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L’attacco ai diversi modi di interpretazione di Omero non avviene né all’interno di un trattato filosofico o letterario né in un’opera il cui unico scopo esplicito, generale o di un singolo passaggio, sia quello di confutare oppure schierarsi a favore del modus

interpretandi preso in considerazione; al contrario, è all’interno di un testo narrativo –

tanto che, come visto, è stato interpretato legittimamente anche come romanzo – che Luciano sferra la sua arma più potente, cioè quella dell’irrisione a mezzo della messa in ridicolo: ben più efficace a livello comunicativo è un’opera che possa risultare al contempo divertente e densa di significato, proprio come il Nostro sostiene nel prologo delle Verae Historiae, permettendoci di definire l’opera come σπουδαιογέλοιον. Infatti, come gli atleti hanno un momento di riposo dopo gli esercizi ginnici,

οὕτω δὴ καὶ τοῖς περὶ τοὺς λόγους ἐσπουδακόσιν ἡγοῦµαι προσήκειν µετὰ τὴν πολλὴν τῶν σπουδαιοτέρων ἀνάγνωσιν ἀνιέναι τε τὴν διάνοιαν καὶ πρὸς τὸν ἔπειτα κάµατον ἀκµαιοτέραν παρασκευάζειν. (I, 2) γένοιτο δ᾽ ἂν ἐµµελὴς ἡ ἀνάπαυσις αὐτοῖς, εἰ τοῖς τοιούτοις τῶν ἀναγνωσµάτων ὁµιλοῖεν, ἃ µὴ µόνον ἐκ τοῦ ἀστείου τε καὶ χαρίεντος ψιλὴν παρέξει τὴν ψυχαγωγίαν, ἀλλά τινα καὶ θεωρίαν οὐκ ἄµουσον ἐπιδείξεται, οἷόν τι καὶ περὶ τῶνδε τῶν συγγραµµάτων αὐτοὺς φρονήσειν ὑπολαµβάνω· οὐ γὰρ µόνον τὸ ξένον τῆς ὑποθέσεως οὐδὲ τὸ χαρίεν τῆς προαιρέσεως ἐπαγωγὸν ἔσται αὐτοῖς οὐδ᾽ ὅτι ψεύσµατα ποικίλα πιθανῶς τε καὶ ἐναλήθως ἐξενηνόχαµεν, ἀλλ᾽ ὅτι καὶ τῶν ἱστορουµένων ἕκαστον οὐκ ἀκωµῳδήτως ᾔνικται πρός τινας τῶν παλαιῶν ποιητῶν τε καὶ συγγραφέων καὶ φιλοσόφων πολλὰ τεράστια καὶ µυθώδη συγγεγραφότων οὓς καὶ ὀνοµαστὶ ἂν ἔγραφον, εἰ µὴ καὶ αὐτῷ σοι ἐκ τῆς ἀναγνώσεως φανεῖσθαι ἔµελλον352.

È Luciano stesso a rivelare lo scopo dell’opera nel prologo: il divertimento che le assurde vicende di Luciano e dei compagni suscitano, non è solo un meritato riposo intellettuale – come sottolinea la metafora della vita degli atleti – dalle fatiche dello studio, ma soprattutto una diversa forma di riflessione; data l’alterità dell’opera, le riflessioni in essa contenute hanno ancora più forza e restano maggiormente impresse nella mente del lettore rispetto ad una riflessione tradizionale. Luciano, infatti, non si schiera direttamente contro le false opinioni di poeti, storici e filosofi a cui molti episodi

352 Luc., VH, I, 1-2: “così credo che anche a chi si dedica allo studio delle lettere convenga, dopo aver

letto molte opere impegnate, rilassare la mente e renderla più vigorosa per gli sforzi futuri. (I, 2) Il riposo sarà per loro conveniente, se si intratterranno con la lettura di opere che non solo procurino semplice piacere per la loro urbanità e grazia, ma anche che offrano non volgari riflessioni, cosa che credo penseranno di questi miei scritti. Infatti, non li attrarrà soltanto la stranezza del soggetto, né la piacevolezza della scelta, né il fatto che ho presentato le menzogne più varie in modo veritiero e persuasivo, ma il fatto che ogni cosa raccontata allude non senza comicità ad alcuni degli antichi poeti, storici e filosofi che hanno scritto cose prodigiose e favolose, di cui farei i nomi se non fossero evidenti a te stesso nella lettura”.

delle Verae Historiae alludono, ma anzi ne esaspera le assurde narrazioni, rendendo così ancora più ridicole le verità che essi pretendevano che si celassero dietro ai loro testi.

