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COLLEGIO DI NAPOLI. Membro designato dalla Banca d'italia. (NA) PICARDI Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari

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COLLEGIO DI NAPOLI

composto dai signori:

(NA) QUADRI Presidente

(NA) CARRIERO Membro designato dalla Banca d'Italia

(NA) MAIMERI Membro designato dalla Banca d'Italia

(NA) PICARDI Membro designato da Associazione

rappresentativa degli intermediari

(NA) QUARTA Membro designato da Associazione

rappresentativa dei clienti

Relatore MAIMERI FABRIZIO

Nella seduta del 02/09/2014 dopo aver esaminato:

- il ricorso e la documentazione allegata

- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione - la relazione della Segreteria tecnica

FATTO

Con ricorso presentato l’11 marzo 2014, il ricorrente, rappresentato da un legale di fiducia, espone che, con reclamo inviato l’8 gennaio 2014 (e ricevuto in data 17 gennaio 2014) il ricorrente, assistito dal proprio legale, chiedeva la restituzione della somma di € 7.475,47,

“illegalmente” percepita dalla parte resistente a titolo di interessi in relazione al “contratto di leasing n. 5288927 del 20/01/2009”, in quanto riteneva che al finanziamento risultasse applicato un tasso effettivo del 58,45%. Allegava al reclamo un estratto peritale nel quale il

“TAEG applicato” veniva individuato in base alla sommatoria di “TAEG dichiarato”, interessi di mora e penali previste dal contratto. Con nota del 10 febbraio 2014 la parte resistente riscontrava il reclamo, precisando preliminarmente che il finanziamento in questione non era un leasing, bensì un prestito finalizzato all’acquisto di un’autovettura.

Confermava, inoltre, la correttezza del tasso di interesse applicato al contratto de quo, mantenuto al di sotto del tasso soglia vigente al momento dell’erogazione (“pari al 15,195% e in linea con le migliori offerte di mercato per operazioni similari”). Precisava, inoltre, che nel caso di specie non era mai stato applicato alcun costo a titolo di interessi di mora o di altre penali, registrandosi rimborsi regolari nella corresponsione delle rate.

In sede di ricorso, il ricorrente ha riproposto la medesima doglianza, richiamando i

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riferimenti normativi e giurisprudenziali a sostegno della propria tesi. In particolare, ha affermato che “il T.A.E.G. realmente applicato risulta pari al 58,45% e superiore al tasso soglia del 15,195% come da D.M. del 19 dicembre 2008”, come risulterebbe dal prospetto riportato nell’allegata “perizia econometrica”, specificando altresì che ai fini del calcolo “si è provveduto a sommare al T.A.E.G. dichiarato il tasso degli interessi di mora pari al 18,00% oltre alla penale per recupero crediti del 30,00%, alla penale per decadenza dal beneficio del termine pari all’1,00% e alla penale di estinzione anticipata dell’1,00%”.

In sede di controdeduzioni, l’intermediario ha preliminarmente ricostruito i fatti da cui trae origine il ricorso, precisando che in data 20 gennaio 2009 il ricorrente chiedeva ed otteneva dalla parte resistente un finanziamento finalizzato all’acquisto di un’autovettura presso una concessionaria, per l’importo di € 30.000,00 da rimborsarsi in 72 rate mensili dell’importo di € 527,50 cadauna, con TAN del 7,86% e TAEG dell’8,45%. La corresponsione delle rate risultava regolare e non venivano, pertanto, mai applicati interessi di mora, come si evince dall’estratto conto del rapporto.

Con nota del 3 gennaio 2014 il ricorrente faceva pervenire un reclamo, cui l’intermediario dava riscontro tempestivamente. In diritto, l’intermediario ha precisato quanto segue.

a) Con riferimento al rispetto della normativa antiusura, ha evidenziato che nel contratto de quo il TEG, “che nel periodo di riferimento era calcolato come il TAEG, era stabilito in una percentuale pari all’8,45%” a fronte di un tasso soglia del 15,195%. Anche gli interessi di mora, previsti contrattualmente nella misura massima del 10% annuo (e non del 18% come erroneamente indicato da controparte) risultano contenuti entro la soglia del 18,34%, calcolata secondo il criterio indicato nei chiarimenti della Banca d’Italia del luglio 2013.

