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CRITERI DI DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE IN CASO DI LOCALIZZAZIONE SECONDARIA OSSEA VERTEBRALE DA ADENOCARCINOMA PRIMITIVO AD ORIGINE SCONOSCIUTA. ASPETTI CLINICI, METODOLOGICI E APPLICATIVI. PROFILI DI EVENTUALE RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA

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TAGETE 1 - 2019 Year XXV ISSN 2035 – 1046

CRITERI DI DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE IN CASO DI LOCALIZZAZIONE SECONDARIA OSSEA VERTEBRALE DA ADENOCARCINOMA PRIMITIVO

AD ORIGINE SCONOSCIUTA. ASPETTI CLINICI, METODOLOGICI E APPLICATIVI.

PROFILI DI EVENTUALE RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA

Angelo Porrone 1 Cinzia Calabrese 2

Descrizione di un caso clinico.

ABSTRACT

Gli autori traendo lo spunto da un caso clinico relativo ad una neoplasia, apparentemente, a genesi e a sede primitiva sconosciuta, esordita con una localizzazione metastatica secondaria vertebrale, di tipo osteolitico, quale manifestazione sintomatica iniziale, in un uomo di oltre 50 anni di età, ne puntualizzano e caratterizzano gli aspetti clinico – prognostici, e soprattutto ne discutono gli elementi di diagnostica differenziale utilizzabili nel caso specifico, onde trarne conclusioni sia di tipo terapeutico che, più in generale, di valore metodologico

1 Angelo Porrone - Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, Specialista in Medicina del Lavoro, Specialista in Dermatologia e Venereologia, Specialista in Oncologia, Isernia - Roma

2 Cinzia Calabrese – Laurea triennale in “Scienze e tecnologie biologiche” presso l’Università degli studi del Molise di Campobasso, Laurea magistrale in “Genetica e biologia molecolare applicata alla ricerca di base e biomedica” presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma (107/110), Master II livello “Consulenza tecnica di parte e di ufficio” presso la “Scuola Nazionale Peritale di Roma - Dipartimento di scienze forensi”.

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applicativo in funzione clinica e per i possibili riflessi relativamente ad eventuale responsabilità professionale derivante dal ritardo diagnostico verificato.

Ne emerge una disamina critica del caso medesimo che cercando, da un lato, di analizzare la diversa valenza attribuibile a segni e sintomi nell’occasione riscontrabili e verificabili, ne coglie le attitudini essenziali e le peculiarità emergenti per organizzarle e catalogarle in un ambito più globale e operare una sintesi delle stesse, alla luce delle attuali conoscenze oncologiche al riguardo.

Sotto questo profilo appaiono dirimenti le caratteristiche epidemiologiche del caso in specie riguardanti, ad esempio, sesso ed età del paziente e particolare tropismo delle localizzazioni secondarie ossee e delle metastasi in generale, che riguardano singole patologie oncologiche o gruppi delle stesse.

Altresì importante diventa, al riguardo, la valorizzazione delle prerogative cliniche e semeiologiche inerenti la trattazione della varie fattispecie riscontrabili, per analogia, nell’ambito della medicina generale o, più in particolare, attinenti alle patologie tumorali, con riflessioni e spunti di tipo metodologico e diagnostico, al tempo stesso, di volta in volta utilizzabili alla bisogna, quali la raccolta anamnestica puntuale e dettagliata, secondo le direttrici di marcia dettate dalla tipologia del quadro morboso in atto, l’utilità e la completezza delle indagini diagnostiche strumentali espletate, più o meno mirate a dirimere il quesito diagnostico in essere, o di quelle esperibili e non ancora svolte, lo specifico peso attribuibile al responso degli esami istologici eventualmente effettuati.

Fondamentali in tal senso appaiono altresì i dati della letteratura di settore sull’evenienza di metastasi vertebrali da neoplasia ad origine sconosciuta, abbastanza concordi nell’attribuire, tale situazione, alla presenza misconosciuta, in moltissimi casi, di un tumore primitivo polmonare, tipo adenocarcinoma, da indagare ed approfondire con esami clinico strumentali appropriati, anche escludendo la presenza di altre possibile neoplasie, suscettibili di metastasi ossee.

Nelle conclusioni gli autori passano in rassegna, da ultimo, aspetti più squisitamente di tipo medico legale legati al problema delle eventuale responsabilità professionale, attribuibile ipoteticamente al ritardo diagnostico prodottosi in campo oncologico, laddove non sempre, in base alla patologia tumorale in atto, è possibile individuare un vero danno prodottosi in termini sia di perdita di chances che di danno

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biologico, per lo scarso rilievo talora attribuibile alle terapie più o meno protocollari attuabili, specie in carenza di una diagnosi specifica, ovvero di una tipizzazione oncologica del tumore primitivo, proprio magari per le particolari caratteristiche prognostiche della storia clinica naturale del tumore nell’occasione verificatosi.

CASO CLINICO

Un uomo di circa 54 anni manifestava all’esordio clinico della malattia, risalente al 2002, una sintomatologia caratterizzata dall’improvvisa comparsa di un dolore continuo e persistente in sede dorsale bassa, ovvero anche irradiato in sede lombare alta, con associate parestesie agli arti inferiori.

Persistendo tale sintomatologia, dopo diversi mesi, e manifestandosi anche una paresi agli arti inferiori, il paziente veniva ricoverato e dopo l’espletamento di indagini radiodiagnostiche, durante il ricovero, si evidenziava la presenza di una lesione solida vertebrale di tipo osteolitico, sostitutiva e compressiva midollare, come dimostrato dall’esito di una biopsia, verosimilmente per la presenza di una lesione neoplastica secondaria vertebrale, come da metastasi ossea su D12 per adenocarcinoma moderatamente differenziato, di n.d.d..

Si trattava, quindi, della metastasi vertebrale di un tumore maligno a sede primitiva sconosciuta, essendo categoricamente da escludere, nella fattispecie la presenza di una neoplasia primaria, con tale tipizzazione oncologica, a sede primitiva vertebrale.

La malattia neoplastica secondaria vertebrale manifestatasi, pur non essendo stata identificata la neoplasia primaria di partenza, veniva curata, nell’occasione, con RT locoregionale primitiva nel periodo aprile – maggio 2002.

Si trattava, quindi, nel caso specifico, di una lesione secondaria sostitutiva e accrescitiva presente a livello del soma indicato di D12.

Erano presenti ingrandimenti linfonodali polmonari bilaterali, sia alla radiografia standard del torace che all’esame PET effettuati in occasione del predetto ricovero.

Comunque, a distanza, peraltro, di circa 2 anni dall’ultimo trattamento della lesione metastatica evidenziata, il paziente versava ancora in apparente fase di

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intervallo libero da malattia, in assenza, comunque, sempre della diagnosi relativa alla sede primitiva della neoplasia verificatasi.

Si sottoponeva, peraltro, periodicamente a controlli sanitari specialistici.

Ma a distanza ancora di qualche mese, si manifestavano sintomi polmonari, con dispnea e dolore toracico, per cui, a seguito di ulteriori accertamenti radiodiagnostici, veniva evidenziata la presenza di un tumore del polmone destro, in sede periferica parenchimale, successivamente tipizzato come adenocarcinoma primitivo polmonare previa biopsia.

Seguiva una trattamento di 6 cicli di polichemioterapia secondo protocolli standard, con parziale remissione del quadro polmonare radiodiagnostico, ma a distanza di qualche mese dalla fine del trattamento, la neoplasia polmonare, non preventivamente diagnosticata, andava incontro a ulteriore progressione ed exitus del paziente nel novembre 2006.

ESAME DI DOCUMENTI SANITARI DELL’OTTOBRE 2004 E.O.

Non masse rilevabili negli organi ed apparati esplorabili, sulla base dei referti delle visite mediche espletate allegate. Apparentemente negativo per localizzazioni loco-regionale e/o a distanza, clinicamente rilevabile all’atto della visita.

ESAME ISTOLOGICO:

“Adenocarcinoma moderatamente differenziato di n.d.d.” (ossia a sede primitiva sconosciuta).

ESAMI STRUMENTALI 1) Biopsia:

“Diagnosi: Sospetta metastasi emisoma di D12 e peduncolo.