Il centro e l’origine dell’opera viene individuato dal Samosatense già nel prologo nel ἀρχηγὸς δὲ […] καὶ διδάσκαλος τῆς τοιαύτης βωµολοχίας ὁ τοῦ Ὁµήρου Ὀδυσσεύς (I, 3 “capostipite e maestro di una tale mendacità, cioè l’Odisseo di Omero”), il narratore degli

Apologi, che – come tutti i suoi successori, cioè quei poeti, storici e filosofi a cui Luciano

allude – pur narrando cose inverosimili, ritiene che i Feaci debbano prestar fede a quanto dice353; del resto, uno scolio a Platone, Respublica, 614b (GREENE 1981,p. 276) ci avverte

che il “Grande Racconto” alla corte di Alcinoo era oramai già divenuto modello del racconto falso. Da notare come Platone ricorra all’esempio in negativo di Odisseo narratore nel momento in cui si accinge a narrare del mito di Er: entrambi i racconti sono in realtà allegorie mitologiche e, in un caso, poetiche di un pensiero filosofico354.

Come notato da pressoché ogni commentatore delle Verae Historiae, Luciano è impegnato in una ardua battaglia sulla Verità: ma, come emerge subito chiaramente sin dal prologo, il campo su cui si combatte lo scontro è Omero e, soprattutto, Odisseo. Le menzogne di uno storico di discutibile attendibilità come Ctesia o, ancor più, Iambùlo355 non avevano la stessa pericolosità di quelle espresse da Omero, in particolare nei racconti di Odisseo. Il pericolo, infatti, sta tutto nei cinque esempi riportati: sui poemi omerici si è scatenata, come visto, una vastissima ricerca della filosofia nascosta dietro al testo poetico, raggiungendo delle conclusioni che secondo Luciano sono profondamente lontane dalla Verità356 perché già lontano dal vero è il testo da cui queste conclusioni sono tratte.

L’attacco parodico così teorizzato risulta ancora più importante se inserito nell’epoca in cui Luciano scrive: come noto, il Samosatense è uno degli scrittori più importanti di

353 Su Odisseo menzognero si vedano WALCOT 1977e REECE 1994. 354 Per un pensiero filosofico nell’Odissea si veda RUTHERFORD 1986.

355 Ctesia negli Indikà, opera appunto sull’India pre-alessandrina, parla anche di tigri con volto umano

e Iambùlo, da quanto emerge dalla testimonianza di Diodoro Siculo (II, 55-60) sembra addirittura più un assimilabile ad un romanziere che ad uno storico, descrivendo il suo viaggio in un’isola dell’Oceano Indiano, abitata da creature stranissime. Su Luciano e la paradossografia si veda POPESCU 2014.

356 Pochi hanno notato la possibilità di considerare tra le opere a cui allude Luciano, e quindi critica,

9. CONCLUSIONI

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quel movimento letterario, filosofico e culturale in senso lato chiamato da Filostrato (Vitae Soph., I, 481) Seconda Sofistica357, in cui Omero svolge un ruolo di primo piano nella produzione letteraria e filosofica di molti358: basta ricordare quanto dice Dione Crisostomo in Or., XVIII, 8, cioè Ὅµηρος δὲ καὶ πρῶτος καὶ µέσος καὶ ὕστατος, riprendendo un pensiero già evidente in Ps.-Eraclito (I, 4). Da sottolineare, inoltre, la grande vocazione paideutica dei retori di età imperiale e, come noto, il ruolo che nella scuola antica ad ogni livello giocava Omero359. Per comprendere meglio la peculiarità dell’azione di Luciano nei confronti di Omero e del suo presunto messaggio filosofico è bene guardare ad altri autori – senza alcuna pretesa di esaustività – più o meno contemporanei che si occupano del complesso rapporto tra Omero e la Verità (storica o filosofica che sia)360.