b) Occorre tener conto della diversa natura degli interessi, delle spese e delle penali previste contrattualmente, onde confutare la tesi del ricorrente, che giunge a determinare un tasso del 58,45% attraverso una “semplice operazione matematica” di sommatoria di categorie di costi disomogenee. In merito agli interessi moratori, ha ribadito l’irragionevolezza di una inclusione degli stessi ai fini del confronto con il tasso soglia, precisando, ad ogni modo, che nel caso di specie nel foglio informativo relativo al finanziamento si prevedeva una clausola di salvaguardia per cui il tasso applicato sarebbe stato in ogni caso contenuto nei limiti stabiliti dalla legge n.108/96.

c) Con riferimento alle altre voci di costo considerate dal ricorrente ai fini della verifica del tasso globale, ha evidenziato che:

- il contratto è ancora in esecuzione e, dunque, nessuna penale di estinzione anticipata è stata applicata;

- la “penale per recupero crediti” è, in realtà, l’importo previsto dal contratto per il recupero delle spese di un eventuale intervento di società esattive; tale spesa, prevista nella misura massima del 30%, sarebbe per di più stata applicata solo sull’eventuale importo incassato dalla società di recupero per il suo intervento e non sull’intero importo finanziato;

- quanto alla “penale per decadenza dal beneficio del termine”, ha sottolineato che non vi è traccia di tale voce di costo nelle condizioni generali di contratto.

d) Infine, a sostegno delle proprie argomentazioni, ha richiamato l’orientamento dei Collegi ABF in merito alla erroneità della tesi secondo cui l’usurarietà del tasso dovrebbe verificarsi sommando gli interessi corrispettivi agli interessi moratori, nonché l’orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito, circa “l’errata interpretazione del dispositivo della sentenza n. 350” della Cassazione. In particolare, ha richiamato le ordinanze del Tribunale di Trani (3 febbraio 2014) e di Brescia (16 gennaio 2014), la sentenza del Tribunale di Verona del 27 aprile 2014, nonché orientamenti dottrinari in materia.

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A fronte delle rispettive argomentazioni, il ricorrente ha chiesto all’Arbitro: “la restituzione degli interessi passivi pagati e la conversione in finanziamento gratuito perché sono state pattuite condizioni usurarie per il contratto n. 5288927 del 20.1.2009”, il tutto sulla base della giurisprudenza (a cominciare da Cass., 9 gennaio 2013, n. 350).

L’intermediario ha chiesto al Collegio di respingere le istanze del ricorrente, “valutato il corretto comportamento tenuto” dal resistente.

DIRITTO

Il Collegio premette che il ricorrente, qualificatosi “consumatore” nell’odierno procedimento innanzi all’ABF, risulta invero rivestire la qualifica di imprenditore. Tale informazione emerge dalla carta di identità, ed è altresì riportata nel frontespizio del contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto dell’autovettura alla voce “occupazione” del richiedente. Nel ricorso, tuttavia, non è specificato se il bene acquistato fosse destinato ad un utilizzo nell’esercizio dell’attività di impresa. Di qui la valutazione del ricorso nell’ambito di quelli avanzati dai consumatori. Del resto, il Collegio fa presente che il medesimo ricorrente, in un precedente ricorso (cfr. prot. n. 271207/2014, non accolto) avente ad oggetto analoga doglianza in relazione ad un contratto di leasing, si è qualificato “non consumatore”.

Ciò chiarito, il ricorrente ha prodotto una perizia redatta da un consulente finanziario sul costo del finanziamento, nella quale il tasso effettivo, ai fini del confronto con la soglia usura, risulta calcolato in base alla sommatoria di TAEG (8,45%), tasso di mora (10%) e altre penali previste nel contratto: (i) penale per recupero crediti: 30%; (ii) penale per decadenza del beneficio del termine (1%); (iii) penale di estinzione anticipata, così pervenendo ad un TAEG pari al 58,450%.

Tale criterio di calcolo, secondo l’ormai consolidato orientamento dell’Arbitro, è sfornito di fondamento giuridico, oltre a non risultare conforme alle Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione di tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura.

