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Centro sociale A.04 n.18. Inchieste sociali servizio sociale di gruppo educazione degli adulti sviluppo della comunità

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(1)

Sociale

in c h ie s te s o c ia li

s e r v iz io s o c ia le di gru p p o

e d u ca zio n e d e g li adulti

sv ilu p p o d e lla com u n ità

(2)

Centro Sociale

inchieste sociali - servizio sociale di gruppo

educazione degli adulti - sviluppo della comunità a. IV — n. 18, 1957 — un numero con tav. alleg. L. 400 — abbonamento a 6 fascicoli e 6 tavole 7 0 X 1 0 0 allegate L. 2.200 — estero L. 4.000 abbonamento alle sole 6 tavole L. 900 — spedizione in abbonamento postale gruppo IV — c. c. postale n. 1/20100 — Direzione Redazione Amministrazione: piazza Cavalieri di Malta, 2 — Roma — telefono 593.455

S o m m a r i o 1 Corrado Böhm 2 Roberto Vacca 5 Giorgio Sacerdoti 11 Callisto Cosulich 16 23 27 33

Limiti della fantasia

La fantascienza può essere formativa? Tentativo di classificazione della letteratura contemporanea di fantasia scientifica Finalità di un automa

Breve storia del cinema di fantascienza

Documenti

Notizie

Estratti e segnalazioni

Tempo libero e dinamica socioculturale - Civi­ smo e democrazia - Elogio alle scuole di servizio sociale - La situazione attuale dei Centri sociali francesi.

39 Indici delle annate 1954-1957

Allegati

Recensioni: A. Meister, Coopération d'habita­ tion et sociologie du voisinage (D. Carazzolo); L. Cavalli, Inchiesta sugli abituri (M. Calogero Comandini).

Periodico bimestrale redatto a cura del Centro Educazione Professionale Assistenti Sociali sotto gli auspici dell’ UNRRA CASAS Prima Giunta Comitato di direzione: Achille Ardigò, Vanna Casara, Giorgio Molino, Ludovico Quaroni, Giorgio Ceriani Sebregondi, Giovanni Spagnolli, Angela Zucconi - Direttore responsabile: Paolo Volponi - Redattore: Anna Maria Levi

(3)

Limiti della fantasia

« ...Che nella Luna o in altro pianeta si generino o erbe o piante o

animali simili a i nostri, o vi si facciano, pioggie, venti, tuoni, come intorno

alla Terra, io non lo so e non lo credo, e molto meno che ella sia abitata

da uomini : ma non intendo già come tuttavolta che non vi si generino

cose simili alle nostre, si deva di necessità concludere che ninna altera­

zione vi si faccia, né vi possano essere altre cose che si mutino, si gene­

rino e si dissolvano, non solamente diverse dalle nostre, ma lontanissime

dalla nostra immaginazione, ed in somma del tutto a noi inescogitabili.

E sì come io son sicuro che a uno nato e nutrito in una selva immensa,

tra fiere ed uccelli, e che non avesse cognizione alcuna dell’elemento del­

l’acqua, mai non gli potrebbe cadere nell’immaginazione essere in natura

un altro mondo diverso dalla terra, pieno di animali li quali senza gambe

e senza ale velocemente camminano, e non sopra la superficie solamente,

come le fiere sopra la terra, ma per entro tutta la profondità, e non

solamente camminano, ma dovunque piace loro immobilmente si fermano,

cosa che non posson fare gli uccelli per aria, e che quivi di più abitano

ancora uomini e vi fabbricano palazzi e città, ed hanno tanta comodità

nel viaggiare, che senza ninna fatica vanno con tutta la famiglia e con

la casa e con le città intere in lontanissimi paesi; sì come, dico, io son

sicuro che un tale, ancorché di perspicacissima immaginazione, non si

potrebbe già mai figurare i pesci, l’oceano, le navi, le flotte e le armate

di m are; così, e molto più, può accadere che nella Luna, per tanto inter­

vallo remota da noi e di materia per avventura molto diversa dalla Terra,

sieno sostanze e si facciano operazioni non solamente lontane, ma del

tutto fuori d’ogni nostra immaginazione, come quelle che non abbiano simi­

litudine alcuna con le nostre, e per ciò del tutto inescogitabili, avvengaché

quello che noi ci immaginiamo bisogna che sia o una delle cose già vedute,

o un composto di cose o di parti delle cose altra volta vedute; ché tali

sono le sfingi, le sirene, le chimere, i centauri, etc. ».

(Galileo Galilei, Dialogo sopra i due -massimi sistemi del mondo, 1632)

(4)

La fantascienza può essere form ativa ?

dì Corrado Böhm

Leggere cose ignote scritte in una

lingua che appena si conosce è fati­

coso e deprimente. E’ purtroppo quel­

lo che succede a ciascuno di noi che,

privo di particolare preparazione,

legge a caso qualche pagina di un’ope­

ra scientifica o di un articolo pretta­

mente tecnico. Eppure la nostra vita

è ogni giorno più condizionata dalle

scoperte scientifiche. Appare impor­

tante per ognuno di noi arrivare al­

meno sulla soglia di tali scoperte;

capirne i motivi contingenti che le

hanno causate e rendersi conto degli

effetti più immediati. Ci rivolgiamo

allora alle opere di divulgazione scien­

tifica. Esistono diversi periodici in

Italia che assolvono brillantemente il

compito di ruminatori o digeritori

(da Digest) delle conquiste scientifi­

che ed illustrano la storia di tale sco­

perta o le recenti applicazioni di tale

altra invenzione.

Se diventiamo degli abituali di que­

ste letture rischiamo di trasformarci

in freddi ed eclettici ammiratori della

scienza, perché non tutti gli autori

riescono a rendere efficacemente, co­

me per esempio Paul de Kruif, lo stato

d’animo e la poesia dello sforzo umano

teso verso nuove conquiste dello spi­

rito.

La divulgazione scientifica può

quindi appagare qualche nostra cu­

riosità, tuttavia talvolta soddisfacen­

dola la neutralizza o la svitalizza in

quanto noi spesso rinunciamo volon­

tariamente a saperne di più.

V ’è un modo più immaginoso e più

emotivo di avvicinare il mondo della

scienza e rendersi conto di alcuni suoi

effetti nella vita dell’uomo. Consiste

nel leggere delle buone opere di fan­

tascienza. Alla parola buono voglia­

mo qui attribuire un significato più

morale che estetico.

Scartiamo anzitutto i romanzi in

cui l’umanità viene a contatto con

mostri extraterreni spaventosi per la

loro mole e la loro forma degenerata.

Si direbbe che l’unico scopo di questi

mostri è di affascinare l’attenzione del

lettore mediante visioni da incubo

addormentando in lui (vecchio espe­

diente) ogni facoltà critica e riflessiva.

Si tratta di una nuova forma di gran-

ghignolismo.

Scartiamo i romanzi che della fan­

tascienza prendono a prestito il tito­

lo, il glossario e qualche personaggio

stereotipato. L’autore, con uguale

sforzo, avrebbe potuto somministrarci

un « giallo » di pessima fattura op­

pure un « western » fumettistico.