Un grande retore grosso modo contemporaneo di Luciano, Massimo di Tiro, il cui pensiero si muove sulle coordinate del medio-platonismo, nelle sue Dissertazioni esalta Omero come primo filosofo che si esprimeva nella pura forma dei versi. In Diss. IV dice:

καὶ γὰρ ποιητικὴ τί ἄλλο ἢ φιλοσοφία, τῷ µὲν χρόνῳ παλαιά, τῇ δὲ ἁρµονίᾳ ἔµµετρος, τῇ δὲ γνώµῃ µυθολογική· καὶ φιλοσοφία τί ἄλλο ἢ ποιητική, τῷ µὲν χρόνῳ νεωτέρα, τῇ δὲ ἁρµονίᾳ εὐζωνοτέρα, τῇ δὲ γνώµῃ σαφεστέρα; δύο τοίνυν πραγµάτων χρόνῳ µόνον καὶ σχήµατι ἀλλήλοις διαφεροµένων πῶς ἄν τις διαιτῆσαι τὴν διαφορὰν ἐν οἷς {τι} περὶ τοῦ θείου ἑκάτεροι

λέγουσιν καὶ οἱ ποιηταὶ καὶ οἱ φιλόσοφοι;361

Filosofia e poesia, per il Tirio, non hanno differenza essendo διττὸν µὲν κατὰ τὸ ὄνοµα, ἁπλοῦν δὲ κατα τὴν οὐσίαν e sia filosofi che poeti hanno parole di verità sugli dei; Omero

357 Su Luciano come uno dei protagonisti della Seconda Sofistica si vedano WHITMARSH 2013 e

RICHTER-JOHNSON 2017.Ancora di larga utilità risultano WHITMARSH 2005 e KÖNIG 2009.

358 Per Omero nell’età imperiale si veda KINDSTRAND 1973, che analizza la presenza di Omero in

Massimo di Tiro, Dione Crisostomo e Elio Aristide, e più recente KIM 2010, che si concentra su Strabone, Dione Crisostomo, Filostrato e Luciano.

359 Sulla scuola antica si veda TOO 2001e BORG 2004.Su Omero nella scuola di età imperiale si vedano

SCHMITZ 1997 e poi SANDNES 2009.

360 Su Omero nell’età imperiale si veda anche FORNARO 2003.

361 Max. Tyrus, Diss., IV, 1: “E infatti, che cos’è la poesia se non filosofia, antica quanto al tempo,

metrica nella struttura e mitologica per disposizione? E che cos’è la filosofia se non la poesia, più recente quanto al tempo, più agile nella struttura e molto più evidente nella disposizione? Dunque, dal momento che le due cose sono diverse l’una dall’altra solo per il tempo e la forma, come potrebbe uno decidere la differenza nelle cose che sugli dei dicono poeti e filosofi?”. Sul rapporto tra Omero, la sua poesia e Massimo di Tiro si veda anche BRUMANA 2019, pp. 38-43.

