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COLLEGIO DI NAPOLI. Membro designato dalla Banca d'italia. (NA) ROTONDO Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari

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(1)

COLLEGIO DI NAPOLI

composto dai signori:

(NA) QUADRI Presidente

(NA) MAIMERI Membro designato dalla Banca d'Italia

(NA) PARROTTA Membro designato dalla Banca d'Italia

(NA) ROTONDO Membro designato da Associazione

rappresentativa degli intermediari

(NA) BARTOLOMUCCI Membro designato da Associazione

rappresentativa dei clienti

Relatore MAIMERI FABRIZIO

Nella seduta del 11/09/2014 dopo aver esaminato:

- il ricorso e la documentazione allegata

- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione - la relazione della Segreteria tecnica

FATTO

Con ricorso presentato il 28 febbraio 2014, il ricorrente espone che, in sede di reclamo, contestava l’usurarietà degli interessi previsti in relazione a un contratto per una carta di credito revolving da lui sottoscritto “in data 30 giugno 2009”; in particolare, la linea di credito prevedeva un TAEG del 17,41% e un tasso di mora del 10% la cui sommatoria (27,41%) superava il tasso soglia vigente al 30 giugno 2009 (23,62%). In relazione a ciò, adducendo la nullità della relativa clausola contrattuale, chiedeva la restituzione degli interessi pagati dalla data della stipula. L’intermediario riscontrava la richiesta in maniera ritenuta insoddisfacente, pertanto il ricorrente riproponeva la contestazione con il presente ricorso.

Nelle controdeduzioni l’intermediario ha preliminarmente chiarito che il ricorrente risulta titolare di una linea di credito revolving, utilizzabile a mezzo carta, concessa il 17 aprile 2008 e non, come da lui riferito, nel giugno 2009; a tale proposito ha precisato che il documento allegato dal ricorrente come contratto in realtà è una proposta di modifica unilaterale. La linea di credito, con fido iniziale di € 3.000,00 e rata minima mensile di € 75,00, prevedeva un TAN del 9,95% e un TAEG dell’11,07%; il contratto non prevedeva l’applicazione di interessi di mora - peraltro mai applicati pure a fronte di numerosi ritardi

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nei pagamenti - al tasso del 10% come sostenuto dal ricorrente (cfr. art. 3.5). L’unico interesse di mora contrattualmente stabilito – in una percentuale pari a quella dell’interesse corrispettivo - era quello che si sarebbe applicato solo ed esclusivamente a seguito del mancato pagamento delle somme richieste in conseguenza dell’emissione della dichiarazione di decadenza dal beneficio del termine (art. 3.7). Tali circostanze venivano tempestivamente rappresentate al ricorrente nella nota di riscontro al reclamo.

Ciò premesso l’intermediario ha eccepito la parziale incompetenza temporale dell’Arbitro per il periodo precedente al 1° gennaio 2009, essendo il rapporto in contestazione sorto in data 17 aprile 2008.

Nel merito, ha precisato di aver condotto sulla linea di credito in questione, in linea con i chiarimenti della Banca d’Italia del 3 luglio 2013, la verifica trimestrale sul TEG applicato che è sempre risultato al di sotto del tasso soglia; a sostegno di quanto affermato ha prodotto uno schema riepilogativo.

Con riferimento all’arbitrarietà della sommatoria tra interessi corrispettivi e moratori ha richiamato la giurisprudenza di legittimità e di merito, nonché molteplici pronunce dell’ABF in argomento (Napoli n. 5195/13, n. 125/14; Roma n. 260/14; Collegio di coordinamento n.1875/14).

Infine ha sottolineato che, come si può rilevare dalla lista movimenti il ricorrente, ha utilizzato la carta per complessivi € 11.530,00 ed ha restituito € 7.744,56, pertanto “anche a voler momentaneamente accantonare la questione relativa alla legittimità degli interessi applicati […] ad oggi” il ricorrente ha restituito una somma inferiore al solo capitale.

