità di creare un nuovo strumento normativo che consenta con soggetti attuatori dedicati e norme ad hoc che l'atterraggio delle risorse avvenga in tempi certi. Si inizia a parlare di (nuovi) soggetti attuatori e (nuovi) poteri sostitutivi.

Non sono più sufficienti le previsioni deregolatorie previste dal Semplificazioni, tropo tenui.

Accanto ai Commissari si creeranno nuovi soggetti attuatori ancora più potenti ed ancora prima che la deregulation (rectius, semplificazione) possa produrre i propri effetti si prevedono poteri sostitutivi dai confini e competenze indeterminate.

Per gestire una partita decisiva e finale come il Recovery serve una prospettiva e strategia pluriennale che necessita di una condivisione parlamentare ed unità istituzionale.

Parliamo di importi che dovranno essere spesi nei prossimi sei anni mentre nel recente passato per quegli stessi importi sono serviti 15/20 anni perché risultassero impegnati.

Serve un abito mentale nuovo, il Parlamento deve esercitare il proprio ruolo politico perché parliamo di manovre ed impegni che abbracceranno i prossimi 15 anni in termini di restituzione dei prestiti ricevuti.

Dal fumo delle parole e degli annunci stanno emergendo le reali problematiche.

Quanto sono lontani i tempi del piano Colao o degli Stati Generali, sembrano addirittura passate in secondo piano le perplessità sulle deroghe del Semplificazioni.

Il Piano Nazionale delle Riforme, il Piano Italia Veloce o il Piano Nazionale per la Ripresa e Resilienza sembrano strumenti sterili e vuoti se non è preliminarmente chiaro quando e su quali risorse si potrà fare affidamento.

Non è possibile continuare a comperare tempo con annunci e bonus a pioggia perché la locomotiva delle opere pubbliche sta viaggiando a velocità folle verso il baratro, e con essa il Paese.

Ora basta, assistiamo ad una eterogenesi dei fini che ci sembra nascondere, in realtà, una grande confusione ed una totale assenza di progettualità: non è accettabile cambiare ogni 15 giorni le priorità del momento.

Così facendo siamo passati da marzo ad ottobre senza che nessun cantiere sia stato aperto ed alcuna manodopera sia stata impegnata.

Come Ance abbiamo fatto proposte semplici, operative, di grande pragmaticità senza voli pindarici; non abbiamo mai avuto risposte concrete.

Così non andiamo da nessuna parte, non è possibile vivere in una proiezione alternativa sganciata dai fatti e dai problemi quotidiani.

(*) Vice Presidente Ance con delega alle Opere pubbliche

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Antincendio, in arrivo semplificazioni (vere) per l'80% delle attività soggette ai controlli

di Mariagrazia Barletta

Il 30 settembre scorso il Comitato tecnico centrale ha rimodulato la lista delle 80 attività:

aumentano quelle a minor rischio (e minori adempimenti)

È in arrivo una corposa semplificazione degli adempimenti per le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, che porta con sé una significativa riduzione degli obblighi amministrativi.

Con la seduta del 30 settembre del Comitato centrale tecnico scientifico per la prevenzione incendi (Ccts) è stata approvata, in via definitiva, la bozza di allegato al Regolamento di prevenzione incendi (Dpr 151 del 2011). Bozza che, dopo aver preso la forma di un Dpr, introdurrà cospicue modifiche all'elenco delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi. Le semplificazioni riguardano circa l'80% degli 80 punti dell'elenco. Per 41 delle 80 tipologie di attività viene ampliata o introdotta la categoria cosiddetta A, riservata ai casi considerati dal legislatore a minor rischio di incendio e dunque autorizzabili, per quanto riguarda la prevenzione incendi, con le presentazione della sola Scia.

Cambiano anche le declaratorie e, per effetto dell'innalzamento o della modifica ai limiti di assoggettabilità, in 18 casi può accadere che un'attività attualmente sottoposta ai procedimenti di prevenzione incendi non lo sarà più con l'entrata in vigore del nuovo elenco. Le diverse semplificazioni si intersecano e per 56 delle 80 tipologie di attività, inoltre, la categoria C (considerata a maggior rischio) si "impoverisce" a favore della categoria B. Quanto all'iter da seguire, l'articolo 2 del Dpr 151 del 2011 prevede che la revisione dell'elenco delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi vada effettuata con un Dpr, da emanare su proposta del Viminale, sentito il Ccts.