diventa così, proprio come del De Hom. dello Ps.-Plutuarco (92 e 122) l’origine di ogni dottrina filosofica. Anzi, il mito diventa l’interprete più adeguato per i fatti filosofici di non immediata comprensibilità: il mito è stato plasmato dai poeti come discorso filosofico coperto da ornamenti (si veda Diss. IV, 5) e, dunque, compito del lettore è rilevarne l’allegoria. Platone, il primo vero filosofo greco, addirittura è detto ἐκείνης τῆς ᾠδῆς θρέµµα, “allievo di quel canto [scil. di Omero]” (si veda Diss., XXVI, 3), pur evidenziando il rifiuto che egli fece della filosofia in Omero. Per il Tirio, ad esempio, Tersite è εἰκὼν ἀκολάστου δήµου, “immagine del popolo indisciplinato” mentre Achille e Agamennone sono εἰκόνες παθῶν, νεότητος καὶ ἐξουσίας, “immagini delle passioni, della giovinezza e del potere” (XXVI, 5); di Odisseo, in linea con la tradizione stoica e cinica precedente, sostiene che egli sia εἰκόνα […] χρηστοῦ βίου καὶ ἀρετῆς ἀκριβοῦς, “immagine di vita onesta e vera virtù”: in questo caso il termine εἰκὼν altro non è che un sinonimo del termine ἀλληγορία, dal momento che ogni eroe rappresenta la personificazione di una ben determinata qualità o situazione.

Un altro importante autore è Dione di Prusa, detto Crisostomo per via della sua abilità oratoria, che – come visto poco fa nella sua lapidaria affermazione di Omero come “A e Ω” dell’istruzione di ognuno362 – è un noto ammiratore di Omero. Nell’Or. LIII, ad esempio, compie un vero e proprio encomio del Poeta, sostenendo che persino gli Indiani, che ignorano che cosa sia l’Orsa Maggiore, conoscono i versi di Omero e le sventure di Priamo e Andromaca363.

La sua ammirazione per il Poeta, tuttavia, non basta a fermare quel feroce attacco che Dione sferra ad Omero nell’Or. XI, il cosiddetto Τρωϊκός364. Egli, infatti, ribalta la narrazione omerica sulla guerra troiana e, adducendo la testimonianza di un anonimo sacerdote egizio che riporta quello che Menelao, al suo arrivo in Egitto, aveva testimoniato in proposito – si noti la ripresa dell’espediente argomentativo erodoteo –, rivela che in realtà i Troiani erano stati i vincitori e che Omero aveva camuffato la realtà

362 Mutuo l’espressione da SEECK 1990.

363 Sull’Or. LIII si veda il contributo di FORNARO 2002.

364 Sull’Or. XI interessante l’analisi di SCAFOGLIO 2018 anche se non sembra troppo sensato concludere

che lo scopo ultimo del Troiano fosse quello di “affermare un ideale universale: quello della pace”. Infatti, per un autore che vive nel periodo della Pax Romana non avrebbe molto senso scomodare Omero per un appello alla pace. Sembra dunque più verosimile concentrarsi sul ribaltamento della tradizione e considerarlo o come puro esercizio retorico o come tentativo di rendere giustizia per la più antica e importante menzogna della letteratura occidentale (su questo punto si veda KIM 2010).

9. CONCLUSIONI

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per compiacere i Greci. La finalità del cosiddetto “Discorso Troiano” appare innanzitutto politica365: in primo luogo, elogiare i Troiani significa, in accordo con il mito di Enea, elogiare i Romani, nuovi dominatori indiscussi dell’orbis terrarum; da considerare, poi, che il discorso sarebbe stato pronunciato sulla collina di Ilio Nuova, fondata su quelle che si credevano le macerie della Ilio antica, rendendo dunque giustizia (forse anche indesiderata, come nota lo stesso Crisostomo) agli abitanti del luogo. Ciononostante, l’esaltazione del potere attuale non toglie la ferocia della polemica nei confronti di Omero mentitore. Dione, infatti, non si limita alla pars destruens366, in cui la versione omerica della guerra troiana viene smontata367, ma ad essa segue una pars construens, dove l’oratore propone un’altra versione della stessa vicenda, basata sul racconto del sacerdote egizio.

