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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.41 (1914) n.2087, 3 maggio

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A SE T T IM A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

REDAZIONE: M. J. d e Jo h a n n i s — R. A. Mu r r a y — M. Pa n t a l e o n i

F IR E N Z E : 31, V ia d e lla P e rg o la

Anno XU - Vol. XLV Firenze-Roma, 3 Maggio 1914 } RO M A : 4, V ia L u d o v isi N, 2087

S O M M A R IO : Il Congresso socialista. — I Problemi della Previdenza, J. — L ’enorme costo del nuovo sistema elettorale per le Camere di Commercio, avv. Giovanni Tescione. — La Svizzera contemporanea : L ’assorbimento finan­ ziario del Canton Ticin o - I dissesti bancari ticinesi - Le loro premesse e le loro conseguenze, Giulio Barni. —

Banca d’ Ita lia : Relazione del direttore generale a lla adunanza generale ordinaria degli azionisti. — IN FO R M A ZIO N I :

Voci di fusione di Banche Italiane. - U n’ im portante fusione bancaria in In g h ilterra. - F usione di grandi banche germ aniche. — R IVISTA BIBLIOGRAFICA : S. Ru t t e, Operations et T ra v a u x de B anque. — Ju l e s

Guesde __ Cà et là - D e la proprieté. - L a co m m u n e - L e collectivism e devant la 10° Chambre - La question des Loyérs - Les G ra n d i M agasins. - R IVISTA ECONOMICA : P er la trasm issione dei risparm i degli em igranti. — L ’assicurazione p er i disoccupati n ell’ in d u stria edilizia tedesca. — Il regim e fiscale dei titoli di credito m obiliare esteri in Francia. — La m unicipalizzazione in Italia. — Gli infortuni sul lavoro in Francia.

- 1sindacati padronali in Francia. - RIVISTA DEL C OM M ERCIO : Il commercio estero della Svizzera. - Il commercio estero argentino. — Il commercio estero nel; Marocco nel 1912. — MERCATO MONETARIO E R IV I­ STA DELLE BORSE. - PROSPETTO Q UO TA ZIO N I, VALORI, CAMBI, SCONTI E SITU A ZIO N I BANCARIE.

Il Congresso socialista

Le principtilì discussioni degli annuali con­ gressi socialisti solevano avere per il passato anche un contenuto economico a fianco a quello politico. Quest’anno la riunione dei 42 mila o poco più socialisti italiani iscritti al partito — ben esigua schiera di fronte a 2 milioni 305.720 di lavoratori (non incluse le categorie che riguar­ dano l’agricoltura, il commercio, i servizi e le professioni) — si è fermata precipuamente su due punti di intransigenza politica: l’uno contro la massoneria, l’altro contro le alleanze con di­ versi partiti nelle elezioni ; e sono passati quasi sotto silenzio, certo senza alcun rilievo, tutti i capi del programma amministrativo politico, sui quali una discussione ampia ed elevata avrebbe potuto essere palestra proficua.

Non vale quindi la pena di spendere troppe parole sull’avvenimento principale della setti­ mana scorsa, perchè la eventuale curiosità dei nostri lettori è stata già anche troppo o larga­ mente soddisfatta dalla stampa quotidiana.

Tuttavia è d’uopo rilevare che il partito de­ gli statizzatori e degli idolatri delle municipa­ lizzazioni hanno deliberato la lotta ad oltranza contro la invadenza dello Stato nella vita lo­ cale autonoma ; ciò risulta dal! ordine del giorno, approvato e contenente i seguenti caposaldi :

«Autonomia locale; distinzione netta tra la funzione dello Stato e le funzioni dei comuni; riforma dei tributi locali con sostituzione della tassazione sui consumi; riforma della vigente forma di tutela; diffusione della cultura laica; difesa della scuola primaria; istituzione dei corsi popolari; sviluppo dell’insegnamento professio­ nale agrario, industriale e femminile, sviluppo degli istituti scolastici (asili) e delle istituzioni sussidiarie della scuola; refezione scolastica; dopo scuola, ecc. ; biblioteche popolari, attiva

politica dei comuni per la riduzione dei dazi per i consumi popolari, istituzione dei panifici e macellerie municipali e consorziali; accordo colle cooperative di consumo: osservatorio co­ munale dei consumi; difesa dell’intervento di­ retto del comune nella organizzazione di pub­ blici servizi, con l’intendimento di sottrarre al monopolio privato i servizi locali fondamentali ; e ottenere un beneficio economico per i citta­

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L’ ECONOMISTA 3 maggio 1914

simultaneo movimento inteso ad evitare la guerra.

Ci sembra in sostanza che il socialismo nelle sue manifestazioni più solenni sia disceso di molti gradi da quelle idee, che un tempo of­ frivano per lo meno un vasto campo di studio e di osservazioni.

I problemi moderni della previdenza.

La Conferenza del cav. dott. V. Magaldi.

In un tempo ormai trascorso, per quanto re­ cente, le forme di previdenza che più parevano rispecchiare Ja perfezione e racchiudere le mi­ gliori finalità si riunivano intorno a tre gruppi principali: le Compagnie di assicurazione sulla vita e contro gli infortuni; le Società di Mutuo Soccorso (che diedero nelle Trades Unions In­ glesi, il più intenso esempio di reciproca assi­ stenza), le aziende per il risparmio.

- Ma sia per una nuova evoluzione nei concetti dei reciproci doveri sociali, sia per effetto di quella ventata di democrazia che informa ormai le direttive di quasi tutte le forme di governo, il principio della previdenza è stato facilmente e quasi improvvisamente trasportato dal ristretto campo privato, per essere in tutto od in parte iscritto nel gran libro dei doveri statali.

Il rapido, ma sicuro passaggio da un concetto all’altro ha fatto naturalmente nascere un nu­ mero considerevole di ardui problemi di varia natura, tuttora insoluti, ma in gran parte stu­ diati già in modo da presentare più di una possibilità di superare con felice esito il campo delle indagini, per entrare in quello della pratica attuazione. Insieme gli orizzonti della previdenza, che si limitavano dapprima alle necessarie assi­ stenze derivanti dalle cause di morte, di malattia e di infortunio, si ampliarono e trovarono nella disoccupazione, nella invalidità, nella vecchiaia, altrettanta materia sulla quale estendere le fina­ lità ultime di una migliore perequazione sociale. Infine il fatale e subitaneo svolgersi degli stru­ menti della previdenza, fecero accogliere il pen­ siero del Wagner, che fin dal suo tempo intuiva esser desiderabile praticamente e politicamente che fosse inclusa, fra le altre funzioni dello Stato, anche quella di gestire l’amministrazione della previdenza, escludendosi che la forma più per­ fetta potesse rimanere o divenire materia di speculazione industriale.

Uno sguardo completo e quanto mai interes­ sante al complesso ed al cumulo delle questioni che le sopra accennate nuove tendenze crearono è contenuto in una conferenza del comm. dott. V. Magaldi, vice-presidente dell’ Istituto Nazionale delle Assicurazioni (1), profonda competenza ita­ liana e fra le più alte autorità mondiali in ma­ teria di credito e di previdenza

La lettura del breve scritto fa solo e viva­ mente deplorare che l’illustre autore abbia voluto contenere nei ristretti limiti consentiti ad una

(b D o tt. V incenzo M ag ald i : I P ro b lem i m o derni della P re ­

vid en za . C o n feren za te n u ta a L ecce. — L ecce, R. T in Editi-

S a le n tin a , 1914. v

conferenza una trattazione che prospetta tutta una larga messe di alte indagini filosofiche e so­ ciologiche, delle quali egli si mostra cosi pro­ fondo conoscitore.

Egli fa gustare soltanto un saggio di guegli studi più completi che potrebbe offrire facilmente, e pone il lettore nell’ unico desiderio di cono­ scere più a fondo il resultato delle sue specu­ lazioni scientifiche.

I problemi della previdenza, si imperniano in primo luogo sulla ricerca degli elementi che debbono costituirla e somministrarla; la parte­ cipazione personale del beneficato, rafforzata o meno dalla mutualità, dalla integrazione o meno del concorso dato dal datore di lavoro, e da quella dello Stato, presentano delle questioni sulla opportunità della concomitanza di tali elementi nei limiti delle loro singole attribu­ zioni, sulla misura di queste ecc. ecc., che sono tuttora oggetto di studi* e potranno trovare solu­ zione soltanto in una futura vasta esperienza.