Più attività in categoria A se c'è soluzione conforme

Va ricordato che il Dpr 151 del 2011 ha recepito quanto disposto dalla legge 122 del 2010 che ha introdotto la Scia nei procedimenti dei Vigili del Fuoco. Il Dpr ha legato la semplificazione al concetto di proporzionalità dell'azione amministrativa, andando a distinguere le attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi in tre categorie (A, B e C) in base alla dimensione dell'impresa, al settore di attività, alla esistenza di specifiche regole tecniche, alle esigenze di tutela

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della pubblica incolumità. Con la tripartizione delle attività, gli adempimenti sono stati calibrati in base al rischio, prevedendo iter semplificati per le attività a rischio più basso, di categoria A, e via via più complessi per quelle in categoria B e C, che, contrariamente alle A, sono soggette all'incombenza della valutazione del progetto da parte dei Vigili del Fuoco (per le sole C è obbligatorio il rilascio, da parte dei Vigili del Fuoco, del Certificato di prevenzione incendi).

Con la nuova bozza, viene ampliata o introdotta la categoria A nel 50% delle attività (41 per la precisione). Significa che aumentano considerevolmente i casi in cui – entro precisi limiti (espressi in numero di occupanti, quantità di materiale stoccato, numero di lavoratori, superficie, etc..) - si è obbligati alla sola presentazione della Scia attestante la rispondenza dell'attività alle norme antincendio. Questo accade per la stragrande maggioranza delle attività per le quali attualmente vige l'obbligo di seguire le norme del Codice di prevenzione incendi (in prevalenza depositi, industrie e altre attività produttive). Il concetto è il seguente: laddove c'è una normativa tecnica da seguire (nel caso specifico il riferimento è al Codice di prevenzione incendi) può allentarsi il controllo da parte dei Vigili del Fuoco. Quasi sempre, la categoria A di nuova introduzione è valida solo nei casi in cui si utilizzano soluzioni conformi. Queste ultime sono tali se così definite dal Codice o se derivanti dall'osservazione di regole tecniche specifiche anche di stampo tradizionale. Bisogna inoltre prestare attenzione alle diciture. In particolare non si fa più riferimento alle «persone presenti», bensì agli «occupanti». Non esiste più il termine «addetto», che viene sostituito con «lavoratore» (così come inteso dal Dlgs 81 del 2008), andando però a considerare nel calcolo delle soglie solo i lavoratori dipendenti contemporaneamente presenti nel turno lavorativo. Molti termini, compreso quello di altezza antincendio, fanno riferimento al Codice (Dm 3 agosto 2015 e smi).

Semplificazione per palestre e impianti sportivi entro i 100 occupanti Per gli impianti sportivi e le palestre, pubblici e privati, decade il vincolo dei 200 mq di superficie lorda per i locali al chiuso. Significa che queste attività se hanno superficie superiore a 200 mq, ma non superano il limite dei 100 occupanti, escono dall'elenco delle attività soggette e dunque non sono più sottoposte agli adempimenti previsti dal Regolamento di prevenzione incendi.

Per alberghi, scuole, attività commerciali e autorimesse più ampia la categoria A se la soluzione è conforme

Gli alberghi potranno presentare la sola Scia se i posti letto sono contenuti entro 100 unità, ciò vale, però, solo se per la progettazione si utilizzano le soluzioni conformi (quelle della regola tecnica tradizionale o del Codice). Come per gli alberghi, anche per le scuole e gli asili nido arriva uno "sconto" quanto si impiegano o le soluzioni conformi del Codice o quelle prescrittive delle tradizionali regole tecniche verticali. In tal caso, ad esempio, le scuole e gli asili nido sono soggetti alla sola presentazione della Scia rispettivamente entro i 300 e i 50 occupanti. Attualmente la soglia di inclusione delle scuole per la categoria A è – va ricordato - di 150 persone; mentre gli asili nido sono sempre in categoria B. Lo stesso vale per le attività commerciali, per le quali la soluzione conforme fa salire la soglia di permanenza in categoria A, portandola da 600 a 1.500 mq. Stesso concetto per le autorimesse, per le quali tale limite viene triplicato e fissato a 3mila mq. Bisogna fare invece attenzione gli uffici, perché se si impiegano soluzioni alternative, nel range 300-800 occupanti si è sempre in categoria B. Ciò si relaziona al Codice che non prevede soluzioni alternative per i casi che ricadono in categoria A.