Intervento: Biopsia processo articolare di D12 a sinistra.

anni 53 Descrizione:

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…….Incisione cutanea mediana centrata sul peduncolo di D 12 …… prelievi ossei ripetuti dal processo articolare estesi al peduncolo ove si rinviene tessuto di consistenza duro-elastica e di colorito grigio-giallastro che viene prelevato.”.

2) Rx diretta torace - Referto:

“Linfonodi aumentati di volume della loggia dei barety. Osteolisi dell'emisoma sin e del relativo peduncolo di D 12 con manicotto di tessuto perivertebrale.”.

3) Copia CC ricovero Oncologia aprile – maggio 2002 con:

“DIAGNOSI : Metastasi vertebrale D12 da adenocarcinorna moderatamente diff. di origine sconosciuta, ……..”.

ESAMI EFFETTUATI DURANTE IL RICOVERO: esami di laboratorio, PSA (con valori rilavati nell’occasione pari a 3,5 ng/dl, TC torace ed add., broncoscopia, biopsia della lesione vertebrale, …..

TRATTAMENTO EFFETTUATO:

PROGRAMMA TERAPEUTICO SUCCESSIVO : RT urgente sulla lesione vertebrale.

Prenotata PET

VISITA AMBULATORIALE SUCCESSIVA TERAPIA DOMICILIARE

Zantac 150 1 cps alla sera Coefferalgan cps 1+1+2

4) Esame RM LOMBO-SACRALE REFERTO

“Esame eseguito con tecnica SE e TSE secondo piani di scansione sagittali ed assiali pesati in T1 e T2.

……. Il soma di D12 presenta una diffusa alterazione dell'intensità di segnale ed appare nettamente iperintenso in T2 e nettamente ipointenso in T1; tale aspetto potrebbe essere riferibile ad angioma vertebrale con preponderante componente vascolare. Utile comunque integrazione con esame TC mirato.”.

5) ESAME DI TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA

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Esame TC SPIRALE COLONNA DORSALE REFERTO

“L'esame e' stato eseguito secondo piani di scansione assiali ed integrato da ricostruzioni multiplanari e tridimensionali.

L'esame ha messo in evidenza la presenza di una modesta reazione iperostosica da parte dei corpo vertebrale visualizzato.

Nella sua emiporzione di sinistra in sede posteriore è presente un'area di alterata densità, ipodensa apparentemente pluriconcamerata interessante il corrispondente peduncolo con alterazione della compatta corticale.

Presenza di tessuto di densità discale localizzato nello spazio epidurale anteriore in sede intraforaminale a sinistra a livello D12-L1.

L’aspetto della lesione descritta non è di univoca interpretazione; la presenza di un tessuto di densità parenchimale all'interno della vertebra e la presenza di alterazioni della compatta corticale possono suggerire la presenza di lesione secondaria.

Utile studio con scintigrafia.”.

6) Copia CC Reparto di MEDICINA NUCLEARE

“RADIOFARMACO: Tc99m MDP

INDAGINE ESEGUITA: SCINTIGRAFIA SCHELETRICA GLOBALE, DOSE: 555 MBq

REFERTO :

“L’indagine scintigrafica eseguita mediante utilizzazione di mdp-99mtc ha evidenziato la presenza di un incremento di fissazione del tracciante osteotropo interessante l'emicorpo vertebrale sinistro di d12.

nulla da segnalare a carico degli altri segmenti scheletrici.”.

7) STUDIO DI DIAGNOSTICA NUCLEARE

“Tomoscíntigrafia ad Emissione di Positroni (PET) Total Body Radiocomposto: 18 FDG

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Attività somministrata: 368 MBq

Tecnica d'esame: L'esame scintigrafico è stato eseguito a digiuno con tecnica PET 60 minuti dopo la somministrazione endovenosa di (18 F) fluorodesossiglucosio. Sono state acquisite immagini della distribuzione dei tracciante per una durata di circa 50 minuti.

Sono state ricostruite sezioni tomografiche di 4.25 mm di spessore orientate secondo piani trasversali, coronati e sagittali.

Referto scintigrafico: L'indagine PET evidenzia accumulo del tracciante a livello del mediastino antero-superiore e posteriore, delle regioni ilari di entrambi gli emitoraci, della regione di transizione toraco-lombare posteriore in sede paramediana sinistra e della parete toracica postero-basale sinistra (a verosimile localizzazione costale).

Conclusioni: Lo studio PET evidenzia patologia ad elevato metabolismo di glucosio a livello delle sedi indicate.”.

TERAPIA

“RT in 2000 cGy, in 5 frazioni, su D11-L2 con acceleratore lineare di fotoni.”.

INTRODUZIONE

La malattia metastatica ossea rappresenta un’evenienza tutt’altro che infrequente nell’ambito della storia naturale delle neoplasie, per entrambi i sessi.

A tal riguardo appare importante conoscere la variabile diffusione di tali localizzazioni secondarie, specie riguardo alla diversa frequenza e al particolare tropismo dimostrato, in tal senso, in occasione dell’insorgenza e progressione di numerosi quadri neoplastici.

Spetta, quindi, agli studi epidemiologici stabilire la prevalenza dei diversi tumori primitivi sull’evenienza di metastasi ossee, in particolare osteolitiche vertebrali.

Da un articolo dal titolo “Metastasi ossee, sintomi, sopravvivenza, aspettative di vita, radioterapia”, tratte dal sito Internet www.fisioterapiarubiera.com (http://www.fisioterapiarubiera.com/dolore-osso/metastasi-ossee/), Maggio 2018, è possibile trarre interessanti spunti di conoscenza sull’argomento.

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In circa il 25 % dei casi le metastasi ossee sono asintomatiche, mentre nei restanti casi sono caratterizzate da forti dolori, parestesie e paraparesi in casi di metastasi compressive midollari spinali.

Possibili sono anche le fratture patologiche con tipici sintomi di accompagno, a seconda della sede affetta.

I tumori maggiormente coinvolti in metastasi scheletriche sono il tumore della mammella e quello della prostata, seguiti da altri tumori fra cui quelli polmonari, renali, tiroidei, e in particolare dal mieloma multiplo.

Le metastasi ossee possono verificarsi attraverso la circolazione sanguigna, l’apparato linfatico o per contiguità dagli organi vicini.

Le sedi predilette dalle metastasi ossee sono, nell’ordine:

• Colonna vertebrale,

• Bacino,

• Ossa del cranio,

• Femore,

• Omero.

Classicamente le metastasi ossee vengono generalmente distinte in:

• Osteolitiche se si verifica la distruzione dell’osso norma le,

• Osteoblastiche od osteoaddensanti, nel caso in cui la metastasi provochi la deposizione di nuovo tessuto osseo.

Tale distinzione nella pratica clinica si è dimostrata non avere un carattere assoluto, poiché molti pazienti con metastasi manifestano la presenza esclusiva di masse osteolitiche sostitutive, mentre altri presentano solo metastasi osteoblastiche, potendo invece in molti casi coesistere sia metastasi osteolitiche che osteocondensanti contemporaneamente.

In definitiva, i tumori prevalentemente coinvolti nelle mestatasi ossee, sono rappresentati soprattutto da:

• Carcinoma mammario;

• Tumore al polmone;

• Tumore alla prostata ;

• Tumore del rene;

• Tumore alla tiroide

• Tumore alla vescica

• Leucemia – Linfoma

• Melanoma maligno.

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La diagnosi di metastasi ossea si avvale principalmente delle seguenti metodiche strumentali radiodiagnostiche:

• la Radiografia (Rx) rappresenta il primo esame diagnostico, da effettuare in prima battuta, ma nelle fasi iniziali può non mostrare, o solo in minima parte, evidenza di alterazioni ossee; successivamente in presenza di masse sostitutive, osteocondensanti, si possono osservare zone radiologicamente chiare ed estese, ossia opache, mentre in caso di metastasi ossea osteolitica, la zona coinvolta diventa appare come una sede più scura, radiotrasparente, nella radiografia;

• la Scintigrafia ossea si utilizza meno frequentemente trattandosi dei un esame molto sensibili ma poco specifico, potendo apparire positiva per lesioni ossee di vario tipo non solo tumorali;

• la Tomografia a emissione di positroni (PET) è una tecnica molto sensibile per individuare le metastasi ossee, e può fornire la visione di aree di accumulo radiometabolico e livello delle sedi del tumore primitivo, specie nel caso di neoplasia ad origine sconosciuta, ovvero indicare ulteriori zione metastatiche che illustrano la reale estensione del tumore e precisano lo stadio;

• la Risonanza magnetica nucleare (RMN), molto utile specie a livello della colonna vertebrale;

• la Tomografia assiale computerizzata (TAC).

