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3. La Germania è l’unica nazione europea ad aver inizialmente adottato la procedura negoziata di accesso alla rete In altre parole, società di produzione e vendita al dettaglio

2.3 Il processo di liberalizzazione del settore elettrico italiano

2.3.1 Il Decreto Bersan

Il riferimento principale per la liberalizzazione del mercato elettrico italiano è il Decreto Legislativo 16 marzo 1999, n. 29, altrimenti noto come “Decreto Bersani”, dal nome del Ministro dell’Industria che ne fu l’ispiratore. La norma fu emanata onde recepire la direttiva comunitaria del 1996 e introdusse diverse novità nel panorama del settore.

Fu disposto l’unbundling societario dell’ENEL, che dovette costituire società separate per lo svolgimento delle attività di generazione, proprietà della rete di trasmissione, gestione della rete di trasmissione e dispacciamento, distribuzione e connessa vendita ai clienti vincolati, vendita ai clienti idonei.

In ottemperanza alla politica europea, venne tolta all’ex monopolista pubblico ENEL l’esclusiva sulla generazione e importazione di energia elettrica. Fu scelta la procedura di autorizzazione per la costruzione di nuovi impianti. Tuttavia il problema risiedeva nel fatto che l’Ente deteneva la quasi totalità della struttura produttiva italiana, fatta eccezione per gli autoproduttori, le municipalizzate e i piccolissimi produttori. Anche introducendo la possibilità, per eventuali concorrenti, di essere autorizzati a costruire nuovi impianti, di fatto il settore sarebbe rimasto in una situazione di quasi monopolio dell’ENEL. Venne quindi posto l’obbligo, per chi operasse nel ramo della generazione, di non oltrepassare il 50% della quota di mercato. Il limite sarebbe scattato nel 2003, anno entro il quale il monopolista era obbligato a cedere 15000 MW di capacità produttiva al fine appunto di scendere alla quota prevista dal decreto. Il provvedimento fu accusato di eccessiva “timidezza” (Marco Patucchi, intervista a Pierluigi Bersani su Repubblica del 31 ottobre 1999), dato che così facendo si lasciava all’Ente una posizione nettamente dominante rispetto agli altri competitor che sarebbero eventualmente entrati nel mercato. Ad ogni modo, la capacità produttiva ceduta dall’ENEL fu conferita a tre società elettriche (Gen. Co. che sta per Generation Company) che furono appositamente create: Eurogen, Elettrogen e Interpower messe in vendita tra il 2001 e il 2002.

Dispacciamento e Trasmissione

Al fine di separare la gestione della rete di trasmissione nazionale, fu disposto che l’ENEL costituisse una società per azioni a cui cederla. Tale società era il GRTN (Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale), di proprietà del Ministero dell’Industria. La società proprietaria della rete era Terna, partecipata al 100% dall’ex monopolista. Nel 2005, dopo che l’ENEL, a seguito di una serie di cessioni sulla borsa di Milano e ad investitori istituzionali, non era più l’azionista di controllo di Terna, la gestione della rete divenne competenza di quest’ultima. Il GRTN si trasformò nel GSE (Gestore dei Servizi Energetici), società attualmente controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, con altri tipi di funzioni (controllo dell’Acquirente Unico e del Gestore dei Mercati Energetici, e organo di incentivazione all’utilizzo di fonti rinnovabili).

Distribuzione e vendita ai clienti vincolati

L’attività di distribuzione veniva svolta sulla base di concessioni che costituivano dei monopoli locali di dimensioni minime pari a quelle dei Comuni di appartenenza. La concessione per territorio era unica, e dove operassero più distributori essi avrebbero dovuto aggregarsi. Lo scopo del provvedimento era la razionalizzazione della distribuzione, dato che, come abbiamo visto, a livello locale essa presenta caratteristiche assimilabili al monopolio naturale presente nella trasmissione. Le tariffe erano determinate dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG), autorità di regolazione settoriale già istituita nel 1995 con la legge n. 481.

