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Luciano "Homeromastix": Le Verae Historiae come parodia delle interpretazioni omeriche

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Filologia, Letteratura e

Linguistica

Corso di Laurea Magistrale in

Filologia e Storia dell’Antichità

(classe LM-15)

Tesi di Laurea Magistrale

Luciano “Homeromastix”

CANDIDATO

Matteo Pisani

RELATORE

Chiar.mo Prof. Alessandro Grilli

CONTRORELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Maria Domitilla Campanile

ANNO ACCADEMICO 2019/2020

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Indice

1. Introduzione ... 5

1.1 Il genere letterario ... 6

1.2 Il rapporto con Omero ... 8

1.3 Il rapporto con la filosofia ... 12

1.4 Le Verae Historiae e l’allegoria ... 14

Prima Sezione

La parodia dell'Allegoria: cinque esempi

2. La Guerra tra Seleniti ed Elioti ... 19

2.1 Catturati da strane creature ... 20

2.1.1 Catturati dagli Ippogrifi ... 20

2.1.2 Catturati dagli Nefelocentauri ... 23

2.2 La battaglia sulla Luna ... 25

3. Le donne-vigna e le donne-asino ... 37

3.1 L’episodio delle donne-vigna ... 38

3.1.1 Dioniso ed Eracle ... 38

3.1.2 L’incontro con le donne-vigna ... 42

(3)

3

3.1.4 Le Sirene e Odisseo dopo Omero ... 46

3.1.5 Le donne-vigna e le Sirene ... 51

3.2 L’episodio dell’isola delle donne-asino ... 52

4. L’isola di Ogigia ... 55

5. Nel ventre della balena ... 64

5.1 La balena come luogo di intrappolamento ... 64

5.2 L’antro delle Ninfe tra Porfirio e Numenio ... 66

5.3 Luciano, il cristianesimo e Celso ... 69

5.4 Il libro di Giona ... 71

5.5 I Cristiani commentatori di Omero ... 73

Seconda Sezione

La parodia sulla scena: Incontri con gli obiettivi della parodia

6. L’isola dei sogni ... 77

7. Incontri con i filosofi e le filosofie ... 89

7.1 Socrate ... 90 7.2 Platone ... 92 7.3 Aristippo ed Epicuro ... 93 7.4 Diogene e il cinismo ... 94 7.5 Crisippo e lo stoicismo ... 95 7.6 L’Accademia ... 97 7.7 Pitagora ... 99

7.8 Possibili allusioni al cristianesimo ... 100

(4)

8.1 L’incontro con il Poeta ... 103

8.1.1 Da dove vieni? ... 104

8.1.2 Ha scritto davvero i versi atetizzati? ... 107

8.1.3 Perché Μῆνις è la prima parola dell’Iliade? ... 108

8.1.4 Omero ha scritto prima l’Iliade o l’Odissea? ... 109

8.1.5 Omero era cieco? ... 110

8.2 Luciano e le sue “palinodie” di Omero ... 112

8.3 Omero dà prova delle sue capacità? ... 115

8.4 Considerazioni generali sull’incontro con Omero ... 118

9. Conclusioni ... 120

10. Bibliografia ... 129

10.1 Edizioni, traduzioni, commenti e scoli di Luciano ... 129

10.2 Edizioni, traduzioni, commenti e scoli di altri autori ... 129

10.3 Studi ... 131

11. Indice dei passi citati ... 141

12. Indice dei concetti ... 145

(5)

1.

Introduzione

Luciano di Samosata, un autore molto prolifico, un orientale, greco di cultura, che ha viaggiato in lungo e in largo per l’Impero, un eclettico, uno spirito sagace e pungente, sempre pronto a mettere in discussione tutto e tutti e acerrimo nemico della Verità sistematizzata… Questo, forse, in pochissime parole un ritratto – che non ha certo la pretesa di essere esaustivo – del Samosatense1.

L’opera su cui ci concentreremo è uno dei suoi capolavori, forse il capolavoro per eccellenza: le Verae Historiae o, come ci trasmettono i manoscritti, Ἀληθῆ διηγήµατα2. Titolo alquanto beffardo e sarcastico, già esso si presta a diverse interpretazioni: nel guardare le traduzioni nelle lingue moderne del titolo emerge un’alternanza tra il singolare e il plurale (ad esempio “Storia Vera” o “Storie Vere”) che ci induce indirettamente a riflettere sull’opportunità o meno di considerare tutta la narrazione come unitaria; inoltre, le traduzioni in italiano non evidenziano un punto che, invece, emerge nei titoli dell’opera lucianea in lingua inglese: alcuni, infatti, traducono con True History e altri con True Stories, mettendo così in relazione l’opera rispettivamente con le narrazioni storiche (e in quanto tali veridiche) o con i racconti.

1 Per una rassegna commentata degli studi su Luciano a partire dagli anni ’30 del secolo scorso si veda

MACLEOD 1994.

(6)

In ogni caso, il tema della verità è posto al centro dell’opera, senonché – parole dello stesso autore – ἓν […] δὴ τοῦτο ἀληθεύσω λέγων ὅτι ψεύδοµαι3. Subito chiaro già dall’inizio l’intento parodico dell’opera, satirico nei confronti di coloro che hanno scritto pretendendosi veridici: poeti, storici, filosofi (VH, I, 2) e, tra questi, il loro ἀρχηγὸς […] καὶ διδάσκαλος τῆς τοιαύτης βωµολοχίας ὁ τοῦ Ὁµήρου Ὀδυσσεύς4, niente meno che l’Odisseo di Omero, che negli Apologoi ad Alcinoo ha raccontato molti avvenimenti a dir poco inverosimili.

1.1 Il genere letterario

Dunque, che opera sono le Verae Historiae? Uno dei pochissimi punti – o forse addirittura l’unico – su cui tutti gli studi su Luciano e le Verae Historiae concordano è quello di ritenere che sia praticamente impossibile definire in modo univoco a quale genere letterario appartenga l’operetta più famosa del Samosatense. In generale, possiamo, però, affermare che alla base vi sia un intento parodistico o satirico, unito ad una lunga serie di elementi fantastici5.

Per tentare di gettare una luce maggiore, per quanto ancora fievole, sul problema – che non si pretende di risolvere in questa sede – è necessario, prima di esaminare alcuni giudizi dei moderni, partire da una testimonianza di età bizantina circa le fonti delle Verae

Historiae: il patriarca bizantino Fozio, infatti, nella sua Bibliotheca, mette in relazione i

τὰ ὑπὲρ Θούλην ἄπιστα, le Meraviglie al di là di Thule, di Antonio Diogene, datandole circa al I sec. d. C., all’operetta di Luciano, dicendo: Καὶ γὰρ τοῦ περὶ ἀληθῶν διηγηµάτων Λουκιανοῦ καὶ τοῦ περὶ µεταµορφώσεων Λουκίου πηγὴ καὶ ῥίζα ἔοικεν εἶναι τοῦτο [scil. τὰ ἄπιστα]6.

3 Luc., VH, I, 4: “dirò la verità soltanto in questo, cioè che mento”. Tutte le traduzioni, se non

diversamente specificato, sono di chi scrive.

4 Luc., VH, I, 3: “primo duce e maestro di una così grande ciarlataneria”. 5 Già VON MÖLLENDORFF 2000, p. 1.

6 Photius, Bibl., cod. 166, 111b, 35-37: “quest’opera [scil. gli Apista] sembra essere la fonte e la radice

delle Verae Historiae di Luciano e delle Metamorfosi di Lucio [di Patre]”. Anche uno scolio (RABE 1906,

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1. INTRODUZIONE

7

Il giudizio di Fozio ha avuto un certo peso anche nella critica del secolo scorso, tanto che l’opera di Antonio Diogene è stata considerata come il modello principale dell’operetta lucianea e si è persino tentato di ricostruire il testo degli Apista a partire da quello delle Verae Historiae7, interpretando entrambe le opere come dal forte influsso pitagorico.

Questa interpretazione lascia, però, forti dubbi: innanzitutto per la difficile collocazione cronologica8 di Antonio Diogene – che oscilla tra I e II sec. d. C. e, dunque, quasi contemporaneo di Luciano: il rapporto di dipendenza diretta diventa, quindi, sempre meno verosimile –, e poi anche per la natura dell’opera. Gli Apista, infatti, sono un’opera monumentale, di 24 libri – così dicono le fonti –, in cui sono presenti entrambi i temi fondamentali del romanzo, quello erotico e quello del viaggio (stando alla ricostruzione di Fozio, cod. 166, 109-110); le Verae Historiae, invece, se da un lato presentano evidentemente il tema del viaggio, quello erotico è ben poco rappresentato e, per lo meno, non è uno dei due fulcri della narrazione.