• La Biopsia ossea che permette di prelevare una parte dell’osso per l’esame istologico in laboratorio, e quindi a tipizzare istologicamente la massa tumorale e dare indicazioni sulla natura, prevalentemente secondaria, della neoplasia esistente.

Terapie farmacologiche specifiche, la radioterapia e interventi di stabilizzazione vertebrale, compreso l’uso clinico farmacologico del bifosfonato, nelle situazioni di ipercalcemia e al fine di rallentare il riassorbimento osseo, rappresentano i principali presidi terapeutici in caso di metastasi ossea.

In casi di metastasi ossee la sopravvivenza è variabile in base alla sede e alla natura del tumore primitivo, alle condizioni generali di salute delle persone affette, all’età del paziente, più o meno giovane, e all’estensione delle stesse metastasi.

Nel caso del tumore polmonare con metastasi ossee vertebrali, è risultato che, da alcuni studi scientifici di settore (Hideshi Sugiura, Kenji Yamada et al.) che il tasso di sopravvivenza è di:

• 59,9% a 6 mesi,

• 31,6% a 1 anno

• 11,3% a 2 anni.

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Per gli altri tipi di tumore con metastasi ossee la sopravvivenza media è risultata piuttosto elevata, come nel caso del tumore della mammella.

Peraltro, anche se la sopravvivenza media del tumore polmonare con metastasi ossee appare, in generale molto scarsa, in uno studio si è verificato che 7 pazienti su 118, cioè circa il 6%, sono sopravvissuti per oltre 2 anni, essendo anche stati segnalati due pazienti con una metastasi isolata che sono sopravvissuti più tempo con la resezione chirurgica dell’osso metastatico e la chemioterapia.

Aspetti similari di carattere generale è possibile evincere da un’altra pubblicazione dal titolo “Metastasi Ossee”, Internet www.my-personaltrainer.it (http://www.my-personaltrainer.it/salute-benessere/metastasi-ossee.html).

Polmone fegato e ossa rappresentano le sedi principali di metastasi tumorali.

Le metastasi ossee, in particolare, interessano principalmente bacino, colonna vertebrale, cranio, arti inferiori e arti superiori, nell’ordine.

Dolore e fratture patologiche sono i sintomi e i quadri prevalenti dovuti alle metastasi ossee.

Metastasi ossee di tipo osteolitico caratterizzano i tumori polmonari e quelli della tiroide, del rene e del colon.

Le metastasi ossee osteoblastiche si manifestano essenzialmente in caso di tumori della prostata, della vescica e dello stomaco.

Non si tratta di una distinzione assoluta perché distinzione non è assoluta perché molti pazienti con metastasi ossee presentano lesioni sia osteolitiche che osteoblastiche.

L’anemia può frequentemente associarsi alle metastasi ossee.

Si possono anche avere ipercalcemia e sintomi da compressione midollare spinale, in caso di localizzazione vertebrale.

Radiografia ossea, scintigrafia ossea, RM ,TC e PET rappresentano le principali metodiche radiodiagnostiche utilizzate in caso di metastasi ossee

Esame emocromocitometrico completo, elettroliti ematici e calcemia sono esami di laboratorio che si associano a quelli strumentali radiodiagnostici in caso di metastasi ossee.

La valutazione di marker tumorali come CEA (antigene carcino-embrionale), CA-125 (Cancer Antigen 125) e PSA (antigene prostatico specifico) può essere utile da eseguire nel sospetto di tumori specifici.

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La biopsia ossea può permette di tipizzare la neoplasia sotto il profilo istologico, onde poter risalire anche al tumore primitivo metastatico.

In caso di metastasi ossee occorre, sotto il profilo terapeutico:

• trattare il tumore primitivo;

• ridurre l'estensione delle metastasi;

• gestire il dolore e i danni alla struttura ossea.

Ciò permette di attenuare o risolvere la gran parte dei sintomi e migliorare la sopravvivenza.

La chirurgia atta all’asportazione di una massa sostitutiva e alla stabilizzazione dell’oso debole o fratturato, la terapia farmacologica con farmaci anti riassorbimento osseo, la radioterapia, la chemioterapia e farmaci antidolorifici, rappresentano gli armamenti terapeutici da utilizzare.

Lo scopo dei trattamenti è rappresentato dalla remissione dei sintomi e dal prolungamento della sopravvivenza.

La prognosi delle metastasi ossee dipende da:

• posizione ed estensione delle metastasi;

• gravità e remittenza del dolore;

• numero di sedi secondarie coinvolte;

• sede e tipo del tumore primitivo;

• tipo di lesioni osteolitiche od osteoblastiche, prognosi generale del tumore primitivo.

Un articolo dal titolo “Epidemiologia delle metastasi ossee” Internet www.medinews.it (http://www.medinews.it/news,1127) 14 novembre 2002, precisa quali sono, sotto il profilo epidemiologico, i tumori principali in grado di provocare metastasi ossee.

Mieloma multiplo, carcinoma della mammella e carcinoma della prostata rappresentano le principali neoplasie coinvolte nelle localizzazioni secondarie ossee.

La stima complessiva all’epoca dell’articolo, nel 2002, era che ci fossero 1,5 milioni di pazienti nel mondo colpiti da metastasi ossee.

La frequenza in particolare di localizzazioni scheletriche per tumore della prostata era del 65 – 75 % dei casi, idem per quello della mammella, quella per mieloma del 90 – 95 %, quella per tumori polmonari 30 – 40 %, quella per tumore della tiroide 40 %.

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In particolare risultava che il carcinoma della mammella e della prostata fossero responsabili di circa l’80% delle lesioni scheletriche secondarie.

E’ poi noto che nei pazienti portatori di carcinoma prostatico, lo scheletro è la sede metastatica più frequente.

Infatti circa il 70% dei pazienti con carcinoma prostatico è a rischio di sviluppare metastasi ossee, essendo in tal caso le sedi predilette, la colonna vertebrale, la pelvi e la gabbia toracica.

Da un contributo scientifico dal titolo “Le metastasi ossee: aspetti patogenetici e clinici” di Annalisa Milano, Stefania L. Stucci, Sabino Strippoli, Franco Silvestris, Biochimica Clinica, 2010, vol. 34, n. 1, pagg. 11 – 18, è possibile attingere ulteriori conoscenze sull’argomento.

Nell’articolo viene ribadito che tumore della mammella e tumore della prostata sono responsabili di oltre l’80 % delle localizzazioni secondarie scheletriche.

Sono osteolitiche nel caso del tumore della mammella e del mieloma, osteocondensanti nel caso del tumore della prostata.

L’elevata affinità biologica delle cellule tumorali per l’osso deriva dall’alta vascolarizzazione del tessuto osseo e delle vertebre in particolare, ma anche per il fatto che il microambiente osseo libera fattori che favoriscono la loro sopravvivenza e proliferazione.

L’approccio al trattamento delle metastasi ossee è multidisciplinare con uso di chemioterapia, bifosfonati, ormonoterapie specifica, e terapia loco regionale chirurgica e radioterapica.

Vengono anche trattati i nuovi farmaci e le nuove terapie utili in caso di metastasi ossee scheletriche.

Ulteriori approfondimenti sul tema si riscontrano in una pubblicazione dal titolo

“Linee guida – Trattamento delle metastasi ossee” Aiom edizione 2016.

Lo scheletro rappresenta la terza sede più frequente in caso di neoplasia della mammella che è la forma tumorale più comune nel sesso femminile.

Molto spesso in tal caso le metastasi ossee si possono sviluppare anche a distanza di molti anni dalla diagnosi iniziale.

In circa il 65 – 75 % dei casi di recidiva sistemica del carcinoma mammario, si tratta di metastasi ossee.

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Il carcinoma prostatico è invece la neoplasia più frequente nel sesso maschile, con una percentuale elevatissima dell’80% di metastatizzazione scheletrica.