Clienti idonei

Il mercato, nel rispetto della ratio comunitaria, è stato aperto in maniera progressiva, e soggetti con consumi via via minori hanno acquisito la qualifica di clienti idonei. Inizialmente la qualifica fu riservata a distributori e acquirenti grossisti che eventualmente rifornivano i distributori stessi, e ad ogni cliente industriale con consumi annui sopra i 30 GWh. Dal 2000 divenivano clienti idonei le imprese con consumi annui sopra i 20 GWh, dal 2002 quelle sopra i 9 GWh, ed infine dal 2004 tutti i soggetti in possesso di partita IVA.

Organizzazione del mercato elettrico

Il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale avrebbe dovuto costituire, entro pochi mesi dall’emanazione del decreto, due società che avrebbero fatto parte del mercato dell’energia elettrica. La prima era l’Acquirente Unico, soggetto adibito a stipulare e a gestire i contratti per i clienti vincolati, nonché a effettuare previsioni della domanda futura e comunicarle al gestore della rete allo scopo di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento per i clienti domestici. La seconda società era il Gestore del Mercato Elettrico (GME). Tale soggetto era adibito all’organizzazione del mercato e alla garanzia della riserva di potenza. Il decreto stabiliva che fino al 2001 si sarebbe operato in regime di contrattazioni bilaterali, con il GME che semplicemente doveva garantire una sede delle contrattazioni. Dal 2001 in poi sarebbe stato attivato un regime di contrattazioni centralizzate (borsa elettrica) dove il GME avrebbe gestito ed equilibrato la domanda e l’offerta. La borsa elettrica in realtà non fu attivata prima del 2004. Sia il Gestore del Mercato Elettrico (dal 2009 Gestore dei Mercati Energetici) sia l’Acquirente Unico sono attualmente partecipati al 100% dal Gestore dei Servizi Energetici. Nel 2007, in risposta all’evoluzione delle normative comunitarie, fu emanato in Italia il decreto legislativo n. 79 recante “misure urgenti per l'attuazione di disposizioni comunitarie in materia di liberalizzazione dei mercati dell'energia”. Si introduceva la separazione societaria per l’attività di distribuzione locale ove fosse svolta da aziende verticalmente integrate e si disponeva la totale apertura del mercato a partire dal 2007, anno in cui tutti i clienti vincolati avrebbero avuto la possibilità di recedere dal proprio contratto e scegliere liberamente il fornitore. Se non lo avessero fatto, sarebbero rimasti sotto la tutela dell’Acquirente Unico. Non si riscontrano altri provvedimenti significativi nel periodo che va dal 2007 ai giorni nostri.

Secondo uno studio condotto recentemente (Istituto per la Competitività, 2015), il nostro Paese è tra quelli caratterizzati dalle minori restrizioni al mercato dell’energia elettrica, ed è quello che, considerando la situazione di partenza, ha fatto più progressi in tema di liberalizzazione. Lo studio, basato su dati provenienti dal database OCSE, considera vari settori economici di cinque Paesi europei (Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna) per i quali vengono considerate una

serie di variabili riconducibili a tre ambiti che dovrebbero essere rappresentativi del grado di competizione presente in un settore: barriere all’entrata, integrazione verticale e struttura del mercato (intesa come quota di ciascun operatore); a ciascuna variabile viene assegnato un valore da 0 a 6, dove 0 indica la totale liberalizzazione e 6 l’assenza di liberalizzazione. Viene così sintetizzato per ogni Paese un valore unico complessivo che prende il nome di indice di restrittività, assegnato per ciascuno dei diversi settori dell’economia, in un arco di tempo che va dal 1975 ai giorni nostri.

Con riferimento al settore elettrico, la performance del nostro Paese viene definita “ottima”, con l’indice che dal 1999 ad oggi è sceso da 6 a poco più di 1, assestandosi sotto la media europea (tendente al 2). Il dato assume un valore ancor più significativo se si osserva il trend dell’indice di restrittività dal 2005 ad oggi, periodo nel quale il valore si è praticamente dimezzato. L’apertura della borsa elettrica all’ingrosso e l’apertura totale del mercato del 2007 hanno influito positivamente su questo dato.