Vi sono economisti insigni che vedono nella partecipazione dello Stato alla costituzione dei fondi di previdenza un circolo vizioso, in quanto lo Stato deve trarre le sue attività assorbendole sotto forma di tributi generali o specifici dagli stessi lavoratori o datori di lavoro, che già fanno parte della combinazione. Altri invece tro­ vano che l ’intervento dello Stato, che attinge da tutti i gradi di ricchezza nazionale, opererebbe una perequazione sociale, destinando alla parte della società bisognosa di assistenza, quanto ha tratto anche da coloro che della assistenza non abbisognano.

La obbligatorietà o la facoltatività delle as­ sicurazioni sociali costituiscono un altro ordine di problemi, ed il Magaldi accede con fede sicura al concetto della obbligatorietà.

Egregiamente l’autore distingue il sistema tedesco dall’Anglo-Sassone

« La formula Germanica, posta e risoluta dal Cancelliere di ferro, compi’ende la txdlogia delle assicurazioni sociali obbligatoi'ie, la quale può considerarsi come una generalizzazione delle secolari istituzioni a favore dei minatori. La malattia, l’infortunio, la invalidità e la vec­ chiaia trovano nell’assicurazione obbligatoria presidi preziosissimi, che sono venuti man mano crescendo in intensità e diffusione. L’assicura­ zione malattia alimentata dai due fattori della produzione: operaio e datore di lavoro; l’assi- cui'azione infortuni, che trovò soluzione logica e pratica nel nuovissimo principio del rischio pro­ fessionale, pesante esclusivamente sul datore di lavoro; l’assicurazione-invalidità e vecchiaia che reclama, oltre il contributo paritativo dell’ope­ raio e del padrone, il concorso integratore dello Stato, della collettività considerata corresponsa­ bile.

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sociale del popolo tedesco; che già il legisla­ tore, dopo appena la pubblicazione del Codice imperiale delle assicurazioni, apprestava una nuo­ va legge per l’assicurazione degli impiegati delle aziende private; e l’imperatore Guglielmo II* nell’ultimo discorso del Trono pronunziato nel­ l’apertura dell’attuale sessione del Reichstag, formulava l’aceenno alla legislazione sociale con la frase promettente: « Il progresso continua ». Si sa infatti che il Governo Imperiale è intento allo studio e alla preparazione di nuove esten­ sioni del l’assicurazione sociale a classi e a ser­ vizi non ancora compresi nella Reichsversiche-

rungsordnung ».

E più avanti:

« La Gran Bretagna ha dato in tempo recente lo spettacolo al mondo di leggi poderose, che attribuiscono allo Stato oneri llnanziari che a noi possono sembrare fantastici, per risolvere il problema della vecchiaia, della malattia, della invalidità, della disoccupazione. Alla legge del­ l’agosto 1908, sulle pensioni di vecchiaia, servite interamente sul bilancio dello Stato, seguì l’al­ tro sulle assicurazioni nazionali del 16 dicem­ bre 1911 che comprendono la malattia, la inva­ lidità, la disoccupazione. E quest’ultima legge, sorretta da altre provvidenze legislative, pone nelle mani dello Stato mezzi formidabili per prevenire e combattere le malattie del lavoro, per una lotta efficace contro la tubercolosi, che nel Regno Unito miete vittime numerose fra­ mezzo ai lavoratori, affievolisce la fibra e de­ grada il tipo etnico di quel popolo, che pure ha avuto la forza di conquistare un impero colo­ niale. Dai primi risultati di quella legge, che ha vero carattere sociale, perchè i mezzi appre­ stati dall’operaio sono integrati dal concorso del padrone e da quello dello Stato, emerge evi­ dente la sua meravigliosa efficacia nella lotta, cui lo Stato ha dato un grande impulso, contro la tubercolosi e in una lotta più generale con­ tro tutte le malattie sociali. Con le leggi del 1909 sulla costruzione di abitazioni salubri nelle agglomerazioni urbane, del 1911 sulla denunzia obbligatoria della tubercolosi, del 1911 sulle as­ sicurazioni nazionali, si svolge tutta una poli­ tica di preservazione sociale, nella quale l’assi­ curazione assume un posto eminente, come di­ mostrai in una relazione sull’assicurazione-ma- lattie, presentata e discussa nel Congresso Na­ zionale della lotta contro la tubercolosi che ebbe luogo in Torino nell’ottobre dell’anno testé de­ corso ».

Si afferma dal preclaro conferenziere che la assicurazione popolare reca nel suo grembo una forza educatrice di primo ordine: educatrice nel senso di ridurre a vita ordinata le classi meno favorite dalla fortuna, educatrice nel senso di abituare coloro che traggono aiuti dall assicu­ razione obbligatoria, quando abbiano assunto una assicurazione complementare, alla osservanza delle discipline che debbono essere poste a di­ fesa delle assicurazioni, che traggono in tutto od in parte i mezzi necessari dal datore di la­ voro o dallo Stato o da ambedue.

Forse si potrebbe osservare che se si consi­ derano i popoli moderni più evoluti, ed alla testa di questi gli Stati Uniti d’America, la pre­

videnza vi è più una conseguenza che una causa della educazione e come tale ha saputo rimanere libera e privata nel campo speculativo, che, se forse non è il più opportuno, non appalesa tutta­ via ancora la necessità di essere attratto nell’or- rbita dei doveri statali.

In ultimo accenna il dott. Magaldi, agli inter- correndi rapporti fra la beneficenza e la previ­ denza, e denota la più alta dignità della vita cui mira il fine assicurativo. Alcuni obbiettano invece essere un danno morale e sociale grave la uccisione dei sentimenti di beneficenza e degli effetti specifici della direzione precisa di quel sentimento, al quale male e meno efficacemente potrà sostituirsi un concetto uniformatore ed eguagliatore di previdenza anonima e scevra dello stimolo degli impulsi individuali; ma evidente­ mente se le tendenze della società moderna sono quelle di eliminare le differenze sociali, di dimi­ nuire cioè la distanza fra gli estremi come fu pei rapporti che correvano prima fra padrone e schia­ vo, come è per quelli che intercedono ora fra datore e prenditore di lavoro, come quelli che esistono fra benefattore e beneficato, le assicu­ razioni sociali nel sostituirsi alla beneficenza non faranno che seguire la corrente di una fatale democrazia.

Cita infine l’autore l’esempio italiano dell’Isti­ tuto Nazionale delle Assicurazioni ed afferma che non è forse lontano il tempo nel quale questo primo grande esperimento italiano sarà imitato altrove.

E’ certo che il comm. Magaldi nel toccare le alte e delicatissime questioni, nel presentarle come del resto si proponeva, più che nel risol­ verle, ha saputo con la lucidità e l’ordine che gli sono propri, condurre l’ascoltatore attraverso i campi vastissimi di discipline ardue e non facilmente accessibili, ed è riuscito con mirabile abilità a formare un quadro di precipuo inte­ resse e di perfetta armonia intorno ai problemi

delle assicurazioni sociali. j.

Le elezioni della Camera di Commercio, sia sotto l’impulso della vecchia legge comunale del 6 luglio 1862, sia sotto quello della legge riordinatrice del 20 marzo 1910, si 'fecero con le norme dettate dalla legge comunale e pro­ vinciale. Alle Camere di commercio, le quali avevano nel 1913 formate le loro liste elettorali in base alle liste politiche a suffragio allargato (poiché le liste elettorali commerciali son for­ mate su quelle degli elettori politici) fu dun­ que, nelle ultime elezioni parziali del 1913 ap plicata, per la procedura delle elezioni, la nuova legge comunale e provinciale 19 giugno 1913, la quale, per le riforme introdotte nella costitu­ zione degli uffici elettorali, è cagione di una rilevante spesa. Tale aumento di spesa è riu­ scito addirittura enorme per molte Camere, spe­ cie per quelle più povere, che sono appunto

L’enorme costo del nuovo sistema elettorale

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L ’ ECONOMISTA S maggio 1914

quelle che, per avere una circoscrizione geogra­ ficamente estesa e a popolazione elettorale molto rada, sono obbligate a tenere molte sezioni con pochi elettori. Non così accade per le Camere più ricche, dove, essendo la maggior parte degli elettori aggruppati in grandi centri urbani, è possibile distribuirli in poche sezioni, ad alta densità di popolazione elettorale.