Ciò che cambia, dunque, è soltanto una versione del medesimo fatto mitico; certo, il cambiamento è radicale, perché nella versione di Dione i vincitori sarebbero stati i Troiani e non i Greci, ma nella sostanza la situazione non cambia: il problema – cioè, se Omero possa essere considerato fonte di Verità sia storica che filosofica – non è risolto. Il Poeta è accusato di essere un mentitore sulla base di un’altra testimonianza di secondo grado, quella del sacerdote egizio, potremmo dire di “pari livello” per importanza di quella di Omero. Inoltre, esso non è un contributo innovativo all’atteggiamento nei confronti dei poemi omerici, dal momento che l’espediente del sacerdote egizio, detentore della versione di Menelao, era già attivo in Erodoto, legandosi strettamente alla vicenda letteraria di Elena, il primo motivo di critica alla veridicità e attendibilità della narrazione omerica sin dall’opera di Stesicoro. Da questo filone interpretativo, qui esasperato fino a ribaltare l’esito dello scontro troiano, emerge comunque la possibilità per la poesia di tema epico di essere dispensatrice di Verità, tanto che la reazione di Stesicoro o di Euripide utilizza il medesimo strumento, cioè il mito epico.

365 Si vedano in proposito HUNTER 2009 e LENTANO 2015.

366 Il contributo di SCAFOGLIO 2018 divide l’orazione in due sezioni, una pars destruens e una pars

construens.

367 La versione omerica della guerra troiana era stata attaccata in vario modo nelle diverse epoce: si

L’atteggiamento di Luciano, invece, è completamente diverso: il Samosatense non ha come scopo quello di determinare la mancanza di Verità in Omero affermando una narrazione di quelli che sostanzialmente sono i soliti fatti, soltanto modificandone il punto di vista (si pensi, ad esempio, all’adozione del punto di vista del vinto nel teatro euripideo con l’Andromaca, l’Ecuba o le Troiane).

Egli va oltre: non è importante determinare se sia veritiera questa o quella narrazione di fatti, perché quello di trasmettere Verità non è lo scopo ultimo di una narrazione poetica del mito. Se Orazio nell’Ars Poetica (vv. 333-334) dice che aut prodesse uolunt aut

delectare poetae | aut simul et iucunda et idonea dicere uitae, per Luciano rimane il solo delectare, il suscitare piacere, proprio come afferma della sua opera nel prologo

“metodologico”. Dal presupposto che la poesia non possa essere veridica né a livello storico – o meglio, a livello di interpretazione letterale, ad indicare cioè che quanto è scritto, è davvero accaduto – né a livello filosofico – o meglio, a livello di interpretazione allegorica, cioè che quanto è detto, non è vero di per sé ma rimanda ad una realtà altra –, nasce il rifiuto non tanto di Omero, quanto dell’omeristica, di quello studio che pretende perfezione dalla poesia, mentre Luciano si dimostra del tutto contrario a questa opinione, come emerge dal suo Hesiodus368.

Ecco il motivo per cui Luciano concentra il suo attacco contro le interpretazioni di un eroe che si porta sulle spalle una storia plurisecolare di mitizzazione filosofica, cioè Odisseo, e del suo “creatore letterario” Omero, entrambi additati molto spesso come filosofi e fondatori ora dell’una dottrina filosofica, ora dell’altra.

Già all’inizio del primo secolo Seneca, da quanto emerge dall’Epistula 88, si dimostra su una linea di pensiero simile a quella lucianea, all’interno di un discorso più vasto sulla differenza tra erudizione e vera sapienza. Su Omero, e tra i suoi personaggi principalmente su Odisseo, dice a Lucilio:

[5] Nisi forte tibi Homerum philosophum fuisse persuadent, cum his ipsis quibus colligunt negent; nam modo Stoicum illum faciunt, virtutem solam probantem et voluptates refugientem et ab honesto ne inmortalitatis quidem pretio recedentem, modo Epicureum, laudantem statum

368 Si veda quando dice Licinio in Luc., Hesiodus, 5: οὐ γάρ, οἶµαι, χρὴ παρὰ τῶν ποιητῶν ἐς τὸ

λεπτότατον ἀκριβολογουµένους ἀπαιτεῖν κατὰ συλλαβὴν ἑκάστην ἐντελῆ πάντως τὰ εἰρηµένα, κἂν εἴ τι ἐν τῷ τῆς ποιήσεως δρόµῳ παραρρυὲν λάθῃ, πικρῶς τοῦτο ἐξετάζειν; “Io credo che non si debba pretendere dai poeti, essendo puntigliosi fino alla cosa più piccola, che sillaba per sillaba sia assolutamente perfetto tutto quello che dicono ed esaminare in modo estremamente preciso se qualcosa gli è scappato durante la creazione poetica”.

