• Non ci sono risultati.

Note di

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Note di"

Copied!
120
0
0

Testo completo

(1)

p r e l i m i n a r e

(23 - 1 - 2019)

Note

di

Topologia Algebrica

Giambattista Marini

Queste note sono una sintesi dei risultati principali che si incontrano studiando i fondamenti di topologia algebrica, costituiscono una, spero utile, “overview” sulla materia per lo studente che segue attivamente il corso.

Indice

0. Richiami 3

• Connessione e connessione per archi 6

• Definizione di variet`a topologica 6

1. CW-complessi 8

• Incollamenti 8

• CW-complessi 10

• Classificazione delle superfici compatte 15

2. Omotopia 21

• Deformazioni e Retratti 23

• Gruppo Fondamentale 26

• Il Teorema di Seifert e Van Kampen 30

• Rivestimenti 34

3. Omologia 44

• Simplessi singolari: notazione fondamentale 47

• Sui simplessi singolari e loro suddivisioni 48

• Successione di Mayer-Vietoris 53

• Invarianza Omotopica 54

• Il Teorema di Hurewicz 56

• Omologia della coppia 58

• Omologia della sfera 61

• Risultati classici 65

• Omologia dei ∆-complessi e Omologia Simpliciale 70

• Omologia cellulare 75

• Omologia con coefficienti 80

• Formula di K¨ unneth 82

(2)

4. Coomologia 83

5. Variet`a Topologiche 87

• Orientazione 87

• Classe Fondamentale 89

• Dualit`a di Poincar´e 92

A1. Gruppi liberi e prodotto libero di gruppi 95

• Gruppi abeliani liberi 97

A2. Algebra Omologica 99

• Il prodotto tensoriale ed il funtore “Tor” 105

• Il teorema dei coefficienti universali 109

• La formula di K¨ unneth in algebra omologica 111

• Funtore Hom e coefficienti universali in coomologia 112

• Cenni sulle categorie abeliane 115

A3. Approfondimenti: qualche esempio particolare 116

• Il Cono Astratto ed il Cono Geometrico 116

• La Retta Lunga 117

Indice Analitico 119

Bibliografia 120

Per gli studenti del corso di Topologia algebrica,

ho scritto queste note semplicemente con l’idea di riassumere i concetti fondamentali che si incontrano in topologia algebrica. In particolare, con una finalit`a diversa da quella di scrivere il libro di testo di questo corso. Ci`o ha delle implicazioni che voglio sottolineare:

1. queste note non coprono tutto ci`o che verr`a discusso a lezione, n´e vale il viceversa (il programma del corso sar`a quello svolto a lezione);

2. nel dare le dimostrazioni ho cercato la sintesi e, nel caso di quelle pi` u lunghe e noiose, mi sono limitato a darne le linee guida. In buona parte, l’idea di fondo `e che tutto ci`o che `e

“straightforward” venga lasciato al lettore (che si presume segua attivamente il corso). Vari dettagli tecnici vengono lasciati per esercizio e alcuni argomenti vengono trattati in maniera diretta, senza una adeguata introduzione ed i dovuti esempi. Tutto ci`o rende queste note di difficile lettura, almeno all’inizio, ...lo studente del terzo anno al primo contatto con la Topologia Algebrica non si spaventi!

Il materiale coperto dal corso si trova in [Hat], libro che pu`o essere usato come testo di riferimento (`e disponibile online sul sito dell’autore). Nella bibliografia indico altri testi che, almeno per quanto riguarda la gran parte degli argomenti, sono validissimi testi di riferimento (e, almeno per certi versi, a volte preferibili a quello che ho indicato).

Prerequisiti: Argomenti trattati nel primo anno del Corso di Laurea in Matematica, rudimenti

di topologia generale (coperti nel corso di geometria 3).

(3)

§ 0. Richiami.

Notazioni e convenzioni.

(1.1) Con il termine funzione si intende funzione continua (in ambito topologico e salvo diversamente speci- ficato);

(1.2) un omeomorfismo `e una funzione continua, invertibile con inversa continua;

(1.3) un sottospazio di uno spazio topologico `e un sottoinsieme (arbitrario) dotato della topologia indotta.

(1.4) Sia A un sottospazio di uno spazio topologico X . I simboli A e A denotano rispettivamente la chiusura e l’interiore di A (come sottospazi di X naturalmente).

Gli spazi Rn e Cn si intendono dotati della topologia naturale (salvo diversamente specificato);

(1.5) I denota l’intervallo reale [0, 1] con la topologia naturale (i.e. la topologia indotta da R);

(1.6) Dn ed Sn denotano rispettivamente il disco di dimensione n e la sfera di dimensione n:

Dn = { x ∈ Rn | ||x|| ≤ 1 } , Sn = { x ∈ Rn+1| ||x|| = 1 }

dotati della topologia naturale indotta dai rispettivi ambienti Rn e Rn+1. Sottolineiamo che la sfera Sn `e un sottospazio del disco Dn+1 (ne `e la frontiera).

(1.7) Il prodotto cartesiano di spazi topologici, due o pi`u, si intende dotato della topologia prodotto

(cfr. esempio 4.1).

(1.8) Il simbolo “S

” denota l’unione disgiunta.

Definizione 1.9. Uno spazio topologico si dice T1 se i punti sono chiusi;

T2 (di Hausdorff ) se separa i punti (i.e. punti distinti ammettono intorni disgiunti);

T3 se `e T1 e separa i punti dai chiusi (i.e. per ogni punto p e chiuso C , con p6∈ C, `e possibile trovare due aperti disgiunti U1 e U2 tali che p∈ U1, C⊆ U2);

T4 se `e T1 e separa i chiusi (i.e. per ogni coppia chiusi disgiunti C1 e C2 `e possibile trovare due aperti disgiunti U1 e U2 tali che C1⊆ U1, C2⊆ U2).

Avvertenza: qualche autore, nelle definizioni di spazio T3 e di spazio T4 non include la richiesta che lo spazio sia T1, ...noi ce la mettiamo.

Def. 2. Sia X uno spazio topologico, ∼ una relazione d’equivalenza su X , π : X −→ X/ ∼ la proiezione naturale. Lo spazio topologico quoziente, denotato con X/ ∼, `e l’insieme quoziente dotato della topologia definita dalla propriet`a che segue:

U ⊆ X/ ∼ `e aperto ⇐⇒ π

−1

(U) `e aperto in X

Esercizio 2.1. Si verifichi che quella introdotta `e effettivamente una topologia su X/∼ .

Esercizio 2.2. Si verifichi che X/∼ `e dotato della topologia pi`u fine per la quale la proiezione π `e continua (i.e. della topologia coindotta dalla proiezione, cfr. Def. 3.1).

Notazione 2.3. Sia A un sottospazio di uno spazio topologico X . Poniamo

X/A := X/∼

essendo ∼ la relazione d’equivalenza che identifica i punti di A (p ∼ q ⇐⇒ p = q oppure p, q ∈ A).

Avvertenza 2.4. Secondo quanto visto finora, il quoziente R/Z pu`o essere interpretato in due modi, in ognuno dei due casi dotato della topologia quoziente (def. 2):

• come “quoziente di gruppi”, i.e. come R/ ∼ dove a ∼ b ⇐⇒ a−b ∈ Z;

• come “quoziente insiemistico”, i.e. come R/ ∼ dove a ∼ b ⇐⇒ a = b oppure a, b ∈ Z (notazione 2.3).

Nel primo caso si ottiene un cerchio, i.e. uno spazio omeomorfo ad S1, nel secondo caso si ottiene un bouquet di un’infinit`a numerabile di cerchi. Per esercizio, ci si convinca di quanto affermato.