Presso i moderni l’opera è stata variamente interpretata come parodia del romanzo d’amore9, o di quello di viaggio10, o anche come parodia della letteratura utopica11, e addirittura come romanzo di fantascienza ante litteram12. L’intento parodico è stato identificato anche nei confronti della letteratura filosofica13 o della storiografia14 e, più in generale, dell’intera tradizione letteraria greca, a cominciare dalla poesia (con Omero in

7 REYHL, 1969. La sua ricerca è stata condotta anche grazie alla scoperta di nuovi papiri e al confronto

con altre fonti, come la Vita Pythagorae di Porfirio.

8 Si vedano ANDERSON 1976b, pp. 1-11 per l’impossibilità di utilizzare le VH per ricostruire gli Apista

e MORGAN 1985 per quanto riguarda il contrasto cronologico.

9 Si veda BAUMBACH 2004.

10 “c’est bien une parodie de la littérature romanesque” BOMPAIRE 1958, p. 660. Bompaire, comunque,

si focalizza sul romanzo di viaggio (parodie de roman de voyage), notando che – giustamente – la componente erotica è presente in scarsissima parte e solo in relazione ad Omero (p. 674). In questo senso va anche l’introduzione di CATAUDELLA 2015. Per il romanzo di viaggio si veda anche ROMM 2008.

11 Già in nuce in BOMPAIRE 1958, p. 659; poi NESSELRATH 1993, pp. 41-56, fino alla “satire of the

imaginary voyage” in FUSILLO 1999, p. 380. Da ultimo si veda CARSANA 2008.

12 Già dal titolo “Lucian's Science Fiction Novel, True Histories” in GEORGIADOU-LARMOUR 1998 e in

seguito NÍ MHEALLAIGH 2017. Anche in parte ANDESRON 1976a, pp. 23-40.

13 Si vedano GEORGIADOU-LARMOUR 1998 e GEORGIADOU-LARMOUR 1998*.

14 Si vedano BALDWIN 1973, pp. 92-93; HALL 1981, pp. 339-354 e, più ampiamente, GEORGIADOU

(8)

primis)15, rendendo il componimento – per utilizzare una felice metafora di Bompaire (BOMPAIRE 1958, p. 672) un “rêve de bibliothécaire” dedicato al piacere degli eruditi, dei

πεπαδευοµένοι16.

L’intenzione satirica nei confronti dell’ambiente culturale del II sec. d. C. e del problema dell’esistenza della Verità è un altro elemento senza dubbio importante dell’opera e ciò ha spinto alcuni interpreti a vedere nelle Verae Historiae la creazione di un’utopia metaletteraria17: esse creerebbero un mondo che viola volontariamente le regole dei generi con chiaro intento satirico nei confronti sia della forma che del contenuto, all’interno di un’opera in cui la “transgénéricité” e la “transmédialité”18 la fanno da padrone.

Come notato dalla vastità delle testimonianze e dalla diversità delle opinioni, non sembra possibile giungere ad una soluzione univoca dell’annosa questione: pare, piuttosto, adeguato constatare la molteplicità delle interpretazioni possibili che, alcune più legittime di altre, hanno tutte un fondo di verità.

1.2 Il rapporto con Omero

Un aspetto delle Verae Historiae – già abbondantemente sottolineato negli scoli – è quello dei frequenti rimandi ad Omero e all’Odissea. Dall’inizio del XX secolo diversi commentatori hanno individuato numerosissimi luoghi del testo lucianeo che riprendono tramite allusioni più o meno evidenti determinate scene omeriche, soprattutto odissiache e, nello specifico, quelle del Grande Racconto (così come lo chiama Di Benedetto), cioè gli Apologi di Odisseo presso la corte di Alcinoo (Od., IX-XII), evidenziando come tra tutte le possibili quelle omeriche siano le allusioni più frequenti.

15 Questo atteggiamento è presente già in STENGEL 1911, p. 91 e poi in JONES 1986, pp. 52-55. 16 Si veda VON MÖLLENDORFF 2000, pp. 27 e ssg.

17 In questa direzione vanno gli articoli di GASSINO 2010; GASSINO 2011a; GASSINO 2011b. 18 Mutuo le felici espressioni da BRIAND 2017.

(9)

1. INTRODUZIONE

9

Uno studio pionieristico in questa direzione è il De Lucianii veris historiis di Albert Stengel, la sua dissertazione dottorale all’Università di Rostock (STENGEL 1911): egli

individua lo stretto rapporto che intercorre tra le Verae Historiae e i racconti presso Alcinoo, segnando i passi in cui l’opera lucianea allude a quella omerica, in un insieme di allusioni in cui, oltre al cieco cantore di Chio, hanno parte importante anche gli storici – con Erodoto e Tucidide in prima linea – e Aristofane.

Sempre focalizzato sulle diverse allusioni al patrimonio letterario dei Greci è l’opera “Literary Quotation and Allusion in Lucian” di Fred W. Householder (HOUSEHOLDER

1941), presentando in forma schematica i vari autori e le relative opere a cui Luciano allude all’interno di tutto il suo corpus.

Più specifico su Omero è lo studio “Les lectures homériques de Lucien” di Odette Bouquiaux-Simon (BOUQUIAUX-SIMON 1968), in cui si conclude che, come emerge da

tutte le sue opere, Luciano conosceva molto bene Omero, con una particolare attenzione a Od., IX-XII, e che, soprattutto, imita e riformula Omero e i problemi del suo testo, servendosi alle volte anche delle diverse lezioni della filologia alessandrina. Superando, almeno in parte, la caratteristica dei lavori di Stengel e di Householder, cioè quella dell’elencazione dei passi omerici, Bouquiaux-Simon apre per così dire la strada agli studi successivi che si focalizzano sulla maniera e sullo scopo con cui Luciano utilizza Omero. Se la forte presenza degli Apologoi nelle Verae Historiae potrebbe farci propendere per definire l’opera lucianea romanzo erotico o di viaggio – d’altronde i racconti presso Alcinoo possono essere intesi molto bene come prototipi di narrazioni romanzesche –, ciò mal si collegherebbe con un “prologo” (VH, I, 1-4, su cui torneremo) metodologico, potremmo dire, in cui l’autore rivela la costruzione della sua opera, e, più in generale, con l’utilizzo della forma (si veda par. 8.3) – non soltanto del contenuto – omerica da parte di Luciano, come dimostrano diversi studi degli ultimi decenni, che, più che concentrarsi sulle riprese e/o allusioni di Luciano a determinati contenuti omerico/odissiaci, si focalizzano sulla composizione di versi alla maniera di Omero da parte di Luciano o l’utilizzo di scene formulari – una per tutte, quella della tempesta.

Almeno a partire dall’importante articolo di Danielle van Mal-Maeder “Les détournements homériques dans l’Histoire Vraie de Lucien” (VAN MAL-MAEDER 1992)

si assiste al progressivo abbandono del tentativo di individuare a quale specifico passo omerico Luciano stia alludendo in quel determinato luogo di un suo testo, per concentrarsi

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sulle modalità con cui le allusioni avvengono: dal suo studio emerge come Luciano-autore sia stato in un certo modo costretto da un’ineluttabile necessità, impostagli dall’enormità del modello a cui si allude, Omero, a far compiere a Luciano-protagonista,

alter ego di Odisseo, determinate azioni, le stesse che il Larziade compie nel poema a lui

dedicato, come il riposo dopo la tempesta (si veda VH, I, 6) – azione che ritorna molto spesso – oppure come la richiesta di identità – altro avvenimento topico, dalle domande di Arete, a quelle della madre Anticlea, etc.

La ripresa della formularità omerica in Luciano è l’oggetto dell’articolo di Pascale Brillet-Dubois “L’art formulaire d’Homère dans les Histoire Vraies de Lucien” (BRILLET-DUBOIS 2006): in esso lo studioso francese come Luciano sia in un certo senso

un omerista, esplorando in modo più approfondito l’intuizione di van Mal-Maeder ed evidenziando come Luciano riutilizzi in realtà moltissime piccole scene formulari omeriche, nascondendo dietro eventi del tutto naturali e integrati nella narrazione prosaica piccoli particolari che alludono e parodiano scene omeriche; importante anche l’analisi dei versi che Luciano compone alla maniera di Omero (si veda VH, II, 24 e 28): “Lucien ne se contente donc pas de fabriquer un centon à partir de morceaux de vers épiques, mais se montre capable de créer des hémistiches inédits s’intégrant […] dans le système homérique. Son esprit, nourri d’épopée, non seulement mémorise les formules, mais semble aussi en saisir le mécanisme” (p. 222). Il Nostro arriva persino ad emulare “errori” di calcolo del Poeta, come mostra il breve ma assai interessante articolo di Georg Danek “Lukian und die Homer-Erklärung (VH I, 37, und Od. X, 203–9)” (DANEK 2000).