9. CONCLUSIONI

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quietae civitatis et inter convivia cantusque vitam exigentis, modo Peripateticum, tria bonorum genera inducentem, modo Academicum, omnia incerta dicentem. Apparet nihil horum esse in illo, quia omnia sunt; ista enim inter se dissident. Demus illis Homerum philosophum fuisse: nempe sapiens factus est antequam carmina ulla cognosceret; ergo illa discamus quae Homerum fecere sapientem. [6] Hoc quidem me quaerere, uter maioraetate fuerit, Homerus an Hesiodus, non magis ad rem pertinet quam scire, cum minor Hecuba fuerit quam Helena, quare tam male tulerit aetatem. Quid, inquam, annos Patrocli et Achillis inquirere ad rem existimas pertinere? [7] Quaeris Ulixes ubi erraverit potius quam efficias ne nos semper erremus? Non vacat audire utrum inter Italiam et Siciliam iactatus sit an extra notum nobis orbem (neque enim potuit in tam angusto error esse tam longus): tempestates nos animi cotidie iactant et nequitia in omnia Ulixis mala inpellit. Non deest forma quae sollicitet oculos, non hostis; hinc monstra effera et humano cruore gaudentia, hinc insidiosa blandimenta aurium, hinc naufragia et tot varietates malorum. Hoc me doce, quomodo patriam amem, quomodo uxorem, quomodo patrem, quomodo ad haec tam honesta vel naufragus navigem369.

Emerge chiaramente dal pensiero senecano come in Omero non possano convivere tutte le dottrine filosofiche della Grecità. Pur ammettendo che Omero possa essere considerato un filosofo, non si deve cercarne il pensiero filosofico nella sua poesia, ma semmai indagare e ricercare che cosa lo abbia reso filosofo prima di essere poeta. Non è importante sapere dove ha vagato Odisseo, ma evitare che simili tempeste scuotano il nostro animo.

L’operetta lucianea sembra una drammatizzazione in chiave comico-satirica dell’atteggiamento che emerge in nuce dall’epistola 88: se Seneca denuncia sia le letture filosofiche che la pedanteria della filologia, Luciano ne mette in pratica l’idea. Come notato nelle pagine precedenti, nelle Verae Historiae non è presente solo la critica alla filosofia di Omero, ma anzi essa è rafforzata dall’utilizzo dell’alto stile omerico (formulazione di versi molto simili, ripetizione di scene formulari, emulazioni di “errori”

369 Sen., Ep. ad Luc., XIII, 88, 5-7: “A meno che, per caso, non ti persuadano che Omero fu un filosofo,

quando lo negano i fatti da cui traggono le loro conclusioni; infatti, ora lo fanno uno stoico che apprezza solamente la virtù, rifugge i piaceri e non si allontana dalla rettitudine nemmeno a prezzo dell'immortalità; ora un epicureo, che loda la condizione di una città tranquilla dove si vive tra banchetti e canti; ora un peripatetico, che elenca tre tipi di beni; ora un accademico, che sostiene che tutto è incerto. È chiaro che in lui non è radicato niente di tutto questo, dal momento che compare tutto e sono in contrasto tra loro. Diamo pure che Omero fosse un filosofo: certo divenne saggio prima di conoscere la poesia; e allora impariamo la disciplina che ha reso Omero saggio. [6] Secondo me non è importante chiedersi se nacque prima Omero o Esiodo, come non è importante sapere perché Ecuba, pur essendo più giovane di Elena, portasse tanto male gli anni. Perché, dico, ritieni di grande interesse indagare sugli anni di Patroclo e di Achille? [7] Vuoi sapere in che paesi andò errando Ulisse invece di fare in modo che noi non andiamo sempre errando? Non c'è tempo di ascoltare se fu sbattuto fra l'Italia e la Sicilia, oppure oltre i confini del mondo a noi conosciuto, visto che non avrebbe potuto vagare così a lungo in uno spazio tanto ristretto: tempeste interiori ci sballottano quotidianamente e la dissolutezza ci caccia in tutti i guai di Ulisse. Non manca certo la bellezza a turbare i nostri occhi, né i nemici; da una parte mostri feroci bramosi di sangue umano, dall'altra voci lusinghiere e insidiose, più avanti naufragi e sventure di ogni tipo. Insegnami piuttosto come amare la patria, la moglie, il padre, come, pur avendo fatto naufragio, possa dirigermi verso il porto della virtù”.

