5. Nel ventre della balena
5.5 I Cristiani commentatori di Omero
Ci si potrebbe chiedere, a buon diritto, perché Luciano debba scomodare Giona in un’operetta satirica nei confronti di Omero e dei suoi commentatori.
Abbiamo visto la critica a quell’esegesi di matrice medioplatonica e neopitagorica di Numenio, che, come visto, riservava un interesse notevole al pensiero giudaico e al Platone di Giudea, Mosè. Ma l’importanza delle vicende di Giona per i Cristiani ci induce a pensare che Luciano voglia attaccare soprattutto loro: nel periodo in cui Luciano scrive, ovvero – per rimanere generali – tra il 150 e il 185 d. C. si assiste allo sviluppo del fenomeno dell’apologetica della fede cristiana da parte dei primi Padri della Chiesa, che in un primo momento utilizzano il patrimonio culturale greco in modo un po’ disordinato: a volte sembrano sfruttarlo a vantaggio delle loro argomentazioni mentre altre volte attaccano l’assurdità degli dei e del sistema teologico greco, facendo principalmente uso di Omero228.
228 Omero e i suoi interpreti sembrano assai presenti agli occhi dei dotti sia ebrei che cristiani: si veda
Giustino Martire229 (100-163/7 d.C.), greco di nascita ed educazione, che in gioventù abbracciò diverse scuole filosofiche – stoica, peripatetica, pitagorica e platonica –, si convertì in età adulta e scrisse diverse opere tra cui due Apologie230, in cui sostiene una congruenza di base tra pensiero greco e cristianesimo, testimoniata da quel λόγος che già Socrate possedeva (si veda Apol. M., V, 3-4 e Apol. m., X, 5-8) e che per Giustino era arrivato ai Greci da Mosè. Se da un lato, in accordo con la Repubblica di Platone, egli rifiuta i poeti, tra cui Omero, per la rappresentazione immorale che danno degli dei (si veda Apol. m., X, 6), utilizza, però, la figura di Odisseo come una delle tante testimonianze che già i Greci credono nella vita oltre la morte: ὁ παρ᾽Ὁµήρῳ βόθρος καὶ ἡ κάθοδος Ὀδυσσέως εἰς τὴν τούτων [scil. τῶν νεκύων] ἐπίσκεψιν231.
Taziano, siro di nascita, allievo di Giustino a Roma e anche lui convertito in età adulta, non è altrettanto conciliante come il maestro nei confronti del pensiero greco: nella sua
Oratio ad Graecos (scritta dopo il 165), rivolta non ad un politico – come fece Giustino
– ma più in generale agli ἄνδρες Ἕλληνες sostiene che i Greci non hanno mai partecipato del λόγος divino e che, anzi, le loro teorie filosofiche sono colpevoli di plagio nei confronti di un filosofo ben più saggio e più antico di Omero, Mosè (Νῦν δὲ προσήκειν µοι νοµίζω παραστῆσαι πρεσβυτέραν τὴν ἡµετέραν φιλοσοφίαν τῶν παρ᾽Ἕλλησιν ἐπιτηδευµάτων. Ὅροι δὲ ἡµῖν κείσονται Μωσῆς καὶ Ὅµηρος· τῷ <γὰρ> ἑκάτερον αὐτῶν εἶναι παλαίτατον καὶ τὸν µὲν ποιητῶν καὶ ἱστορικῶν εἶναι πρεσβύτατον, τὸν δὲ πάσης βαρβάρου σοφίας ἀρχηγόν232), continuando, poi, con una rassegna degli studi antichi su Omero e mettendo in evidenza le numerose opinioni contrastanti tra loro (Or. ad Graec., XXXI, 1-6), tema tipico in Patristica.
229 Per notizie sulla sua vita e le sue opere e ulteriore bibliografia si veda MORESCHINI-NORELLI 1999,
pp. 91-93; sul rapporto tra poesia greca e primo cristianesimo MORESCHINI 2013, pp. 157-172; sul pensiero filosofico MINNS 2010.
230 Eusebio per la verità menziona passi da entrambe le opere senza però dividerle. Non si entra nel
merito della questione se siano davvero due testi separati o no. Si adotterà la nomenclatura di Apologia Maior (M) e di Apologia minor (m), in accordo con l’edizione critica di MARCOVICH 2005.
231 Iust. Mart., Apologia Maior, XVIII, 5: “la fossa evocata da Omero e la discesa di Odisseo a vedere
quelli [scil. i morti]”. Testo in MARCOVICH 2005,p.59.