Ma la presenza di Omero non si limita all’imitazione dei contenuti o della forma: Luciano, infatti, all’interno delle sue peregrinazioni oltre le Colonne d’Eracle, avrà modo di incontrare ‘realmente’ sia il Poeta che Odisseo e persino di rivolgere ad Omero diverse domande, che hanno per oggetto molti temi della filologia omerica: in questo senso va l’importante lavoro di Heinz-Günther Nesselrath “Homerphilologie auf der Insel der Seligen: Lukian, VH II 20” (NESSELRATH 2002), in cui le cinque domande rivolte dal

Nostro al Poeta vengono analizzate e mostrano la confidenza e la competenza del Samosantense sul tema “Homerkritik” e di come egli abbia trattato con ironia mista a vena satirica un argomento di capitale importanza per i Greci di ogni tempo e, soprattutto, per gli intellettuali del II sec. d. C.

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1. INTRODUZIONE

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Da notare anche un altro elemento molto importante che lega in modo ancora più stretto Luciano e Omero, cioè il rapporto tra l’“autorialità”19 di Omero (e di Odisseo) e quella di Luciano. La rivelazione dell’autore di un’opera è sentita come necessaria, soprattutto da parte dell’autore stesso per provare la veridicità di ciò che va affermando20 e, all’interno di un’opera basata sul rapporto tra ἀλήθεια e ψεῦδος, questa necessità sembra farsi ancora più presente, tanto che il compito di rivelare il nome dell’io narrante (si veda VH, II, 28) spetta niente meno che ad Omero, considerato comunemente fonte di verità.

Questa è una delle pochissime volte21 (un’altra per tutte in Philopseudes, 2-3, altra opera che tratta del rapporto tra finzione e realtà) in cui Luciano autore rivela la sua ‘vera’ identità; il Poeta per eccellenza dedica un epigramma a un Λουκιανός ma il fatto che l’epigramma utilizzi i verbi di un tempo passato22, considerando quindi il viaggio già concluso, ci fa ipotizzare che il Luciano a cui è dedicata l’iscrizione non sia l’io narrante del racconto (VH, I, 5 – II, 47) – un narratore di secondo grado, alla maniera di Odisseo –, ma l’io narrante del prologo (VH, I, 1-4) – di primo grado. Un narratore interno, un narratore alla maniera di Odisseo negli Apologi – per dirla con Genette, Odisseo è proprio il modello di narratore “intradiégétique” e “homodiégétique”23 –, infatti, non può in linea generale parlare (o vedersi riferire qualcosa) al passato di un evento che deve ancora vivere; in questo modo l’identificazione avviene, in un momento di metalessi, con l’io narrante del prologo metodologico (VH, I, 1-4), quel primo io che come il narratore epico (Omero) può orchestrare i propri personaggi (Odisseo). Se nell’epica quasi sempre l’io orchestrante – che in ultima analisi corrisponde con l’autore – è nascosto, nelle Verae

Historiae si rivela proprio in I, 1-4 per poi scomparire in modo molto brusco a partire da

I, 5. Dunque, se all’inizio vi è a livello narratologico corrispondenza con Omero, in tutta

19 Senza entrare all’interno della millenaria questione omerica, autorialità di Omero è da intendersi non

sul piano filologico, ma su quello della percezione comune antica e ben florida in età imperiale – sopravvissuta fino ai giorni nostri – per cui l’Iliade e l’Odissea “sono” opere di Omero.

20 Si veda in proposito sul nome in Luciano NÍ MHEALLAIGH 2014, pp. 171-176 e, in linea teorica,

GENETTE 1997, pp. 40-41.

21 Si veda WHITMARSH 2004, p. 465, n. 5. Su Luciano narratore si veda anche HODKINSON 2018. Si

veda anche CAMEROTTO 2014, p. 23.

22 Luc., VH, II, 28: Λουκιανὸς τάδε πάντα φίλος µακάρεσσι θεοῖσιν | εἶδέ τε καὶ πάλιν ἦλθε φίλην ἐς

πατρίδα γαῖαν; “Luciano, caro agli dei beati, tutto questo | vide e giunse alla cara terra patria”.

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la narrazione vera e propria la corrispondenza è con l’Odisseo narratore del Grande racconto.

Tornando al livello tematico questa identificazione narratologica sia con Omero che con Odisseo è ribadita: infatti, durante l’intervista al Poeta (VH, II, 22), egli aveva rivelato di chiamarsi non Omero, ma Tigrane, ribaltando e annullando qualsiasi certezza della Grecità tutta, e tramite l’origine orientale legittima Luciano a considerarsi un suo alter

ego; con Odisseo, invece, l’identificazione avviene molto prima, proprio all’inizio del

viaggio (VH, I, 5), dove ne vengono spiegate le cause: un irrefrenabile desiderio di conoscenza spinge il personaggio (Luciano) e i suoi compagni alla navigazione verso Occidente. Quella della curiositas, però, non è una caratteristica – o per lo meno non la principale – dell’Odisseo omerico, ma di un Odisseo “di epoca successiva”.

Questo è proprio il punto focale: Luciano, infatti, all’interno della sua opera gioca con la vita letteraria di molti personaggi (come si evince dalla definizione ὁ τοῦ Ὁµήρου Ὀδυσσεύς, che sembra indicare il rapporto parentale tra Odisseo – figlio – e Omero) e, più in generale, con la “vita” delle opere omeriche nella cultura e letteratura dei Greci, prendendosene gioco in modo parodico24.

Gli aspetti notati – quello narratologico, stilistico e contenutistico – concorrono alla creazione di una vasta e sfaccettata parodia di Omero e, soprattutto, dei suoi interpreti, tanto che potremmo spingerci a “ribattezzare” l’opera lucianea “De Homero”.

1.3 Il rapporto con la filosofia

Un altro filone interpretativo delle Verae Historiae – che pure prende le mosse dall’Odisseo omerico, la cui scaltrezza e astuzia nel modificare la verità a suo piacimento sono presenti in filigrana già nei poemi omerici per poi emergere completamente nel

24 Genette (si veda GENETTE 1997, pp. 24-30) formula una nuova classificazione nei rapporti imitativi

tra i testi e, a proposito di parodia, possiamo notare un’importante divisione: “the difference between a semantic transformation (parody) and stylistic transposition (travesty)” (p. 27). Non pare che nelle VH questa distinzione sia calzante, dal momento che la satira ad Omero è così vasta da comprendere sia una trasformazione semantica – sarà proprio il fraintendimento del senso a generare parodia in alcuni casi – che utilizzo dello stile omerico per eventi anti-epici. Si continuerà ad utilizzare tout court il termine parodia, pur consapevoli dell’importante tassonomia di Genette.

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1. INTRODUZIONE

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teatro e nella produzione sofistica del V sec. a. C. – è quello che le considera un’operetta satirica nei confronti della filosofia intesa come ricerca del vero, in linea con altre opere lucianee più spiccatamente a carattere filosofico.

Un interessante articolo di Aristoula Georgiadou e David H. J. Larmour, “Lucian’s

Verae Historiae as philosophical parody” (GEORGIADOU-LARMOUR 1998*) evidenzia

come – soprattutto nell’episodio della guerra tra Seleniti ed Elioti – Luciano compia un viaggio all’interno della filosofia, parodiando tramite le più disparate allusioni e le creature ibride presenti nel mondo lunare le molteplici dottrine e scuole filosofiche antiche; queste considerazioni confluiscono, poi, nel commento generale dei due autori alle Verae Historiae, il loro libro “Lucian’s Science Fiction Novel - True Histories” (GEORGIADOU-LARMOUR 1998).L’importanza di questi due contributi risiede nel fatto di

aver sottolineato come, oltre all’elemento di critica omerica, fosse presente all’interno dell’operetta satiricia lucianea anche una forte critica filosofica, soprattutto contro lo stoicismo e l’epicureismo, in linea con altre opere come l’Icaromenippus, l’Hermotimus, o la Vitarum Auctio, anche se i due elementi (critica omerica e filosofica, per l’appunto) non sono stati messi in contatto tra loro.

In anni più recenti l’articolo di Peter Grossardt “Die zweite Reise des Odysseus in Lukians Verae Historiae” (GROSSARDT 2011) presenta il viaggio di Luciano, alter ego di

Odisseo, verso il nuovo continente come una parodia delle teorie del neopitagorismo e medioplatonismo che, all’epoca di Luciano, Numenio e Cronio stavano formulando: le diverse tappe del viaggio di Luciano, infatti, emulando le soste del viaggio del Laerziade, rappresenterebbero per la visione neopitagorica e medioplatonica il percorso dell’anima attraverso le generazioni, per raggiugnere la liberazione dal corpo; questo articolo, benché si concentri solo sul rapporto tra la lettura dell’Odissea fatta da Numenio e l’opera lucianea, contiene in nuce quello che sarà il fulcro di questo lavoro: cioè l’analisi del rapporto tra le Verae Historiae e l’interpretazione allegorica di Omero, focalizzandosi sulla parodia sviluppata da Luciano nei confronti non solo dell’erudizione omerica in generlae, non solo dell’assurdità della sistematizzazione filosofica, come ad esempio quella stoica, così duramente attaccata nell’Hermotimus, ma soprattutto del modus

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1.4 Le Verae Historiae e l’allegoria

Il tassello che unisce sia l’utilizzo dei poemi, dei personaggi omerici e la critica ai filologi da un lato che la parodia della veridicità della filosofia dall’altro – e che per tanto merita di essere investigato più a fondo – è quello della lettura allegorica di Omero, il punto di incontro tra filologia e filosofia, tra analisi testuale e messaggio ultimo del testo. In effetti, proprio nei confronti della vastissima produzione che analizza Omero dal punto di vista retorico, filologico e, soprattutto, filosofico25, Luciano prende posizione – non esplicitamente ma attraverso continue allusioni – su temi fondamentali legati alle diverse interpretazioni di Omero, soprattutto verso chi voleva vedere il Poeta come un maestro di verità e di ogni dottrina filosofica.