Mediante questi scarti siamo riu­

sciti ad eliminare circa il 90% della

produzione che appare attualmente

in Italia di racconti di fantascienza.

In ultima analisi abbiamo scartato

opere create esclusivamente in fun­

(5)

zione del loro valore commerciale. Le

opere che prenderemo ora in conside­

razione non saranno forse dei capola­

vori letterari però si baseranno su

uno almeno dei seguenti motivi posi­

tivi :

a) Presentazione di una società

avveniristica in cui i maggiori pro­

blemi di oggi (confederazione mon­

diale, pace, equipartizione dei beni)

sono risolti, ma altri più gravi suben­

trano a causa di nuove condizioni

esterne da un lato e della perenne

psicologia umana dall’altro.

b) La conquista dello spazio in­

terplanetario da parte di esseri intel­

ligenti ha reso possibile il confronto

diretto dell’odierna civiltà terrestre

con civiltà d’altri pianeti. Nasce da

ciò un monito (specialmente se l’al­

tra civiltà è più progredita e potente)

per l’umanità : « Non distruggetevi a

vicenda finché siete ancora in tempo »

e segue uno sviluppo coerente di

eventi che porta alla soluzione di

molti problemi di convivenza pacifica

sul nostro pianeta.

c) Una certa scoperta scientifica

rende alcuni uomini padroni di certe

nuove forme di energia o di porzioni

di spazio o di tempo. Questa scoperta

è sorretta da teorie parascientifiche

che differiscono* apparentemente poco

o niente da quelle oggi universalmente

accettate. Nasce una situazione di

fatto paradossale che consente però

uno sviluppo logicamente corretto il

quale brillantemente risolve problemi

insolubili secondo le attuali cono­

scenze.

d) Un fenomeno di natura fisica

o astrofisica ovvero i postumi di esplo­

sioni nucleari portano dei sovverti­

menti biologici (p. es. mutazioni nei

geni) nella specie umana. Hanno da

ciò origine lotte e contrasti nuovi, ed

in sostanza un’umanità più compren­

siva.

I quattro tipi di intreccio presen­

tati non sono naturalmente i soli ed

i migliori. Servono a dare un’idea

dello sviluppo più o meno interessante

che può acquistare un racconto seria­

mente impostato su temi simili. E’

facile intuire l’importanza sociale di

tali romanzi. Citeremo soltanto :

La possibilità di agganciamento ad

una critica dell’odierna società (« Il

mondo nuovo » di Huxley, « 1984 »

di Orwell ed « Il pianeta dei nasci­

turi » di Werfel ne sono i più seri

e tipici esempi).

L’indicazione della urgenza della

soluzione dei più gravi problemi della

società contemporanea mediante la

esemplificazione dell’assurdo a cui

possono portare decisioni politiche

sbagliate o semplicemente la mancan­

za di decisioni adeguate.

Infine il carattere di parabola as­

sunto da alcuni racconti, anche se a

sfondo surrealista, può raggiungere

lo scopo di fare riflettere a situazioni

analoghe della vita odierna al di là

di ogni convenzionalismo e censura.

E l’educazione scientifica?

Un metodo efficace per mostrare la

solida compattezza delle premesse

sulle quali riposa l’intera costruzione

scientifica mi sembra quello ispirato

al Sansone biblico. Cosa succede se

togliamo qualche pilastro di base?

L’intera costruzione crolla. Vale la

pena di illustrare ciò con un esempio.

Supponiamo costruibile una Mac­

china del Tempo che permetta a chi

la manovra di spostarsi nelle due dire­

zioni Tempo. Ecco alcune concatena­

zioni logiche per lo più già sfruttate

dagli scrittori di fantascienza da

Wells in poi.

Chi possedesse una tale macchina

potrebbe fare a meno di una Dupli-

catrice (altra macchina sfruttata in

alcuni romanzi, dotata del potere di

fornire copia di qualsiasi essere vi­

vente o no in essa immesso). Infatti

per duplicare, per esempio, se stessi

basterebbe imbarcarsi su tale mac­

china e rendere'visita al se stesso di

(6)

qualche tempo prima; e similmente

per qualsiasi altro oggetto. Ciò impli­

ca naturalmente la coesistenza di due

tempi : quello fìsico entro il quale si

spazierebbe e quello fisiologico del

viaggiatore nel tempo. La duplica­

zione dell’essere vivente in conse­

guenza non sarebbe perfetta ; una vi­

sita al se stesso del passato metter

rebbe a confronto due persone di età

diversa con diversa esperienza. In

definitiva come conseguenza della sco­

perta di una Macchina del Tempo

l’uomo potrebbe :

— moltiplicare gli oggetti a sua

volontà ;

— essere ubiquo;

— conoscere il futuro ed even­

tualmente modificarlo entro certi li­

miti.

Poiché tutte queste facoltà appar­

tengono al mondo dei sogni, pur es­

sendo delle logiche (o quasi) conse­

guenze della premessa Macchina del

Tempo, appare evidente così a chiun­

que che pure la premessa appartiene

allo stesso regno. E ciò è educativo.

In ogni caso è sempre molto più

didattico mostrare dei ragionamenti

corretti su delle premesse irrealizza­

bili che arrivare agli stessi risultati

partendo da premesse effettuabili me­

diante degli svolgimenti irrazionali

ed inverosimili.

Il benessere dell’umanità dipende

sempre di più dalla soluzione di pro­

blemi che trascendono l’esistenza del

singolo e quindi assumono un carat­

tere impersonale. D’altra parte è ti­

pica ed antica nell’uomo la passione

per gli enigmi forse perché essa tra­

spone in un passatempo l’assillo dei

problemi contingenti.

La fantascienza, lettura di evasio­

ne, può tuttavia diventare una forma

abbastanza nobile di evasione se l’ac­

cento viene posto sulla problematica

delle azioni umane. Basterebbe che

gli autori adottassero regole simili a

quelle che reggono la concezione di

un problema di scacchi :

Correttezza. Lo sviluppo del racconto deve avere un carattere di plausibili­ tà. Al lettore deve riuscire impossibile immaginare, partendo dalla conoscen­ za dei fatti a lui descritti, situazioni che demoliscano la verosimiglianza del racconto o che addirittura lo ren­ dano ridicolo.

Originalità. La novità dello spunto presentato od almeno, se lo spunto è già noto, una migliore realizzazione.

Economia e difficoltà. La riduzione al­ l ’essenziale dei personaggi e fatti raccontati. Sia negato all’autore ag­ giungere (come succede nei romanzi polizieschi) dei personaggi e compli­ cazioni varie allo scopo di rendere l ’epilogo più difficile da scoprire. La difficoltà deve piuttosto dipendere dalla sottigliezza della soluzione.

La purezza di scopo. Questo è il pun­ to che avvicina maggiormente una buona opera di fantascienza ad una opera basata sulla disciplina intel­ lettuale propria delle scienze speri­ mentali. Se si vuol mostrare che un fenomeno è la causa di un altro non basta mostrare che l’apparire del primo fenomeno precede sempre quel­ lo del secondo; ma occorre mostrare che se il primo fenomeno è soppresso il secondo non apparirà più. L ’azione risolutiva del racconto sarà quindi pura di scopo se tale azione per il solo fatto di essere dilazionata o po­ sposta ad altre rende impossibile l’epilogo in quanto mancherebbe lo scopo speciale che si è proposta.