232 Tatianus, Oratio ad Graecos, XXXI, 1: “Ma ora ritengo adeguato dimostrare che la nostra filosofia
è più antica dei pensieri dei Greci. Mosè e Omero saranno i nostri limiti, essendo infatti l’uno e l’altro antichissimi; il primo è il più antico dei poeti e degli storici, e il secondo il fondatore della barbara sapienza. Testo in MARCOVICH 1995, p. 57.
5. NEL VENTRE DELLA BALENA
75
Taziano va oltre: insiste sul fatto che Ἀρχὴ <δὲ> τῆς φλυαρίας ὑµῖν γεγόνασιν οἱ γραµµατικοί233 che, nelle scuole, insegnano le falsità di Omero.
Questa breve rassegna sull’utilizzo di Omero nella primissima Apologetica cristiana234 permette di vedere come oramai l’epica greca arcaica, fondamento della cultura letteraria e filosofica greca, non fosse più un patrimonio soltanto dei pagani: anche i Cristiani e, prima ancora, gli Ebrei ellenizzati – come mostra l’interesse di Filone per il procedimento di interpretazione allegorica – consideravano Omero a volte tentando di conciliarlo con le loro dottrine, a volte opponendolo.
Quelli di Giustino e di Taziano sono solo due dei primi casi (si vedano poi le argomentazioni sugli dei e l’origine dell’universo contenute nell’Apologia ad Autolico di Teofilo di Antiochia, oppure nella Supplica per i cristiani di Atenagora di Atene235) che si collocano temporalmente vicini a Luciano: non sappiamo se Luciano avesse avuto modo di conoscere direttamente i testi di Giustino o Taziano, ma il contesto culturale in cui viveva il Samosatense ci può portare a dire che ne avesse conosciuto almeno le argomentazioni più generale e i temi più ricorrenti, come quello del diverso trattamento riservato ad Omero.
Considerando anche il fatto che, verso la fine dell’episodio della balena, in I, 42, alla fine di quella specie di ‘nesomachia’ che viene combattuta nel mare antistante la bocca del mostro, da cui Luciano e i compagni assistono allo spettacolo, tra le truppe di Eolocentauro e Thalassopotes, i vincitori erigono un trofeo sulla testa del mostro a forma di croce, dettaglio che sarebbe inutile nell’economia del testo se non perché carico di allusioni parodiche nei confronti di coloro che venerano la divinità, appesa ad una croce.
Si aggiunge, così, un terzo elemento a quella parodia sintetica che Luciano sta mettendo in atto nel rappresentare Luciano-personaggio, alter ego di Odisseo, che è inghiottito con i compagni nel ventre di una balena.
Oltre alla caverna delle Ninfe e al pensiero ebraico, possiamo aggiungere anche il Cristianesimo: abbiamo visto come la vicenda di Giona sia prefigurazione della Risurrezione di Cristo, alla cui morte in croce sembra che Luciano alluda in I, 42.
233 Tatianus, Oratio ad Graecos, XXVI, 5: “Principio di questa insensatezza furono i grammatici”. Testo
di MARCOVICH 1995, p. 51.
234 Si veda tra gli altri SANDNES 2009.
L’autore, seguendo quanto afferma nell’introduzione (I, 1-4), cioè facendo allusioni sottili che saranno un esercizio di pensiero per il lettore colto, non poteva parodiare direttamente le vicende di Gesù – la cui storia, come emerge dal Discorso Vero di Celso, era comunque diffusa al tempo – ma si serve di un personaggio biblico che, secondo le parole che gli autori dei Vangeli (sia Matteo che Luca) fanno dire a Gesù, è figura di Cristo stesso. Per quale motivo attaccare con le armi del sarcasmo i cristiani? Perché, nell’ottica di Luciano, nemici della Verità: propugnando una Verità diversa da quelle accettate dal pensiero greco-romano dell’epoca, si davano da fare – come visto – per o confutare il pensiero dei pagani o piegarlo alle loro argomentazioni, ovviamente relazionandosi con quella che all’epoca era la fonte di ogni verità, il divino Omero, rendendosi ancora più ridicoli agli occhi di un sofista, retore e Halb-Philosoph236 che sembra escludere l’esistenza di una qualsiasi Verità.
236 Una delle possibili definizioni attribuite ai filosofi della Seconda Sofistica. Si vedano i contributi di
6.