Nello sviluppo letterario e, in senso lato, culturale dei Greci Omero ha sempre avuto un ruolo di rilievo sia come vero e sincero modello per ogni aspetto della cultura e, più in generale, della vita26 sia, dal lato opposto, come πρῶτος εὑρετής da contraddire: un esempio su tutti è quello della rappresentazione degli dei data dai poemi omerici. Se da un lato c’era chi sosteneva – come, ad esempio, Platone – che la rappresentazione che Omero dava degli dei fosse empia, poiché li ritraeva mentre commettevano adulterio o si affrontavano in guerra tra loro (si veda Resp., 378d-e), dall’altro c’era chi – come Teagene di Reggio, del VI sec. a. C. – sosteneva che quelle rappresentazioni, come la Teomachia di Iliade XXI, che ad un primo impatto possono sembrare empie, avessero in realtà un

25 Si veda sull’esegesi e le interpretazioni di Odisseo PONTANI 2011, 23-103. Per una breve storia

dell’allegoria si veda BOYS-STONES 2003, pp. 151-256.

26 In questo senso si veda la testimonianza che ci offre Ps.-Heracl., Quaest. Hom., I, 6-7: [scil. Ὅµηρος]

ἀρχοµένῳ δ’ ἑκάστῳ συµπαρέστηκε καὶ κατ’ ὀλίγον ἀπανδρουµένῳ, τελείοις δ’ ἐνακµάζει, καὶ κόρος οὐδὲ εἷς ἄχρι γήρως, ἀλλὰ παυσάµενοι διψῶµεν αὐτοῦ πάλιν· (7) καὶ σχεδὸν ἓν πέρας Ὁµήρῳ παρ’ ἀνθρώποις, ὃ καὶ τοῦ βίου; “[scil. Omero] è vicino a ciascuno quando inizia a vivere, segue la nostra maturazione a poco a poco, fiorisce con la nostra età adulta, e non ce n’è sazietà fino alla vecchiaia, ma come smettiamo abbiamo sete di ricominciare; (7) potremmo dire che per gli uomini vi è una sola fine di Omero, che è anche quella della vita”. Si veda PONTANI 2005, p. 182, n. 3.

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1. INTRODUZIONE

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significato altro, o meglio, nascosto27, in questo caso quello dello scontro tra gli elementi28.

Lo Stoicismo, poi, erediterà l’esegesi allegorica di tipo fisico – quella sugli dei come elementi del cosmo – e la sistematizzerà, integrandovi anche un altro tipo di esegesi, quella di carattere morale, sfruttata nel contempo anche dai Cinici e probabilmente ereditata da Antistene e i suoi seguaci o, addirittura, da Socrate. Come vedremo, Odisseo, dopo la distruzione della sua persona operata dal dramma attico e della sofistica29, diventerà il modello di ‘eroe filosofico’ da un lato per gli Stoici e dall’altra per i Cinici.

Tutta questa poderosa sistematizzazione passerà al mondo imperiale, tanto che nel I sec. d. C. avremo da un lato Lucio Anneo Cornuto, uno stoico romano che scrive il

Compendium Theologiae Graecae, un trattato in cui ogni divinità corrisponde ad una

precisa funzione in relazione agli elementi terrestri e astronomici, e dall’altro le

Quaestiones Homericae, in greco, attribuite ad un certo Eraclito, un trattato di critica

omerica dal forte influsso stoico che tenta di “scagionare” una volta per tutte Omero dalle accuse di empietà (si veda Quaest. Hom., I, 1).

Un altro “tassello” molto importante all’interno del panorama dell’interpretazione allegorica di Omero e Odisseo è Numenio di Apamea30, come già Grossardt ha individuato. Con lui inizia quel processo di mistificazione di Omero e anche di Odisseo che porterà al De Antro Nympharum di Porfirio31, in cui quest’ultimo riprenderà proprio il pensiero di Numenio e Cronio su Od., XIII, e renderà Odisseo l’eroe che passa attraverso le diverse generazioni del corpo per tornare alla vera patria dell’anima, Itaca.

Non da ultimo, è da ricordare che il Cristianesimo nascente si stava affacciando pian piano sulla cultura greca e ovviamente non poteva tralasciare Omero e i suoi personaggi: se in un primo momento la rappresentazione empia che il maggiore dei poeti greci dava dei loro dei era vista come conferma della inferiorità degli dei pagani all’unico vero Dio cristiano, quando i Gentili – e non più solo gli Ebrei convertiti – abbracciarono la nuova

27 Ὑπόνοια è il termine usato da Platone (Resp., 378d-e) per definire l’azione interpretativa da lui non

condivisa. Ciò che andavano cercando era, quindi, proprio un “significato sottostante” al significato primario del testo. Successivamente il termine sarà “rimpiazzato” da ἀλληγορία, di cui troviamo una definizione in Ps.-Heracl., Quaest. Hom., V, 1 come “il dire una cosa intendendone un’altra”. Sulla storia del termine si veda WITHMAN 1987, pp. 263-268.

28 Sull’inizio dell’allegoria si veda da ultimo OBBINK 2010. Altri studi saranno citati nei diversi capitoli. 29 Si vedano in generale STANFORD 1968, pp. 90-117; nello specifico COPANI 2009 e JOUANNO 2012. 30 Si veda DILLON 1996, pp. 361-379.

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religione, ecco che l’analisi di Omero iniziò a farsi più sfaccettata e anche i suoi personaggi ritornarono ad essere dei modelli, fino ad arrivare all’assimilazione perfetta di Clemente Alessandrino (di una trentina d’anni più giovane di Luciano) tra Odisseo legato all’albero mentre oltrepassa le Sirene il perfetto cristiano che, navigando sulla barca ecclesiale, deve superare le insidie e le tentazioni per raggiungere la Gerusalemme celeste32. Se anche si deve escludere che Luciano possa essere venuto in contatto con l’opera dell’Alessandrino, certo è che un tale processo di ‘appropriazione culturale’ non si svolge nell’arco di una generazione: la strada di Clemente era già stata spianata da alcuni suoi predecessori, quali Taziano o Giustino, più vicini nel tempo a Luciano.

Questo è il panorama culturale in cui dobbiamo inquadrare le Verae Historiae: nelle pagine seguenti tenteremo di approfondire il rapporto di Luciano con l’interpretazione allegorica di Omero e di vedere come, parodiando certi elementi salienti dei tre filoni principali dell’allegoresi, Luciano tenti di eliminare dai poemi omerici quell’aura di sacralità che gli studi nei campi della retorica, della filologia e, soprattutto, della filosofia avevano imposto, mostrando come quella omerica fosse “semplice poesia”.

Nei capitoli di cui si compone questo lavoro analizzeremo, in una prima sezione, cinque episodi dell’opera lucianea, in cui emerge l’utilizzo di temi propri dell’interpretazione allegorica di Omero e di Odisseo, e in secondo luogo, all’interno della seconda sezione, analizzeremo, negli ultimi due capitoli, gli incontri di Luciano con gli obiettivi della sua parodia.

Nel primo capitolo tratteremo dell’episodio della guerra tra Seleniti ed Elioti (VH, I, 12-21), parodia delle diverse Teomachie presenti nell’epica, soprattutto nell’Iliade: la rappresentazione che episodio come quelli forniscono degli dei è stata – come accennato – motivo di origine dell’interpretazione allegorica, per riabilitare in un certo senso Omero. Luciano si prenderà gioco di queste interpretazioni, ancora più macchinose e assurde del senso letterale.

Successivamente, si porteranno due esempi legati all’utilizzo principalmente dell’esegesi di tipo morale: nel secondo capitolo, infatti, si tratterà dell’incontro tra

32 Clem. Alex., Cohortatio ad Graecos, XII, 118, 4. Su questo punto si veda RAHNER 1971, pp.

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1. INTRODUZIONE

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Luciano e i suoi con le donne-vigna (VH, I, 7-9) e con i loro “alter ego”, le donne dalle gambe d’asino (VH, II, 48), creando così – data la loro posizione all’inizio e alla fine dell’opera – una specie di Ringkomposition che ha come fulcro l’emulazione dell’episodio delle Sirene, che nell’Antichità non hanno avuto un’interpretazione univoca; nel terzo capitolo si tratterà dell’episodio della visita a Calipso da parte di Luciano con la consegna della lettera inviata alla Ninfa da Odisseo (VH, II, 35-36): se il temperante Odisseo di Stoici e Cinici aveva abbandonato la vita presso Calipso per tornare in patria, dalla sposa, l’Odisseo dell’isola dei Beati vorrebbe addirittura abbandonare la sua beatitudine per tornare dalla Ninfa.