Salvo diversamente specificato, R/Z va interpretato nel primo dei due modi (quindi R/Z ∼= S1). Pi`u in generale, Rn

Zn denota il quoziente di gruppi (in questo caso si ottiene il cosiddetto Toro di dimensione n).

(4)

Esercizio 2.5. Sia A un sottospazio di uno spazio topologico X . Provare che

• gli aperti di X/A sono le immagini, tramite la proiezione naturale π : X −→ X/A, degli aperti di X che non incontrano oppure contengono A;

• se B `e un sottoinsieme di X , si ha che:

π(B) ⊆ X/A `e aperto ⇐⇒  ( B ∩ A 6= ∅ e B ∪ A `e aperto) oppure

( B ∩ A = ∅ e B `e aperto)

• se X `e T4 ed A `e chiuso, allora anche X/A `e T4 (cfr. def. 1.9).

A partire dallo spazio prodotto (1.7) e dagli spazi quoziente (2) e (2.3) si introducono altri spazi notevoli.

Definizione 2.6. Siano X ed Y spazi topologici, x0 ∈ X , y0 ∈ Y punti. Si definiscono i seguenti spazi:

Cono: X×I

X×{0} ;

“Suspension”: X×I

∼ , dove (x, 0) ∼ (x, 0) e (x, 1) ∼ (x, 1)

si contraggono X×{0} a un punto e X ×{1} a un altro punto

;

“Join”: X×Y × I

∼ , dove (x, y, 0) ∼ (x, y, 0) e (x, y, 1) ∼ (x, y, 1)

in X×Y ×{0} si contraggono le fibre della proiezione su X e in X×Y ×{1} si contraggono le fibre della proiezione su Y

;

“Wedge sum”: XS

Y

{x0, y0} ;

“Smash product”: X×Y 

X×{y0} ∪ {x0}×Y .

In assenza di una traduzione usata diffusamente nella letteratura italiana abbiamo mantenuto il termine inglese.

Esercizio 2.7. Siano X ⊆ Rn, Y ⊆ Rm, x0 ∈ X, y0 ∈ Y . Si descriva la loro Wedge sum come sottospazio di Rn+m. Assumendo che X ed Y siano chiusi e limitati, si descrivano gli spazi Cono, Suspension e Join scritti nella (2.6), rispettivamente come sottospazi di Rn+1, Rn+1, Rn+m+1.

Esercizio 2.8. Com’`e fatto il cono sull’intervallo aperto (0 , 1)? `E possibile immergerlo in un qualche Rn?

Avvertenza: quest’ultimo esercizio non `e affatto elementare. Lo trattiamo nell’appendice dedicata ad approfondimenti ed esempi, appendice §A3, sezione “Il Cono Astratto ed il Cono Geometrico”.

◦ ∼ ◦

Concludiamo questa sezione con una lista avulsa di risultati e nozioni di topologia.

Definizione 3.1. Sia X un insieme, {Wα}α ∈ S una famiglia di spazi topologici,

F = 

fα: Wα → X

α ∈ S

una famiglia di applicazioni. Su X , si definisce topologia coindotta dalla famiglia F la topologia pi`u fine per la quale ogni fα `e continua (questa viene detta anche finale o forte, per la famiglia F).

Esercizio 3.2. Nelle ipotesi della definizione (3.1), provare quanto segue

U ⊆ X `e aperto se e solo se fα−1(U ) `e aperto, per ogni α.

Definizione 4. Sia X un insieme, {Wα}α ∈ S una famiglia di spazi topologici,

F = 

fα: X −→ Wα

α ∈ S

una famiglia di applicazioni. Su X , si definisce topologia indotta dalla famiglia F la topologia meno fine per la quale ogni fα `e continua (questa viene detta anche iniziale o debole , per la famiglia F).

Esempio 4.1. Il prodotto di spazi topologici viene dotato della topologia indotta dalle proiezioni (= debole).

Nel caso di prodotti finiti, la topologia debole coincide con quella generata dai prodotti di aperti (generalmente

`e meno fine).

Lemma 5 (di Lebesgue). Si consideri In ⊆ Rn e sia {Uα} un ricoprimento aperto di In. Allora, `e possibile suddividere In in plurintervalli chiusi in numero finito in modo che ogni plurintervallo sia interamente contenuto in almeno un aperto del ricoprimento. In effetti vale un risultato pi`u forte:

(5.1) ∃ ǫ > 0 | ∀ x ∈ In, Bx, ǫ ⊆ Uα (per un qualche α), essendo Bx, ǫ la sfera di centro x e raggio ǫ.

Un tale ǫ si chiama numero di Lebesgue del ricoprimento.

(5)

Definizione 6. Una applicazione1 tra spazi topologici f : X −→ Y si dice continua nel punto x se l’immagine inversa di ogni intorno di f (x) `e un intorno di x .

Esercizio 6.1. Si abbia f : X −→ Y (non necessariamente continua). Verificare che

• f `e continua in x ⇐⇒ l’immagine inversa di ogni intorno aperto di f (x) `e un intorno di x ;

• f `e continua ⇐⇒ `e continua in ogni punto.

Lemma 7 (di incollamento). Siano X, Y spazi topologici, X = ∪ Uα un ricoprimento aperto, X =

Sn i = 1

Ci un ricoprimento finito chiuso.

(7.1) Se { fα: Uα → Y } `e una collezione di funzioni continue che si raccordano bene, allora

∃ ! funzione continua f : X −→ Y tale che f|Uα = fα, ∀ α . (7.2) Se { gi: Ci → Y } `e una collezione di funzioni continue che si raccordano bene, allora

∃ ! funzione continua g : X −→ Y tale che g|Ci = gi, ∀ i .

Un ricoprimento aperto `e un ricoprimento in insiemi aperti. Un ricoprimento chiuso `e un ricoprimento in insiemi chiusi. L’aggettivo finito indica che gli insiemi del ricoprimento in questione sono in numero finito.

Date delle funzioni, diciamo che queste si raccordano bene se a due a due coincidono nelle rispettive intersezioni nei due casi del lemma abbiamo fα|Uα∩Uβ = fβ|Uα∩Uβ,∀ α, β e gi|U

i∩Uj = gj|U

i∩Uj,∀ i, j .

Definizione 8. Sia f : X −→ Y una funzione continua. Diciamo che

(8.1) f `e un omeomorfismo locale in x ∈ X se esiste U (intorno di x) tale che

f (U ) `e un intorno di f (x) e la restrizione f|U : U −→ f (U ) `e un omeomorfismo (equivalentemente: “ . . . ∃ U intorno aperto . . . f (U ) `e un intorno aperto . . .”);

(8.2) f `e un omeomorfismo locale se `e un omeomorfismo locale in ogni punto;

(8.3) f `e una immersione se la restrizione sull’immagine f|X: X −→ f (X) `e un omeomorfismo;

(8.4) f `e una immersione locale se ogni punto ha un intorno U tale che f|U `e un’immersione.

Attenzione! nella (8.1) si richiede che f (U ) sia un intorno di f (x), per cui, ad esempio, l’inclusione di una retta in un piano `e un’immersione ma non `e un omeomorfismo locale. Per contro, la proiezione su un singoletto (spazio costituito da un solo punto) di uno spazio discreto contenente almeno due punti `e un omeomorfismo locale ma non `e un’immersione.

−−−→γ Esercizio 8.5. Sia γ : (0, 1) −→ R2 la funzione in figura. Stabilire:

i) in quali punti `e un omeomorfismo locale;

ii) se `e una immersione;

iii) se `e una immersione locale.

Rispondere alle domande precedenti per le funzioni

• γ : (0, 1) −→ Imγ ;

• ι : R −→ R•• dove R•• `e la retta con due origini2 (e ι `e una delle due inclusioni naturali);

• π : R −→ S1, t 7→ (cos t, sin t) .