2.4 Conclusioni

A nostro parere, il legislatore europeo ha complessivamente mostrato una buona capacità di comprensione delle esigenze di riforma del settore. Nel settore elettrico, il passaggio dal monopolio al mercato concorrenziale richiede: evitare l’integrazione verticale, con particolare attenzione alla separazione della gestione della rete di trasmissione e all’accesso indiscriminato all’utilizzo della stessa (Cervigni-d’Antoni, 2001. Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006); ridurre il potere dei monopolisti tramite l’allargamento del mercato rilevante e l’abbassamento delle barriere all’entrata (Baldassarri-Macchiati-Piacentino, 1997); dare la possibilità ai consumatori di operare liberamente sul mercato, mantenendoli temporaneamente sotto regimi tutelati che permettano l’accompagnamento graduale del consumatore nel mercato, in concomitanza con la modifica dello stesso (Cervigni-d’Antoni, 2001). Osservando le riforme europee possiamo dire che l’attenzione verso questi aspetti non è mancata, e c’è stata anche la capacità di “correggere il tiro” di fronte a interventi in un primo momento carenti (ad esempio l’abolizione della modalità di accesso alla rete “con negoziazione” nel 2003, o l’allargamento della qualifica di cliente idoneo alla totalità dei consumatori, sempre nel 2003 quando pochi anni prima quelli domestici ne erano esclusi).

Tuttavia, il fatto che non si stia verificando una convergenza dei prezzi (Notargiovanni-Degrassi- Sanna, 2006. AEEG, 2015. Eurostat) e che gli scambi transfrontalieri di elettricità siano ancora molto limitati (Notargiovanni-Degrassi-Sanna 2006. AEEG, 2015), ci induce a ritenere che uno dei due obiettivi che avevamo definito “primari” della politica comunitaria, la creazione di un mercato unico, non sia stato raggiunto. La valutazione del conseguimento dell’altro obiettivo primario, la

creazione di un ambiente competitivo, deve necessariamente essere effettuata considerando i singoli casi nazionali. Perché, dunque non siamo ancora arrivati al pieno funzionamento di un mercato unico dell’energia elettrica? Secondo la nostra opinione, il vero problema relativo alle riforme europee in ambito elettrico è il principio di sussidiarietà. Quest’affermazione potrebbe apparire eccessiva. Non si vuole qui criticare la validità di un principio fondante dell’Unione Europea, il quale anzi tutela la sovranità degli Stati Membri entro i propri confini nazionali e permette che “le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini” (Trattato di Maastricht, 1992). Tuttavia, all’interno di un settore come quello elettrico, risulta necessaria la massima coordinazione delle politiche nazionali, al fine di garantire che le economie di scala, che sono raggiungibili su grandi estensioni territoriali e per un mercato molto ampio (Cervigni-d’Antoni, 2001), unite alla concorrenza che si crea quando c’è un elevato numero di produttori e un elevato numero di consumatori liberi di scegliere il proprio fornitore, portino a condizioni di concorrenza tali che ne possano trarre beneficio tutti i consumatori, intesi come cittadini e imprese. La possibilità, data dal principio di sussidiarietà, di applicare la normativa europea nei limiti delle esigenze economiche e delle particolarità dei vari mercati nazionali (Grassini, 2001) ha portato ad una scarsa coordinazione tra le politiche dei vari Paesi (Notargiovanni-Degrassi-Sanna, 2006). Finché questo problema non sarà risolto, non potremo parlare di “mercato europeo dell’elettricità” e non potremo apprezzarne i vantaggi in termini di riduzione dei prezzi, elemento che influirebbe positivamente sulla competitività delle imprese nazionali nonché sul benessere dei cittadini (Termini, 2005).

Capitolo 3

Prezzi e distorsioni del mercato: gli esiti della liberalizzazione in Italia