Tali mestatasi sono osteoaddensanti ma con una componente interna osteolitica, per cui sono a rischio di frattura patologica.

Le fratture patologiche si verificano nel 40 % dei casi.

La sopravvivenza dell’adenocarcinoma prostatico, anche in fase avanzata, è prolungata, rispondendo il tumore al trattamento anti androgeno e alle terapie ulteriori di salvataggio.

Tale tipo di trattamento porta all’osteoporosi con maggiore rischio complessivo di frattura patologica.

Anche il carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatizza facilmente nello scheletro.

Gli studi autoptici in soggetti affetti da tumore polmonare hanno svelato che in una percentuale fra il 35 e il 55 % dei casi esistevano metastasi ossee.

IKL dolore manifestato è maggiore di quello delle metastasi ossee del tumore della mammella e del tumore della prostata.

Esiste una elevata frequenza di ipercalcemia in tali casi.

Le metastasi sono di tipo osteolitico con forte propensione alle fratture patologiche vertebrali, alla compressione midollare e all’ipercalcemia.

Nel caso del cancro renale, le metastasi ossee si sviluppano in circa il 30 % dei casi entro 5 anni dalla diagnosi.

Spesso il tumore renale produce l’ormone paratiroideo, per effetto paraneoplastico.

Altri tipi di tumore, fra cui quello del colon, hanno la tendenza a sviluppare metastasi ossee, ma in misura molto minore rispetto a quelli in precedenza citati.

Fra le possibili complicanze delle metastasi ossee, oltre alle fratture, al dolore, alla compressione midollare e all’ipercalcemia, va anche annoverata la soppressione del midollo osseo con conseguente quadro tipico di pancitopenia secondaria.

Ancora con titolo “Il trattamento delle metastasi ossee”, Aggiornamento ottobre 2008, di A. Piccioli, R. Capanna e al., a cura della SIOT, è una pubblicazione che già nell’introduzione sottolinea che, con una maggiore sopravvivenza di quasi tutte le neoplasie maligne, in virtù dell’uso di farmaci sempre più mirati, si è incrementato e di molto il numero delle forme metastatiche.

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Il trattamento delle metastasi ossee deve mirare non solo ad accrescere la sopravvivenza e a risolvere problemi statico dinamici nei soggetti affetti ma anche assicurare loro una buona qualità della vita.

Le metastasi ossee si diffondono principalmente per via ematogena.

Lo scheletro è la terza sede di metastasi dopo il polmone e il fegato.

La presenza di metastasi varia la prognosi delle neoplasie.

Ad esempio secondo i dati dell’ACS, in un’indagine che va dal 1996 al 2002 la sopravvivenza a 5 anni dei carcinomi non metastatici trattati era del 100% per il carcinoma della prostata, del 97% per quello della tiroide, dell’89% per quello della mammella, del 66% per il rene e del 16% per il polmone.

La stessa indagine per lo stesso periodo valutava invece che nei tumori metastatici, già alla diagnosi di esordio, la sopravvivenza a 5 anni variava e di molto rispetto alle forme non metastatiche, per cui, nel caso di metastasi ab initio, era del 56% per il tumore della tiroide, del 33% nel caso del carcinoma prostatico, del 26%

per il carcinoma mammario, del 10% per quello renale e di solo il 2% nel tumore polmonare.

In tutti i casi ciò dimostra che la sopravvivenza delle forme tumorali metastatiche può essere anche molto prolungata.

Caratteristiche del tumore primitivo, sede, diffusione e caratteristiche delle metastasi e condizioni generali del paziente condizionano la prognosi della malattia metastatica.

Vari studi sulle metastasi vertebrali, fra cui quello di Tokuhashi et al., hanno verificato essere fondamentali fattori prognostici, le condizioni generali, il numero delle metastasi vertebrali, la presenza ed il numero di metastasi viscerali, la sede del tumore primitivo ed i sintomi neurologici.

Sono state formulate delle classificazioni di prognosi in base ai punteggi attribuiti ai vari fattori considerati e poi riscontrati nei singoli pazienti.

Nelle situazioni migliori la sopravvivenza media era superiore ad un anno.

Anche i sintomi neurologici manifestati all’atto dell’esordio clinico sembrano avere un impatto prognostico.

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L’istotipo polmonare di per se peggiora la prognosi, anche se in moti casi si può assistere a lunghe sopravvivenze.

Comunque numero e sede delle metastasi, oltre alla lunghezza dell’intervallo libero da malattia, prima della metastatizzazione, mostrano un notevole impatto sulla prognosi.

Va anche tenuto conto del fatto che spesso la malattia metastatica può avere un decorso lento, specie nel caso di istotipi tumorali non particolarmente aggressivi, al punto di giovarsi di una chirurgia perfino “curativa” della metastasi stessa e discrete probabilità di sopravvivenza globale.

Appare quindi fondamentale conoscere i principali carcinomi responsabili di metastasi ossee.

Un tumore che esordisce con la metastasi può essere sintomo di una neoplasia aggressiva e a rapida crescita, ma non esistono regole codificate, per cui un trattamento multidisciplinare e una crescita comunque lenta di una neoplasia possono essere sinonimo di una lunga sopravvivenza.

Nel caso del tumore della prostata è stata dimostrata una correlazione fra l’estensione delle metastasi e la sopravvivenza.

Inoltre tempo diagnosi-chirurgia della metastasi e grado di Gleason, con punteggio 9 – 10 a prognosi più sfavorevole quasi 4 volte, sono altri fondamentali fattori prognostici ai fini della sopravvivenza.

Nel caso di singola metastasi ossea del tumore della mammella, la sopravvivenza è relativamente buona, con un 39 % di sopravvivenza a 5 anni, specie nelle forme ormono -- sensibili.

Il rischio di metastasi scheletriche del tumore renale a cellule chiare varia dal 25 al 50 % dei casi.

La sopravvivenza a 5 anni può variare dal 15 al 55 % dei casi, potendo quindi verificarsi anche lunghe sopravvivenze.

Grado di differenziazione del tumore tiroideo con metastasi ossee, età maggiore o minore di 45 anni, sede della metastasi, (meglio il polmone rispetto all’osso), istotipo, sono i fattori principali che condizionano la prognosi del tumore tiroideo metastatico.

La metastasi ossea di un tumore polmonare condiziona una prognosi sfavorevole e una sopravvivenza pari, mediamente, a 12 – 18 mesi.

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Il trattamento indicato è dato dalla sola chemioterapia, non essendo considerata la possibilità di asportazione del tumore primitivo polmonare.

Però nel tumore polmonare non a piccole cellule (NSCLC) si è verificato il valore prognostico dell’espressione cellulare di proteine della matrice ossea.

In particolare l’espressione della “bone sialoprotein” (BSP) da parte delle cellule tumorali è risultata correlata al rischio di sviluppare metastasi ossee e ad una conseguente prognosi sfavorevole.

Interessante si dimostra uno studio di Papotti et al., hanno diviso un contingente di 86 pazienti operati di asportazione di NSCLC in tre gruppi.

Nel secondo gruppo considerato solo il 20 % aveva sviluppato l’espressione della proteina, con una sopravvivenza dell’80% dei casi, ma in soggetti che non avevano sviluppato metastasi scheletriche.

Circa il ruolo dei marker tumorali, la fosfatasi alcalina specifica dell’osso è un indice di formazione ossea, mentre l’idrossiprolina urinaria è un marker del riassorbimento osseo ma con scarsa specificità per il collagene tipo 1, venendo rilasciata anche da sedi non scheletriche come la cartilagine e la cute.

Le indagini radiodiagnostiche, Rx grafie, TC, RM, scintigrafia, PET, sono fondamentali per conoscere la sede della lesione, il numero di metastasi ossee ed il numero di metastasi viscerali, che, è bene consideralo, condizionano la prognosi e le relative opzioni terapeutiche.

Esiste anche il caso limite, per il tumore polmonare con localizzazione unica ossea, vertebrale o meno, della doppia primitività, polmonare ed ossea, o perfino della primitività ossea con sede polmonare, anche se il quesito può essere chiarito con l’esame istologico della o delle lesioni.

Per le lesioni vertebrali è opportuno eseguire una biopsia ossea TC guidata.