Qualcuno potrebbe osservare che

l’insistere su tali regole di composi­

zione logica (che fanno venire in

mente i tempi « ingenui » del positi­

vismo) è anacronistico in questo se­

colo che ha dato, tra l’altro, il sur­

realismo neH’arte e l’affievolimento

del principio di causalità nella fìsica.

L’unica risposta è che il comporta­

mento dell’uomo è sempre sufficiente-

mente irrazionale, oggi così come ieri,

perché egli possa trarre profitto « per

molto tempo ancora » da principi che

inducano a ragionare.

Corrado Bohm

(7)

Tentativo di classificazione della letteratura

contemporanea di fantasia scientifica

di Roberto Vacca

Qualche mese fa scrissi un racconto, nel quale era descritta la costru­

zione di una macchina raziocinante e parlante, cui venivano sottoposte

alcune questioni di metafìsica da dirimere ad iniziativa di certe Autorità,

dubbiose che l’esistenza della macchina stessa non fosse immorale. Rac­

contai la storia a qualche amico ed uno di loro mi chiese :

« Ma i Marziani ce li Hai messi? ».

Alla mia risposta negativa rimase piuttosto male ed affermò che,

allora, il mio scritto non si poteva veramente definire un racconto di

fantascienza. Questo criterio appare un po’ troppo ingenuo per poter

basare su di esso un giudizio in merito alla appartenenza di una^ data

opera romanzesca alla categoria degli scritti di fantasia scientifica. D’altra

parte, non ritengo che sarebbe fruttuosa una disamina più accurata delle

caratteristiche comuni ai moderni racconti di fantascienza, né una ricerca

di quelle caratteristiche di essi, che potrebbero essere utilizzate per defi­

nirli con una certa generalità.

Non credo neanche che una ricerca delle origini della letteratura di

fantasia scientifica risulterebbe più interessante. Lascio, quindi, ad altri

di decidere se il padre di questa letteratura sia da considerare Jules

Verne, oppure H. G. Wells, o se, invece, i primi esempi non siano da

ricercare molto più indietro, risalendo ai racconti di fate o forse anche

alla letteratura classica romana o greca.

Mi limiterò solo a delineare i temi, che sono trattati più frequente­

mente dagli scrittori contemporanei di fantascienza e che, quindi, vero­

similmente, più incontrano il favore del pubblico, ed i temi che, invece,

vengono ignorati o toccati solo raramente. E cercherò di fornire una

spiegazione ragionevole di tale stato di cose. Una classifica organizzata

in questo modo non consentirà distinzioni fra racconti scritti bene e rac­

conti scritti male, fra racconti ben costruiti e racconti la cui trama è

mal condotta. Questo, infatti, non è un discorso di estetica : non vogliamo

cercare se i veri artisti siano più o meno frequenti fra gli autori di fan­

tascienza. Alcuni sostengono, anzi, che la fantascienza, come i romanzi

gialli, è una sottospecie deteriore di letteratura e che a proposito di essa

non avrebbe significato alcuno parlare di arte.

Fra gli autori di racconti di fantascienza, alcuni sono scienziati veri,

altri no. I primi mettono nelle loro storie invenzioni e ritrovati in genere

abbastanza plausibili e li descrivono con una certa rigorosità. Spesso la

storia è costruita attorno ad una extrapolazione di teorie serie e ben

note : talora in essa viene data una soluzione più o meno cervellotica ed

improvvisata a problemi scientifici esistenti e tuttora insoluti, talora,

(8)

invece, la parte scientifica del racconto è tutt’altro che fantastica. Ven­

gono, anzi, descritte macchine esistenti e vengono illustrati principi e

teorie fisiche, anche complicati, ma noti solo agli scienziati, che colti­

vano una certa branca specializzata : al pubblico, che ignora questa cir­

costanza, il racconto può sembrare frutto di pura fantasia. Questo trucco,

però, non è di impiego molto frequente. Gli esempi più interessanti di

racconti scritti da scienziati Veri hanno spesso una componente umori­

stica, che può essere apprezzata e considerata divertentissima solo dal

pubblico ristrettissimo, costituito dagli altri scienziati che appartengono

allo stesso ramo dello scrittore. Questi esempi non possono certo essere

considerati tipici, ma costituiscono « scherzi di famiglia », derivati dal

gergo e dalle battute ricorrenti, che allignano nei clan dei laboratori e

degli istituti di ricerca.

La seconda categoria, quella degli scrittori che non sono scienziati

veri, è, ormai, la più numerosa. Questi, in genere, non sono molto ben

informati, né tengono molto al rigore scientifico delle loro esposizioni,

mantenute ad un livello piuttosto superficiale : la debolezza delle teorie è

bilanciata da un largo impiego di nomi e parole inventati a costituire

una nomenclatura tecnica di comodo. E’ abbastanza interessante la cir­

costanza che il vocabolario degli scrittori non scienziati ha subito un

processo spontaneo di standardizzazione, per cui si è formato un patri­

monio verbale, comune agli autori ed al pubblico e caratterizzato da una

corrispondenza più o meno univoca fra certe parole e certi oggetti inesi­

stenti e vagamente definiti. Certo nessun autore si dilungherebbe oggi a

descrivere le funzioni e le caratteristiche di un disintegratore, di una

cuffia di platino psicoprotettiva o di un psicospecillo, ed è anche inter­

venuto un tacito accordo in merito alle mutazioni, che si inseriranno

nella evoluzione della razza umana come conseguenza delle esplosioni

nucleari. Huxley con i suoi esseri deformi è in netta minoranza : i futuri

mutanti avranno sembianze umane, eventualmente modificabili a piacere

per mezzo di doti volontarie di plasticità, ma avranno capacità telepa­

tiche, telecinetiche, televisive e potranno anche essere dotati di memoria

ereditaria.

Fra gli scrittori di questa seconda categoria non sempre i meglio

informati ed i più rigorosi sono anche i più bravi. E’ interessante notare

che la formazione di un lessico universale standardizzato fantascienti­

fico rende particolarmente agevole a quegli scrittori, che perseguono fini

più strettamente commerciali, di « tradurre » le solite vecchie storie di

gangster e G.Men, di cow-boy e pellirosse in racconti di fantasia scien­

tifica. Le storie così prodotte sono di bassa qualità e non varrebbe la

pena di occuparsene, se non nel quadro di uno studio sulle applicazioni

della automazione alla produzione letteraria.

Il gruppo più numeroso di storie può essere caratterizzato dalla cir­

costanza che il pretesto, sul quale è imperniata la narrazione, è costituito

da una singola trovata fantascientifica. Non si tratta, quindi, di racconti

a tesi. In essi i problemi psicologici o morali sono solo sfiorati rara­

mente. Il racconto è costruito intorno alla trovata e le sue parti, i carat­

teri, le situazioni, i dialoghi, sono modellati a dare risalto ad una certa

idea fantastica su basi scientifiche, alla quale è affidata la maggior parte

dell’effetto.