In relazione alle contrapposte argomentazioni riportate, il ricorrente non ha esplicitato una richiesta all’Arbitro, limitandosi a contestare l’applicazione di tassi usurari: “si contesta l’applicazione di tassi usurari nel rapporto del contratto di carta di carta di credito del tipo revolving n….”.

La parte resistente ha chiesto al Collegio di respingere il ricorso.

DIRITTO

La contestazione del ricorrente, invero estremamente generica, si basa sulla presunta applicazione di interessi usurari che, come si evince dal reclamo, egli fa discendere dalla sommatoria tra TAEG e tasso di mora. A questo riguardo, è noto come il Collegio di coordinamento (con decisione n. 2666/2014) si sia specificamente occupato di questa metodologia che taluni portano avanti nel calcolo del tasso, affermando che “la proposta operazione di “sommatoria” del tasso degli interessi corrispettivi e di quelli moratori – in vista del relativo confronto col “tasso soglia” individuato con riguardo al momento della stipulazione del mutuo e delle conseguenze che se ne intendono trarre sotto il profilo dell’applicazione della sanzione di cui all’art. 1815, comma 2, c.c. – non trova, in realtà, alcun supporto proprio nella giurisprudenza invocata. Pare il caso, in proposito, di evidenziare (…) come non sembri che in tal senso deponga, in particolare, Cassazione, 9 gennaio 2013, n. 350, pur correntemente addotta a fondamento di doglianze del tipo di quelle qui prospettate. Dalla lettura di tale decisione, in effetti, emerge come la Cassazione abbia inteso semplicemente ribadire che gli interessi moratori devono essere assoggettati al vaglio di usurarietà al pari di quelli corrispettivi, la relativa verifica risultando poi effettuata assumendo, per confrontare la relativa misura col “tasso soglia”, il tasso convenuto autonomamente considerato (nella specie, quale risultante dalla maggiorazione prevista rispetto al tasso degli interessi corrispettivi, senza alcuna forma di cumulo con questi ultimi)”.

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Insomma, “è evidente che la domanda principale del ricorrente si fonda su un errore di prospettiva e non può essere accolta. Il ricorrente infatti ritiene che al fine di dimostrare il superamento del tasso soglia sia sufficiente compiere l’operazione aritmetica di sommare la cifra che indica il tasso di mora con la cifra che indica il tasso effettivo annuo, confrontare tale somma aritmetica con il tasso soglia del periodo e, da tale confronto, ricavare l’effetto giuridico dell’azzeramento di entrambi. È però evidente che la regola di diritto è tutt’altra”: così, Collegio di coordinamento, decisione n. 1875/14.

Per entrare poi nel merito del rapporto de quo, il Collegio rileva che l’intermediario ha allegato copia del contratto relativo alla linea di credito revolving utilizzabile con carta di credito; il medesimo risulta effettivamente sottoscritto il 17 aprile 2008 e prevede un TAN del 9,95% e un TAEG dell’11,07% a fronte di un fido concesso di € 3.000,00. Come è dato rilevare dalle evidenze istruttorie, tali condizioni sono state variate nel corso del rapporto;

in particolare, il fido è passato da originari € 3.000,00, a € 4.000,00 al 30 giugno 2010, a € 5.000,00 al 31 agosto 2010, € 6.000,00 al 30 novembre 2012 e € 7.000,00 al 31 gennaio 2013. Il TAN invece originariamente del 9,948% è salito prima al 15,840% al 30 giugno 2009 e al 16,340% al 31 dicembre 2011. Non vi è evidenza delle relative comunicazioni di modifica, sebbene il ricorrente non muova contestazioni sul punto.

L’intermediario ha allegato uno schema riepilogativo del TEG trimestrale del finanziamento – dalla stipula ad oggi - che attesta come il medesimo si sia mantenuto sempre al di sotto del tasso soglia.

La domanda del ricorrente deve perciò essere sotto questo aspetto rigettata, non essendosi ritrovata traccia di usurarietà nei tassi applicati al rapporto.