Attività non più sottoposte a controlli per variazione delle soglie di assoggettabilità Per 18 punti dell'elenco - per effetto delle modifiche alle declaratorie e ai limiti di assoggettabilità - alcune attività escono dalla sfera d'azione del Dpr 151 del 2011. Ciò accade, ad esempio, per gli stabilimenti in cui si producono o impiegano liquidi infiammabili o combustibili, in quanto il quantitativo globale-soglia, limitatamente ai liquidi con punto di infiammabilità superiore a 65°C e fino a 125°C, passa da 1 a 6 mc. Per gli stabilimenti di oli lubrificanti con punto di infiammabilità superiore a 125°C il quantitativo-soglia passa da 5 a 10 mc. Riviste al rialzo anche le soglie di:

depositi o rivendite di liquidi infiammabili o combustibili o oli lubrificanti (attività 12); depositi o

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rivendite di alcoli (attività 15); stabilimenti di estrazione con solventi infiammabili (attività 16).

Viene introdotta una soglia di assoggettabilità per gli impianti di distribuzione carburanti liquidi (attività 13 a). Per i depositi di carata, gli archivi e le biblioteche la soglia della declaratoria, attualmente pari a 5mila Kg, passa a 10mila kg. Sono questi solo alcuni dei 18 casi menzionati.

Abolita la «promiscuità strutturale» per l'attività numero 73

Una grande semplificazione riguarda l'attività 73, per la quale decade il requisito di «promiscuità strutturale». La declaratoria cambia notevolmente, in particolare rientrano in tale attività gli

«edifici o complessi edilizi a uso terziario o industriale caratterizzati da promiscuità dei sistemi delle vie di esodo o degli impianti di protezione attiva contro l'incendio con numero di occupanti superiore a 300, o di superficie complessiva superiore a 5.000 mq, indipendentemente dal numero di soggetti costituenti e dalla relativa diversa titolarità».

Centrali termiche, gruppi elettrogeni e depositi di Gpl

Quanto alle attività non rientranti nel campo di applicazione del Codice, interessanti sono, ad esempio, i casi che riguardano i gruppi elettrogeni, le centrali termiche (comprese quelle condominiali) e i depositi di Gpl. Per i gruppi elettrogeni la soglia di assoggettabilità, basata sulla potenza nominale complessiva, passa a 50 kW e la categoria A viene ampliata fino alla potenza di 1 MW (attualmente è di 350 kW). Nel nuovo schema di allegato le centrali termiche rientrano in categoria A fino alla soglia di 700 kW (limite che dunque viene raddoppiato). I depositi di Gpl sono autorizzabili con la sola Scia non più entro i 5 mc, ma fino a 13 mc.

La nuova attività numero 81

Il nuovo elenco aggiunge l'ottantunesima attività, che riguarda gli stabilimenti e gli impianti che effettuano stoccaggio e operazioni di trattamento di rifiuti. Questi avranno presto una regola tecnica verticale.

Normativa più severa per gli interporti

Per gli interporti decade la soglia di assoggettabilità attualmente pari a 20mila mq. Dunque se non ci saranno modifiche, gli interporti saranno soggetti agli adempimenti del Dpr 151 indipendentemente dalla rispettiva superficie.

Escluse le attività temporanee

Sono escluse dal nuovo allegato I tutte le attività temporanee; per attività temporanee – si legge in una nota in calce al nuovo elenco - «si intendono quelle caratterizzate da una durata breve, ben definita e comunque non superiore a 60 giorni, non stagionali o permanenti, né che ricorrano con cadenza prestabilita».