(9)

Il nerbo del racconto è spesso fornito dall’idea di un nuovo ritrovato

tecnico. Si tratterà della scoperta di una nuova fonte di energia o di

nuovi mezzi di comunicazione o di distruzione o di costruzione. Si trat­

terà di una macchina, che serve a fare andare indietro il tempo, o di

una macchina dotata di poteri psichici. La scelta dell’invenzione nuova,

alla quale appendere un racconto, richiama alla mente la scelta di nuovi

modi, nei quali far uccidere la vittima, che costituisce una delle essen­

ziali preoccupazioni di un certo tipo di autore di romanzi gialli. Non

c ’è dubbio, però, che, al confronto, gli autori di fantascienza si livelino

molto più ingegnosi dei loro colleghi narratori di delitti. In effetti, nella

notevolissima mole di letteratura di questo tipo pubblicata specialmente

in America, sono state ipotizzate e descritte invenzioni di ogni tipo, esplo­

rando ogni campo della scienza e della tecnica, tanto che oggi è estrema-

mente arduo scrivere un pezzo basato su di una trovata non ancora sfrut­

tata. E citerò rapidamente qualche esempio.

I viaggi interplanetari, interstellari ed intergalattici sono stati

descritti minutamente nelle loro realizzazioni, nelle loro difficoltà tecniche

e nelle loro conseguenze, anche economiche e psicologiche. Si noti, per

inciso, che la descrizione dello stato di cose, che si realizza entro una

nave spaziale non soggetta ad alcuna forza di gravità, ha forse conti

1

-

buito a divulgare presso vaste categorie di persone alcuni dei principi

fondamentali della meccanica. Infatti la situazione dei viaggiatori spa­

ziali, che si trovano ad essere senza peso, viene in genere lumeggiata abba­

stanza ragionevolmente e precisamente.

Le utilizzazioni della energia atomica, eventualmente usata come

mezzo di propulsione nello spazio, e la diffusione di, essa nel cosmo hanno

fornito anche esse temi frequenti a molti racconti.

La costruzione di calcolatrici elettroniche e di macchine automatiche,

vicarianti alcune delle funzioni usualmente adempite dall’uomo, ha au­

mentato il filone di storie relative a robot. Questo è uno dei temi che

si trovano trattati più spesso. Dei robot sono state descritte : la psicolo­

gia normale e patologica, le capacità tecniche e le passioni, le perver­

sioni ed i peccati ed in qualche caso perfino la vita ormonica, se non le

avventure sessuali.

.

..

In generale le storie meno elaborate, di questo tipo, introducono n

nuovo ritrovato tecnico, descritto più o meno vagamente, come qualche

cosa di genericamente desiderabile e si esauriscono in una relazione del

modo seguito dai protagonisti per giungere alla realizzazione di esso. Gli

autori più evoluti, invece, utilizzano la trovata per risolvere una situa­

zione presentata inizialmente o per fornire la spiegazione di fatti inespli­

cabili, e possibilmente interessanti, che culminano in essa.

Un’altra categoria di storie potrebbe essere definita come quella dei

racconti d’ambiente, in cui l’elemento fantascientifico è costituito dalla

eccezionalità dell’ambiente stesso. Questo è spesso rappresentato da^ un

altro mondo abitato, lontano nello spazio ed eventualmente raggiunto dopo

un viaggio nello spazio, o lontano nel tempo. Frequentemente vengono

descritti mondi, appartenenti ad un altro sistema solare, tecnicamente

molto evoluti e che il racconto trova in epoca imprecisata. Si trovano

anche esempi di interpretazioni insolite del mondo in cui viviamo, che

non sarebbe quello che sembra : per la presenza fra noi di individui, che

(10)

esternamente sembrano uomini, ma che in effetti vengono da un altro

mondo o sono affetti da qualche strana particolarità, oppure per la pos­

sibilità di comunicazione metapsichica fra gli uomini e gli abitanti di

altri pianeti o fra i contemporanei e gli uomini antichi o futuri, che

sarebbe possibile a certe persone, e così via. Derivano da questo gruppo

le storie, che col pretesto di una trama più o meno esile, espongono certe

superficiali cosmogonie e che, talora giocosamente, illustrano in un qua­

dro unico la creazione della terra e dell’universo ed i rapporti fra gli

esseri intelligenti del creato (in questo ed in altri mondi) con il Crea­

tore. C. S. Lewis ne è uno dei migliori esempi : ha scritto una serie di

libri, che cominciano con un viaggio su Marte e finiscono con una storia

del creato, nella quale figurano anche il Diavolo ed il peccato originale.

Una terza categoria è quella dei racconti imperniati sulla acquisi­

zione da parte di un uomo di capacità soprannaturali oppure tecniche

talmente evolute da differenziarlo nettamente dal resto della umanità.

Entrano in scena qui il mutante, che ha doti di preveggenza, il vecchio

pensionato, che si accorge improvvisamente di poter creare gli oggetti

che immagina, il medico, che trova il sistema per ridurre l’altezza dei

suoi simili a pochi centimetri o per trasformarli in piante, lo studente,

che trova un trucco per assimilare rapidamente tutto lo scibile, e simili :

mi si consenta di lasciar fuori i tipi vari e deteriori di superman, che

per ora non sembra abbiano una vitalità sufficiente ad avventurarsi fuori

dai fumetti.

I racconti a tesi che svolgono le implicazioni di qualche problema

etico o sociale sono piuttosto rari. Si trovano trattati sopra tutto i temi

più ovvi. L’integrità morale dello scienziato viene lumeggiata per mezzo

di confronti con espressioni1 elementari di conflitto fra i doveri. Ad esem­

pio : gli scienziati hanno il diritto di condurre esperienze importanti ma

pericolose per tutta l’umanità o per una sua parte? Se pensiamo alle

odierne! polemiche in merito ai pericoli delle esperienze nucleari, vediamo

che tale questione è viva ed attuale. Ad esempio A. Bester, nella sua

novella Adamo senza Èva, vi ha risposto raccontando la storia di un

astronauta, che sperimenta un nuovo combustibile atomico riuscendo a

compiere un breve viaggio nello spazio : quando torna sulla Terra, si

accorge di aver distrutto su di essa ogni forma di vita iniziando, durante

il decollo, una reazione a catena, innescata dai prodotti di scarico del suo

razzo atomico. L’istinto lo conduce a morire in mare e dalle cellule del

suo corpo si rigenereranno microrganismi, che diffonderanno di nuovo

la vita nel mondo. Questa allusione ad un eterno ritorno serve probabil­

mente a non dare un’impressione di eccessivo pessimismo. La morale,

che si può trarre da questo tipo di storie, è vagamente prudenziale e

scaramantica e si riduce ad un incitamento a non seguire cattivi esempi :

tipico, fra questi, quello della antichissima popolazione della Luna, che,

secondo un autore, avrebbe scoperto l’energia atomica in epoca preisto­

rica, con la conseguenza che un esperimento troppo arrischiato avrebbe

prodotto un’esplosione, che ha distrutto tutti i lunari ed ha lasciato sulla

superficie del nostro satellite i segni dei noti crateri.