A questo riguardo, è noto come il Collegio di coordinamento (in particolare con la decisione n. 3412 del 19 marzo 2014) si sia occupato di questa metodologia di calcolo del tasso, affermando che “la proposta operazione di ‘sommatoria’ del tasso degli interessi corrispettivi e di quelli moratori – in vista del relativo confronto col ‘tasso soglia’ individuato con riguardo al momento della stipulazione del mutuo e delle conseguenze che se ne intendono trarre sotto il profilo dell’applicazione della sanzione di cui all’art. 1815, comma 2, c.c. – non trova, in realtà, alcun supporto proprio nella giurisprudenza invocata. Pare il caso, in proposito, di evidenziare (…) come non sembri che in tal senso deponga, in particolare, Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, pur correntemente addotta a fondamento di doglianze del tipo di quelle qui prospettate. Dalla lettura di tale decisione, in effetti, emerge come la Cassazione abbia inteso semplicemente ribadire che gli interessi moratori devono essere assoggettati al vaglio di usurarietà al pari di quelli corrispettivi, la relativa verifica risultando poi effettuata assumendo, per confrontare la relativa misura col “tasso soglia”, il tasso convenuto autonomamente considerato (nella specie, quale risultante dalla maggiorazione prevista rispetto al tasso degli interessi corrispettivi, senza alcuna forma di cumulo con questi ultimi)”.

Insomma, “è evidente che la domanda principale del ricorrente si fonda su un errore di prospettiva e non può essere accolta. Il ricorrente infatti ritiene che al fine di dimostrare il superamento del tasso soglia sia sufficiente compiere l’operazione aritmetica di sommare la cifra che indica il tasso di mora con la cifra che indica il tasso effettivo annuo, confrontare tale somma aritmetica con il tasso soglia del periodo e, da tale confronto,

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ricavare l’effetto giuridico dell’azzeramento di entrambi. È però evidente che la regola di diritto è tutt’altra”: così, Collegio di coordinamento, decisione n. 1875/14.

Del resto, questo Collegio ha verificato l’esattezza dell’affermazione della parte convenuta secondo cui il TEG del finanziamento è pari all’8,45%, misura che, si attesta al di sotto della soglia anti-usura (pari al 15,195% nel I trimestre 2009 per la categoria “credito finalizzato all’acquisto rateale oltre € 5.000)”.

Con riferimento agli interessi di mora previsti nel contratto (10%), si rileva che gli stessi, come evidenziato dall’intermediario resistente, risultano in ogni caso contenuti nei limiti della soglia antiusura, calcolata, in mancanza di una soglia specifica, secondo il criterio riportato nei Chiarimenti della Banca d’Italia del luglio 2013. Non risultano peraltro mai applicati interessi di mora nel corso del rapporto de quo.

Ciò acquisito, il Collegio ha tuttavia prestato attenzione alla clausola “penali per ritardato pagamento”, contenuta nel documento di sintesi, così articolata:

Penali per il ritardato pagamento:interessi di mora 10% annuo spese sollecito epistolare € 5

spese recupero telefonico € 20,00 ad intervento

spese per intervento società esattive 30% dell’importo incassato,

cui si aggiungono altre voci:

Spese stragiudiziali

Spese legali: secondo le previsioni delle tariffe professionali vigenti Il complesso delle somme di cui risulta previsto a diverso titolo l’addebito al cliente in caso di inadempimento appare invero sproporzionato nel relativo insieme. Non solo a considerare gli importi delle spese, ma tanto più quando ad esse si aggiungano interessi di mora. In ogni caso, la ricognizione effettuata porta a concludere come sull’affidato che ritardi o manchi l’adempimento si cumulino interessi legali e una serie di spese, rendendo sproporzionata la somma così raggiunta con il tasso applicato.

Di fronte a una situazione quale quella che si è rintracciata nel rapporto de quo, il Collegio di coordinamento ha avuto modo di precisare, con la decisione n. 1875 del 28 marzo 2014 (in una prospettiva richiamata, poi, anche nella decisione n. 2666/2014), che la valutazione della sproporzione “non può prescindere dal rapporto quantitativo intercorrente tra tassi corrispettivi e tassi moratori”: “infatti, benché i due tipi di tassi siano assai diversi tra loro per natura e funzioni, tuttavia entrambi incorporano la stima del sacrificio che il prestatore accetta di subire per trasferire una somma di denaro dalla propria sfera patrimoniale nella sfera di disponibilità altrui”. Qui, al TAEG dell’8,45% si contrappone un tasso di mora del 10%, che potrebbe di per se stesso non essere reputato sproporzionato, ma lo diventa quando vi si cumulano le altre spese su riportate.

