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Analisi del processo di liberalizzazione del mercato elettrico italiano con riferimenti al contesto europeo

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Indice

Introduzione

...Pag. 4

1 La filiera elettrica e i regimi organizzativi attuabili

..…... .Pag. 6

1.1 La gestione del settore elettrico in regime di monopolio...Pag. 6

1.2 La filiera dell'elettricità...Pag. 8

1.3 Quali regimi organizzativi e quale ruolo per lo Stato?...Pag. 11

1.3.1 Borsa dell'energia elettrica all'ingrosso...Pag. 12

1.3.2 Contratti bilaterali diretti...Pag. 14 1.3.3 Acquirente Unico e modelli ibridi...Pag. 14 1.3.4 Gestione della rete e integrazione verticale...Pag. 15

2 La liberalizzazione della fornitura di elettricità

in europa

...Pag. 17

2.1 Le principali direttive comunitarie...Pag. 18

2.1.1 Le direttive 90/377/CEE e 90/547/CEE...Pag. 18

2.1.2 La direttiva 96/92/CE...Pag. 19

2.1.3 Le novità introdotte dalla direttiva 2003/54/CE...Pag. 21 2.1.4 La direttiva 2009/72/CE...Pag. 22 2.2 Le riforme nazionali in Europa...Pag. 23 2.2.1 Il Nord Europa e le liberalizzazioni: Gran Bretagna e Penisola Scandinava, due casi opposti...Pag. 24 2.2.2 La riluttanza della Francia nell'introduzione di un mercato

realmente concorrenziale...Pag. 31 2.2.3 Le particolarità della Germania...Pag. 34

2.3 Il processo di liberalizzazione del settore elettrico italiano...Pag. 35

2.3.1 Il Decreto Bersani...Pag. 36

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2.4 Conclusioni...Pag. 39

3 Prezzi e distorsioni del mercato: gli esiti della liberalizzazione in

Italia e l'indagine condotta dall'autorità settoriale

...Pag. 41

3.1 Il prezzo dell'elettricità in Italia...Pag. 41

3.1.1 Componenti del prezzo...Pag. 41

3.1.2 Andamento dei prezzi in Italia e in Europa...Pag. 42

3.2 Problematiche evidenziate dall'Autorità...Pag. 43

3.3 Criticità relative ad aspetti strutturali e agli asset

tangibili del settore...Pag. 44

3.3.1 Diversificazione delle fonti...Pag. 44

3.3.2 Composizione del parco di generazione...Pag. 46

3.3.3 Congestioni di rete, divisione del mercato in zone e distribuzione

geografica degli impianti...Pag. 48 3.3.4 Pivotalità degli operatori nella determinazione dei prezzi...Pag. 52

3.4 Problematiche relative al modello di borsa elettrica e all'organizzazione del

mercato...Pag. 54

3.4.1 Italian Power Exchange: la borsa elettrica...Pag. 54 3.4.2 Segnali di prezzo e allocazione efficiente degli investimenti...Pag. 57 3.4.3 Strumenti finanziari derivati...Pag. 59

3.5 Conclusioni...Pag. 62

4 Gestione delle criticità e tematiche connesse all'evoluzione del

settore

...Pag. 64

4.1 Dati recenti sui prezzi dell'energia elettrica...Pag. 64

4.2 Miglioramento delle infrastrutture ed evoluzione

del modello di mercato...Pag. 68

4.2.1 Distribuzione della potenza tra gli operatori, rete, distribuzione impianti

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4.2.2 Considerazioni sul meccanismo del PUN...Pag. 71 4.2.3 Introduzione degli strumenti finanziari derivati...Pag. 71 4.2.4 Considerazioni finali...Pag. 72

4.3 Diversificazione delle fonti: il Piano 20-20-20 e l'exploit

delle rinnovabili...Pag. 73

4.4 Le questioni connesse all'utilizzo di fonti rinnovabili...Pag. 75

4.4.1 Il problema della “non programmabilità”...Pag. 75 4.4.2 Domanda, overcapacity e remunerazione investimenti...Pag. 76 4.4.3 Soluzioni per favorire l'integrazione delle rinnovabili...Pag. 77

4.5 Conclusioni...Pag. 81

5 Evoluzione strategica dell'azienda ENEL: dal monopolio al libero

mercato

...Pag. 84

5.1 Storia dell'ENEL e profilo dell'azienda...Pag. 84

5.1.1 Storia dell'azienda...Pag. 84 5.1.2 Evoluzione della struttura organizzativa...Pag. 87

5.2 L'adattamento della strategia al mutamento del contesto...Pag. 88

5.2.1 La strategia della multiutility...Pag. 89 5.2.2 Il ritorno al core business e la crescita internazionale...Pag. 92 5.2.3 Una nuova visione strategica: le fonti rinnovabili e l'elettrificazione dei

consumi...Pag. 94

5.3 Conclusioni...Pag. 95

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Introduzione

Il settore elettrico mostra la propria importanza sin dai primi anni del Novecento, dove in molte nazioni funge da “locomotiva” trainante lo sviluppo economico e sociale.

A dimostrazione del ruolo primario di questo settore nello sviluppo industriale italiano vi è l'interessamento del governo, che lo nazionalizza proprio nel momento di maggior crescita conosciuto dal nostro Paese, ovvero il “boom” economico degli anni Sessanta. Così come avvenuto in altre realtà europee, il “dirigismo” economico e l'intervento dello Stato costituirono la principale forma di gestione e di razionalizzazione della fornitura di elettricità, elemento fondamentale nello sviluppo industriale di una nazione.

Nei primi anni Novanta e già fin dagli anni Ottanta, il cambiamento della situazione economica, le crisi petrolifere e le nuove idee sulle modalità ottimali di gestione di un settore economico (più inclini alla fiducia nei meccanismi di mercato che non nella farraginosa e inefficiente proprietà pubblica) portarono un'ondata di privatizzazioni in tutta Europa. Lo strumento della liberalizzazione dei settori venne di conseguenza, al fine di non traslare irresponsabilmente in mani private quelli che erano stati i vecchi monopoli pubblici. L'input alla liberalizzazione del settore elettrico è venuto quindi dall'Europa stessa, con le direttive comunitarie emanate a partire dal 1996, anche se alcuni considerano Gran Bretagna e Paesi dell'area scandinava i veri ispiratori del processo.

Ad ogni modo, la fine degli anni Novanta segna in Italia anche la fine del monopolio pubblico a favore dell'ENEL, e il nostro Paese intraprende la strada che lo condurrà al libero mercato in un settore dove, fino a pochi anni prima, l'idea di introdurre la competizione pareva quantomeno utopistica. Il motivo di tale idea risiedeva nel fatto che, in un settore ove fosse presente un monopolio naturale, la presenza di più competitors non è auspicabile a livello di efficienza produttiva. In realtà, quello che cercheremo di analizzare nel nostro lavoro, è che è possibile introdurre la competizione anche in un settore come quello elettrico, semplicemente distinguendo i segmenti nei quali un regime di mercato sarebbe attuabile da quelli in cui il monopolio naturale richiede una regolamentazione particolare.

Quello appena accennato sarà il tema che riguarderà il primo capitolo del lavoro, dove parleremo dei regimi organizzativi che sono attuabili nel settore, e di come si possono dividere i segmenti della filiera elettrica in modo da riformare la gestione del settore stesso introducendo la competizione laddove sia possibile. Il secondo capitolo farà invece riferimento alle novità normative che portarono l'Europa a rivoluzionare la fornitura di elettricità. Dopo aver toccato il tema a livello europeo, cercheremo di scendere maggiormente nel dettaglio analizzando dapprima

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alcuni casi europei a nostro parere significativi, e in seguito dedicandoci al caso italiano e alle modalità in cui nel nostro Paese è stata condotta la riforma del settore. Da lì in poi il lavoro si concentrerà sulla realtà italiana. Nel terzo capitolo, ci baseremo su un'indagine condotta nel 2005 dall'allora AEEG (Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas), oggi AEEGSI (Autorità per l'Energia Elettrica, Gas e Servizi Idrici), basata sulla valutazione dei risultati della liberalizzazione dell'elettricità in Italia. Come vedremo, la suddetta valutazione è essenzialmente effettuata in termini di prezzi e di differenza tra il loro andamento in Italia e nel resto d'Europa. Saranno evidenziati, dunque, i problemi strutturali che, nel parere dell'Autorità, affliggevano il settore impedendo alla liberalizzazione di dare i propri frutti. Nel quarto capitolo ci dedicheremo in primis all'analisi del modo in cui sono stati affrontati i problemi che erano stati evidenziati nel capitolo precedente, e poi parleremo delle nuove tematiche rilevanti per il settore alla luce del livello dei prezzi riscontrato nei dati più recenti a nostra disposizione. Il lavoro si conclude con un capitolo, il quinto, riservato allo studio di un caso specifico, ovvero quello relativo all'azienda Enel e alle strategie attraverso le quali ha saputo reagire alla liberalizzazione del settore in cui, in precedenza, operava come unico soggetto monopolista.