Il nuovo elenco aggiornato al Dlgs di attuazione della direttiva 2013/59/Euratom Il nuovo elenco (ai punti 58, 59, 60, 61 e 62) viene aggiornato al Dlgs 101 del 31 luglio 2020, con il quale si dà attuazione alla direttiva 2013/59/Euratom. Con la sua entrata in vigore (lo scorso 28 agosto) sono stati modificati i parametri per l'assoggettamento alle diverse autorizzazioni che riguardano la sicurezza contro le radiazioni ionizzanti. Già adesso le attività contraddistinte dai numeri da 58 a 62 fanno riferimento al Dlgs 101/2020, con la conseguente modifica anche dei valori per l'assoggettamento ai controlli di prevenzione incendi (si veda la circolare Dcprev 12000 del 16 settembre 2020).

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Superbonus con cessione ampia a familiari e altri soggetti privati

di Cristiano Dell'Oste e Giuseppe Latour

Superati i limiti dettati dalle Entrate nel 2018: non serve il legame con i lavori, l’interpello 432 permette a un forfettario di trasferire la detrazione al genitore

Cessione dei crediti d'imposta senza limiti soggettivi. Sia per il superbonus che per gli altri bonus casa, in relazione a spese sostenute quest'anno e nel 2021. Vanno così in archivio le restrizioni dettate dal Fisco nel 2018, quando per acquisire il credito era necessario un collegamento di qualche tipo con l'intervento di ristrutturazione. Il chiarimento è contenuto in una risposta a interpello dell'agenzia delle Entrate (la 432 di ieri).La domanda arriva da un libero professionista in regime forfettario, che effettua quest'anno un intervento di sostituzione degli infissi della propria abitazione e intende cedere l'ecobonus del 50% al padre, che ha finanziato la spesa.

L'Agenzia, per rispondere, conferma che anche chi possiede solo redditi soggetti a imposta sostitutiva o tassazione separata può sfruttare la cessione del credito d'imposta o lo sconto in fattura.

È la situazione tipica della cosiddetta flat tax degli autonomi, ma anche di chi possiede solo redditi da locazione sottoposti a cedolare secca. Al di là del chiarimento sui forfettari in qualità di

"cedenti", la risposta è importante perché supera un dubbio emerso tra gli operatori e riguardante i possibili "cessionari" dei bonus (si veda anche Il Sole 24 Ore del 17 agosto scorso). Ci si chiedeva, infatti, se la cessione del superbonus e degli altri bonus edilizi, regolata dal decreto Rilancio (articolo 121 del Dl 34/2020), fosse soggetta alle limitazioni dettate con la circolare 11/E/2018. In quel caso l'Agenzia – forte di un parere della Ragioneria dello Stato – aveva affermato che gli altri soggetti privati cui può essere ceduto l'ecobonus devono essere «collegati al rapporto che ha dato origine alla detrazione». In pratica, era possibile cedere la detrazione per un intervento sulle parti comuni al condomino della porta accanto, ma non al figlio residente in un'altra casa.

Stessa cosa nel caso di interventi di riqualificazione eseguiti da soggetti societari appartenenti a un gruppo: la cessione era possibile solo a consociate, e non al di fuori del perimetro del gruppo.

È vero che il decreto Rilancio non pone limiti e parla genericamente di «cessione ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari». Ma anche la vecchia norma

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parlava soltanto di «altri soggetti privati» (articolo 14, comma 2-sexies, Dl 63/2013) e il Fisco aveva comunque posto un vincolo. Ora le Entrate lo dicono senza incertezze: «Il meccanismo di cessione disciplinato dall'articolo 121 riguarda un contesto diverso, rispetto al quale non operano le limitazioni descritte nella citata circolare n. 11/E in merito alle modalità delle cessioni e all'individuazione dei soggetti cessionari».

Via libera quindi alla cessione ai familiari, ma anche ad altre società non collegate a quella che beneficia della detrazione, magari individuate dallo stesso commercialista che ne cura la contabilità. Il mercato della cessione tra privati ne riceverà probabilmente una forte spinta.Il chiarimento di ieri arriva dopo che l'interpello 425/2020 ha affermato che, in presenza di più fornitori, anche uno solo di essi può acquistare l'intero credito d'imposta da ecobonus. La risposta 137/2020 (ormai superata) aveva invece sdoganato la possibilità di "vendere" il bonus a una società partecipata dal committente che ha fatto eseguire i lavori.