Gli ultimi due esempi riguardano il terzo tipo di esegesi allegorica diffusa nel mondo antico, cioè quella mistica: come già sottolineato per le altre due tipologie (fisica e morale), non è il tema esclusivo dei due episodi analizzati, anche se sembra costruirne il fulcro. Nel quarto capitolo si tenterà di cogliere il motivo della scelta della balena come luogo in cui ambientare una parte del viaggio di Luciano e dei compagni (VH, I, 30 - II, 2): si evidenzieranno punti di contatto con la caverna platonica ma anche con l’antro delle Ninfe di Od., XIII e la relativa interpretazione medio- e neo-platonica; non da ultimo, si evidenzieranno possibili rimandi alla vicenda biblica di Giona.

Nel quinto capitolo sarà la volta dell’analisi dell’episodio dell’isola dei Sogni (VH, II, 32-34): oltre all’importanza del confronto letterario con l’Odissea e anche con l’Eneide, emerge il valore del fenomeno onirico sia per lo stoicismo sia per il medioplatonismo, che lo connette con le anime dei defunti.

Il sesto e il settimo capitolo saranno dedicati, come detto, agli incontri di Luciano sull’isola dei Beati: prima (VH, II, 17-19 e 21) con tanti filosofi come Socrate, Aristippo, Epicuro, Diogene, e altri – da notare l’assenza di Platone, di cui lo stesso Luciano fa menzione – e, infine, l’incontro più importante di tutte le Verae Historiae, quello con Omero e l’‘interrogatorio’ con cui il protagonista lo incalza, tanto che sarà, per così dire, lo stesso Luciano a darci la chiave di lettura della sua opera.

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Prima Sezione

La parodia dell’allegoria:

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2.

La Guerra tra Seleniti ed Elioti

In questo primo capitolo analizzeremo l’episodio dello scontro bellico tra Seleniti ed Elioti (VH, I, 11-22): Luciano, approdato sulla Luna, dopo aver incontrato il re Endimione, viene invitato da quest’ultimo a partecipare alla guerra contro i Seleniti di Fetonte. I vari elementi evidenziati ci permetteranno di leggere l’episodio come parodia delle teomachie di cui l’Iliade offre diversi esempi e, come detto nell’Introduzione, è proprio a partire dalle accuse di empietà mosse nei confronti di Omero da parte di alcuni poeti e/o filosofi della fine dell’età arcaica proprio per via degli scontri tra le divinità presenti nei suoi poemi che nasce l’interpretazione allegorica: le teomachie diventano, quindi, immagini di fenomeni naturali tra elementi atmosferici o astronomici.

Analizzeremo dapprima la “doppia” cattura che Luciano e i compagni subiscono da parte degli Ippogrifi e dei Nefelocentauri33: entrambe creature ibride, hanno caratteristiche stravaganti che ricordano contemporaneamente diverse creature del mito, assurte a modello da parte delle scuole filosofiche; in un secondo momento passeremo all’analisi della battaglia planetaria vera e propria: la precisione che nulla ha da invidiare alla storiografia con cui Luciano-autore narra questi eventi stride con l’assurdità della narrazione.

33 I primi, al comando di Endimione, li catturano al loro arrivo sulla Luna (VH, I, 11); i secondi, soldati

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2.1 Catturati da strane creature

2.1.1 Catturati dagli Ippogrifi

Le creature che svolgono il ruolo di guardie dei confini lunari hanno caratteristiche davvero bizzarre e delle dimensioni notevoli. Se ad un primo sguardo sembrano richiamare le creature misteriose che popolano i romanzi fantastici antichi, quali le opere di Iambulo o Ctesia34, la presenza di creature qualificate come ben più grandi di quelle terrestri, sembra ricordare l’idea pitagorica per la quale la luna era una specie di seconda terra, ma più perfetta, poiché a metà strada tra la terra e il cielo, e abitata da creature più grandi e più belle35. A ben guardare, però, la metafora della navigazione, che coinvolge i paragrafi precedenti dedicati alla tempesta, alla navigazione ‘aerea’ e allo sbarco, continua anche nel paragone tra la grandezza degli Ippogrifi e l’albero di un’imbarcazione da carico36 e proprio i Ciclopi vengono descritti in termini assai simili37: entrambi, infatti, sono rappresentati più grandi e più grossi di una ναῦς µεγάλη φορτὶς38.

Inoltre, ricordando che la luna era identificata dai pitagorici – ma anche da altre dottrine filosofiche – come la sede delle anime dei Beati39, la loro caratterizzazione come esseri τρικέφαλοι, a tre teste, ricorda il cane Cerbero40, guardiano di Ade, la cui cattura

34 Già STENGEL 1911, pp. 19-21 e VON MÖLLENDORFF 2000, pp. 103-108. 35 Si veda ad esempio quanto Teofrasto dice di Filolao in Philol., DK 44 A fr. 20.

36 Luc., VH, I, 11: µάθοι δ᾽ ἄν τις τὸ µέγεθος αὐτῶν ἐντεῦθεν: νεὼς γὰρ µεγάλης φορτίδος ἱστοῦ

ἕκαστον τῶν πτερῶν µακρότερον καὶ παχύτερον φέρουσι; “Da questo si può capire la loro grandezza: ciascuna delle loro penne è più lunga e più grossa di una grande nave da carico”.

37 Od., IX, 321-324: τὸ µὲν ἄµµες ἐίσκοµεν εἰσορόωντες | ὅσσον θ᾽ ἱστὸν νηὸς ἐεικοσόροιο µελαίνης,

| φορτίδος εὐρείης, ἥ τ᾽ ἐκπεράᾳ µέγα λαῖτµα: | τόσσον ἔην µῆκος, τόσσον πάχος εἰσοράασθαι; “Guardandolo, ci era sembrato grande quanto l’albero di una nera nave a venti remi, da carico, larga, che solca il vasto abisso; a guardarlo misurava tanto in lunghezza che in grossezza”.

38 Per la rilevazione della metafora si veda VON MÖLLENDORFF 2000, pp. 110-111 che cita (nota 42)

FAUTH 1979, p. 50 e ssg. Già HOUSEHOLDER 1941, p. 29 aveva notato l’allusione. BOUQUIAUX-SIMON

1968, pp. 237-247, oltre a riconoscere l’allusione, riporta altri passi dove si allude ai Ciclopi.

39 Si veda quanto dice Plutarco in Plut., De fac. orb. lun., 943e-f.

40 La tradizione gli assegna anche la caratterizzazione di essere a cento teste oppure con cento serpi che

gli cingono il collo (si veda Or., Carm., II, 13, 34 e III, 11, 17-20), ma quella più diffusa, almeno in età imperiale – si veda Verg., Aen., VI, 417-418 e Ov., Met., IV, 450-451 – è la caratterizzazione tricefala. La tradizione più antica, rappresentata da Hes., Theog., 311-312 gli assegna cinquanta teste.

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2. LA GUERRA TRA SELENITI ED ELIOTI

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era l’obiettivo dell’ultima delle dodici fatiche di Eracle. Euristeo, infatti, aveva chiesto all’eroe di scendere nell’Ade e, dopo averlo catturato, di portargli il cane Cerbero41.

Ed è proprio la discesa nell’Ade ad accomunare Eracle e Odisseo, a cui si fa riferimento indirettamente già nell’Odissea42: infatti, quando Odisseo è quasi giunto al termine della sua catabasi spirituale, Eracle, rivolgendosi a lui, mette in evidenza l’infinita miseria che li accomuna; il fatto che l’uno incontri l’altro è ancora segno di comunanza.

Abbiamo già notato come Eracle sia considerato presso gli Stoici un alter ego di Odisseo, proprio per via della comune capacità di sopportare e di elevarsi filosoficamente e le Quaest. Hom. di Eraclito insistono proprio su questo aspetto e, quando parlano di Cerbero aggiungono: ἂν τὴν τριµερῆ φιλοσοφίαν ὑπαινίττοιτο· τὸ µὲν γὰρ αὐτῆς λογικὸν, τὸ δὲ φυσικὸν, τὸ δὲ ἠθικὸν ὀνοµάζεται· (10) ταῦτα δ’ὥσπερ ἀφ᾽ἑνὸς αὐχένος ἐκπεφυκότα τριχῇ κατὰ κεφαλὴν µερίζεται43.

Eracle, come il filosofo stoico – presso i quali si sviluppa la concezione della filosofia tripartita in logica, fisica ed etica44 –, catturando Cerbero tricefalo, conquista e doma, in un certo senso, il sapere filosofico. In questo senso va anche l’allegoria di Hermes e di Atena: nel passo odissiaco precedentemente citato Eracle afferma di essere stato aiutato da Hermes e dalla glaucopide Atena.