L’isola dei sogni
Nel quinto capitolo ci soffermeremo sull’ultimo dei cinque esempi di utilizzo dell’interpretazione allegorica, analizzando nello specifico un secondo tema di esegesi mistica: il soggiorno sull’isola dei sogni (VH, II, 32-35) e il fenomeno onirico stesso hanno punti in comune con le dottrine del platonismo in tema di reincarnazione, di cui Odisseo, come visto nelle testimonianze di Numenio, è modello.
Nell’episodio in questione la critica237 ha notato molti punti di contatto con l’episodio della città delle Lanterne (VH, I, 29): nella diversa grandezza sia tra le lanterne che tra i sogni, e soprattutto nel fatto che entrambe si relazionano con gli umani che arrivano e fanno rivivere loro qualcosa della vita sulla terra.
Ciò che pare più interessante è vedere il trattamento riservato ad Omero e al suo messaggio a proposito dei sogni: se solo pochi paragrafi prima Omero era celebrato come il più bravo dei poeti (VH, II, 22), tanto che poi Luciano lo pregherà di comporre un’iscrizione per lui a ricordo del suo viaggio nella terra dei Beati (VH, II, 28), durante l’episodio dell’isola dei Sogni si assiste ad una correzione di Omero da parte di Luciano, il quale afferma di voler correggere l’errata rappresentazione delle porte dei sogni che il Poeta aveva fornito. Luciano, infatti, dice (VH, II, 33) che le porte della città non sono
237 Già in STENGEL 1911, p. 82 e poi in ANDESRON 1976a, p. 25 e da ultimo VON MÖLLENDORFF 2000,
due – come dice Omero – ma quattro: l’una di ferro, l’altra di argilla, la terza di corno e l’ultima di avorio, quella da cui sono passati loro per entrare in città.
In Od., XIX, infatti, Penelope, dopo aver raccontato allo straniero – che in realtà è il suo sposo Odisseo – il sogno dell’aquila (vv. 538-553) che le preannunciava il ritorno del suo sposo e la sconfitta dei pretendenti per mano di Odisseo, precisa che:
δοιαὶ γάρ τε πύλαι ἀµενηνῶν εἰσὶν ὀνείρων: αἱ µὲν γὰρ κεράεσσι τετεύχαται, αἱ δ᾽ ἐλέφαντι: τῶν οἳ µέν κ᾽ ἔλθωσι διὰ πριστοῦ ἐλέφαντος, οἵ ῥ᾽ ἐλεφαίρονται, ἔπε᾽ ἀκράαντα φέροντες: οἱ δὲ διὰ ξεστῶν κεράων ἔλθωσι θύραζε, οἵ ῥ᾽ ἔτυµα κραίνουσι, βροτῶν ὅτε κέν τις ἴδηται. ἀλλ᾽ ἐµοὶ οὐκ ἐντεῦθεν ὀΐοµαι αἰνὸν ὄνειρον ἐλθέµεν: ἦ κ᾽ ἀσπαστὸν ἐµοὶ καὶ παιδὶ γένοιτο238.
La saggia moglie di Odisseo sostiene che i sogni provengano da due porte: da quella di avorio provengono i sogni ingannevoli, mentre dall’altra, quella di corno, provengono i sogni veritieri. Evidente il gioco paretimologico tra da un lato ἐλέφας, ‘avorio’ e dunque ‘elefante’, e ἐλεφαίροµαι, ‘illudere’ che etimologicamente non ha nessun rapporto con ἐλέφας, e dall’altro tra il vero κραίνω ‘realizzare’ e κέρας ‘corno’. Interessante, inoltre, notare che il sogno falso è quello che porta parole non veritiere mentre quello vero è quello che, qualora sia visto da qualcuno, gli preannuncia il realizzarsi dell’evento: dunque, la veridicità si trasmette attraverso la vista mentre sono le parole a veicolare la falsità239.
Per Luciano, dunque, questa rappresentazione non è accurata e la corregge aggiungendo due porte, per un totale di quattro, da cui provengono i sogni:
πύλαι µέντοι ἔπεισιν οὐ δύο, καθάπερ Ὅµηρος εἴρηκεν, ἀλλά τέσσαρες, δύο µὲν πρὸς τὸ τῆς Βλακείας πεδίον ἀποβλέπουσαι, ἡ µὲν σιδηρᾶ, ἡ δὲ ἐκ κεράµου πεποιηµένη, καθ᾽ ἃς ἐλέγοντο
238 Od., XIX, 562-569: “due sono le porte dei deboli sogni | una è fatta di corno, l’altra di avorio; | quelli
che vengono attraverso l’avorio intagliato, | sono ingannevoli, portano parole senza frutto; | quelli invece che vengono dalla porta di corno levigato | quelli compiono cose vere, quando uno dei mortali li veda | mai io non credo che da qui il mio sogno terribile | sia venuto: certo, sarebbe una grandissima gioia per me e mio figlio”.