È questo un inconveniente che va guardato non solo dal punto di vista finanziario, ma an­ che e più dal punto di vista economico sociale. E enorme difatti, dal punto di vista finan­ ziario, che vi siano Camere che abbiano dovuto spendere per le sole elezioni del 1913, senza parlare delle ordinarie spese annuali per la re­ visione delle liste, circa il quarto delle loro entrate, mentre prima non spendevano che il decimo o il ventesimo. La Camera di Caserta, per esempio, con poco più di ventimila lire di entrate, ha speso per le elezioni eominereiali L. 5.050, mentre gli stanziamenti ordinari del bilancio, con l’antico sistema elettorale, non sor­ passavano lire trecento! Come hanno dovuto provvedere le Camere a far fronte alla spesa sproporzionata alla potenzialità dei loro bilanci? Naturalmente diminuendo da una parte le spese per l’incremento e l’incoraggiamento delle in­ dustrie e dei traffici locali, e dall’altra ina­ sprendo le aliquote dell’imposta camerale. Ora non v’ è chi non vede come tali provvedimenti siano cagione di un gran perturbamento delle finanze camerali, distogliendole dai loro fini.

Dal punto di vista economico-sociaie è neces­ sario poi esaminare se il fine della regolarità delle operazioni elettorali commerciali meriti di assorbire così rilevanti spese e se dlaltra parte non sia possibile raggiungere lo stesso fine con mezzi più semplici e più economici.

Certo, se buona parte delle attività camerali dovessero essere assorbite dal complicato mec­ canismo della formazione delle liste e delle suc­ cessive adesioni, non varrebbe proprio la pena di tener su istituzioni cui costa tanto caro man­ tenere una base elettiva. Perciò è bene doman­ darsi : sono necessari, per le elezioni commer­ ciali, tutto il meccanismo, tutti i controlli, tutte le garanzie richieste per le elezioni amministra­ tive? La risposta non può essere che negativa. Mancano infatti nelle elezioni commerciali, il movimento, la vivacità, la passionalità, l’acca­ nimento che accompagnano le elezioni ammini strative, manca la stessa rappresentanza delle minoranze. E’ vero bensì che purtroppo talvolta, per dolorosa fatalità di cose, le elezioni com­ merciali finiscono col risentire il riflesso delle lotte e dei partiti politici, ma tali ripercussioni sono sempre affievolite sia dal sistema della rap­ presentanza generale e non locale, sia dallo spi­ rito di classe che è una forza sociale di coesione che da sola basterebbe a eliminare la forza di­ sgregativa delle fazioni politiche.

Nè varrebbe il contrapporre che il suffragio allargato, aprendo le liste ad elementi incolti, impulsivi, sforniti spesso di senso e di educazione politica, renda indispensabili anche per le ele­ zioni commerciali maggiori controlli e garenzie. E’ evidente infatti die la percentuale di com­ mercianti analfabeti è inferiore all’indice gene­

rale di analfabetismo. E’ evidente pure che la psicologia del commerciante e dell’industriale, più sensibile agli stimoli del determinismo econo­ mico, si presta meno allo scoppio incomposto delle passionalità politiche.

Tutte queste ragioni giustificano una sempli­ ficazione della procedura elettorale commerciale. Basterebbe, per lo scopo, ridurre degli uffici elet­ torali alla loro primitiva formazione, rendendo pure gratuito l’ufficio degli scrutatori, il quale poi non è così gravoso come nelle elezioni am­ ministrative. Tale riforma, accoppiata all’altra della rinnovazione quadriennale e integrale dei Consigli Comunali, raggiungerebbe il benefico effetto di eliminare tutti gl’inconvenienti ulti­ mamente lamentati, e di cui si fece portavoce alla Camera l’on. Cassili, Presidente della Ca­ mera di commercio di Cuneo, provocando una apposita inchiesta del Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio.

Nelle Camere di commercio, come in tutto-il completo ingranaggio amministrativo al giorno d’oggi, non manca di farsi sentire una certa pro­ porzione fra costo di organi e loro rendimento funzionale: semplificare s’impone come una ne­ cessità economica sociale.

Avv. Giovanni Tescione.

S e g re ta rio C apo d e lla C am era d i c o m m ercio d i C aserta.

L A S V I Z Z E R A C O N T E M P O R A N E A

L'A S S O ID T O F i n i O DEL U TO II I I «

I dissesti bancari ticinesi. Le loro premesse e le loro conseguenze.

I.

Il 1914 è un anno decisivo nella vita econo­ mica del Canton Ticino — e quindi ancora nella sua vita sociale, politica, culturale. Decisivo al pari del 1882, in cui s’apre la ferrovia del Got­ tardo ch’orienta innaturalmente la vita ticinese; al pari del 1848 che in questo senso lo precede con la distruzione dei mercati cantonali e la creazione d’un mercato nazionale sulle basi d’un unico regime doganale federale. E decisivo al­ tresì nei confinanti della Svizzera interna, come in quelli del confinante Regno d’Italia.

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3 maggio 1914 L ’ ECONOMISTA 277

nulla conto di quelle ragioni generali e mag­ giori dei disastri bancari che stanno oltre le colpe e i reati dei singoli e che, se non servono

ad assolvere e neppure ad attenuare le re­ sponsabilità di costoro, danno tuttavia la parte

più profonda, veramente politica e sostanziale ed essenziale per cui il 1914 è decisivo ormai nella vita della Svizzera italiana.

Questo riflesso particolare dei disastri bancari ticinesi è più significativo di quello che non si creda. Poiché designa nella vita politica del paese una vera e propria impotenza a compren dere i limiti e l’estensione della vitalità canto­ nale, quindi — a un tempo — a rendersi ra­ gione del di lei incedere o decadere comples­ sivo, e perciò, non già tanto a misurar le forze secondo le quali si possa convenientemente ripararvi, ma appena a sapere in qual senso, con efficacia v’abbia un riparo.

Contro codesta corrente generale nella stampa del Cantone due sole manifestazioni diverse si sono avute: una, assai sintomatica, che in forma diversa e parziale già ha concluso rilievi sif­ fatti. Ed è data dal giornale L ’Adula, che ap­ punto tende a dare alla vita culturale del Can­ tón Ticino una certa rigidezza ed individualità. L’altra, della stampa socialista che, se in giusto senso ha accumuliate nel disastro finanziario am­ bedue i partiti storici del Cantón Ticino — li­ berali e conservatori (o clerieo-conservatori) — in quanto v’ha ragione e responsabilità che su­ pera i partiti considerati nell’antagonismo dei loro programmi e della loro attività ; d altro lato cade nel consueto generalizzare socialistico quando ritrova la ragione ultima dei disastri nel capitalismo.

A parte quest’ultima interpretazione, di per sè vacua e cadente e secondo la quale, ov è capitalismo, tutte le banche dovrebbero portare a disastri par: a quelli ticinesi, ben è certo in valore tutto ciò che tende a svesciare da certe incrostazioni politiche la rude sostanza econo­ mica di avvenimenti siffatti. Come quella che lascia a compito dei magistrati l’accertamento dei reati e delle responsabilità particolari.

Ben è vero che, se ciò è difficile sempre in quanto la politica ovunque serve alla banca e la banca alla politica, nel Cantón 1 icino doveva apparire e appare più difficile assai. Chè tanto il fallito Credito Ticinese quanto la fallita Ban­

ca Cantonale son nate e vissute all ombra dei

partiti che rispettivamente le vollero: clerico- conservatore il primo e liberale il secondo. Ma la loro natura ed esistenza non toglie meno ch’abbian vissuto ed operato fuor dal campo im­ mediato della politica, cioè nella economia del paese. E che se dall’una e dall’altra avessero da trarre più abbian tratto da questa che da quella. Onde con riflesso alla vita economica e non alla politica hanno da esaminarsi. Ove non si voglia tener conto che appunto quest ultima s’abbevera alla prima e ne riflette.

Ma la disputa è ovvia di per sè stessa. Data la natura sociale dei partiti storici ticinesi, nei lor programmi e nelle loro attività immediate rigidamente antagonisti, poiché il disastro ban­ cario li ha entrambi colpiti in istituti tipica­ mente rappresentativi è ben chiaro che ogni

ragion politica dei disastri manca. O meglio ; ve ne potrebbe essere una che sta al di fuori d’en- trambi i partiti storici, in una diversa sfera delle attività politiche, tuttavia particolare. Ma, a parte il fatto che i partiti storici in sè assom­ marono sempre l’attività politica complessiva del paese, ben è fallita consecutivamente B an­ ca Popolare Ticinese che all’attività dei par­

titi politici immediatamente non soddisfaceva. Ond’è che, se una ragione politica nei disastri bancari ticinesi v’ è, v’ è in quanto codesta ragion politica investa il paese tutto nelle sue relazioni con l’esterno è l’interno della Svizzera, vale a dire l’espressione politica generale della vita economica del paese.