del testo omerico), facendolo collidere e stridere con una narrazione a dir poco insensata e esilarante.

Ecco che, alla luce di tutta l’analisi fin qui condotta, risulta più chiaro il titolo (provocatorio, ovviamente) di questa tesi: Luciano non è un nuovo Zoilo, un nuovo Ὁµηροµάστιξ; è fustigatore dei suoi interpreti, di coloro che non si limitano ad intendere la poesia per quello che è, uno svago.

In chiusura, si noti un passaggio del Patriarca Fozio, che ben delinea l’atteggiamento di Luciano, un intellettuale non classificabile con certezza all’interno di una ben circoscritta cerchia filosofica:

[scil. Λουκιάνος] τὰ τῶν Ἑλλήνων κωµῳδεῖ, τήν τε τῆς θεοπλαστίας αὐτῶν πλάνην καὶ µωρίαν καὶ τὴν εἰς ἀσέλγειαν ἄσχετον ὁρµὴν καὶ ἀκρασίαν, καὶ τῶν ποιητῶν αὐτῶν τὰς τερατώδεις δόξας καὶ ἀναπλάσεις, καὶ τὸν ἐντεῦθεν πλάνον τῆς πολιτείας, καὶ τοῦ ἄλλου βίου τὴν ἀνώµαλον περιφορὰν καὶ τὰς περιπτώσεις, καὶ τῶν φιλοσόφων αὐτῶν τὸ φιλόκοµπον ἦθος καὶ µηδὲν ἄλλο πλὴν ὑποκρίσεως καὶ κενῶν δοξασµάτων µεστόν· καὶ ἁπλῶς, ὡς ἔφηµεν, κωµῳδία τῶν Ἑλλήνων ἐστὶν αὐτῷ ἡ σπουδὴ ἐν λόγῳ πεζῷ. Ἔοικε δὲ αὐτὸς τῶν µηδὲν ὅλως πρεσβευόντων εἶναι· τὰς γὰρ ἄλλων κωµῳδῶν καὶ διαπαίζων δόξας, αὐτὸς ἣν θειάζει οὐ τίθησι, πλὴν εἴ τις αὐτοῦ δόξαν ἐρεῖ τὸ µηδὲν δοξάζειν370.

370 Phot., Bibl., 96a: “[scil. Luciano] mette in commedia le idee dei Greci, il loro errore e la loro follia

nella rappresentazione degli dei, la loro ingovernabile spinta verso la licenziosità, e l’impudicizia, le straordinarie opinioni e creazioni dei loro poeti, le deviazioni della politica che da lì derivano, il corso irregolare della loro vita e le varie vicissitudini, il carattere vanitoso dei loro filosofi, pieno di nient’altro se non d’ipocrisia o vane opinioni: semplicemente, sembra che la sua occupazione sia di scrivere una commedia in prosa dei Greci.

Quanto a lui, pare essere di quelli che non considerano niente seriamente: infatti, ridicolizzando e ridendo delle opinioni di altri, non fa presente quella che lui segue, a meno che non si dica che la sua opinione è di non averne alcuna”.

10.

Bibliografia

10.1 Edizioni, traduzioni, commenti e scoli di Luciano

CATAUDELLA 2015 Q. Cataudella, Luciano. Storia vera, Milano 201514,