239 Sul sogno di Penelope e l’interpretazione delle due tipologie di sogni come richiesta di concretezza,
6. L’ISOLA DEI SOGNI
79
ἀποδηµεῖν αὐτῶν οἵ τε φοβεροὶ καὶ φονικοὶ καὶ ἀπηνεῖς, δύο δὲ πρὸς τὸν λιµένα καὶ τὴν
θάλατταν, ἡ µὲν κερατίνη, ἡ δὲ καθ᾽ ἣν ἡµεῖς παρήλθοµεν ἐλεφαντίνη240.
Da notare il nome della pianura, Βλακεία, che significa ‘mollezza’, ‘stupidità’, sembra richiamare la pianura dell’oblio alla fine della Repubblica platonica, dove tutte le anime – tranne quella di Er – dimenticavano tutto del mondo delle Idee, pronte per la reincarnazione. Dalle porte di ferro e di ceramica sembrano, dunque, passare dei sogni che conducono alla pianura dell’ignoranza e della mancanza di consapevolezza, iniziando quella serie di emulazioni del mondo dei morti che vedremo più avanti. Anche le informazioni ricavate dallo scolio241 sembrano andare in questa direzione: infatti, i sogni che escono dalla porta di ferro sono quelli delle persone che, a causa della loro ottusità, hanno un’opinione sempre salda mentre quelli che passano per la porta di ceramica sono per quelli che hanno ancora un po’ di ragione.
A livello letterario, Luciano sembra emulare anche un altro testo, anche se non lo rivela espressamente: alla fine del libro VI dell’Eneide, Virgilio, descrive le Somni portae.
Sunt geminae Somni portae, quarum altera fertur cornea, qua veris facilis datur exitus umbris, altera candenti perfecta nitens elephanto, sed falsa ad caelum mittunt insomnia Manes. his ibi tum natum Anchises unaque Sibyllam prosequitur dictis portaque emittit eburna, ille viam secat ad navis sociosque revisit242.
Evidente è l’imitazione virgiliana dei versi omerici243 sopra citati, ma chiaramente il grande poeta latino non si è limitato a una semplice aemulatio: la prima grande differenza
240 Luc., VH, II, 33: “le porte, però, non sono due, come dice Omero, ma quattro, due che vanno in
direzione della pianura di Blakeia, l’una di ferro e l’altra di ceramica, (dalle quali si dice escano i sogni spaventosi, sanguinosi e crudeli) e due verso il porto e il mare, l’una di corno e l’altra (da cui siamo passati noi) di avorio”.
241 RABE 1906, p. 23, r. 20 – p. 24, r. 7.
242 Verg., Aen., VI, 893-898: “Due sono le porte del Sonno: una delle due, si dice | è di corno, da cui è
data facile uscita alle ombre vere; | l’altra risplende perfetta di candido avorio, | ma i Mani ne mandano al cielo sogni fallaci. | Detto ciò, Anchise accompagna lì il figlio e con lui | la Sibilla, e li fa uscire per la porta di avorio”.
243 Si veda VON MÖLLENDORFF 2000*. Setaioli (p. 22) sostiene che esageri nelle strettissime
identificazioni che fa tra Omero e Virgilio, e, a mio modesto parere, non si può che concordare con lo studioso italiano.
con le parole di Penelope sta nel fatto che se nell’Odissea si parla di πύλαι ὀνείρων, ‘porte dei sogni’, Virgilio parla di Somni portae, ‘porte del Sonno’. Se somnus in poesia può significare al plurale ‘sogni’, non è attestato questo uso per il singolare e, soprattutto, quello a cui dobbiamo pensare in questo passo è alla personificazione del Sonno244. Del resto, il rapporto tra il Sonno e la Morte era già stato spiegato da Esiodo, rendendoli fratelli dimoranti nell’Oltretomba (si veda Theog., 759).
La seconda discrepanza con il testo omerico è che – diversamente da Omero dove attraverso le porte passavano solo i sogni, veri o falsi che fossero – in Virgilio sono due viventi a passare attraverso una delle due porte, e precisamente attraverso quella di avorio, quella da cui falsa ad caelum mittunt insomnia Manes.