Generalmente, nella letteratura in inglese, le immersioni e le immersioni locali vengono rispettivamente chia- mate “embeddings” ed “immersions” (ma l’uso di questi termini dipende dall’eventuale presenza di ulteriore struttura, ad esempio in geometria differenziale una “immersion” `e una funzione avente differenziale iniettivo, la funzione R −→ R, x 7→ x3 non `e una “immersion” pur essendo un omeomorfismo).

1Col termine “applicazione” intendiamo “funzione arbitraria”, cio`e non necessariamente continua.

2 Si ottiene aggiungendo un punto 0 ad R (dotata della topologia naturale) e stabilendo che una base degli intorni di 0 `e data dagli insiemi del tipo (−ǫ, 0) ∪ {0} ∪ (0, ǫ), ǫ > 0. Equivalentemente, `e lo spazio R`

IdUR, dove U = R r {0} (cfr. §1, def. 1 pi`u avanti).

(6)

Connessione e connessione per archi.

Ricordiamo che uno spazio topologico X si dice connesso se non `e unione disgiunta di due aperti, equivalen- temente se non possiede sottoinsiemi sia aperti che chiusi; si dice connesso per archi, scriveremo c.a., se per ogni coppia di punti esiste un cammino, i.e. una “funzione continua definita sull’intervallo I, a valori in X ”, che li congiunge. La connessione per archi implica la connessione.

Fissato X , l’unione di due (o pi`u) sottospazi connessi aventi intersezione non vuota `e anch’essa connessa.

Di conseguenza, le componenti connesse, definite come sottospazi connessi massimali, costituiscono una par- tizione dello spazio X . Gli stessi identici risultati valgono anche per la connesione per archi.

Definizione 9.1. Uno spazio topologico X si dice:

• localmente connesso, scriveremo l.c. (ovvero localmente connesso per archi, scriveremo l.c.a.), se esiste una base per la topologia costituita da aperti connessi (ovvero connessi per archi);

• c.a. nel punto x (ovvero l.c.a. in x) se x ammette una base di intorni connessi (ovvero connessi per archi).

Esercizio 9.2. Si verifichi che X `e l.c.a. ⇐⇒ `e l.c.a. in x per ogni x ∈ X . Esercizio 9.3. Si verifichi che se X `e l.c.a., allora

• X `e connesso se e solo se `e connesso per archi;

• le componenti connesse di X coincidono con le componenti connesse per archi e sono sia aperte che chiuse.

Suggerimento: Le componenti connesse di X sono sempre (anche per X arbitrario) chiuse, questo perch´e la chiusura di un connesso `e connessa.

Definizione di variet` a topologica.

Molte applicazioni della teoria che svilupperemo, come pure molti esempi, riguardano le variet`a topologiche.

Per questa ragione, in questa breve sezione richiamiamo la definizione di variet`a topologica.

Def. 10. Una variet`a topologica di dimensione n `e uno spazio topologico X

i) di Hausdorff, ii) 2

-numerabile

3

, iii) localmente omeomorfo ad R

n

. Un omeomorfismo ϕ : U −→ R

n

(U aperto in X ) si chiama carta locale.

• La condizione iii) significa che per ogni punto x ∈ X esiste un intorno U omeomorfo ad Rn.

• Per abuso di linguaggio si usa la locuzione “carta locale”, anche per indicare solamente l’insieme U (se si intende ϕ o si intende U si capisce dal contesto).

(10.1) La dimensione di una variet`a topologica non vuota `e univocamente determinata (cfr. §3, Cor. 39.2):

pi`u in generale, di fatto equivalentemente, dati U aperto non vuoto di Rn e V aperto di Rm, se U e V sono omeomorfi, allora n = m (quanto affermato non `e affatto ovvio a priori).

(10.2) Le variet`a topologiche sono localmente connesse per archi4, di conseguenza sono connesse se e solo se sono connesse per archi (esercizio 9.3);

• Studiare le variet`a topologiche equivale a studiarne le componenti connesse5. Per questa ragione as- sumeremo che le nostre variet`a topologiche siano connesse, come pure assumeremo che siano non vuote, occasionalmente senza farne menzione esplicita.

3Ricordiamo che uno spazio topologico si dice 2-numerabile se esiste una base numerabile per la topologia.

4Si osservi che ci`o segue dalla iii), le proprieta i) e ii) non servono.

5Infatti, essendo le componenti connesse di uno spazio topologico l.c.a. sia aperte che chiuse (di nuovo, esercizio 9.3), una variet`a topologica `e l’unione disgiunta della sue componenti connesse, ovvero di variet`a topologiche connesse.

(7)

Nota 10.3. L’ipotesi di 2-numerabilit`a non `e molto importante ed alcuni autori non la richiedono affatto6. In effetti questa ipotesi esclude esempi irrilevanti, quali quelli delle unioni disgiunte non numerabili, o comuqnue sfuggenti: “dove la parte non 2-numerabile `e in un certo senso ineffabile” (nell’appendice di approfondimento

§A3, sezione “La Retta Lunga”, vediamo un esempio di spazio topologico connesso che soddisfa tutte le ipotesi tranne quella di 2-numerabilit`a. Lo spazio di questo esempio `e localmente omeomorfo ad R, cio`e si ha n = 1).

Ad ogni modo, l’esistenza di spazi topologici che soddisfano tutte le ipotesi tranne quella di 2-numerabilit`a pu`o essere assolutamente ignorata!

Nota 10.4. L’ipotesi che lo spazio sia di Hausdorff `e invece importante, serve ad escludere alcune patologie e a garantire propriet`a locali quali l’unicit`a del limite di una successione convergente di punti.

Il tipico esempio di spazio topologico che soddisfa tutte le ipotesi della definizione (10) eccetto la i) `e quello di una copia di Rn con un punto doppio, che per definizione `e lo spazio che si ottiene considerando due copie di Rn ed identificandole ovunque eccetto che in un punto. In termini formali, nella notazione che introdu-

ciamo pi`u avanti (§1, def. 1), questo `e lo spazio Rn`

IdU Rn, U = Rnr{p}

Se si sostituisce {p} con un qualsiasi chiuso si ottiene sempre uno spazio topologico dove ogni punto ha un intorno omeomorfo ad Rn, ma sicuramente molto complicato!

·

·

“retta con due origini” (n = 1)

Una propriet`a delle variet`a topologiche che mi sembra importante sottolineare `e che, in senso forte, la geometria locale pu`o essere letta nelle carte locali:

(♣)

se A `e un sottoinsieme di una variet`a topologica che in una qualche carta locale `e limitato (i.e. A⊆ U e ϕ(A) `e limitato, essendo ϕ ed U come nella def. 10) allora,

la chiusura di A nella carta locale U coincide con la chiusura di A nella variet`a topologica.

Attenzione! La propriet`a (♣) non varrebbe se nella definizione (10) non si richiedesse esplicitamente che le variet`a topologiche devono essere di Hausdorff (l’esempio della retta con due origini docet).

Esercizio 11. Provare che uno spazio topologico compatto, localmente omeomorfo ad Rn, `e automaticamente 2-numerabile.

Esercizio 12. Provare che le variet`a topologiche connesse di dimensione 1 sono, a meno di omeomorfismi, R

(la retta reale)

S1

(il cerchio)

Suggerimento. Si cominci col provare che l’unica variet`a topologica compatta connessa di dimensione 1 `e il cerchio S1, a tale fine si provi che fissate due carte locali U e V aventi intersezione non vuota, la loro unione

`e la retta reale oppure il cerchio (sempre modulo omeomorfismi).

6Anch’io, in una prima stesura di queste note, non l’assumevo. Poi ho cambiato idea e ce l’ho messa.

(8)

§ 1. CW-complessi.

Incollamenti.

A ֒ → Y

  y

φ

X Def. 1. Si abbiano X , A, Y come nel diagramma a lato, con A sottospazio

chiuso di Y e φ funzione continua.