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Commissione di gara, se è solo di membri interni non serve definire regole di

competenza e trasparenza

di Stefano Usai

Nuova lettura delle norme del codice, anche evidenziando gli effetti negativi del "profluvio" di modifiche estemporanee e fuori da un quadro razionale

Se i componenti della commissione di gara vengono scelti tra i dipendenti in servizio ovvero tra i funzionari della stazione appaltante, non può ritenersi sussistente l'obbligo della predefinizione dei criteri di traparenza e competenza che devono presidiare il procedimento di individuazione dei componenti del collegio. In questo senso, la recente sentenza del Tar Campania, Napoli, sez.

V, n. 4103/2020 . Il caso

Il Tar Campano, con la sentenza in commento offre – in tema di criteri di trasparenza e competenza per la nomina dei commissari di gara – una nuova lettura delle norme codicistiche anche evidenziando gli effetti negativi del "profluvio" di modifiche praticamente estemporanee e fuori da un quadro razionale (in particolare la legge 55/2019 che ha sospeso l'operatività dell'albo dei commissari). Non a caso, alla contestazione sulla mancata previsione dei criteri di competenza e trasparenza che debbono presidiare il processo di nomina dei commissari da parte del Rup, immediatamente il giudice rileva che, oggettivamente, «il complesso apparato normativo costituito dall'art. 77, comma 3, è stato, indubbiamente, fortemente compromesso dall'intervenuto differimento dell'entrata in vigore dell'istituto dell'Albo istituendo presso l'Anac, che, mediante il filtro costituito dall'iscrizione, avrebbe determinato la tendenziale separatezza tra gli organi deputati alla gestione delle gare d'appalto e le stazioni appaltanti».

Inoltre, si legge in sentenza, "l'effetto" dei continui rimaneggiamenti ha generato una disposizione non compiutamente coordinata, che àncora la scelta dei commissari, come detto, solo a «regole di competenza e trasparenza, preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante». Da qui l'interessante lettura, opportuna indicazione per i Rup, secondo cui la stazione appaltante non deve ritenersi sempre obbligata a stabilire precisi "criteri" per l'individuazione dei commissari.

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Secondo il Collegio, più nel dettaglio, la stazione appaltante non sarebbe tenuta alla previa predisposizione dei criteri di trasparenza e competenza "nel caso in cui i commissari siano individuati tra gli "interni" dell'Amministrazione, fermo il principio di rotazione, che parte ricorrente, tuttavia nel caso di specie, «non ha richiamato e di cui non ha contestato il mancato rispetto».

Uleriori precisazioni

La riflessione del giudice campano viene ampliata anche alla stregua di quanto già fatto dalla giurisprudenza maggioritaria secondo cui "a ben vedere, a tale obbligo", ovvero alla necessaria previsione di criteri oggettivi di individuazione dei commissari, l'Amministrazione non sarebbe tenuta, "neppure nel sistema "a regime", nei casi stabiliti dalla disposizione commentata, fermo il rispetto del principio di "rotazione" e della "competenza" dei commissari". Ed infatti, prosegue la sentenza, l'interpretazione del sistema transitorio, da parte della giurisprudenza, «ha sempre richiesto un approccio non formalistico (cfr., da ultimo, TAR Campania, Salerno, I, n. 728/2020), richiedendosi, piuttosto, la specificazione, in sede di formulazione di motivi di ricorso, dei pretesi profili di assenza di trasparenza e competenza».

In questo senso il Consiglio di Stato ha osservato che la mancanza di criteri previamente stabiliti

«non determina mai, ex se, l'illegittimità della nomina della commissione» visto che «occorre dimostrare che, in concreto, siano totalmente mancate le condizioni di trasparenza e competenza (Cons. di Stato, sez. II, n n.4865/2019)». In ogni caso, sempre stando alla giurisprudenza maggioritaria, la stessa contestazione – circa la mancata previsione dei criteri in commento - deve essere esaminata «non in maniera meccanica e formalistica, ma sulla base di una valutazione finalistica della ratio ad essa sottesa; pertanto, ove i principi di competenza e trasparenza non siano in concreto vulnerati, l'eventuale omessa predeterminazione delle ridette regole costituisce un'inosservanza meramente formale, inidonea a ridondare in vizio di legittimità della nomina (cfr. TAR Abruzzo - Pescara, n. 119 del 6.3.2020)». Infine, la circorstanza che la scelta dei commissari sia avvenuta tra gli interni «scolora fortemente il sospetto di mancata trasparenza (posto che lo stesso incardimento del nominato nell'Amministrazione che indice la gara evita la scelta non controllata all'esterno)».