Vorrei ringraziare il Professor Lorenzo Corsini per il prezioso aiuto datomi nella stesura di questo lavoro, e per la totale disponibilità e pazienza mostrate nel darmi consigli e indicazioni utili lasciandomi, al contempo, libero e indipendente nell'analisi dell'argomento scelto.

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Capitolo 1

La filiera elettrica e i regimi organizzativi attuabili

In questo primo capitolo introdurremo l’argomento, cercando di descrivere le caratteristiche tecniche del settore che andremo ad esaminare e le modalità in cui esso può essere organizzato a livello economico. Il capitolo ha natura descrittiva e introduttiva, pertanto è forte la connessione con altri testi di riferimento: la funzione di questa introduzione è di presentare le fonti a cui ci siamo attenuti nella stesura. Nei prossimi capitoli, le introduzioni saranno invece incentrate sul fornire un punto di raccordo con quanto detto nei capitoli precedenti e sul contestualizzare gli argomenti successivamente affrontati.

Il paragrafo 1.1, dove si accenna brevemente ai regimi di monopolio che furono introdotti nel periodo post-bellico in Europa, è ispirato dal testo “Guido Carli e le privatizzazioni dieci anni dopo” a cura di Franco Grassini (2001) e dal manuale “Monopolio naturale, concorrenza, regolamentazione” di Guido Cervigni e Massimo d’Antoni (2001). Per quanto riguarda la descrizione da un punto di vista tecnico del settore, che affrontiamo nel paragrafo 1.2, ci atterremo alla suddivisione delle attività della filiera effettuata dall’Unione Europea in ambito di riforma (Consiglio Europeo, 1996) e successivamente ripresa dagli stessi autori ai quali ci siamo riferiti nella stesura del paragrafo 1.1. Quando parleremo invece delle modalità di organizzazione economica del settore (paragrafo 1.3) faremo riferimento al Rapporto sull’energia, documento del 2006 dell’IRES (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali) redatto dai ricercatori Notargiovanni, Degrassi, Sanna e disponibile sul sito del Sole24ore, nonché in parte anche ai medesimi autori ai quali ci siamo appoggiati per i paragrafi 1.1 e 1.2. Tutti gli altri testi che sono stati di aiuto nello studio e nella preparazione alla stesura del capitolo, pur in mancanza di riferimenti diretti ad essi, sono indicati in bibliografia.

1.1 La gestione del settore elettrico in regime di monopolio

Il modello tradizionale di fornitura dell’elettricità è basato su una struttura di monopolio legale orizzontalmente e verticalmente integrato in tutte le fasi della filiera produttiva (Cervigni-d’Antoni, 2001). Tale modello fu adottato in tutta Europa a seguito del secondo conflitto mondiale. La struttura dei mercati nazionali in quel periodo era costituita dalla presenza di oligopoli privati, con poche compagnie a dividersi i vari mercati nazionali e gli elevati margini di profitto, senza alcuna regolamentazione né razionalizzazione delle strutture produttive (Grassini, 2001). A nostro parere,

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le esigenze di adozione di un tale modello furono molteplici, tra cui in primis la necessità di ingenti investimenti per la ricostruzione, che portò molti Paesi ad abbracciare la filosofia keynesiana che promuoveva una politica tesa ad accrescere il ruolo dello Stato sia come programmatore dello sviluppo che come attore diretto nei settori strategici, come appunto quello dell’energia. Il desiderio di riorganizzazione della struttura produttiva e di eliminazione degli squilibri territoriali, la volontà di aumentare le dimensioni delle imprese (al fine di renderle più competitive) finanziando incrementi di capitale con denaro pubblico, l'esigenza di fornire al governo uno strumento efficace per svolgere una politica di pieno impiego, la necessità di ottenere un coordinamento tra forme di trasporto o di produzione di energia tra loro in concorrenza o complementari (Grassini, 2001), nonché, probabilmente, motivazioni “sociali” come la garanzia del servizio su tutto il territorio e la tutela di particolari categorie di utenti, furono ulteriori motivi che portarono la maggior parte dei Paesi a nazionalizzare i mercati dell’energia. Il primo Paese a nazionalizzare l’elettricità fu la Francia, che nel 1946 costituiva l’Electricité de France (EDF), ente verticalmente integrato che ha continuato a operare in regime di sostanziale monopolio fino alla riforma comunitaria del 1996. In questo Paese, dopo il secondo conflitto mondiale, la concentrazione industriale era già molto alta e le sole difficoltà incontrate sulla strada della nazionalizzazione furono di natura politica (Grassini, 2001). La Gran Bretagna aveva già sperimentato l’intervento pubblico nel settore elettrico fin dal 1929, con la Central Electricity Generating Board, nata con il compito di creare la rete di trasmissione nazionale. La piena nazionalizzazione del settore avvenne nel 1948. In Italia, come vedremo in maniera più approfondita, con la nazionalizzazione e la nascita dell’ENEL si pose fine al regime di oligopolio delle cosiddette “baronie elettriche” (Grassini, 2001), affidando all’Ente pubblico il delicato compito di razionalizzare il comparto produttivo (notevolmente sbilanciato tra Nord e Mezzogiorno) e di “rispondere alla crescente domanda elettrica con costi contenuti” (dal testo della legge di nazionalizzazione). Non tutti i Paesi europei conobbero la nazionalizzazione, come ad esempio in Germania dove rimase in piedi un oligopolio costituito dalle compagnie di distribuzione locali. La revisione del modello di fornitura del servizio elettrico, e più in generale di tutti i servizi di pubblica utilità, ha coinciso con uno spostamento di enfasi degli obiettivi perseguiti attraverso l’intervento pubblico nel settore. Più specificatamente, una volta realizzato l’obiettivo dell’universalità del servizio, calato il fabbisogno di capitali sia per l’assestarsi della domanda di energia che per l’introduzione di tecnologie a ridotta intensità di capitale (Grassini, 2001), il focus dell’intervento pubblico nel settore elettrico è stato posto alla minimizzazione dei costi, all’utilizzo efficiente delle risorse disponibili, al contenimento dei prezzi onde favorire migliori condizioni di produzione delle imprese e un miglior tenore di vita dei consumatori (Cervigni-d’Antoni, 2001). Si è ritenuto che l’introduzione della concorrenza nelle fasi della filiera non caratterizzate da

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monopolio naturale fosse lo strumento più efficace per conseguire gli obiettivi appena elencati. Da qui i processi di liberalizzazione che sono stati intrapresi, ma prima di analizzarli è necessario descrivere le peculiarità del settore elettrico.

1.2 La filiera dell’elettricità

Intendiamo per sistema elettrico la struttura fisica grazie alla quale è reso possibile e fruibile il servizio elettrico. Il settore è un sistema a rete caratterizzato da un’elevata complessità (Grassini, 2001), dovuta alla natura stessa del bene distribuito. L’elettricità è infatti un bene peculiare che ha come caratteristica principale il fatto di non essere immagazzinabile, tranne in casi poco significativi. Da ciò discende la necessità, per le imprese che offrono tale bene, di avere sempre la capacità di rispondere a una domanda variabile, in modo da poter far fronte a eventuali picchi della domanda stessa. La sovra-capacità produttiva è dunque l’unica via perseguibile per assicurare la continuità del servizio, pur di fronte alle inefficienze strutturali misurate nella grande quantità di potenza inutilizzata nei momenti di minore richiesta. Ciò rende il sovradimensionamento degli impianti un vincolo tecnico che alza notevolmente le barriere all’entrata (Cervigni-d’Antoni, 2001). E’ inoltre necessario il coordinamento continuo tra immissione di elettricità nella rete e prelievo della stessa.