In buona sostanza esistono per le metastasi vertebrali scale di valutazione prognostica proposte da vari autori, in cui risalta il tipo di tumore primitivo, a lenta, media o rapida crescita, il numero delle metastasi ossee, la presenza e il numero delle eventuali lesioni viscerali, e i sintomi neurologici di accompagno, fattori tutti che condizionano fortemente la prognosi e la sopravvivenza.

In genere al tumore polmonare metastatico viene attribuita una sopravvivenza media inferiore ad 1 anno.

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Più specifico rispetto al tema affrontato della metastasi unica vertebrale da tumori primitivo ad origine sconosciuta appare un lavoro scientifico dal titolo “Solitary bone metastases of unknown origin”, di Nesrin Ugras, Ulviye Yalcinkaya, Burak Akesen, Ozkan Kanat, Acta Orthop. Belg., 2014, 80, 139-143.

La pubblicazione mette in risalto come pazienti con metastasi ossee solitarie di recente riscontro diagnostico e nessuna storia anamnestica anteriore di cancro necessitano di una diagnosi approfondita e di una serie di indagini diagnostiche e strumentali adeguate.

Lo studio proposto riguardava 120 campioni di biopsia di i pazienti con malattia ossea metastatica considerati dagli autori nel periodo compreso tra giugno 2005 e dicembre 2012.

Di tutti i pazienti presi in esame, trentatré, pari al 27,5%, si presentavano con una metastasi solitaria di tumore ad origine sconosciuta e senza metastasi viscerali, e venivano studiati retrospettivamente.

I risultati indicavano che la maggior parte delle metastasi erano state trovate nella colonna vertebrale, più esattamente14 su33 pari al 42,4% dei casi, o nella pelvi, ovvero 7 su 33 pari al 21,2% dei casi.

Il polmone si dimostrava il sito primario più comune, ma ciò non trova un riscontro universale in letteratura.

Per quanto poi riguarda le indagini cliniche e diagnostiche da esperire nel caso di singola metastasi vertebrale da tumore ad origine sconosciuta, la letteratura è concorde nell’indicare, nell’ordine, l’anamnesi, l’esame obiettivo, i marcatori tumorali e l’immunoelettroforesi, la radiografia del torace, la TC del torace e dell’addome, la TC ossea e la scintigrafia ossea, fra gli esami diagnostici da esperire con prontezza.

In buona sostanza, la maggior parte delle metastasi ossee proviene da mammella, prostata, polmone e rene.

In tal caso il polmone parrebbe il più frequente sito primario coinvolto, ma anche il seno e la prostata sono stati menzionati fra quelli più probabili.

In effetto lo studio in questione conferma i dati della letteratura, con un riscontro del 42,4 % dei casi di singola metastasi ossea da tumore polmonare primitivo.

Più nello specifico, andando ulteriormente ad analizzare i dati, riguardo al polmone come sito primario verificato nell’indagine, si dimostra che la stragrande maggioranza, cioè 13 su 15 pazienti polmonari, quindi l’86,7% degli stessi, ha avuto un

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adenocarcinoma; 2 pazienti, pari al 13,3%, avevano un carcinoma polmonare squamoso.

Inoltre tutti e 13 i pazienti con adenocarcinoma erano maschi, e la colonna vertebrale era la sede più frequentemente colpita: in 7 casi, pari al 53,8% del totale.

Le cellule tumorali erano immunoreattive per TTF1 (Fig. 1) e CK7.

Entrambi i pazienti con carcinoma a cellule squamose erano femmine, con localizzazioni al bacino e al femore rispettivamente, per le le sedi affette.

Le cellule tumorali erano immunoreattive per CK5 / 6.

Per il resto dei soggetti esaminati nello studio retrospettivo, risultava in particolare che per il tumore primitivo dello stomaco, nel 60 % dei casi la colonna vertebrale era la sede colpita.

Inoltre per il tumore della prostata quale sede primaria i casi riscontrati erano solo 2, con localizzazioni una all’omero e una alla pelvi.

In definitiva, nello studio la presenza di metastasi ossea solitaria si verificava nel 27,5 % dei casi, in un gruppo complessivo di 120 pazienti con metastasi ossee da tumore primitivo ad origine sconosciuta.

La sede solitaria ossea è in genere secondaria, con tasso secondaria / primaria variabile da 17 / 1 a 25 / 1.

A tenore degli autori, malgrado i risultati dello studio, resta controversa la sede primitiva in caso di metastasi ossea singola, con polmone mammella e prostata fra le sedi nell’ordine a maggiore probabilità di riscontro.

Non elevatissima è poi la tendenza, di per se, da parte del tumore polmonare, a metastatizzare alle ossa, con un tasso medio di circa il 30 % dei casi.

Circa poi il trattamento da riservare alle metastasi ossee, appare valido un articolo dal titolo “An update in the management of spinal metastases”, di Andrei F.

Joaquim, Ann Powers, Ilya Laufer, Mark H. Bilsky, Arq Neuropsiquiatr 2015;73(9):795- 802.

Il miglior trattamento clinico per le metastasi spinali richiede un approccio integrato rispetto al tumore cancro interdisciplinare oncologico e specialistico.

Gli obiettivi principali del trattamento sono rappresentati dal mantenimento e dal miglioramento della funzione neurologica, dall’asportazione chirurgica della lesione dalla stabilità della colonna vertebrale, dal controllo duraturo del tumore, e dall’attenuazione del dolore.

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Nell'ultimo decennio si è assistito a un'esplosione di nuove tecnologie che hanno influito sulla capacità complessiva di raggiungere questi obiettivi, come la chirurgia di separazione e procedure spinali minimamente invasive.

Il più grande progresso, tuttavia, è stata l'evoluzione della stereotassia radiochirurgica, ovvero della radioterapia intraoperatoria, che ha dimostrato la possibilità di un controllo duraturo del tumore sia quando somministrata come terapia primitiva definitiva che in funzione adiuvante postoperatoria, specie nel caso di tumori considerati in precedenza notevolmente resistenti alle radiazioni convenzionali dei raggi esterni.

Il lavoro scientifico considerato rappresenta un aggiornamento sulla gestione delle metastasi spinali che dimostrano l'integrazione di queste nuove tecnologie in un ambito di protocollo decisionale che valuta quattro aspetti di base della malattia metastatica della colonna vertebrale di un paziente: neurologia, oncologia, instabilità meccanica e malattia sistemica tumorale.

In effetti il trattamento vari a seconda che si tratti di una lesione con o senza compressione midollare, manifesti una radioresistenza ovvero sia associata a malattia sistemica neoplastica.

Anche la sede affetta vertebrale, la malattia litica o osteocondensante, lo stato del soma vertebrale, in termini di collasso vertebrale, il coinvolgimento postero – laterale di elementi spinali, sono fattori che condizionano l’approccio radioterapico e gli esiti funzionali e ai fini dell’asportazione completa della lesione.

La biopsia appare fondamentale per la diagnosi istologica e il conseguente tipo di trattamento del tumore.

Interessante poi si rivela un articolo riguardante la chirurgia di lesioni compressive midollari dal titolo “Outcome after surgery for metastatic spinal cord compression in 54 patients with prostate cancer” di Sead Crnalic, Christer Hildingsson, Pernilla Wikström, Anders Bergh, Richard Löfvenberg, and Anders Widmark, Acta Orthopaedica 2011; 83 (1): 80–86.

Non appaiono attualmente ben definiti i criteri per selezionare i pazienti che possono beneficiare di un intervento chirurgico di decompressione del midollo spinale in caso di metastasi vertebrale del cancro alla prostata.

Lo studio pertanto si pone l’obiettivo di analizzare i soggetti operati per la decompressione del midollo spinale metastatico, con l’intento di valutare l'esito della chirurgia e trovare i possibili elementi predittivi riguardanti la sopravvivenza.

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I risultati indicavano nello studio che su 54 pazienti considerati 6 deambulavano già a distanza di un mese dall’intervento, 33 pazienti ricominciavano a camminare, 15 erano non deambulanti e 6 erano morti.

Il tasso di mortalità era dell'11% a 1 mese, 41% a 6 mesi e 59% a 1 anno.

Nel gruppo di pazienti ormono – sensibili, 8 su 13 pazienti risultavano in follow up libero e viventi, con una mediana di sopravvivenza di 26 mesi.