Sin dal Cratilo Hermes è interpretato come λόγος, ora visto come “discorso”, ora – secondo l’ideologia stoica – come “ragione”45. Anche Eraclito si muove in questo senso: in XXVIII, 2 sostiene che egli sia interprete del messaggio degli dei e che il nome Ἑρµῆς derivi dal verbo ἑρµηνεύω, indicando, dunque, proprio l’attività interpretativa. Ancora, in LXXII, 4, accingendosi a parlare dell’episodio di Circe (Od., X), sostiene che Hermes

41 Si veda Ps.-Apollodoro, Bibl., II, 5.

42 Od., XI, 618-626: ἆ δείλ᾽, ἦ τινὰ καὶ σὺ κακὸν µόρον ἡγηλάζεις, | ὅν περ ἐγὼν ὀχέεσκον ὑπ᾽ αὐγὰς

ἠελίοιο. | Ζηνὸς µὲν πάϊς ἦα Κρονίονος, αὐτὰρ ὀιζὺν | εἶχον ἀπειρεσίην: µάλα γὰρ πολὺ χείρονι φωτὶ | δεδµήµην, ὁ δέ µοι χαλεποὺς ἐπετέλλετ᾽ ἀέθλους. | καί ποτέ µ᾽ ἐνθάδ᾽ ἔπεµψε κύν᾽ ἄξοντ᾽: […] τὸν µὲν ἐγὼν ἀνένεικα καὶ ἤγαγον ἐξ Ἀίδαο: | Ἑρµείας δέ µ᾽ ἔπεµψεν ἰδὲ γλαυκῶπις Ἀθήνη; “O sventurato, anche tu sopporti una misera sorte, come anch’io la sopportavo sotto i raggi del sole. Pur figlio di Zeus Cronide, avevo infinita miseria; servivo un uomo di molto a me inferiore, ed egli mi imponeva pesanti fatiche. E una volta mi mandò fin quaggiù a prendere il cane; […] io lo portai su e lo condussi fuori dall’Ade; Hermes mi aiutò e la glaucopide Atena”.

43 Eracl., Quaest. Hom., XXXIII, 9-10: “può alludere alla filosofia che è tripartita: infatti, le sue parti

sono chiamate logica, fisica ed etica. (10) Come nate da un solo collo si dividono in tre parti all’altezza della testa”.

44 La filosofia tripartita era già presente in Omero, secondo la testimonianza di Ps.-Plut., De Hom., 92. 45 Si vedano Plat., Crat., 407e-408a e per lo stoicismo Philo, de Provid., II, 41 = SVF, II, 1079 – von

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che accompagna Odisseo appena sbarcato sull’isola della maga rappresenti l’ἔµφρων λόγος, il discorso razionale; a maggior ragione, il messaggero degli dei consegna ad Odisseo la radice di µῶλυ, simbolo della saggezza (si veda LXXIII, 10). Anche lo Ps.-Plutarco, De Hom., 102 e 126 si allinea a questa interpretazione.

Per quanto riguarda Atena, non è una novità che a lei sia attribuito il simbolismo della saggezza: forse è possibile farla risalire già ai primordi dell’interpretazione allegorica di Omero, come ci dimostra uno scolio46 che cita il nome di Teagene di Reggio, il primo degli allegoristi, nel contesto dell’interpretazione allegorica della teomachia47.

Anche Cornuto ed Eraclito48 insistono nella stessa direzione, sottolineando il fatto che la dea sia nata dal capo di Zeus e che, per tanto, abbia il valore di “intelligenza di Zeus”. Eraclito mostra, inoltre, anche un’etimologia di Atena dal sostantivo non altrimenti attestato ἀθρηνᾶ (derivato dal verbo ἀθρέω, osservo, contemplo), derivata probabilmente da Crisippo o dal discepolo Diogene di Babilonia, che avrebbe scritto un trattato De

Athena49.

Insomma, a quanto pare Luciano sta alludendo ad un ben chiaro e noto patrimonio interpretativo delle due divinità. Queste chiavi di lettura erano messe in relazione alla figura di Odisseo e non a quella di Eracle, a cui la somiglianza tra Ippogrifi e Cerbero ha fatto subito pensare. Come notato in precedenza, però, all’interno dello Stoicismo – che per altro è stato il canale privilegiato per lo sviluppo dell’allegoria etica delle divinità – in Eracle e Odisseo si individuano i modelli del filosofo. Luciano-protagonista, che sull’isola delle donne-vigna aveva emulato la temperanza di Odisseo con le Sirene (come vedremo nel par. 3.1), ora tenta di imitare quella la costanza di Eracle che, sceso nell’Ade, ha domato il cane Cerbero, figura della filosofia tripartita, con l’aiuto della saggezza e della ragione, rispettivamente Atena ed Hermes.

Ovviamente il fallimento di Luciano-protagonista è evidente: lui, che sta agendo da nuovo Eracle, non riceve il dovuto aiuto divino, metafora delle necessarie facoltà

46 Si veda DK 8 fr. 2 = Porf., Quaest. Hom., I, 240, 14 = Sch. B. in Il., XX, 67.

47 Per Teagene si vedano PÉPIN 1976, pp. 97-98 e RAMELLI-LUCCHETTA 2004, pp. 53-55. Per il contesto

della teomachia, in Il., XX, si vedano pp. 28-30.

48 Cornutus, theol. gr. comp., 35-36 ed Eracl. Quaest. Hom., XIX, 7-9.

49 Si veda SVF, II, 910, 1 e SVF, III, II, 33. Sulla connessione tra Atena ed intelletto si vedano BUFFIÈRE

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2. LA GUERRA TRA SELENITI ED ELIOTI

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cognitive per poter afferrare e dominare la filosofia ma, al contrario, viene intrappolato proprio dalla sistematicità stessa della filosofia, da quell’insieme quasi dogmatico di precetti che era la concezione stoica della tripartizione filosofica.

La convivenza negli Ippogrifi di dettagli che richiamano anche la smisurata grandezza dei Ciclopi getta una luce sinistra: note sono la loro ingiustizia e la loro violenza, ma da tenere presente è un’etimologia che si trova in Eraclito: [scil. Ὀδυσσεὺς] τὸν δ᾽ἄγριον ἑκάστου θυµὸν ὡσπερεὶ καυτηρίῳ τῇ παραινέσει τῶν λόγων ἐπήρωσε· (5) Κύκλωψ δ᾽οὗτος ὠνόµασται, ὁ τοὺς λογισµοὺς ὑποκλωπῶν50, identificando, per tanto, l’animo irrazionale con la figura del Ciclope51.

Ne risulta che gli Ippogrifi apparirebbero come creature simbolo della filosofia, ma nasconderebbero anche una nota sinistra di irrazionalità e di stoltezza, intentando così un’aspra critica all’assurdità dei diversi sistemi filosofici52 – a cominciare da quello stoico, una delle mete preferite degli attacchi di Luciano – in quanto fornirebbero un insieme di conoscenze certe agli occhi di coloro che vi credono, tanto che per loro la terra diventa come quella dei Ciclopi, dove tutto nasce spontaneamente e senza fatica.

2.1.2 Catturati dagli Nefelocentauri

Nuovamente, Luciano e i compagni cadono prigionieri di creature ibride, i Nefelocentauri. Nella descrizione di queste strane creature (VH, I, 18) si dice che erano θέαµα παραδοξότατον, ἐξ ἵππων πτερωτῶν καὶ ἀνθρώπων συγκείµενοι: µέγεθος δέ τῶν

50 Eracl. Quaest. Hom., LXX, 4-5: “[scil. Odisseo] l’animo selvaggio di ognuno lo rese inefficace con

l’esortazione dei discorsi come con un ferro incandescente – (5) viene chiamato Ciclope perché è colui che di nascosto ruba i ragionamenti”. Si veda PONTANI 2005, pp. 164-165 e 228. La traduzione del passo in

questione è di Pontani. Il passo di Eraclito si trova anche in Sch. in Od., IX, 89.

51 Sembrano essere interpretati quali simbolo di stoltezza anche in altri passi lucianei, soprattutto in De

mercede conductis, 3, dove Luciano avverte l’amico Timocle di non credere ai discorsi dei greci colti che si danno ‘schiavi’ ai padroni romani e che mostrano questa come la vita migliore: per essi, infatti, tutto nasce senza semi senza fatica (ἀτεχνῶς γὰρ ἄσπορα καὶ ἀνήροτα τοῖς τοιούτοις τὰ πάντα φύεσθαι). Si veda BOUQUIAUX-SIMON 1968, pp. 237-247.

52 Per le allusioni alla filosofia e ai filosofi durante il viaggio sulla luna si veda GEORGIADOU-LARMOUR

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µέν ἀνθρώπων ὅσον τοῦ Ῥοδίων κολοσσοῦ ἐξ ἡµισείας ἐς τὸ ἄνω, τῶν δὲ ἵππων ὅσον νεώς µεγάλης φορτίδος53.