La filiera può essere suddivisa nelle fasi di generazione, dispacciamento, trasmissione, distribuzione e vendita (Consiglio Europeo, 1996).

 Generazione: la generazione consiste nella produzione di energia elettrica mediante la trasformazione di fonti primarie, per conversione diretta o indiretta. La conversione diretta permette di ottenere energia elettrica senza richiedere il passaggio attraverso alcuna forma di energia intermedia. L’attività recente delle principali imprese elettriche è stata indirizzata proprio verso lo sviluppo di dispositivi di conversione diretta che non risentano delle numerose inefficienze che si verificano, nel caso di conversione indiretta, nel passaggio da una forma energetica di partenza verso una forma di energia meccanica e, da questa, in energia elettrica (con conseguenti rendimenti complessivi molto bassi). Un impianto di produzione può usare fonti rinnovabili o non rinnovabili, e si può distinguere tra impianti di tipo tradizionale (termoelettrici, idroelettrici, geotermoelettrici, nucleari) e impianti che si basano su processi produttivi innovativi (impianti a ciclo combinato, impianti che sfruttano fonti rinnovabili, impianti di cogenerazione). In Italia fino agli anni Sessanta la grande maggioranza degli impianti di produzione era costituita da quelli idroelettrici (Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006) Successivamente, la produzione idroelettrica ha lasciato spazio agli impianti a combustione fossile, che sfruttano principalmente i derivati

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del petrolio. Fortemente legato all’utilizzo di questa tipologia di fonti, il sistema elettrico italiano si è trovato ad essere condizionato dalle oscillazioni del prezzo del greggio (Grassini, 2001. Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006). Dalla metà degli anni Settanta, a seguito della crisi petrolifera, si è puntato a sostituire la dipendenza dagli idrocarburi con l'utilizzo di altre fonti energetiche. Si ebbe un ritorno all’uso delle centrali idroelettriche, un incremento dell'utilizzo del carbone, del ciclo dei rifiuti e in particolare dell'energia nucleare. Quest’ultima fonte fu abbandonata, come noto, con il referendum del 1987. Attualmente sono in forte crescita, anche se ancora poco importanti in termini assoluti, la produzione geotermoelettrica, l’eolica e la fotovoltaica (Database AEEG). Le diverse tecnologie produttive sono caratterizzate da un differente rapporto tra costi variabili (causati sostanzialmente dai diversi combustibili impiegati) e costi fissi. Data la tecnologia produttiva e la variabilità della domanda, ai fini della minimizzazione del costo totale di generazione sarebbe richiesto l’utilizzo di impianti caratterizzati da diverse tecnologie: il parco di generazione ottimale comprende impianti a basso rapporto tra costi variabili e costi fissi attivati per il più elevato possibile numero di ore a copertura della domanda “di base”, e impianti ad elevato rapporto tra costi variabili e costi fissi attivati per un numero ridotto di ore per anno a copertura dei picchi di domanda (Cervigni-d’Antoni 2001).

La potenza, misurata in Watt (W), è una nozione istantanea. La fruizione del servizio elettrico consiste nel prelievo di una data potenza per un determinato intervallo di tempo, comunemente l’ora: dunque, l’unità di misura rilevante per l’energia prelevata è il Watt per ora (Wh).

 Dispacciamento: questa è la fase che collega la generazione dell’energia alla trasmissione della stessa. Consiste nella determinazione, istante per istante, dell’insieme di impianti di generazione che devono immettere energia elettrica nella rete. Rappresenta un momento di coordinamento più che di produzione in senso stretto, e la sua importanza è data dalla necessità di dover mantenere un continuo equilibrio tra domanda e offerta, a maggior ragione se consideriamo il fatto già accennato della “non conservabilità” di questa forma di energia. E’ necessario dunque un bilanciamento continuo delle richieste alla rete, attraverso un sistema di monitoraggio che fornisca il valore di quanta energia produrre, in ogni momento, con continuità e sicurezza per il territorio. “Il soggetto dispacciatore, in coordinamento con i subordinati centri di ripartizione e di controllo carico, procede alla stima dei carichi giornalieri sulla base delle serie storiche e del contesto (giorno feriale o festivo, previsioni atmosferiche ecc.) e determina i piani di produzione delle centrali elettriche; governa la rete e predispone l’assetto della rete in funzione, oltre che del

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bilanciamento della produzione e dei carichi, anche dell’indisponibilità di elementi di rete per lavori o per guasto.” (wikipedia).

 Trasmissione: consiste nel trasporto dell’energia elettrica per lunghe distanze, su reti ad alta tensione. Ci sono due aspetti tecnici che riguardano specificatamente la rete elettrica (Grassini, 2001): il primo è che, una volta immessa in rete, l’energia si diffonde secondo leggi fisiche difficili da controllare. Ciò significa che la relazione tra chi produce e l’utilizzatore finale è totalmente “anonima”, nel senso che è impossibile determinare l’origine dell’elettricità ottenuta dalla rete. Il secondo aspetto di cui tenere conto è che una parte dell’energia immessa in rete viene dispersa come risultato di imperfezioni nel sistema di trasmissione, e queste perdite sono tanto maggiori quando minore è il voltaggio e quanto più ampia è la distanza tra il produttore e il consumatore finale.

 Distribuzione: questa fase comporta il trasporto dell’elettricità dalla rete ad alto voltaggio fino all’utilizzatore finale, lungo reti a più bassa tensione. Ciò richiede la trasformazione dell’energia (appunto la riduzione del voltaggio). A livello di struttura e di determinanti dei costi, la distinzione tra trasmissione e distribuzione è più che altro convenzionale, in quanto tali elementi sono in larga parte analoghi (Cervigni-d’Antoni 2001). Le differenze nella logica di gestione, dal punto di vista tecnico, sono invece tali da permettere di distinguere le due fasi: la gestione della rete di trasmissione avviene su scala di sistema elettrico complessivo, mentre le interazioni tra grandezze rilevanti per la distribuzione hanno portata locale (Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006)

 Vendita: attività che consiste nell’offerta agli utenti finali del servizio elettrico. Ciò comporta quindi la definizione di opzioni tariffarie rivolte alle diverse tipologie di utenti, la responsabilità nei confronti dell’utente circa la disponibilità di energia elettrica nei tempi e alle condizioni prestabilite, la misurazione delle grandezze oggetto del contratto, la fatturazione e le attività commerciali connesse.

La gestione delle diverse fasi varia in relazione agli assetti organizzativi che l’industria elettrica può assumere (Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006). Dall’estremo di un assetto monopolistico orizzontalmente e verticalmente integrato, dove una sola azienda gestisce tutte le fasi della filiera, si passa all’altro estremo di una struttura di mercato de-integrata dove per ciascuna fase sono presenti uno o più soggetti separati dal punto di vista proprietario.

Le fasi di generazione e vendita si prestano ad essere organizzate competitivamente. Da un punto di vista produttivo, le economie di scala si esauriscono a livello di singolo impianto (Cervigni-d’Antoni, 2001). Per la vendita, le economie di scala sono essenzialmente legate alla presenza di rischi, principalmente connessi alla variabilità del prezzo all’ingrosso

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(Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006). L’utilizzo di reti fisse conferisce invece a trasmissione e distribuzione le caratteristiche di monopolio naturale (seppure su scala locale nel caso della distribuzione), compreso tra i fallimenti del mercato come caso particolare di “concorrenza imperfetta” (Corsini, 2015). A volte il potere di mercato di un’impresa può derivare da particolari caratteristiche tecnologiche del processo produttivo, ragioni strutturali che rendono in qualche modo inevitabile (appunto, naturale) il fatto che sul mercato operi un unico produttore. Tale definizione è distinta da quella di monopolio legale, situazione nella quale la presenza di competitori è esclusa per legge. La rete di trasmissione presenta le caratteristiche appena descritte, in quanto il numero ideale di imprese per la proprietà e gestione della rete è uno, per via degli elevati costi di creazione dell’infrastruttura, della non convenienza economica a duplicarla e dei minimi costi per aggiungere un ulteriore nodo alla rete che creano costanti economie di scala e rendono decrescente il costo medio unitario rispetto alla quantità di energia trasmessa e venduta. Dunque, quando i costi medi unitari sono decrescenti, è conveniente (dal punto di vista dell’efficienza produttiva) che una sola impresa serva tutto il mercato.