Nel caso di resistenza ormonale la mediana di sopravvivenza era di 5 mesi.

Nei soggetti resistenti all’ormonoterapia ma con indice di Karnofsky pari a 70 o superiore la sopravvivenza mediana variava da 7 a 18 mesi.

Le metastasi viscerali erano presenti in 12 su 41 pazienti refrattari agli ormoni al momento della chirurgia spinale, e in tal caso la mediana di sopravvivenza era di 4 mesi rispetto ad una mediana di sopravvivenza di 10 mesi nei soggetti senza metastasi viscerali.

In conclusione i risultati indicano che i pazienti con sensibilità al trattamento ormonale e quelli con malattia refrattaria agli ormoni ma con buone condizioni generali e assenza di metastasi viscerali, possono davvero giovarsi di un intervento chirurgico per la decompressione metastatica del midollo spinale.

Completo ed esaustivo sull’argomento si dimostra poi un articolo monografico dal titolo “A systematic review of evidence on malignant spinal metastases: natural history and technologies for identifying patients at high risk of vertebral fracture and spinal cord compression” di P Sutcliffe, M Connock, D Shyangdan, R Court, N-B Kandala and A Clarke, Health Technology Assessment, Volume 17, Issue 42, September 2013, 1 – 296.

Lo studio considerato si poneva l’obiettivo di intraprendere una revisione sistematica atta ad esaminare la storia naturale delle lesioni metastatiche della colonna vertebrale e identificare i pazienti ad alto rischio di frattura vertebrale e sindrome da compressione midollare.

Pertanto a tale scopo sono stati identificati 2425 articoli potenzialmente rilevanti, di cui 31 hanno soddisfatto i criteri di inclusione.

Non sono stati considerati studi che avevano esaminato solo la storia naturale.

Diciassette studi hanno riportato dati retrospettivi, 10 erano studi prospettici, e tre erano altri progetti di studio.

C'era una revisione sistematica. Non ci sono stati studi controllati randomizzati.

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Sono stati inclusi circa 5782 partecipanti.

Le dimensioni del campione variavano da 41 a 859 soggetti.

L'età dei partecipanti variava tra 7 e 92 anni.

I tipi di cancro riportati erano polmonari da soli (n = 3), prostata da sola (n = 6), seno da solo (n = 7), tumori misti (n = 13) e non chiari (n = 1).

Venivano considerato 93 fattori prognostici.

Lo studio ha dimostrato che più a lungo erano presenti metastasi spinali e maggiore era il rischio di frattura o collasso vertebrale, e di sindrome da compressione midollare.

Per il cancro della prostata il numero e l’entità delle metastasi e la durata della terapia ormonale erano associati ad un maggiore rischio di sindrome da compressione midollare e di collasso vertebrale.

La sindrome da compressione midollare era anche associata ad una Gleason > di 7.

Anche il numero delle lesioni metastatiche, se maggiore o minore di 6, era ancora associato ad un maggiore rischio di compressione midollare.

L’analisi multivariata nel caso dei pazienti affetti da carcinoma della mammella che avevano effettuato una TC vertebrale ha messo in evidenza l’esistenza di 4 variabili predittive peggiorative della prognosi date da metastasi ossee ≥ 2 anni (OR 3.0 95% CI da 1.2 a 7.6; p = 0.02); malattia metastatica già alla diagnosi iniziale (O 3,4, IC 95% da 1,0 a 11,4; p = 0,05); condizioni generali scadute (OR 3,8, IC 95% da 1,5 a 9,5; p = 0,005); e frattura da compressione vertebrale presente alla radiografia del rachide.

Un ulteriore studio preso in esame, poi, sui vari tipi di tumore, tra i pazienti sottoposti a chirurgia per sindrome compressiva midollare, ha permesso di verificare che la compressione del corpo vertebrale e le fratture erano associate negativamente a chemioterapia pre-operatoria (OR 2.283, IC 95% da 1.064 a 4.898; p = 0.03), al tipo di tumore - carcinoma mammario primario (OR 4.179, IC 95% 1.457 a 11.983; p = 0.008) -, al coinvolgimento toracico (OR 3.505, IC 95% da 1.343 a 9.143; p = 0.01) e alla compressione del cordone anteriore midollare (OR 3.213, IC 95% da 1.416 a 7,293; p = 0,005).

Le conclusioni della presente revisione sistematica indicano che non sono stati trovati studi che hanno esaminato la storia naturale.

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Fra i fattori prognostici negativi sono stati riconosciuti quelli derivanti a) dall’impatto globale della malattia metastatica, b) dal coinvolgimento osseo metastatico confermato radiologicamente e c) dalla sintomatologia immediata suggestiva per il coinvolgimento della colonna vertebrale, che erano già noti come fattori predittivi per la sindrome da compressione midollare metastatica, il collasso del corpo vertebrale o la progressione del collasso vertebrale.

Sebbene siano anche stati identificati un numero elevato di ulteriori fattori prognostici possibili, quelli che attualmente offrono il maggior potenziale non sono attualmente chiari.

L'attuale consenso clinico favorisce la risonanza magnetica quale metodica da utilizzare come modalità di imaging per l’individuazione della metastasi vertebrale, e la TC per l'indagine sulla sindrome da compressione midollare e la frattura vertebrale.

Un ulteriore lavoro scientifico dal titolo “Metastatic Spinal Cord Compression in Prostate Cancer Clinical and Morphological Studies” di Sead Crnalic, Umeå University Medical Dissertations, New Series No. 1487, Umeå University 2012, indaga sul problema delle metastasi vertebrali da carcinoma della prostata.

Viene qui indicato che le metastasi ossee si verificano nella maggior parte dei pazienti con carcinoma prostatico avanzato refrattario agli ormoni che causa dolore, fratture patologiche e compressione del midollo spinale.

Si sottolinea che pochi studi riguardano specificamente il trattamento chirurgico della compressione metastatica del midollo spinale nel carcinoma della prostata.

I criteri per l'identificazione dei pazienti che possono trarre beneficio dall'intervento sono scarsamente definiti.

Nel primo studio si dimostra che la mortalità e il tasso di complicanze dopo l'intervento chirurgico erano alti. I pazienti con malattia sensibile agli ormoni e quelli con malattia refrattaria agli ormoni con buone performance e senza metastasi viscerali hanno avuto una sopravvivenza più favorevole. La capacità di camminare dopo l'intervento chirurgico era correlata a una migliore sopravvivenza.

Tramite il secondo studio è stato possibile verificare che si poteva ottenere un nuovo punteggio relativamente alla prognosi per la sopravvivenza dopo l'intervento chirurgico per la compressione del midollo spinale comprendente lo stato ormonale del cancro alla prostata, l’indice di Karnofsky, la presenza di metastasi viscerali e il PSA sierico preoperatorio.

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Il calcolo del punteggio è semplice, specifico per il tumore e facile da applicare nella pratica clinica.

I risultati del terzo studio suggeriscono che ritardi nella diagnosi e nel trattamento possono avere un impatto negativo sull'esito funzionale.

La capacità di deambulazione era legata ad un precoce trattamento, mentre lo stato di sensibilità ormonale del cancro alla prostata e il tempo trascorso dalla perdita della deambulazione hanno influenzato il recupero neurologico dopo l'intervento chirurgico per la compressione del midollo spinale.

Nel quarto studio si è potuto verificare che un’elevata concentrazione di tracciante nucleare nelle metastasi ossee e un alto PSA sierico preoperatorio erano associati ad un esito sfavorevole dopo un intervento chirurgico di metastasi in pazienti con carcinoma prostatico refrattario agli ormoni.

L'effetto a breve termine della terapia antiandrogena rivelava che la captazione del tracciante nucleare era diminuita e l'apoptosi era aumentata, ma la proliferazione cellulare rimaneva sostanzialmente inalterata.

In definitiva è possibile dire che i pazienti con carcinoma della prostata con compressione metastatica del midollo spinale rappresentano un gruppo eterogeneo.

Sono stati identificati i fattori prognostici per la sopravvivenza e l'esito funzionale, che possono aiutare i medici a prendere decisioni sul trattamento.