Le questioni umanitarie e sociali vengono trattate spesso sotto la

forma di satire più o meno trasparenti. Volendo fare una storia delle

(11)

trasposizioni di situazioni attuali e scottanti in mondi immaginari, biso­

gnerebbe andare indietro almeno fino a Voltaire e Swift. Ed ecco alcune

di tali questioni : la validità del quinto comandamento si estende o no

fino agli altri ipotetici esseri viventi, che forse popolano l’universo ? Quali

sono le caratteristiche in base alle quali si può giudicare se un essere

è vivente o no? Quale sarebbe la posizione morale e metafisica di even­

tuali esseri viventi prodotti sinteticamente dall’uomo in laboratorio?

Ma lasciamo pure da parte Frankestein. Una situazione, che è stata

usata da più di un autore americano, è quella della segregazione razziale :

molti racconti sulla separazione forzosa fra marziani e terrestri non

sono che una critica delle attuali condizioni di vita dei negri negli Stati

Uniti.

Per quanto riguarda, infine, le indagini psicologiche, è abbastanza

raro che esse tocchino punti molto profondi. La situazione tipica trattata

è quella dello scienziato o del tecnico, che fa un lavoro così complicato

ed impegnativo da compromettere la stabilità della sua mente. I com­

plessi dello scienziato vengono descritti sempre più frequentemente in

termini psicanalitici, anche abbastanza corretti. Gli autori di questo tipo

di storie sono probabilmente quegli scienziati che amano far pesare la

importanza e la difficoltà del proprio lavoro e che dicono spesso : « Ad

occuparsi di queste cose c’è da diventare matti in poche settimane ».

Prima di indagare quali siano i temi ignorati o trattati molto rara­

mente nella letteratura di fantasia scientifica, vediamo quali sono le

ragioni per le quali le opere, classificate nelle pagine precedenti, si sono

diffuse ed hanno avuto successo.

Occorre notare, anzitutto, che le reazioni del pubblico anglosassone

sono abbastanza diverse da quelle del pubblico italiano. In effetti in

Inghilterra ed in America il tifoso (fan) dei libri di fantascienza, che

li legge tutti, ne possiede una biblioteca di qualche centinaio e qualche

migliaio di volumi, è una figura abbastanza diffusa. Senza abbandonarci

a indebite generalizzazioni sui caratteri dei vari popoli, limitiamoci a

constatare il fatto. Da noi i patiti di questo genere non sono molto fre­

quenti, al pari dei lettori appassionati dei romanzi gialli, che, ad esempio,

in Inghilterra sono legione. Essi vanno cercati, per lo più, fra gli stessi

scienziati, che sono ovviamente in grado di apprezzare più profondamente

le trovate più elaborate e che, probabilmente, derivano da queste letture

un confortante senso di superiorità, poiché sono proprio loro i protago­

nisti del processo « che avvicina il domani all’oggi », per dirla con

1

rotocalchi

Genericamente si può affermare, del resto, che gli scienziati, come

i non scienziati, apprezzano questo genere di letteratura perché è diver­

tente. E il discorso potrebbe anche finire qui, forse un po’ troppo sempli-

cisticamente.

Ritengo, però, che a voler indagare ancora, si troverebbe che uno

dei fattori più potenti della diffusione e del successo della letteratura fan­

tascientifica è costituito dalla tendenza alla identificazione.

Il progresso scientifico e tecnico ha,

in fa t t i,

conseguenze, sia concrete

che pubblicitarie, ogni giorno più clamorose e coloro che non partecipano

ad esso direttamente amano potervi partecipare in qualche altro modo.

Ora è abbastanza faticoso, e spesso noioso, lavorare per farsi una compe­

(12)

tenza nelle questioni scientifiche. Così molti sono spinti a prendere la scor­

ciatoia delle opere di divulgazione scientifica, semplificate al massimo e

che possibilmente « si leggano come un romanzo ». Ed è, allora, ancora

più agevole leggere addirittura un romanzo. La soddisfazione che ne

deriva è quella di formarsi una competenza con poca fatica ed, in conse­

guenza, di potersi identificare con gli « esperti veri » o di potersi rite­

nere superiori ad essi, in quanto ci si occupa di realizzazioni che essi

non hanno ancora raggiunto. Si tratta, quindi, di un sogno ad occhi

aperti, che soddisfa desideri di evasione tanto più efficientemente in quanto

le componenti di esso sono prese dai campi più concreti, oggi coltivati

dall’uomo.

Un’altra molla, che spinge il pubblico verso questi libri, è costituita

dalla ricerca di nuovi argomenti di conversazione, nei quali poter brillare

senza fatica eccessiva. Perciò la fantascienza si avvia, forse, a prendere

un suo posto come terreno comune sul quale si potranno incontrare gli

uomini medi. Ciò non è ancora avvenuto: fino ad oggi l’uomo medio

porge a chi lo avvicina la sua competenza calcistica ed i suoi discorsi

sulle automobili.

Come ho già accennato, sarebbe disagevole inserire giudizi di merito

in questo quadro. E’ per questo che non ho voluto introdurre un’altra

categoria, nella quale Huxley ed Orwell sarebbero stati probabilmente

soli. Un discorso, che volesse tener conto anche dei loro scritti, sarebbe

ineluttabilmente molto più lungo. Basti dire che, volendo considerare anche

loro come scrittori di fantascienza, non si può più parlare) di temi ignorati

dagli autori di questo genere, ma solo di temi raramente trattati.

Abbiamo già notato la scarsa diffusione delle narrazioni che vertono

su questioni morali e psicologiche : possiamo aggiungere che le contro­

versie religiose e filosofiche sono praticamente tabù. Non c’è da meravi­

gliarsi che sia così. La merce di questo tipo avrebbe senza dubbio un

mercato molto ristretto e, oltre al resto, sarebbe abbastanza difficile scri­

vere racconti, nei quali vengono dibattute più o meno velatamente tesi

speculative senza che il risultato1

sia molto noioso. E vengono in mente a

questo proposito certi drammi filosofici del secolo scorso, in cui figuravano

fra i personaggi il Libero Arbitrio ed il Principio di Ragion Sufficiente,

che probabilmente non sono mai stati rappresentati altro che una volta

dalla filodrammatica della scuola diretta dall’autore.

E se si accetta il punto di vista, precedentemente esposto, secondo il

quale il successo della fantascienza è fondato sul desiderio di sognare ad

occhi aperti, non appare strano che i cultori del genere non prediligano

gli argomenti destinati a stimolare pensieri troppo profondi od originali.

Si riterrà, forse, che a chiusa di queste pagine manchi un giudizio

sul valore educativo o positivo della letteratura di fantasia scientifica.

Tale giudizio, d’altronde, può conseguire direttamente ad una enuncia­

zione dei criteri in base ai quali deve essere emesso, ma chiederlo a chi

tenta una classificazione avrebbe lo stesso senso che domandare ad un ento­

mologo se ritenga che l’esistenza delle zanzare sia un bene oppure

un male.

