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8. Omero, il suo mito e i suoi versi

8.3 Omero dà prova delle sue capacità?

Durante le Thanatasie (VH, II, 22), i giochi presso l’isola dei Beati, oltre alla lotta339, al pugilato, alla corsa, c’è anche spazio per un agone poetico in cui si scontrano Omero ed Esiodo, imitando il Certamen Homeri et Hesiodi anche nell’esito della competizione. Infatti, in entrambi i casi il vincitore dell’agone poetico è Esiodo, anche se Omero è colui più apprezzato dal popolo.

Nell’operetta anonima si specifica anche il motivo di tale verdetto, a cui Luciano sembra indirettamente alludere: il re Panede invitò i due poeti a presentare i brani più belli che avessero e Esiodo (Cert., vv. 180-189) esaltò la vita dei campi e ciò che si fa in tempo di pace, mentre Omero le battaglie (Cert., vv. 191-204)340. Se i Greci volevano assegnare la vittoria ad Omero, per via della superiorità dei suoi versi, il re Panede, di parere opposto, tributa il trionfo ad Esiodo, εἰπὼν δίκαιον εἶναι τὸν ἐπὶ γεωργίαν καὶ εἰρήνην προκαλούµενον νικᾶν, οὐ τὸν πολέµους καὶ σφαγὰς διεξιόντα341;

Dunque, quello che sia Luciano che la storia del Certamen evidenziano, è il fatto che se fu Esiodo a vincere per via del suo messaggio legato alla vita in tempo di pace, Omero fu superiore a tutti i poeti, grazie alla sua τέχνη poetica e alla sua capacità di conquistare il popolo e, anche se non in modo esplicito, emerge tra le righe l’opinione dell’autore del

Certamen, che sembra preferire il verdetto del popolo ed essere favorevole ad assegnare

la vittoria ad Omero.

Luciano gioca su questa ambiguità: da un lato si attiene alla versione più diffusa, cioè quella della vittoria di Esiodo, ma dall’altro ne sottolinea l’assurdità. La mancanza di una motivazione concreta della vittoria di Esiodo – sebbene sottointesa, poiché parte del patrimonio comune a Luciano e ai πεπαιδευοµένοι, destinatari dell’opera –, a livello di argomentazione interna al testo e di articolazione dello stesso rende l’affermazione molto debole, perché non chiarisce il perché di un evento inaspettato. Così facendo, anche Luciano prende le distanze dall’esito ufficiale dell’agone (ben più forte di quella –

339 Alla lotta partecipò anche Odisseo. Si veda in proposito ROBERT 1980, pp. 427-432. 340 Esiodo riprende Opera, 383 e ssg. mentre Omero Il., XII, 126-133 e 339-344.

341 Cert. Hom. et Hes., 207-210: “dicendo che fosse giusto che a vincere fosse chi esortava

all’agricoltura e alla pace, non chi raccontava di guerre e stragi”. Si veda in proposito BASSINO 2019, pp.

presunta – dell’autore del Certamen). Omero, in realtà, è il vero vincitore dell’agone, il migliore dei poeti.

La grandezza di Omero emerge da quei versi che il Poeta compone sull’isola dei Beati: infatti, dopo la rivolta sull’isola degli Empi e la conseguente battaglia tra questi e i Beati, a cui parteciparono anche Teseo, Achille e Aiace Telamonio (nel frattempo rinsavito!), ἔγραψεν δὲ καὶ ταύτην τὴν µάχην Ὅµηρος342. Riapplicando quello pseudo-criterio di necessità, che abbiamo visto già attivo nella prima domanda rivolta ad Omero e, a livello narrativo, in altre azioni svolte da Luciano-personaggio, alter ego di Odisseo343, è necessario che il Poeta canti anche questa battaglia. Purtroppo Luciano durante il suo viaggio perde i βιβλία della nuova opera omerica ma nella sua memoria rimane impresso l’incipit: Νῦν δέ µοι ἔννεπε, Μοῦσα, µάχην νεκύων ἡρώων (“Ora cantami, o Musa la battaglia degli eroi morti”).

Interessante è l’analisi stilistica del verso344: la cesura trocaica divide perfettamente l’elemento odissiaco da quello iliadico. Se la prima metà, infatti, ricalca perfettamente

Od., I, 1345 – si noti la sostituzione di Ἄνδρα con Νῦν δέ, comunque attestata all’inizio di versi omerici –, la seconda metà ricalca tematicamente l’Iliade, sostituendo lo stilema ἀνδρῶν ἡρώων con uno più macabro (νεκύων ἡρώων). La cesura eftemimere, poi, incornicia il termine centrale del nuovo poema, µάχη: a differenza dell’Iliade – e sulla questione verte proprio una delle domande rivolte da Luciano ad Omero – in cui il primo termine, µῆνις, sembrerebbe annunciare come oggetto dell’intera opera l’ira di Achille, mentre essa in realtà rappresenta solo una parte dell’intera narrazione omerica, nella nuova opera omerica, trattandosi di una battaglia, nel proemio è espresso, correttamente, il tema centrale, quasi a voler – ancora una volta – correggere il testo omerico.