Di fronte alla rilevante sproporzione del meccanismo che stabilisce gli oneri economici in capo all’affidato in caso di ritardato o mancato pagamento, la conseguenza, tenuto conto della qualifica di consumatore del ricorrente, è da ricercare nell’applicazione dell’art. 33, comma 2, lett. f), cod. cons., a tenore del quale “si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto o per effetto di (…) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo”; con l’ulteriore effetto di cui al successivo art. 36, comma 1: “le clausole considerate vessatorie ai sensi degli artt. 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto”.

Acquisita, quindi, la nullità del complesso di clausole in esame e la perdurante validità del contratto in cui esso è inserito, occorre indagare ancora per stabilire se ed eventualmente in quale misura siano dovuti interessi moratori. Una prima alternativa non sembra

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percorribile, cioè quella di far capo al modello sanzionatorio di cui all’art. 1815, comma 2, c.c.: si darebbe infatti corso all’applicazione analogica di norma speciale, in particolare di norma speciale il cui presupposto è la commissione di un reato. Accertato che qualche interesse e in qualche misura debba applicarsi, l’ipotesi sopra rappresentata dal combinato disposto degli artt. 33 e 36 cod. cons. pare la più convincente.

Superato questo ulteriore passaggio, non è detto che l’applicazione dell’art. 1224 c.c. sia dimostrata. Si potrebbe, infatti, osservare come la vera sanzione per il mutuante sia quella di vedersi cancellato per intero l’interesse di mora, in ragione della nullità della clausola e che, quindi, solo così il meccanismo del codice del consumo potrebbe svolgere la sua funzione (dissuasiva) fino in fondo.

Sulla questione ha avuto modo di intrattenersi anche il Collegio di coordinamento nella decisione n. 3955 del 24 giugno 2014, la quale, arrivato a questo punto dell’argomentazione, osserva: “ma simile rimedio [alla eccessività degli interessi moratori]

non può spingersi sino alla cancellazione di ogni obbligo di pagamento degli interessi sulle somme ricevute a mutuo, perché in tal caso si creerebbe un incentivo assai elevato all’inadempimento nelle obbligazioni pecuniarie con conseguente sconvolgimento del sistema del credito, portando non ad una modifica conformativa del rapporto di credito, ma ad un capovolgimento del sistema degli incentivi e disincentivi che regolano un sistema creditizio”.

Tenendo fede all’esemplificazione che fa il Collegio, ma applicando i “numeri” e la terminologia propri del caso qui in esame, ne seguirebbe che “la sequenza che si verrebbe a contemplare sarebbe la seguente: il [prestatario] continuerebbe a pagare ratealmente un tasso [TEG dell’8,45 che coincideva con il TEG], sino a quando è puntuale nei pagamenti dovuti, perché la esecuzione fisiologica del contratto non sarebbe incisa da alcuna invalidità, mentre se si rendesse inadempiente non pagherebbe nulla a titolo di interessi sulle somme dovute e non pagate. Sennonché simile radicale capovolgimento di valori non appare compatibile con il sistema giuridico. Se si può pensare di sanzionare le previsioni di interessi moratori esagerati con la perdita degli stessi e se parimenti è ammissibile sanzionare con la perdita di tutti gli interessi la violazione di regole attinenti la formazione di un contratto di credito con il consumatore, non pare ammissibile istituire congegni sanzionatori che facciano perno su un premio all’inadempimento”.

Si può, quindi, concludere, anche in questa sede, per l’applicazione del disposto dell’art.

1224 c.c., nella convinzione che ciò non privi la regola di cui all’art. 33, comma 2, lett. f), cod. cons., di quel carattere di deterrenza verso la pratica delle clausole abusive, perseguita dalla norma medesima.

Pertanto, la clausola relativa alle “penali per ritardato pagamento” (cui si aggiunge il rimborso delle spese stragiudiziali e/o delle spese legali) è da considerarsi nulla, in ragione della sproporzione che essa integra rispetto al fine perseguito e alla misura del tasso corrispettivo. Preso atto che tale clausola non risulta essere stata applicata finora nel rapporto, ne segue che essa, in caso di futuro inadempimento, non possa essere azionata nei riguardi del prestatario, al quale possono, allora, essere applicati – nella prospettiva qui accolta – solo interessi di mora nella stessa misura dei corrispettivi, come disposto dall’art. 1224, comma 1, c.c.

P.Q.M.

In parziale accoglimento del ricorso, il Collegio accerta la nullità delle clausole relative alla misura dell’interesse moratorio e alla penale nei sensi di cui in motivazione.

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Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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