Lo spazio ottenuto da X attaccandovi Y tramite φ `e lo spazio

X `

φ

Y := X S

Y 

essendo ∼ la relazione d’equivalenza generata dalle identificazioni del tipo a ∼ φ(a), a ∈ A, dotato della topologia quoziente (cfr. Def. §0, 2).

Componendo le inclusioni di X ed Y in X ∪

Y con la proiezione su X `

φ

Y si ottengono due funzioni continue,

i : X ֒ → X `

φ

Y e Φ : Y → X `

φ

Y chiamate rispettivamente inclusione e funzione caratteristica dell’incollamento

Nota 1.1. L’inclusione i `e iniettiva e la funzione caratteristica Φ estende la composizione i◦ φ.

Esercizio 1.2. Siano X , A, Y come nella definizione (1), le funzioni i e Φ come sopra. Verificare che i) un sottoinsieme U ⊆ X`

φY `e aperto se e solo se gli insiemi i−1(U ) e Φ−1(U ) sono entrambi aperti (la topologia su X`

φY `e la pi`u fine per la quale le applicazioni i e Φ sono entrambe continue);

ii) tramite i, lo spazio X `e un sottospazio chiuso di X`

φY (sottospazio nel senso§0, 1.3);

iii) l’immagine Φ(Y r A) `e aperta in X`

φY (`e il complementare di i(X)) e la restrizione Φ|Y rA `e un omeomorfismo sull’immagine (essendo A chiuso per ipotesi, il sottospazio Y r A `e aperto).

Osservazione 2. Ogni elemento in X`

φY ha un unico rappresentante in X∪(Y rA), di conseguenza, a livello insiemistico , c’`e una identificazione naturale

(♣) X∪(Y rA) = X`

φY .

Inoltre, l’inclusione e la funzione caratteristica dell’incollamento possono essere descritte esclusivamente in termini dell’insieme a sinistra: i : X ֒→ X ∪(Y r A) `e l’inclusione naturale e Φ : Y → X ∪(Y r A) `e l’applicazione che estende φ nella maniera ovvia: Φ `e definita ponendo Φ|A := φ e Φ|Y rA := “inclusione in X∪(Y r A)”. Queste considerazioni forniscono una maniera alternativa di introdurre l’incollamento:

Esercizio 2.1. Siano X, A, Y, φ come nella definizione (1), sia inoltre

X := X∪(Y rA) con la topologia coindotta (def.§0, 3.1) dalla famiglia { i : X → X, Φ : Y → X} (dove i e Φ sono da intendersi nel senso dell’osservazione 2). Provare che l’identificazione insiemistica (♣) `e un omeomorfismo:

X ∼= X `

φ Y

Esercizio 3. Siano X, A, Y, φ e Φ come nella definizione (1). Provare che

• se X ed Y sono T1, le fibre della funzione caratteristica Φ : Y −→ X`

φY sono dei chiusi;

• se φ `e suriettiva e chiusa, allora X`

φY `e un quoziente Y /∼ di Y

inoltre, la funzione Φ si identifica con la proiezione Y −→ Y / ∼ . Proposizione 3.1. Sia X uno spazio topologico, si consideri

X := X`

φY , Y = Dn, A = Sn−1, φ : A −→ X (lo spazio ottenuto incollando ad X un disco Dn lungo la frontiera Sn−1). Allora a) se X `e di Hausdorff, anche X `e di Hausdorff;

b) se X `e T4, anche X `e T4 (cfr. def.§0, 1.9).

(9)

Inoltre, vale un risultato leggermente pi`u forte (generalizza sia a che b e, di fatto, ci dice che gli aperti che separano ci`o che devono separare possono essere scelti in modo da intersecare7 X “in modo conveniente”):

c)

 se C1, C2 ⊆ X sono chiusi disgiunti, V1 e V2 aperti in X che separano8 C1∩X e C2∩X , allora

∃ U1 e U2 (aperti in X) che separano C1 e C2, soddisfacenti U1∩X = V1 e U2∩X = V2. Nota. Sottolineiamo che in c non ci sono ipotesi su X , ma V1 e V2 fanno parte dei dati (e sono fissati).

Dimostrazione. Innanzi tutto osserviamo che l’affermazione c effettivamente generalizza sia la a che la b:

nelle ipotesi della a, essendo i punti di X chiusi, la tesi -sempre della a- segue applicando la c prendendo come chiusi C1 e C2 i singoletti9dei punti da separare.

Siano i e Φ come nella definizione (1), vediamo X come sottospazio di X`

φY via i, in quello che segue non scriviamo l’inclusione i per non appesantire la notazione. Siano

K1 = Φ−1(C1) , K2 = Φ−1(C2) , Z1 = Φ−1(V1) , Z2 = Φ−1(V2) i Ki sono chiusi disgiunti del disco Dn, i Zi sono disgiunti e Zi ⊇ Ki∩ Sn−1, i = 1, 2

. A questo punto si ha che,

U1 := V1∪ Φ(W1) e U2 := V2∪ Φ(W2) sono aperti in X`

φY , separano C1 e C2, dove W1 e W2 sono gli aperti in Dn dell’esercizio (3.2) qui sotto.

 Esercizio 3.2. Dati due chiusi disgiunti K1, K2 ⊆ Dn e due sottospazi Z1, Z2 ⊆ Sn−1, aperti in Sn−1, che separano K1∩ Sn−1 e K2∩ Sn−1 (pertanto disgiunti), trovare due aperti W1, W2 ⊆ Dn tali che:

W1 e W2 separano K1 e K2; risulta W1∩ Sn−1 = Z1 e W2∩ Sn−1 = Z2. Sottolineiamo che questo esercizio concerne esclusivamente la coppia (Dn, Sn−1).

◦ ∼ ◦

Concludiamo questa sezione discutendo come effettuare pi`u incollamenti (anche infiniti) contemporaneamente.

Def. 4. Dato uno spazio X ed una famiglia di terne { A

α

, Y

α

, φ

α

: A

α

→ X } dove A

α

`e un sottospazio chiuso di Y

α

e φ

α

`e una funzione continua, per ogni α, si definisce X `

α φα

Y

α

:= X ∪

S

α

Y

α

.

dove ∼ `e la relazione d’equivalenza generata dalle identificazioni del tipo a ∼ φ

α

(a), a ∈ A

α

, al variare di α, sempre dotato della topologia quoziente.

Anche in questo caso abbiamo

l’inclusione i : X ֒→ X`

αφαYα e le funzioni caratteristiche Φα: Y ֒→ X`

αφαYα

(come nel caso di un solo incollamento, definite componendo le inclusioni di X e degli Yα nell’unione disgiunta con la proiezione sul quoziente) e continua ad esserci un’identificazione naturale (per ora insiemistica)

(4.1) X :=

X∪

α

(YαrAα) = X `

αφαYα

Questa identificazione risulta essere un omeomorfismo qualora si doti l’insieme a sinistra X della topologia coindotta dalla famiglia 

i : X ֒→ X, Φα: Yα → X

, dove, come nell’osservazione (2), qui le funzioni i e le Φα sono definite solo in termini di X: i `e l’inclusione e le Φα estendono le φα nella maniera ovvia. (Stiamo semplicemente dicendo che anche la “definizione alternativa” introdotta con l’esercizio (2.1) si generalizza al caso di pi`u spazi da incollare ad X ).

7Ricordiamo che X `e un sottospazio chiuso di X, cfr. esercizio (1.2).

8Come nella definizione (§0, 1.9), la locuzione “che separano” significa “disgiunti, che contengono rispettivamente”.

9Un singoletto `e un insieme costituito da un punto.