Roberto Vacca

(13)

Finalità di un autom a

di Giorgio Sacerdoti

Anziché una critica della fantascienza o una descrizione degli argomenti da essa trattati, con questo articolo si vuole fornire un esempio di come si possa attuare il passaggio da una premessa scientifica ad uno spunto adatto per una narrazione fantascientifica. È la via che potrebbe percorrere uno scienziato al quale venisse richiesto di scrivere uno di tali racconti: partendo infatti da una definizione di automa strettamente scien­ tifica, ma abbastanza larga per consentire la trattazione dell’ argomento da punti di vista non usuali, si giunge a considerare gli automi come esseri che possono entrare in concorrenza con lo stesso genere umano.

A che cosa serve un automa?

A questa domanda è necessario

premetterne un’ altra : che cos’è un

automa?

Gli automi non sono infatti ancora

inseriti nella nostra vita di ogni gior­

no al punto che fa loro definizione sia

ovvia. Alla parola « automa » la fan­

tasia corre di solito ad un ordigno

dall’aspetto umanoide capace di ese­

guire alcune azioni molto semplici

in campi utili all’uomo. Ma l’automa

non è questo. Il suo aspetto, oltre ad

essere scarsamente importante, può

essere qualsiasi e probabilmente non

sarà affatto simile a quello umano.

Le sue azioni invece possono essere

semplici o complicate, utili all’uomo

o meno in relazione al modo in cui

l’automa è asservito all’uomo stesso.

L’asservimento potrebbe mancare del

tutto e in tal caso l’utilità delle azioni

di un automa dipenderebbe soltanto

dal modo in cui fu originariamente

costruito.

Che cosa è dunque un automa?

Un automa è un ordigno artificiale

destinato ad uno scopo e capace di

mutuo adattamento verso l’ambiente

entro limiti determinati all’atto della

sua costruzione.

Essenziale a chi volesse progettare

un automa è la determinazione dei

seguenti elementi :

1) Lo scopo.

2) L’ambiente e il tipo di asser­

vimento all’ambiente stesso.

3) Il mezzo tecnico adoperato.

Negli automi più semplici, quelli

fra i quali già stiamo vivendo, la

determinazione dello scopo è di gran

lunga la più semplice. Per esempio,

nel caso di un condizionamento d’aria

in un locale di abitazione, lo scopo è

evidente : mantenere la temperatura

ad un livello confortevole.

Di poco più diffìcile la determina­

zione dell’ambiente: in questo caso è

il campo di variabilità della tempe­

ratura esterna. Un progettista di

apparecchi da costruire in serie per

esser spediti in zone molto diverse

dovrà essere in grado di valutare le

(14)

caratteristiche climatiche di una città

siberiana o di un bungalow del Congo.

Dovrà naturalmente fornire il suo

apparecchio di uno strumento capace

di rivelare le particolari condizioni

deH’ambiente esterno in cui dovrà

funzionare. Nel caso attuale un sem­

plice termometro è sufficiente. La

legge deirasservimento è : se il ter­

mometro scende al disotto di un cer­

to livello prefissato occorre irradiare

calore verso l’ambiente, se sale sopra

un altro livello occorre assorbire ca­

lore dall’ambiente.

Più difficile è lo studio del mezzo.

Per questa parte del progetto sarà

necessario ricorrere ad un ingegnere

esperto di termodinamica, capace di

definire le caratteristiche costruttive

di motori elettrici, compressori, ra­

diatori, ecc.

Ma questa graduatoria di difficoltà

non è affatto assoluta. La graduatoria

citata è strettamente legata all’esem­

pio considerato il quale è volutamente

semplice.

Un caso più complesso può dimo­

strare come si possa arrivare ad inver­

tire almeno gli ultimi due gradini

della graduatoria.

Scopo: abbattere aerei nemici.

Ambiente : spazio a tre dimensioni

in cui l’aereo può muoversi, a cui va

aggiunto il tempo ignoto in cui l’in­

cursione verrà effettuata, la velocità

dell’aereo, anch’essa in tre dimensio­

ni, le sue accelerazioni, le condizioni

atmosferiche in cui lo strumento di

difesa si dovrà muovere, e in fine la

azione imprevedibile del pilota del­

l’aereo nemico che farà di tutto per

comportarsi in maniera non predeter­

minabile.

Mezzo : un cannone antiaereo.

Qui il mezzo è uno strumento quasi

antico, mentre estremamente difficile

è la determinazione dell’ambiente. Ri­

mane invece semplice lo scopo.

A questo punto può essere inte­

ressante un’osservazione. Il cannone

non ha 1’« intelligenza » per capire

lo scopo così come l’abbiamo enun­

ciato. Lo scopo a cui esso risponde è

un altro, semplificato, e cioè quello

di lanciare un oggetto in una certa

direzione e con una determinata velo­

cità, supponendo, implicitamente, che

direzione e velocità siano precisa-

mente quelle che porteranno il proiet­

tile a intersecare la rotta dell’aereo.

Ma, data la difficoltà di definire con

precisione, in un dato istante, l’am­

biente, risulta la difficoltà, a tutti no­

ta, di assegnare, con buone probabi­

lità di colpire, i dati di tiro, cioè lo

scopo semplificato, al cannone.

Questo problema è tipico. Lo scopo

ultimo è -semplice : colpire l’aereo

nemico. Lo scopo ridotto è di difficile

determinazione. La soluzione sta ov­

viamente nel costruire un apparecchio

dotato di abbastanza « intelligenza »

per « capire » lo scopo ultimo. I mis­

sili che automaticamente si dirigono

sull’obbiettivo e in qualunque momen­

to possono correggere la propria rot­

ta sono un esempio di questo genere

di soluzione.

Al proiettile obbligato a seguire

una traiettoria rigidamente prefissata

si sostituisce un vero « automa » ca­

pace di scegliersi la rotta con una

certa libertà entro lo scopo asse­

gnato.

Supponiamo ora che al dispositivo

elettronico di guida venga sostituito

un essere umano, che il pilota sia un

« Kamikaze » deciso a suicidarsi pur

di portare il suo veicolo contro l’ae­

reo nemico e che gli sia stato appunto

impartito l’ordine « vai per la rotta

più breve a colpire l’aereo nemico ».

In che cosa differirebbe il comporta­

mento del missile visto dall’esterno ?

In nulla, poiché lo scopo è stato per

entrambi definito con ugual rigidità.

D’altra parte è evidente che il pi­

lota-uomo ha delle possibilità molto

maggiori del pilota-elettronico. Come

si può sfruttarle?

(15)

Allargando lo scopo.

Si vede immediatamente che, men­

tre il pilota elettronico non può ca­

pire altro che l’ordine « colpisci il

bersaglio », al pilota-uomo si potrebbe

dire « tuo compito è distruggere quan­

ti più aerei nemici puoi ». La capa­

cità di giudizio del pilota-uomo avreb­

be fatto sì che egli, potendo, anziché

lanciarsi sul nemico e perire con lui,

avrebbe tentato di abbatterlo con le

armi di bordo e quindi sarebbe stato

disponibile per ripetere l’azione mol­

te volte anziché una sola, risultando

in ultima analisi molto più efficace.