1.3 Quali regimi organizzativi e quale ruolo per lo Stato?

Qual è, in definitiva, il regime organizzativo migliore per la filiera dell’elettricità? Innanzitutto, cosa intendiamo per “migliore”? L’obiettivo è la minimizzazione dei costi di produzione, e quindi l’efficienza produttiva, che però non si traduca in una “rendita” delle imprese, libere di abusare della propria posizione di mercato e di fissare il prezzo a proprio piacimento. Il prezzo dovrebbe essere infatti fissato al livello del costo marginale come in regime concorrenziale, in modo da favorire la massimizzazione del benessere collettivo. L’ideale, dunque, sarebbe introdurre la concorrenza laddove sia possibile, prestando tuttavia attenzione alle fasi dove è presente il monopolio naturale, che rende efficiente la presenza di una sola impresa, e introducendo strumenti di coordinamento che rendano possibile la formazione di prezzi in regime di competizione. Cerchiamo di analizzare il mercato elettrico in modo più schematico e semplice possibile. L’offerta è costituita dai produttori di energia, ovvero coloro che operano nel ramo della generazione. La domanda è formata dai consumatori, intesi come “piccoli consumatori” (consumatori domestici) e “grandi consumatori” (imprese/consumatori industriali). Il collegamento tra domanda e offerta è costituito dalla rete di trasmissione e dalla distribuzione: la rete di trasmissione è una struttura unica e non economicamente duplicabile, fonte di monopolio naturale che perciò dovrebbe essere gestita da una sola impresa. Il meccanismo di distribuzione consiste nel collegamento tra la rete a livello nazionale alle reti periferiche a livello locale, e dovrebbe essere quindi organizzato in maniera efficiente, razionale, permettendo ai distributori locali pari diritti di accesso alla rete a condizioni

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non discriminatorie. Il dispacciamento è l’attività con cui si sceglie quale impianto di produzione dovrà in un preciso istante produrre la quantità richiesta, onde permettere a livello complessivo di sistema di bilanciare continuamente offerta e domanda di energia. Immaginiamo che mettendo in concorrenza i vari produttori ci sia un incentivo a ridurre i costi e ad abbassare i prezzi, ma solo di fronte ad un mercato libero dove i consumatori possano scegliere il proprio fornitore. Un modello che potenzialmente soddisfa queste esigenze potrebbe corrispondere dunque ad un mercato dove sia presente concorrenza nella generazione e vendita di energia, e dove produttori e consumatori siano connessi attraverso una tipologia di mercato che consideri la particolarità del bene prodotto (non conservabilità ed esigenza di coordinamento continuo tra domanda e offerta) e contemporaneamente favorisca la formazione dei prezzi in regime di concorrenza.

1.3.1 Borsa dell’energia elettrica all’ingrosso

Il modello della borsa dell’elettricità costituisce il sistema nel quale le transazioni economiche riflettono più fedelmente il fenomeno fisico al quale si riferiscono (Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006). L’equilibrio tra immissioni e prelievi di energia elettrica in una rete è un fenomeno globale: tutti i generatori che immettono energia nella rete in un dato istante rendono congiuntamente possibile il prelievo della stessa energia da parte di tutti gli utenti. Dal punto di vista fisico non ha senso, in generale, attribuire la copertura del prelievo in un dato punto all’immissione in uno specifico altro punto della rete (Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006). Dal punto di vista economico la borsa ha un funzionamento analogo, in quanto la controparte per ciascun soggetto che immetta o prelevi energia elettrica nella/dalla rete è il gestore della borsa. Gli acquirenti abilitati ad operare sul mercato all’ingrosso dell’energia sono i rivenditori e gli utenti con prelievi elevati. In questo modello organizzativo, il gestore della borsa determina le curve di domanda e offerta di energia per intervalli di tempo solitamente di mezz’ora o di un’ora. Le curve vengono così determinate: ogni generatore dichiara, per ciascun intervallo di tempo, una serie di combinazioni di potenza che è disposto a immettere nel sistema di trasmissione e di prezzo che richiede; ciascun acquirente, sempre per ciascun intervallo, dichiara una serie di combinazioni di potenza che intende prelevare e prezzo che è disposto a pagare. La curva di offerta è determinata ordinando, per ciascun intervallo temporale, le offerte dei generatori secondo il cosiddetto “ordine di merito”, per il quale verranno dispacciate per prime le offerte con un rapporto migliore tra quantità e prezzo. La curva di domanda è determinata ordinando le richieste dei consumatori in ordine crescente di disponibilità a pagare. Dall’incontro delle due curve, per ogni intervallo temporale si ottiene il prezzo di equilibrio, chiamato “prezzo spot”. Saranno chiamati a produrre tutti i generatori con richieste uguali o minori al prezzo di equilibrio, mentre sono autorizzati al prelievo tutti i consumatori la cui disponibilità a pagare risulta uguale o maggiore del prezzo di equilibrio. Il prezzo spot è il valore che viene pagato

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da tutti gli acquirenti e viene corrisposto a tutti i generatori, che sono quindi incentivati a produrre in maniera efficiente al fine di 1)poter partecipare al mercato 2)massimizzare il margine di profitto dato dalla differenza tra costi di produzione e prezzo di equilibrio. L’incentivo per il produttore è tuttavia a praticare un prezzo il più possibile vicino al costo marginale di produzione, data la maggior possibilità che ne deriverebbe, per il produttore stesso, di essere dispacciato (Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006).

Contemporaneamente, però, c’è un rischio connesso a tale meccanismo: quello cioè di incentivare accordi di cartello tra i produttori, che di comune accordo potrebbero praticare alti prezzi in modo da far crescere il prezzo spot. Rischio che diminuisce in un mercato concorrenziale, caratterizzato da un numero elevato di produttori (Grassini, 2001).

Coerente con un’organizzazione basata su una borsa dell’elettricità all’ingrosso è un regime della fornitura concorrenziale, in quanto il rivenditore ha incentivo ad acquistare al minimo costo, altrimenti verrebbe sostituito da competitors con costi inferiori (Cervigni-d’Antoni, 2001). I piccoli consumatori possono tuttavia, per vincoli tecnici, non avere accesso a un distributore operante in un’area diversa da quella ove risiedono. Ricordiamo infatti che la distribuzione presenta gli stessi elementi di monopolio naturale della trasmissione, anche se a livello locale. In questo caso, ciascun distributore ha un mercato ad esso vincolato, e l’incentivo ad acquistare al minimo costo potrebbe essere ripristinato per via regolatoria (Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006).

Accanto al mercato delle trattative in tempo reale, dove avvengono le transazioni fisiche e si forma il prezzo spot per ogni intervallo di tempo, è opportuno costituire un mercato dove vengono conclusi contratti a termine il cui scopo è la copertura del rischio connesso alla variabilità del prezzo spot nel lungo periodo. Sia i consumatori sia i produttori hanno in generale interesse a proteggersi dalla variabilità del prezzo nel tempo (Cervigni-d’Antoni, 2001). Un esempio di tali strumenti ampiamente utilizzato nella pratica (AEEG, 2005) è quello relativo al Contratto per le Differenze bidirezionale che presenta le caratteristiche di un contratto future. Assumiamo per semplicità che tale contratto venga stipulato da generatore e acquirente, entrambi con l’intento di coprirsi dal rischio di variabilità del prezzo spot. Oggetto del contratto è la differenza tra il prezzo spot e un prezzo contrattuale p, relativamente ad una quantità contrattuale q.

Il contratto stabilisce che:

1) se spot>p, il generatore paga all’acquirente (spot - p)q; 2) se spot<p, l’acquirente paga al generatore (p - spot)q;

In questo modo il generatore è coperto dalla diminuzione del prezzo spot, e l’acquirente è coperto da un suo eventuale aumento. Rispetto alla quantità q oggetto del contratto, l’acquirente pagherà al generatore il prezzo p indipendentemente dal suo valore spot. La presenza di un mercato di questi

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strumenti derivati costituisce un disincentivo per eventuali grandi produttori ad abusare della propria posizione dominante in quanto, per le quantità oggetto di contratto, si troverebbero a dover pagare per eventuali aumenti di prezzo.