E questo è il grave.

II.

L’importanza del disastro bancario del 1914 pel Cantón Ticino è presto chiara.

Il Cantón Ticino aveva quattro banche di emissione legalmente autorizzate. La Banca

Cantonale Ticinese fondata nel 1860; la Banca della Svizzera Italiana fondata nel 1873 ; il Credito Ticinese fondato nel 1890 ; e la Banca Popolare di Lugano fondata nel 1899. Altre

banche v’erano inoltre nel Cantone : la Banca

Svizzera-Americana, a Locamo, una rappre­

sentanza del Bank- Verein di Zurigo a Chiasso, il Banco Suizo-Americano, di recente, a Lu- gano.

Ma sono le banche di emissione legalmente autorizzate quelle che importano al nostro esame e non le altre, come vedremo. D’altronde, il va­ lore di quest’ultime, relativamente alle prime, è del tutto secondario.

Ora, delle quattro banche di emissione legal­ mente autorizzate, tre sono fallite nel termine di appena un mese: il 13 gennaio il Credito

Ticinese, il 20 gennaio, la Banca Cantonale Ticinese, il 7 marzo la Banca Popolare di

Lugano. ,

Date le proporzioni di questo disastro e chiaro che la prima domanda che si presenta alla mente dell’osservatore è questa: qual’era la si­ tuazione bancaria in confronto all’economia del paese ? Poiché, dopo tutto, ciò che sta al di fuori dei reati e delle imperizie dei singoli, ciò che non è ricerca di giudice istruttore, sta tutto

1 Chi \eg u a nello Statistisches Jahrbueh der

Schiceiz la vita finanziaria della Svizzera mo­

derna troverà subito a questo proposito alcun che di singolare. La Svizzera a tutto il 1909, aveva 40 banche di emissione legalmente au­ torizzate così suddivise pei diversi Cantoni:

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278 L ’ECONOMISTA

3 maggio 1914

silea città, 2 ; Basilea campagna, 1 ; S. Gallo, 3 ; Berna, 1 ; Turgovia, 2; Argovia, 1 ; Grigioni, 1 ; Lucerna, 2; Ginevra, 2; Appenzello (Rodi Sup.) 1; Appenzello (Rodi Ini’.; 1 : Zurigo, 2; Sciaffusa, 2; Friburgo, 4; Yaud, 2; Zug, 1; Uri, 1; Unter- valdo (Basso), 1; Neuchâtel, 3; Glarona, 1 ; So­ letta, 1 ; Untervaldo (Alto), 1 ; Schweiz, 1. — Ct. Ticino, 4. Il Canton Ticino è con il Cantone di Friburgo l’unico che abbia quattro istituti bancari di emissione. Eppure è notoria l’enorme differenza di sviluppo industriale che sussiste tra il Canton Ticino e i cantoni di Zurigo, Sciaf­ fusa, Basilea, Soletta, ecc. che ne hanno tutti meno di lui.

Questa singolare sproporzione tra il numero degli istituti bancari d’emissione e la situazione dell’economia cantonale è rilevante. Nè vale ar­ gomentare dalla circolazione; o dal valore delle singole^ banche. Poiché il numero degli istituti bancari non è indipendente da certe cause che non stanno tutte nel valore finanziario dell’isti­ tuto o degli istituti singoli.

Si può avvertire inoltre che appunto una si­ tuazione dell’economia cantonale non diversa dal Canton Ticino da il Cantone di Friburgo che si trova in una simile situazione bancaria. Se ne può vedere dalla carta delle industrie svizzere per distretti al 9 agosto 1905 che da lo 8. J. d. 8. del 1910. Comunque, il Canton Ti­ cino occupava il 6° posto nello sviluppo indu­ striale e per la densità della popolazione agri­ cola fra i più arretrati di tutta la Svizzera. (Valiese, Friburgo, Grigioni, Uri, Untervaldo, Ti­ cino). E dopo di lui venivano e vengono tutti i cantoni che hanno minor numero di istituti di emissione. Basta osservare per questo le stati­ stiche della Statistique des Salaires del Secré­

tariat Ouovrier Suisse comparativamente con

lo Statistisches Jahrbuch der Schweiz. D’altro canto, in rapporto alla circolazione, s?. tri* ? cantoni elvetici prendiamo quello che più s ’avvicina per popolazione al Canton Ti­ cino, cioè il Cantone di Ginevra (Ticino 155.764, Ginevra 155.215) avremo come media della cir­ colazione dei biglietti nel decennio 1891-1900;

Banque du Commerce . . . . 20.595

Banque de Genere... 3.725

Ct. di Ginevra ; in migliaia di fr. 24.320

Banca Cantonale Ticinese . . . 1.976

Banca Svizzera Italiana . . . 1.978

Credito Ticinese. . -... 2.298 Banca Popolare di Lugano . . 5 0 0

Ct. Ticino : in migliaia di fr. 6.752 La conclusione logica di questi raffronti, sui quali sarebbe inutile oltre indugiarci, è questa ; che non solo gli istituti bancari ticinesi rifletè tevano di una scarsissima vita industriale del paese, ma che essi non si rivolgevano affatto a

questa vita industriale, almeno nel senso in cui

la vita industriale avesse d’essi bisogno. E’ chiaro che la necessità di tanti istituti bancari nel Ticino indica un orientamento delle loro funzioni del tutto diverso da quello indu­ striale. E siccome la Banca — direbbe La Pa­ lisse 0 accumula o impiega, e accumula e impiega, dei capitali, è logico che la

abbon-danza di questi istituti nel Canton Ticino, non essendo in rapporto all’impiego, stia essenzial­ mente in rapporto all’accumulazione.

D’altronde, questo carattere non è particolare del Canton Ticino. E’ comune ai cantoni meno industrializzati e meno industrializzabili della Svizzera. Così la Nidwaldner Kantonalbank era fino al giugno 1909 la Piantonale Spar-und

Leihkasse von Nidwalden, la Luzerner K an­ tonalbank era pur essa fino al 1891 la Kan- tonal-Spar-und Leihkasse Luzern. E la ge­

nesi di questi istituti è su per giù quella della

Appenzell J.-Rh. Kantonalbank, della Kan­ tonalbank Schwiz, della Obwaldner Kanto­ nalbank, della Appenzell A .-R h. Kantona- Ihank, ecc.

Si tratta di un movimento bancario essenzial­ mente dovuto ai risparmiatori. Queste piccole e molteplici istituzioni cantonali non sono che

delle pompe aspiranti. Le quali, nella Svizzera

interna, riversano di solito il risparmio conta­ dinesco 0 rurale sui cantoni più industrializzati.

III.

E, poiché s’è aspirato, in qualche luogo bi­ sognerà ben riversare.

Qui sta il problema. Lasciamo gli altri can­ toni e veniamo al Canton Ticino.

Il risparmio accumulato negli Istituti bancari ticinesi aveva varie vie d’impiego: a) l’indu­ stria; b) l ’agricoltura; c) il commercio; d) il credito ipotecario ; e) infine, l’emigrazione fuori dal Cantone.

Per l’industria le cose son presto chiare. L’in­ dustria ticinese non è in grado tale da richie­ dere vasto investimento di capitali. Nel 1870 le persone viventi dell’industria nel Canton Ticino erano il 307 per mille degli abitanti; nel 1900, erano appena il 337; con un aumento del 9.8 °/0 durante l’intervallo d’un trentennio. Circa la

potenza industriale io ho dato altrove uno spec­

chietto statistico molto esplicativo. « Imprese piccole (da 1 a 5 operai); 3.121; imprese medie (da 6 a 49 operai): 414: imprese grandi (da 50 operai in su): 51 ». Ciò per il 1910. L 'industria

ticinese non pub e non poteva quindi assor­ bire il risparmio ticinese. I dati per la circo­

lazione sopra riferiti ne sono una prova indi­ retta.