Acquisita la correttezza dell’osservazione dell’intermediario in ordine alla incompetenza di questo Collegio per le questioni genetiche anteriori al 1° gennaio 2009 attinenti al contratto stipulato il 17 aprile 2008, il Collegio medesimo ha rivolto la sua attenzione alle clausole censurate in qualche modo dal ricorrente, sub specie di usurarietà, e relative ai “costi in caso di inadempienze”. Si sono così scrutinati:

- l’art. 3.7, secondo il quale il cliente si impegna a rifondere all’intermediario, in caso di ritardato pagamento i seguenti oneri e spese:

a) spese sollecito epistolare fino a un massimo di 5 euro;

b) spese recupero telefonico fino ad un massimo di 30 euro per ciascun intervento;

c) spese per intervento società esattive fino ad un massimo del 30% dell’importo incassato;

d) qualsiasi spesa sostenuta dall’intermediario per il recupero del credito (spese legali, spese stragiudiziali, spese iscrizione e cancellazione ipoteche, ecc.);

- non sono previsti interessi di mora se non, come precisato dalla parte convenuta, in conseguenza della dichiarazione di decadenza dal beneficio del termine ai sensi dell’art.

3.5: “In caso di decadenza dal beneficio del termine il cliente/titolare dovrà provvedere a pagare immediatamente, in contanti ed in unica soluzione, oltre a quanto dovuto per obbligazioni scadute ed impagate, anche il residuo capitale risultante dovuto dopo il pagamento degli insoluti. In caso di ritardo del cliente/titolare nel pagamento delle somme dovute in forza della presente clausola, [l’intermediario] potrà addebitare, senza obbligo di preventiva messa in mora, un interesse di mora pari al tasso applicato alla linea di credito (revolving/carta) alla data dalla dichiarazione di decadenza”.

Per completezza va aggiunto che il ricorrente ha allegato il documento di sintesi n. 3 del 4 luglio 2009 che, invece, prevede gli interessi di mora in misura pari al 10%. L’intermediario ha poi allegato altri due documenti di sintesi (n. 1 del 10/2010 e n. 3 dell’11/2011) che non prevedono interessi di mora, anzi, nel secondo si legge che “per i ritardi di pagamento potranno essere addebitate le seguenti spese (…). Non saranno addebitati al consumatore interessi di mora né penali”.

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Il complesso delle somme di cui risulta previsto, a diverso titolo, l’addebito al cliente in caso di inadempimento appare invero sproporzionato nel relativo insieme. Non solo a considerare gli importi delle commissioni al netto delle penali, ma tanto più quando ad esse si aggiungano interessi di mora, come consentono le clausole contrattuali e come depone il documento richiamato. In ogni caso, la ricognizione effettuata porta a concludere come sia possibile che all’affidato, che ritardi o manchi l’adempimento, si cumulino interessi moratori e una serie di commissioni, rendendo complessivamente sproporzionata la somma così raggiunta con il tasso corrispettivo applicato.

Di fronte a una situazione assimilabile a quella che si è rintracciata nel rapporto de quo, il Collegio di coordinamento ha avuto modo di precisare, con la decisione n. 1875 del 28 marzo 2014 (in una prospettiva sostanzialmente richiamata, poi, anche nella decisione n.

2666/2014), che la valutazione della sproporzione “non può prescindere dal rapporto quantitativo intercorrente tra tassi corrispettivi e tassi moratori”: “infatti, benché i due tipi di tassi siano assai diversi tra loro per natura e funzioni, tuttavia entrambi incorporano la stima del sacrificio che il prestatore accetta di subire per trasferire una somma di denaro dalla propria sfera patrimoniale nella sfera di disponibilità altrui”. Qui, al TAEG iniziale dell’11,07% si contrappone un tasso di mora del 10% che potrebbe non essere sproporzionato, ma lo diventa quando vi si cumulano le altre commissioni su riportate.

Di fronte alla rilevante sproporzione del meccanismo che stabilisce gli oneri economici in capo all’affidato in caso di ritardato o mancato pagamento, la conseguenza, tenuto conto della qualifica di consumatore del ricorrente, è da ricercare nell’applicazione dell’art. 33, comma 2, lett. f), cod. cons., a tenore del quale “si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto o per effetto di (…) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo”; con l’ulteriore effetto di cui al successivo art. 36, comma 1: “le clausole considerate vessatorie ai sensi degli artt. 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto”.