(10)

C’`e una terza alternativa, quanto sopra equivale all’incollamento di un’unione disgiunta:

Esercizio 5. Verificare che data una famiglia di terne come nella definizione (4), posto Y = ∪Yα, A = ∪Aα e definito φ ponendo φ| = φα, c’`e un omeomorfismo canonico

X `

αφαYα ∼= X `

φY

(si osservi che essendo Y dotato della topologia dell’unione disgiunta, A `e chiuso in Y ).

Valgono risultati analoghi a quelli dell’esercizio (1.2) per brevit`a scriveremo X invece di X`

αφαYα, in fin dei conti sono spazi canonicamente omeomorfi : i) un sottoinsieme U ⊆ X `e aperto se e solo se i−1(U ) e gli Φ−1α (U ) sono aperti (idem per i chiusi);

ii) X `e un sottospazio chiuso di X;

iii) ogni Uα := YαrAα `e un sottospazio aperto di X.

Infine, anche la proposizione (3.1) si generalizza al caso di pi`u incollamenti:

Proposizione 5.1. Sia X uno spazio topologico, siano X = X `

α φαYα, Yα = Dn, Aα = Sn−1, φα: Aα −→ X . Allora, le affermazioni a, b e c della proposizione (3.1) continuano a valere.

Dimostrazione. La dimostrazione `e identica a quella vista nel caso di un solo incollamento. Naturalmente, si dovranno considerare

Ui := ViS

αΦα(Wi, α) , i = 1, 2 (con i Wi, α costruiti come nell’esercizio 3.2, per ogni disco Dnα incollato).



CW-complessi.

Def. 6. Un CW-complesso `e una successione di spazi topologici e di incollamenti X

0

⊆ X

1

⊆ X

2

⊆ X

3

... , X

n

= X

n−1

`

α φα

D

αn

(∀ n ≥ 1) (cfr. def. 1 e 4) dove X

0

`e uno spazio discreto, i vari D

αn

sono copie del disco D

n

e le

φ

α

: S

αn−1

−→ X

n−1

sono funzioni continue (dove S

αn−1

denota l’n−1 sfera “frontiera di D

αn

”).

Def. 6.1. Nella situazione della definizione sopra, i vari spazi X

k

vengono detti k-scheletri.

Naturalmente si pu`o anche non incollare nulla, anzi siamo interessati proprio a quei CW-complessi dove da un certo punto in poi non si incolla pi`u nulla, per cui ∃ n | Xn = Xn+k, ∀ k ∈ N . In questo caso, per un intero n con la propriet`a appena indicata, si pone X = Xn e si vede il CW-complesso in questione come

“spazio topologico X che ricorda com’`e stato costruito”

(per abuso di linguaggio, X stesso viene chiamato CW-complesso).

Anche qualora un tale intero n non esista, in altri termini nel caso di dimensione infinita (cfr. sotto), piuttosto che come sequenza di spazi, un CW-complesso viene visto come spazio topologico che ricorda com’`e stato costruito: vi si associa lo spazio topologico

X := S

Xn dotato della topologia coindotta dalle inclusioni degli scheletri

(caratterizzata dalla propriet`a seguente: un sottoinsieme C ⊆ X `e chiuso se e solo se interseca ogni Xn in un chiuso). Si osservi che ogni Xn risulta essere un sottospazio chiuso di X , questo perch´e ogni Xn contiene i precedenti ed `e chiuso nei successivi.

(11)

Inciso. La topologia dei CW-complessi viene indicata come topologia debole. L’uso di questo termine viene dal fatto che classicamente i CW-complessi vengono introdotti, diversamente da come abbiamo fatto noi, come unioni disgiunte di “celle” opportunamente topolocizzate: si considera un’unione disgiunta di punti e dischi aperti, quindi si danno degli assiomi che definiscono una topologia su tale insieme (non entreremo nel merito).

Avendo in mente la definizione da noi data il termine “debole” appare usato impropriamente: nel caso di dimensione finita n, si ha che X = Xn `e gi`a uno spazio topologico e non c’e bisogno di aggiungere aggettivi che specifichino quale sia la sua topologia; in dimensione infinita, X `e dotato della topologia finale (i.e. forte, cfr. def. 3.1) per la famiglia delle inclusioni {Xn ֒→ X}.

Poich´e non esistono funzioni da un insieme non-vuoto all’insieme vuoto, l’unico CW-complesso il cui 0-scheletro

`e l’insieme vuoto `e il CW-complesso vuoto. Introduciamo un po’ di terminologia.

(6.2) Una n-cella ℓ

n

`e l’immagine del disco aperto D

nr

S

n−1

tramite una funzione carat- teristica (cfr. Def. 1 e 4):

n

:= Φ(D

nr

S

n−1

) , dove Φ = Φ

α

: D

n

= D

nα

−→ X

n−1

⊆ X

(la funzione caratteristica viene vista come funzione di codominio X, piuttosto che l’n-scheletro).

Ricordiamo che per l’esercizio (1.2, iii)), o meglio per la sua generalizzazione al caso di pi`u incollamentiiii) data poco pi`u avanti, la restrizione Φ|DnrSn−1 `e un omeomorfismo sull’immagine ℓn (la nostra n-cella).

Osserviamo che la n-cella ℓn, `e un aperto dell’ n-scheletro (ed `e un aperto di X solo a condizione che non sia coinvolta dagli incollamenti successivi, cio`e nelle dimensioni strettamente maggiori di n). Inoltre,

• diremo che Xn `e stato ottenuto da Xn−1 attaccandodelle n-celle;

• per convenzione, le 0-celle sono i punti dello 0-scheletro;

• per abuso di linguaggio, la stessa Φαviene chiamata n-cella, la sua immagine viene chiamata n-cella chiusa.

(6.3) La dimensione di un CW-complesso non-vuoto X `e il

pi` u piccolo intero n per il quale risulta X = X

n

(infinita se un tale intero non esiste, −1 se X = ∅)

.

(6.4) Un CW-complesso finito `e un CW-complesso ottenuto attaccando celle in numero finito

(in particolare, un CW-complesso finito ha dimensione finita)

. (6.5) Un sottocomplesso di un CW-complesso X `e un CW-complesso X

dove, ad ogni step,

le n-celle che si attaccano sono n-celle di X

(ovviamente, si richiede che le 0-celle di X siano 0-celle di X , i.e. che risulti X′ 0 ⊆ X0)

.

Esercizio 6.6. Sia X un CW-complesso (inteso come spazio topologico che ricorda com’`e stato costruito), si provi che

X `e un sottocomplesso di X ⇐⇒ X `e un sottospazio chiuso di X ed `e unione di n-celle di X.

Suggerimento: per cominciare, si verifichi che X stesso `e, insiemisticamente, l’unione disgiunta delle sue celle.

Esempio 6.7. Attaccando una n-cella ad un punto (nell’unico modo possibile) si ottiene la sfera Sn. In alternativa, una volta costruito Sn−1 come CW-complesso, la sfera Sn pu`o essere realizzata attaccando due n-celle ad Sn−1 tramite l’identit`a (la frontiera del disco n-dimensionale `e una n− 1 sfera).

Sottolineiamo il fatto di avere distinte realizzazioni come CW-complesso dello stesso identico spazio topologico.

Esercizio 6.8. Realizzare, il piano proiettivo reale P2(R), il piano proiettivo complesso P2(C), gli spazi proiettivi reale e complesso n-dimensionali, Pn(R), Pn(C), come CW-complessi.

Suggerimento: lo spazio Pn(R) si pu`o ottenere attaccando una n-cella a Pn−1(R); lo spazio Pn(C) attaccando una 2n-cella a Pn−1(C).

Esercizio 6.9. Realizzare il toro reale Rn/Zn (di dimensione n) come CW-complesso.