La solennità formale del verso e, ancor più, quella dei testi a cui esso allude stride con il contenuto del nuovo canto di Omero, che dedica più libri (come sottolinea il plurale βιβλία) ad una battaglia tra gli eroi dell’isola dei Beati e i prigionieri evasi dall’isola dei

342 Luc., VH, II, 24: “Omero scrisse anche di questa battaglia”. 343 Per il tema della necessità si veda la nota 298.

344 Si veda BRILLET-DUBOIS 2006, pp. 220-221.

8. OMERO, IL SUO MITO E I SUOI VERSI

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Dannati, ad un evento che oltre ad essere assurdo è anche molto breve, e dunque suona strano che per celebrarlo si siano resi necessari diversi libri.

Poco prima della partenza dall’isola dei Beati (VH, II, 28) Luciano si reca a salutare Omero, che compone in suo onore il seguente epigramma: Λουκιανὸς τάδε πάντα φίλος µακάρεσσι θεοῖσιν | εἶδέ τε καὶ πάλιν ἦλθε φίλην ἐς πατρίδα γαῖαν (“Luciano, caro agli dei beati, tutto questo | vide e giunse alla cara terra patria”).

Evidenti anche in questo caso gli stilemi omerici346, come φίλος µακάρεσσι θεοῖσιν347 e ancor più φίλην ἐς πατρίδα γαῖαν, presente in moltissimi passi. Tra i vari versi a cui possono alludere gli stilemi, si pensi per il primo a Od., I, 82, dove Atena definisce l’eroe proprio con le parole φίλον µακάρεσσι θεοῖσιν, caro agli dei beati, e, per di più, proprio in relazione alla richiesta al padre Zeus di concedere al Laerziade di tornare nella sua patria; la dea non utilizza le parole impiegate da Luciano in questo passo (φίλην ἐς πατρίδα γαῖαν) – parole che per altro ritornano in numerosissimi passi odissiaci, in relazione spesso proprio ad Itaca – ma il messaggio è quello: d’altronde, se Luciano avesse citato in modo letterale in intero verso, senza comporne uno tutto ‘suo’, non avrebbe rispettato quel gioco letterario che stimola l’erudizione dei suoi lettori.

Osservando il primo emistichio del primo verso, possiamo notare che, sostituendo il nome proprio, sembra ricollegarsi Od., IV, 738: Λαέρτῃ τάδε πάντα; anche se il verso originario è tratto da un discorso di Penelope, in cui chiede al padre dell’eroe di riferire “tutte queste cose”, possiamo pensare all’assonanza che c’è tra il nome del padre, Laerte, e, ovviamente, il patronimico di Odisseo, Laerziade. Ecco, dunque, il luogo dove Omero può rivelare il nome del protagonista348 dell’opera, in una sede metrica dove stava il nome del padre di Odisseo, così simile al patronimico dell’eroe.

Luciano-autore, dunque, fa rivelare l’identità di Luciano-personaggio dal Poeta per antonomasia, in una ben determinata sezione del verso dove si allude all’identità di Odisseo, permettendo e confermando l’assimilazione tra il protagonista dell’Odissea e quello delle Verae Historiae.

346 Si veda ancora BRILLET-DUBOIS 2006, pp. 221-222. 347 Presente anche in diversi vv. di Esiodo e in Stesicoro S11.

348 Come è stato notato (GOLDHILL 2002, p. 65) questo è uno dei tre luoghi in cui Luciano autore rivela

Il viaggio solenne del Laerziade, così caricato dalle diverse scuole filosofiche di significati morali e metafisici, trasformando Odisseo – e indirettamente Omero – in colui che dopo le peregrinazioni nel mare dell’esistenza raggiunge finalmente la vera patria dell’anima, è in contrasto con la totale mancanza di senso del viaggio di Luciano, che “dopo aver visto tutte queste cose, giunse alla terra patria”. Infatti, sia la meta del viaggio di Luciano (non il mondo reale, ma quell’ἑτέρα ἤπειρος, l’altro continente, ancora inesplorato) sia quanto ‘appreso’ dal Nostro durante il suo peregrinare in un universo tutto suo ribaltano il modello odissiaco, rendendo quello lucianeo un anti-modello.

“Dans toutes ces ‘refaçons’, Lucien imprime la marque de son esprit léger, moqueur, caustique”349. Nei due casi qui presi in esame il Nostro riutilizza noti stilemi che, in virtù proprio della loro notorietà, rievocano ben determinati loci omerici, famosi o per il fatto di essere l’inizio delle opere o per il collegamento con un eroe, in questo caso Odisseo. L’utilizzo parodico che ne fa Luciano deriva proprio dal contrasto tra, da un lato, la grandezza del testo originale e del messaggio nei secoli ad esso attribuito e, dall’altro, l’assurdità del nuovo testo composto a partire da ‘spezzoni’ del testo imitato e, soprattutto, del nuovo messaggio, che manca completamente di senso.