Incentrato essenzialmente sul tema trattato delle metastasi da tumore ad origine sconosciuta dal titolo “Metastatic cancer of unknown primary: diagnostic challenges” di Erica Schramm, William Kocher, Tina Bocker Edmonston, May 2016—

CAP TODAY and the Association for Molecular Pathology, Internet, http://www.captodayonline.com/metastatic-cancer-unknown-primary-diagnostic- challenges/.

Viene qui riferito di un caso clinico inerente un uomo di 75 anni.

Il paziente era affetto da pregresso carcinoma superficiale muscolo-invasivo di grado elevato dell'uretra prostatica diagnosticata in un ospedale esterno due anni prima, i si presentava al PS per un forte dolore alla spalla destra.

Il tumore era stato trattato con chemioterapia a base di platino e radiazioni con risposta completa.

Gli esami di laboratorio erano stati significativi per ipercalcemia, creatinina lievemente aumentata, valori anormali relativi alla funzionalità epatica e anemia lieve.

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Un’ecografia suggeriva la presenza di una massa al fegato, e una TC confermava ciò.

Successivi studi di imaging dimostravano la presenza di lesioni radiotrasparenti che coinvolgevano nervi e colonna vertebrale toracica, sollevando preoccupazione per la malattia metastatica.

Le principali diagnosi differenziali per le metastasi ossee litiche comprendevano carcinoma a cellule squamose del polmone, carcinoma a cellule renali e carcinoma mammario.

Tuttavia le metodiche di imaging non rivelavano alcun possibile tumore primario.

Il paziente divenne poi sempre più instabile con un’insufficienza multiorganico tale da non poter ottenere biopsie di nessuna delle lesioni ossee.

Nonostante tutti gli sforzi di cura, morì due settimane dopo il ricovero.

L'autopsia rivelò la presenza di una malattia metastatica diffusa nel fegato, nella milza, nel periepatico e nei linfonodi del dotto biliare comune, nella clavicola destra e nelle vertebre toraciche.

Non c'erano prove di malignità nella prostata o nella vescica urinaria. L'istologia mostrava la presenza di un carcinoma metastatico scarsamente differenziato con caratteristiche neuroendocrine.

Tuttavia, le ricerche immunoistochimiche per i marcatori neuroendocrini S-100, cromogranina e sinaptofisina erano tutte negative.

Nonostante la valutazione dell'istomorfologia, il profilo immunoistochimico e la distribuzione delle metastasi, il principale tumore di origine è rimasto, alla fine, sconosciuto.

In conclusione i dati della letteratura sono concordi nell’affermare che il cancro primario sconosciuto, o CUP, spesso copre la diagnosi di cancro metastatico quando un sito primario tumorale non è stato identificato nonostante un ampio lavoro clinico, strumentale e laboratoristico, come nel avvenuto nel caso descritto.

Si è pertanto stato stimato che il CUP rappresenta il 3-5% di tutte le nuove diagnosi di neoplasia ogni anno negli Stati Uniti, con circa 50.000 a 70.000 nuovi casi all'anno.

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La prognosi dei pazienti affetti da tumore primitivo metastatico sconosciuto è sfavorevole.

La sopravvivenza mediana dalla data della diagnosi è in genere solo di tre - quattro mesi, con una sopravvivenza a un anno del 25% e una sopravvivenza a cinque anni del 10%.

Circa il 60 percento dei tumori di origine primaria sconosciuta sono dati da un adenocarcinoma moderatamente differenziato, mentre il 30 percento è un adenocarcinoma scarsamente differenziato o un carcinoma scarsamente differenziato.

Inoltre il cinque percento è un carcinoma a cellule squamose e ancora in un ulteriore 5 percento si tratta di neoplasie maligne scarsamente differenziate o indifferenziate.

Il tumore primitivo ad origine sconosciuta con metastasi rappresenta un difficile problema diagnostico per i clinici.

Altresì, per definizione, numerosi test istologici spesso non rivelano un chiaro tessuto di origine.

Anche l'autopsia non riesce a identificare il sito primario nel 15-25% dei pazienti.

In definitiva, per ogni singolo paziente, una batteria completa di esami diagnostici può comprendere la tomografia computerizzata, la risonanza magnetica, la PET, esami endoscopici, marcatori tumorali sierici, esame istologico del tumore, valutazione delle modalità di diffusione metastatica, indagini immunoistochimiche.

Tuttavia, in circa il 30% dei casi di tumore primario sconosciuto, l’esame istologico non fornisce una diagnosi definitiva.

I pazienti il cui tumore primitivo non può essere identificato sono spesso trattati con una terapia empirica sistemica a base di platino, piuttosto che con una chemioterapia specificatamente diretta verso il cancro sottostante.

Gli studi suggeriscono che solo il 25-35% di tumore metastatico ad origine sconosciuta risponde alla terapia empirica, aumentando la sopravvivenza mediana a nove mesi.

Talvolta profili di espressione molecolare basati su analisi RT-PCR o studio di mRNA o micro RNA tumorale sono stati sviluppati nel tentativo di semplificare la diagnosi e creare un test diagnostico più oggettivo, ma i risultati non si rivelano definitivi.

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In ogni caso la biopsia delle lesioni metastatiche si può rivelare utile a dirimere il quesito diagnostico.

Perfino i risultati dell’autopsia, come nel caso riportato, possono non risolvere il quesito diagnostico del tumore primitivo.

Ancora più specifico si rivela un articolo dal titolo “Bone metastases of unknown origin: epidemiology and principles of management” di Andrea Piccioli, Giulio Maccauro Maria Silvia Spinelli, Roberto Biagini, Barbara Rossi, J Orthopaed Traumatol (2015) 16:81–86.

Una approfondita revisione sistematica degli articoli sul tema, ha suggerito che le localizzazioni metastatiche rappresentano le neoplasie più comuni che coinvolgono l'osso.

I principali siti di cancro primario sono dati da seno, prostata, polmone e tiroide.

Tuttavia, in una percentuale variabile fino al 30%, i pazienti presentano metastasi ossee di origine sconosciuta, in cui il sito della neoplasia primaria non può essere identificato al momento della diagnosi nonostante un’anamnesi approfondita, un efficace esame obiettivo, appropriati test di laboratorio e utilizzo di moderne tecniche di imaging come TC, RM e PET.

Talora solo dopo ampie indagini istopatologiche su campioni di ossa da biopsia possono suggerire la neoplasia primaria.

Altre volte, una lesione ossea può avere un aspetto istologico così indifferenziato che non è possibile porre una precisa classificazione patologica sulla sezione di colorazione ematossilina-eosina eseguita di routine sui vetrini approntati.

Gli autori hanno esaminato la letteratura pertinente nel tentativo di indagare l'epidemiologia dei primari istologici finalmente identificati in pazienti con metastasi ossee da cancro occulto, e una strategia di gestione e trattamento delle metastasi ossee da carcinomi occulti è suggerita. Polmone, fegato, pancreas e tratto gastrointestinale sono siti comuni per i tumori occulti primari. L'adenocarcinoma è il principale tipo istologico, rappresentando il 70% di tutti i casi, mentre il tumore indifferenziato rappresenta il 20%. Negli ultimi 30 anni, il carcinoma polmonare è il principale tumore occulto responsabile delle metastasi ossee e ha una prognosi sfavorevole con una sopravvivenza media di 4-8 mesi.

La letteratura più rilevante sottolinea la necessità di un lavoro diagnostico standardizzato, poiché la chirurgia per le lesioni ossee dovrebbe essere aggressiva solo quando sono solitarie e associate a neoplasie primitive occulte che hanno una buona

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prognosi; in questi casi, l'identificazione del tumore primario può essere importante e giustificare un approccio diagnostico ben mirato e particolareggiato.

Tuttavia, in una gran parte dei casi, il sito primario rimane sconosciuto, anche dopo l'autopsia.

Pertanto, all’atto pratico, la chirurgia ortopedica ha un ruolo principalmente palliativo nel prevenire o stabilizzare le fratture patologiche, alleviare il dolore e facilitare la cura del paziente nel tentativo di fornire quanto prima la terapia più appropriata per il tumore primitivo.

Tornando all’epidemiologia dei tumori primari finalmente identificati in pazienti con metastasi ossee da cancro occulto, si può affermare che già a partire dalla fine degli anni '80, il carcinoma polmonare è stato considerato come l'istotipo più comune in grado di causare la malattia ossea metastatica derivante da neoplasie primarie occulte.