Passiamo all’agricoltura. L’agricoltura nel Ti­ cino ha indubbiamente regredito dal ’50 in poi. Le variazioni nella densità della popolazione agricola ne sono uno specchio. Nel 1870 il Canton Ticino aveva il 571 per mille di persone viventi dell’agricoltura. Nel 1900 le persone viventi del­ l’agricoltura erano discese al 449 per mille; una diminuzione del 21.3% . Superata solo in Sviz­ zera da Basilea città che aveva il 51.8; da Zu­ rigo che aveva il 44.9; da Ginevra che aveva il 45; da S. Gallo il 32; da Soletta il 24.6; da Neuchâtel il 27.3; da Vaud il 24.4 e da Uri il 21.6. Quasi tutti Cantoni profondamente indu­ strializzati. Mentre il Canton Ticino è — a questo riguardo — quel che sopra dicemmo. D’altronde, in

potenza il valore dell’agricoltura ticinese è dato

(7)

3 maggio 1914 L'ECONOMISTA 279

prevalenza delle femmine dice la potenza agri­ cola del Cantone. E’ chiaro che l'agricoltura

ticinese, perchè in decadenza, non pub e non poteva assorbire il risparmio ticinese.

Il commercio. 11 potere del commercio come assorbente il risparmio è sempre molto relativo. Ma, siccome il commercio sta in funzione dello sviluppo industriale, così il commercio ticinese è tanto relativo e di così esigua natura che non può assorbire dei capitali. D’altra parte, il com­ mercio ticinese, che a lato a pìccola industria è piccolo commercio, usufruisce non già dei capi­ tali depositati alle banche ma di qne’ beni, di que’ piccoli beni famigliari che ancora non pas­ sarono alle banche. Il commerciante ticinese, o è il commerciante italiano immigrato, o è il com­ merciante indigeno cittadino, o è il contadino che liquida la posizione paterna e s’inurba. Solo nel primo caso agisce con qualche vigoria il cre­ dito. Nel secondo e nel terzo non tanto. Il cit­ tadino e il contadino che s’ inurba non hanno soverchia necessità del credito, provvisti come sono de’ beui famigliari. Ma l’immigrato, si; egli crea da se la sua propria fortuna.

Però il commercio ticinese, sul quale ha qualche influenza il credito, è ristretto a pochi centri ur­ bani: Lugano, Locamo, Chiasso, Mendrisio, Bia- sca, Bellinzona, ecc. E’ chiaro che l’influenza del commercio come assorbente il risparmio non può e non poteva avere nel Canton Ticino un qualche valore decisivo per l’impiego delle disponibilità bancarie.

Il credito ipotecario poteva essere una solu­ zione per l’investimento dei capitali depositati alle banche. Anzi ad alcuni, per qualche tempo, è apparsa una soluzione non plus ultra. L’in­ dustria dei forestieri, questa panacea buona per tutti i popoli camerieri, stimolava codesta cor­ rente. Si trattava di far di tutte le cittadine ticinesi altrettante stazioni climatiche (vedi Lo­ camo; vedi Lugano; vedi Airolo ecc.) L’ideale _oh gli ideali ! — era di trasformare il Canton Ticino in un paese di lavapiatti e di bottegai all’ombra de’ grandi alberghi. Quindi trasforma­ zione, rinnovazione, sfoggio dell’edilizia cittadina. Perciò: credito ipotecario. Ma, di sua natura, co- desta industria de’ forestieri non ha possibilità di grande sviluppo. Perciò da questo lato il cre­ dito ipotecario non ha avuto una grande spinta. Vedere per credere l’edilizia vetustissima e poco pulita di Mendrisio, di Chiasso e anche di Bel­ linzona. Il credito ipotecario ha svolto in quésto senso un’opera indubbiamente efficace in Locamo e in Lugano. Poca cosa per riuscire di qualche effettivo vantaggio nell’assorbire e nel muovere i capitali ticinesi.

Una soluzione pareva offerire ancora l’agri­ coltura. Sopratutto mediante l’aggruppamento dei terreni. Nel maggio 1902 il Gran Consiglio Ticinese approvava una legge per favorire que­ sto raggruppamento. La cosa sarebbe riuscita efficace in doppio senso: per l’investimento dei

L 'A m m in istra zio n e provvede ai cam biam enti ed alle correzioni di indirizzo senza spesa alcuna p er i signori abbonati.

capitali nell’agricoltura e per il risanamento dell’agricoltura stessa mediante un aumento del reddito terriero. Ma codesta legge « dopo quat­ tro anni di vita non fu ancora incentivo di un

solo esempio pratico » (Ing. C. Molo — Ra9~

gruppamento dei terreni. Lugano, Veladini,

1907. pag. 5). Le posteriori modificazioni della legge, sempre nel senso di più favorire il rag­ gruppamento, a nulla valsero. Le cause di que­ sto fatto appaion varie. Ma tutte si concludono ad una: il contadino o il proprietario del « mas- serizio y> non ha che una incerta situazione eco­ nomica, talora, spesso, è gravato di debiti. Oc­ correrebbe prima un raggruppamento... dei de­ biti. D’altronde, anche il raggruppamento dei terreni non offre grandi vantaggi. E, infatti, non si può sperare la ricostituzione della agri­ coltura ticinese fuor dalle cause che l’hanno fatta decadere. E il parcellamento è una con­ seguenza della vita economica complessiva. Ri­ costruire il « classico podere » con « l’opera del legislatore, dello statista, dell’autorità cantonale e federale » come pretende Ton. Brenno Ber­ toni (Le relazioni Svizzero-italiane, ecc. Ve­

ladini, Lugano, 1913), è fantasia di parlamen­ tare. Se non altro da tutte l’opere di Melchiorre Gioia ristampate a Capolago, i ticinesi questo potevano apprendere : che contro simili fenomeni economici, le leggi, le migliori leggi, non fanno nè ficcano. Tanto e tanto, anche dove potevan valere, non hanno valso. Il progetto di Carlo Cattaneo per la bonifica del piano di Magadino sorride con ironia dagli scaffali della Biblioteca Cantonale di Lugano.

Da molti — anche da Agostino Soldati fra gli altri — s’-è osservato altresi che l’alto tasso del credito ipotecario ne impedisce lo sviluppo. E si confronta con i Cantoni della Svizzera in­ terna. A sentir questa gente sembra che l’alto tasso caschi dal cielo. Ma esso — in vari modi e forme — è connesso col tenore complessivo della vita economica del paese. Anche la mancanza di investimento lo fa rialzare. A chi depone i denari alle Banche qualche cosa bisogna pur dare. Ribassarlo per iniziativa delle Banche è spostare il danno e talora accumularlo. La crisi edilizia della Svizzera interna nel 1900 è là a dirlo. Le Banche si liberarono dei capitali col credito ipotecario. La crisi edilizia, le crisi nelle industrie dei gessi, dei cementi, dei laterizi, ecc., ne furono la conseguenza. E pel Ticino la ro­ vina dell’industria del granito (1). E’ storia d’ieri.

Nelle condizioni precedentemente esposte del­ l ’agricoltura e dell’industria ticinese, il credito ipotecario non poteva comunque essere una via di liberazione e di circolazione per i capitali ammassati nelle Banche del Canton Ticino.

Non rimaneva che l’esodo dei risparmi fuor dal Cantone: al nord, nella Svizzera interna; al sud, in Italia.

Fin qui le rette vie.

Ma ce n’era una storta: quella di cui ve­ niamo ad occuparci.

(Continua) Giulio Barisi

(1) V e d in e in : G. Ba r r i - E . CanbVa s c in i - L ’in d u s tria

del g ra n ito « lo svilu p p o econom ico del C a n to n Ticin o . L o c a m o

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L’ ECONOMISTA 3 maggio 1914 280

Banca d’Italia.

Relazione del Direttore Generale alla adunanza gene­ rale ordinaria degli azionisti tenuta in Roma il giorno 3 0 marzo 1914 sulle operazioni fatte dalla Banca nell’anno 1913.

L a relazione del Direttore Generale della Banca d'Italia, il quale, per Vesercizio delle sue funzioni, si trova nella invidiabile posi­ zione di avere ,ad ogni istante alla mano il polso del paese, e, per cultura ed alta intelli­ genza, si sente naturalmente portato ad inter­ pretarne le variazioni con disamine diagno­ stiche e prognostiche, costituisce un avveni­ mento per i cultori della economia.

L a parola sobria ed incisiva, esatta nel suo significato, e prudente nella sua misura, mate­ matica nella sua logicità, attenta e acuta nelle sue conclusioni, vale assai più di ogni disser- tazione a precisare l’intimo e più succoso estrOftto della vita economica della nazione.

E ’ difficile invero riassumere o parafrasare un documento che sia già perfetto e completo nella sua fattura. Si potrà invece soltanto dare qua e là rilievo a qualcuno degli argomenti, che il chiarissimo comm. Stringher, alieno dalle enfasi, costretto anzi per l’indole e la forza stessa della sua esposizione a moderarsi su un tòno uniforme, deve per necessità, diremo cosi, d ’ufficio, costringere in proporzioni limitate e ordinare uno accanto all'altro, senza accen­ tuazioni speciali.