Suggerimento: come primo passo si comprenda che R2/Z2 si pu`o ottenere attaccando una 2-cella alla somma wedge (cfr. def. 2.6) di due copie del cerchio S1 (si veda l’esempio 8.3 pi`u avanti). Quindi si proceda per induzione: si realizzi Rn/Zn attaccando una n-cella alla somma wedge di n copie di Rn−1/Zn−1.

(12)

La proposizione che segue stabilisce, tra altre cose, che i CW-complessi sono spazi di Hausdorff10e la cosiddetta closure finiteness: il fatto che la chiusura di ogni cella ha intersezione non vuota con al pi`u un numero finito di altre celle (n.b.: una cella chiusa, in quanto immagine continua di un disco Dn, `e compatta).

Proposizione 6.10. Sia X un un CW-complesso, K ⊆ X un sotospazio compatto. Allora i) X `e T4, in particolare `e di Hausdorff;

ii) K `e contenuto in un sottocomplesso finito di X

(in particolare, K pu`o avere intersezione non-vuota solamente con un numero finito di celle).

Dimostrazione. Assumiamo che X abbia dimensione finita. La i) segue dalla proposizione (5.1, b) per ragioni induttive.

Proviamo la ii) (sempre nel caso di dimensione finita). Assumendo induttivamente11 che, per ogni compatto H ⊆ X , l’intersezione con l’n−1 scheletro H ∩ Xn−1 sia contenuta in un sottocomplesso finito di Xn−1, `e sufficiente provare la propriet`a seguente:

(♣) un compatto K ha intersezione non vuota con un’unione finita di n-celle Sm α=1α (infatti, sar`a sufficiente applicare l’ipotesi induttiva ad H = K S

α, che `e compatto perch´e la chiusura di una n-cella `e compatta in quanto immagine continua di un disco).

Proviamo la propriet`a (♣): l’insieme Z ⊆ K ottenuto scegliendo un punto da ogni n-cella che ha intersezione non vuota con K `e chiuso ed ha la topologia discreta (in quanto ogni suo sottoinsieme, compreso Z stesso, `e chiuso in X), `e compatto (in quanto chiuso in un compatto), quindi `e necessariamente finito.

Il caso generale `e pi`u delicato ma non dissimile nella sostanza, lo trattiamo separatamente (subito sotto).

 Dimostrazione (della Proposizione 6.10 nel caso generale).

Sia X un CW-complesso, C1, C2 ⊆ X due chiusi. Applicando la (5.1, c), costruiamo induttivamente U1, n, U2, n, aperti dell’n-scheletro Xn, tali che

U1, n e U2, n separano C1∩ Xn e C2∩ Xn, risulta Uj, m = Uj, n∩ Xm per m≤ n.

Gli spazi U1 := S

U1, n e U2 := S

U2, n separano C1 e C2 in X . Infatti, sono aperti perch´e X ha la topologia coindotta dagli scheletri, sono disgiunti per costruzione, contengono rispettivamente C1 e C2 sempre per costruzione. Questo dimostra che X `e T4.

Per quanto concerne l’affermazione ii), una volta esclusa l’eventualit`a che possa esistere una successione infinita di punti pi ∈ K ∩ (XnirXni−1) con gli ni strettamente crescenti (cosa immediata perch´e un tale insieme sarebbe chiuso ed avrebbe la topologia discreta e questo `e assurdo perch´e un compatto non pu`o contenere sottospazi chiusi discreti infiniti), possiamo affermare che K `e contenuto in un qualche scheletro e concludere grazie al caso, trattato precedentemente, di dimensione finita.



◦ ∼ ◦

Introduciamo ora un importante numero associato ai CW-complessi finiti.

Def. 7. La caratteristica di Eulero Poincar´e di un CW-complesso finito X `e la somma

χ(X) := P

(−1)

i

i

, dove ℓ

i

denota il numero delle i-celle.

Nel paragrafo §3, sezione omologia cellulare (cfr. §3, Cor. 54), vedremo il seguente importante risultato:

(7.1) χ(X) `e un invariante omologico del soggiacente spazio topologico X e, come tale, non dipende dalla realizzazione di X come CW-complesso.

10 Nella definizione assiomatica, si veda l’inciso che segue la def. (6.1), tra i vari assiomi si richiede esplicitamente che i CW- complessi siano di Hausdorff. Per come li abbiamo introdotti noi (definizione costruttiva 6), il fatto che i CW-complessi siano di Hausdorff `e una Proposizione, va dimostrato!

11Fissiamo la base dell’induzione nel caso banale n = 0 , X−1 := ∅ .

(13)

◦ ∼ ◦

Con gli esempi che seguono caratterizziamo i CW-domplessi di dimensione 0 ed 1, diamo inoltre un’ampia classe di CW-domplessi di dimensione 2 (che pi`u avanti utilizzeremo per classificare le superfici topologiche compatte).

Esempio 8.1. I CW-complessi di dimensione 0 sono gli spazi topologici discreti.

Esempio 8.2 “Grafi ” (CW-complessi di dimensione 1).

Si parte dallo 0-scheletro X0 (come sempre) e vi si attaccano copie del disco D1 = [−1, 1] tramite funzioni φα : S0 = {−1, 1} → X0 (n.b.: una tale funzione di fatto `e un punto del prodotto cartesiano X0×X0).

Si ottiene qualcosa come in figura (quello raffigurato `e un grafo non connesso, finito; naturalmente si possono anche avere grafi infiniti).

Nota. La definizione combinatorica di grafo prevede un insieme X0, un altro insieme A ed una funzione ω : A −→ X0×sX0 (prodotto cartesiano simmetrico); ad ogni elemento α∈ A corrisponde un “lato”. Le funzioni φα del nostro CW-complesso di dimensione 1 danno lati orientati (si parla di grafi orientati).

Esempio 8.3 “Poligoni con identificazioni ”. Sia P un poligono di n lati ed A una parola di n lettere (queste, con eventuale esponente −1). Scelto un vertice di partenza ed un senso di percorrenza del perimetro di P, abbiamo una corrispondenza biunivoca

“ lettere di A” ←−−→ “ lati di P ”.

Orientiamo ogni lato coerentemente con l’esponente della sua lettera ed identifichiamo tra loro lati orientati corrispondenti ad una stessa lettera.

o

λ λ

µ

µ

A = λµλ−1µ−1

o λ µ

µ λ−1 ν

µ−1

α

A = λµµλ−1ν µ−1α Nei due esempi in figura abbiamo scelto il punto “o” ed

il senso antiorario. Il primo di essi rappresenta un Toro, il secondo `e decisamente pi`u complicato. Si osservi che ci possono essere lati non coinvolti affatto da identificazioni (quelli corrispondenti a lettere che appaiono una sola volta).

Introduciamo la notazione che segue (cfr. def. 2)

(8.3

) S(A) := P/ ∼

dove ∼ denota la relazione d’equivalenza associata alle identificazioni (definite dalla parola A). Questo spazio topologico, per brevit`a lo chiamiamo poligono con identificazioni. Sottolineiamo che una parola arbitraria definisce un poligono con identificazioni. Osserviamo che se le lettere di A sono distinte non ci sono affatto identificazioni da fare, ∼ `e la relazione banale ed S(A) = P/ ∼ = P `e omeomorfo al disco D2.

Chiaramente pu`o accadere che due parole definiscano esattamente lo stesso poligono con identificazioni, ci`o accade per parole che differiscono

(♣)

(• circolarmente: “...A ...B ” e “...B ...A ”, i.e. che si ottengono per scelte diverse del vertice;

• specularmente: una parola e la sua inversa formale (e.g. “... α−1µν−1” e “ ν µ−1α ...”),

i.e. che si ottengono per scelte diverse del senso di percorrenza del perimetro.