Acquisita, quindi, la nullità del complesso di clausole in esame e la perdurante validità del contratto in cui esso è inserito, occorre indagare ancora per stabilire se ed eventualmente in quale misura siano dovuti interessi moratori. Una prima alternativa non sembra percorribile, cioè quella di far capo al modello sanzionatorio di cui all’art. 1815, comma 2, c.c.: si darebbe infatti corso all’applicazione analogica di norma speciale, in particolare di norma speciale il cui presupposto è la commissione di un reato. Accertato che qualche interesse e in qualche misura debba applicarsi, l’ipotesi sopra rappresentata dal combinato disposto degli artt. 33 e 36 cod. cons. pare la più convincente.

Svolto questo ulteriore passaggio, non è detto che l’applicazione dell’art. 1224 c.c. sia dimostrata. Si potrebbe, infatti, osservare come la vera sanzione per il mutuante sia quella di vedersi cancellato per intero l’interesse di mora, in ragione della nullità della clausola e che, quindi, solo così il meccanismo del codice del consumo potrebbe svolgere la sua funzione (dissuasiva) fino in fondo.

Sulla questione ha avuto modo di intrattenersi anche il Collegio di coordinamento nella decisione n. 3955 del 24 giugno 2014, la quale, arrivato a questo punto dell’argomentazione, osserva: “ma simile rimedio [alla eccessività degli interessi moratori]

non può spingersi sino alla cancellazione di ogni obbligo di pagamento degli interessi sulle somme ricevute a mutuo, perché in tal caso si creerebbe un incentivo assai elevato all’inadempimento nelle obbligazioni pecuniarie con conseguente sconvolgimento del sistema del credito, portando non ad una modifica conformativa del rapporto di credito, ma ad un capovolgimento del sistema degli incentivi e disincentivi che regolano un sistema creditizio”.

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Tenendo fede all’esemplificazione che fa il Collegio, ma applicando i “numeri” e la terminologia propri del caso qui in esame, ne seguirebbe che “la sequenza che si verrebbe a contemplare sarebbe la seguente: il [prestatario] continuerebbe a pagare ratealmente un tasso [TEG dell’11.07 che coincideva con il TEG], sino a quando è puntuale nei pagamenti dovuti, perché la esecuzione fisiologica del contratto non sarebbe incisa da alcuna invalidità, mentre se si rendesse inadempiente non pagherebbe nulla a titolo di interessi sulle somme dovute e non pagate. Sennonché simile radicale capovolgimento di valori non appare compatibile con il sistema giuridico. Se si può pensare di sanzionare le previsioni di interessi moratori esagerati con la perdita degli stessi e se parimenti è ammissibile sanzionare con la perdita di tutti gli interessi la violazione di regole attinenti la formazione di un contratto di credito con il consumatore, non pare ammissibile istituire congegni sanzionatori che facciano perno su un premio all’inadempimento”.

Si può, quindi, concludere, anche in questa sede, per l’applicazione del disposto dell’art.

1224 c.c., nella convinzione che ciò non privi la regola di cui all’art. 33, comma 2, lett. f), cod. cons., di quel carattere di deterrenza verso la pratica delle clausole abusive, perseguita dalla norma medesima.

Pertanto, la clausola relativa ai “costi in caso di inadempienze” è da considerarsi nulla, in ragione della sproporzione che essa integra rispetto al fine perseguito e alla misura del tasso corrispettivo. Poiché non risulta che la clausola in parola sia stata concretamente applicata, né che sia stata dichiarata la decadenza dal beneficio del termine, ne segue che detta clausola, in caso di futuro inadempimento, non possa essere azionata nei riguardi del prestatario, al quale possono, allora, essere applicati – nella prospettiva qui accolta – solo interessi di mora nella stessa misura dei corrispettivi, come disposto dall’art. 1224, comma 1, c.c.

P.Q.M.

In parziale accoglimento del ricorso, il Collegio accerta la nullità della clausola disciplinante i “costi in casi inadempienze” nei sensi di cui in motivazione.

Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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