Luciano sembra perfettamente al corrente delle discrepanze tra la narrazione omerica e quella virgiliana tanto da emularle entrambe: se da un lato parla dell’arrivo sull’isola dei sogni e poi passa a descrivere le sue porte di cui Omero aveva parlato con poca correttezza, alludendo evidentemente all’episodio di Od., XIX, dall’altro dice che sono sbarcati presso il porto chiamato “Sonno” (VH, II, 32 εἰς τὸν Ὕπνον λιµένα) e che, all’interno della cinta muraria della città, è presente il palazzo di Sonno che regna sul paese.
Inoltre, Luciano e i compagni passano attraverso la porta di avorio, proprio come Enea e la Sibilla avevano fatto per uscire dal mondo dei morti, mentre in Omero per quella porta passavano i sogni, ma, contrariamente alla direzione assunta dai personaggi dell’opera virgiliana – la Sibilla ed Enea escono dagli Inferi –, Luciano e i suoi entrano all’interno della città dei Sogni.
Per il passaggio di Luciano per la porta dei sogni falsi non abbiamo problemi a leggerlo, a livello superficiale, come all’ennesima allusione alla falsità di quanto sta narrando245; potremmo, però, pensare ad un secondo livello di lettura, cioè alla derisione di quanto sta emulando: Luciano-autore utilizzerebbe – proprio come vedremo per
244 Si veda SETAIOLI 2010, pp. 24-26.
6. L’ISOLA DEI SOGNI
81
Virgilio – il passaggio di Luciano-personaggio attraverso le porte della falsità per denunciare l’assurdità dei modelli che sta parodiando, come già ha fatto più volte.
Di grande interesse è l’annosa questione246 del perché Virgilio abbia scelto di far passare il suo eroe Enea, accompagnato dalla Sibilla, per la porta di avorio, quella da cui escono i sogni falsi: diverse le interpretazioni e gli approcci al problema nel tempo, da chi interviene sul testo fino ad espungere i versi in questione, a chi sostiene che Enea e la Sibilla, non essendo spiriti dei morti, non possano uscire dalla porta di corno, riservata alle verae umbrae.
Un’altra interpretazione autorevole che merita di essere ricordata è quella di Norden247: dato che i sogni falsi giungerebbero prima della mezzanotte, quella di Virgilio sarebbe solo un’indicazione temporale dell’uscita di Enea dall’oltretomba e, in effetti, il libro VI è pieno di riferimenti temporali. Sembra poco verosimile, però, che Virgilio, all’interno di un libro altamente simbolico come il sesto, abbia creato una scena con un potenziale simbolico altissimo solo per comunicarci l’ora in cui Enea avrebbe lasciato gli Inferi.
Si pensa, dunque, che Virgilio avesse voluto comunicare una certa mancanza di fiducia nella veridicità di quanto rappresentato nella sua catabasi248 e l’utilizzo che ne fa Luciano di una scena molto simile sembra confermarci sia la possibilità di leggere nella scena virgiliana una vena dubbiosa nei confronti di quanto il poeta ha appena rivelato – ricordiamo, inoltre, che Virgilio, in qualità di aderente all’epicureismo, mal poteva concepire un sistema escatologico di vita ultraterrena –, sia, in direzione opposta, che Luciano leggesse o perlomeno sospettasse nel passo virgiliano questa velata critica.
La connessione con il mondo dei morti lega l’episodio virgiliano non solo ad Od., XIX – dove per altro la connessione con l’Aldilà non è evidente – ma anche alla cosiddetta seconda Νέκυια, quando cioè Ermes conduce le anime dei pretendenti morti nell’Ade, all’inizio di Od., XXIV. Infatti, ai vv. 11-14 il poeta dell’Odissea descrive il percorso
246 Si veda SETAIOLI 2010, pp. 14-17. 247 NORDEN 1957, p. 348
248 Si veda ancora SETAIOLI 2010, p. 17, che cita anche il confronto con il nostro Luciano e il passo in
questione di VH, e FO-GIANNOTTI 2012, p. 716, n. 141. Per un’interpretazione contrastante, in cui la falsità sarebbe attribuita al viaggio in sé nell’oltretomba, che in realtà sarebbe un sogno, unico mezzo – come già nel mito di Er – per indagare realmente l’Aldilà, si veda CERRI 2012.
effettuato dalle anime dei Proci: πὰρ δ᾽ ἴσαν Ὠκεανοῦ τε ῥοὰς καὶ Λευκάδα πέτρην, | ἠδὲ παρ᾽ Ἠελίοιο πύλας καὶ δῆµον ὀνείρων | ἤϊσαν: αἶψα δ᾽ ἵκοντο κατ᾽ ἀσφοδελὸν λειµῶνα, | ἔνθα τε ναίουσι ψυχαί, εἴδωλα καµόντων249.