Nel dare ai nostri lettori in parte la rela­ zione del comm. Stringher, avremo quindi di m ira principalmente di ricercare il suo pen­ siero a riguardo . della economia italiana, e ci ripromettiamo quanto prima di esaminare, dalle risultanze, il felice andamento del no­ stro massimo Istituto Bancario.

Condizioni economiche generali.

Nella storia economica e finanziaria, Tanno 1913 si contrassegna con le parole: generalmente sfavorevole.

Cattivo andamento nel mercato internazionale dei valori di ogni specie, mercato monetario assai teso, e pensiero pressoché generale di aspetta­ tiva diffidente: a ciò contribuendo il conflitto orientale, con le sue ripercussioni di ordine finan­ ziario e politico; le inquietudini, non ancora sopite, dell’America del Nord; le condizioni di depressione, se non di profonda crisi, in taluni grandi Stati dell’America meridionale; e su tutto premendo le ingentissime spese per gli arma­ menti.

Qualche voce autorevole ha pure accennato all’influsso di talune asprezze di rivendicazioni sociali. E può essere che certi moti incomposti, intimidendo il capitale formato o in formazione, abbiano fornito il loro contributo a una situa­ zione per sè stessa pesante; mentre non v’ha dubbio che l’opera e la preoccupazione costante della guerra — per la ricchezza che dissipano e per i beni che distraggono dai fini economici — abbiano notabilmente pesato sulle condizioni del mercato internazionale.

Il quale, peraltro, si è alquanto risollevato dopo la cessazione delle ostilità balcaniche e il miglioramento delle relazioni diplomatiche. At­ tualmente si avverte dovunque un alleggerimento nel prezzo del danaro, sia perchè varie cause contingenti, che, nel 1912-13, avevano determi­ nato straordinarie tesaurizzazioni e provvedi­ menti di cautela, sono attenuate o scomparse; sia perchè, mentre buona scorta di capitali sta in attesa di collocamento nei grandi -prestiti preannunziati a buone ragioni di frutto, le con­ dizioni di sosta nello sviluppo industriale di al­ cuni paesi, rimpetto ai bisogni crescenti delle finanze di Stato, hanno ridotto le domande per siffatta direzione di impieghi, segnatamente per quelli di maggiore durata.

Si noti ancora che, dopo più anni di continua ascesa nella produzione dell’oro, il 1913 ha re­ gistrato, per la prima volta, una non trascurabile riduzione; e nell’anno stesso si sono inclinate le curve degli indici misuratori dei prezzi delle merci all’ingrosso, sono state meno alacri le correnti degli scambi internazionali, meno van­ taggiosi i noli marittimi e più fiacco ogni impulso finanziario.

Mercato italiano.

Uscita appena dalla guerra per la Libia, con gli trascichi inerenti a ogni conquista coloniale, l’Italia ha dovuto anch’essa subire il contrac­ colpo delle condizioni generali d'Europa e di fuori, nonostante il preteso isolamento onde sa­ rebbero accagionate le condizioni della nostra circolazione monetaria. Anche noi abbiamo do­ vuto mantenere ad alta ragione la misura dello sconto e dell’interesse sulle anticipazioni per quasi tutta l’annata; anche noi abbiamo veduto le Borse inoperose, i prezzi di tutti i valori de­ pressi, e il corso della rendita 3,50 per cento meno fermo del passato e con tendenza a inde­ bolire. E abbiamo anche veduto il cambio su l’estero trasformarsi temporaneamente in aggio della valuta aurea, e il prezzo della divisa su Parigi salire, nei primi sette mesi dell’anno pas­ sato, da 1,50, a poco meno di 3 per cento.

L’applicazione del saggio di sconto normale nella più alta misura cessò in giugno del 1913, con opportuna mitigazione nel secondo semestre: mitigazione che avrebbe potuto essere più sen­ sibile, se non ne avessero trattenuto la preoc­ cupazione e la cura del prezzo del cambio su l’estero. — Rimpetto al 6 per cento di un anno fa, il saggio di sconto per gli Istituti interme­ diari e per la carta a tre mesi con firme pri­ marie, come quello d’interesse sulle anticipa­ zioni, sono oggi ridotti a 5 per cento.

Cosi si è tenuto conto delTalleggerimento av­ venuto nella situazione monetaria e del note­ vole miglioramento nel corso dei cambi sul­ l’estero; ma senza aver troppa fretta, e senza discendere al di sotto del limite ritenuto ne­ cessario a difendere e a sostenere le operazioni nel loro complesso.

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at-3 maggio 1914 L’ ECONOMISTA 281

tinto 1080 milioni di lire con- emissioni di Buoni quinquennali fruttanti il 4 % netto, avendo in pari tempo allargata di oltre 250 milioni le cir­ colazione dei Buoni ordinari, per fronteggiare con questa forma di debito fluttuante le ne­ cessità più urgenti, in gran parte prodotte dalla guerra (1).

Il Risparmio.

Mirabile davvero è stata la prova di resi­ stenza del nostro mercato. 11 risparmio nazio­ nale, malgrado taluni elementi avversi, ha di­ mostrato la sua forza e la sua elasticità, poi che in questi stessi anni di maggiore domande da parte del R. Tesoro l’ Italia ha ripreso an­ cora all’estero titoli che vi aveva abbondante­ mente collocato in passato, e coi suoi capitali ha partecipato, in misura non trascurabile, alle emissioni di altri paesi a condizioni più delle nostre lucrose.

Il Cambio.

per corrispondere a più ampie transazioni. La qual cosa non significa che il fenomeno del cambio durevolmente sfavorevole, e in qualche momento eccedente misurati confini, non faccia presupporre una composizione difettosa degli strumenti monetarii e non sia opportuno even­ tualmente di avvisare ai rimedi; ma può per­ suadere l’osservatore obiettivo che nel movi mento di ascesa e di discesa del corso dei cambi esteri, durante gli ultimi due anni, la quantità dei biglietti in circolazione non abbia avuto un’azione diretta e determinante, e vi sia man­ cato un rapporto di causa ad effètto.

Le industrie zuccheriere, siderurgiche, tessili ed edilizie.

L’annata agraria, favorevole segnatamente per le produzioni agrarie ha reso possibile qualche utile assestamento. E ’ sperabile che l’esuberante eccezionale produzione saccarifera dell’anno de-Fra tanto il corso dei cambi con l’estero, dopo

aver raggiunta la più alta meta nel lugliodel 1913, è disceso gradatamente e continuamente : il prezzo del Parigi è oggi ridotto a 100,35, vale a dire che eccede di poco la pari, ed è sul punto dell’oro.

Le cagioni di cosi fatto mutamento sono, su per giù, le inverse di quelle da noi accennate un anno fa per chiarire ragionevolmente l’ina­ sprimento segnato dalle Borse nel secondo se­ mestre del 1912, e nei primi mesi del 1913. Giovarono segnatamente: i buoni raccolti del passato anno; una massa più notevole di espor­ tazioni, promosse in parte dalla pressione di in­ dustrie bisognose di sfogo; il buon uso, a tempo opportuno, di una parte limitata delle riserve metalliche, prevalentemente d’argento; un rav­ vivamento delle correnti monetarie dall’estero verso l’Italia, che si erano indebolite nei due anni precedenti cosi per i frutti dell’emigra­ zione come per l’afflusso dei forestieri (2).

Si avverta che, nel fra tempo, non è dimi­ nuito l’uso degli strumenti cartacei di paga­ mento, nè è cresciuta, in Italia, la massa degli affari in guisa da giustificare un assorbimento più largo di biglietti nelle varie loro specie,

(1) Secondo un n o tev o le d o cu m en to (n. X IV ) p re s e n ta to a lla C am era d a ll’o n o r. m in is tro Tedesco n e lla s e d u ta d el d ì 7 co r­ re n te , le s p e s e f a tte p e r l ’ im p re s a d e lla L ib ia d a ll’ in iz io d elle o p e ra zio n i e q u elle p re v is te , a tu tto g iu g n o p ro ssim o , a scen ­ d e re b b ero a 1212 m ilio n i. — Sino a co n co rren za d i 282.435.000 le d e tte spese sareb b ero fro n te g g ia te , sin o a l 30 g iu g n o 1915, con p re lie v i su a v an z i d i b ila n c io e con s ta n z ia m e n ti fa tti o d a fa rs i d ire tta m e n te in b ilan cio . Col p ro v e n to ric a v a to d a l­ l ’em issio n e d e i bu o n i d e l T eso ro q u in q u e n n a li in d ic a ta sopra si sareb b e p ro v v e d u to a co p rire a ltre sp ese p e r 250 m ilio n i, co m p resa la som m a d i 50 m ilio n i p a g ata a l D eb ito p u b b lic o o tto m a n o in co n se g u e n za del tr a tta to d i L o s a n n a . P e r sa ld a re la sp esa rim a n e n te sareb b e ro o p e ra te sp ec ia li in sc riz io n i in b ila n c io fino a tu tto l ’esercizio 1922-923. — D allo stesso do cu ­ m en to si tra e che, d a l g iu g n o 1910 al fe b b ra io 1914, « lo S ta to c h iese a l c re d ito n azio n ale, e s e n z a diffico ltà o tte n n e , o ltre un m ilia rd o e 700 m ilio n i.

(2) C om ’ è noto, n e l 1913, le im p o rta z io n i d i m erci d a l­ l ’e ste ro in Ita lia ra p p re sen ta ro n o un v alo re d o g a n ale in fe rio re a q u ello d e ll'a n n o preced en te d i L . 61,451,527 ; in v ece il valo re d e lle m e rc i e sp o rta te superò d i L . 106.986.330 q u ello c o rrisp o n ­ d en te d e l 1912. — D istin g u e n d o il p rim o d a l secondo sem e stre , si n o tan o nel m o v im e n to com m erciale q u e ste differenze, fra il 1913 e il 1912: n el p rim o sem e stre del ’13 le im p o rtaz io n i creb b ero d i c irc a 68 m ilio n i, nel secondo se m e stre d im in u iro n o d i 132 m ilio n i ; m e n tre le esp o rtaz io n i c re b b ero d i 55 m ilio n i n e l p rim o se m e stre e d i 52 nel secondo.

corso non abbia durevole contraccolpo sulla col­ tivazione delle bietole, e che opportuni accordi contemperino le esigenze industriali con quelle dell’agricoltura. Le industrie manifatturiere han­ no dato segni di qualche risveglio, meno forse nel campo siderurgico, un po’ più in quello tes­ sile. Meglio visibile, per i tessili, il migliora­ mento del mercato serico, ma non insensibile quello dell’industria cotoniera, che più di tutte le altre ha sofferto, e la convalescenza della quale accenna a essere lenta e non senza contrasti, malgrado le utili provvidenze e l’opera vigilante dell’Istituto cotoniero (1). Le industrie edilizie, già spinte con vivacità, in qualche gran centro, dall’incalzante urbanismo, hanno dato qua e là segni manifesti di un bisogno di sosta e di mag­ giore equilibrio.

Della pace in Oriente e della tranquillità poli­ tica in Europa, a cui tutti aspirano, non potranno non essere avvantaggiate le condizioni del lavoro italiano.

Il credito e le banche.

All’infuori del campo della produzione, su di un punto è stata specialmente chiamata la nostra attenzione, per l’importanza delle que­ stioni presenti e future che vi si riannodano.

In altra Relazione si è accennato al pericolo e al danno che seco addurrebbe la scomparsa delle forme caratteristiche del credito italiano, fecondatrici sul luogo dei capitali e dei risparmi formati e raccolti sul luogo (2). Ma se può essere incerto il giudizio circa gli effetti dell’opera di assorbimento che si va svolgendo a danno dei

(1) I p ro v v e d im e n ti a d o tta ti a fa v o re d e ll’in d u s tria d e i co­ to n i, m e rc è l ’accordo f r a m o lti in te re s s a ti, h a n n o d a to ris n ltà - m e n ti a b b a s ta n z a so d d isfac e n ti, d o v u ti in g ra n p a rte a l l ’azione d e ll Is titu to coto n iero N e è ris u lta ta u n a ra g io n a ta d im in u ­ zione n e lla p ro d u z io m e , la q u a le rie sce o ra m eg lio c o m m isu ­ ra ta a l co n su m o , in g u is a d a e v ita re l ’a cc u m u la m e n to d i m erce che n o n tr o v a c o m p ra to ri, e la d ls e e s a d ei p re z z i o ltre il lim ite co m p o rtev o le.

Di m a g g io re utilità, è r i s u lta ta l’azione d e ll’ Is titu to m ede­ sim o nel d e te rm in a re e d is c ip lin a re le c o n d iz io n i d i p a g am en to , m e d ia n te rila s c io d i c a m b ia li, con che s i è a v u to l ’effetto b e ­ nefico d i m o b iliz z a re n o ta b ilm e n te i c re d iti d e ll’ in d u s tria . É in c re sc e v o le ch e i b iso g n i d e lla fin an za p u b b lic a a b b ia n o co n ­ s ig lia to a p ro p o rre u n au m e n to d e l bollo s u lle c a m b ia li iti m i­ s u re ta le d a c an c e lla re gli u tili effetti d e lla s tu d ia ta legge del 31 d ic e m b re 1907.

(10)

282 L ’ ECONOMISTA 3 maggio 1914

pìccoli e dei medi, non si può non preoccuparsi delle conseguenze della condotta incauta di ta­ lune amministrazioni bancarie, che hanno con­ dotto i loro Istituti o al fallimento o alla liqui­ dazione.

La Banca d’ Italia ha creduto dover suo, nel- l’interesse dell’economia generale, di non rifiu­ tare ponderati ausili agli Istituti meritevoli, e di accompagnare con il consiglio e con l’azione la liquidazione di enti destinati a scomparire, o a risorgere dopo una salutare purificazione. Di questa sua opera materiale e morale il nostro Istituto non ha ragione di trarre lamento, men­ tre ha motivi di intimo compiacimento. Com’è doveroso di constatare che i portafogli da noi riscontati e liquidati a siffatte istituzioni, o non ci lasciarono perdite, o in proporzioni sparute rimpetto alla massa delle attività impegnate, così che la buona azione si è, in massima, tra­ dotta in un affare discreto. La qual cosa significa che anche la membratura dei caduti non era priva di un certo vigore, ed è certo vigorosa quella di molti e molti altri enti che vivono bene, e or si rafforzano confederandosi.

Può essere, in fine, argomento di qualche pen­ siero meno tranquillo l’acuirsi di concorrenze, che si esplicano con la moltiplicazione di uffici ban­ carii di ogni maniera, anche in luoghi che non giustificherebbero la coesistenza di più Istituti affannati ad attrarre clienti o ad accaparrare depositi. E in molti spiriti cauti va ora sommes­ samente germogliando il dubbio che, se la sa­ viezza dei dirigenti non misurerà le conseguenze di una siffatta gara, potrebbe l’economia ita­ liana trovarsi un giorno di fronte a eventi non desiderati.

Istituto nazionale di credito per la cooperazione.

Promosso dall’on. Ministro di agricoltura, in­ dustria e commercio, è stato costituito l’Istituto nazionale di credito per la cooperazione, eretto in ente morale con R. decreto 15 agosto 1913, n. 1140. E’ un Istituto che sorge in luogo e vece dell’Istituto centrale delle cooperative italiane _onde era cenno nella Relazione all’adunanza generale del 31 marzo 1910 — con un capitale di fondazione di L. 7.750.000, sottoscritto, in gran parte, dalle più importanti istituzioni di previdenza e di risparmio, e portato di poi a L. 8.185.000, mercè ulteriori adesioni perve­ nute.

Per i motivi esposti in quella nostra Rela­ zione, e tenuto conto dei precedenti la vostra Amministrazione ha creduto doveroso di parte­ cipare, con un milione, alla formazione del detto capitale, giovandosi di fondi per i quali essa non ha vincoli statutarii d’impiego, pur senza ricor­ r e r e alla riserva patrimoniale straordinaria, che ormai, come sopra si e detto, ha uno scopo de­ terminato.

La Banca d’Italia ha una rappresentanza nel Consiglio d’amministrazione del nuovo Istituto, che ha cominciato a operare col 1° gennaio del­ l’anno corrente, e per il lieto avvenire del quale, nell’interesse della cooperazione italiana, espri­ miamo fervidi voti e auguri.

Servizi temporanei

per l'Istitu to nazionale delle assicurazioni.

Come è noto, con legge del dì 4 aprile 1912, il Governo provvide a disciplinare l’ esercizio delle assicurazioni sulla vita per mezzo di un Istituto nazionale, costituito in regime di mo­ nopolio sotto la diretta garanzia dello Stato. L’ Istituto s’è rivolto alla Banca per giovarsi

prò tempore dell’ausilio della nostra organizza­

zione; e la Banca si è assunta, appunto tempo rancamente, la gestione del servizio di cassa, autorizzando tutte le dipendenti filiali ad accet­ tare i versamenti che i concessionari delle varie agenzie generali avrebbero effettuato alle nostre casse nell’interesse dell’Istituto centrale.

Al 31 dicembre 1913, gli incassi complessivi fatti dalle filiali della Banca, in dipendenza, di questo speciale servizio, ascendevano alla cifra di L. 35.900.508, mentre gli esiti avevano rag­ giunto la cifra di lire 34.941.985, delle quali 11.577.366 per reimpieghi.

La Banca d’Italia accettava anche in ammi­ nistrazione la massa dei titoli nazionali ed esteri, di spettanza dell’Istituto nazionale, provenienti dalla cessione del portafoglio delle varie Com­ pagnie in liquidazione. Parallelamente a siffatto incarico, la Banca stessa assumeva di ricevere, in deposito vincolato, i valori cauzionali che, a tenore del capitolato di concessione, i titolari delle agenzie generali sono tenuti a prestare a garanzia delle rispettive funzioni.

Dati i rapporti della Banca con lo Stato, di cui è la tesoriera provinciale, abbiamo creduto do­ veroso di contribuire con l’opera nostra ad age­ volare, ne’ primi tempi, 1’ amministrazione dei fondi del nuovo cospicuo Istituto di Stato, che ha dinnanzi a sè un grande avvenire (1).

Comitato di soccorso

per le fam iglie dei m ilitari morti e feriti in guerra.

Durante le ostilità con la Turchia, il Governo si rivolse alla, Banca d’Italia affinchè volesse accentrare presso di se la gestione dei fondi for­ niti dal patriottismo nazionale per soccorrere le famiglie bisognose dei caduti in guerra.

Aderendovi di buon grado, il nostro Istituto, a mezzo di tutte le sue filiali, raccolse nelle pro­ prie casse una somma di oblazioni che, al 31 di­ cembre 1913, raggiungeva la cifra complessiva di L. 6.321.073.

Nel periodo di maggiore affluenza delle obla­ zioni, la Banca provvide a impiegare sollecita­ mente le somme che via via risultavano esu­ beranti alle momentanee esigenze dell’opera di soccorso, allo scopo di procurare che, nell’inte­ resse del Comitato, le giacenze di cassa dessero un rendimento più alto di quello che, a tenor di legge, essa avrebbe potuto corrispondere per interesse sui depositi in conto corrente. Gli im­ pieghi furono fatti in Buoni del tesoro a mag­

gior frutto. _ .

Per tal modo i fondi della carità contribui­ rono anch’essi a fornire di mezzi lo Stato, e la

(11)

L ’ ECONOMISTA 3 maggio 1914

Banca potè aceresetire indirettamente le dispo­ nibilità del Comitato di soccorso per ima somma di ciica L. 180.000, formata dagli interessi li­ quidati sul conto corrente e da quelli maturati sui Buoni del tesoro a tutto l’anno 1913.

Per contro, su analoghe disposizioni del Co­ mitato nazionale, presieduto da S. A. R. il Duca d Aosta, la Banca provvide all’emissione di va glia postali di servizio intestati ai nominativi che la Commissione permanente del Comitato medesimo indicava volta per volta. Al 31 dicem­ bre 1913, la Banca aveva provveduto alla emis­ sione di oltre n. 17.000 vaglia postali, per una somma totale di L. 4.454.018 (2).

____^______ (Continua).

(2) P e r in c a ric o del C o m ita to n a zio n ale , la B an ca h a p ro v ­ ved u to a ltre s ì a l l ’im p ieg o d i !.. 1.200.000, in B uoni d el tesoro q u in q u e n n a li 4 p e r cento, a cc a n to n a n d o li p e r do tazio n e del- 1 O pera n a zio n ale E m a n u e le F ilib e rto d i S av o ia, te sté fo n d a ta p e r so cco rrere g li o rfan i d e i m ilita r i m o rti in g u e rra .

I N F O R M A Z I O N I

Voci di fusione di Banche italiane. — Nei

circoli degli nomini d’affari corre nuovamente la voce di una fusione del Banco di Roma con la Società Bancaria di Milano. Possiamo affermare essere la notizia insussistente e compiacercene perchè prima che sia avvenuto un qualche mu­ tamento nella amministrazione della Bancaria è, a nostro avviso preferibile che il Banco di Roma rimanga immutato. Per contro, si accenna probabile una fusione tra il Banco di Roma e la Società di Credito Provinciale, che è Istituto di primo ordine, sia per la qualità del suo Con­ siglio, sia pel suo bilancio. La unione del Po- gliani della Probank, ritenuto uno dei nostri finan­ zieri di maggiore avvenire, con il Pacelli, la bella riputazione del quale si è affermata, sa­ rebbe salutata certo come evento gradito. In so­ stanza anche le Banche valgono, quello che val- vono i loro uomini; i meccanismi sono un pro­ dotto degli uomini e vanno condotti da uomini. Il più perfetto meccanismo non vale un gran che, se non c’è chi lo sa maneggiare.

Tale operazione richiederà naturalmente da parte della Lloyds Bank un aumento del suo capitale, che pare, verrà portato da 4.208,000 sterline a 4.908.000 sterline (capitale versato). Le sue riserve passeranno da 3.000.000 a 3.550.000 lire sterline.

Anche il numero delle filiali, in seguitò alla fusione, risulterà il maggiore fino ad ora vantato da Banche inglesi, giacché le 679 filiali della Lloyds, unite a quelle della Wilts and Dorset, daranno alla direzione della Banea il controllo su non meno di 859 filiali, mentre la London City and Midland Bank, che fino ad oggi con­ tava il maggior numero di filiali, anche con le 17 nuove agenzie che ha in questi giorni annun­ ziate, non riuscirà a raggiungere il numero di 800.

Riteniamo interessante pubblicare il seguente specchietto dal quale risulta a grandi linee la rispettiva posizione di alcune delle maggiori Banche inglesi, al 31 dicembre 1913, e dal quale appare ancora come le Banche inglesi stesse spingano attivissimamente lo sviluppo delle reti delle proprie filiali:

F il ia li C ap it. e ris . D ep o siti

London City & Midland 763

in m ilio n i

8 —

d i lire s te ri.

94,83 Lloyds... 679 7,21 91,90 London County & West­

minster. . . 351 7,50 84 —

National Provincial . 404 5,15 67 —

Barclay & C... 500 5,20 59,38 Parr’s ..., . 274 4.20 40,21 Union of London & Smiths 214 4,70 41,40

Wilts & Dorset (fine -- — —

1 9 1 2 )... 180 1,30 12,62

Fusione di grandi Banche germaniche.

— La voce corsa di una fusione del « Schaaff- hausenscher Bankverein » con la « Disconto Ge- sellschalt » è ora confermata. La « Disconto Ge­ sellschaft » assorbe la prima Banca nel modo con cui ha assorbito la « Norddeutscher Bank di Amburgo ». Contro 5.000 marchi in azioni dei « Schaaffhausenscher Bankverein », verran­ no rimessi 3.000 marchi in azioni della « Dis­ conto Gesellschaft ». Quest’ultima, per l’assorbi­ mento dei 145.000.000 di marchi della « Schaff- hausenscher Bankverein », creerà 87.000.000 di marchi in nuove azioni. Tuttavia, essa non ne emetterà che per 75.000.000 portando il suo ca­ pitale a 300.000.000 di marchi. I 20.000.000 di marchi chè gli mancano in azioni « Schaaffha- nseuscher Bankverein » saranno ottenuti da essa in un’altra maniera.

Circa lo « Schaaffhausenscher Bankverein » esso sarà completamente trasformato e si for- formerà con un nuovo « Schaaffhanseusche Bank­ verein », perfettamente indipendente, eoi capitale di 100.000.000 di marchi e con una riserva di 10.000.000 di marchi. Esso avrà la sua sede a Colonia, invece che a Dusseldorf, dove era stato finora. La succursale che esisteva a Berlino sarà trasferita alla « Disconto Gesellschaft» che pro­ cederà alla sua liquidazione.

Come motivo di questa grande operazione, si di dice che la « Deutsche Bank », assorbendo,

Un’importante fusione bancaria in In­ ghilterra. A Londra e stata in questi giorni ufficialmente annunziata la fusione della Wilts

and Bordset Banking Company di Salisbury

con la Lloyds Bank.

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