Come gli Ippogrifi, anche i Nefelocentauri sono un ibrido di uomini e cavalli e, per tanto, vengono a costituirsi come controfigura delle creature ibride che avevano catturato e condotto dal re Endimione Luciano e i compagni; la loro funzione, d’altronde, è la stessa: condurre, cioè, i prigionieri al cospetto del re degli Elioti, Fetonte.

Da notare, in particolare, che l’espressione νεὼς µεγάλης φορτίδος è la medesima usata in VH, I, 11 per designare la grandezza gli Ippogrifi: indirettamente, anche i Nefelocentauri sono legati ai Ciclopi (si veda Od., IX, 321-324), di cui incarnano ancora la grandezza ma anche la stoltezza.

Importante considerare anche il mezzo con cui Luciano e i compagni sono fatti prigionieri: se degli Ippogrifi si dice che li imprigionano senza ulteriori specificazioni, adesso i Nefelocentauri legano le loro mani con pezzo della tela di ragno, su cui si era combattuta la battaglia, la cui menzione può farci pensare ad un mito che non pare essere sviluppato nel mondo greco, ma è importante nella produzione letteraria latina: il mito di Aracne (si veda Ov., Met., VI, 1-145).

Dall’opera ovidiana sappiamo che la tessitura – nel cui campo semantico rientra il

textus, cioè il tessuto, ma anche e soprattutto il testo – è metafora della produzione poetica

e lo scontro con la dea Minerva avviene proprio sulla tessitura ‘letteraria’; anche i temi scelti per la creazione della tela, quello di Minerva (vv. 70-102) e quello di Aracne (vv. 103-128), meritano attenzione: entrambe tessono scene riguardanti gli dei ma se la dea preferisce temi più tradizionali, rappresentando la potenza sua e di tutti gli dei, Aracne mette in scena gli amori indecenti delle divinità. Il tema generale, quindi, è uno scontro letterario sui due modi con cui i poeti rappresentano le divinità: da un lato la loro magnificenza e potenza e dall’altro i loro amori scabrosi.

Questo tema è stato forse uno dei primi motivi di attacco alla poesia epica tradizionale e ad Omero da parte dei filosofi di vario tempo, proprio a partire da Senofane, che disse: πάντα θεοῖσ᾽ἀνέθηκαν Ὅµηρός τε Ἡσίοδός τε, | ὅσσα παρ᾽ἀνθρώποισιν ὀνείδεα καὶ ψόγος ἐστίν, | κλέπτειν µοιχεύειν τε καὶ ἀλλήλους ἀπατεύειν54; un altro, strettamente

53 Luc., VH, I, 18: “una meraviglia straordinaria, un misto di cavalli alati e uomini: la grandezza degli

uomini era quanto il colosso di Rodi dalla metà in su; dei cavalli, invece, quanto una grande nave da carico”.

54 Senof., DK 21 B fr. 11: “Omero e Esiodo attribuirono agli dei tutto quanto presso gli uomini è

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2. LA GUERRA TRA SELENITI ED ELIOTI

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legato, è la critica alle varie teomachie, tra cui soprattutto quella di Iliade, XX (si vedano pp. 28-30). Alla fine dello scontro tra Aracne e Minerva, la dea, adirata per la ὕβρις dimostrata dalla ragazza, che tenta di suicidarsi per la vergogna, la trasforma in un ragno, condannato a tessere ininterrottamente per l’eternità.

Luciano sembra quindi rappresentare lo svolgimento dello scontro come una battaglia sulla poesia che dipinge gli dei in modi opposti e per la quale gli interpreti si sono dati da fare per giustificarla; ciò è rafforzato anche dalla interpretazione allegorica della Luna come Artemide e del Sole come Apollo, tipica della concezione stoica55. Il fatto che vengano catturati e legati dalla tela della poesia è simbolo, ancora una volta, dell’immobilismo creato dalla poesia stessa.

Dunque, osservando contemporaneamente i due intrappolamenti dell’episodio lunare, vediamo Luciano alle prese prima con gli Ippogrifi e poi con il loro doppione, i Nefelocentauri, entrambi simbolo della filosofia che non sa generare verità e che utilizza proprio la poesia – lungi da essere quello un luogo dove trovare conferme per le proprie idee filosofiche – e l’analisi della stessa come arma di intrappolamento.

2.2 La battaglia sulla Luna

Indubbiamente, nel racconto di questa battaglia, si nota un’evidente parodia della storiografia: l’individuazione di un casus belli non può non richiamare alla mente la ricerca delle cause e della ἀληθεστάτη πρόφασις di Tucidide (I, 23, 6) come anche il trattato di pace stipulato alla fine del conflitto e la costruzione del muro divisorio sono chiare allusioni alle modalità con cui gli storici riportavano le paci tra le parti coinvolte, primo fra tutti, ancora, Tucidide con la pace tra Ateniesi e Lacedemoni, in V, 18-1956.

Nel contesto omerico dell’opera, però, dobbiamo ricordare come Omero fosse visto come un pater historiae, forse ancor più di Erodoto, in relazioni ai fatti antichi e di come

55 Si veda Cornutus, theol. gr. comp., 32.

56 Per i rapporti con la storiografia, si vedano GEORGIADOU-LARMOUR 1994 e VON MÖLLENDORFF 2000,

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il più grande storico della Grecia, colui che ne ha fondato il metodo di ricerca, Tucidide, utilizzasse per la sua ἀρχαιολογία testimonianze omeriche57.

Merita forse più attenzione il contesto della guerra: le due battaglie si svolgono nel cielo, tra strane creature che abitano la Luna e altre, altrettanto strane, che abitano il Sole.

Si tenga presente che il monte Olimpo, la tradizionale sede degli dei, veniva vista come a metà strada tra cielo e terra e – secondo quanto sostiene Crisippo – è proprio grazie all’armonia del moto degli astri e alla bellezza del cielo che abbiamo una prova dell’esistenza degli dei:

ἐλάβοµεν δὲ ἐκ τούτου ἔννοιαν θεοῦ […] θεοῦ γὰρ ἔννοια ἔσχον ἀπὸ τῶν φαινοµένων ἀστέρων ὁρῶντες τούτους µεγάλης συµφωνίας ὄντας αἰτίους, καὶ τεταγµένως ἡµέραν τε καὶ νύκτα χειµῶνά τε καὶ θέρος ἀνατολάς τε καὶ δυσµὰς καὶ τὰ ὑπὸ τῆς γῆς ζῳογονούµενα καὶ καρπογονούµενα. Διὸ πατὴρ µὲν ἔδοξεν αὐτοῖς οὐρανὸς ὑπάρχειν, µήτηρ δὲ γῆ· τούτων δὲ ὁ µὲν πατὴρ διὰ τὸ τὰς τῶν ὑδάτων ἐκχύσεις σπερµάτων ἔχειν τάξιν, ἡ δὲ [γῆ] µήτηρ διὰ τὸ δέχεσθαι ταῦτα καὶ τίκτειν· βλέποντες δὲ τοὺς ἀστέρας ἀεὶ θέοντας αἰτίους τε τοῦ θεωρεῖν ἡµᾶς ἥλιον καὶ σελήνην θεοὺς προσηγόρευσαν58.

Crisippo ci mostra come secondo gli stoici la nozione di divinità derivasse dallo stupore dell’uomo di fronte alla magnificenza della natura e soprattutto del cielo e degli astri; nella parte successiva del lungo SVF II fr. 1009 Crisippo continua, poi, con la classificazione degli dei e, sempre all’interno dell’ambito stoico, fu basilare lo studio etimologico dei nomi degli dei (si veda SVF II fr. 1021), con la volontà di accordare pensiero stoico e racconti mitici di Orfeo, Museo, Esiodo e Omero (si veda SVF II fr. 1077).

Quali divinità siano rappresentate dal Sole e dalla Luna non è difficile immaginarlo: Apollo, infatti, come allegoria del Sole e poi, di conseguenza, Artemide, sua sorella gemella, della Luna non sono un fatto nuovo ma questa identificazione – almeno in parte – può risalire, per quanto riguarda Apollo, alle speculazioni interpretative dei pitagorici,

57 Si veda KIM 2010, pp. 22-46.

58 SVF II fr. 1009: “Da questo abbiamo preso il concetto di Dio. […] Gli uomini ebbero il concetto di

Dio contemplando gli astri, essendo essi causa di una grandissima armonia: l’armonia del giorno e della notte, dell’inverno e dell’estate, delle albe e dei tramonti e della generazione delle piante e dei frutti sulla terra. Così parve loro che il padre fosse il cielo e madre la terra. Di questi uno è padre dispone i semi attraverso la diffusione delle acque; l’altra è madre perché riceve i semi e genera. Vedendo che gli astri corrono sempre e che causano la nostra contemplazione del sole e della luna, li definirono dei”.

(27)

2. LA GUERRA TRA SELENITI ED ELIOTI

27

in riferimento al DK 8 fr. 2 (su cui torneremo) di Teagene di Reggio che commenta l’inizio della teomachia dell’Iliade59. Anche Eschilo sembra essere a conoscenza di questa equazione Apollo=Sole, come testimoniano i Sette contro Tebe60 e le Supplici61.