Un poligono con identificazioni ha una naturale struttura di CW-complesso: possiamo vedere P/ ∼ come spazio ottenuto da X1 := ∂P/ ∼ ∂P denota il perimetro di P, “∼” le identificazioni12

attaccandovi una 2-cella. Precisamente, nella notazione introdotta nella sezione “Incollamenti” abbiamo

(8.3′′) P/ ∼ = X1`

φD2

dove φ : S1 −→ X1 `e la composizione S1 −→ ∂ P −→ ∂ P/ ∼ (il primo morfismo `e l’omeomorfismo ovvio).

Naturalmente va osservato che lo spazio X1 `e un grafo (cfr. esempio 8.2), quindi ha una naturale struttura di CW-complesso di dimensione 1: le classi dei vertici costituiranno lo 0-scheletro (saranno in numero compreso tra 1 ed n), quelle dei lati l’uno-scheletro. Sottolineiamo che si attacca una sola 2-cella (formula 8.3′′).

12Che, ad essere pignoli, qui consideriamo come relazione su ∂ P .

(14)

Convenzione 8.4. Usiamo l’incollamento X1`

φD2 per dare un senso ad S(A) anche quando la parola A ha due lettere, una lettera, `e la parola vuota . Abbiamo, rispettivamente, un cerchio con identificazioni sul quale sono marcati due punti; un cerchio sul quale `e marcato un punto; un punto. Quindi incolliamo un disco.

Naturalmente, nel terzo caso si ha X1= X0 = {o} e la funzione di incollamento φ fa l’unica cosa possibile: manda S1 in o, la superficie che si ottiene `e omeomorfa alla sfera (si contrae S1, la frontiera di D2, ad un punto).

due lati un lato zero lati o

Elenchiamo i casi possibili: S(λµ) = D2, S(λλ) = P2(R), S(λλ−1) = S2, S(λ) = D2, S(∅) = S2. Esercizio 8.5. Verificare le identit`a che seguono:

i) S(aba−1c) = S1× [0, 1] (cilindro compatto);

ii) S(parola) = “nastro di M¨obius con bordo” = S(aab) = P2(R) r B

(dove B denota l’interiore di un dischetto chiuso13).

Suggerimento: naturalmente S(parola) = S(abac). Che risulti S(abac) = S(aab) pu`o essere verificato direttamente utilizzando la tecnica del cut & paste introdotta pi`u avanti (cfr. 9.6).

Esempio 8.6 (Variet`a topologiche triangolate). Una variet`a topologica sulla quale sia definita una triangolazione ha una naturale struttura di CW-complesso.

Ricordiamo (cfr. §0, def. 10) che una variet`a topologica `e uno spazio topologico di Hausdorff dove ogni punto ha un intorno omeomorfo ad Rn, il numero n `e la dimensione della variet`a (ed `e univocamente determinato).

Sia X una variet`a topologica di dimensione n. Premettiamo una notazione:

n = 

x∈ Rn

xi≥ 1 ∀ i , P

xi≤ 1

(dove gli xi denotano le coordinate di x), l’inviluppo convesso di un sottoinsieme proprio e non-vuoto dei vertici di ∆n lo chiameremo faccia.

• Un n-triangolo in X `e un sottospazio T che in una qualche carta locale si identifica con ∆n. Precisamente, si richiede che esistano un aperto U ⊇ T ed un omeomorfismo ϕ : U → Rn (la carta locale) tali che ϕ(T ) = ∆n. Un vertice di T `e l’immagine via ϕ−1 di un vertice di ∆n ed una faccia di T `e l’immagine via ϕ−1 di una faccia, di ∆n (n.b.: i vertici sono, in particolare, facce).

• Una triangolazione di X `e un ricoprimento in n-triangoli che soddisfi le propriet`a seguenti: due triangoli possono esclusivamente avere intersezione vuota o condividere esattamente una faccia; ogni vertice v ammette una carta locale ϕ centrata in v dove la triangolazione appare come unione finita di coni in Rn di vertice ϕ(v) (di conseguenza, l’insieme dei vertici `e discreto, ogni vertice `e vertice di un numero finito di triangoli ed ogni faccia di dimensione n− 1 `e faccia di esattamente due triangoli).

Per intenderci, una triangolazione `e qualcosa che appare come in figura 1, la condizione di finitezza che si richiede nei vertici serve ad escludere configuarazioni (che si vogliono effettiva- mente escludere) come, ad esempio, quella in figura 2 (dove vale comunque la propriet`a che due triangoli aventi inter- sezione non vuota condividono esattamente una faccia).

figura 1 figura 2

Una variet`a topologica triangolata X `e una variet`a topologica dotata di una triangolazione. Questa ha una naturale struttura di CW-complesso dove i vertici costituiscono lo 0-scheletro, le facce di dimensione uno costituiscono l’uno-scheletro e cos`ı via fino ad n (la dimensione di X ). Di conseguenza, se X `e compatta, la triangolazione `e finita (di ci`o, se ne dia una dimostrazione diretta, i.e. che utilizzi solamente la definizione di triangolazione).

Nella sezione che segue ci occupiamo del caso delle superfici, i.e. dove n = 2.

13Un dischetto chiuso D `e un sottospazio omeomorfo al disco chiuso D2 (cfr. §0, notazione 1.6), ai fini di questo esercizio non ci preoccupiamo della forma di D, che quindi assumiamo “ragionevole”. Il punto `e che a priori non `e affatto ovvio, sebbene sia vero, che la classe di omeomorfismo dello spazio P2(R) r B (essendo B =D) non dipenda dal disco D (cfr. esempio 13).

(15)

Classificazione delle superfici compatte.

Ricordiamo che una superficie topologica `e uno spazio topologico di Hausdorff dove ogni punto ha un intorno omeomorfo ad R2 (cfr.§0, def. 10).

Una superficie compatta pu`o essere triangolata14. Una triangolazione, necessariamente finita per ragioni di compattezza, consente di stabilire un omeomorfismo con un poligono15 con identificazioni (cfr. esempio 8.3), soddisfacente la propriet`a di avere i lati identificati a coppie. Con la tecnica del “cut & paste” `e possibile sem- plificare la sequenza delle identificazioni ed elencare tutti i casi possibili, in modo da ottenere la classificazione completa delle superfici topologiche compatte connesse. Iniziamo con un esempio.

Esempio 9.1. Attaccando (cfr. Def. 5) una 2-cella D2 ad un bouquet di 2g cerchi (1-sfere) B tramite la composizione

φ = ϕ◦ ω : S1 −→ B

indicata in figura, disegnata per g = 2, si ottiene una superficie compatta orientabile di genere g.

λ1

λ1

µ1 µ1 λ2

λ2

µ2 µ2

−−−→ω ϕ

−−−→

o

• o

λ1 µ1

λ2

µ2

S1 = = B

B `

φD2 = C2 = “ ” (il genere di una superficie compatta connessa orientabile `e un intero che “conta il numero dei buchi”, per ora non ci preoccu- piamo di darne una definizione formale).

Si osservi che tutti i vertici dell’ottagono si identificano con o. Non si esclude il caso dove g = 0 : in questo caso, il bouquet `e banale (c’`e solo il vertice o), la funzione di incollamento φ manda il cerchio S1 in o e la superficie che si ottiene `e omeomorfa alla sfera (si contrae S1, la frontiera di D2, ad un punto). Nella notazione dell’esempio (8.3), si ha Cg = S(λ1µ1λ−11 µ−11 ... λgµgλ−1g µ−1g ). Ci sono due cose da comprendere:

i) effettivamente si ottiene una superficie topologica compatta connessa;

ii) la superficie che si ottiene ha genere g.

La prima rientra in un risultato pi`u generale che proponiamo come esercizio con suggerimento (cfr. 9.2). Anche la seconda rientra in un discorso pi`u generale: cfr. inciso (9.4) e lemma (9.5).