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Recovery, a Città e Province la regia dei progetti locali

di Michele de Pascale (*)

Ripresa e resilienza: sono queste le parole chiave che l’Unione Europea ha scelto per indicare gli obiettivi e le finalità del Piano

Ripresa e resilienza: sono queste le parole chiave che l’Unione Europea ha scelto per indicare gli obiettivi e le finalità del Piano che dovrà utilizzare il Recovery Fund, ed è da queste che l’Italia deve partire per costruire un progetto nazionale organico che davvero permetta al Paese tutto di uscire più forte dalla crisi economica e sociale. Se interpretassimo questo strumento straordinario solo come l’occasione per soddisfare le, pur legittime, urgenze di qualche città – il tratto di metropolitana rimasto nel cassetto da anni, il rifacimento del manto stradale che tanto chiedono i cittadini - sprecheremmo un’occasione unica. Quella di realizzare un vero e proprio disegno complessivo di crescita e consolidamento del tessuto economico e sociale su pochi essenziali obiettivi, in grado di assicurare a tutti i territori, dal nord alle isole, di partecipare alla ripresa e coglierne i frutti per consolidarsi. Governo e Parlamento insieme decidano i grandi asset prioritari - che si tratti di rafforzare i presidi sanitari oppure di investire in opere e infrastrutture. Regioni, Province e Comuni trasformeranno le linee strategiche in progetti da attuare sui territori, ognuno per le proprie competenze, attraverso percorsi semplificati tali da consentire in rapidità il pieno utilizzo delle risorse. È in questa strategia complessiva che le Province chiedono di considerare due priorità, che interpretano a pieno lo spirito stesso del Recovery Fund: un piano nazionale per una nuova scuola moderna, tecnologicamente rinnovata, digitale ed ecosostenibile e la ricostruzione di una rete di collegamenti viari - ponti, viadotti e gallerie - che tenga insieme il Paese e i poli economici e industriali in sicurezza ed efficienza. Si tratta di recuperare anni di ritardi – come nel caso delle 7.500 scuole superiori - in questi due settori che sono essenziali all’interno di una linea di finanziamento che, ricordiamolo, si chiama Next Generation Eu.

Obiettivi che muovono energie, risorse, opportunità, sull’intero territorio: la ripresa e la resilienza dell’Italia, d’altronde, discendono da uno sviluppo equilibrato generalizzato, che non può costruirsi su una forzata divisione di comunità e sistemi economici che contrappone le Città metropolitane al resto del Paese. Piuttosto, in una logica di definizione chiara di ruoli all’interno del disegno istituzionale, le Città metropolitane insieme alle Province possono diventare i cento centri di competenza sui territori, capaci di promuovere la digitalizzazione, progettare e realizzare le opere pubbliche sia di livello locale che nazionale. È chiaro però che questo nuovo slancio sugli investimenti deve essere accompagnato da una serie di riforme per migliorare la funzionalità stessa della Pubblica amministrazione. Accanto agli interventi sulle competenze dei dipendenti pubblici, sulla digitalizzazione e sul miglioramento della capacità amministrativa della Pa, tra le riforme prioritarie da approvare nel 2021 deve essere portata a termine la revisione del Testo unico degli enti locali con le indispensabili e ormai urgenti modifiche alla riforma delle Province.

Si tratta di costruire una cornice normativa certa e duratura che riordini e semplifichi il sistema di governo locale, per rendere più funzionali Province, Città metropolitane e Comuni e consentire loro di contribuire all’attuazione del Piano nelle condizioni di efficienza e di adeguatezza che merita questa occasione storica per l’Italia.

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