Ma è proprio con gli Stoici che questa idea viene sistematizzata. Già in Cleante (si veda SVF I CA fr. 502 1-2) è sottesa l’idea che Apollo sia il sole, spiegando che il suo plettro d’oro, tradizionalmente connesso con la poesia, in realtà sia collegato alla luce del sole, ma idee analoghe si riscontreranno anche in Crisippo62. Sarà con Cornuto, nel suo

Comp. Theol. Gr., 32 che avremo trattazione esaustiva – almeno per i testimoni superstiti

– dell’allegoria di Apollo e della sorella gemella Artemide, come anche in Eraclito,

Quaest. Hom. VI, 6 – VII, 1:

(6 ,6) Ὅτι µὲν τοίνυν ὁ αὐτὸς Ἀπόλλων ἡλίῳ, καὶ θεὸς εἷς δυσὶν ὀνόµασι κοσµεῖται, σαφὲς ἡµῖν ἔκ τε τῶν µυστικῶν λόγων, οὓς αἱ ἀπόρρητοι τελεταὶ θεολογοῦσι, καὶ το δηµῶδες ἄνω καὶ κάτω θρυλούµενον· ‘Ἥλιος Ἀπόλλων, ὁ δέ γε Ἀπόλλων ἥλιος’ [carm. pop. 14, PMG, 860 P.]. (7, 1) Ἠκρίβωται δ᾽ἡ περὶ τούτων ἀπόδειξις καὶ Ἀπολλοδώρῳ, περὶ πᾶσαν ἱστορίαν ἀνδρὶ δεινῷ63.

Sia Cornuto che Eraclito sembrano attingere l’interpretazione da Apollodoro di Atene, discepolo di Diogene di Babilonia, del filosofo Panezio e del grammatico Aristarco, un grande dotto stoico del II sec a. C., che continuò il modus operandi della sua scuola in relazione all’interpretazione degli dei64. Anche Cratete di Mallo, filosofo vicino allo Stoicismo fondatore della scuola di Pergamo contro cui si batteva Aristarco, uno dei maestri di Apollodoro, si impegnò in proposito. Da notare il fr. 26 in cui Cratete interpreta il passo di Il., XVIII, 239-240 in cui Era fa tramontare, contro il suo volere, il sole per far

59 BUFFIÈRE 1956, pp. 187-188.

60 Aesch., Sept., 859: τὰν ἀστιβῆ Ἀπόλλωνι, τὰν ἀνάλιον; “la riva non percorsa da Apollo, la riva senza

sole”.

61 Aesch., Suppl., 213-214: Χ: καλοῦµεν αὐγὰς ἡλίου σωτηρίους, | Δ: ἁγνόν τ᾽ Ἀπόλλω, φυγάδ᾽ ἀπ᾽

οὐρανοῦ θεόν; “Coro: invochiamo i raggi salvifici del sole | Danao: e il venerando Apollo, il dio esiliato dal cielo”.

62 RAMELLI-LUCCHETTA 2004, pp. 90-91.

63 Eracl., Quaest. Hom., VI, 6 – VII, 1: “(6, 6) Il fatto che Apollo sia il sole, e che pur essendo un unico

dio abbia due nomi, è chiaro dai discorsi segreti che circolano nelle cerimonie misteriche, e dal famosissimo e diffusissimo canto popolare ‘Il sole è Apollo, Apollo è il Sole’ [carm. pop. 14, PMG, 860 P.]. (7, 1) La dimostrazione di tutto questo l’ha fatta con maestria anche Apollodoro, autore molto capace in tutte le storie mitiche”.

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terminare la battaglia che vedeva in svantaggio i Greci e, secondo il Mallota, al sole bisogna far corrispondere Apollo65.

Insomma, come visto il sistema Apollo=Sole e Artemide=Luna era ampiamente attestato nella critica allegorica ad Omero di stampo stoico o, comunque, vicina allo stoicismo, che aveva accolto in sé tendenze già presenti almeno dall’epoca di Eschilo.

È interessante notare come accanto all’origine dell’interpretazione allegorica degli dei proposta da Crisippo – interpretazione razionalistica, sulla base dell’esperienza che gli uomini hanno di fenomeni riconducibili al divino –, si può individuare un altro punto di partenza. L’interpretazione allegorica delle divinità era strettamente collegata alle battaglie a cui partecipano gli dei, ed era un tentativo di rettificare il comportamento apparentemente poco dignitoso e poco consono alle divinità: in questo modo, facendo cioè corrispondere ogni divinità ad un fenomeno atmosferico o ad un pianeta, erano i fenomeni naturali stessi a rendere lecito il comportamento della divinità e, quindi, a scagionare i poeti (soprattutto Omero) dall’accusa di empietà. Questo atteggiamento è proprio quello che ritroviamo in Teagene di Reggio, di cui abbiamo nominato supra il fr. DK 8 fr. 2: τοῦ ἀσυµφόρου µὲν ὁ περὶ θεῶν ἔχεται καθόλου λόγος, ὁµοίως δὲ καὶ τοῦ ἀπρεποῦς· οὐ γὰρ πρέποντας τοὺς ὑπὲρ τῶν θεῶν µύθους φησίν. πρὸς δὲ τὴν τοιαύτην κατηγορίαν οἱ µὲν ἀπὸ τῆς λέξεως ἐπιλύουσιν, ἀλληγορίαι πάντα εἰρῆσθαι νοµίζοντες ὑπὲρ τῆς τῶν στοιχείων φύσεως, οἷον <ἐν> ἐναντιώσεσι τῶν θεῶν. καὶ γάρ φασι τὸ ξηρὸν τῳ ὑγρῳ καὶ τὸ θερµὸν τῳ ψυχρῳ µάχεσθαι καὶ τὸ κοῦφον τῳ βαρεῖ. ἔτι δὲ τὸ µὲν ὕδωρ σβεστικὸν εἶναι τοῦ πυρὸς, τὸ δὲ πῦρ ξηραντικὸν τοῦ ὕδατος. ὁµοίως δὲ καὶ πᾶσι τοῖς στοιχείοις, ἐξ ὧν τὸ πᾶν συνέστηκεν, ὑπάρχειν ἐναντίωσιν, καὶ κατὰ µέρος µὲν ἐπιδέχεσθαι φθορὰν ἅπαξ, τὰ πάντα δὲ µένειν αἰωνίως. µάχας δὲ διατίθεσθαι αὐτὸν, διονοµάζοντα τὸ µὲν πῦρ Ἀπόλλωνα καὶ Ἥλιον καὶ Ἥφαιστον, τὸ δὲ ὕδωρ Ποσειδῶνα καὶ Σκάµανδρον, τὴν δ᾽αὖ σελήνην Ἄρτεµιν, τὸν ἀέρα δὲ Ἥραν καὶ τὰ λοιπὰ. ὁµοίως ἔσθ᾽ὅτε καὶ ταῖς διαθέσεσιν ὀνόµατα θεῶν τιθέναι, τῇ µὲν φρονήσει τὴν Ἀθηνᾶν, τῇ δ᾽ἀφροσύνῃ τὸν Ἄρεα, τῇ δ᾽ἐπιθυµίᾳ τὴν Ἀφροδίτην, τῷ λόγῳ δὲ τὸν Ἑρµῆν, καὶ προσοικειοῦσι τούτοις· οὗτος µὲν οὖν <ὁ> τρόπος ἀπολογίας ἀρχαῖος ὢν πάνυ καὶ ἀπὸ Θεαγένους τοῦ Ῥηγίνου, ὃς πρῶτος ἔγραψε περὶ Ὁµήρου, τοιοῦτός ἐστιν ἀπὸ τῆς λέξεως66.

65 F26 Broggiato: un primo frammento Sch. bT ad Il., XVIII, 239-240 riporta senza citarlo direttamente

il pensiero di Cratete mentre il secondo, che deriva da Porfirio, il Sch. A ad Il., XVIII, 239-240 nomina espressamente Cratete e lo mette in relazione ad Agatocle, che condivideva l’identificazione. Si veda BROGGIATO 2001, pp. 36-37 e 188-189.

66 Theag., DK 8 fr. 2 = Porf., Quaest. Hom., I, 240, 14 ap. Sch. B in Il., XX, 67: “È fatto un discorso

generale su quanto si dice di svantaggioso attorno agli dei, e anche di sconveniente: dice, infatti, che i miti intorno agli dei non sono convenienti. Contro una tale accusa, alcuni si liberano dell’espressione letterale, sostenendo che tutto sia detto in modo allegorico sugli elementi, come se fosse contrarietà tra gli dei. Si dice che il secco si scontra con l’umido, il caldo col freddo, il leggero col pesante. Poi, che l’acqua ha la capacità di spengere il fuoco e il fuoco di essiccare l’acqua. Allo stesso modo, in tutti gli elementi, dai quali il tutto è costituito, è presente la contrarietà, e talvolta può darsi anche la parziale distruzione, ma il tutto

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