Esercizio 9.2. Provare che se si sostituisce l’ottagono con un qualsiasi poligono con i lati identificati a coppie (per il resto, in modo del tutto arbitrario), lo spazio topologico che si ottiene `e necessariamente una superficie topologica compatta connessa.

Suggerimento: si deve provare che ogni punto ha un intorno omeomorfo ad un disco (compattezza e connessione sono ovvie, lo spazio ottenuto `e di Hausdorff per la proposizione 3.1, a). Prima delle identificazioni, ogni punto p ammette un intorno omeomorfo ad uno spicchio di torta; distinguere i tre casi:

“p interno al poligono” (torta intera), “p interno ad uno dei lati” (mezza torta), “p vertice”. I primi due casi sono banali, l’ultimo caso `e il pi`u interessante: si deve ricostruire un intorno di p tenendo presenti le identificazioni, a tal fine ci`o che si deve comprendere, e provare, `e che come conseguenza del fatto che i lati sono identificati a coppie si ottiene sicuramente un dischetto (nella figura a lato indichiamo il primo passo della ricostruzione di un intorno di un vertice p).

...

p p

...

Esercizio 9.3. Provare il “viceversa”: se i lati non sono identificati a coppie, lo spazio quoziente non `e una superficie topologica.

Naturalmente, le identificazioni descritte da una parola A sono “a coppie” se e solo se ogni lettera compare esattamente due volte. Per gli esercizi (9.2) e (9.3) abbiamo quanto segue:

un poligono con identificazioni P/∼ = S(A) (cfr. 8.3) `e una superficie topologica compatta se e solo se ogni lettera di A compare esattamente due volte.

14Questo `e un punto piuttosto delicato sul quale torneremo, cfr. affermazione (10.1) e nota (12).

15Pi`u di uno, se la superficie non `e connessa.

(16)

Inciso 9.4 (“Somma connessa”). La somma connessa X # Y di superfici si definisce privando ciascuna dell’interiore di un disco chiuso16ed identificando tra loro le frontiere dei due dischi tramite un omeomorfismo:

X # Y := X rBX

 `

φ Y rBY

, φ : SY

=

−−→ SX ⊆ X rBX

dove BX e BY denotano gli interiori di due dischi chiusi DX ⊆ X e DY ⊆ Y , mentre SX e SY denotano le rispettive frontiere (che quindi sono omeomorfe a dei cerchi). Vale il seguente risultato fondamentale17: (9.4) modulo omeomorfismi, la somma connessa non dipende dalle scelte effettuate.

Osserviamo che l`a dove un disco in una superficie `e solamente un sottospazio omeomorfo al disco D2, tanto per dirne una, conoscere ci`o che si rimuove a priori non significa conoscere ci`o che resta e nel provare la (9.4) si incontrano delle difficolt`a, uno dei problemi `e che si potrebbero prendere dischi molto bizzarri, ad esempio come quello di bordo T , che `e effettivamente un disco, dell’esempio (13) dato pi`u avanti. Comunque, con qualche accorgimento, tali difficolt`a sono superabili grazie al teorema di Jordan-Schoenflies enunciato pi`u avanti (Teorema 15).

Tornando ai nostri poligoni con identificazioni, noi non abbiamo veramente bisogno di provare la (9.4): essendo i poligoni oggetti in R2, possiamo decidere di effettuare le somme connesse esclusivamente rimuovendo dischetti

“ragionevoli”, limitandosi ai quali la (9.4) `e un’affermazione di facile verifica e siamo persino in grado di dire chi `e la somma connessa S(A) # S(B) di poligoni con i lati identificati a coppie S(A) e S(B), infatti risulta

(9.4′′) S(A ) # S(B ) = S(A B )

(naturalmente “A B” denota la parola che si ottiene unendo in sequenza le due parole A e B ).

Dimostrazione. La figura che segue illustra pi`u efficacemente di qualsiasi discorso come realizzare la somma connessa di due superfici che siano state date come poligoni con lati identificati a coppie

...

p

...

p

...

p

p ...

p

p ...

p

p ...

S(A ) S(B ) S(A ) # S(B )

(le piccole parti tratteggiate indicano i dischetti che vengono rimossi). Le identificazioni nel poligono a destra sono descritte dalla parola “A B ”. Ci`o prova che S(A B ) `e ottenibile come somma connessa di S(A ) e S(B ).

Attenzione! Affinch´e la figura sopra sia rappresentativa della situazione, c’`e una condizione che deve essere soddisfatta (e che nel caso dei poligoni coi lati identificati a coppie `e automaticamente soddisfatta, ci`o richiede una breve dimostrazione che lasciamo per esercizio): la condizione `e che in Ω (cfr. figura a lato) le identificazioni sui lati inducano l’uguaglianza p = x.

...

p

...

p

x

 Nota. La costruzione vista non si generalizza a poligoni con identificazioni arbitrarie. Ad esempio se non ci sono identificazioni, i.e. ogni lettera compare esattamente una volta, per A e B entrambe parole non vuote si ha che S(A) e S(B) sono dischi e la loro somma connessa non `e univocamente determinata, dipende da dove si trovano i dischetti che rimuoviamo. Inoltre, pur assumendo che i dischetti che rimuoviamo stiano come in figura, la condizione menzionata nella dimostrazione non vale (non essendoci identificazioni si ha “p 6= x”) e risulta che S(A B ), che `e un disco, non `e ci`o che dovrebbe essere.

Torniamo al caso della somma connessa di superfici. Descrivendo superfici distinte, le parole A e B non hanno lettere in comune: nel poligono di S(A)#S(B) non ci sono lati della parte destra (cfr. figura) che si identificano con lati di quella sinistra. C’`e un’utile chiave di lettura di quanto appena visto:

Lemma 9.5. Una superficie del tipo S (A B ) con A e B senza lettere in comune `e la somma connessa delle superfici S(A) e S(B), i.e. nell’ipotesi indicata risulta S (A B ) = S(A) # S(B).

16 Per definizione, un disco chiuso di una superficie topologica X `e un sottospazio omeomorfo al disco D2, equivalentemente `e l’immagine inversa di D2 tramite una qualche carta locale ϕ : U −→ R2. Almeno in un verso, l’equivalenza delle due definizioni

`

e immediata: essendo una carta locale ϕ un omeomorfismo, automaticamente ϕ−1(D2) `e un sottospazio di X omeomorfo a D2. Sebbene non sia affatto ovvio, vale anche il viceversa:

se DX `e un sottospazio di X omeomorfo a D2, allora esiste una carta locale ϕ per la quale risulta DX = ϕ−1(D2).

Attenzione: un analogo risultato `e falso in dimensione superiore (addirittura `e falso gi`a per X = R3).

17Attenzione: questo risultato non si generalizza a variet`a topologiche di dimensione strettamente maggiore di 2.

Riferimenti

Documenti correlati

[r]

Un altro dife o visivo che influisce in maniera ancora più importante sulla postura è quello delle forie, o strabismi latenti, perché la persona per o enere

Se le somme dei premi di risultato vengono erogate (in tutto o in parte) non nella retribuzione ma in prestazioni di welfare allora la tassazione è pari a zero.. Non

Eppure questo libro cerca di dimostrare – al di fuori di ogni retorica consolatoria e del rischio sempre pre- sente del reducismo – che la storia non può finire e che lo spirito di

Quali sono le caratteristiche dello stato solido5. Quali sono le caratteristiche dello

In quale passaggio di stato troviamo il calore latente di

1. valutare la convenienza economica delle coltivazioni con metodi di agricoltura biologica 2. valutare le potenzialità di mercato di alcune filiere di produzione biologiche;

Per ciascuna accuratezza riportare in una tabella: l’ autovalore, la stima dell’ errore (assoluto o relativo), il numero di iterazioni effettuate.. Confrontare i risultati con