1.3.2 Contratti bilaterali diretti

Il modello basato su contratti bilaterali costituisce una versione decentralizzata di quello basato sulla borsa. In questo tipo di organizzazione la fornitura di energia elettrica è contrattata direttamente tra generatore e acquirente. L’accordo prevede dunque che il generatore immetta nel sistema di trasmissione una certa quantità di energia in un determinato momento, e che l’utente prelevi la stessa quantità nello stesso momento. A differenza della borsa, generatori diversi possono ricevere nella stessa ora prezzi diversi per l’energia elettrica immessa nella rete. La gestione del sistema di trasmissione è più complessa rispetto al modello basato sulla borsa elettrica, in quanto in quest’ultimo caso la minimizzazione dei costi di generazione e trasmissione viene affidata al soggetto dispacciatore. Al contrario, in un modello basato su scambi bilaterali il dispacciamento avviene su base volontaria e la minimizzazione dei costi è affidata alle transazioni stesse; in altre parole il gestore della rete di trasmissione non può scegliere quali impianti selezionare in ogni momento per minimizzare i costi, perché così facendo “forzerebbe” le transazioni.

1.3.3 Acquirente unico e modelli ibridi

Nel modello dell’Acquirente unico abbiamo un’agenzia che acquista energia elettrica in regime di monopsonio (un acquirente di fronte a una pluralità di venditori), e che la rivende in regime di monopolio. Su di essa gravano le responsabilità di adattamento della domanda all’offerta e di minimizzazione dei costi di generazione. L’attività di dispacciamento è quindi riservata all’Acquirente unico, che acquista l’energia tramite asta; i generatori che si aggiudicano l’asta possiedono e gestiscono gli impianti di produzione e l’Acquirente chiama a produrre gli impianti sotto contratto in modo da minimizzare il costo totale di generazione. La competizione tra i generatori avviene in fase di asta, e solo in quel momento: la competizione è quindi per il mercato e non sul mercato. Il regime di fornitura agli utenti finali più coerente è quello monopolistico (Cervigni-d’Antoni, 2001), sebbene potrebbe essere introdotta concorrenza nella fornitura rendendo l’Acquirente unico una sorta di “rivenditore di primo livello”, unico monopolista nella vendita a fornitori di secondo livello in concorrenza tra loro sul mercato al consumo. Problemi di potere di mercato potrebbero presentarsi nel caso in cui l’Acquirente possieda propri impianti di generazione, cosa che quindi non deve essere permessa; inoltre, nel passaggio da una situazione che preveda la presenza di un monopolista ad un modello come quello dell’Acquirente unico, la iniziale concentrazione industriale nel ramo della generazione comporterebbe il grave rischio di comportamenti collusivi in fase d’asta (Grassini, 2001). Anche in questo caso, quindi, la

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competizione viene favorita dalla presenza di un elevato numero di soggetti generatori, e si renderebbe necessaria la disintegrazione orizzontale di un soggetto monopolista eventualmente preesistente.

Spesso, nella realtà, non ci sono modelli “puri” di organizzazione del mercato ma modelli “ibridi” di cui un esempio è costituito dallo schema che prevede la presenza di un Acquirente unico in regime di borsa. In tal caso il mercato è suddiviso in una parte servita dall’agenzia, che opera come fornitore degli utenti che non hanno accesso al mercato, e una parte dove operano i normali meccanismi di borsa (un esempio è il modello italiano). In tal caso il dispacciamento è riservato al gestore della rete, e l’Acquirente unico è un soggetto che opera come gli altri nel mercato elettrico.

1.3.4 Gestione della rete e integrazione verticale

La gestione della rete dovrebbe essere nelle mani di un soggetto indipendente, pubblico o comunque soggetto a regolazione in quanto monopolista. Come abbiamo già accennato, il soggetto che gestisce la rete dovrebbe svolgere il proprio compito cercando di minimizzare non solo i costi di acquisto dell’elettricità immessa nel sistema, ma anche i costi di trasmissione: quindi, per considerare l’efficienza della rete nel suo complesso, il servizio di dispacciamento deve essere integrato con la gestione della rete di trasmissione. Elemento da evitare assolutamente dovrebbe essere l’integrazione verticale, soprattutto per quanto riguarda il soggetto che gestisce la rete di trasmissione, il quale possiede un considerevole potere sulle aziende a monte e a valle della filiera e potrebbe, se verticalmente integrato, abusarne per praticare condizioni discriminatorie di accesso alla rete nei confronti di quelle aziende che gli facciano concorrenza in altri rami della filiera (Grassini, 2001). L’accesso a condizioni non discriminatorie è infatti indispensabile per il funzionamento di un mercato concorrenziale. Nel caso in cui si provenga da un regime di monopolio pubblico, è necessaria dunque la separazione della gestione della rete.

Quando parliamo di “separazione” il termine da usare è unbundling (tradotto letteralmente “spacchettamento”). Possiamo distinguere diverse tipologie di unbundling, corrispondenti a differenti gradi di separazione:

unbundling contabile: semplice separazione contabile tra le differenti aree di attività di un’azienda (logistica, produzione…);

unbundling societario (o legale): separazione delle attività in società giuridiche distinte. La proprietà e la gestione delle attività vengono assegnate a un soggetto giuridico differente, ma è ancora ammessa la presenza di una società capogruppo;

unbundling funzionale: separazione delle attività di un'impresa integrata in attività indipendenti da un punto di vista organizzativo, decisionale, gestionale. Viene applicata alle sole attività in concessione, indipendentemente dal fatto che sussista una condizione di

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separazione giuridica fra tali attività. La proprietà della rete rimane in capo all’operatore attivo sulle diverse attività della filiera;

unbundling proprietario: separazione delle attività in società completamente indipendenti e controllate da proprietari divisi.

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Capitolo 2

La liberalizzazione della fornitura di elettricità in Europa

Come abbiamo accennato nel primo capitolo, la grande maggioranza degli Stati europei, per varie esigenze economiche, sociali e politiche, aveva nazionalizzato la fornitura di energia elettrica nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. All’inizio degli anni ’90, quando la Gran Bretagna e i paesi scandinavi, i cosiddetti “pionieri delle liberalizzazioni” (Notargiovanni-Degrassi-Sanna 2006), introdussero misure che liberalizzavano il settore, l’Europa era caratterizzata da monopoli pubblici scarsamente efficienti e in molti casi concentrati su poche fonti energetiche (Basini, 2015. Bortolotti-Siniscalco, 2007. Baldassarri-Macchiati-Piacentino, 1997). Il settore italiano costituiva un esempio lampante di questa tendenza: era infatti fortemente dipendente dai combustibili fossili, con i prezzi dell’energia connessi all’andamento del prezzo del petrolio (situazione evidenziata dalle ripercussioni che anni prima aveva avuto la crisi petrolifera), e con il monopolista pubblico accusato di scarsa efficienza per le costanti perdite di esercizio e per la mancanza di investimenti sulla rete (Baldassarri-Macchiati-Piacentino, 1997). I vantaggi del monopolio naturale a livello della rete di trasmissione, se sfruttati su scala continentale avrebbero comportato un netto calo dei costi di produzione, ma scarsi collegamenti tra le reti nazionali e la differenza dei regimi di accesso alla rete nei vari Paesi non favorivano gli scambi transfrontalieri di energia. Si rendeva necessario, quindi, un maggiore coordinamento delle reti, che con l’allargamento del mercato rilevante, avrebbe diminuito il potere dei monopolisti e differenziato gli impianti di generazione in base alle materie prime utilizzate, con i vantaggi connessi a tale differenziazione in termini di diminuzione dei costi di produzione (cap.1, par 1.2) e di alleggerimento della dipendenza di alcuni sistemi nazionali da fonti specifiche.

Andando oltre l’aspetto strettamente connesso al settore elettrico, bisogna dire che a livello più generale, ideologico e politico, si stavano diffondendo già dagli anni ’80 una crescente sfiducia verso la proprietà pubblica e l’idea che il mercato concorrenziale e la proprietà privata potessero massimizzare l’efficienza delle aziende, portando “paradossalmente” all’aumento di quel benessere collettivo che proprio tramite la regolamentazione e le imprese pubbliche era stato ricercato. Tale linea di pensiero si evince dai vari dibattiti politici di quel periodo (Basini, 2015. Baldassarri-Macchiati-Piacentino, 1997) che ponevano al centro delle questioni economiche la privatizzazione delle aziende pubbliche, le cui inefficienze (dovute alla mancanza di incentivi all’economicità, per la garanzia di copertura delle perdite da parte dello Stato) appesantivano i bilanci pubblici, e

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indirettamente le tasche dei contribuenti. Si pensi che, come vedremo in seguito, nell’Inghilterra degli anni ’80 la presa di potere del governo conservatore di Margareth Thatcher avvenne con una campagna elettorale incentrata quasi esclusivamente su questo punto (Bos, 1991. Basini, 2015). Possiamo ritenere, dunque, che tutti questi fattori di stampo politico, ideologico, economico, che riguardavano in maniera specifica il settore in esame, ma rilevanti anche a livello più generale, siano stati la spinta principale per l’ondata di riforme che ha caratterizzato il decennio ’90 europeo.

2.1 Le principali direttive comunitarie

Esaminando i testi delle direttive comunitarie, un punto che troviamo interessante è costituito dagli incipit dei documenti, dove vengono descritti gli argomenti dei dibattiti, in sede di Parlamento Europeo, al momento della discussione delle direttive stesse. Attenendoci a questi documenti, possiamo evidenziare quelli che nella nostra interpretazione sono gli obiettivi generali che si intendeva perseguire con le riforme.

Gli obiettivi primari della politica europea in ambito elettrico erano:  unificazione del mercato;

 creazione di un ambiente competitivo (per quanto possibile, considerando le specificità del settore in questione).

Questi due aspetti, più che un fine, costituivano un mezzo per l’ottenimento di:  maggiore efficienza della produzione;

 abbassamento generale dei prezzi;

 sicurezza dell’approvvigionamento e del sistema in generale.

La distinzione tra la prima e la seconda categoria di obiettivi non è contenuta in nessuna direttiva né in alcun documento che abbiamo consultato, ma è semplicemente un espediente per una maggiore chiarezza espositiva.

2.1.1 Le Direttive 90/377/CEE e 90/547/CEE

I primi segnali dell’intenzione di introdurre elementi comuni nel mercato energetico a livello europeo si ebbero nel 1990 con le direttive 90/377/CEE e 90/547/CEE. La prima direttiva, emanata il 29 giugno 1990, concerneva la “trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas ed energia elettrica”. In realtà non erano introdotti elementi significativi da questa norma, se non l’obbligo, per le imprese fornitrici di gas o energia elettrica alle industrie, di comunicare i prezzi e le condizioni generali di vendita che esse praticavano ai consumatori industriali, nonché la “ripartizione dei consumatori serviti e dei relativi volumi per categorie di consumo”. La comunicazione doveva essere effettuata all’ISCE (Istituto Statistico delle Comunità Europee). I fini della direttiva erano quindi più che altro conoscitivi e statistici, anche se essa mostrò la crescente

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sensibilità in merito all’esigenza di uniformare a livello continentale le categorie di consumo e conoscere i prezzi ad esse praticati, “considerando che la trasparenza può contribuire ad eliminare possibili discriminazioni applicate nei confronti dei consumatori, favorendo la libera scelta tra fonti di energie e fornitori” (dall’incipit della direttiva).

Più specificatamente dedicata all’energia elettrica era la Direttiva Comunitaria 90/547/CEE che riguardava il transito di energia elettrica sulle grandi reti.

Veniva fornita innanzitutto una definizione precisa di “transito di elettricità tra grandi reti” come dell’attività che rispondesse ai seguenti criteri:

“1) il trasporto è effettuato dall'ente o dagli enti che sono responsabili in ogni Stato membro di una grande rete elettrica ad alta tensione [e quindi non dai distributori locali];

2) la rete di origine o di destinazione finale è situata nel territorio della Comunità; 3) il trasporto implica il superamento di almeno una frontiera intracomunitaria.” (dal testo della direttiva)

L’intento principale della direttiva era l’armonizzazione delle discipline nazionali che regolavano le condizioni di accesso alle reti, al fine di ridurre, tramite un maggiore coordinamento delle normative, le difficoltà negli scambi transfrontalieri di elettricità.

Era previsto che i contratti per le condizioni di accesso alle reti nazionali fossero negoziati con i gestori delle reti stesse e che le condizioni non fossero discriminatorie. La norma era molto generica, e lasciava ampio spazio ai vari legislatori nazionali, secondo il principio di sussidiarietà. Infine, la necessità di negoziazione delle condizioni di accesso alla rete con il gestore rendeva ancora più debole la norma, in quanto le condizioni erano in definitiva dettate dai gestori, in gran parte dei casi monopolisti verticalmente integrati senza alcun interesse ad aprire le frontiere alla competizione (Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006).

2.1.2 La Direttiva 96/92/CE

La prima direttiva comunitaria significativa nell’ambito del mercato elettrico fu la 96/92/CE, sottoscritta il 19 dicembre 1996 dal Parlamento Europeo, che riguardava “norme comuni per il mercato dell’energia elettrica”. La norma disciplinava l’intero settore in ogni suo ramo.

Generazione

Veniva permessa la costruzione di nuovi impianti di generazione, e gli Stati membri potevano scegliere tra due soluzioni, autorizzazione o gara d’appalto, per concedere i permessi a costruire. Nel caso di autorizzazione, procedura che è stata scelta da tutti gli Stati membri, il permesso avrebbe dovuto essere rilasciato in maniera obiettiva e non discriminatoria in base al rispetto di determinati criteri tra cui sicurezza, efficienza energetica, impatto ambientale, uso del suolo

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pubblico.

Era inoltre previsto che, almeno ogni due anni, gli organi competenti per la gestione delle reti di trasmissione nazionali pubblicassero una valutazione della domanda di energia elettrica e della richiesta di nuova capacità di generazione collegabile alla rete.

Riteniamo che, in un settore dove la produzione era riservata ai monopolisti pubblici, la possibilità di entrare nel ramo della generazione per qualunque soggetto che fosse autorizzato o che vincesse una gara d’appalto, unita alla maggiore informazione diffusa riguardo la domanda di nuovi impianti, di fatto rappresentasse un notevole abbassamento delle barriere all’entrata. Possiamo parlare quindi di instaurazione di un regime competitivo, anche se regolamentato per le particolarità del bene prodotto.

Gestione e accesso alla rete di trasmissione

Ciascuno Stato membro aveva il compito di riservare la gestione della rete di trasmissione nazionale ad un solo soggetto, responsabile del dispacciamento, e indipendente dalle attività non connesse alla trasmissione. Venne previsto l’unbundling gestionale dell’attività di governo della rete. L’indipendenza del soggetto che coordinava la rete era intesa, infatti, solo dal punto di vista della gestione (e non della proprietà). Per l’accesso, la scelta che potevano effettuare gli Stati membri era di disporne la regolazione o la negoziazione.

Nel primo caso erano pubblicate tariffe uguali per tutti, nel secondo caso produttori e fornitori di energia elettrica avrebbero dovuto negoziare le condizioni di accesso con il gestore della rete. A nostro parere, quest’ultimo punto della disciplina avrebbe potuto generare delle problematiche. La possibilità di scegliere una modalità di accesso alla rete che prevedesse la negoziazione delle condizioni con il gestore, unita all’unbundling gestionale (che non escludeva che la proprietà della rete potesse trovarsi nelle mani di soggetti verticalmente integrati, che operavano anche in altri rami della filiera), avrebbe potuto generare abusi di potere. Inoltre, non erano previsti particolari strumenti per limitare il potere dei soggetti verticalmente integrati, né autorità garanti che vigilassero sull’operato degli stessi.

Gestione della rete di distribuzione

Il legislatore europeo previde una divisione dei territori nazionali in “monopoli naturali locali” (Baldassarri-Macchiati-Piacentino, 1997), disponendo che fosse realizzato un sistema di tariffe regolamentate per i clienti serviti dai distributori. Per le imprese elettriche verticalmente integrate, venne prevista la separazione contabile della gestione della rete di distribuzione dalle altre attività della filiera.

Abbiamo accennato (cap. 1, par. 1.2) come il ramo della distribuzione presenti gli stessi elementi di monopolio naturale della trasmissione, ma a livello locale. Dividendo il territorio in monopoli

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naturali locali e riservando a ciascun distributore una parte del mercato dove egli possa soddisfare interamente l’offerta, si giunge ad una soluzione efficiente dal punto di vista dei costi di produzione (per la definizione stessa di monopolio naturale). La soluzione efficiente dal punto di vista allocativo, che si estrinseca in condizioni di prezzo che massimizzino il surplus complessivo dell’economia (Corsini, 2015), viene ottenuta tramite regolazione dei prezzi. Quindi, la soluzione europea per la distribuzione può essere considerata efficiente, anche se l’aspetto relativo alla sola separazione contabile poteva e doveva essere rivisto (Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006).

Apertura dei mercati

In un periodo che abbracciava i 6 anni successivi, si disponeva la libera scelta del proprio fornitore a favore consumatori che appartenessero a determinate fasce di consumo annuo. Inizialmente gli esiti della riforma erano riservati ai clienti industriali che consumassero almeno 40 GWh annui, che avrebbero potuto partecipare al mercato libero entro 3 anni. Entro altri 3 anni bisognava arrivare a tutti i soggetti (sempre industriali) che consumassero almeno 20 GWh annui. Queste categorie di consumatori venivano indicate come clienti idonei. I consumatori domestici erano temporaneamente esclusi dalla partecipazione al libero mercato.

Il concetto alla base di questo punto della normativa era l’apertura progressiva del mercato: aprire il mercato in maniera improvvisa a tutte le fasce di consumatori avrebbe causato una troppa disparità nel potere contrattuale tra consumatori e produttori, in quanto l’instaurazione di regimi competitivi avrebbe richiesto del tempo (Cervigni-d’Antoni, 2001).

2.1.3 Le novità introdotte dalla Direttiva 2003/54/CE

Le informazioni che si ricavano leggendo i paragrafi introduttivi della Direttiva 2003/54/CE sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, unitamente alle varianti introdotte da quest’ultimo provvedimento (che abrogò la precedente direttiva e si sostituì ad essa), ci portano a identificare fondamentalmente due generali ambiti di modifica. Il primo riguarda il potere di mercato dei gestori delle reti di trasmissione e distribuzione:

 mentre nella precedente direttiva si disponeva la semplice separazione gestionale dell’attività di gestione della rete di trasmissione e la separazione contabile dell’attività di distribuzione, qui abbiamo la separazione legale di tali attività, che devono quindi essere svolte in totale indipendenza e da una differente società, pur non essendoci l’obbligo di separazione della proprietà. Vennero inoltre previsti dei criteri minimi di indipendenza validi sia per i gestori della trasmissione che per i distributori tra i quali il divieto, per le persone che operavano nella gestione delle reti, di assumere posizioni societarie nell’azienda integrata che operasse in altri rami della filiera.

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modalità di accesso previsto è quindi quello regolato, con la determinazione e la pubblicazione, da parte delle autorità nazionali, di tariffe indiscriminate e obiettive.

Il secondo ambito di intervento che notiamo è relativo alla tutela dei consumatori e alla sempre maggiore apertura del mercato:

 il concetto di “cliente idoneo”, soggetto che poteva scegliere liberamente il proprio fornitore, sarebbe stato mantenuto come previsto dalla precedente direttiva fino al 2004 (tutti i clienti che superavano il consumo annuo di 20 GWh), per poi assumere nuovi contenuti dal 2004 al 2007 (tutti i clienti non domestici, indipendentemente dal consumo) e dal 2007 in poi (tutti i consumatori);

 furono introdotti obblighi di servizio pubblico concernenti vari aspetti come sicurezza dell’approvvigionamento, efficienza energetica, rispetto dell’ambiente, garanzia di servizio alle piccole imprese e a consumatori in particolari condizioni di reddito.

Infine, venne prevista l’istituzione, in ciascuno Stato membro, di un’autorità di regolamentazione indipendente con il compito di assicurare la concorrenza e il funzionamento del mercato in tutti i suoi aspetti, in ottemperanza con le previsioni della direttiva.

2.1.4 La Direttiva 2009/72/CE

L’ultimo provvedimento relativo alla liberalizzazione del settore elettrico in ambito comunitario è la Direttiva n. 72 del 13 luglio 2009. Essa abrogò e sostituì la precedente del 2003, confermandone tuttavia gran parte delle disposizioni, pur andando a rinforzare dei punti specifici della normativa. L’ambito di “ritocco” della precedente norma può in questo caso essere riassunto secondo quattro vettori principali:

 maggiore connessione dei mercati nazionali;  sicurezza dell’approvvigionamento;

 indipendenza dei gestori della rete;  facilitazione della concorrenza.

In riferimento al primo punto, venne previsto che gli Stati membri promuovessero, attraverso incentivi economici, lo sviluppo delle connessioni a livello internazionale per giungere alla creazione di macroregioni che ampliassero i mercati rilevanti al di fuori dei confini nazionali. Oltre allo sviluppo delle reti stesse, fu richiesta una maggiore cooperazione tra i gestori e l’armonizzazione delle legislazioni.

Gli investimenti nello sviluppo delle reti di trasmissione nazionale avrebbero favorito anche una maggiore sicurezza dell’approvvigionamento di elettricità, e furono delineate delle più chiare responsabilità nella predisposizione degli investimenti da parte del gestore di rete, che avrebbe

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dovuto presentare annualmente un piano decennale di investimenti all’autorità di regolamentazione che si basasse sulle previsioni di domanda e offerta.

Permase l’unbundling gestionale delle società che gestivano le reti di trasmissione e distribuzione, ma in entrambi i casi fu disposto che l’impresa che avesse avuto la proprietà di una rete avrebbe potuto agire solo come gestore della stessa, non potendo entrare in altri rami della filiera. Nel caso in cui la proprietà fosse stata di un ente verticalmente integrato, il governo avrebbe designato un gestore indipendente, che poteva comunque far parte dell’impresa integrata ma doveva essere totalmente estraneo alle altre attività della stessa, con un proprio potere decisionale, una propria forma giuridica e la conferma dei criteri minimi di indipendenza, previsti nella norma precedente, delle persone fisiche che vi operassero.

La promozione della concorrenza avveniva attraverso l’introduzione di misure che facilitassero il cambio di fornitore per i clienti che avessero desiderato farlo, nel rispetto delle disposizioni contrattuali di fornitura. Nella norma stessa viene invocata la minor burocratizzazione delle misure di cambio del fornitore, e fu previsto specificatamente che il cambio potesse avvenire entro e non oltre tre settimane, “indipendentemente dallo Stato membro nel quale il fornitore fosse registrato”.

2.2 Le riforme nazionali in Europa

La modifica dei modelli di gestione del mercato elettrico a livello europeo non poteva bastare se non sostenuta e legittimata da politiche nazionali coerenti tra loro e in linea con gli obiettivi comunitari.

Analizzeremo, prima di concentrarci sul caso italiano, alcune esperienze internazionali di liberalizzazione del settore elettrico.

Per la precisione, descriveremo l'esperienza della Gran Bretagna, della Francia, della Germania e dei Paesi Scandinavi. Vi sono motivazioni differenti alla base della scelta di ciascuno dei diversi casi.

Degno di nota è il percorso della Gran Bretagna e degli Stati dell'area scandinava, in quanto essi hanno intrapreso il processo molto prima del resto d’Europa e dell’emanazione delle stesse direttive. Interessante è anche il fatto che, mentre il modello scandinavo viene indicato come esempio virtuoso, da più parti si evidenzia il fallimento del sistema britannico (Termini, 2005. Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006).

L'interesse per il caso francese risiede nel parallelismo che possiamo effettuare tra il modello di gestione del mercato elettrico di questo Paese e quello italiano. Essi hanno avuto politiche del tutto simili dal momento della nazionalizzazione a quello in cui è stata promossa la liberalizzazione (Darnis-Sartori, 2015). In realtà, il parallelismo non si ferma al solo settore elettrico, ma coinvolge

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l'intera politica energetica dei due Paesi: per entrambi abbiamo ad esempio la presenza di un monopolista pubblico per la generazione e distribuzione di elettricità (EDF ed ENEL) e di società a controllo statale nel settore petrolifero e del gas naturale che hanno garantito a entrambi i Paesi una forte impronta statale nella pianificazione in ambito energetico (Darnis-Sartori, 2015). Dopo la liberalizzazione dei settori energetici e più in particolare del settore elettrico, viene a mancare questo parallelismo. Mentre infatti l'Italia ha promosso ampiamente la liberalizzazione per la necessità di recuperare competitività e di privatizzare (almeno formalmente) il monopolista pubblico (rendendosi in questo frangente più paragonabile alla Gran Bretagna), notiamo una certa riluttanza (quasi un “rifiuto”) della Francia stessa nel recepire le direttive europee, nella carenza di una reale volontà di abbandonare il modello di monopolio pubblico (per motivi di carattere che potremmo definire protezionistico).

È la Germania che mostra, infine, le maggiori peculiarità a livello di assetto del mercato elettrico, sia prima che dopo l'introduzione di un regime competitivo, rappresentando, per alcuni aspetti, un caso “unico”.

2.2.1 Il Nord Europa e le liberalizzazioni: Gran Bretagna e penisola scandinava, due casi opposti.

Gran Bretagna

La Gran Bretagna è il primo Paese europeo dove viene avviato un processo di liberalizzazione del settore dell’energia elettrica. Le riforme furono intraprese indipendentemente dalle decisioni a livello comunitario: il loro avvio si colloca a fine anni ’80. Il processo di liberalizzazione inglese si pone in un contesto più ampio che riguarda la politica di privatizzazioni attuata all’indomani della presa di potere dei conservatori guidati da Margareth Thatcher. L’inefficienza delle aziende pubbliche stava diventando, all' inizio degli anni '80, motivo di dibattito politico (Bos, 1991. Basini, 2015): “Le aziende pubbliche erano quasi tutte in eccesso di organico, […] malgestite e con passivi sistematici nei loro bilanci.” (Basini, 2015). La prima particolarità che cogliamo dunque nel caso inglese, è che l’intenzione di liberalizzare il settore elettrico discendeva dall'obiettivo di privatizzare le aziende pubbliche che vi operavano (Termini, 2005). Si cercò quindi di attuare la liberalizzazione a passi rapidi (Termini, 2005) onde poter collocare sul mercato le quote delle imprese. La politica della Thatcher era infatti quella di favorire l’acquisto di massa di azioni delle aziende pubbliche, al fine di creare public companies ad azionariato diffuso: questa mossa era tesa a “legare le mani” ai governi successivi, i quali avrebbero trovato molto difficoltosa, negli anni a venire, l'eventuale attuazione di politiche che invertissero la rotta (Basini, 2015). Da questa impostazione scaturì un modello che è stato definito successivamente “estremo” (Termini, 2005).

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subito a tutte le categorie di clienti, ai quali venne data la possibilità di scegliere liberamente il proprio fornitore, e fu istituito un modello centralizzato di mercato all'ingrosso dell'elettricità (la borsa elettrica) dal quale sarebbero dovute obbligatoriamente passare le transazioni. In altri casi (Italia compresa), per diversi anni, a fianco di eventuali piattaforme centralizzate di gestione delle trattative si era mantenuto un modello di contrattazioni bilaterali OTC (Over The Counter) finalizzato a rendere più graduale il processo di trasformazione del mercato.

Fin dal 1947, il settore elettrico inglese era stato caratterizzato da un regime di monopolio pubblico verticalmente integrato nel quale l’azienda di Stato, la British Electricity Authority, era stata formata rilevando l’attività di quasi 600 piccole compagnie di generazione presenti sul territorio e dell’allora gestore di rete pubblico CEGB (Central Electricity Generation Board). La BEA era a capo di dodici enti regionali, i quali gestivano le attività di distribuzione nei territori loro assegnati. L’emanazione dell’Electricity Act (1989) costituisce la prima tappa del processo di liberalizzazione del settore. Fu disposto l’unbundling legale del monopolista pubblico, la cui potenza efficiente fu ripartita tra due compagnie di generazione indipendenti, (National Power e Power Gen) che furono privatizzate attraverso la cessione sul mercato azionario nel 1991. Intanto, nel 1990, erano state privatizzate le dodici aziende di distribuzione, le quali controllavano la National Grid, società che gestiva la rete di trasmissione nazionale. Venne prevista la libertà di accesso per qualsiasi soggetto produttore alla rete attraverso tariffe regolamentate (Third Party Access).

Modello di organizzazione del mercato inglese e problematiche connesse

Il mercato all’ingrosso si svolgeva nel Pool, gestito dalla National Grid, dove si trattava l'energia da trasferire il giorno successivo ad intervalli di riferimento della durata di mezz’ora. Per ciascuno dei 48 intervalli del giorno seguente, ogni produttore doveva fornire informazioni relative a stato degli impianti, disponibilità di potenza (cioè quantità offerta), prezzo richiesto.

La modalità di formazione del prezzo era connessa al cosiddetto marginal price system, modello che andiamo ad introdurre e che è stato di seguito utilizzato anche in Italia. Il prezzo fornito da ciascuna unità di produzione rappresentava il minimo che essa era disposta a ricevere per la quantità di energia che metteva a disposizione. Contestualmente, ogni acquirente forniva al gestore, per ogni ora, il prezzo massimo che egli era disposto a pagare per le quantità specificate nell’offerta. La combinazione di tutte le proposte dei gestori, che venivano ordinate per prezzo crescente, costituiva la curva di offerta. La curva di domanda, invece, era formata dall’insieme delle combinazioni di prezzo che ogni acquirente fosse stato disposto a pagare per ogni quantità di energia offerta, ordinate per prezzo decrescente. Dall’intersezione delle due curve il gestore del mercato otteneva il prezzo di equilibrio, il quale determinava le offerte accettate. Venivano accettate le offerte con prezzo di vendita minore o uguale al prezzo di equilibrio, e le richieste con prezzo di domanda

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maggiore o uguale a quello di equilibrio. Il prezzo di equilibrio coincideva dunque con il prezzo più alto tra tutte le offerte accettate, e costituiva il valore a cui tutte le offerte erano remunerate: questo meccanismo, specificatamente al caso inglese ma anche a livello più generale, avrebbe dovuto costituire un incentivo all’efficienza. Infatti, i produttori che avessero sostenuto costi più bassi, avrebbero proposto condizioni più vantaggiose con più possibilità di essere scelti per produrre, e maggiori margini di profitto, rappresentati dalla differenza tra costi e prezzo di equilibrio (Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006. Cervigni-D’Antoni, 2001. AEEG, 2005).

Il modello inglese, dunque, era quello di una borsa elettrica funzionante con il marginal price system per intervalli di mezz'ora riferiti al giorno successivo.

In generale, il reale obiettivo dell'introduzione della concorrenza in un determinato settore dell'economia dovrebbe essere, essenzialmente, quello di portare un vantaggio ai consumatori. Dunque, un primo segnale dell'attuazione della liberalizzazione (con la conseguente introduzione di regimi concorrenziali) consiste teoricamente in un abbassamento dei prezzi (Termini, 2005).

Nello specifico, se ci riferiamo al Pool inglese notiamo come esso non abbia in realtà ottenuto un risultato positivo in termini di prezzi per i clienti finali. Dal 1990 al 1995, in termini reali, i prezzi sono aumentati del 29% per poi diminuire fino ad assestarsi nel 2000 a livelli leggermente superiori a quelli di partenza (Federico-Napolano, 2000). Questo è avvenuto nonostante fossero diminuiti, nel corso del decennio, i costi di materie prime e combustibili (Federico-Napolano, 2000). La motivazione di tale “fallimento” è stata attribuita essenzialmente alla struttura del mercato e agli effetti che una tale struttura aveva sul prezzo, la cui formazione era basata come abbiamo visto sul modello del marginal price system.

Al momento della liberalizzazione del mercato erano presenti due società di generazione (le quali derivavano dalla separazione dell’ex monopolista pubblico) che da sole ricoprivano i 3/4 dell’intera domanda di energia (Federico-Rapolano, 2000), ed inoltre possedevano la totalità degli impianti “di punta”, in grado di coprire i picchi di domanda, come spiegheremo meglio nel Capitolo 3.

Era dunque incentivata la collusione tra i due operatori al fine di fissare prezzi più alti, risultando essi indispensabili per la copertura della domanda di energia. Questo problema è stato imputato all’introduzione troppo affrettata di una borsa elettrica (peraltro obbligatoria) senza che prima si fossero formate le condizioni per una effettiva concorrenzialità nel meccanismo di formazione dei prezzi (Cervigni-D'Antoni, 2001. Termini, 2005).

Il lato positivo connesso a questa situazione era che gli alti prezzi costituivano un incentivo all’entrata nel mercato di altri operatori (Federico-Rapolano, 2000), in particolare gestori di impianti efficienti a ciclo combinato (Federico-Rapolano, 2000. Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006), i quali, dovendo sostenere costi più bassi, avevano la possibilità di ottenere ampi margini di

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