Vari studi retrospettivi, fra cui quello di Rougraff et al., hanno messo in luce la diagnosi di tumore primitivo verificata in 40 pazienti, nell’ambito della quale, i tumori polmonari rappresentavano il 63% delle forme primitive identificate.

Identicamente, Nottebaert et al. hanno verificato che il carcinoma polmonare era responsabile del 52% di 51 casi di lesioni ossee di origine sconosciuta, mentre rappresentavano solo il 7% delle metastasi ossee nel caso di un tumore primario diagnosticato e acclarato.

Inoltre, i pazienti con metastasi scheletriche da carcinomi occulti hanno mostrato un'alta incidenza di metastasi spinali, compressione del midollo spinale e fratture patologiche, con una sopravvivenza globale significativamente più breve rispetto alle lesioni ossee secondarie a neoplasie primarie note.

A distanza di oltre 10 anni, Shih et al. hanno riportato dati epidemiologici simili, ossia un’incidenza del 30% dei tumori occulti, la maggior presenza del sesso maschile e la prevalenza delle forme neoplastiche polmonari, con sintomatologia caratterizzata in prevalenza da dolore intrattabile, l’aspetto litico della metastasi ossea alla radiografia e la prognosi infausta.

Ad ulteriore ribadimento dei precedenti studi, un'analisi condotta sul Registro svedese dei tumori dal 1993 al 2008, ha consentito a Hemminki et al. di riscontrare che i pazienti con metastasi di origine sconosciuta diagnosticate nell'osso erano per lo più deceduti per cancro al polmone.

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Del resto le statistiche degli ultimi 40 anni indicano un aumento considerevole dell’incidenza dei tumori polmonari specie nelle donne, in funzione dell’aumento delle abitudini tabagiche anche in queste ultime.

D’altro canto, il miglioramento delle tecniche diagnostiche e delle terapie dei principali tumori, sempre più mirate e incisive, ha contribuito all’incremento della sopravvivenza in una gran parte delle forme neoplastiche.

Al contrario, le indagini epidemiologiche condotte negli ultimi anni sulle metastasi ossee, hanno consentito a diversi autori di riscontrare, sorprendentemente, un aumento dell'incidenza di forme primitive non identificate, nonostante i miglioramenti negli esami diagnostici, l’utilizzo di nuovi marcatori tumorali e di metodi immunoistochimici e tecniche bioptiche percutanee eco o TC guidate nel periodo degli ultimi 30 anni.

In definitiva, la rilevazione di metastasi ossee provenienti da tumori primari occulti dovrebbe far sospettare, nella gran parte dei casi, che i polmoni siano il tessuto di origine e il sospetto dovrebbe essere più forte nei pazienti di media – avanzata età, 60-65 anni.

Dietro l'origine polmonare, si trovano sotto il profilo epidemiologico, le metastasi ossee da carcinomi renali non diagnosticati, che sono aumentate al 12%, quindi più della prostata che è al 10%, mentre i carcinomi tiroidei occulti sono estremamente rari, pari a circa il 3% dei casi.

Essendo inoltre la colonna vertebrale il sito più comune di metastasi ossee, è anche segnalato, parimenti, come il sito più comune di lesioni metastatiche di origine sconosciuta, seguito dal bacino e dalle ossa lunghe.

Pertanto i carcinomi polmonari e tiroidei dovrebbero essere fortemente sospettati nel caso di questa localizzazione metastatica.

Ciò non toglie che, la neoplasia spinale di origine sconosciuta è spesso derivata non solo da tumori solidi, ma anche da tumori ematologici.

Studi come la serie riportata da Iizuka et al., dimostrano che il mieloma era l'eziologia più comune, nel 22% dei casi, seguita dal carcinoma polmonare, dal carcinoma della prostata e dal linfoma.

La valutazione sierologica atta a verificare la presenza di una gammopatia monoclonale si è dimostrata molto utile nel rivelare la diagnosi di mieloma in tutti i pazienti affetti.

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In caso di metastasi ossea da tumore ad origine sconosciuta, fondamentale a livello diagnostico si rivela l’esami istologico dopo biopsia su lesioni maggiormente accessibili.

In tal caso, a fini diagnostici, la batteria delle indagini istologiche dovrebbe riguardare l’istochimica, l’immunoistologia e la microscopia elettronica.

In tal modo, quindi, il chirurgo dovrebbe ottenere, tramite la biopsia, materiale sufficiente per consentire lo studio con colorazioni speciali, valutare l’attività dei recettori degli estrogeni e dei marcatori ormonali e tumorali.

Talvolta è la stessa istologia a suggerire la sede primaria del tumore occulto.

Infatti, modelli istologici altamente suggestivi possono essere riscontrati nel carcinoma polmonare a piccole cellule, nel carcinoma renale a cellule chiare o nel carcinoma tiroideo ben differenziato.

L'immunoistochimica aiuta a determinare la natura del primario, in particolare quando la differenziazione è minima.

Ciò non toglie che la sola istologia non è in grado di consentire la diagnosi in ben il 60 % dei casi.

Nel caso di carcinoma occulto che si manifesta con localizzazioni scheletriche, indipendentemente dal sesso, sono raccomandate la scintigrafia ossea total body o la tomografia ad emissione di positroni, PET, la TC, le radiografie semplici delle ossa colpite e dolorose e la TC toracico-addominale.

Negli uomini vanno valutati per primi i livelli di antigene prostatico specifico PSA.

Nelle donne, trova indicazione la mammografia quando l'immunoistochimica appropriata conferma l'origine del seno; se la mammografia non è diagnostica e vi sono evidenze istopatologiche di carcinoma mammario, devono essere suggeriti l'ecografia del seno e / o la risonanza magnetica MRI.

L'elettroforesi delle proteine del siero deve essere eseguita come studio di routine iniziale in pazienti con metastasi spinali incidentali, assieme ad un emocromo con formula, vista anche la possibile evenienza di anemia.

Per quanto riguarda i reperti scheletrici, l'aspetto radiografico delle lesioni ossee è un indizio prezioso per suggerire il tipo di tumore primario.

TC ossea e RM vengono generalmente utilizzate come tecniche complementari per confermare la presenza delle metastasi e per caratterizzarle radiologicamente.

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Le lesioni osteolitiche derivano in genere da mieloma, carcinoma polmonare, ma anche, in particolare, carcinoma a cellule renali, carcinoma del tratto gastrointestinale e melanoma.

Le metastasi osteoblastiche possono verificarsi da carcinoma della prostata e nel carcinoide bronchiale.

Il tipo misto di metastasi ossee può verificarsi nel carcinoma mammario, polmonare e cervicale linfonodale da tumore testa collo.

Altre caratteristiche morfologiche possono aiutare a valutare la fonte delle neoplasie maligne: ad esempio, una metastasi espansiva e settata può essere fortemente suggestiva di un carcinoma primario delle cellule renali o di un carcinoma tiroideo, mentre le calcificazioni intralesionali possono derivare da un tumore mucinoso.

Le lesioni emorragiche sono per la maggior parte correlate a carcinoma a cellule chiare renale, carcinoma tiroideo e carcinoma epatico.

L'immunofissazione del siero e delle urine, e la biopsia osteomidollare sono consigliate in presenza di lesioni litiche.

I livelli di PSA e di tireoglobulina sono per lo più raccomandati per le metastasi osteoblastiche da carcinoma prostatico e tiroideo.

I tumori polmonari possono essere rilevati da moderne tecniche di imaging, tra cui la scansione PET-CT o TC spirale ad alta risoluzione. Tuttavia, la sensibilità è bassa per i tumori inferiori a 1 cm.

Sulla base dell'istologia e / o dei sintomi clinici specifici dell'organo, ulteriori esami diagnostici comprendono l'ecografia addominale e pelvica, la broncoscopia, l'endoscopia gastrica e intestinale, l'urografia endovenosa, la laparotomia e il monitoraggio di ulteriori marcatori tumorali sede - specifici.

A causa della generale prognosi infausta, troppi test per identificare il primario a tutti i costi potrebbero rivelarsi inappropriati.

Se queste indagini non riescono a individuare il sito primario, è improbabile che verrà identificato con ulteriori procedure diagnostiche estese, ma verrà eventualmente, in gran parte, stabilito dall'autopsia.

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