Ma nemmeno questo è il limite di

efficienza dell’uomo in un’ipotetica

battaglia. Supponiamo di allargare

ancora il suo scopo e di dargli il com­

pito « vinci la battaglia » anziché

quello di abbattere aerei nemici.

Potrebbe darsi che egli trovi più

conveniente restare a terra e di là

dirigere altri piloti, meno esperti di

lui, ottenendo complessivamente una

efficienza d’insieme ancora più grande.

Allarghiamo ancora lo scopo.

Il nostro uomo potrebbe trovarsi

investito di tale autorità da dover

decidere addirittura se la battaglia è

utile o meno. In questo caso lo scopo

sarebbe stato « vinci la guerra ».

Ancora un ultimo passo :

Anche lo stato di guerra è il risul­

tato di una decisione. Decisione presa

da un uomo a cui fosse stato asse­

gnato lo scopo « fa il bene del tuo

paese ».

Nella gerarchia di decisioni che

siamo venuti percorrendo siamo par­

titi dall’uomo automa e via via l’ab­

biamo promosso pilota, caposquadra,

generale in capo, primo ministro.

Va osservato che le capacità del sog­

getto erano potenzialmente sempre

quelle del primo ministro, solo l’as­

segnazione degli scopi limitati ne

limitavano l’impiego.

A questo punto viene spontanea

una domanda : sono le decisioni a

livello di primo ministro le più alte

che si possano prendere?

La risposta è « no ».

L’uomo che è primo ministro ha

dovuto in precedenza decidere : « de­

vo porre la mia candidatura o no? ».

E prima ancora : « devo intra­

prendere la carriera politica? ».

E ancora prima deve aver deciso

sulle sue inclinazioni politiche, sugli

studi che voleva fare, sulle persone

a cui si sarebbe appoggiato.

Ora ci accorgiamo che dal livello

del primo ministro siamo passati al

livello delle decisioni che tutti noi

prendiamo ogni giorno. Siamo saliti

o discesi nella gerarchia delle deci­

sioni?

Siamo saliti : infatti le decisioni

ora citate non sono condizionate

nemmeno ad uno scopo, sia pur va­

sto, come quello di « fa il bene del

tuo paese », ma ad uno più elevato

ancora che è quello a cui obbediamo

nel vivere la nostra vita. Quale sia

questo scopo risulterà chiaro più

avanti.

Dall’esposizione che precede si

può concludere che, dato un organi­

smo, come quello umano, dotato di

una certa intelligenza potenziale, la

sua azione dipende dallo scopo che

gli è stato assegnato.

Per intelligenza intendiamo la ca­

pacità di un organismo di adattare

se stesso all’ambiente e di adattar

l’ambiente a se stesso. Di regola en­

trambe queste azioni sussistono con­

temporaneamente.

Macchine capaci di eseguire atti

intelligenti nel senso suddetto già

esistono. In via di ipotesi non è as­

surdo pensare a macchine intelligenti

quanto un uomo. Che cosa faremo fare

a queste macchine? E’ qui che la de­

(16)

terminazione dello scopo diviene es­

senziale.

In un racconto di fantascienza fra

i migliori recentemente pubblicati,

« Il sole nudo » di Isaac Asimov, si

parla appunto di una società la quale

era riuscita a costruirsi automi dotati

di una capacità intellettuale del tutto

paragonabile a quella umana. Ad essi

erano state imposte tre leggi fonda-

mentali :

1) Non farai mai male ad un es­

sere umano, né mediante l’inazione

permetterai che un essere umano su­

bisca danno.

2) Obbedirai agli ordini dati da­

gli esseri umani purché ciò non con­

travvenga alla prima legge.

3) Cercherai in tutti i modi di

conservarti in buone condizioni di

funzionamento purché ciò non ti porti

a contravvenire alla prima e alla

seconda legge.

Le leggi assegnate sono un ottimo

esempio di scopi abbastanza vasti per

far sì che la « specie automi » si com­

porti in maniera abbastanza libera

in modo da sfruttare bene le sue fa­

coltà, ma, d’altra parte, risulti assolu­

tamente impedita una qualsiasi « ri­

volta » degli automi contro i loro co­

struttori.

Tuttavia le leggi, in particolare la

prima, fondamentale, ha un difetto,

evidente anche a prima vista perché

espressa in forma negativa. E ’ l’au­

tore stesso che lo mette in luce rac­

contando come questa società umana,

avendo costruito automi così evoluti,

assegna loro anche l’educazione dei

propri figli. Gli automi fanno del loro

meglio, ma, non potendo sculacciare i

bambini per non contravvenire pro­

prio alla prima legge, allevano una

generazione dopo l’altra di uomini vi­

ziati che portano al fatale decadi­

mento dell’intera società.

Come dovremmo procedere allora

nel progettare il « codice morale » di

una specie di automi?

Per prima cosa dovremmo sapere

esattamente che cosa vogliamo da

loro. Gli uomini del racconto avevano

costruito degli automi-servi e poi ave­

vano richiesto loro un’attività di or­

dine superiore come quella educativa.

Di qui il fallimento. Nemmeno un

uomo con ordini simili avrebbe fatto

di meglio.

Una « prima legge » più rispon­

dente sarebbe stata : « Puoi far male

a un individuo umano solo se questo

risulterà per lui in seguito un bene

maggiore ». Un automa così condizio­

nato avrebbe potuto essere un buon

pedagogo privato o anche un dentista

che per curare un dente deve far

male. Non avrebbe invece potuto pren­

dere decisioni in cui per il bene di

un gruppo di individui fosse stato

necessario il male di un singolo.

Eventualmente anche la sua morte.

L’automa per esempio non avrebbe

potuto fare il generale in una guerra.

Supponiamo di assegnare lo scopo

« fa il bene del genere umano ».

Avremmo costruito una specie di au­

tomi liberi, ma sempre soggetti alla

specie umana. Dovremmo natural­

mente essere stati capaci di specifi­

care che cosa è il bene del genere

umano. Da questo punto di vista, cioè

dal punto di vista dell’automa, il bene

del genere umano potrebbe essere :

« render la specie umana quanto più

numerosa possibile ».

Va notato che lo scopo di aumen­

tare il numero della specie umana è

qui da intendersi come un fine ultimo

(a cui certamente non si perverrebbe

per esempio mediante campagne de­

mografiche male intese, che portando

a una prolificazione superiore ai mezzi

di sussistenza condurrebbero ad uno

squilibrio, destinato in ultima analisi

a rallentare anziché accelerare il pro­

(17)

cesso di allargamento della specie

umana). Lo scopo, cioè, non è imme­

diato : è lo scopo ultimo che la uma­

nità pare chiamata a realizzare attra­

verso le ere.

Il passo per produrre una specie

di automi del tutto indipendenti è

molto semplice ; basta assegnare come

scopo quello di « rendere la specie

automi quanto più numerosa possibi­

le ». Avremmo così creato una specie

nuova, che entrerebbe con le altre

nella lotta per l’esistenza. Niente ci

garantirebbe che una simile specie

non possa combattere e sopraffare

quella umana.