I sogni in Od., XIX sono ἀµενηνοί (v. 562), ‘senza forze’, come lo sono le anime dei morti: Anticlea, quando spiega al figlio quasi con rigore scientifico cosa avviene al momento del trapasso, quando il corpo non ha più vigore, dice che ψυχὴ δ᾽ ἠύτ᾽ ὄνειρος ἀποπταµένη (“l’anima vola via, pari ad un sogno”; Od., XI, 222).
È interessante notare che il collegamento tra anime dei morti e sogni è presente anche nell’esegesi porfiriana a proposito dei versi riportati supra in un passo del De Styge:
Ὑποτίθεται γὰρ τὰς ψυχὰς τοῖς εἰδώλοις τοῖς ἐν τοῖς κατόπτροις φαινοµένοις ὁµοίας καὶ τοῖς διὰ τῶν ὑδάτων συνισταµένοις, ἃ καθάπαξ ἡµῖν ἐξείκασται καὶ τὰς κινήσεις µιµεῖται, στερεµνιώδη δ’ ὑπόστασιν οὐδεµίαν ἔχει εἰς ἀντίληψιν καὶ ἁφήν· ὅθεν αὐτὰς ‘βροτῶν εἴδωλα
καµόντων’ [Od., XI, 476 e XXIV, 14] λέγει250.
Come noto, buona parte dell’esegesi omerica porfiriana, qui conservata dall’autore bizantino di V sec., Stobeo, sembra derivare almeno in parte da Numenio, contemporaneo di Luciano, nella cui opera l’identificazione tra sogni e anime dei morti sembra essere possibile: intanto, l’isola dei Sogni si trova subito dopo la descrizione dell’isola dei beati e dei dannati, senza che ci sia un vero stacco a segnare un cambio radicale di ambientazione tra le tre narrazioni; inoltre, l’evanescenza dell’isola (VH, II, 32) e i contatti che i vari sogni hanno con i viaggiatori, mostrando loro i parenti e la famiglia (VH, II, 34) e collegandosi in questo modo al comportamento delle lucerne a Lucernaria (VH, I, 29), dove Luciano aveva incontrato una lucerna di casa sua che gli raccontava notizie della famiglia, alludendo chiaramente all’episodio del dialogo tra Odisseo e la madre Anticlea, sembra spingerci all’identificazione tra sogni e anime dei morti.
Dunque, come abbiamo notato, Luciano sembra dialogare con il doppio trattamento riservato da Omero ai sogni, quello delle due porte in Od., XIX e quello della loro
249 Od., XXIV, 11-14: “Andarono al di là delle correnti di Oceano e la bianca rupe, | oltre le Porte del
Sole e il popolo dei Sogni | presto raggiunsero il prato degli asfodeli, | dove stanno le anime, immagini degli estinti”.
250 Porph., De Styge = Stobaeus, Anthologium, I, 49, 50: “Si pensa che le anime siano come le immagini
che appaiono negli specchi o sulla superfice dell’acqua che riflettono la nostra immagine e imitano i nostri movimenti ma non hanno solida sostanza per essere prese o toccate. Questo è il motivo per cui le chiama ‘immagini di mortali estinti’[Od., XI, 476 e XXIV, 14]”.
6. L’ISOLA DEI SOGNI
83
collocazione nell’Oceano occidentale in Od., XXIV in occasione della piccola Νέκυια, e con l’utilizzo che di questa duplice narrazione ne aveva fatto Virgilio alla fine della sua visita agli Inferi.
In un passo del Commento alla Repubblica di Platone di Proclo si riporta il pensiero di Numenio e la sua esegesi a proposito della collocazione del luogo del giudizio delle anime, così come raccontato nel l. X, il libro del mito di Er. Secondo Numenio, infatti, il giudice infernale, dopo aver giudicato le anime al centro della terra, manda alcuni verso il cielo, cioè verso le sfere delle stelle fisse, sostenendo che ci siano due voragini, quella del Capricorno e quella del Cancro, interpretandole come le due aperture dell’Antro delle Ninfe di Od., XI, 102-112. Proseguendo, Proclo ci informa dicendo: