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La riluttanza della Francia nell’introduzione di un mercato realmente concorrenziale

l’azienda di stato EDF (Electricité de France). Prima di allora, analogamente ad altri Paesi, sul territorio era presente una moltitudine di piccoli produttori locali, impegnati nella generazione, nel trasporto e nella distribuzione di elettricità. La legge di nazionalizzazione impose a tali imprese di conferire i propri beni a EDF, a favore della quale venne istituito un monopolio legale verticalmente integrato.

Con la legge n. 108 del febbraio 2000, che recepiva la direttiva 96/92/CE, viene avviata la liberalizzazione del settore elettrico francese.

La gestione della rete di trasmissione nazionale venne separata da EDF e attribuita ad una nuova società, Reseau de Transport d’Electricité (RTE). Quest’ultima era dotata di “un proprio management e una propria mission” (Floro, 2011), ma rimaneva all’interno della struttura societaria di EDF. Si trattava quindi di una forma di unbundling gestionale. Fu disposta inoltre la separazione dell’attività di distribuzione locale, ma solo a livello contabile. In sostanza, EDF rimaneva integrata verticalmente.

In ottemperanza alle richieste della Comunità Europea venne creata un’autorità indipendente di regolazione, la Commission de Régulation d’Electricité (CRE).

L’attività della borsa elettrica prese avvio nel 2001 ed era gestita dalla società Powernext. Su questo mercato è presente una piattaforma per gli scambi fisici di energia, e dal 2004 è stato introdotto un mercato dei futures. Nel 2007 venne inoltre reso possibile concludere contratti bilaterali a termine fuori borsa, con la mediazione di una Clearing House.

Il limite minimo per la definizione di “cliente idoneo” fu stabilito dalla Commissione Europea stessa, di fronte all’immobilismo del governo francese (Floro, 2011. Martellucci, 2011). La Commissione stabilì che il limite minimo per ottenere lo status di cliente idoneo dovesse fissarsi in 16 GWh annui, il che individuava nei clienti idonei circa un terzo del mercato nazionale. Dunque, nel 2000 fu aperto il mercato ai clienti industriali che consumavano più di 16 GWh annui. Nel 2003 il limite scese a 7 GWh annui. Nel 2004 il mercato fu aperto a tutte le imprese indipendentemente dai livelli di consumo e nel 2007 a tutti i consumatori. Dal 2007, quindi, il grado di apertura “teorico” del mercato (ossia quello previsto dalla legge) ha raggiunto il 100%. In realtà tuttavia, il grado di apertura “reale” (inteso come la percentuale dei consumatori che effettivamente hanno fatto utilizzo del diritto di cambiare fornitore) è, secondo dati recenti, pari all’1% (Floro, 2011). La concentrazione del mercato è altissima, con EDF che attualmente costituisce l’unico player con una quota maggiore del 5%.

La riforma del mercato francese non riuscì a introdurre un reale mercato concorrenziale (Floro, 2011): l’unbundling era molto debole, non c’era la formazione di prezzi tramite il mercato libero ma permaneva un regime di tariffe regolamentate, ed infine era attuata una politica protezionistica a

favore dell’ex società di Stato. Per questi motivi, nel 2006 la Commissione Europea aprì due procedure contro la Francia e quest'ultima, nel settembre 2009, si impegnò alla progressiva rinuncia delle tariffe regolate e alla riduzione della posizione dominante di EdF, attraverso la cessione di un quarto della propria produzione ai nuovi entranti, a un prezzo che permettesse loro di competere sul mercato. Attualmente, nonostante il processo di liberalizzazione, il mercato dell’energia elettrica francese presenta i tratti caratteristici di un quasi monopolio (Floro, 2011). Il 90% della generazione di elettricità è riconducibile a impianti di EDF, la quale soddisfa più del 90% dei consumi finali.

EDF: l’azienda “di Stato”

Fino al 2004, EDF mantenne, oltre che la proprietà, anche la forma giuridica pubblica. Era infatti un “EPIC”, acronimo di Établissement public à caractère industriel et commercial, ossia “ente pubblico a carattere industriale e commerciale”. I motivi per cui cambiò forma giuridica (12 anni più tardi rispetto alla trasformazione in SPA dell'ENEL) sono diversi. Innanzitutto, nel processo di apertura del mercato dell’elettricità, lo stato di azienda pubblica conferiva a EDF un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti in ambito europeo, in quanto essa era coperta dalla garanzia illimitata dello Stato, e poteva dunque ottenere finanziamenti a tassi inferiori. Questa situazione fu oggetto di contestazione da parte dei concorrenti internazionali e degli organi antitrust comunitari, specialmente quando EDF iniziò una serie di acquisizioni, nel Regno Unito, in Italia e in Germania (Martellucci, 2011). Oltre a problemi per i concorrenti, lo status di impresa pubblica comportava il cosiddetto “principio di specialità”: l’azienda era infatti obbligata ad operare solo nel campo dell’elettricità, tralasciando quindi la possibilità di diversificazione delle attività. Aspetto, quest’ultimo, che dai primi anni successivi al 2000 cominciò a portare svantaggi per via dell’introduzione di nuove tecnologie che permettevano di sfruttare sinergie tra erogazione di elettricità e di gas (cicli combinati). Infine, EDF aveva bisogno di una struttura societaria che le consentisse di aumentare il capitale attirando nuovi soci.

Quindi, con la legge 803 del 9 agosto 2004, l'ex azienda pubblica assume la conformazione di società anonima (locuzione soppressa dal Codice Civile italiano del 1942, che comunque possiamo identificare con la Società per Azioni o altro tipo di società di capitali).

È interessante notare come lo Stato abbia mantenuto il 70% delle quote della società: in poche parole il cambiamento da società pubblica a privata fu solo formale, nel limite in cui era necessario ovviare alle problematiche sopra descritte. In questo possiamo notare un parallelismo con la stessa ENEL, il cui capitale sociale si è mantenuto a maggioranza statale per diversi anni dopo la privatizzazione formale (ossia il passaggio da ente pubblico a SPA).

Mentre ad esempio in Inghilterra, secondo le politiche della Thatcher, la vendita di azioni delle ex società pubbliche si tenne con azioni a prezzo ribassato, almeno inizialmente, per massimizzare la

diffusione e la vendita di azioni, sia in Francia che in Italia la prima tranche di capitale delle aziende pubbliche fu ceduta cercando di massimizzare gli introiti della vendita (Barucci-Pierobon, 2007). Sia ENEL che EDF continuarono, anche dopo la parziale privatizzazione, ad operare come aziende pubbliche perseguendo fini governativi, ed in questo si riconosce l'unica affinità tra i percorsi di riorganizzazione post-liberalizzazione del settore elettrico di Italia e Francia.

Mentre attualmente (2015) la quota pubblica nel capitale sociale di ENEL è minoritaria (circa il 20%), il capitale pubblico in EDF non è mai sceso sotto il 70%, confermando l'intenzione del governo francese di continuare a influenzare le politiche di settore nel campo dell'energia elettrica (Darnis-Sartori, 2015).