Da quanto precede si può dedurre

che per un essere intelligente qual­

siasi la massima vastità dello scopo

che gli può venir assegnato dipende

dal suo grado di intelligenza. Entro

questa vastità massima potenziale la

sua attività può essere ulteriormente

limitata dall’assegnazione di scopi

inferiori alle sue possibilità. Viceversa

l’assegnazione di uno scopo superiore

alle possibilità avrebbe come conse­

guenza la non comprensione di questo

e quindi l’assenza di qualsiasi azione

da parte dell’essere interpellato. Co­

me esempio basti pensare a come

reagirebbe un missile al comando di

mettersi la maglia pesante o un con­

tadino alla richiesta di scrivere una

equazione di secondo grado.

La conclusione, valida per qualsiasi

essere, uomo o automa, è la seguente :

— da un organismo intelligente si

può ottenere la massima efficienza

lasciandogli la massima libertà nel­

l’ambito del massimo scopo che esso

può comprendere.

Giorgio Sacerdoti I m m i n e n t e :

INTRODUZIONE ALLA

RICERCA SOCIOLOGICA

di A. C A RB O N A RO e A. PAGAN I

Con appendice statistica di

F. BRAMBILLA

PROBLEM I D I SOCIOLOGIA n. 2

I l presente volume intende soddisfare le esi­ genze di coloro che vogliono impadronirsi dei con­ cetti strumentali e delle tecniche fondamentali della ricerca sociologica.

La trattazione, che ha carattere manualistico, è centrata su 2 metodi particolari : il metodo mo­ nografico e quello dell indagine sociale per inchiesta, illustrandoli con una serie di esempi e di schemi operativi.

Una parte del volume p iù specializzata riguarda lo studio della stratificazione e della mobilità sociale. Anche in questo caso, accanto alle impostazioni di fondo, vi è un capitolo illustrativo basato sul reso­ conto commentato da un’ indagine sulla stratificazione e mobilità sociale nel mondo contadino, svoltasi alcuni anni fa a Grassano.

In appendice si danno alcune nozioni elemen­ tari sul metodo statistico, e cioè sulle norme più opportune per la raccolta e la classificazione dei dati, sulle misure della variabilità statistica e sulle tecniche per la stratificazione dei campioni statistici. LA N U O V A IT A L IA E D IT R IC E - Piazza Indipendenza, 29 - F IR E N Z E

(18)

Breve storia del cinem a

di fantascienza

di Callisto Cosulich

Quasi

contemporaneamente,

nel

1901, uno a Londra, l’altro a Parigi,

appaiono due film, i cui titoli prean­

nunciano, almeno per quell’epoca, un

contenuto di anticipazione. La pelli­

cola londinese (iscritta al n. 3518 dei

cataloghi di Charles Urban), realiz­

zata da George Albert Smith di Brigh-

ton, s’intitola Ciò che si vede al tele­

scopio-, quella parigina (numero 366

della serie Pathé), diretta e interpre­

tata dal còrso Ferdinand Zecca, si

chiama, invece, Conquista dell’aria.

In realtà il filmetto inglese — 25

metri di lunghezza — tradisce le in­

tenzioni anticipatrici del titolo : al

telescopio si vedono le coscie di una

donna che sta allacciandosi le giarret­

tiere. Siamo ancora alla preistoria

del cinema : i film non hanno prati­

cato una divisione netta tra il lato

sentimentale e quello puramente ses­

suale delle passioni, e sono quindi in­

certi se imboccare la strada della

pornografia o quella dell’amore.

Ben diverso il caso di Zecca. L’au­

tore ha diviso in due lo schermo, nel

senso orizzontale. Di sotto appaiono

i tetti della città, di sopra Zecca sem­

bra sorvolare i tetti cavalcando una

curiosa sagoma di sottomarino vo­

lante. La terra non scompare mai dal­

la parte inferiore dello schermo, ma

non dobbiamo dimenticare che siamo

nel 1901, un anno dopo la grande

Esposizione Universale di Parigi,

ove si sono celebrati il treno espres­

so, la telegrafìa senza fili e la radio­

grafia, ma si è soltanto accennato agli

sforzi « per conquistare la via del­

l’aria » (1). La conquista deH’aria

aveva, allora, lo stesso valore che

ha oggi, per noi, la conquista dello

spazio. Zecca può a buon diritto chia­

marsi il precursore della fantascienza

cinematografica.

Già nell’anno successivo, però, con

Le voyage dans la lune di Georges

Meliès, siamo' di fronte ad un docu­

mento di più alto significato. In

trenta immagini, lunghe complessiva­

mente 260 metri, Meliès condensa gli

episodi salienti di due romanzi famo­

si : Dalla terra alla luna di Jules

Veme e I primi uomini sulla luna di

H. G. Wells. Del Verne sono il cir­

colo degli astronomi e il cannone gi­

gante che scaraventa il proiettile sul­

la luna; del Wells la maggior parte

degli episodi lunari : la tempesta di

neve, la discesa nel cratere, i seleniti.

Meliès chiama queste sue immagini

« visioni fantastiche », soprattutto

per distinguerle dagli altri metodi di

ripresa cinematografica. Sono imma­

gini, però, che neppure a quel tempo

potevano apparire insolite, almeno

(19)

La preistoria : « Voyage à travers Vimpossible » di Georges Meliès

sul piano figurativo. Si rifanno, in­

fatti, con una certa frequenza, alle

illustrazioni di Alfred de Neuville

per i romanzi del Verne, e lo spetta­

tore attento può rintracciarvi lo stile

dei plastici e dei modellini esposti alla

Esposizione Universale. L’ispirazione

figurativa, quindi, finisce per condi­

zionare la loro capacità d’anticipazio­

ne. A Meliès, per esempio, come, del

resto, ai suoi ispiratori, non sarà mai

consentito di prevedere con la fan­

tasia l’effettivo sviluppo dell’aviazio­

ne : neppure fino all’attuale afferma­

zione della propulsione a razzo.

Abbiamo insistito su questo parti­

colare perché esso si ripresenterà re­

golarmente anche nei film successivi.

L’immaginazione, non riuscirà mai a

sopraffare la realtà, il futuro a libe­

rarsi del presente. Ma si tratta real­

mente di un difetto d’immaginazione o

non, piuttosto, di un’istanza di popola­

rità? L’esempio letterario notato da

Gramsci, che abbiamo avuto occasione

di citare in altra sede (2), ci fa prefe­

rire la seconda ipotesi. « Nei libri del

Verne », scrive Gramsci nel diciasset­

tesimo Quaderno del carcere, « non

c’è mai nulla di completamente im­

possibile ; le “ possibilità ” di cui di­

spongono gli eroi del Verne sono supe­

riori a quelle realmente esistenti nel

tempo, ma non troppo superiori e

specialmente non “ fuori ” della li­

nea di sviluppo delle conquiste scien­

tifiche realizzate ; l’immaginazione

non è del tutto “ arbitraria ” e per­

ciò possiede la facoltà di eccitare la

fantasia del lettore già conquistato

dall’ideologia del fatale sviluppo del

progresso scientifico nel dominio del

controllo delle forze naturali... nel

Verne c’è l’alleanza dell’intelletto

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